SOMMARIO n. 108 - Centro Studi Cinematografici
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SOMMARIO n. 108 - Centro Studi Cinematografici
SOMMARIO n. 108 Anno XVI (nuova serie) n. 108 novembre-dicembre 2010 Benvenuti al sud ................................................................................ 26 Bruno ................................................................................................. 8 Buried – Sepolto ................................................................................ 35 Corsa a Witch Mountain .................................................................... 28 Doppia ora (La) .................................................................................. 3 Estate di Martino (L’) .......................................................................... 21 Figli delle stelle ................................................................................. 16 Fiori di Kirkuk (I) ................................................................................ 40 Harry Potter e i doni della morte – Parte1 ........................................... 6 In carne e ossa .................................................................................. 19 Karate Kid (The) – La leggenda continua .......................................... 34 Maschi contro femmine ..................................................................... 17 Noi credevamo ................................................................................... 23 Notte da leoni (Una) .......................................................................... 25 Redazione: Marco Lombardi Alessandro Paesano Carlo Tagliabue Giancarlo Zappoli Panico al villaggio .............................................................................. 4 Post Mortem ...................................................................................... 32 Potiche – La bella statuina ................................................................. 18 Hanno collaborato a questo numero: Veronica Barteri Elena Bartoni Luca Caruso Maria Cristina Caponi Chiara Cecchini Elena Mandolini Diego Mondella Fabrizio Moresco Francesca Piano Tiziana Vox Precious ............................................................................................. 30 Ritorno a Brideshead ......................................................................... 13 Qualcosa di speciale ......................................................................... 29 Segreto dei tuoi occhi (Il) ................................................................... 37 Social Network (The) ......................................................................... 10 Superpoliziotto al supermercato (Il) ................................................... 9 Stanno tutti bene ............................................................................... 14 Ti presento un amico ......................................................................... 15 Unstoppable – Fuori controllo ............................................................ 31 20 sigarette ........................................................................................ 2 Wall Street: il denaro non dorme mai ................................................ 38 Winx Club 3D – Magica avventura .................................................... 7 Tutto Festival – Pesaro Film Festival 2010 .................................... 41 Tutto Festival – Venezia Film Festival 2010 ................................... 43 Bimestrale di cultura cinematografica Edito dal Centro Studi Cinematografici 00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6 tel. (06) 63.82.605 Sito Internet: www.cscinema.org E-mail: [email protected] Aut. Tribunale di Roma n. 271/93 Abbonamento annuale: euro 26,00 (estero $50) Versamenti sul c.c.p. n. 26862003 intestato a Centro Studi Cinematografici Spedizione in abb. post. (comma 20, lettera C, Legge 23 dicembre 96, N. 662 Filiale di Roma) Si collabora solo dietro invito della redazione Direttore Responsabile: Flavio Vergerio Direttore Editoriale: Baldo Vallero Cast e credit a cura di: Simone Emiliani Segreteria: Cesare Frioni Stampa: Tipostampa s.r.l. Via dei Tipografi, n. 6 Sangiustino (PG) Nella seguente filmografia vengono considerati tutti i film usciti a Roma e Milano, ad eccezione delle riedizioni. Le date tra parentesi si riferiscono alle “prime” nelle città considerate. Film Tutti i film della stagione 20 SIGARETTE Italia, 2010 Supervisori effetti visivi: John Attard (Rebel Alliance), Pasquale Di Viccaro Coordinatore effetti visivi: Virginia Cefaly Suono: Mario Iaquone Interpreti: Vinicio Marchioni (Aureliano Amadei), Carolina Crescentini (Claudia), Giorgio Colangeli (Stefano Rolla), Gisella Burinato (Berta Ficuciello), Orsetta De Rossi (Carlotta), Alberto Basaluzzo (Massimo Ficuciello), Luciano Virgilio (generale Ficuciello), Edoardo Pesce (Tino), Duccio Camerini (padre di Aureliano), Massimo Popolizio (Storchi), Giovanni Carroni (generale Stano), Vanni Fois (colonnello Scalas), Nicola Nocella (Cico), Rocco Capraro (Cintura), Silvio Laviano (Melis), Antonio Careddu (Mereu), Stefano Mereu (Piras), Andrea Iaia (Olla), Antonio Gerardi (produttore), Desiree Noferini (Angela), Maurizio Romoli (ortopedico), Nicola D’Eramo (Ros 1), Pietro Faiella (Ros 2), Harriet Mcmaster-Green, Awa Ly (infermiere) Durata: 94’ Metri: 2600 Regia: Aureliano Amadei Produzione: Claudio Bonivento, Tilde Corsi, Gianni Romoli per R&C Produzioni/Rai Cinema/Alhambra Factory Distribuzione: Cinecittà Luce Prima: (Roma 8-9-2010; Milano 8-9-2010) Soggetto: tratto dal libro Venti sigarette a Nassirya di Aureliano Amadei e Francesco Trento Sceneggiatura: Gianni Romoli, Francesco Trento, Volfango De Biasi, Aureliano Amadei Direttore della fotografia: Vittorio Omodei Zorini Montaggio: Alessio Doglione Musiche: Louis Siciliano Scenografia: Massimo Santomarco Costumi: Catia Dottori Produttore esecutivo: Hamid Basket Direttore di produzione: Rocco Messere Casting: Flaminia Lizzani Aiuto regista: Samad Zarmandili Trucco: Simona Castaldi oma, novembre 2003. Aureliano Amadei è un giovane anarchico che frequenta i centri sociali, col sogno di diventare un regista. L’occasione gli si presenta quando un amico di famiglia, Stefano Rolla, gli propone di seguirlo in Iraq per girare un film. Il ragazzo, a cui viene affidato il ruolo di assistente, è entusiasta dell’idea, ma, allo stesso tempo, è preoccupato per la pericolosità del viaggio. Per di più deve scontrarsi con lo scetticismo della fidanzata brasiliana (che dice di avere uno strano presentimento...), con la gelosia dell’altra ragazza con cui si vede, Claudia, e, soprat- R tutto con la madre, che teme per la sua incolumità. Tra dubbi e paure, Aureliano decide alla fine di partire. Appena arrivato, i soldati impegnati nella missione di pace, che hanno il compito di scortarlo in giro, lo mettono in guardia sulle difficili condizioni in cui si troverà a lavorare. Nella base italiana dell’Esercito può contare sul capitano Massimo Ficucello, con il quale stringe un rapporto di amicizia. 12 novembre: Amadei e Rolla vengono accompagnati nei luoghi dove devono iniziare le riprese. Il militare che dovrebbe fare loro da guida è però assente e, non potendo quindi raggiungere da soli le locations, si vedono costretti a deviare il percorso verso la caserma dei carabinieri a Nassiriya. Poco dopo il loro arrivo, un camion cisterna carico di esplosivo si lancia contro l’edificio provocando la morte di 19 nostri connazionali. Aureliano è l’unico a scampare all’attentato: malgrado sia ferito, riesce a scavalcare la recinzione e a mettersi al riparo grazie all’aiuto di un gruppo di civili che lo trasportano in ospedale. Quando torna in Italia, riabbraccia i suoi genitori e Claudia, ma deve anche vedersela con chi vuole immeritatamente fregiarsi del titolo di eroe per averlo salvato. A distanza di qualche anno da quella esperienza, Amadei sceglie di scrivere un libro per raccontare la sua verità. e dinamiche del cinema italiano (produttive, distributive, promozionali) ci risultano oscure, per non dire inspiegabili. Ci si lamenta da anni di non riuscire a realizzare un prodotto che possa avere un destino anche fuori dai confini nazionali e poi, quando finalmente si inverte la tendenza con un’opera di più ampio respiro, non si fa nulla per valorizzarla. 20 sigarette ne è un esempio. È stato giusto premiare l’esordio di Aureliano Amadei e l’attore protagonista Vinicio Marchioni nella sezione “Controcampo Italiano” della 67esima Mostra di Venezia, (anche se avrebbe meritato un posto nel concorso principale...). L 2 Film Un doppio riconoscimento come questo, per quanto prestigioso, però, non basta. Qualche settimana dopo, al momento della scelta del candidato italiano agli Oscar 2011, la commissione non ha avuto il coraggio di lanciare il piccolo-grande film di Amadei verso un successo già scritto presso le platee d’oltreoceano. La strada, che sembrava spianata, è stata invece scioccamente interrotta a causa delle becere logiche – si badi bene – tutte interne al mercato italiano, non a quello nordamericano che invece si ambisce a conquistare... . 20 sigarette è costretto a pagare dazio per il fatto di non essere firmato da un regista già affermato e di non avere una solida copertura produttiva alle spalle? Se così fosse, ci troviamo di fronte alla solita anomalia italiana. La storia ci insegna che altri paesi europei non sempre hanno scelto il loro rappresentante secondo il criterio della notorietà dell’autore; vengono infatti selezionate opere che abbiano precisi requisiti, tra cui la riconoscibilità e la credibilità della storia e dei personaggi, l’universalità delle tematiche. Tutte componenti che si possono rintracciare in 20 sigarette. Il registra mette la sua impressionante esperienza di vita al servizio del pubblico (fu lui stesso a salvarsi dalla strage di Nassiriya), incrociando i suoi personali ricordi, prima di incosciente e aspirante film-maker, poi di su- Tutti i film della stagione perstite, con una realtà molto più grande di lui: la guerra. Una questione, quest’ultima, degna di attenzione soprattutto da parte di chi fa cinema. L’ultimo caso di The Hurt Locker, insignito della statuetta nel 2010, la dice lunga sull’indice di gradimento che il conflitto in Iraq può vantare presso l’opinione pubblica statunitense. Il dramma di un nemico invisibile, eppure così pericolosamente vicino, la minaccia sempre più incombente di essere colpiti alle spalle, anche in mezzo al deserto dove ci si illude di avere la situazione sotto controllo. Amadei è lucido e puntuale nel restituirci quegli attimi concitati appena prima e un attimo dopo “la fine del mondo”. Le sequenze post-attentato, girate con un ritmo coinvolgente, raccontano la lotta per la sopravvivenza di un uomo imprigionato in un “campo minato”, sempre più simile a un gorgo infernale. Momenti vissuti sulla propria pelle e per questo ancor di più autentici, vividi, palpabili e privi di ogni retorica. Anche quelli relativi alla convivenza nel campo militare con i commilitoni, di cui conosciamo e ammiriamo la generosità, l’umanità, la dignità e la compostezza nel portare avanti il proprio improbo compito. Guardando il film non si può non pensare a un’altra pagina di eroismo “a basso profilo” come quella di Fortapàsc. Ma qui, assistiamo ad una maggiore variazione di toni che dona vivacità alla storia: dalla commedia scanzonata e allegra (accompagna- ta da una brillante colonna sonora), nel finale, si vira verso la tragedia. L’elemento però più disarmante, per la sua contagiosa gioia di vivere, è il giovane operatore Aureliano. E qui ritorna il paragone con il film di Marco Risi prima citato e, in particolare col “mattatore gentile” Libero De Rienzo (Giancarlo Siani). Vinicio Marchioni, già noto al pubblico per il ruolo di “Il Freddo” nella serie Romanzo Criminale, gli somiglia davvero molto. Anche lui è imbranato e un po’ pauroso. Ma sa essere anche spavaldo e straordinariamente autoironico. Quest’ultima è la sua dote migliore: il protagonista trova il modo di scherzare anche sotto i ferri o in fase di convalescenza con i suoi genitori e la ragazza Claudia (una gagliarda Carolina Crescentini). Ed in un frangente così estremo come quello della corsa in ospedale dopo l’attentato, in cui ha una gamba maciullata ed il viso coperto di sangue, riesce perfino ad accendersi un’ultima sigaretta! La ventesima appunto. Quella scena così cruda, dove Amadei sostiene la testa di un bambino morto, la ritroviamo anche nell’epilogo, sotto forma di ossessionante ricordo. Uno dei suoi frequenti attacchi di panico lo riporta indietro a quel triste giorno, mentre, in braccio, stringe la figlia piccola. Nessuno ha mai rivolto un pensiero alle vittime innocenti di Nassiriya. Il miglior film italiano del 2010 è qui per ricordarcelo. Diego Mondella LA DOPPIA ORA Italia, 2009 Acconciature: Giorgio Gregorini Supervisori effetti visivi: Rodolfo Migliari, Nicola Sganga Suono: Alessandro Zanon, Silvia Moraes Interpreti: Filippo Timi (Guido), Ksenia Rappoport (Sonia), Antonia Truppo (Margherita), Gaetano Bruno (Riccardo), Fausto Russo Alesi (Bruno), Michele Di Mauro (Dante), Lorenzo Gioielli (vice direttore albergo), Lidia Vitale (Rossa Speed Date), Giampiero Iudica, Roberto Accornero (uomini Speed Date), Lucia Poli (Marisa), Giorgio Colangeli (prete anziano), Deborah Bernuzzi (hostess di terra), Barbara Braconi (receptionist), Federica Cassini (infermiera), Valentina Gaia (commessa gioielleria), Edoardo La Scala (Marco), Chiara Nicola (ragazza suicida), Chiara Paoluzzi (cameriera albergo), Gilda Postiglione Turco (medico sogno), Diegi Gueci, Simone Repetto, Fabrizio Rizzolo, Stefano Saccotelli (clienti Speed Date), Antonio Sarasso (infermiere ospedale), Stefano Sardo (rapinatore), Paolo Maria Serra (neurologo) Durata: 95’ Metri: 2605 Regia: Giuseppe Capotondi Produzione: Francesca Cima, Nicola Giuliano per Indigo Film/ Medusa Film in collaborazione con Mercurio Cinematografica/Sky Cinema Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 9-10-2009; Milano 9-10-2009) Soggetto e sceneggiatura: Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo Direttore della fotografia: Tat Radcliffe Montaggio: Guido Notari Musiche: Pasquale Catalano Scenografia: Totoy Santoro Costumi: Roberto Chiocchi Produttore esecutivo: Viola Prestieri Produttore associato: Carlotta Calori Organizzatore: Stefano Benappi Casting: Annamaria Sambucco Aiuto regista:Davide Bertoni Arredatore: Carlotta Desmann 3 Film onia è una ragazza dell’Est, impiegata in un elegante albergo di Torino; fa le pulizie nelle camere. Una sera, nel corso di una seduta di “speed date”, conosce Guido, un habituè del locale per cuori solitari in cerca di un’anima gemella e di facili avventure. Tra i due nasce immediatamente un’intesa particolare. Lui, vedovo e con un passato da poliziotto, è ora guardiano in una lussuosa villa alle porte della città. Un giorno, la porta a visitare il luogo dove lavora. Ma, mentre sono a passeggio nel bosco, vengono aggrediti da una banda di ladri e fatti prigionieri. Nel tentativo di difendere Sonia dalle avance di uno dei delinquenti, Guido viene ferito a morte, sotto gli occhi impietriti della donna, colpita invece soltanto di striscio. Questa ultima rimane a tal punto traumatizzata da questa tragica fatalità, che rivede ovunque il fantasma dell’uomo. Ma la sua vita si scopre non essere irreprensibile come sembra: mentre di giorno è un’onesta lavoratrice, stimata e ben voluta sia dal personale che dai clienti dell’hotel, di nascosto, è complice di un pericoloso criminale. Lo stesso che ha messo a segno il colpo nella villa e che credeva di aver ucciso il vigilantes Guido, il quale, nel frattempo, ricompare... . Col passare del tempo, l’ossessione della donna non fa che crescere e, oltretutto, è messa sotto torchio dalle incalzanti domande del commissario Dante (ex collega di Guido), che la crede responsabile di quanto è accaduto al suo amico. Fino a quando, una mattina, Sonia si risveglia in un letto di ospedale e si accorge che, a causa del forte shock subito a seguito della rapina, ha vissuto per tre lunghi giorni un’esistenza immaginaria. Quando lei torna alla vita normale, potrebbe finalmente riabbracciare l’uomo che credeva morto e rimanere per sempre al suo fianco; invece, decide di abbandonarlo. Raggiunge infatti il suo amante all’aeroporto e si imbarca (ore 20:20!), destinazione Buenos Aires. Guido, che la segue in macchina, la lascia partire, rifiutandosi di denunciarla alla polizia. S egreti, identità ambigue, personaggi sfuggenti. E ancora: allucinazioni, incubi e misteriosi suicidi. Sulla carta, La doppia ora promette di essere un impeccabile campionario di suspense... salvo poi perdersi in un pretenzioso quanto vacuo calderone di generi. La strada maestra intrapresa dall’esordiente Giuseppe Capotondi è quella del thriller psicologico (ardua e poco familiare S Tutti i film della stagione al cinema italiano). Ma i suoi tre sceneggiatori si divertono, (troppo) spesso e volentieri, a dirottare la storia verso altri registri (dal noir addirittura all’horror!), finendo per snaturare l’originalità del soggetto. L’idea di partenza della “doppia ora”, che dà il titolo al film, sarebbe pure accattivante: quando le lancette dell’orologio segnano ore e minuti identici accade sempre qualcosa di sinistro e di inaspettato, come se incombesse sull’ignara (?) cameriera una sorta di maledizione. Ma – bisogna ammetterlo – non è del tutto nuova agli amanti del “brivido”, visto che qualche anno fa il film Number 23, diretto da Joel Schumacher (con un paranoico Jim Carrey), metteva in scena una simile fissazione per una cifra precisa, con risvolti anche ben più cruenti e malefici. Capotondi non ha avuto il coraggio di condurre fino in fondo l’intricata matassa con uno stile coerente e deciso. Insomma, quando si vuole aderire a un genere ben codificato e riconoscibile, sarebbe meglio farlo in toto e non ad intermittenza... E, soprattutto, è vivamente sconsigliato lasciarsi prendere la mano dal solito e atavico viziaccio del cinema di casa nostra: il finale minimal-intimista! Il risultato è un algido e ibrido rompicapo, privo di mordente, in cui i protagonisti “cambiano pelle” in continuazione, saltando a proprio piacere piani temporali e passaggi logici. Della serie: nessuno è innocente, tutti sono colpevoli. Ma il virtuosistico giochino del “Doppio” non ha nulla di innovativo o di sperimentale. Almeno se si prendono come riferimento le prove di registi come Hitchcock, Melville, Polanski (maestri nel saper falsificare la percezione della realtà), inopinatamente tirati in ballo da molta critica come termini di paragone. Perfino gli attori non riescono a rendere sufficientemente credibile la scommessa “multi-genere”. Dopo l’ottimo debutto in La Sconosciuta, Ksenia Rappoport conserva ancora il suo fascino enigmatico, senza però lasciare una traccia rimarchevole con la sua recitazione (eccessivamente sommessa). Mentre Filippo Timi, artista capace di performance titaniche e fisicamente portentose (vedi Vincere di Bellocchio), appare quasi intrappolato in un ruolo che, invece di valorizzare il suo istrionico talento, finisce per oscurarlo in un cono d’ombra. Per non parlare degli altri interpreti. Fra gli altri, ad esempio, il bravissimo Fausto Russo Alesi, uno dei volti più intensi del teatro nostrano: nelle vesti di un serio professionista che si trasforma in serialkiller, risulta essere, inspiegabilmente, fuori posto. Anch’egli è un buco nero, un tassello di puzzle che non combacia. Come, purtroppo, ce ne sono tanti in questo film... . Diego Mondella PANICO AL VILLAGGIO (Panique au village) Belgio/Francia/Lussemburgo, 2009 Regia: Vincent Patar, Stéphane Aubier Produzione: Philippe Kauffmann, Vincent Tavier per Gebeka Films/La Parti Productions/Made in PM/ Mélusine Productions/Beast Production Distribuzione: Nomad Film Prima: (Roma 25-6-2010; Milano 25-6-2010) Soggetto: Vincent Patar, Stéphane Aubier Sceneggiatura: Vincent Patar, Stéphane Aubier, Vincent Tavier, Guillaume Malandrin Direttore della fotografia: Jan Vandenbussche Montaggio: Anne-Laure Guégan Musiche: Dionysos Produttori associati: Guillaume Malandrin, Adriana Piasek-Wanski Co-produttori: Xavier Diskeuve, Stéphane Roelants, Arlette Zylberberg Direttore di produzione: Morgan Eches Aiuto regista: Marianne Chazelas Animazione: Stéphane Aubier, Marion Charrier, Zoé Goethgheluck, Florence Henrard, Vincent Patar Responsabile animazione: Steven de Beul Durata: 75’ Metri: 2060 4 Film el Villaggio vivono in pacifica coabitazione in una grande casa, due uomini, Cowboy e Indiano, con il loro amico Cavallo. Per il compleanno di quest’ultimo, Cowboy e Indiano decidono di regalargli un barbecue. Per costruirlo gli occorrono 50 mattoni. Decidono di ordinarli su un sito internet, ma, per un accidentale errore di digitazione di Cowboy che schiaccia inavvertitamente più volte il tasto zero, finiscono per ordinarne 50 milioni. Nel frattempo Cavallo si reca al conservatorio dove si iscrive a un corso di lezioni di pianoforte, rapito dal fascino dell’insegnante-cavalla, la signora Longrée. Intanto arrivano i mattoni e Indiano si accorge dell’errore quando legge sul foglio di ordine la cifra iperbolica. Il paese è letteralmente sommerso dai mattoni. Alla festa di compleanno di Cavallo, i due amici gli fanno trovare un barbecue fuori dalla sua casa. Ma, quella notte, la casa crolla sotto il peso della gran quantità di mattoni accumulati e nascosti sotto il tetto. Il mattino dopo, l’intero paese è bloccato dai mattoni: ingorghi per le strade e caos totale. Cowboy e Indiano iniziano a ricostruire la casa, i muri appena eretti vengono rubati. Ora il Poliziotto insieme a Cavallo, Cowboy e Indiano è caccia al ladro di muro, un certo Gérard. Durante un inseguimento, i tre finiscono per precipitare in una voragine che li conduce verso il centro della terra. Trovano un’uscita ma si ritrovano in un Polo Nord pieno di neve dove scorgono le impronte di Gérard. I tre trovano rifugio in un mega-robot a forma di pinguino, che lancia enormi palle di neve e dove alcuni scienziati svolgono strani esperimenti. Intanto l’intero villaggio viene tappezzato di cartelli con le facce dei tre scomparsi. Scappati dal mega-robot tra la neve, i tre precipitano negli abissi marini, dove trovano Gérard con la sua famiglia composta da tre figlioletti, che si è costruito una casa con i muri della casa di Cavallo. I tre recuperano i muri, ma sono inseguiti da un branco di barracuda e da mostri marini. Dopo una rocambolesca fuga, i tre riescono a tornare al villaggio attraverso il passaggio permesso dallo stagno di Steven, vicino di casa di Cavallo, ma vengono inseguiti da Gérard e dai suoi che ora vogliono la casa di Steven. Ma Steven gli scatena contro una mandria di mucche. Cavallo torna al conservatorio ma lo trova distrutto. È il caos. Infine tutti festeggiano Cavallo men- N Tutti i film della stagione tre la signora Longrée organizza una bella festa da ballo per il festeggiato. Cowboy e Indiano tirano fuori finalmente il loro regalo: è un razzo che esplode in un trionfo di fuochi d’artificio. l cinema può funzionare come funziona la nostra immaginazione”. Queste parole, scritte nel 1916 da Hugo Munsterberg, docente ad Harvard di psicologia e filosofia, calzano a pennello a questo divertissement di produzione belga-francese-lussemburghese, ideato e diretto da Vincent Patar e Stéphane Aubier, tratto da una serie televisiva belga e girato con la tecnica fuori moda dello ‘stop-motion’ (più nota come ‘passo-uno’) dove vecchi pupazzetti rigidi e monoespressivi sono animati con un movimento nevrotico, frenetico e barcollante. Se è vero, come scriveva ancora il filosofo, che il film obbedisce alle leggi della mente piuttosto che a quelle del mondo esterno, è davvero tutto possibile nel villaggio di Patar e Aubier fatto di quattro case e incorniciato da verdi collinette al confine tra praterie e uno strano casello autostradale e popolato da curiosi “abitanti”. Ci sono indiani che si asciugano le penne col phon, cavalli che leggono il giornale, si fanno il bagno nella vasca, si lavano i denti, guidano la macchina (e che macchina!) e si innamorano, e poi mega-robot a forma di panciuti pinguini, mostriciattoli marini con le pinne attaccate alla testa e chi più ne ha più ne metta. Un universo folle, un viaggio in cui si paga il debito al primo e più famoso viaggio nella fantasia del cinema, Il mago di Oz e alla sua realtà fatta di splendidi colori non naturalistici. Un mondo dipinto con colori accesi come quello del “Villaggio”, popolato da figurine, che altro non sono che i vecchi pupazzetti di plastica col piedistallo tondo, dipinto di verde erba. Cavalli, cowboy, indiani, ma anche mucche, maiali, galline che noi, bambini di una volta, avevamo in qualche vecchia colorata fattoria. I bambini di oggi non li hanno sicuramente e forse si possono trovare ancora solo in qualche piccola e vecchia bottega. La creatività folle e anarchica dei due registi ha dato vita a un sogno alla maniera di Meliès, un regno della fantasia assoluta che forse, davvero, non conosciamo più. È come nel mondo dei giochi dei bambini, tutto è semplice (il cowboy si chiama appunto Cowboy, “I 5 come l’Indiano e il Cavallo) tutto è indeterminato, tutto è possibile. Come nella realtà onirica dei bambini in cui può davvero accadere di tutto e dove si può davvero volare, precipitare, esplodere, insomma dove si può andare ovunque in un baleno, si, anche al centro della terra o negli abissi marini. Il trailer definisce il film “più terrificante di Psycho, più impressionante di Inferno di cristallo, più romantico di Lezioni di piano, più sconvolgente de La marcia dei pinguini, più spettacolare di Viaggio al centro della terra”, quanta carne al fuoco! Presentata al Festival di Cannes 2009 nella sezione “Proiezione di mezzanotte” e poi ai César, l’opera ha vinto il premio “Platinum Gran Prix” al Future Film Festival di Bologna del 2010. Una risposta dal sapore autenticamente grezzo e artigianale (i pupazzetti sono semplicemente appoggiati al loro piedistallo e inquadrati frontalmente) all’imperante moda dei blockbuster di animazione digitali e supertecnologici, ricchi di effetti speciali sempre più tridimensionali, Il villaggio di Aubier e Patar ha un po’ la stessa funzione del sogno del mago di Oz: dimostra a ciascuno che può trovare in sé stesso quello che credeva di non avere. Anche noi, guardando questo viaggio fantasmagorico capiamo che abbiamo un universo dentro e forse che tutti sogniamo un mondo un po’ folle “al di là dell’arcobaleno”. A proposito di analogia tra cinema e sogno, nel suo libro “Cinema e psicanalisi” il teorico e semiologo Christian Metz, sintetizzando le differenze tra sognatore (dormiente) e spettatore cinematografico (sveglissimo), afferma che lo stato psichico più vicino a quello indotto dalla visione di un film non è tanto il sogno, quanto piuttosto la fantasticheria, cioè un fantasma cosciente, un’attività dello stato di veglia. E, perfettamente svegli e coscienti dell’irrealtà dello spettacolo che ci si presentava, abbiamo gustato questa fantasticheria un po’demodé, questo balletto pirotecnico e assolutamente folle, un capolavoro del nonsense, un piccolo gioiello di originalità. Viva la fantasia, viva i sogni, viva il cinema. Elena Bartoni Film Tutti i film della stagione HARRY POTTER E I DONI DELLA MORTE: PARTE I (Harry Potter and the Deathly Hallows: Part I) Stati Uniti/Gran Bretagna, 2010 Regia: David Yates Produzione: David Barron, David Heyman, J.K. Rowling per Heyday Films/Warner Bros. Pictures Distribuzione: Warner Bros. Pictures Prima: (Roma 19-11-2010; Milano 19-11-2010) Soggetto: tratto dall’ omonimo romanzo di J.K. Rowling Sceneggiatura: Steve Kloves Direttore della fotografia: Eduardo Serra Montaggio: Mark Day Musiche: Alexandre Desplat Scenografia: Stuart Craig Costumi: Jany Temime Produttore esecutivo: Lionel Wigram Co-produttori: Tim Lewis, John Trehy Direttore di produzione: Simon Emanuel Casting: Fiona Weir Aiuti regista: Jamie Christopher, Stewart Hamilton, Mark Cockren, Jane Ryan, Matthew Sharp, Eileen Yip Operatori: David Morgan, Stefan Stankowski, Robert Stoneman Art directors: Andrew Ackland-Snow, Alastair Bullock, Martin Foley, Christian Huband, Molly Hughes, Hattie Storey, Gary Tomkins Arredatore: Stephanie McMillan Effetti speciali trucco: Becky Cain, Valter Casotto, Vesna Giordano, Barrie Gower, Nikkie Grimshaw, Waldo Mason, Jon Moore, Robin Pritchard, Tristan Versluis, Valentina Visintin Trucco: Alexys Becerra, Amanda Burns, Amy Byrne, Sarah Downes, Charlotte Hayward, Belinda Hodson, Tracey Lee, Claire Matthews, Jessica Needham, Sharon Nicholas, Charlotte Rogers, Steve Wood Acconciature: Francesca Crowder, Charlotte Hayward, Stephen Rose, Sophie Slotover, Luca Vannella Supervisore effetti speciali: Steve Hamilton Supervisori effetti visivi: Florian Gellinger (RISE Visual Effects), Nicolas Aithadi (MPC), Christian Manz (Frasmestore), Sean Mathiesen (Rising Sun Pictures), Olcun Tan (Gradient Effects), Matthew Twyford (Baseblack), David Vickery (Double Negative), Tim Burke, John Moffatt, Chris Shaw Coordinatori effetti visivi: Sophie Carroll, Daniel Booty, Laia Alomar (Framestore), Helen Glover, Kingsley Cook (Warner Bros), Katy Mummery (Double Negative), Beau Parsons ilente è morto. Gli uomini di Voldemort seminano terrore e distruzione nel mondo magico e in quello babbano. È il caos totale. Harry deve riuscire a trovare tutti gli horcrux per poter sconfiggere definitivamente il Signore Oscuro, ma senza la guida del suo maestro si sente sperduto e scoraggiato. Gli amici di sempre Ron e Hermione gli sono vicini e si offrono di intraprendere il viaggio assieme a lui alla ricerca di questi oggetti malefici. Prima di partire, però, ricevono in eredità tre doni dal defunto preside di Hogward: Hermione il libro di fiabe di “Beda il Bardo”, Ron un deluminatore e Harry il suo primo boccino d’oro e la spada di Grifondoro che, però, è sparita. Spiazzati dallo strano lascito i tre iniziano il loro incerto cammino. S (Switch VFX), Mark Webb (Baseblack), Clare Johanna Downie (Cinesite), Edward L. Dark, Jane Ellis, Chris Jestico, Ross Johnson, Mel Martin, Sarah Middleton Supervisori effetti digitali: Cam Langs (Rising Sun Pictures), Ed Hawkins Supervisore musiche: Matt Biffa Supervisori animazione: Ferran Domenech (MPC), Pablo Grillo, Owen Klatte Animazione personaggi: Mathieu Vig, Brad Silby, Mariano Mendiburu, Laurent Laban, Antonin Herveet, Laurent Benhamo, Gabriel Gelade, Arslan Elver, Alexander Damm (Framestore), Jason Ivimey, Catherine Elvidge (Cinesite), Laurent Laban, Alfonso Sicilia, Animazione: Daniel Kmet, Bruno Simões (MPC), Neil Lim Sang (Rising Sun Pictures), Samy Fecih (Double Negative), Florent de La Taille, Angie Glocka, Stephen Jolley, Stafford Lawrence, Jason McDonald, Les Turner, Valentín Amador, Terence Bannon, Dan Blacker, Simon Clark, Stuart M. Ellis, Emma Ewing, Ben Hibon, James Humphries, Kristina Krebs, Paul Lada, Christian Liliedahl, Michael Mellor, Asa Movshovitz, Andrew Silke, Richard Spriggs, Steve Towrow, Arda Uysal, Interpreti: Daniel Radcliffe (Harry Potter), Emma Watson (Hermione Granger), Rupert Grint (Ron Weasley), Michael Gambon (professor Silente), Alan Rickman (professor Severus Piton), Helena Bonham Carter (Bellatrix Lestrange), Jason Isaacs (Lucius Malfoy), Clémence Poésy (Fleur Delacour), Ralph Fiennes (lord Voldemort), Tom Felton (Draco Malfoy), Bill Nighy (Rufus Scrimgeour), John Hurt (Olivander), Ciarán Hinds (Aberforth Silente), Miranda Richardson (Rita Skeeter), Rhys Infans (Xenophilius Lovegood), Robbie Coltrane (Rubeus Hagrid), Imelda Staunton (Dolores Umbridge), Timothy Spall (Codaliscia), Geraldine Somerville (Lily Potter), Fiona Shaw (zia Petunia), Rade Serbedzija (Gregorovitch), David Ryall (Elphias Doge), Carolyn Pickles (professoressa Charity Burbage), David O’Hara (Albert Runcorn), Chris Rankin (Percy Weasley), Matthew Lewis (Neville Paciock), James Phelps (Fred Weasley), Bonnie Wright (Ginny Weasley), Helen McCrory (Narcissa Black in Malfoy), Harry Melling (Dudley Dursley) Durata: 146’ Metri: 4000 La prima tappa è Grimmauld Place, qui scoprono che il primo horcrux, il medaglione sottratto a Voldemort da Regulus Black, è stato rubato e rivenduto al sottosegretario Dolores Umbridge. Con uno stratagemma, allora, i tre ragazzi entrano al ministero e riescono a prendere il gioiello dal collo della donna, ma una volta al sicuro non riescono a distruggerlo e in attesa di trovare il modo di farlo lo indossano. Il medaglione, intriso di magia nera, però, rende irascibili; Ron, il più debole del gruppo, ne subisce maggiormente gli effetti e in un momento di rabbia abbandona i due amici. Harry e Hermione rimasti soli sperano di trovare delle informazioni a Godric’s Hollow, il paese dei Potter, ma anche di Albus Silente. Qui scoprono un simbolo 6 molto inquietante su una tomba, presente sia sul libro di fiabe di Beda il Bardo e, sotto forma, di ciondolo al collo del signor Lovegood, padre della loro amica Luna. Intanto Harry fa strani sogni in cui vede Voldemort alla ricerca disperata di una bacchetta. Una notte, proprio per trovare ristoro da queste visioni, esce a prendere una boccata d’aria e incontra un patronus a forma di cervo che sembra indicargli la strada. Il ragazzo lo segue e si ritrova davanti a un lago ghiacciato da cui si intravede la spada di Grifondoro. Senza indugi Harry si butta per recuperarla, ma rimane bloccato in acqua. In suo aiuto arriva Ron che prontamente lo salva e distrugge con la spada il medaglione stregato. Riappacificati, i tre amici decidono di andare a casa del signor Lovegood a chiedere Film Tutti i film della stagione spiegazioni sullo strano simbolo. L’uomo confessa loro che è il simbolo dei doni della morte: una bacchetta di sambuco invincibile, il mantello dell’invisibilità e la pietra della resurrezione, tre oggetti leggendari raccontati dalla fiaba di Beda il Bardo. Harry Ron e Hermione, però, non fanno in tempo a chiedere altro poiché vengono attaccati dai Mangiamorte e portati al cospetto di Bellatrix Lestrange. Qui vengono rinchiusi in una prigione in attesa di essere consegnati a Voldemort. Inaspettatamente, però, si materializza l’elfo Dobby che escogita un piano per salvarli. Tutto va bene, i tre amici vengono portati al sicuro, ma il coraggioso elfo rimane ferito da Bellatrix e muore. Harry, Ron e Hermione in lacrime lo seppelliscono. Voldemort, intanto, profana la tomba di Silente e trova quello che cercava da tempo: la bacchetta di sambuco. ortare Harry Potter sul grande schermo è un po’ come giocare con il cubo di Rubik. Si può risolvere una facciata, ma appena si procede con la successiva si rischia di rovinare tutto il lavoro appena svolto. Come nei libri della Rowling, ogni singolo pezzo è intrecciato all’altro e ogni movimento necessita attenzione e una certa dose di pazienza. Proprio per questo i produttori della saga cinematografica hanno deciso di far uscire l’ultimo capitolo diviso in due parti. Tralasciando la questione economica, era veramente impossibile condensare tutti gli avvenimenti di Harry Potter e i Doni della Morte in due ore di pellicola. L’errore compiuto in passato di tagliare selvaggiamente pezzi di storia, nel finale, sarebbe risultato troppo marchiano anche per chi non avesse mai aperto un libro del maghetto. Eppure, nonostante i tempi dilatati, Yates, ormai giunto alla terza regia “potteriana”, non riesce a ricreare la perfezione narrativa dell’originale e abbandona lo spettatore in un labirinto di intrecci, di situazioni sussurrate fra passato e presente, in cui difficilmente può orientarsi. Per rimanere in tema, bisogna aver collezionato diversi G.U.F.O. per capirci qualcosa! Trama ostica a parte, la pellicola si presenta avvolta da un sorprendente involucro di effetti speciali che si alternano ai numerosi momenti di introspezione, dove non c’è nulla di fantastico se non i personaggi e i loro sentimenti. Harry, ormai adulto, dice addio ai colorati saloni di Hogward per rifugiarsi, insieme ai suoi amici, in boschi desolati dove riflettere e far emergere tutte le insicurezze, i dubbi che hanno caratterizzato questi sette anni. È un Potter diverso da quel- P lo abituale; se in passato, infatti, il lato introspettivo veniva un po’ sacrificato in favore dell’azione, in quest’ultimo capitolo prende decisamente il sopravvento tagliando definitivamente quelle catene che hanno relegato per troppo tempo la saga a prodotto per l’infanzia o, peggio ancora, a fenomeno pop senza contenuto. Quest’ultima definizione, poi, fa sorridere perché invece di tematiche importanti ce ne sono fin troppe, dalle più classiche come amore, amicizia, gelosia fino al totalitarismo, la depressione e la morte. Tutti terreni decisamente “fangosi” su cui Yates riesce egregiamente a passeggiare, aiutato soprattutto da un cast di attori molto amati dal pubblico. Attori che in definitiva sono i personaggi e su cui ogni commento risulterebbe quasi inopportuno. Per dare un giudizio esaustivo al settimo capitolo della trasposizione cinematografica di Harry Potter, però, occorre attendere la seconda parte, quella ricca di colpi di scena e misteri svelati, per intenderci. Una cosa va detta se le premesse sono queste i fan della Rowling, intransigenti esclusi, rimarranno molto soddisfatti, agli altri, invece, non resta che approfittare del lungo periodo fino a luglio (data di uscita dell’episodio finale), per leggersi il libro, così, magari, eviteranno di disturbare il pubblico in sala con domande degne di Petunia Dursley. Francesca Piano WINX CLUB 3D-MAGICA AVVENTURA Italia, 2010 Regia: Iginio Straffi Produzione: Iginio Straffi per Rainbow S.P.A. Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 29-10-2010; Milano 29-10-2010) Soggetto e sceneggiatura: Iginio Straffi, Francesco Artibani, Mauro Uzzeo Direttore della fotografia: Gianmario Catania Musiche: Paolo Baglio Produttore esecutivo: Joanne Lee Organizzatore generale: Grancesco Mastrofini CG Supervisors: Gianmario Catania, Corrado Virgili Direzione artistica per Rainbow S.P.A.: Vincenzo Nisco Direzione artistica per Rainbow C.G.I.: Corrado Virgili, Marco Marini, Veronica Aliprandi Direttore di produzione: Gianni Travaglione Aiuto regista: Mauro Uzzeo Durata: 87’ Metri: 2630 7 Film il primo giorno di scuola alla scuola di fate di Alfea e il party per l’inaugurazione viene interrotto dall’arrivo delle perfide Trix: Icy, Darcy e Stormy. Le Winx, orfane di Bloom che è rimasta su Domino, affrontano le nemiche, che hanno trasformato tutti i presenti in rospi, mentre Darcy ruba una bussola in grado di individuare i luoghi più sconosciuti e introvabili. Intanto Bloom è felice su Domino, dove ha ritrovato i propri genitori e vive una vita da favola facendo la principessa, corteggiata da Sky, che le chiede di sposarlo. Ma le tre Streghe Antenate sono tornate a portare scompiglio. Le Trix consegnano loro la bussola, così le streghe invadono il villaggio delle Pixie, dove si trova l’Albero della vita, in grado di mantenere l’equilibrio tra il bene e il male. Il villaggio diventa un luogo dominato dalla magia negativa. Intanto Erendor, il padre di Sky, impone al figlio di non sposare Bloom, perché un segreto grava sul regno di Erklyon: Erendor vive nel rimorso da quanto ha tradito il padre di Bloom, Oritel, consegnando alle Streghe Antenate il regno di Domino. L’incantesimo che ha colpito l’Alberto della vita ha privato le Winx di tutti i loro poteri, proprio ora che devono affrontare nuovamente le Streghe Antenate. L’unica speranza è riuscire a ritrovare il luogo dove cresce il germoglio del bene. A bordo di una nave alata, Bloom, Stella, Aisha, Tec- È Tutti i film della stagione na, Musa e Flora raggiungono la città fantasma di Avram. Inizia la battaglia. Grazie anche all’aiuto degli Specialisti, con Erendor e Oritel. Sarà proprio Erendor a sacrificarsi per proteggere Bloom, riscattandosi così davanti a tutti. Le Winx riescono a recuperare il loro poteri grazie al polline benefico sprigionato dal fiore e sconfiggono una volta per tutte le Streghe Antenate e le Trix. rimissimo film italiano girato in 3d, per di più un film d’animazione, genere raro nel cinema del nostro Paese. Dopo il trionfo della serie televisiva, dei fumetti, dei libri e di qualsiasi altra forma di marketing legata al marchio, Igino Straffi colpisce ancora, cercando di bissare il successo del primo film delle maghe più amate dalle bambine. Ma se Winx - Il segreto del regno perduto aveva dalla sua la novità dell’avventura sul grande schermo, Winx Club 3d - Magica avventura ha come unico motivo di interesse l’utilizzo della tecnologia tridimensionale. Il problema è che questo interesse si esaurisce appena dopo i titoli di testa. Non ci sarebbero state differenze sostanziali se il film fosse stato girato con un “normalissimo” 2d, anche, perché l’orgia di colori psichedelici, propria della grafica di Straffi basta già ad affascinare il pubblico infantile femminile, zoccolo duro dei fan della serie. Quindi fallisce nell’impresa di appas- P sionare grazie alla tecnica, che era già uno dei grossi limiti del primo film. La trama è volutamente semplice ed elementare, comprensibile a tutti e senza sorprese. Il grande segreto che impedisce a Bloom e Sky di sposarsi è solo un pretesto per mandare avanti il plot. La vicenda non colpisce certo per originalità – e nessuno si sarebbe aspettato il contrario –, ma non convince il tentativo di rimpolparla con quanti più elementi possibili (amori contrastati, difficoltà del rapporto tra genitori e figli, passaggio all’età adulta, mantenere le amicizie malgrado le distanze, e così via). Fortunatamente, gli sceneggiatori hanno cercato di mantenere una continuità con il primo film e con le vicende della serie. Winx Club 3d - Magica avventura inserisce infatti a ogni pie’ sospinto riferimenti alle mirabolanti gesta compiute in precedenza dalle cinque fatine. Idee nuove, comunque, non ce ne sono. L’apatia di Bloom una volta diventata principessa nel regno incantato di Domino, infatti, rientra nel repertorio consolidato del cinema in generale. Da notare l’impegno di Straffi per superare la sconcertante banalità dei personaggi, ma l’impresa non può dirsi del tutto riuscita. La superficialità di fondo è rimasta, nonostante gli sceneggiatori mettano in bocca alle fatine delle battute di una ovvietà difficilmente sopportabile. Chiara Cecchini BRUNO (Brüno) Stati Uniti, 2009 Regia: Larry Charles Produzione: Sacha Baron Cohen, Monica Levinson, Dan Mazer, Jay Roach per Universal Pictures/ Media Rights Capital/ Four by Two/ Everyman Pictures Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 23-10-2009; Milano 23-10-2009) V.M.: 14 Soggetto: personaggio creato da Sacha Baron Cohen Sceneggiatura: Sacha Baron Cohen, Peter Baynham, Anthony Hines, Dan Mazer, Jeff Schaffer Direttori della fotografia: Wolfgang Held, Anthony Hardwick Montaggio: James Thomas, Scott M. Davids, Eric Jissack, Jon Corn Musiche: Erran Baron Cohen Scenografia: Denise Hudson, David Maturana, Dan Butts Costumi: Jason Alper Produttori esecutivi: Anthony Hines, Asif Satchu, Modi Wiczyk Produttori associati: Jason Alper, Jonah Hill, Jeff Schaffer, Dale Stern Co-produttori: Jon Poll, Todd Schulman Direttore di produzione: Francesco Marras Aiuti regista: Miguel Lombardi, Eliot Mathews, Dale Stern Operatori: Michael Alba, Nate Havens, Jon Myers, Mark Schwartzbard, Owen A. Smith, Tim Walker Operatore Steadicam: Marcus Pohlus Art directors: Kate Bunch, Lisa Marinaccio Arredatori: Britt Woods, Ute Bergk, Megan Malley Supervisore effetti visivi: Scott M. Davids (Level 256) Coordinatore effetti visivi: Miles DeLong (Modern Videofilm) Supervisore costumi: Jennifer Starzyk Supervisore musiche: Richard Henderson Interpreti: Sacha Baron Cohen (Brüno), Gustaf Hammarsten (Lutz), Clifford Bañagale (Diesel), Chibundu Orukwowu, Chigozie Orukwowu (O.J.), Josh Meyers (Kookus), Toby Hoguin, Robert Huerta, Gilbert Rosales, Thomas Rosales Jr., Marco Xavier (giardinieri messicani), Bono, Chris Martin, Elton John, Slash, Snoop Dogg, Sting, Lloyd Robinson, Paula Abdul, Richard Bey, Harrison Ford, Brittny Gastineau, Ron Paul, Miguel Sandoval (se stessi), Domiziano Arcangeli (direttore di uno show di moda), John Grant Gordon (modello tedesco), David Hill (giornalista), Todd Christian Hunter (uomo nella stanza di albergo), Michelle McLaren (Dominatrix), Hugh B. Holub Durata: 81’ Metri: 2240 8 Film rüno Gehard è un presentatore austriaco gay di un’importante trasmissione di moda. Detta legge: quello che lui ama viene indossato, mentre quello che odia viene bandito. Dopo un clamoroso errore durante le sfilate della moda newyorkese, viene cacciato dalla tv e scacciato da tutti i party più in della città. Lasciato dal suo ragazzo, decide infine di riacquistare la notorietà andando a Los Angeles. Lo segue il fedele assistente Lutz, innamorato di lui. Per prima cosa si trova un agente, che gli procura l’occasione di realizzare la puntata pilota di un nuovo programma tv: sarà un disastro. Brüno pensa quindi di fare qualche opera di beneficienza, anzi di portare la Pace in medio oriente. Incontrerà uomini politici, ma non riuscirà nell’intento. Tornando verso Los Angeles, decide di fermarsi in Africa per barattare il suo ipod con un bambino: se Angelina Jolie ha acquistato maggiore notorietà adottando più bambini, potrebbe accadere anche a lui. Inizialmente ha un riscontro positivo, ma, durante una trasmissione talk in cui è ospite, emerge come è riuscito ad avere il bambino, chiamato Mike Tyson, e come intende utilizzarlo: gli viene portato via. Bruno è realmente distrutto: si è era affezionato al piccolo. Depresso, sfoga i suoi dispiaceri nel cibo. Ubriaco di zucchero, si lascia B Tutti i film della stagione andare alla passione con Lutz. Il giorno dopo, però confessa che è stata solo una sbandata. Offeso e indignato, Lutz decide di abbandonarlo a se stesso. A quel punto, Bruno ha l’ennesima illuminazione: forse diventando etero, potrebbe tornare a essere famoso. Entra quindi in un gruppo di sostegno religioso, ma inizialmente fallisce anche in questo proposito. Dopo svariato tempo, diventa l’idolo etero di uno squallido spettacolo pseudo wrestling. Durante una serata, compare Lutz: i due si lasciano andare alla passione davanti a tutto il pubblico che inneggia indignato contro gli omosessuali. Bruno, Lutz e Mike Tyson sono tornati tutti e tre assieme. ronico, divertente ma anche dissacrante e squallido. C’era d’aspettarselo. Sacha Baron Cohen crea, dopo Borat, un altro paradossale personaggio: Brüno Gehard. E, se prima si parlava di razzismo, antisemitismo e omofobia, ora si parla dei pregiudizi legati all’omosessualità. Come il precedente film, anche Brüno è un falso documentario, mockumentary, così realizzato per meglio cogliere reazioni il più sincere possibili da chiunque gli si avvicini, polizia compresa. In questo caso, è persino riuscito a farsi mandare allegramente a quel paese da Harrison Ford e I prendere per il naso importanti esponenti politici. Indubbiamente l’intera pellicola si fonda sull’abilità di Cohen di trasformare il proprio corpo e voce e rendersi praticamene irriconoscibile. Nessuno, nonostante la notorietà dell’attore, lo ha mai riconosciuto. Il dubbio viene più che altro per i titoli di coda, accompagnati dal video musicale di beneficenza in cui partecipano Sting, Elton John e uno stralunato Bono. Chissà se realmente non sapevano nulla neanche loro. Spunti di riflessione emergono per tutto il film, così anche frecciatine irriverenti al mondo dello spettacolo, come le madri che farebbero fare una liposuzione a dei bambini pur di farli entrare nello show business. Si ride, a volte di gusto e altre per imbarazzo. Inevitabile in alcune sequenze l’irrefrenabile voglia di coprirsi gli occhi tanto si cade in basso. Una per tutte? La puntata pilota del nuovo programma di Bruno, con tanto di pene in primo piano. Si esce dal cinema fra la meraviglia e il disgusto. Ma, d’altra parte, è proprio l’intento di Sacha Baron Cohen. Racconta verità, con un nuovo stile che è ormai diventato sinonimo del suo stesso nome. A modo suo un genio. Elena Mandolini IL SUPERPOLIZIOTTO DEL SUPERMERCATO (Paul Blart: Mall Cop) Stati Uniti, 2009 Trucco: Carla Antonino, Corrina Duran, Nichole Pleau, L. Sher Williams Acconciature: Cheryl Daniels, Brenda McNally, Jennie-kay Murphy Coordinatore effetti speciali: Ray Bivins Supervisore effetti visivi: Geoff Leavitt (Framework Studios) Coordinatore effetti visivi: David Langtry (Zoic Studios) Supervisore costumi: Caroline Errington Interpreti: Kevin James (Paul Blart), Keir O’Donnell (Veck Sims), Jayma Mays (Amy), Raini Rodriguez (Maya Blart), Shirley Knight (madre), Stephen Rannazzisi (Stuart), Peter Gerety (capitano Brooks), Bobby Cannavale (comandante Kent), Adam Ferrara (sergente Howard), Jamal Mixon (Leon), Adhir Kalyan (Pahud), Erick Avari (Vijay), Gary Valentine (cantante del karaoke), Allen Covert (ragazzo della sicurezza), Mike Vallely (Rudolph), Mike Escamilla (Blitzen), Jason Ellis (Prancer), Rick Thorne (Cupido), Victor T. Lopez (Donner), Mookie Barker (signor Ferguson), Jackie Flynn (agente), Richie Minervini (dirigente di banca), Brie Hill Arbaugh (cassiera della banca), Bernie McInerney (anziano sullo scooter), Steffiana De La Cruz (cliente), Dylan Clark Marshall (Jacob), Jackie Sandler,Natascha Hopkins, Jason Packham, Tyler Spindel Durata: 91’ Metri: 2500 Regia: Steve Carr Produzione: Doug Belgrad, Barry Bernardi, Todd Garner, Jack Giarraputo, Kevin James, Adam Sandler, Matthew Tolmach per Columbia Pictures/ Relativity Media/ Happy Madison Productions Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 3-7-2009; Milano 3-7-2009) Soggetto e sceneggiatura: Kevin James, Nick Bakay Direttore della fotografia: Russ T. Alsobrook Montaggio: Jeff Freeman Musiche: Waddy Wachtel Scenografia: Perry Andelin Blake Costumi: Ellen Lutter Produttore esecutivo: Jeff Sussman Produttori associati: Gino Falsetto, Jason Taragan Direttore di produzione: Pamela Thur Casting: Nicole Abellera, Jeanne McCarthy, Anne Mulhall Aiuti regista: Mark S. Constance, Greg Guzik, Marty Eli Schwartz Operatori: Terrence Hayes, Casey Hotchkiss, John Joyce Operatore Steadicam: John Joyce Art director: Alan Au Arredatore: Tracey A. Doyle Effetti speciali trucco: Rob Fitz, Ed French, Jeremy O’Neail 9 Film l sogno di Paul Blart è entrare in polizia, ma il suo fisico a dir poco infelice glielo impedisce. Privato delle sue ambizioni, Blart lavora come addetto alla sicurezza in un grande centro commerciale e vive a casa con la vecchia madre e la figlia Maya, avuta dalla ex-moglie che l’ha abbandonato dopo aver avuto la carta verde. Un giorno, Blart nota una nuova lavorante del centro commerciale, la dolce e tenera Amy, che però sembra più interessata al nuovo arrivato Veck. Il giorno dell’inizio dei saldi invernali, una gang di rapinatori penetra nel supermercato prendendo in ostaggio clienti e impiegati. Blart ingaggia una lotta in solitaria contro i ladri (dei quali fa parte anche Veck), nonostante la polizia e la squadra speciale SWAT, capitanata dal suo ex-compagno di scuola Kent, gli ordini di farsi da parte. Blart riesce a catturare Veck, ma, quando si rivolge a Kent, scopre che questi è in realtà complice nel tentativo di furto e viene minacciato con una pistola. L’intervento provvidenziale dei colleghi di Blart riporta tutto alla normalità. Grazie al successo dell’operazione, a Blart viene offerto un posto in polizia ma decide di rinunciare per rimanere stabilmente al centro commerciale, insieme a Amy, che nel frattempo si è innamorata di lui. I Tutti i film della stagione estate porta sempre con sé commedia carine, leggere, facili da vedere e altrettanto facili da dimenticare. Il superpoliziotto al supermercato (come al solito, tanti complimenti a chi scegli i titoli italiani) è indubbiamente fra queste e, in patria, ha avuto un successo sorprendente, cosa quasi più di 146 milioni di dollari di incasso. Il merito è sicuramente della performance del suo attore protagonista, il corpulento attore comico Kevin James (già visto di recente in Hitch – lui sì che le capisce le donne e Io vi dichiaro marito ... e marito, oltre che nelle fortunate serie tv Tutti amano Raymond e The King of Queens), che fa appunto della sua mole il proprio punto di forza, basandosi su un tipo di comicità e di gag nel più puro stile slapstick. La trama esile (con prevedibile virata “gialla” e altrettanto prevedibile svolta villain di due fra i più antipatici personaggi del film) è solo un pretesto per mostrare il protagonista Paul Blart come il nuovo americano medio destinato a diventare, suo malgrado, un eroe facendo il proprio dovere e ricevendo alla fine, come premio per il suo zelo e il suo altruismo, il coronamento dei suoi sogni, professionali e sentimentali. Campione nazionale di buoni sentimenti, Blart sembra vivere infatti una vita che non lo soddisfa, ma la porta avanti con correttezza e senso del dovere. La bravura L’ di Kevin James si rivela non solo nelle scene comicamente più fisiche (la sequenza da ubriaco, l’inseguimento del vecchietto in carrozzina, il videogioco), quanto, soprattutto, nei momenti in cui può dare uno spessore al suo personaggio, facendone un gigante buono, timido, sensibile e quasi tenero, nel suo sognante vagheggiare. Il resto del cast ha poco da fare e lo fa discretamente, anche perché il film riesce a vivere solo quando è presente sulla scena Kevin James. La regia è professionale, senza nessun guizzo particolare (anche se le scene “d’azione” non sono poi tanto male) e si mette al servizio del suo protagonista. Ottima, azzeccata e divertente la colonna sonora vintage anni ’80. Nonostante sia un film dichiaratamente comico e indirizzato a un pubblico poco più che infantile (oppure per adulti in vena di regressione), Il superpoliziotto al supermercato contiene anche delle larvate, ma comunque percepibili, sfumature di critica sociale all’ecosistema chiuso dei grandi centri commerciali come pure alla odierna società dei consumi (che ha il suo culmine in America nel famoso Black Friday, il primo venerdì dopo il Giorno del Ringraziamento che apre ufficialmente la stagione dello shopping invernale prima del Natale). Chiara Cecchini THE SOCIAL NETWORK (The Social Network) Stati Uniti, 2010 Coordinatore effetti speciali: Steve Cremin Supervisori effetti visivi: Adam Howard (Outback Post), Charlie Iturriaga (Ollin Studio), Fred Pienkos (Eden FX), Edson Williams (Lola Visual Effects), James Pastorius Coordinatori effetti visivi: Max Leonard, Miles Friedman (Lola VFX), Elizabeth Asai, Damian O’Farrill Supervisore costumi: Virginia Johnson Interpreti: Jesse Eisenberg (Mark Zuckerberg), Andrew Garfield (Eduardo Saverin), Joseph Mazzello (Dustin Moskovitz), Justin Timberlake (Sean Parker), Rooney Mara (Erica Albright), Malese Jow (Alice), Rashida Jones (Marylin Delpy), Max Minghella (Divya Narendra), Brenda Song (Christy), Bryan Barter (Billy Olsen), Dustin Fitzsimons (presidente del Phoenix Club), Patrick Mapel (Chris Hughes), Toby Meuli (membro del club), Alecia Svensen (ragazza al Phoenix Club), Calvin Dean (signor Edwards), Jami Owen, James Dastoli, Robert Dastoli, Scotty Crowe, Jayk Gallagher (studenti che usano Facemash), Marcella Lentz-Pope (compagna di Erica), Aria Noelle Curzon (Laura), Barry Livingston (signor Cox), Marybeth Massett (signora Cox), Randy Evans (studente nell’ufficio delle comunicazioni), Denise Grayson (Gretchen), John Getz (Sy), Carrie Armstrong (reporter in tribunale), Henry Roosevelt (Henry), Armie Hammer (Cameron Winklevoss/Tyler Winklevoss), Josh Pence (Tyler Winklevoss), David Selby (Gage), Trevor Wright Durata: 120’ Metri: 3300 Regia: David Fincher Produzione: Dana Brunetti, Ceán Chaffin, Michael De Luca, Scott Rudin per Columbia Pictures/ Relativity Media/ Michael De Luca Productions/ Scott Rudin Productions/ Trigger Street Productions Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 12-11-2010; Milano 12-11-2010) Soggetto: tratto dal libro The Accidental Billionaires di Ben Mezrich Sceneggiatura: Aaron Sorkin Direttore della fotografia: Jeff Cronenweth Montaggio: Kirk Baxter, Angus Wall Musiche: Trent Reznor, Atticus Ross Scenografia: Donald Graham Burt Costumi: Jacqueline West Produttori esecutivi: Aaron Sorkin, Kevin Spacey Produttore associato: Jim Davidson Casting: Laray Mayfield Aiuti regista: Allen Kupetsky, Christian Labarta, Neil Lewis, Bob Wagner Operatori: Colten Currey, Chaz Geisler, Peter Rosenfeld Art directors: Curt Beech, Keith P. Cunningham, Robyn Paiba Arredatore: Victor J. Zolfo Trucco: Felicity Bowring, Heather Mages Acconciature: Linda D. Flowers, Kelly Muldoon, Yesim ‘Shimmy’ Osman 10 Film li studenti dell’università di Havard Erica Albright e Mark Zuckerberg siedono al tavolo di un ristorante. Tra i giovani c’è empatia o – sarebbe più esatto dire – dovrebbe esserci, in quanto i due hanno una relazione. E, invece, al termine della cena Erica e Mark si mollano, dopo una poco decorosa rottura faccia a faccia. Ritornato al dormitorio, il ragazzo da in escandescenze a modo suo: si posiziona davanti al monitor del suo pc e crea una pagina internet che mette a confronto tra di loro tutte le ragazze del Campus. A definire la chiave primaria della pagina telematica è, però, il collega Eduardo Saverin, fornendo a Mark l’algoritmo con cui riesce ogni volta a definire il vincitore di una gara di scacchi. Nel giro di poche ore, il sito ottiene un successo inaspettato, mandando in tilt l’intera rete di Havard. Il rettore dell’Università si dimostra poco tollerante e decide di fare una bella lavata di capo all’alunno Zuckerberg; ma, serve ben altro per frantumare l’animo e l’ingegno del genio in erba. La rivincita del nerd Mark arriva nell’esatto istante in cui viene convocato al cospetto dei laureandi Divya Narendra, Cameron e Tyler Winklevoss. Il terzetto ha in mente di aprire un social network riservato solo ed esclusivamente agli studenti di Havard. In Zuckerberg, Narenda e i fratelli Winklevoss hanno intravisto un’ottima mente da programmatore che potrebbe rivelarsi un aiuto non da poco per la realizzazione del loro progetto. Il ragazzo accetta immediatamente, promettendo ai suoi neo-soci di tenerli informati riguardo allo stato dei lavori. È una bugia, per giunta poco innocente. Infatti, mentre dovrebbe soddisfare i desideri dei Winklevoss & Co., Mark si adopera a impiantare The Facebook sulla rete, offrendo l’opportunità all’amico Saverin di assurgere al ruolo di direttore finanziario. Nel frattempo, questa indole acutissima si sottrae dagli appelli via via più incalzanti dei Winklevoss e di Narendra, che si sentono gabbati e umiliati dalla strategia attuata dal “loro” uomo. In seguito a un’email nella quale Zuckerberg si tira fuori dal precedente affare, adducendo motivazioni poco plausibili, i due fratelli si appellano al Rettore per far valere le loro ragioni. Il quadro che viene a comporsi dopo il confronto proficuo con la massima carica universitaria è certamente critico per Winklevoss: Harvard non aprirà un canale privilegiato per loro. Questo significa – in altre parole – che Mark Zuckerberg non riceverà nessuna lettera formale di richiamo per il plagio di un’idea originale. Morta sul nascere la “minaccia Winklevoss”, The Facebook raddoppia giornalmente il numero dei propri contatti e ciò aumenta l’indice di popolarità della coppia di fondatori, tanto che Eduardo inizia a frequen- G Tutti i film della stagione tare la bella e disinibita Christy Lee. Intatto, a migliaia di chilometri di distanza da Havard, un bel biondino si appresta a squagliarsela dal letto di una studentessa di Stampford, abbordata la sera prima a una festa. Prima di infilarsi i pantaloni e sbattere a sé la porta di casa, gli occhi del ragazzo si posano sul monitor di quella perfetta sconosciuta, rimasto aperto sulla pagina web di The Facebook. Al giovane amante frullano subito per la testa una serie d’idee davvero interessanti. Quel ragazzo è Sean Parker. Se il nome non vi fa venire nulla in mente, sappiate che si tratta dell’artefice di “Napster”, il programma che ha dato vita al fenomeno del file-sharing. Sean non perde tempo e si affretta a chiedere un appuntamento ai padri del re dei social network. All’abboccamento con Parker si presentano Mark e Eduardo insieme alla sua fiamma. Il ragazzo che ha scatenato il putiferio tra le case discografiche riesce ben presto a sedurre Mark con la promessa di fama e denaro, a patto che si trasferisca seduta stante in California. Invece, il giovanissimo direttore finanziario non si lascia “infinocchiare” da quel tipo di allettanti miraggi e bolla l’estraneo che gli sta di fronte come una persona sociopatica con deliri di grandezza. Al ritorno a Havard, una nube nera si addensa su Facebook (su consiglio di Sean è stato eliminato l’articolo “the”). Difatti, sulla stampa locale Saverin è additato come colpevole di crudeltà sugli animali, giacché un giorno ha nutrito la propria gallina con i resti di un suo simile. In verità, lo studente aveva agito in assoluta buona fede, dando da mangiare al pennuto gli avanzi del pasto servito alla mensa, senza sapere di cosa davvero si trattasse. Oltre a difendersi da questa imputazione, l’universitario deve tenere testa al suo migliore ami- 11 co alle prese con i bagagli alla volta della California. Tra Saverin e Zuckerberg l’aria si potrebbe tagliare con il coltello; ma, alla fine, il primo accetta la risoluzione del secondo e versa sul conto bancario intestato a entrambi una quota che ammonta a circa 18.000 dollari. Appena trasferitosi nella costa sud del territorio statunitense in compagnia di un paio di stagisti, Mark scopre di aver come proprio vicino di casa niente meno che Sean Parker. I due diventano inseparabili: dove c’è Zuckerberg, state sicuri che si trova pure Parker. Sennonché un giorno bussa alla porta della villetta di Zuckerberg, l’amico di un tempo Saverin, venuto a vedere con i suoi occhi come procede il business di Facebook. Non appena il leader di Napster lo accoglie sull’uscio, Eduardo avverte un groppo in gola, poiché ha sentore che qualcosa bolla in pentola. Effettivamente, la mente finanziaria di Facebook non sbaglia: Parker sta lavorando per soffiargli via di dosso l’ambita nomina e – a quanto pare – sta già a buon punto. Per questo motivo, Eduardo prende la fastidiosa decisione di congelare il fondo bancario e sale sul primo volo diretto a New York. Ciò nonostante, anche a casa, il suo manifesto bisogno di rilassarsi viene frustrato dall’imprevista visita di Christy, già sul piede di guerra. Praticamente in contemporanea con una scenata di gelosia della sospettosa fidanzata, Saverin si vede costretto a rispondere al telefono. Dall’altro capo della cornetta vi è Mark, in attesa di delucidazioni sulla manovra economica che il socio ha attuato alla cassa di risparmio senza il suo assenso. Nei minuti che seguono, Eduardo usa tutte le frasi che ha a disposizione per chiedere scusa al compagno e con un secco «Non stiamo più insieme» tronca qualsiasi rapporto con la partner. Saverin Film s’incammina di nuovo per la California, questa volta allo scopo di firmare dei documenti che legittimino l’ammontare della partecipazione investita da parte dei singoli soci nell’affair Facebook. Secondo quegli atti, a Eduardo spetterebbe una quota pari al 35%, suscettibile però di possibili modifiche. Non è finita qui: una piccola fetta di torta è prevista pure per Parker. Ratificando i seguenti accordi, Eduard non sa che sta apponendo una firma per la propria futura “condanna a morte”. Il giovane studente di Havard lo ignorerà di sana pianta, fino alla resa dei conti che coincide con il giorno dedicato ai festeggiamenti per il milionesimo “amico” inscritto al social network. In quell’occasione, i legali di Mark renderanno noto a Eduardo che la sua posizione di socio è stata aggiornata a una cifra di azioni pari allo 0,3% dell’intero pacchetto; mentre, le quote di Mark & Co. non hanno subito la benché minima variazione. Di fronte all’ex collega d’affari, Eduardo afferma con ira che da questo momento in poi si guarderà bene dal fidarsi di nuovo degli amici e che lo trascinerà presto in un’aula di tribunale per farsi giustizia. Dopo aver espresso la propria indignazione per simile espressione della malvagità umana, Eduard lascia per sempre Mark a crogiolarsi nel suo brodo. Sfinito dall’alterco, Zuckerberg evita persino di far festa, rimanendo a programmare. A fare gli onori di casa a tutti gli ospiti del mega party è, invece, l’ideatore di Napster. Costui si lascia piacevolmente irretire dai piaceri di una serata all’insegna di sesso, droga e rock’n’roll, almeno finché non arrivano i tutori dell’ordine costituito a porre la parola “fine” a tutto quel chiasso. Quando i poliziotti fanno irruzione in quell’ambiente, li aspetta uno spettacolo poco decoroso, che viola qualsiasi norma giuridica. Così, Parker e altri della sua banda sono portati di corsa al commissariato più vicino, con l’accusa di abuso sessuale su minorenni e uso di sostanze stupefacenti. Il tempo che i giovani nerd rimangono dietro le sbarre è relativamente breve, poiché Parker sborsa di tasca sua i soldi per la cauzione. Qui termina la narrazione dei fatti antecedenti alla guerra legale per il possesso di Facebook e si arriva a parlare dell’attualità. Al termine dell’udienza, le didascalie sovraimpresse alle immagini mettono lo spettatore al corrente che Mark Zuckerberg ora è l’unico che può fregiarsi del titolo di proprietario di Facebook, seppure abbia dovuto pagare una penale nei confronti di Eduardo Saverin, Divya Narendra e dei gemelli Winklevoss. N on c’è alcun dubbio: sesto potere dei nostri giorni è la piattaforma Facebook, che converge nel Tutti i film della stagione mare magnum di Internet. Nel media village ai tempi della rete, la stampa diventa così semplice carta straccia e la tv è tenuta sotto tono, come se fosse impiegata solo per illuminare le pareti di una stanza con tonalità chiaroscurali e cicalii vari. La rivoluzione digitale propriamente detta è ora un piccolo schermo dei sogni, costituito dall’intreccio perpetuo di byte, megabyte e gigabyte. L’utente onnipotente del social network più famoso del pianeta non fa che cercare in Facebook il déjà vu di un’amicizia di lunga data, o una conoscenza superficiale con estranei; il tutto a profitto dell’immaginario. Troppo irresistibile per il regista David Fincher (Il curioso caso di Benjamin Button) la tentazione di realizzare un ritratto – il più veritiero possibile – sul magnate USA da venticinque miliardi di dollari. Per l’autore di Fight club, il futuro non è mai stato una pagina molto importante da scrivere, soprattutto se si abita dentro la cronaca di una svolta epocale e si può guardare il cielo presente come un’ombra sbucata dal passato. Misurarsi con una storia così talmente disincantata ha richiesto, però, un giovane protagonista che segua al meglio le direttive del maestro. Fincher l’ha trovato presto. Infatti, il newyorkese Jesse Eisenberg conosce il fatto suo, quando interpreta il lupo solitario Mark Zuckerberg incapace di integrarsi in qualsiasi branco e – allo stesso tempo – affetto da una grave forma di gigantismo egoistico. Ad adattare il libro di Ben Mezrich (pubblicato da Sperling & Kupfer) dal titolo Miliardari per caso. L’invenzione di Facebook: una storia di soldi, sesso, genio e tradimento, il regista ha convocato alla sua corte il quarantanovenne Aaron Sorkin. Lo sceneggiatore di film di successo come A Few Good Men-Codice d’onore, Il presidente-Una storia d’amore e La guerra di Charlie Wilson ha deciso di realizzare la storia di citizen Zuckerberg in media res, con i personaggi principali riuniti il primo giorno di seduta legale per il riconoscimento dei diritti su un capitalismo non più solo nordamericano, ma addirittura mondiale. Quello che potrebbe essere la summa del cinema di Fincher ha un’impostazione quasi teatrale, per via di un protagonista-sfinge dall’innata vocazione a seguire l’esempio degli anti-eroi shakespeariani. Zuckerberg, come il Bruto di Giulio Cesare, ritiene infatti che sia “necessario e non maligno” l’atto di infliggere una pugnalata alle spalle al proprio miglior amico. Se non fosse per l’avvocato Marylin che gli dice «Non sei veramente uno stronzo Mark, è solo che cerchi disperatamente di sembrarlo», nessun’altra delle persone del suo entourage 12 capisce mai veramente cosa si cela dietro a quel poppante genio ribelle, che abusa della parola “amico” all’interno della galassia dalle tre w, ovvero il Word Wide Web. Effettivamente, il concetto di fraternità nella comunità virtuale di Facebook ha assunto un senso ancora più astratto, collocandosi emblematicamente alla stregua di un’immagine riflessa della definizione che Zuckerberg ha dato per l’intero corso della sua breve esistenza a questo termine. Nella seconda parte del film, però, tutta la nostra simpatia va al personaggio di Eduardo Saverin (Andrew Garfield), quale principale vittima del traviato senso morale di Zuckerberg. The social network è uscito nelle sale nazionali a una settimana esatta dalla presentazione dell’opera al Festival Internazionale del Film di Roma, nella sezione eventi speciali. Geniale la frase di lancio del film, che recita un laconico: «Non arrivi a 500 milioni di amici senza farti qualche nemico». Sdoganato come il lungometraggio di finzione che farà incetta di statuette d’oro alla prossima nottata degli Oscar, The social network vanta pure una strepitosa colonna sonora rock a cura di Trent Reznor dei Nine Inch Nails. Tra gli interpreti, il primo della classe è la pop star Justin Timberlake che impersona il dandy sesso-dipendente Sean Parker. Timberlake ha già alle spalle un’interpretazione da urlo nella pellicola del 2005 Alpha Dog di Nick Cassavetes. A breve, invece, Andrew Garfield sarà il nuovo Spiderman, mentre Ronney Mara interpreterà il ruolo di Lisbeth Salander nel rifacimento di Uomini che odiano le donne firmato da Fincher. Magari, dalla mente di qualche regista, tra qualche tempo potrà scaturire un lungometraggio che intenda sfruttare anche il redditizio giro di affari del maggiore concorrente sulla piazza di Facebook: Twitter. Certo, non si può dire che il servizio gratuito di social network e microblogging da 140 caratteri (twoosh) concepito dalla Obvious Corporation di San Francisco nel 2006 non abbia già i suoi fan tra le stelle del cinema, come, ad esempio, la coppia glamour costituita da Demi Moore e Ashton Kutcher. Intanto, è in fase di realizzazione un film sui due studenti di Stampford, che nel 1999 lanciarono Google. Per il momento, l’unica cosa davvero sicura è che i produttori Michael London e John Morris hanno acquistato i diritti cinematografici del libro di Ken Auletta Googled: The End of the World as We Know It. Il cerchio si chiude. Maria Cristina Caponi Film Tutti i film della stagione RITORNO A BRIDESHEAD (Brideshead Revisited) Gran Bretagna, 2008 Operatore: Peter Robertson Supervisore art director: Lynne Huitson Art directors: Thomas Brown, Ben Munro Arredatore: Caroline Smith Trucco: Nuala Conway, Joan Giacomin, Piero Marsiglio, Lesley Noble, Sharon O’Brien, Samantha Peluso, Sue Westwood, Stephen Williams Acconciature: Carla Carisi, Nuala Conway, Maurilio Lazzaro, Lesley Noble, Sharon O’Brien, Carla Ruffert, Consuelo Vitturi, Sue Westwood, Stephen Williams Supervisori effetti speciali: Mark Holt, Ian Rowley Supervisore effetti visivi: Adam Gascoyne Supervisori costumi: Anna Lombardi, Jessica O’Leary Interpreti: Matthew Goode (Charles Ryder), Ben Whishaw (Sebastian Flyte), Hayley Atwell (Julia Flyte), Emma Thompson (Lady Marchmain), Michael Gambon (Lord Marchmain), Greta Scacchi (Cara), Jonathan Cake (Rex Mottram), Patrick Malahide (Edward Ryder), Roger Walker (Lunt), Ed Stoppard (Bridley Flyte), Joseph Beattie (Anthony Blance), Felicity Jones (Lady Cordelia Flyte), Geoffrey Wilkinson (Wilcox), Richard Teverson (cugino Jasper), Anna Madeley (Celia Ryder), Niall Buggy (padre Mackay), Stephane Cornicard (dottor Henri), James Bradshaw (signor Samgrass), Thomas Morrison (Hooper), Tom Wlaschiha (Kurt) Durata: 132’ Metri: 3600 Regia: Julian Jarrold Produzione: Robert Bernstein, Kevin Loader, Douglas Rae per Ecosse Films/BBC Films/UK Film Council/ HanWay Films/ Screen Yorkshire/ 2 Entertain/ Mestiere Cinema/ Zak Productions Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Prima: (Roma 26-6-2009; Milano 26-6-2009) Soggetto: tratto dal romanzo Ritorno a Brideshead di Evelyn Waugh Sceneggiatura: Jeremy Brock, Andrew Davies Direttore della fotografia: Jess Hall Montaggio: Chris Gill Musiche: Adrian Johnston Scenografia: Alice Normington Costumi: Eimer Ni Mhaoldomhnaigh Produttori esecutivi: Nicole Finnan, Tim Haslam, Hugo Heppell, David M. Thompson Produttore associato: Joanna Anderson Co-produttore: James Saynor Line producer: Rosa Romero Direttori di produzione: Laura Cappato, John Watson, Hamid Zoughi Casting: Priscilla John Aiuti regista: Jamal Belmejdoub, Jonny Benson, Juri Biasiato, Consuelo Bidorini, Dan Channing-Williams, Lucy Egerton, Chris Gill, Karim Kahkhani, Sandrine Loisy, Barrie McCulloch, Kenneth Thompson Marchesi l giovane borghese Charles Ryder ottiene di poter studiare alla prestigiosa Università di Oxford. Lì incontra il nobile e ricco Sebastian Flyte, tanto bello quanto dissoluto e spregiudicato, del quale diventa prima amico e poi amante. Durante una visita a Brideshead, la fastosa dimora della famiglia Flyte, Charles fa la conoscenza della madre di Sebastian, la religiosissima Lady Marchmain e delle sorelle di lui, Cordelia e Julia. Preoccupata per la deriva sempre più amorale e autodistruttiva del figlio, Lady Marchmain spinge Charles ad accompagnare l’amico e la sorella Julia in visita a Venezia da Lord Marchmain, che ormai risiede da anni nella città lagunare con la sua amante Cara. A Venezia, Charles si innamora di Julia e viene sorpreso un giorno da Sebastian mentre la bacia. Geloso, il giovane chiude l’amicizia con Charles e torna precipitosamente in Inghilterra. Sconvolta dalla rivelazione che Charles è un ateo, Lady Marchmain spinge la figlia a troncare la relazione con lui e a fidanzarsi con il canandese Rex Mottram. Dopo un litigio, Sebastian fugge in Marocco,dove viene raggiunto dall’amico; ormai malato, il giovane lord non può e non vuole più far ritorno in Inghilterra. Anni dopo, Charles e Julia si rincontrano e decidono di lasciare i rispettivi coniugi per an- I dare a vivere liberamente in Australia. Il marito di Julia acconsente al divorzio solo in cambio un alcuni dipinti di Charles, che è diventato nel frattempo un pittore famoso. Inaspettatamente fa ritorno a Brideshead lord Marchmain, che intende morire nella sua dimora (nella quale non aveva più messo piedi a causa dei contrasti religiosi con la moglie, ora defunta), convertendosi su letto di morte al cattolicesimo, lui ateo convinto. Julia interpreta questo avvenimento come un segno del destino e decide di rinunciare a Charles. La Seconda Guerra Mondiale pone fine a tutte le loro speranze e ai loro sogni, portando la decadenza a Brideshead. era del glorioso film britannico in costume, quello per interderci di David Lean e del suo “erede” James Ivory, sembra ormai tramontata per sempre. I loro film, monumentali ma riscaldati da sotterranee pulsioni tenute a bada dall’estrema eleganza formale e dalle raggelate interpretazioni di attori di altri tempi e di altre scuole, hanno lasciato il passo ormai a uno spettacolo esangue che di monumentale ha soltanto la noia. Il confronto tra la gloriosa miniserie anni ’80 Brideshead Rivisited (di recente riproposta su numerosi canali satellitari), interpretata dal giova- L’ 13 ne Jeremy Irons e da leoni in inverno quali Laurence Olivier e Claire Bloom, e questa sua pallida riedizione, firmata dall’anonima regia di Jullian Jarrold, è impietoso. Il romanzo simbolo della dorata gioventù britannica alle soglie della catastrofe rappresentata dalla Seconda Guerra Mondiale è diventato uno scialbo fotoromanzo, nel quale si muovono senza vita personaggi di carta velina, sottilmente compiaciuti di poter mostrare debolezze e omosessualità più o meno latenti e segrete, fin troppo consapevoli di rappresentare metaforicamente il declino della classe dominante inglese all’indomani della guerra. Chiedersi se il risultato sarebbe stato diverso se si fosse riuscito a ottenere il cast originariamente pensato per il film, cioè Paul Bettany, Jude Law e Jennifer Connelly come protagonisti, per la regia di David Yates, è una riflessione che lascia un po’ il tempo che trova, ma appare quasi inevitabile durante le due ore e mezzo del film. Ritorno a Brideshead riunisce tutti quelli che erano i difetti dei film di James Ivory, senza averne i pregi: la riduzione in sceneggiatura del romando di Evelyn Waugh povera e sminuente, una scenografia elegante ma smorta, interpretazioni rigide e controllate, quasi a incarnare il perfetto clichés dell’interprete britannico alla Ben Kingsley o Anthony Hopkins del tem- Film po che fu. Convincono poco anche Michael Gambon e Emma Thompson come Lord e Lady Marchmain. La rovinosa scelta di far uscire il film in Italia a ridosso dell’estate Tutti i film della stagione peserà sicuramente sul rendimento della pellicola, ma speriamo che i pochi fortunati che avranno modo di assistervi sapranno andare al di là dei difetti del film per coglier- ne la vera essenza e, magari, andarsi a rileggere il romanzo di Waugh. Chiara Cecchini STANNO TUTTI BENE (Everybody’s Fine) Stati Uniti, 2009 Acconciature: Patricia Grande, Michelle Johnson, Jerry Popolis Supervisore effetti speciali: Peter Kunz Coordinatore effetti speciali: Johann Kunz Supervisore effetti visivi: Lev Kolobov (Intelligent Creatures Inc.) Coordinatore effetti visivi: Michelle Ledesma Canzone estratta: ‘(I Want To) Come Home’ di Paul McCartney Interpreti: Robert De Niro (Frank Goode), Drew Barrymore (Rosie), Kate Beckinsale (Amy), Sam Rockwell (Robert), Lucian Maisel (Jack), Damian Young (Jeff), James Frain (Tom), Melissa Leo (Colleen), Katherine Moenning (Jilly), Brendan Sexton III (aggressore), James Murtaugh (Dr. Ed), Austin Lysy (David), Chandler Frantz (David giovane), Lily Mo Sheen (Amy giovane), Seamus Davey-Fitzpatrick (Robert giovane), Mackenzie Milone (Rosie giovane), Kene Holliday (macellaio), E.J. Carroll (uomo del vino), Scott Cohen (conduttore), Lou Carbonneau (rappresentante della BBQ), Mandell Butler (addetto alle consegne), Caroline Clay (agente della ferrovia), Katy Grenfell (giovane donna sul primo treno), Lynn Cohen (donna anziana sul primo treno), Jayne Houdyshell (Alice), William J. Slinsky Jr. (uomo sul binario), Kelly McAndrew (prostituta), Jason Harris, Julián Rebolledo (tassisti), Ben Liff (giovane nel vagone ristorante) Durata: 95’ Metri: 2605 Regia: Kirk Jones Produzione: Vittorio Cecchi Gori, Ted Field, Glynis Murray, Gianni Nunnari per Miramax Films/Radar Pictures/ Hollywood Gang Productions Distribuzione:Medusa Prima: (Roma 12-11-2010; Milano 12-11-2010) Soggetto: remake del film Stanno tutti bene (1989) di Giuseppe Tornatore Sceneggiatura: Kirk Jones Direttore della fotografia: Henry Braham Montaggio: Andrew Mondshein Musiche: Dario Marianelli Scenografia: Andrew Jackness Costumi: Aude Bronson-Howard Produttori esecutivi: Craig J. Flores, Callum Greene, Mike Weber Co-produttore: Nathalie Peter-Contesse Direttore di produzione: Callum Greene Casting: Kerry Barden, Paul Schnee Aiuti regista: Daniela Barbosa, Alexander H. Gayner, Damon Michael Gordon, Peter Soldo, Doug Torres, Aurora Warfield Operatori: Joe Collins Operatore Steadicam: Ray Collins Art director: Drew Boughton Arredatore: Chryss Hionis Trucco: Persefone Karakosta, Nuria Sitja, Vasilios Tanis, Carla White er tutta la vita Frank Goode ha lavorato duro per non far mancare nulla alla propria famiglia, in particolare ai suoi quattro figli, David, Amy, Rosie e Robert. Per anni ha rivestito i cavi del telefono di materiale isolante, chilometri e chilometri di cavi che per decenni hanno messo in contatto le persone tra loro. Adesso che è in pensione, però, Frank ha difficoltà a restare in contatto con i con i suoi figli, ormai trentenni, che si sono sistemati e vivono dislocati negli Stati Uniti. A mantenere i rapporti e la confidenza con i figli ci pensava la moglie di Frank; ora che da pochi mesi la donna è morta, la solitudine è diventata la sua compagna di vita. Insieme con i problemi al cuore, che da tempo non lo abbandonano e per cui è costretto a dipendere dalle medicine. Le sue giornate trascorrono lente, una uguale all’altra, tra il giardinaggio e il mantenimento di una casa, sempre troppo vuota. Frank inizia a sentirsi tagliato fuori da un mondo che si è fatto troppo fre- P netico e indifferente. Così decide di riunire i suoi figli per un barbecue e organizza un weekend. Inizialmente tutti danno il loro benestare e così compra il meglio, una spesa che possa celebrare degnamente una così tanto attesa riunione di famiglia. Tuttavia, uno dopo l’altro i figli di Frank, tranne uno che risulta irreperibile, danno forfait, perché troppo impegnati, almeno all’apparenza, per passare qualche giorno con il proprio padre. Nonostante il divieto del medico, l’uomo vuole affrontare la questione a modo suo. Non volendo rinunciare a vedere i figli, a loro insaputa, decide di partire e di andare a trovarli uno per uno, in un lungo viaggio in treno da una parte all’altra degli States. Inizia con David. Dopo aver trascorso tutta la notte davanti la sua porta di casa e non essendo possibile rintracciarlo, Frank gli lascia una lettera. Poi è il turno di Rosie, che anche di persona sembra assente, troppo presa dal suo lavoro e turbata dal rapporto con il marito. Robert non sembra avere 14 un comportamento migliore della sorella. Dopo aver confessato al padre di essere un semplice percussionista e non un direttore d’orchestra (come Frank aveva sempre creduto) sostiene di dover andare in tournee con la sua orchestra e di non poter dedicargli neanche una serata. Amy è l’unica che accoglie Frank più calorosamente e si mette a sua disposizione, portandolo in quella che spaccia come la sua casa. In realtà, la donna ha un bambino e la casa le è soltanto stata prestata per l’occasione. L’unico di cui ancora Frank non riesce ad avere notizie è David, che, da quanto sanno i fratelli, si trova in Messico, dove è stato arrestato per droga. L’uomo, non avendo più le sue pasticche per il cuore, perse durante un’aggressione, è costretto a tornare a casa in aereo. Durante il volo ha un infarto. Risvegliatosi nel letto di un ospedale l’uomo trova al suo fianco tutti i figli, tranne David. I ragazzi rivelano al padre che il fratello in realtà è morto di overdose. Crollato il castello di Film Tutti i film della stagione bugie dietro cui si rifugiavano da tempo, i figli finalmente si ritrovano a sedere tutti allo stesso tavolo con il padre in occasione del Natale. emake dell’omonimo film di Giuseppe Tornatore, Stanno tutti bene (Everybody’s Fine è il titolo originale) è diretto dal regista Kirk Jones. Pur se meno triste dell’originale interpretato da Marcello Mastroianni, questa volta il film si concentra più sul personaggio principale, mettendo quasi in disparte il ritratto sociale per mettere in immagini una storia che, con aria malinconica, gioca quasi tutte le sue carte sulla for tissima componente emotiva. Robert De Niro si carica sulle spalle tutto il peso del film e interpreta con equilibrio un uomo anziano che è determinato a non lasciarsi soffocare dalla solitudine e caparbiamente cerca di ritagliarsi un piccolo spazio nelle vite dei propri figli. Frank è il classico padre, lavoratore modello che ha sacrificato la sua vita per non far mancare nulla alla famiglia, se non il tempo per dedicare loro attenzione e affetto. Uno di quei padri, ai quali è meglio non dire nulla, per non creare discussioni e per non vederlo soffrire. Un nucleo in cui invece il punto di riferimento affettivo è la madre, alla quale si raccontano senza remore tutti i problemi e tutti gli insuccessi. Perché quel padre, fin troppo carico di aspettative, ripone nei suoi figli tutti i sogni che di persona non è riuscito a realizzare, perché assente e troppo preso dal suo lavoro, vissuto come un dovere. Frank, venuta a mancare la moglie, fulcro e punto di riferimento della famiglia si sente dunque in difetto nei confronti di quelli che chiama ancora i suoi “bambini”. Nel corso del suo lungo viaggio, deve accettare il confronto con loro, spesso difficile e doloroso. La propria ingenuità tuttavia non gli impedisce di intuire che le scuse avanzate dai figli nascondono esistenze non perfette, segnate da problemi più o meno gravi, che egli deve imparare a condividere. Dopo aver fatto i conti con se stesso ed essersi rimproverato dei propri errori, dovrà, suo malgrado, accettare l’imperfezione della condizione umana. Come faranno d’altronde anche i suoi figli, consapevoli, infine, di non dover nascondere il legame paterno dietro a delle rassicuranti bugie. La verità per genitore e figli rappresenterà un mezzo per crescere e al tempo stesso per ritrovarsi. Importante il cast: a fianco a un grande e intenso De Niro, tra tutte le interpretazioni secondarie convince in particolare R quella di Drew Barrymore, nel ruolo di un’artista di Las Vegas che accoglie suo padre con affetto, ma in una vita che non è la sua. A Kate Beckinsale e Sam Rockwell toccano invece i ruoli di una donna che tenta di nascondere il recente divorzio, ma trova il modo di far conoscere al padre il suo nuovo compagno e quello di un musicista, che non riesce a dare or- dine alla propria esistenza. Un tocco di delicata ironia stempera l’intensità drammatica del racconto, che si conclude con un finale sicuramente più conciliante e meno amaro rispetto a quello della pellicola originale, senza tuttavia svilire la componente emozionale del film. Veronica Barteri TI PRESENTO UN AMICO Italia, 2010 Regia: Carlo Vanzina Produzione: Alessandro Fracassi per Media One S.P.A/Warner Bros. Entertainment Distribuzione: Warner Bros. Pictures Prima: (Roma 12-11-2010; Milano 12-11-2010) Soggetto: Enrico Vanzina, Francesco Massaro Sceneggiatura: Enrico Vanzina, Carlo Vanzina, Francesco Massaro Direttore della fotografia: Carlo Tafani Montaggio: Raimondo Crociani Musiche: Federico De Robertis Scenografia: Serena Alberi Costumi: Daniela Ciancio Organizzatore generale: Marco Alfieri Aiuto regista: Giorgio Melidoni Trucco: Simona Castaldi Acconciature: Fabrizio Nanni Supervisore effetti visivi: Stefano Marinoni Coordinatore effetti visivi: Federica Nisi Supervisore musiche: Giovanni Arcadu Suono: Marco Grillo Interpreti: Raoul Bova (Marco), Martina Stella (Gabriella), Sarah Felberbaum (Francesca), Kelly Reilly (Sarah), Barbora Bobulova (Giulia), Stefano Dionisi (Giorgio), Carlo Giuseppe Gabardini (Riccardo), Paolo Calabresi (Tony Martini), Teco Celio (Herr Volker), Fabio Ferri (Nicola), Alessandro Bolide (tassista) Durata: 98’ Metri: 2700 15 Film arco è un giovane italiano che da un anno vive e lavora a Londra come vicedirettore marketing di un’azienda di cosmetici. È tempo di crisi e ogni giorno vede licenziati molti colleghi; per questo la convocazione urgente presso la sede centrale di Milano lo mette in agitazione: pensa di perdere il posto. Tornato a casa, scopre che la compagna italiana con cui convive, perso il lavoro, ha deciso di tornare in Italia per assumere il ruolo di moglie del suo “ex”. Spaesato, Marco parte per Milano. Arrivato in aeroporto, trova una fila interminabile per i taxi. Fortunatamente, un’amica di un suo amico incontrato per caso gli dà un passaggio, evitandogli così di fare tardi e indispettire il capo (tedesco e fissato con la puntualità). La ragazza, Sarah, gli lascia il numero di telefono. Diretto di corsa verso al stanza del direttore, Marco scontra Giulia, collega e capo del marketing in Italia, a cui Marco scopre di aver involontariamente fatto le scarpe quando il direttore gli comunica la promozione a capo del marketing globale. Primo compito nel nuovo ruolo sarà licenziare il più possibile, per far fronte alla crisi. Quella sera Marco decide di festeggiare con Sarah. Al ristorante Sarah gli presenta Gabriella, bella e speranzosa giornalista in erba, il cui cellulare finisce sbadatamente nella tasca di Marco. Tornato a casa, Marco riceve una telefonata di Giulia che lo copre di insulti e minaccia il suicidio tanto da spingere Marco a correre a casa sua per salvarla. I due iniziano a litigare e finisco- M Tutti i film della stagione no a letto insieme. Tornando in albergo a notte fonda, Marco vede Sarah litigare con l’uomo sposato di cui è amante. Ormai nel letto, risponde al cellulare di Gabriella, identico al suo, e scatena le ire del gelosissimo fidanzato pugliese di lei. Da qui in poi, le vicende lavorative e gli affari (più o meno) di cuore si intrecciano, mettendo Marco sempre più in difficoltà: nel privato è circondato da donne che lo desiderano, ma senza “intenzioni serie”, sul lavoro dovrebbe licenziare molti in azienda (Giulia in primis), ma la sua coscienza glielo impedisce. Alla fine, si licenzia e torna a Londra, dove, a spulciare annunci economici sulla panchina accanto a lui, incontra Francesca, una neoassunta motivata e sensibile che non aveva licenziato a Milano... a commedia realizzata dalla premiata ditta Vanzina (Enrico alla sceneggiatura e Carlo dietro la macchina da presa) prova a respirare un’aria internazionale, ritornando almeno in parte alle atmosfere di South Kensington (2001), e a sposare un taglio semiimpegnato, proponendo come tema ricorrente quello della crisi. La situazione economica, tuttavia, resta davvero marginale e viene usata come puro espediente, o mero riempitivo, in una vicenda che è fatta squisitamente di incontri e scontri personali tra i personaggi. Marco, infatti, passa da una città all’altra, da una donna all’altra, senza dare segni di coinvolgimento o motivazione. Cer- L to, si comporta da gentiluomo, ha un cuore buono ed è generoso con tutti, ma come protagonista appare del tutto in balia degli eventi, o meglio del meccanismo della sceneggiatura. Un meccanismo semi-automatico, per cui ogni donna cade ai suoi piedi, e lui, inspiegabilmente (od ovviamente, a seconda dei punti di vista), ci sta. Imbelle nella vita privata, il protagonista pare quindi votato a vestire panni da “eroe” in quella pubblica, dove sul lavoro si rifiuta di compiere i tagli sommari richiesi dalla direzione. Almeno uno scatto di orgoglio, MarcoBova al suo pubblico lo regala. Tuttavia Marco, il cui ruolo di tagliatore di teste è stato raccontato in modo assai più credibile e approfondito da George Clooney in Tra le nuvole, è al centro di un momento economicamente e socialmente difficile per tutti, ma solo a parole: non c’è alcuna scena del film, infatti, in cui si vedano le difficoltà vere di chi viene licenziato. E questo è tanto più irritante quanto più spesso la parola “crisi” viene ripetuta in battute prevedibili e poco incisive. Indubbiamente ben confezionato con musiche orecchiabili, cast ricco e location piacevoli, Ti presento un amico è un girotondo di incontri pseudo-amorosi in tempi di sedicente crisi. Senza ambizioni registiche, senza reali intenzioni di critica sociale, senza trovate originali in sceneggiatura, senza sottotesto nelle battute dei dialoghi, questa commedia non riesce a essere “brillante” come vorrebbe. Tiziana Vox FIGLI DELLE STELLE Italia, 2010 Suono: Gianluca Costamagna Canzone estratta: ‘Figli delle Stelle’ di Irene Grandi Interpreti: Claudia Pandolfi (Marilù), Fabio Volo (Toni), Giuseppe Battiston (Bauer), Pierfrancesco Favino (Pepe), Giorgio Tirabassi (Stella), Paolo Sassanelli (Ramon), Teco Celio (Martino), Fausto Maria Sciarappa (Umberto), Pietro Ragusa (Giambi), Camilla Filippi (Marta), Lydia Biondi (madre di Pepe), Chiara Tomarelli (Alba), Antonello Piroso (se Stesso), Fabrizio Rondolino (Ministro Gerardi), Nicola Rondolino (esperto di terrorismo), Teresa Acerbis (Carmen), Daniele Ballicco (sindacalista), Valentina Fois (suora), Edoardo Gabbriellini (Edo), Anna Bellato (Romina), Nino Bernardini (zio Pepe), Jacopo Bonvicini (Mario), Simona Nasi (moglie di Stella), Francesco Rossini (Ivo), Luca Moretti (Ludo), Maria Luisa Vola (Zoe) Durata: 102’ Metri: 2800 Regia: Lucio Pellegrini Produzione: Beppe Caschetto, Rita Rognoni per ITC Movie/ Pupkin Production/Warner Bros. Entertainment Italia in collaborazione con LA7 Distribuzione: Warner Bros. Pictures Prima: (Roma 22-10-2010; Milano 22-10-2010) Soggetto: Lucio Pellegrini Sceneggiatura: Lucio Pellegrini, Francesco Cenni, Michele Pellegrini Direttore della fotografia: Gian Enrico Bianchi Montaggio: Walter Fasano Musiche: Giuliano Taviani Scenografia: Roberto De Angelis Costumi: Silvia Nebiolo Direttore di produzione: Attilio Moro Casting: Chiara Natalucci Aiuti regista: Alessandro Casale, Jacopo Bonvicini, Fabio Mollo T oni operaio di Porto Marghera, dopo la morte di un collega, decide di partecipare ad una tras- missione televisiva per denunciare il cattivo operato del ministro Gerardi. Nonostante l’aiuto della giornalista Marilù, il ra16 gazzo si lascia vincere dalla timidezza e scappa dallo studio senza dire nulla. Qualche giorno dopo, in strada, incontra Pepe, Film un professore precario e Ramon un ex carcerato, insieme decidono di avere la loro giustizia privata rapendo il ministro. Qualcosa va storto e a essere sequestrato è un semplice sottosegretario dalla specchiata moralità. I tre uomini, compreso l’errore decidono, comunque, di tenere l’ostaggio aiutati da Bauer, cugino di Pepe e rivoluzionario represso. Il Paese è in preda al caos. Le forze dell’ordine cercano ovunque il sottosegretario, mentre la popolazione teme un’altra ondata di violenza brigatista. Alcuni amici di Toni sospettano il suo coinvolgimento nel rapimento e con la forza lo riportano a Marghera. Gli altri, intanto, commettono un errore dietro l’altro incluso dire la verità a Marilù. La giornalista, spaventata, diventa loro complice e offre la sua casa sulle Alpi come nascondiglio per il prigioniero. Ma anche qui la farsa dura poco, vengono scoperti dagli abitanti del minuscolo paesino che, inaspettatamente, si dicono solidali con loro e collaborano in cambio di una parte del riscatto. La prigionia del sottosegretario non è particolarmente dura, l’uomo ha la possibilità di chiacchierare con i suoi tanti carcerieri e in particolare con Pepe, a cui racconta di un progetto di legge per una cura innovativa e gratuita contro il cancro. Il ragazzo è molto colpito, anche perché sua madre soffre di questa patologia, e gli strappa la promessa di un impegno concreto, dopo la sua liberazione, in favore di questa legge. Anche Bauer rimane colpito dalla signorilità del sottosegretario e dopo una chiacchierata con lui in preda all’emozione tele- Tutti i film della stagione fona al figlioletto a Roma. I carabinieri, chiamati dalla moglie insospettita dalle stranezze del marito, intercettano la telefonata e si dirigono per un controllo sulle Alpi. Intanto arrivano i soldi del riscatto e ciascuno prende la sua parte, ma l’arrivo delle forze dell’ordine rovina i piani di gloria di tutti. Ramon ha un infarto e muore, gli altri vengono tutti arrestati, incluso Toni che, dopo tanto peregrinare era appena riuscito a ritrovare gli amici. Solo Pepe riesce a scappare. Passa un anno. Il sottosegretario, ormai diventato ministro, va a mangiare in un ristorante e a servirlo è proprio Pepe. Il ragazzo finge di essere straniero e di non conoscerlo. Quando, però, il ministro gli chiede di sua madre, Pepe commosso cede e gli dice che è morta poco tempo prima. L’uomo, sinceramente, dispiaciuto gli dice di aver mantenuto fede alla promessa e aver fatto approvare la legge per le cure oncologiche innovative. recariato, morti bianche, politica arraffona, ormai, sono termini entrati con forza nel vocabolario quotidiano. Per fortuna si riesce ancora a pronunciarli con il dovuto sdegno, il che lascia presumere che i cittadini non si siano arresi ad una situazione vigliacca e socialmente inaccettabile. Come raramente accade, oltre a blaterare in molti propongono delle iniziative per sollevare il problema “ai piani alti”, alcune veramente singolari come quella raccontata nel film Figli delle Stelle di Pellegrini, dove un gruppetto di disperati decide di rapire un politico disattento alle esigenze dei lavoratori. P Non c’è che dire, in un clima particolarmente “caldo”, il regista ha avuto coraggio a esporsi con una storia così delicata; il rischio è sempre quello di venire additati come istigatori e in questo caso essendo una commedia, anche di essere dissacranti. Come per tutte le cose, il giudizio superficiale lascia il tempo che trova, basta, vedere la pellicola per intuire la semplice voglia di Pellegrini di raccontare l’Italia dei senza gloria. I quattro rapitori improvvisati, infatti, non sono dei criminali, ma degli uomini esasperati che uniscono i loro guai per dare vita a qualcosa di più grande di loro, un gigante incontrollabile che inevitabilmente li schiaccerà nel finale. Non sono organizzati, non hanno una chiara fede politica, ma agiscono in preda ad un impulso riformatore che non ha bandiera. È il partito del nuovo millennio, in particolare di quei giovani che non sono più schierati dietro barricate rosse o nere, ma che vivono in una crescente comunione di idee, scambiata, purtroppo, con inerzia o pigrizia intellettuale. Non è così e Pellegrini lo dimostra in una pellicola ben fatta e piacevole da vedere. Rimanendo fedele allo stile degli ultimi lavori, il regista piemontese, si allontana progressivamente dalle soluzioni codificate nella commedia, per offrire allo spettatore degli squarci di realtà, pulita, semplice e rigorosamente imperfetta, a cui si unisce un cast attoriale che non necessita di grandi elogi e che, nel suo variegato parlare, dà forma e voce a un’Italia palpitante, anche se, forse, troppo sottovalutata. Francesca Piano MASCHI CONTRO FEMMINE Italia, 2010 Aiuti regista: Eleonora Ceci, Angelo Licata, Alessandro Pascuzzo Trucco: Marta Roggero Supervisore effetti visivi: Angelo Licata Suono: Marco Fiumara Canzone estratta: ‘Maschi contro femmine’ di Francesco Baccini Interpreti: Paola Cortellesi (Chiara), Fabio De Luigi (Walter), Sarah Felberbaum (Francesca), Chiara Francini (Marta), Lucia Ocone (Monica), Francesco Pannofino (Vittorio), Alessandro Preziosi (Diego), Paolo Ruffini (Ivan), Carla Signoris (Nicoletta), Nicolas Vaporidis (Andrea), Giorgia Wurth (Eva), Claudio Bisio (Marcello), Nancy Brilli (Paola), Giuseppe Cederna (Renato), Luciana Littizzetto (Anna), Emilio Solfrizzi (Piero) Durata: 113’ Metri: 3100 Regia: Fausto Brizzi Produzione: Fulvio Lucisano, Federica Lucisano per Italian International Film in collaborazione con RaiCinema Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 27-10-2010; Milano 27-10-2010) Soggetto e sceneggiatura: Fausto Brizzi, Marco Martani, Massimiliano Bruno, Pulsatilla Direttore della fotografia: Marcello Montarsi Montaggio: Luciana Pandolfelli Musiche: Bruno Zambrini Scenografia: Maria Stilde Ambruzzi Costumi: Monica Simeone Produttore esecutivo: Gianni Saragò Produttore delegato: Giulio Steve Casting: Costa & Loreti 17 Film alter, allenatore di una squadra di pallavolo femminile, è diventato padre di un bel bambino. La sua felicità, però, è smorzata dai continui rifiuti di Monica, sua moglie, ad avere rapporti sessuali con lui. Gli amici gli consigliano di farsi un’amante, ma il fedelissimo Walter esclude categoricamente questa possibilità. Questo fino a quando, durante una trasferta, si lascia sedurre da Eva, una delle sue giocatrici. La ragazza, follemente innamorata, è convinta che il suo allenatore lascerà la moglie per lei e, quando questo non avviene, furibonda racconta tutto alla rivale. Monica sconvolta caccia il marito di casa. Eva, però, capisce di aver sbagliato e cerca di rimediare facendo tornare insieme Walter e sua moglie. Diego e Chiara sono dei litigiosi vicini di casa. Caratterialmente molto diversi, donnaiolo e frivolo lui, rigorosa e convinta animalista lei, non perdono occasione per punzecchiarsi e rinfacciarsi i reciproci difetti. Una sera, però, Diego interpretando male una situazione ci prova con Chiara. Lei lo rifiuta e da quel giorno l’uomo diventa impotente. Dopo aver escluso la causa fisiologica, Diego va da uno psicoterapeuta che gli consiglia di fare del sesso con la vicina per sbloccarsi. L’impresa è ardua e per riuscire nell’intento si finge interessato alla questione animalista e parte con lei per salvare le balene. Chiara è molto sospettosa, ma Diego con il suo impegno le fa passare ogni dubbio. In realtà, durante la missione, i due si innamorano e tornati in patria iniziano una rela- W Tutti i film della stagione zione. Tutto va bene, inclusi i problemi di salute di Diego, fino a quando Chiara non ascolta parzialmente una chiacchierata fra il fidanzato e il terapista. Furibonda lo lascia e scappa per una impresa ambientalista. Diego la insegue, la rassicura e ritornano insieme. Andrea e Marta sono grandi amici, nonché coinquilini. Purtroppo si innamorano della stessa ragazza, Francesca, che, indecisa su chi scegliere, innesca fra i due una tremenda rivalità. L’amicizia si logora e termina quando Francesca decide di mettersi con Andrea. Il ragazzo, però, ci ripensa e la lascia, preferendo ricostruire l’amicizia con Marta. Nicoletta scopre che suo marito la tradisce. Lo caccia di casa e prova a rifarsi una vita. Non più giovanissima è a disagio negli ambienti mondani dove confonde le attenzioni dei gigolò per reale interesse nei suoi confronti. La donna in piena crisi si sente vecchia e poco desiderabile. Un suo collega di lavoro, Renato, però, è segretamente innamorato di lei e in attesa del momento giusto per dichiararsi. L’occasione non arriva mai, per questo l’uomo, con la complicità dei colleghi, finge un blocco alla porta elettrica degli archivi sotterranei proprio quando Nicoletta è con lui e si dichiara. La donna, lusingata, accetta di iniziare una relazione con collega e disdice l’appuntamento con il chirurgo plastico. N uova commedia corale per Fausto Brizzi. Potrebbe bastare solo questa frase per recensire Ma- schi contro Femmine, ma il rischio, sempre dietro l’angolo, di fuorviare il lettore, impone una spiegazione più esaustiva per questa radicale e ambivalente proposizione. I film di Brizzi, a onor del vero, non sono “scadenti” nel senso comune del termine, anzi, sono colorati, spiritosi, non volgari e, si potrebbe azzardare, perfetti per per una serata non impegnativa con gli amici, ma sono tutti uguali. Irrimediabilmente uguali. Un girotondo di personaggi scialbi con problemi sentimentali che strizzano l’occhio allo spettatore e lo coinvolgono in intrecci tanto frivoli quanto scontati. Anche Maschi contro Femmine è così. Due amici che litigano per la stessa ragazza, un marito fedigrafo con i sensi di colpa, una donna di mezza età tradita con una più giovane e una coppia di vicini di casa indecisi se fare la guerra o l’amore. I dialoghi sono brillanti e qualche trovata esilarante, ma manca la sostanza. Il gioco della lotta fra i sessi è gestito da dei personaggi convenzionali e fin troppo caratterizzati, personaggi che negli ultimi anni sono stati sfruttati inverosimilmente da un cinema dal respiro corto che non ha voglia di andare “oltre”. Anche perché il pubblico fidelizzato non glielo permette. La conferma a tutto ciò viene dall’uscita a breve di Femmine contro Maschi, una scelta rischiosa riservata un tempo solo ai grandi che, però, ora ha più le fattezze di un metro che impietoso ci ricorda il livello e la fame di Cinema nel nostro Paese. Francesca Piano POTICHE-LA BELLA STATUINA (Potiche) Francia, 2010 Regia: François Ozon Produzione: Eric Altmeyer, Nicolas Altmeyer per Mandarin Films/FOZ/France 2 Cinéma/Mars Distribution/Wild Bunch/Scope Pictures; con la partecipazione di Canal+/TSP Star/France Télévisions/Région Wallone Distribuzione: BIM Prima: (Roma 5-11-2010; Milano 5-11-2010) Soggetto: tratto dall’ opera teatrale omonima di Pierre Barillet e Jean-Pierre Grédy Sceneggiatura: François Ozon Direttore della fotografia: Yorick Le Saux Montaggio: Laure Gardette Musiche: Philippe Rombi Scenografia: Katia Wyszkop Costumi: Pascaline Chavanne Co-produttore: Genevieve Lemal Direttori di produzione: Roger Schins, Pierre Wallon Casting: Sarah Teper Aiuti regista: Hubert Barbin, Alexandra Gayzal Trucco: Aurélie Elich Acconciature: Jean-Jacques Puchu Coordinatore effetti visivi: Berengere Dominguez Suono: Pascal Jasmes Interpreti: Catherine Deneuve (Suzanne Pujol), Gérard Depardieu (Maurice Babin), Fabrice Luchini (Robert Pujol), Karin Viard (Nadège), Judith Godrèche (Joëlle), Jérémie Renier (Laurent), Sergi López (autista spagnolo), Evelyne Dandry (Geneviève Michonneau), Bruno Lochet (André), Elodie Frégé (Suzanne giovane), Gautier About (Babin giovane), Jean-Baptiste Shelmerdine (Robert giovane), Noam Charlier (Flavien), Martin de Myttenaere (Stanislas) Durata: 103’ Metri: 2830 18 Film iamo nel 1977. Suzanne è una bella signora dell’alta borghesia di una cittadina francese. Suo unico ruolo nel mondo è quello di essere la moglie di Robert Pujol, proprietario di una importante fabbrica di ombrelli (ereditata dal suocero), e madre dei suoi due figli. Durate i tumultuosi anni ’70, anche la fabbrica di Robert è investita dagli scioperi, ma l’inflessibile imprenditore rifiuta qualsiasi forma di dialogo con i lavoratori. La lotta sindacale si fa dura, tanto da costringere il “padrone” in un letto d’ospedale, occasione in cui le redini dell’azienda vengono prese dalla moglie. Inizialmente (ma solo inizialmente) spaesata, Suzanne scopre gli errori del marito, compresa la sua relazione con la segretaria. In poco tempo però, a dispetto di ogni previsione e sotto gli occhi increduli dei familiari, Suzanne si rivela un’imprenditrice abile e capace (grazie anche a una vecchia romantica liaison con il sindaco di sinistra che le fa da sponda nelle relazioni con i lavoratori). I figli in primis devono quindi ricredersi sulla propria madre, considerata una “bella statuina” e invece in grado, più del maschilista e autoritario padre, di poter risolvere il contrasto interno alla fabbrica accordando condizioni di lavoro più umane. Ma Suzanne non si limita allo stretto necessario, anzi: porta avanti gli affari avviando nuove linee di produzione e registrando ottimi risultati. Le cose si complicano quando Robert vuol tornare al lavoro e Suzanne non vuole cedergli il posto. Così, tra un colpo di scena e l’altro, il vecchio padrone riesce a riprendere lo scettro del comando, ma Suzanne, decisa a non restare più a margine della propria vita, si tuffa in una nuova avventura. Tutti i film della stagione S spirato all’opera teatrale omonima di Pierre Barillet e Jean-Pierre Grédy, Potiche è una commedia brillante, girata – sin dai titoli di testa – in stile anni ’70. La protagonista, interpretata da una formidabile Catherine Deneuve, prende pian piano coscienza delle proprie potenzialità e si affranca (sostenuta dalla partecipazione emotiva del pubblico) dal ruolo di moglie remissiva e madre scarsamente assertiva. Il racconto mette in scena la trasformazione dell’eroina da insicura e remissiva “signora Pujol” a decisa e vincente manager in modo incisivo e credibile, e si avvale di co-protagonisti ben descritti: l’ex-amante di sinistra (l’ottimo Gerard Depardieu) e il marito despota e reazionario (Fabrice Luchini) creano un triangolo dalle dinamiche classiche ma efficaci. L’ambientazione, in certi frangenti palesemente kitsch, sottolinea le assurdità del mondo maschilista contro cui la protagonista impara a lottare. Accanto al riscatto del- I la protagonista dal ruolo di “casalinga disperata” cui l’aveva relegata il marito, la pellicola non manca, poi, di accennare alla più ampia realtà di cambiamento sociale in cui la storia di Suzanne ha luogo: le rivendicazioni degli operai, che diventano incidente scatenante per il percorso della protagonista, danno spessore maggiore a una vicenda altrimenti del tutto privata. La capacità di Suzanne di conciliare le opportunità aziendali e le ragioni sindacali la rende un’eroina attuale e con la cui storia lo spettatore empatizza immediatamente. Un’altra caratteristica che fa della Deneuve-Suzanne un’eroina contemporanea, sta nel suo mantenere il proprio status di classe e di genere anche quando è a capo dell’azienda: incontrare i lavoratori in visone e gioielli non è, come le fanno notare, un affronto per gli operai, ma un riconoscere l’importanza che hanno per lei. Insomma, Suzanne è naif, ma vincente: non si omologa al modello di direzione maschile (o maschilista) ma crea un suo stile. E funziona. Dal punto di vista formale, François Ozon firma un film in cui dialoghi, il ritmo e le musiche ben si accordano per rendere la pellicola godibile e divertente. Tiziana Vox IN CARNE E OSSA Italia, 2008 Regia: Christian Angeli Produzione: Patrizia Tallarico per Luna Film Distribuzione: Iris Film Prima: (Roma 5-11-2010; Milano 5-11-2010) Soggetto e sceneggiatura: Gianni Cardillo, Christian Angeli Direttore della fotografia: Giovanni Battista Marras Montaggio: Giancarlo Torri Musiche: Andrea Terrinoni Scenografia: Carolina Ferrara Costumi: Chiara Ferrantini Casting: Jorgelina Depetris Pochintesta Suono: Luca De Gregorio, Daniele Maraniello, Giovanni Paris Interpreti: Alba Caterina Rohrwacher (Viola), Luigi Diberti (Edoardo), Maddalena Crippa (Alice), Ivan Franek (François), Barbara Enrichi (pazìente di François), Lena Reichmut (Chiara) Durata: 81’ Metri: 2400 19 Film iola è in casa, si lamenta di avere la nausea, nessun medico la capisce e le gocce che le da il padre non bastano. Lui diceva che sarebbe guarita, e invece lei nella malattia ci sta sempre peggio. La madre Alice suona il pianoforte. Il padre Edoardo è ai domiciliari. I due si approssimano alle nozze d’argento. La famiglia vive in una villa in mezzo al bosco. Viola, che di anni ne ha 25, se ne sta chiusa nella sua stanza. Attendono l’arrivo di François, psichiatra francese cugino di Alice, per un consulto sulla ragazza. Edoardo parla al telefono con Chiara Torre, un politico. Lui era molto amico di suo padre e ora insiste perché lei gli offra una candidatura: gli rimangono da scontare solo 4 mesi e alla fine potrà sfruttare in campagna elettorale tutto quello che ha subito. François è l’amante della donna. All’arrivo dell’uomo, Viola corre a chiudersi nella sua stanza. Durante la cena, François s’informa di Viola: la ragazza sta coi genitori da 7 anni, da quando è morta la madre di Edoardo. Hanno provato tanti specialisti. François nota che, dalla documentazione, pare che la ragazza soffra di anoressia, ma la patologia su cui intervenire è la depressione. Alice sostiene che Viola rifiuta di curarsi, che sta sempre male. François fa domande, ma le risposte di Edoardo e Alice non sono univoche. Anche nel periodo in cui viveva con la nonna, Viola soffriva di disturbi, che esplodevano allorquando, una volta al mese, andava a stare con loro. In certi istanti Edoardo si annebbia e rimane immobile. François va in camera di Viola, ma la ragazza non gli apre, mentre scrive e fa disegni, anche sul suo corpo. La mattina dopo lo psichiatra trova per terra, a distanza l’uno dall’altro, una serie di libri inquietanti, con alcune pagine in evidenza. Alice nota che Viola divora i libri; poi esce a fare una passeggiata con François, confessando che lei non voleva figli e il marito invece subito. Per Alice fu un periodo durissimo, sia la gravidanza che il post parto. Quando aveva 5 anni, hanno affidato Viola alla nonna. Alice si lamenta che Edoardo, che ha sempre aizzato la figlia contro di lei, l’abbia attratta con l’illusione di una vita felice, e invece hanno avuto solo debiti e malattie. “Perché non vi siete separati?” chiede François. “Non ci riusciamo”, risponde Alice. Edoardo, frattanto, preleva alcuni file dal portatile di François. Alice continua il suo racconto: suo padre affidò a Edoardo la direzione della clinica, ma poi hanno dovuto venderla per pagare i debiti, in quanto il marito fu accusato in un processo di aver praticato l’eutanasia sui malati terminali. V Tutti i film della stagione Poiché Viola non si sente pronta a incontrarlo, François decide di ripartire, promettendo di tornare in seguito. Edoardo lo invita a non credere a quanto afferma Alice: lui è un ottimo marito e lei la migliore moglie possibile. Lungo il viale innanzi la villa, sbuca all’improvviso Viola. François la investe con l’auto e lei cade. La riporta a casa e i due parlano. Viola dice che ha bisogno di lui, perché sta male. Afferma che si vergogna a farsi vedere e che spera di morire presto. François osserva che le medicine aiutano, ma non bastano, dev’essere lei a decidere di guarire. Edoardo continua le sue indagini su François, che è accusato di aver praticato l’elettrochoc sulle sue pazienti. L’uomo intanto fa una passeggiata nel bosco con Viola, affermando che il contatto con la natura e i propri sensi rende la vita stimolante, che la creatività – scrivere, dipingere – può salvare le persone. “Il mezzo più semplice per essere felici è proprio amare” afferma poi François. Ma la ragazza non ha mai provato l’amore, l’entusiasmo, la passione. E lo invita ad avere compassione di lei. Quella sera, Viola si accomoda nuovamente a tavola e riprende a mangiare. I genitori ne sono sorpresi. Poi accusa la madre di averle fatto credere di essere brutta fin da quando era piccola. Inizia a ingozzarsi e ferisce alla mano François, che le aveva ordinato di fermarsi. François telefona a Chiara, notando che quello di Viola è un caso interessante, ma complicato, l’anoressia è solo quello che si vede... Il ruolo dell’amante inizia intanto a farlo soffrire. La mattina dopo, Viola spunta alle spalle di François nel bosco, chiedendogli con impeto di Chiara. Poi lo invita a strapparle un capello, così quando non ci sarà più potrà ricordare di lei. Edoardo guarda dei video: una donna racconta di essere stata abusata sessualmente da François, ma a lei piaceva, la faceva stare bene. Quindi telefona a Chiara, mettendola in guardia che se la faccenda di François con le sue pazienti finisce sui giornali, insieme alla sua relazione con l’uomo, sarebbe una catastrofe. Pertanto è bene verificare le prove. Viola detta a François una provocante lettera d’amore rivolta a lei, quindi lo bacia e gli dichiara il suo amore, ma lui la respinge, ama un’altra. Lei minaccia di ammazzarsi, lui la disarma e la schiaffeggia. Poi si rappacificano. Intanto anche i genitori si accorgono che Viola sta tentando di sedurre François. Edoardo sviene, poi si riprende. Secondo François potrebbe morire presto. Gli consiglia pertanto di smettere di bere e fumare. 20 François deve partire. Raccomanda a Viola di seguire la cura che le ha prescritto, mentre per lo psicoterapeuta che deve occuparsi del suo caso si farà sentire. L’uomo è in auto. Quando passa su una duna, cade il sedile e scopre Viola nascosta nel bagagliaio. La fa scendere sostenendo che ha superato ogni limite, ma lei afferma che lo ama e che quando sarà morta per lui lo capirà. Viola torna a casa. Apre il cassetto della scrivania del padre, in cui è riposta una pistola. Si accende lo schermo del computer, ove la ragazza scopre uno scritto del genitore, un romanzo-diario sulla storia di lei, narrata proprio dal punto di vista della ragazza, dal titolo ‘Tua, malata’. Lei legge e piange. Un passo recita: “Alcune persone si ammalano, o fingono, per ottenere compassione, attenzioni, controllo sugli altri. Si chiama sindrome di Munchausen. A me invece l’ha procurata mio padre. Se chi ti vuole bene dice che sei malata e continua a sottoporti a esami e terapie, tu ti senti malata e stanca. Ero riuscita a realizzare il mio sogno di bambina: diventare sottile come un foglio di carta che il vento poteva portare via. Mi sentivo così stanca da voler morire”. François si vede con Chiara, ma non sa che è l’ultima volta. La donna gli lascia infatti una lettera nella giacca. Viola sostiene che la madre la odia e per suo padre è solo una cavia: adesso che François se n’è andato è completamente sola. Così s’imbottisce di pillole. Il giorno dopo, richiamato da Edoardo e Alice, fa ritorno François, perché la ragazza, dopo aver vomitato, non ha fatto altro che chiedere di lui. L’uomo si lamenta che gli ha rovinato la vacanza, ma lei subito s’informa di Chiara. Edoardo nota che, da quando è arrivato, Viola si è sforzata di apparire ogni giorno più normale. È bastato che se ne andasse, perché crollasse. Se l’uomo resta, c’è il rischio che si illuda, se se ne va, quello che ci riprovi... François trova la lettera con cui Chiara lo lascia. La felicità esiste, ma lei non se la può permettere, scrive la donna. Forse la storia con le sue pazienti non è vera, ma se quelle dichiarazioni diventassero pubbliche, lei non riuscirebbe a sopportare lo scandalo. Se fosse libera dalla sua immagine pubblica, si ucciderebbe piuttosto che lasciarlo. Lui è stato tanto per lei, non permetterà che diventi poco, preferisce che sia nulla. L’uomo piange. Durante la cena, François confessa che Chiara lo ha piantato, e chiede se può restare lì qualche giorno. Edoardo e Alice hanno un crudele diverbio verbale: lui sviene, lei prova a baciare François, mentre Edoardo chiede aiuto a Viola, che non può aiutarlo, sostenendo che è malata. Film Dopo un po’, François va in camera di Viola e la trova a pregare, poi la possiede con violenza. Quindi è lei ad amarlo con dolcezza. La mattina dopo, con pochi bagagli in mano, i due sono pronti alla fuga. I genitori se ne accorgono e provano invano a bloccarli. Edoardo telefona a Chiara: lei lo invita a non farsi più sentire. Mentre suona, Alice avverte uno sparo. Scende e trova Edoardo alla scrivania, con la pistola puntata alla testa e gli chiede: “Pensi che adesso ti farò da infermiera?”. Lui la invita a organizzare la festa per le loro nozze d’argento. Il film si conclude con Viola e François, sereni, in auto. itratto dello sfacelo di una famiglia borghese, psicodramma in salsa italiana, In carne e ossa è un film della solitudine, dell’incomunicabilità, della disfatta esistenziale... Alice riesce a esprimersi solo con la musica. Nella scena in cui, mentre suona, entra Viola, sbaglia accordo appena percepisce la presenza della figlia alle sue spalle: è una delle note stonate della sua vita. Edoardo, come un burattinaio, s’illude di tenere in mano le fila del mondo, della sua vita e di quella di sua figlia, dallo spazio inviolabile e rassicurante di casa sua, tramite il cellulare o via internet. L’uomo, contrariamente alla moglie, tende a minimizzare la gravità della malattia di Viola, forse perché, pur se difficile da credere, è stato proprio lui a provocarla e intende adesso mantenerla. Ritenendosi brutta e malata (il titolo fa riferimento alla sua condizione di anoressica), e non riuscendo a trovare una propria identità, la propria libertà, Viola vede in François una possibilità di redenzione e vi si aggrappa, pur reagendo a suo modo. È l’unica che si salva dal frastagliato panorama di violenze psicologiche nel quale è immersa. François infatti la aiuta e poi la porta via con sé, in preda forse all’entusiasmo di quei momenti, o dopo la struggente delusione dell’abbandono da parte della sua amante, non si capisce bene verso quale futuro. Durante un pasto, Alice aveva chiesto allo psichiatra se qualche donna lo avesse amato solo per compassione. Lui supponeva di sì, sentendosi pertanto in dovere di amare a sua volta una donna di cui avesse pietà. Forse è per questo che si fa carico di Viola, o solamente per salvarla dalle sottili e devastanti lotte psicologiche dei genitori, delle quali la ragazza è vittima e da cui senza dubbio scaturisce anche parte dei suoi turbamenti. Nella quieta apparenza di una vita che scorre serena in una casa immersa tra i boschi, v’è invece un ribollire interiore di R Tutti i film della stagione sentimenti e desideri, ambizioni e frustrazioni. Il sesso, molto discusso e poco praticato, diviene un’ossessione asfittica. S’intuisce che la vita di Edoardo e Alice è costellata di fallimenti e tormentata dall’insoddisfazione, senza vie d’uscita: lei è una pianista, ma suona solo per se stessa, mai alludendo a una sua attività concertistica. Lui ha portato al dissesto la clinica del suocero, è stato arrestato con l’accusa di aver praticato l’eutanasia, vuole candidarsi in politica ma la sua protettrice, interessata solo alla carriera e alle apparenze, lo scarica, come pure molla il suo giovane amante François. Marito e moglie, che forse un po’ si amano, o si sono amati; adesso per lo più si disprezzano, ma non hanno il coraggio di separarsi. Viola è il frutto di questo interiore logorio: è sola, fragile, insicura, visitata da incubi e pensieri luttuosi. Le fanno compagnia i libri, la musica, i suoi pasti a base di biscotti e caffè, nel chiuso della sua stanza, buia, nella quale impera, come in tutta la casa, una luce soffusa, autunnale, decadente come l’animo dei protagonisti. Certo, temi tanto intensi quanto delicati come la malattia mentale e queste affliggenti dinamiche familiari avrebbero meritato un approfondimento maggiore. Rimane il tentativo di un film impegnato, a tratti duro, veramente d’autore. Opera prima di Christian Angeli, ambientata all’interno di una villa isolata, ove tre esistenze, pur se a strettissimo contatto, proce- dono parallele e ciascuna per binari suoi propri, presenta lo sconvolgimento dell’arrivo di un ospite che turba i già precari equilibri familiari. Il suo avvento, tuttavia, non è casuale: Alice, che da lui si sente attratta, attende lo stimolo per lasciare definitivamente il marito. Edoardo, invece, fruga tra i recessi oscuri dell’attività professionale dell’uomo, e nella memoria del suo pc, per fornire prove della sua colpevolezza alla di lui amante, la politica Chiara Torre, e così arruffianarsela in vista di una sua candidatura. Ma tra i due litiganti... gode solo la figlia. Quando infatti scopre, leggendo per caso il diario-romanzo del padre, che la sua malattia è alimentata dai comportamenti del genitore (le inutili medicine somministrate, le parole che le rivolgeva da bambina, i suoi atteggiamenti), si scatena in Viola, dopo lo choc, la forza di emanciparsi sia dal ruolo di malata, che da quello di figlia. La avvantaggia un’improvvisa e inattesa decisione di Chiara, amante di François, ma implicitamente la aiuta il padre stesso, propiziando con la sua soffiata la rottura tra i due amanti. Con la fuga, si apre alla ragazza un nuovo orizzonte, la possibilità di una vita luminosa, oltre la grigia cortina di casa sua, ove il padre e la madre continueranno a odiarsi rimanendo insieme. Adesso Viola ha davvero in mano tutte le potenzialità dell’esistenza. Luca Caruso L’ESTATE DI MARTINO Italia, 2010 Regia: Massimo Natale Produzione: Mario Mazzarotto per Movimento Film/Rai Cinema Distribuzione: Movimento Film Prima: (Roma 19-11-2010; Milano 19-11-2010) Soggetto: tratto dalla sceneggiatura Luglio 80 di Giorgio Fabbri (Premio Solinas 2007) Sceneggiatura: Giorgio Fabbri Direttore della fotografia: Vladan Radovic Montaggio: Paola Freddi Musiche: Roberto Colavalle Scenografia: Sabrina Balestra Costumi: Alessia Condò Produttore esecutivo: Linda Vianello Direttore di produzione: Linda Vianello Collaborazione artistica: Giuseppe Eusepi Aiuto regista:Giuseppe Eusepi Suono: Michele Tarantola, Luca Bertolin Interpreti: Treat Williams (Capitano Jeff Clark), Luigi Ciardo (Martino), Matilde Maggio (Silvia), Pietro Masotti (Massimo), Matteo Pianezzi (Luca), Simone Borrelli (Andrea), Renata Malinconico (Serena), Benjamin Francorsi, David Hartcher (militari), Silvia Delfino (madre di Martino), Marcello Prayer (padre di Martino) Durata: 85’ Metri: 2330 21 Film l 2 agosto del 1980 una ragazza esile e dai lunghi capelli biondi si appresta a scendere dal treno alla stazione centrale di Bologna. Mancano pochi minuti alle 10:25, quando una bomba rudimentale porrà fine all’esistenza di ottantacinque persone. Ma, prima che l’esplosione provochi l’effetto distruttivo, l’azione si blocca e inizia un lungo flashback, che porta lo spettatore su un anonimo litorale pugliese. È il 27 giugno dello stesso anno, ossia il giorno del disastro aereo di Ustica, dove persero la vita ottantuno individui. Su quella lingua di sabbia arsa dal sole, un adolescente di nome Martino guarda al di la di una rete le onde infrangersi sulla costa. Sebbene il cartello posto in alto vieti a chiunque di oltrepassare quella delimitazione, la tentazione di tuffarsi in acqua per il giovane è troppo forte. Poco importa che per avverare il suo desiderio debba effettuare un buco tra le maglie della recinzione e varcare una zona militare statunitense. Nel frattempo, la sua mente si perde nei particolari di una vecchia storia che la madre defunta gli raccontava spesso da bambino, per farlo addormentare. La favola ruotava intorno al coraggioso eroe Dragut, il quale per amore aveva sfidato il mare aperto, rifuggendo da qualsiasi porto o riparo sicuro. Tuttavia, l’emergere di quei ricordi infantili viene interrotto bruscamente dalla comparsa all’orizzonte di Massimo, il fratello maggiore di Martino. Costui, con fare piuttosto manesco, riaccompagna il minore a casa. Qui li attende il genitore paterno: un operaio comunista dal volto scavato e dagli occhi segnati dalla perdita della moglie e dai grattacapi che gli procura il secondogenito. La sera successiva, il piccolo protagonista si reca di nuovo sulla spiaggia riservata all’esercito americano, dove incontra il fratello in compagnia della sua fidanzatina Silvia e degli amici. A quanto pare, i giovani sono intenti a preparare l’occorrente per un falò. Appena Martino incontra lo sguardo pieno di vita di un fiore raro come Silvia, se ne innamora perdutamente. Se Martino non può che ignorarlo, il pubblico – appena riconosce in Silvia i tratti somatici della passeggera scesa dal vagone ferroviario a Bologna – sa già quale destino toccherà in sorte alla fanciulla. La mattina dopo, Martino e Silvia si rincontrano sempre lungo quell’arenile, ora solcato dalle tavole da surf di tre soldati U.S.A. Essendoci pure i compagni della combriccola di Massimo, lo scontro tra italiani di fede comunista e gli americani non tarda a scoppiare, dal momento che le ragazze del gruppo sembrano piuttosto affascinate dagli addominali scolpiti I Tutti i film della stagione di quei “danzatori sull’acqua”. A sedare la rissa, interviene il capitano Jeff Clark, cui in seguito Martino chiederà di insegnargli quello strano sport, finora pressoché sconosciuto sulla nostra penisola. L’ufficiale della base NATO accetta di aiutarlo a cavalcare le onde. Le lezioni avranno luogo la mattina presto, preferibilmente alle sette. Per il protagonista l’impresa si rivela più difficile del previsto, tanto che, a volte, l’idea di abbandonare il progetto gli balena nel cervello. Ma, come gli suggerisce lo stesso capitano, non c’è niente di meglio che rituffarsi subito in acqua per dare un colpo di spugna a quei brutti pensieri. Durante gli addestramenti, spesso l’adulto e il piccolo uomo si confessano i propri pensieri e stati d’animo. Così, Martino viene a sapere che il capitano Clark ha un figlio, dimessosi improvvisamente dall’esercito per cercare altrove il senso di una vita, che non debba per forza assecondare le aspettative nutrite dal padre. Seppure il ragazzo non abbia molte esperienze sulle spalle, riesce quantomeno a comunicare al milite la sensazione di estraniamento che provano molti giovani della sua generazione o di quella poco anteriore. L’amicizia particolare nata fra i due potrebbe – però – bruscamente si interrompe, allorché all’orecchio del genitore di Martino giungono strane voci. Pertanto, l’operaio lascia la fabbrica durante l’orario di lavoro e si precipita sulla spiaggia, per guidare il figlio fino all’appartamento. Non sarà comunque un pugno sferrato dal padre in un attimo d’impazienza a distogliere l’adolescente dalla passione per il surf, soprattutto dopo che il capitano Clark fa dono al suo nuovo confidente di una tavola delle dimensioni di un ragazzo. Nel frattempo, anche sul fronte sentimentale la situazione migliora. Infatti, tra Martino e Silvia l’intimità aumenta, nonostante lei non si sia ancora decisa a rompere con Massimo. Una sera, poco prima del ritorno in Emilia Romagna della fanciulla, i due trascorrono intere ore sulla costa, scambiandosi baci e carezze. L’incanto termina la mattina seguente, quando Massimo sull’arenile s’imbatte nel fratello minore e in quella che – a tutti gli effetti – è ancora la sua fidanzata. Massimo stizzito da quell’ambigua circostanza, ipotizza a gran voce che entrambi l’hanno voluto fare becco alle sue spalle, ma Silvia con fare tenero lo distoglie dalla realtà. Persuaso dalle parole della giovane donna, Massimo smette di vituperare contro la partner. Diverso, invece, il modo con cui si relaziona con il fratello, reo colpevole – a suo parere – di avergli mentito. Stanco delle ripetute angherie di Massimo, Martino afferra una pietra tra la sabbia e la scaglia contro 22 quel prepotente, procurandogli una ferita per cui occorrono ben quindici punti di sutura. Piuttosto che andare a trovare Massimo all’ospedale dove è stato ricoverato, Martino sceglie di dire addio al capitano Clark, che di lì a qualche giorno farà ritorno in patria al fine di ritrovare suo figlio. Il protagonista evita la solita cerimonia tragica fatta di abbracci, baci e lacrime, preferendo lasciare sulla rete di ferro una polaroid scattata da Silvia che ritrae Martino insieme al graduato. A questo punto, termina il lungo flashback su cui si basa il lungometraggio e l’immagine ritorna a quel drammatico 2 agosto 1980. Grazie a un finale puramente inventato, nessuna bomba sconvolgerà la sala d’aspetto dello scalo ferroviario di Bologna. A chilometri di distanza da lì, su quella ormai familiare spiaggia pugliese, Martino provocherà una deflagrazione portando a galla un vecchio ordigno militare, risalente alla seconda guerra mondiale. ’estate di Martino è la prima opera cinematografica del noto regista teatrale Massimo Natale, che ha voluto dedicare il film alle ottantacinque vittime della strage di Bologna. Presentato nella sezione Alice del Festival Internazionale di Roma 2010, questo film a low budget è la trasposizione sul grande schermo dell’omonimo libro di Giorgio Fabbri, vincitore nel 2007 del prestigioso Premio Solinas. Le difficoltà esistenziali di un ragazzo che all’inizio degli Ottanta non aveva neppure quindici anni coabitano con una pagina inaccettabile della nostra epoca moderna, in cui perdura la famosa strategia del terrore inaugurata dal caso Moro. I fantasmi storici delle stragi praticamente contemporanee di Ustica e di Bologna fiancheggiano e si confrontano con la scrittura poetica della favola di Dragut ma, sia dal vero che dalla potenza del falso, trascende una certa tensione al malessere. Su un duplice asse espressivo si colloca anche il rapporto che Martino instaura con l’Altro e con i compaesani che, non appena si sentono bruciati nel vivo dell’esperienza personale, reagiscono cantando Bandiera Rossa. Aggredendo con l’obbiettivo un oggetto come una semplice tavola di legno, l’autore punta su un protagonista che applica una rottura nel sistema, non facendo altro che un’azione minima come perforare una rete. Alla maniera del celebre personaggio forgiato dalla penna di Lewis Carroll, Martino si getta a capofitto – si fa per dire – nell’oscuro e misterioso “buco del coniglio”, penetrando in una sorta di zona di confine che lo L Film spiazza e spazza via in un secondo tutte le maldicenze raccontate dal padre sul conto degli americani. Qualcosa del genere avviene pure per il capitano Clarck. Tra le tante lezioni di surf che impartisce al giovane, è proprio il taciturno militare a beneficiare del precetto più importante: il dialogo umano. A questo proposito, era assolutamente necessario “sbattere” bene in primo piano l’intensa intesa che si crea Tutti i film della stagione fra l’esordiente Luigi Ciardo e un attore navigato come Treat Williams. Bisogna ammettere che la pellicola di Natale ha una struttura che, a prima vista, potrebbe sembrare alquanto sgangherata, giacché paradossalmente poco dopo i titoli di coda ci dice che il personaggio femminile principale perirà, per colpa di quelli che ancora oggi – a venti anni esatti di differenza – sono ancora dei perfetti scono- sciuti. Ma, nulla è mai chiaro e già dato sembra suggerire il finale, essendo la componente naturalistica sostituita da una congiuntura poco plausibile eppur probabile. Esattamente come l’americano Sliding doors, L’estate di Martino permette di interrogarci su quanto il destino non sia altro che un cieco gioco d’incastri. Maria Cristina Caponi NOI CREDEVAMO Italia, 2009 Regia: Mario Martone Produzione: Carlo Degli Esposti, Conchita Airoldi, Giorgio Magliulo per Palomar/ Les Films d’Ici in collaborazione con Rai Cinema/Rai Fiction/Arte France Cinéma Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 12-11-2010; Milano 12-11-2010) Soggetto: liberamente ispirato a vicende storiche realmente accadute e al romanzo omonimo di Anna Banti Sceneggiatura: Giancarlo De Cataldo, Mario Martone Direttore della fotografia: Renato Berta Montaggio: Jacopo Quadri Musiche: Hubert Westkemper Scenografia: Emita Frigato Costumi: Ursula Patzak Produttore associato: Carlo Cresto-Dina Co-produttore: Serge Lalou Line producer: Patrizia Massa Direttore di produzione: Erik Paoletti Organizzatore generale: Patrizia Massa Casting: Paola Rota, Raffaele Di Florio Aiuti regista:Paola Rota, Raffaele Di Florio, Sara Casani, Alice Filippi, David Maria Putorti, Vincenzo Rosa, Valérie Tristan Operatore: Renaud Personnaz Trucco: Vittorio Sodano, Federico Carretti, Alessandro D’Anna, Rossella Gregorio, Katia Sisto 829. Davanti alla brutale uccisione dei banditi Capozzoli, promotori di una rivolta repressa nel sangue dall’esercito borbonico, tre giovani, Domenico, Angelo e Salvatore, giurano di dedicare la propria vita alla libertà e all’indipendenza dell’Italia. Qualche anno dopo, i tre, lasciata la natia terra del Cilento, si affiliano alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini che è esiliato a Ginevra nel 1831. I giovani si spostano a Parigi dove frequentano Cristina di Belgiojoso, principessa, convinta patriota, donna emancipata, paladina dei diritti delle donne e del diritto all’istruzione per il popolo. I tre partecipano al fallito tentativo di assassinare re Carlo Alberto, per il quale il giovane rivoluzionario Antonio Gallenga detto ‘Procida’ si ritirò all’ultimo momento, e ai moti savoiardi del 1834 organizzati da Mazzini. Ma, proprio il fallimento di 1 Acconciature: Aldo Signoretti, Luca Vannella Ricerca iconografica e musicale: Ippolita Di Majo Suono:Gaetano Carito, Maricetta Lombardo, Silvia Moraes Musiche estratte: brani di Giuseppe Verdi, Vincenzo Bellini, Gioacchino Rossini eseguite dall’Orchestra Sinfonica della Rai di Torino diretta da Roberto Abbado Interpreti: Luigi Lo Cascio (Domenico), Valerio Binasco (Angelo), Toni Servillo (Giuseppe Mazzini), Francesca Inaudi (Cristina di Belgiojoso giovane), Luca Barbareschi (Antonio Gallenga), Luca Zingaretti (Francesco Crispi), Guido Caprino (Felice Orsini), Renato Carpentieri (Carlo Poerio), Ivan Franek (Simon Bernard), Anna Bonaiuto (Cristina di Belgiojoso), Pietro Manigrasso (detenuto), Pino Calabrese (maresciallo Del Carretto), Enzo Salomone (Barone Pica), Andrea Bosca (Angelo giovane), Andrea Renzi (Sigismondo di Castromediano), Franco Ravera (Antonio Gomez), Stefano Cassetti (Carlo Rudio), Michele Riondino (Saverio), Roberto De Francesco (Don Ludovico), Alfonso Santagata (Saverio o’trappetaro), Peppino Mazzotta (Carmine), Giovanni Calcagno, Vincenzo Pirrotta (attori della Vicaria), Edoardo Natoli (Domenico giovane), Luigi Pisani (Salvatore), Fiona Shaw (Emilie Ashurst Venturi) Durata: 170’ Metri: 4940 queste imprese, insinua nei giovani molti dubbi. La crisi dei loro ideali acuisce anche le differenze di classe che dividono i tre: da una parte Angelo e Domenico di estrazione nobiliare e dall’altra Salvatore, di estrazione popolare. Domenico riprende l’attività rivoluzionaria cospiratoria, mentre Angelo abbraccia una visione “demoniaca” e più violenta della rivoluzione e, in un accesso d’ira, uccide Salvatore accusandolo di essere divenuto una spia. Passano diversi anni e, trascorso il 1848, cade la Repubblica romana. Sorpreso da un’imboscata dell’esercito borbonico, Domenico viene arrestato e condannato a una lunga pena. Nel carcere di Montefusco, le amicizie di uomini come il duca Sigismondo di Castromediano lo aiutano a superare momenti difficili. Col passare del tempo, osservando i suoi compagni di carcere, Domenico si rende conto che si 23 allarga sempre più l’abisso che divide i repubblicani dai monarchici e gli aristocratici dai poveri. Domenico capisce che, se e quando ci sarà, l’unità non sarà di tutti gli italiani. Da repubblicano, egli soffre nell’assistere al brindisi con il quale i patrioti reclusi giurano fedeltà alla monarchia. Nel frattempo, Angelo, sempre più posseduto dal demone della violenza, si reca a Londra dove, entrato in contatto con i circoli radicali ispirati dal repubblicano francese Simon Bernard, lascia il movimento mazziniano e si lega a Felice Orsini. Quest’ultimo mette a punto un attentato a Napoleone III cui Angelo partecipa. L’attentato fallisce, ma le bombe esplose tra la folla provocano otto morti e centocinquanta feriti. È il 1858. Angelo viene arrestato e processato e muore sul patibolo accanto a Orsini. Tra la folla che assiste all’esecuzione, c’è Domenico, nel frattempo uscito Film di prigione. Intanto l’astro di Mazzini è in caduta libera anche tra i rivoluzionari europei e l’azione politica in Italia è passata alla monarchia piemontese ispirata da Cavour. L’animo di Domenico è in subbuglio e nemmeno l’unità d’Italia riesce a placarlo. Il Risorgimento si è risolto in una conquista di diverse parti della penisola da parte dei piemontesi, il cui atteggiamento è divenuto sempre più oppressivo nei confronti del sud. Domenico, ormai cinquantenne, ritorna nel suo sud dilaniato da una sanguinosa guerra civile e tenta di aggregarsi alla spedizione di Garibaldi nel tentativo di conquistare Roma contro il volere del neoparlamento italiano. Nelle campagne del Cilento, unendosi alle truppe garibaldine conosce il giovane Saverio che scopre essere il figlio del suo vecchio amico Salvatore, ucciso da Angelo quasi trent’anni prima. È il 1862. Fallita l’impresa sulle montagne dell’Aspromonte, Domenico non riesce a impedire che Saverio muoia ad opera della violenta repressione dell’esercito piemontese. Giunto in un parlamento popolato da ombre in cui risuonano le parole di Francesco Crispi che sancisce la definitiva rottura con gli ideali mazziniani e repubblicani, Domenico medita tristemente sul perché l’Italia sia nata così tragicamente. na delle tante polemiche suscitate dall’opera di Martone ha riguardato Mazzini, l’unico dei padri nobili del Risorgimento che emerge con una pennellata un po’ più decisa nel film, dove sono quasi del tutto esclusi (fatta eccezione per un ambiguo Crispi, esempio di trasformismo politico ante litteram) gli altri grandi padri della nostra epopea uni- U Tutti i film della stagione taria: di Garibaldi si intravede solo l’ombra abbagliante tra le truppe di camicie rosse, mentre Cavour è del tutto assente. Una parte della critica ha parlato di un “Mazzini terrorista”, di un uomo che aveva legami con un personaggio controverso come il conte Carlo Bianco di Saint-Jorioz, luogotenente dell’esercito piemontese membro della Carboneria internazionale, cospiratore e agente di collegamento con Mazzini, con il quale cooperò alla spedizione in Savoia nel 1834. Ricordando una frase lasciata dal padre della Giovine Italia nel “Manuale pratico del rivoluzionario italiano” del Saint-Jorioz, in cui affermava che “per ottenere la liberazione della patria anche i mezzi ritenuti come barbari nelle guerre regolari dovevano essere utilizzati per atterrire, spaventare, distruggere il nemico”, si è parlato di “strategia terroristica mazziniana”. Mazzini terrorista e “cattivo maestro di tattica stragista” o, per usare le parole di Giancarlo De Cataldo, cosceneggiatore del film di Martone e autore de “I traditori”, romanzo sui giovani padri della patria e “fratello” del film, “un tirannicida” a cui il terrorismo indiscriminato volto a seminare paura era però profondamente estraneo? Questione di lana caprina se si pensa che la storia della nascita di ogni nazione è sempre stata segnata da un battesimo nel sangue. È quindi errato pensare a un’eccezione italiana. Lo stesso regista ammette di aver pensato al film interrogandosi sul quel rapporto “quasi fisiologico” tra terrorismo e lotta per l’indipendenza. La vera anima del film sta semmai altrove. Posto che il merito dell’opera non sta tanto nel mostrare i lati oscuri e le contraddizioni del Risorgimento, già evidenziati in alcune opere di pregio del cinema 24 italiano (un titolo su tutti, Allosanfàn dei Taviani), la vera ombra che si allunga sul film e sulle vicende dei protagonisti, che vissero in modi diversi le lotte per l’unificazione della patria, sembra essere piuttosto quella di un’altra figura del nostro Risorgimento, Carlo Pisacane. Proprio l’eroe di Sapri, cui il film riserva solo un cenno, sembra invece essere la chiave di volta con cui leggere in filigrana le vicende che sono poste in primo piano nel film. Conviene andare per ordine. Con Noi credevamo Martone, con l’aiuto di De Cataldo, sceglie di mettere in luce tre figure “minori” del nostro Risorgimento (Domenico Lopresti, Giuseppe Andrea Pieri e Antonio Sciambra), attribuendo le loro vicende a tre personaggi di immaginazione. Uno dei tre personaggi, Domenico, è ispirato al protagonista del romanzo in cui Anna Banti racconta la storia del nonno cospiratore (Domenico Lopresti), “Noi credevamo” appunto, titolo che è talmente piaciuto al regista da farlo suo. Attorno alle vicende di Domenico, Angelo e Salvatore, che incarnano modi diversi di vivere l’esperienza della cospirazione e della lotta armata, il regista ha costruito l’impalcatura del racconto composta di fatti presi dalla documentazione storiografica. Ponendo volutamente sullo sfondo quelle dei padri storici, le storie di Domenico, Angelo e Salvatore sono lo specchio attraverso cui Martone rilegge i guasti e le radici già marce su cui è nata l’unità d’Italia. Una rivisitazione del nostro Risorgimento utile proprio in occasione del centocinquantenario dell’unità, che in ogni angolo del paese ci si appresta a celebrare, un film decisamente politico sul fallimento di ogni utopia di vera democrazia. Un’opera che, cogliendo l’occasione celebrativa, coglie la palla al balzo per porre l’accento su scomode verità. I giovani cospiratori poco conosciuti accanto ai volti appena accennati dei grandi del Risorgimento. Bel messaggio per le giovani generazioni. Peccato che ad affollare le sale, gremite anche per colpa di una sciagurata distribuzione in un numero irrisorio di copie, sia stato soprattutto un pubblico maturo. Un grande affresco, in cui, i momenti più farraginosi, vengono ripagati dalla grande prova di un cast di attori eccellenti, dal Domenico di Luigi Lo Cascio, al Mazzini di Toni Servillo, al Crispi di Luca Zingaretti, passando per le convincenti prove di Valerio Binasco, Guido Caprino, Luca Barbareschi. Una menzione a sé merita Francesca Inaudi nei panni dell’illuminata principessa di Belgiojoso. Martone tocca gli interrogativi più ur- Film genti per coloro che pagarono col sangue l’unità del paese: un’Italia monarchica o repubblicana? Meridionale o piemontese? È un po’ la dialettica dei “due Risorgimenti” l’anima del film, che si sente soprattutto nella parte centrale, la più verbosa e ostica ma la più interessante, quella in cui Domenico, in carcere, discute del futuro dell’Italia con altri illustri patrioti prigionieri. L’Italia nasce divisa, chi la vuole repubblicana, chi la vuole sotto la corona del Piemonte, chi parla di comune sentire rivoluzionario, chi persegue solo l’annessione di un sud dilaniato da una scia di sangue. Mazzini e l’idealismo tragicamente vissuto, Crispi e l’opportunismo politico: dualismo, conflitti, divisioni, ieri come oggi. E proprio dalla vicenda di Domenico, il più longevo dei tre, l’unico che riesce a vedere l’Italia unita e vera anima morale del film, appare chiara la silhouette del vero fantasma che aleggia nel sentimento e Tutti i film della stagione nelle lacerazioni di un giovane rivoluzionario, Carlo Pisacane. Se ripercorriamo tutta la vicenda del giovane idealista cospiratore, poi uomo maturo e disilluso all’indomani dell’unità d’Italia (Noi credevamo appunto), risuonano le parole del testamento politico dell’eroe di Sapri: “Alcuni dicono che la rivoluzione deve farla il paese: ciò è incontestabile. Ma il paese è composto d’individui e, poniamo il caso che tutti aspettassero questo giorno senza congiurare, la rivoluzione non scoppierebbe mai; invece se tutti dicessero: ‘la rivoluzione deve farla il paese, di cui io sono una particella infinitesimale, epperò ho anche io la mia parte infinitesimale da compiere, e la compio’ la rivoluzione sarebbe immediatamente gigante”. Uno dei grandi meriti dell’opera di Martone, che può vantare di aver evitato ogni inutile e fumosa retorica e che può anche permettersi il lusso di arditi e voluti anacronismi (come i piloni di cemento armato che si ergono nell’aspra campagna meridionale), è proprio quello di dimostrare come, alla conta dei fatti, il popolo fu più spettatore che protagonista, con buona pace delle convinzioni dell’eroe di Sapri, fautore di una democrazia “diretta e integrale” e dell’esigenza di mobilitare i più larghi strati popolari per portare avanti la rivoluzione italiana verso sbocchi che non la mortificassero. Suggello perfetto per una “storia di idealità tradite” (così il regista ha parlato del suo film riferendosi al collante che tiene uniti i quattro capitoli in cui è diviso), quella scena finale che parla con potenza allo spettatore. Il parlamento vuoto e le parole di un Crispi Presidente del Consiglio trasformista, reazionario, autoritario, ex mazzinano divenuto filo monarchico: la morte di uno, cento, mille ideali .... Ma non è la storia di oggi? Elena Bartoni UNA NOTTE DA LEONI (The Hangover) Stati Uniti, 2009 Regia: Todd Phillips Produzione: Daniel Goldberg, Todd Phillips per Warner Bros. Pictures/ Legendary Pictures/ Green Hat Films/ IFP Westcoast Erste Distribuzione: Warner Bros. Pictures Prima: (Roma 19-6-2009; Milano 19-6-2009) Soggetto e sceneggiatura: Jon Lucas, Scott Moore Direttore della fotografia: Lawrence Sher Montaggio: Debra Neil-Fisher Musiche: Christophe Beck Scenografia: Bill Brzeski Costumi: Louise Mingenbach Produttori esecutivi: Chris Bender, Scott Budnick, William Fay, Jon Jashni, J.C. Spink, Thomas Tull Co-produttori:David Siegel, Jeffrey Wetzel Direttore di produzione: David Siegel Casting: Juel Bestrop, Seth Yanklewitz Aiuti regista: Kevin O’Neil, Paul Schneider, Jeffrey Wetzel Operatori: Daniel C. Gold, Geoffrey Haley, Daniel Nichols, Robert Petrin Operatore Steadicam: Geoffrey Haley Art directors: Andrew Max Cahn, A. Todd Holland Arredatore: Danielle Berman oug sta per sposarsi con Tracy. Come addio al celibato il futuro cognato Alan, gli amici Phil e Stu lo portano per una notte a Las Vegas. Con la Mercedes del suocero, Doug si mette alla guida; durante il viaggio veniamo a scoprire che Phil è sposato con un figlio ed è un po’ insoddisfatto della vita, mentre Stu convive con Melissa, donna proibitiva ma che D Trucco: Patricia Androff, Keith Sayer, Janeen Schreyer, Susan Simone, Mary Kay Witt Acconciature: Merribelle Anderson, Lori McCoy-Bell, Alicia M. Tripi Supervisore effetti visivi: Gray Marshall Supervisori costumi: Charlene Amateau, Mitchell Ray Kenney Supervisori musiche: George Drakoulias, Randall Poster Interpreti: Bradley Cooper (Phil Wenneck), Ed Helms (Stu Price), Zach Galifianakis (Alan Garner), Justin Bartha (Doug Billings), Heather Graham (Jade), Sasha Barrese (Tracy Garner), Jeffrey Tambor (Sid Garner), Ken Jeong (signor Chow), Rachael Harris (Melissa), Mike Tyson (se stesso), Mike Epps (Black Doug), Jernard Burks (Leonard), Rob Riggle (agente Franklin), Cleo King (agente Garden), Bryan Callen (Eddie Palermo), Matt Walsh (dottor Valsh), Ian Anthony Dale, Michael Li (uomini di Chow), Sondra Currie (Linda Garner), Gillian Vigman (Stephanie), Nathalie Fay (Lisa), Chuck Pacheco (cliente dell’hotel), Jesse Erwin (cameriere hotel), Dan Finnerty (cantante di matrimoni), Keith Lyle (venditore del casino), Brody Stevens (agente Foltz), Todd Phillips (signor Creepy), Mike Vallely (Neeco), James Martin Kelly (poliziotto), Murray Gershenz (Felix) Durata: 100’ Metri: 2750 si concede appena può delle scappatelle. Arrivati a destinazione, prendono la suite superlusso del Caesars Palace. Alan si offre di comprare gli alcolici. Tutti e quattro salgono sul tetto dell’hotel per il brindisi. È il giorno seguente. Tutti si trovano nella suite tranne Doug che è scomparso. Al suo posto i tre amici trovano una gallina nel soggiorno, una tigre nel bagno e un bam- 25 bino nell’armadio. Nessuno si ricorda nulla della notte precedente. Il matrimonio sarà il giorno dopo: parte la caccia a Doug. Come una caccia al tesoro, iniziano la ricerca partendo dal braccialetto da ospedale che Phil si ritrova al polso. Non trovando neanche la Mercedes, rubano una volante della polizia. In ospedale, scoprono dalle analisi del sangue di Phil, che a tutti è stato Film somministrato del rufilin; sostanza stupefacente utilizzata negli stupri perché cancella la memoria delle 24 ore successive alla somministrazione. Spiegato il vuoto di memoria, il gruppo continua la ricerca nella cappella dove, a detta del medico, Stu si è sposato. Il ragazzo ha la conferma del suo matrimonio con una certa Jade, presunta madre del neonato che i tre hanno deciso di non abbandonare. Dopo esser sfuggiti a due forzuti malviventi, arrivano a casa della bella spogliarellista Jade, che si dimostra sinceramente presa da Stu. Irrompe la polizia: vengono arrestati per il furto della volante. Grazie alle doti oratorie di Phil, i tre vengono scagionati e recuperano la Mercedes, miracolosamente intatta. Dal portabagagli ne esce un cinese completamente nudo che picchia i tre e fugge via. Alan confessa che è stato lui a mettere la droga negli alcolici, pensando però che fosse ecstasy. Decidono, alla fine, di tornare nella suite dove trovano Mike Tyson: la tigre è sua. I tre sono costretti a riportare, con molta difficoltà, la tigre alla villa di Tyson per salvarsi dalle ire funeste dell’atleta. Fuori dalla villa, vengono ritrovati dai due bulli e dal loro capo malavitoso: il cinese. Il boss, pretende un’enorme somma di denaro in fish del casinò vinte assieme ad Alan, che sarebbero state poi rubate da Alan stesso. In realtà, il cinese e Alan, hanno semplicemente scambiato le loro borse. Se gli riporteranno i soldi: in cambio gli restituirà Doug, che i tre vedono incappucciato dentro una macchina. Non trovando la borsa, decidono di vincere nuovamente i soldi giocando al casinò. Vincono e fanno lo scambio. Non è il loro Doug. Tutti i film della stagione Disperati non sanno più dove cercare. Proprio allora Stu ha un’illuminazione: lo ritrovano sul tetto del Caesars, con tanto di insolazione e la borsa con le fish. Giungono in extremis alle nozze, che si concludono bene. Stu, innamoratosi di Jade, lascia una furente Melissa, mentre Phil capisce che solo con sua moglie è veramente felice. on lasciasi ingannare dalle apparenze: non è una parodia. Il disguido potrebbe nascere dall’infelice scelta della traduzione dal titolo originale The Hangover, letteralmente la sbornia, che ben poco ha in comune col film di Nanny Loy, Un giorno da leoni. Qui si parla della notte goliardica dell’addio al celibato. Tema già affrontato in diversi film come Cose molto cattive (1998), ambientato sempre a Las Vegas o Addio al celibato, appunto, del 1984. In Una notte da leoni mancano, per fortuna, le estreme cadute in situazioni troppo volgari come nel film degli anni Ottanta; però, per sfortuna, non ha neanche quella venatura noir e grottesca, che tanto aveva reso il film di Peter Berg, un piccolo gioellino nel suo genere. Nonostante ciò, la pellicola, diretta da Todd Phillips, prosegue senza intoppi per tutto il corso della sua durata. Tocca schemi già visti, come il matrimonio con la prostituta nella tipica cappella di Las Vegas, o la scontata scelta del Caesars come punto di partenza per la scenografia, ma con un piglio leggero e divertente che non annoia. Ben orchestrato il punto di vista dei tre protagonisti, che ci accompagna per N tutto il film, in un continuo rimando a smemoratezze e buchi neri. Stu, Phil ed Alan sono personaggi delineati con cura, che risultano perciò ben distinguibili in ogni situazione comica e non. Si parte con Phil, finto playboy in realtà innamorato della vita che conduce, passando per il perbenista Stu che scoprirà la sfrenatezza, fino al bambinone Alan. Naturalmente il merito è anche dei tre attori in parte, rispettivamente da Bradley Cooper, Ed Helms e Zach Galifianakis. La partecipazione di Tyson, che gioca con la sua stessa immagine di uomo estremamente irascibile e duro, completa il quadro. Altro fattore che contribuisce a rendere il film di facile fruizione è la scelta delle musiche in puro stile pop: datate, ma perfettamente inserite nei giusti momenti spensierati della storia. Da un regista che si è divertito a rispolverare il mito immortale di Starsky & Hutch (2004), non stupisce la scelta di inserire nel film precise citazioni cinematografiche. Dal più immediato Tre uomini e una culla (1985) o Tre scapoli e un bebè (1987), alle elucubrazioni matematiche stile A beautiful mind (2001) di Alan al tavolo di blackjack. Infine, una vera chicca per i più cinefili: la sequenza di Rain man (1988), in cui Tom Cruise e Dustin Hoffman scendono la scala mobile per andare al casinò. Da vedere anche i titoli di coda in cui finalmente si scopre, attraverso le foto ritrovate, cosa abbiano realmente combinato i quattro bravi ragazzi. Elena Mandolini BENVENUTI AL SUD Italia, 2010 Casting: Marita D’Elia, Claudia Marotti Aiuto regista: Chantal Toesca Operatore: Ivan Casagrande Trucco: Raffaella Ragazzi Acconciature: Fabio Lucchetti Supervisore effetti speciali: Fabio Traversari Supervisore effetti visivi: Stefano Marinoni Coordinatore effetti visivi: Federica Nisi Suono: Alessandro Bianchi Interpreti: Claudio Bisio (Alberto), Alessandro Siani (Mattia), Valentina Lodovini (Maria), Angela Finocchiaro (Silvia), Giacomo Rizzo (Costabile grande), Teco Celio (Gran Maestro), Nando Paone (Costabile piccolo), Fulvio Falzarano (Mario), Nunzia Schiano (signora Volpe), Alessandro Vighi (Chicco), Francesco Albanese (centauro), Salvatore Misticone (signor Scapece), Riccardo Zinna (vigile), Naike Rivelli (poliziotta) Durata: 102’ Metri: 2800 Regia: Luca Miniero Produzione: Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini, Marco Chimenz, Francesca Longardi per Cattleya/Medusa Film Distribuzione: Medusa Film Prima: (Roma 1-10-2010; Milano 1-10-2010) Soggetto: remake del film Giù al Nord – Bienvenue chez les Ch’tis di Dany Boon (2009) con la sceneggiatura di Dany Boon, Alexandre Charlot, Franck Magnier Sceneggiatura: Massimo Gaudioso Direttore della fotografia: Paolo Carnera Montaggio: Valentina Mariani Musiche: Umberto Scipione Scenografia: Paola Comencini Costumi: Sonu Mishra Produttori esecutivi: Matteo De Laurentiis, Giorgio Magliulo Produttori associati: Oliver Berger, Martin Moszkowicz Direttore di produzione: Paolo Coppola 26 Film lberto è il direttore di un ufficio postale di una cittadina lombarda. Ha una bella famiglia con cui condivide il sogno di trasferirsi a Milano. L’occasione tanto ambita arriva grazie al pensionamento di un collega, ma il posto viene ceduto ad un disabile. Alberto non si scoraggia e pur di lavorare a Milano si finge, a insaputa di sua moglie, paraplegico. Durante una visita di controllo di un funzionario, però, preso dall’euforia si alza dalla carrozzina mostrando a tutti la sua truffa. Come punizione, i dirigenti delle Poste lo trasferiscono in una cittadina Campana, Castellabate, per due anni. Alberto e la sua famiglia sono distrutti, per loro il sud è sinonimo di delinquenza, pericoli e clima torrido. Ma non ci sono alternative; il capofamiglia armatosi di buona volontà e giubbotto antiproiettile si dirige verso il nuovo posto di lavoro. L’impatto con il paese è pessimo nonostante l’accoglienza di Mattia, il postino, che lo ospita in casa sua per i primi giorni. Alberto, fomentato da anni di pregiudizi, vede in ogni parola, in ogni oggetto, la conferma delle sue credenze. Anche a lavoro la situazione non è migliore: l’ufficio postale sembra andare avanti per inerzia con impiegati puntuali solo nelle ripetute pause caffè. Eppure dopo pochi giorni, Alberto inizia ad abituarsi a quella strana parlata, all’invadenza bonaria dei suoi compaesani e comincia quasi a stare bene. Ritornato per il week-end in Lombardia, però, non riesce a confessare alla moglie Silvia e agli amici questa nuova visione del meridione e per non “tradirli” conferma ogni loro paura e convinzione. Passano le settimane, Alberto è ormai integrato completamente con i colleghi di lavoro e gli abitanti del paese, è felice pur continuando la farsa a telefono con la moglie. Quest’ultima, preoccupatissima dalle notizie che riceve, decide un giorno di partire per confortare un po’ il marito. Alla notizia l’uomo implora i colleghi di reggergli il gioco e di far finta che la cittadina sia un covo di criminali e accattoni. Mattia e gli altri, in un primo momento, si sentono offesi, poi aiutano il loro amico nell’impresa ricreando un finto paese nelle campagne del Cilento. Silvia, arrivata a destinazione scortata da finti carabinieri, rimane sconvolta da ciò che vede e prova una forte ammirazione per il coraggio del marito capace di vivere in un luogo simile per mantenere la famiglia. Ma la commedia dura poco. La donna, dopo poche ore, si rendo A Tutti i film della stagione conto di esser stata beffata e chiede spiegazioni al marito. Alberto le confessa tutto, le spiega di aver agito così per non deluderla e ammette di trovarsi bene al Sud. Silvia rincuorata dalle sue parole decide di trasferirsi anche lei, con il figlio, a Castellabate. Passano due anni, Alberto riceve una lettera: è stato trasferito a Milano. Fra le lacrime la famiglia prepara i bagagli e saluta gli amici convinta che non sarà un addio. arrivo dei fratelli Caponi a Milano è una delle scene più famose del cinema italiano. Vista e rivista all’infinito riesce sempre a scatenare ilarità nello spettatore che fatica a credere come l’ingenuità e il pregiudizio possano condurre a situazioni così irrimediabilmente comiche. Sono passati oltre cinquant’anni da questa commedia di Camillo Mastrocinque (Toto, Peppino e la Malafemmina) eppure certi atteggiamenti, che sul grande schermo vengono derisi, mantengono, nella vita reale, un rigore quasi dogmatico. Si parla ovviamente del Nord visto da un meridionale e viceversa. E, in questo caso, non c’è istruzione, livello socio-culturale o età anagrafica che tenga, la frase infelice scappa prima o poi a tutti. Ma consoliamoci, non siamo i soli, lo scenario è comune anche agli altri Paesi. Non a caso, qualche anno fa in Francia uscì nelle sale un film molto grazioso di Dany Boon, conosciuto da noi con il titolo Giù al Nord, che giocava tutto proprio sul pregiudizio di un provenzale costretto a trasferirsi per lavoro in una regione del nord. L’ 27 La pellicola, contro ogni previsione, ottenne un successo tale da ingolosire il cinema nostrano che ne ha girato un fedele remake ribattezzato Benvenuti al Sud. Fedele sì, ma con un particolare, la vicenda è specularmente rovesciata: è un lombardo doc, con la “Madunina”nel cuore ad andare a lavorare nel profondo Sud. E non poteva essere altrimenti visto il folclore che circonda determinate aree dello stivale e che crea nella commedia dei percorsi obbligati. Luca Miniero, il regista, fa il resto colorando gli stereotipi con tinte buffe che mostrano un’Italia ottusa e paradossalmente rassicurante. Alberto, il protagonista interpretato da Claudio Bisio, per esempio, parte per il Cilento con il giubbotto antiproiettile e il gorgonzola sottobraccio, mentre sua moglie, Angela Finocchiaro, snocciola un’infinità di raccomandazioni che, arrivato a destinazione, si trasformano in lenti deformanti. Ma la realtà non è quella temuta e ciò si rivela problematico, perché il pregiudizio, pur nella sua negatività, rafforza i legami e, nel caso di Alberto, quelli coniugali. Dire “Abbiamo sbagliato” è difficile, più facile invece creare una rete di menzogne che vadano ad assecondare un pensiero illogico, in cui però è facile smarrirsi. Tradotto nel linguaggio cinematografico e più propriamente della commedia, questo significa una serie di spassosissimi equivoci che rendono la pellicola leggera e piacevole da vedere. Miniero abusa delle caratterizzazioni regionali, le spinge all’eccesso, senza, però, risultare offensivo per nessuna delle parti; Meneghino e Pulcinella si litigano lo scettro, uno scettro che perde valore con Film il passare dei minuti fino a diventare, nel finale, un rottame da riporre in cantina. È il trionfo del buonismo, si potrebbe obiettare. Forse. Ma Miniero lo gestisce senza essere stucchevole, affiancato da un Tutti i film della stagione cast di attori che, tra vecchie e nuove leve, non fa rimpiangere i colleghi d’oltralpe. Un’ unica critica: invece di rubare l’idea ai francesi non potevamo inventarci noi qualcosa di originale? Dopotutto la gara culturale con i nostri “cugini” è ancora aperta... Ovviamente è una boutade. Francesca Piano CORSA A WITCH MOUNTAIN (Race to Witch Mountain) Stati Uniti, 2009 Supervisori effetti speciali: Werner Hahnlein, Lee McConnell Coordinatori effetti speciali: Michael Heintzelman (Amalgamated Pixels), Mark R. Byers Supervisori effetti visivi: David Lingenfelser (Furious FX), Reid Paul (Amalgamated Pixels) Coordinatori effetti visivi: Erika Abrams (Furious FX), Patrice Goldman, Mindy Minkow Supervisore musiche: Lisa Brown Animazione: Tony Morrill, Christian Perry (Sandman Studios Motion Graphics) Interpreti: Dwayne Johnson “The Rock” (Jack Bruno), Anna Sophia Robb (Sara), Alexander Ludwing (Seth), Carla Gugino (dottoressa Alex Friedman), Ciarán Hinds (Henry Burke), Tom Everett Scott (Matheson), Chris Marquette (Pope), Billy Brown (Carson), Garry Marshall (dottor Donald Harlan), Kim Richards (Tina), Ike Eisenmann (sceriffo Antony), Tom Woodruff Jr. (Siphon), John Duff (Frank), Bob Koherr (Marty), Kevin Christy (Matt), Bob Clendenin (Lloyd), Sam Wolfson, Bryan Fogel (soldati imperiali), Robert Torti (Dominick), John Kassir (Chuck), Beth Kennedy (Stenftenagel), Harry S. Murphy (dottor Pleasence), Ted Hartley (generale a quattro stelle Lewton), Jack Eastland (generale Albert), Meredith Salenger (Natalie Gann), Andrew Shaifer (Casey Taylor), Suzanne Krull (Gail Ross), Steve Rosenbaum (Oren Bergman),Christine Lakin (Sunday) Durata: 103’ Metri: 2830 Regia: Andy Fickman Produzione: Andrew Gunn per Walt Disney Pictures/Gunn Films Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Prima: (Roma 29-5-2008; Milano 29-5-2008) Soggetto:tratto dal romanzo Escape to Witch Mountain di Alexander Key (1968) Sceneggiatura: Matt Lopez, Mark Bomback Direttore della fotografia: Greg Gardiner Montaggio: David Rennie Musiche: Trevor Rabin Scenografia: David J. Bomba Costumi: Genevieve Tyrrell Produttori esecutivi: Mario Iscovich, Ann Marie Sanderlin Casting: Sarah Finn, Randu Hiller Aiuti regista: Ian Calip, Geoffrey Hansen, Scott Rogers, Sunday Stevens Operatori: Sean McKelvey, Jody Miller, Bill O’Drobinak, Andres L. Porras Operatore Steadicam: Jody Miller Art director: John R. Jensen Arredatori: Patrick Cassidy, Kara Lindstrom Effetti speciali trucco: David A. Brooke, Brad Look Trucco: Allan A. Apone, Camille Henderson, Louis Lazzara, Susan Simone Acconciature: Cheryl Eckert, Rhonda O’Neal, Rachel Solow, Soo-Jin Yoon ex carcerato Jack Bruno fa ora il tassista a Las Vegas, vivendo tranquillo tra una corsa e l’altra, inframmezzata dalle teorie della dottoressa Alex Friedman sull’esistenza degli alieni. Un giorno, salgono sul suo taxi due ragazzini, Sara e Seth. I due chiedono di essere portati in un posto dai proprio genitori, pagandogli più di 15mila dollari. La destinazione è una cosa sperduta e lontana da tutto, nella quale i due ragazzi prendono uno strano oggetto contenente materia aliena. Dopo essere riusciti a sfuggire fortunosamente all’attacco micidiale di una strana creatura, programmata per ucciderli, Jack ha la conferma ai proprio sospetti: Sara e Seth sono due extraterrestri. Sono stati mandati sulla Terra dai loro genitori per recuperare il risultato di un esperimento da loro condotto tempo prima. Il loro pianeta sta morendo e i suoi governamenti intendono attaccare e invadere la Terra per garantirsi la sopravvivenza, nonostante l’esperimento dimostri quanto questo sia inutile e dannoso per tutti. Per fermarli, il governo ha mandato un “sicario” per distruggerli, che non si arresterò L’ fino a quando non avrà compiuto il suo compito. Ma il governo alieno non è il solo a dare la caccia a Sara e Seth: anche il governo americano, dopo che il sindaco di Las Vegas ha lanciato l’allarme sullo sbarco degli extraterrestri, è sulle loro tracce ed è riuscito a sequestrare la loro astronave, nascondendola nella base militare di Witch Mountain. Jack è l’unico che possa aiutare Sara e Seth a recuperarla per poter tornare sul loro pianeta. Aiutati dalla dott.ssa Friedman, il gruppo di dirige verso la base, inseguiti dalle agenzie governative e dal sempre più minaccioso Siphon. Dopo essere stati catturati dai militari, Sara e Seth sono liberati da Jack e Alex; recuperata l’astronave, i due giovani si battono con Siphon e lo sconfiggono definitivamente. È il momento di tornare a casa. Seth e Sara ringraziano Jack e Alex per tutto quello che hanno fatto, lasciando loro un dispositivo che li avvertirà quando staranno per tornare. R emake del classico film Disney per ragazzi Incredibile viaggio verso l’ignoto (1975), ispirato al 28 romanzo dell’americano Alexander Key, Corsa a Witch Mountain riprende i temi dell’originale spingendo però il pedale sull’abbondanza di effetti speciali, corse mirabolanti e botte da orbi, e su una visione generalmente più “dark” e pessimista. L’impianto della trama è rimasto pressoché invariato (il tema classico dell’eroe controvoglia, soliti militari modello “niente di quello che state per vedere è mai accaduto”, etc etc), con l’aggiunta della creatura extraterrestre Siphon, un misto da Alien e Terminator programmata per uccidere i due giovani protagonisti. Per poco più di un’ora e mezza, il film scorre con ottimo ritmo senza annoiare mai, intervallando con mirabolanti inseguimenti prediche ecologiste e familiari, il tutto diretto con mano sicura dal veterano Andy Fickman e interpretato da Dwayne “The Rock” Johnson, ormai anche lui specializzato in film e commedia parentali targate Disney. Il regista si è trovato davanti alla sfida di rendere accettabile per il pubblico infantile e adolescenziale di oggi una storia scritta e pensata più di trent’anni fa, con tutto il suo baga- Film glio culturale e sociale. Il risultato può dirsi riuscito, soprattutto nell’attenta commistione tra vari generi, come l’action movie, per l’ovvia presenza di Johnson, e la commedia sentimentale, visto il legame che si instaura nel corso del film tra i due protagonisti adulti. Per gli appassionati del genere non può mancare il momento della cita- Tutti i film della stagione zione nelle sequenze ambientate durante il congresso di appassionati di Sci-Fi: abbondano infatti, tra gli altri, i riferimenti alla saga di Guerre Stellari, a Matrix e a Incontri ravvicinati del terzo tipo. Corsa a Witch Mountain è un film divertente e senza pretese (nonostante la morale sul valore della famiglia e sul rispetto altrui), diret- to con spigliatezza e recitato con brio dai protagonisti, che ha come unico scopo il pure piacere dello spettatore, pensato per un pubblico giovanile che ha ancora voglia di storia fantascientifiche semplici ma appassionanti. Chiara Cecchini QUALCOSA DI SPECIALE (Love Happens) Stati Uniti/Canada, 2009 Arredatore: Lesley Beale Trucco: Elisabeth Fry, Whitney James, Connie Parker Acconciature: Elisabeth Fry, Martin Samuel Supervisore effetti speciali: Alex Burdett Supervisore effetti visivi: Dennis Berardi Coordinatori effetti visivi: Sarah Barber, Matt Glover Supervisore costumi:Patti Bishop Supervisore musiche:Kathy Nelson Interpreti: Aaron Eckhart (Burke), Jennifer Aniston (Eloise Chandler), Dan Fogler (Lane), John Carroll Lynch (Walter), Martin Sheen (suocero di Burke), Judy Greer (Marty), Frances Conroy (madre di Eloise), Joe Anderson (Tyler), Sasha Alexander (Jessica), Clyde Kusatsu (tassista), Michelle Harrison (Cynthia), Darla Fay (Beehive), Tom Pickett (Don), Patricia Harras (Lorraine), Danielle Dunn-Morris (fan), Maxime Miller (Barbara), Ellie Harvie (Martha), Randall Newsome (cameriere), Carol Hodge (Becky), Craig Anderson (Ian), Brandon Jay McLaren (Mohawk), Rekha Sharma, Tim Henry, Aurelio Dinunzio, Anne Marie DeLuise, Tyler McClendon, Panou, Michael Kopsa Durata: 124’ Metri: 3400 Regia: Brandon Camp Produzione: Mary Parent, Scott Stuber, Mike Thompson per Universal Pictures/ Relativity Media/ Stuber Productions/ Camp / Thompson Pictures/ Scion Films/ Traveling Film Productions Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 20-8-2010; Milano 20-8-2010) Soggetto e sceneggiatura: Mike Thompson, Brandon Camp Direttore della fotografia: Eric Alan Edwards Montaggio: Dana E. Glauberman Musiche: Christopher Young Scenografia: Sharon Seymour Costumi: Trish Keating Produttori esecutivi: J. Miles Dale, Ryan Kavanaugh, Richard Solomon Produttori associati: Alexa Faigen, Nath V.G. Direttori di produzione: Penny Gibbs, Eugene Mazzola Casting: Deborah Aquila, Jennifer L. Smith, Mary Tricia Wood Aiuti regista: James Bitonti, Jim Brebner, J. Miles Dale, Leonard Haggarty, Sebastian Mazzola, Megan M. Shank Operatori: David Crone, Andrew D. Wilson Art director: Kendelle Elliott yan Burke è un giovane vedovo, la cui moglie è morta in un incidente d’auto per evitare un cane. A tre anni dalla disgrazia, Ryan è diventato un guru dell’elaborazione del lutto, grazie al suo manuale e diversi seminari che tiene per tutta l’America. Giunto a Seattle, assieme al fedele amico e manager Lane, conosce casualmente la bella fioraia Eloise. La donna, che cade ripetutamente in storie d’amore tormentate, dalle quali esce sempre distrutta, decide di accettare l’invito di Ryan. I due sono attratti l’uno dall’altra, ma il loro rapporto resta sempre sul piano platonico; Eloise, paradossalmente, aiuta Ryan a superare realmente la perdita della moglie e cerca di farlo riconciliare coi genitori della defunta, che vivono proprio a Seattle. Intanto, Ryan, affronta anche il difficile caso di Walter, uno dei partecipanti al suo seminario che non riesce a superare la morte del piccolo figlio. Lane confida a Eloise la verità sull’incidente d’auto: alla guida c’era proprio Ryan, che non riesce a perdonarsi per l’accaduto. Augurandogli di ritrovare la giusta serenità, Eloise esce dalla sua vita, affermando che per loro è impossibile crea- R re una storia finchè si porterà questo peso addosso. Dopo aver finalmente aiutato Walter, Ryan trova il coraggio di raccontare il suo vero dolore nell’ultimo incontro del seminario, al quale assiste anche il padre della moglie; fra gli applausi dei partecipanti i due uomini si riconciliano. Ora che ha realmente elaborato il suo lutto, Ryan corre da Eloise per iniziare una nuova vita insieme. n film che dovrebbe toccare le corde più intime, emozionare semplicemente accennando a drammi personali, risulta molto freddo e distaccato. Il giorno dopo aver visto Qualcosa di speciale, non si ricorda nessuno scuotimento, nessuna riflessione, che invece una storia del genere dovrebbe suscitare. Un film ambizioso dal punto di vista registico, dove Brandon Camp tenta di essere elegante sia nella messa in scena che nelle atmosfere, ma vi riesce solo in pochi momenti; uno su tutti la sequenza in cui Ryan libera il pappagallo Rocky. Il film si potrebbe suddividere in due sottotrame: la storia d’amore fra Ryan ed Eloise e quella del seminario. Il regista U 29 Camp riesce a costruire in maniera accettabile la parte romantica della storia, facendola sorprendentemente rimanere su di un piano platonico. Infatti, il tanto sospirato bacio fra i due, che comunque aspetti, arriva solo nel finale: ottimo stratagemma per non cadere in più cliché. Sicuramente, poi, il forte paradosso in cui incappa Ryan, ovvero il saper aiutare gli altri, ma l’essere un incapace nel salvare se stesso, contribuisce a creare un minimo di appeal. Tutto all’inverso, invece, la parte del seminario costruita dalle tante piccole storie dei diversi partecipanti, fra cui su tutti primeggia Walter. Pur lanciando diverse perle di saggezza, il tutto appare finto col personaggio di Ryan, interpretato da Aaron Eckhart, che in più di un’occasione risulta enormemente antipatico e saccente. Il fatto che Camp sia un autore televisivo spiega non pochi elementi ridondanti del film: le scene da “guru” con tanto di frasi ripetitive, praticamente degli slogan pubblicitari, gli applausi del pubblico/partecipanti al corso e l’esternazione del proprio lutto come si fosse nel confessionale del Grande Fratello. Il finale è proprio l’apoteosi della televisione, che sfocia in un pappone mieloso: Film Ryan, colto da improvvisa illuminazione, si rivela ai suoi seminaristi, il padre della defunta moglie arriva fra le lacrime per l’abbraccio riconciliatore e Walter, finora il più Tutti i film della stagione credibile personaggio del film, irrompe con un applauso. Come rovinare un film che avrebbe potuto avere un minimo di dignità. La deliziosa e brava Jennifer Aniston non basta a rendere Qualcosa di speciale, un film che valga la pena d’esser visto. Elena Mandolini PRECIOUS (Precious) Stati Uniti, 2009 Arredatori: Kelley Burney, Paul Weathered Trucco: Damaris Gandy, Tomasina Smith, Toy Van Lierop, Tobe West, Ande Yung Acconciature: Belinda Anderson, Nikki Tucker Supervisori effetti speciali: Peter Kunz, Robert J. Scupp Supervisori effetti visivi: Henrik Fett (LOOK!Effects), Dan Schrecker Supervisore musiche: Lynn Fainchtein Interpreti: Gabourey Sidibe (Precious), Mo’Nique (Mary), Paula Patton (signorina Rain), Mariah Carey (signora Weiss), Sherri Shepherd (Cornrows), Lenny Kravitz (John), Stephanie Andujar (Rita), Chyna Layne (Rhonda), Amina Robinson (Jermaine), Xosha Roquemore (Joann), Angelic Zambrana (Consuelo), Aunt Dot (Tootsie), Nealla Gordon (signora Lichtenstein), Grace Hightower (assistente sociale), Barret Helms (Tom Cruise), Kimberly Russell (Katherine), Bill Sage (signor Wicher), Susan Taylor (fata buona), Kendall Toombs, Alexander Toombs (Abdul appena nato), Cory Davis (Abdul a 9 mesi), Abigail Savage (Bunny), Rodney ‘Bear’ Jackson (Carl), Linda Watson (impiegata), Emani Reid, Dashawn Robinson, Ashley Livingston, Sapphire, Roy Anthony, Tarell Harvey,Rochelle McNaughton Durata: 109’ Metri: 3000 Regia: Lee Daniels Produzione: Lee Daniels, Gary Magness, Sarah Siegel-Magness per Lee Daniels Entertainment/ Smokewood Entertainment Group Distribuzione: Fandango Prima: (Roma 26-11-2010; Milano 26-11-2010) Soggetto: tratto dal romanzo Push di Sapphire Sceneggiatura: Geoffrey Fletcher Direttore della fotografia: Andrew Dunn Montaggio: Joe Klotz Musiche: Mario Grigorov Scenografia: Roshelle Berliner Costumi: Marina Draghici Produttori esecutivi: Lisa Cortes, Tom Heller, Tyler Perry, Andy Sforzini, Oprah Winfrey Produttore associato: Asger Hussain Co-produttore: Mark G. Mathis Direttore di produzione: Tony Hernandez Casting: Billy Hopkins, Jessica Kelly Aiuti regista: Tracey Hinds, Michael A. Pinckney, Chip Signore Operatori: Peter Agliata, Andrew Casey, Charles Libin, Tom Weston, Todd Armitage Operatore Steadicam: Denny Kortze Art director: Matteo De Cosmo besa, nera, semi-analfabeta e incinta del secondo figlio a 17 anni, Claireece Precious Jones frequenta una scuola di Harlem senza successo e con ancora meno entusiasmo. Vessata dalla madre, con cui vive, e abusata dal padre (di cui è incinta), Precious di solito siede in fondo all’aula e si perde in sogni romantici durante le lezioni di matematica: immagina di sposare il piacente e gentile professore. Ma, proprio durante una di queste lezioni, la preside la chiama nel suo ufficio e, preoccupata dalla seconda gravidanza in poco tempo, la espelle dalla scuola indirizzandola verso un’“istituzione di istruzione alternativa”, in grado di mettere a frutto le sue capacità. Qui incontra Ms. Rain, che le insegna a scrivere e, al tempo stesso, a credere di poter cambiare il proprio destino. Nonostante la madre sia contraria a che Precious vada a scuola e nonostante il ritornello continuo che è soltanto un’incapace, la ragazza pian piano migliora nel rendimento e inizia a fare qualcosa per sé: denuncia le violenze subite, lascia la casa della madre-padrona, decide di te- O nere con sé il piccolo appena nato e di riprendersi anche la prima figlia, handicappata, affidata a sua nonna. Ma, quando sembra che tutto vada bene, Preciuos deve affrontare l’ennesimo tiro mancino del destino: suo padre è morto di hiv. Fatto il test, la ragazza scopre di essere sieropositiva. Ma, anche allora, dopo un iniziale momento di scoramento, trova la forza di lottare e andare avanti, grazie all’appoggio e all’amore di Ms. Rain e delle compagne di scuola. a storia raccontata da Lee Daniels è una parabola esistenziale: dall’apatia della protagonista, che non si stima ed è prigioniera di un destino di abusi e violenze, alla libertà (pro)positiva di scegliere il proprio futuro e di volersi bene, nonostante tutto. Il racconto si focalizza su Precious in modo totale, dice i suoi pensieri ad alta voce in voice over, li rende sottotesto delle situazioni rappresentate. La drammaticità delle vicende narrate non scade mai nel pietismo o nella retorica di genere proprio grazie al punto di vista adottato: la protagonista, infatti, non indulge L 30 su se stessa compiangendosi. Ed è qui che risiede l’originalità del film, altrimenti simile ad altri nel sottolineare come l’istruzione sia l’unica via di salvezza da una vita ai margini. Dal punto di vista della tecnica del racconto, la regia mostra in montaggio alternato come a ogni momento squallido della sua vita, Precious opponga proiezioni immaginarie di iperbolico successo, descritto sulla falsa riga dei video di MTV e fatto di paillettes e lustrini senza limiti di buon gusto. Unica via di fuga e possibilità di resistere all’annientamento della violenza quotidiana è per Precious proprio il rifugiarsi in un mondo dove le brutture dell’esistenza si trasformano in plateali successi: l’amore vero che le manca nella realtà viene compensato con i fari della notorietà agognata. Più è umiliante e insopportabile la realtà, più accese le luci della ribalta immaginaria, più drammatico ciò che lo spettatore vede. Le fughe dalla realtà di Precious si interrompono quando la vita inizia a essere accettabile, e addirittura soddisfacente. Ma se la regia è brava a inquadrare la doppia esistenza iniziale, manca nel focalizzare i Film Tutti i film della stagione momenti in cui la protagonista cresce, gli scarti progressivi che le permettono di prendere coscienza delle proprie capacità, credere in se stessa e avere fiducia nel futuro. Il racconto, infatti, procede senza climax evidenti nell’evoluzione del personaggio, che pure c’è ed è significativa. Meritorio l’intento del film, in un momento storico come quello attuale, di affermare con forza che la base del riscatto sociale e della realizzazione personale sia un livello di alfabetizzazione che non può essere tralasciato in nessun caso e contesto. Funziona bene, a riguardo, la figura dell’insegnante, (Ms Rain/Paula Patton) che vive il proprio lavoro come una missione, e insieme all’assistente sociale diventa il perno su cui Precious fa leva per cambiare il proprio destino. Tiziana Vox UNSTOPPABLE-FUORI CONTROLLO (Unstoppable) Stati Uniti, 2010 Trucco: Diane Heller, Rachel Kick, Sandra Linn Koepper Acconciature: Diane Dixon Coordinatori effetti speciali: Rich E. Cordobes, Joe Pancake, Bruno Van Zeebroeck Supervisori effetti visivi: Paul O’Shea, Nathan McGuinness (Asylum Visual Effects) Coordinatori effetti visivi: Diana Cheng, Elayaraja Supervisore costumi: Stacy Horn Supervisore animazione: Michael Shelton (Asylum Fx) Interpreti: Denzel Washington (Frank), Chris Pine (Will), Rosario Dawson (Connie), Ethan Suplee (Dewey), Kevin Dunn (Galvin), Kevin Corrigan (ispettore Werner), Kevin Chapman (Bunny), Lew Temple (Ned), T.J. Miller (Gilleece), Jessy Schram (Darcy Colson), David Warshofsky (Judd Stewart), Andy Umberger (Janeway), Elizabeth Mathis (Maya), Dylan Bruce (Michael Colson), Jeff Hochendoner (Clark), Ryan Ahern (Ryan Scott), Christopher Lee Philips (Baker), Kevin McClatchy (Hoffman), Toni Saladna (assistente di Galvin), Patrick McDane (capitano Allen), Bill Laing (camionista), Scott A. Martin (Brewster Dispatcher), Richard Pelzman (Devereaux), Lissa Brennan (cameriera), Barry Ben Sr. (agente di polizia), Heather Leigh (giornalista), Carla Bianco (proprietaria del caravan per cavalli), L. Derek Leonidoff, Keith Michael Gregory Durata: 99’ Metri: 2720 Regia: Tony Scott Produzione: Eric McLeod, Mimi Rogers, Tony Scott, Julie Yorn, Alex Young per Twentieth Century Fox Film Corporation/Prospect Park/Scott Free productions/Firm Films/Millbrook Farm Productions Distribuzione: 20th Century Fox Prima: (Roma 12-11-2010; Milano 12-11-2010) Soggetto e sceneggiatura: Mark Bomback Direttore della fotografia: Ben Seresin Montaggio: Robert Duffy, Chris Lebenzon Musiche: Harry Gregson-Williams Scenografia: Chris Seagers Costumi: Penny Rose Produttori esecutivi: Chris Ciaffa, Jeff Kwatinetz, Rick Yorn Co-produttori: Skip Chaisson, Diane L. Sabatini, Adam Somner, Lee Trink Direttori di produzione: Scott Elias, Eric McLeod Casting: Denise Chamian Aiuti regista: Xochi Blymyer, Mikey Eberle, Staci Lamkin, Eric Richard Lasko, Jeremy Marks, Brandy D. Pollard, Brett Robinson, Adam Somner, Angela C. Tortu Operatori: John T. Connor, Peter Gulla, Mark Meyers, Darin Moran, John Skotchdopole Operatore Steadicam: Mark Meyers Art directors: Julian Ashby, Drew Boughton, Dawn Swiderski Arredatore: Rosemary Brandenburg tanton, Pennsylvania. Suona la sveglia e Will Colson esce per andare al lavoro, dopo aver spiato il figlioletto che va a scuola, saluta la moglie Darcy, che non gli risponde al telefono e alla quale lui non può avvicinarsi a causa di un’ordinanza restrittiva. In stazione Will conosce Frank, il suo compagno di turno sul treno 1206. Will è il capo- S treno – ha finito la formazione da 4 mesi – , Frank invece è il conducente, con 28 anni di esperienza. Will riceve la telefonata del fratello: la causa si sta mettendo bene, forse potrà tornare a casa. Frank telefona invece alla figlia, in ritardo per il suo compleanno, ma lei offesa non vuole parlargli; poi ha una discussione con Will, che ritiene lo voglia mettere alla prova come 31 un novellino. In un’altra stazione arriva una scolaresca, per un corso di sicurezza ferroviaria e il macchinista Dewey ha l’incarico di spostare un convoglio di 39 vagoni, il 777. Ritenendo di averlo bloccato, con una mossa imprudente salta giù dalla cabina per attivare uno scambio, ma il treno gli sfugge. Dewey gli corre dietro, ma invano. La capostazione Conny ordina a Film Dewey e al suo collega di raggiungere il treno fuori controllo, che sfreccia contro mano e rischia di scontrarsi col convoglio sul quale viaggia la scolaresca. Non riescono a bloccarlo allo scambio, è troppo veloce. Il treno coi bambini incrocia il 777, evitandolo per un soffio. Dewey prova intanto a saltare sul treno in corsa, affiancandolo con un’auto, ma fallisce. Will riceve una nuova telefonata del fratello: è andata male, dovrà rimanere altri 30 giorni lontano da suo figlio. Poi litiga ancora con Frank: ha attaccato 5 vagoni in più, e Frank recrimina che nel loro lavoro, se si sbaglia, si rischia di uccidere la gente. Ricevono frattanto l’ordine di deviare, perché un treno senza controllo viaggia contro di loro. Le vicende del 777, che trasporta sostanze chimiche tossiche e infiammabili, sono seguite in diretta da tutti i canali di news. La situazione è sempre più grave, anche perché il treno sta per attraversare aree densamente popolate. Tutti i passaggi vengono presidiati dalla polizia. Conny consiglia di farlo deragliare in campagna, prima che inizi la serie di paesini, ma la direzione non vuole distruggere un proprio treno, finché può tentare di arrestarlo: il rischio è la perdita di oltre 100 milioni di dollari, e il crollo delle azioni, oltre al fatto che ci sono 8 vagoni con sostanze che, se saltassero in aria, potrebbero decimare un’intera città, insomma un disastro. Seguono momenti convulsi. Il treno viene agganciato con una locomotiva, mentre fallisce il tentativo del saldatore Ridley di calarvisi in elicottero. La locomotrice però deraglia ed esplode, provocando la morte del macchinista Judd Stewart, mentre il 777 continua la sua corsa, viaggiando sullo stesso binario di quello guidato da Frank e Will, rischiando lo scontro. I due treni sono a pochi metri l’uno dall’altro, ma Frank riesce a scambiare binario, anche se la parte retrostante del suo treno viene travolta dal 777. La direzione vorrebbe adesso far deragliare il treno, ma Frank arresta il suo convoglio e, ritenendo che il deragliamento non funzionerà, decide di procedere a marcia indietro e agganciare il 777 per provare a frenarlo. Frank parla col direttore delle operazioni che, risoluto a far deragliare il treno prima della curva che porta a Stanton, troppo pericolosa per affrontarla a quella velocità, licenzia lui e Will. Ma loro intendono sacrificarsi e provare a fermare ugualmente il 777. Il deragliamento fallisce. Darcy, così come le figlie di Frank, apprendono dalla tv di quanto stia accadendo ai loro congiunti. Will, pur se a fatica, riesce ad agganciare il 777, rimanendo ferito a un piede, mentre sua Tutti i film della stagione moglie segue con apprensione le scene alla tv. Il treno, tuttavia, procede a oltre 120 km/h e manca poco da Stanton. La frenata non riesce: il convoglio è troppo pesante e sta trascinando la locomotrice con Will e Frank. Will propone di usare i freni dei vagoni merce. Frank vi si dirige e li attiva, ed effettivamente il treno rallenta. Poi però i freni si bruciano e il 777 riacquista velocità, in prossimità della curva, col rischio di un’esplosione. Grazie al freno moderabile, riescono tuttavia a superare la curva di Stanton, sotto lo sguardo di Darcy, che è lì col suo bimbo. Al treno si affianca il furgone di Ridley e Will vi salta su, correndo quindi verso la testa del treno. Will riesce a salire e prende il controllo del mezzo. L’incubo è finito: Will può riabbracciare il suo bambino e sua moglie Darcy. Il film si conclude con le interviste di rito e una gran festa. Frank e Will mantengono il loro lavoro. Conny raggiunge i due e bacia Frank, sotto lo sguardo divertito delle sue figlie, mentre Will bacia Darcy. a disattenzione di un macchinista sta per provocare una tragedia. Il morto ci scappa, ma il bilancio poteva essere una vera ecatombe nei paesini della Pennsylvania. In quella che sembra una mattina di lavoro grigia e ordinaria come tante, infatti, un treno lungo un chilometro sfugge al controllo di un macchinista incosciente e corre senza freni lungo i binari ferroviari. Alla vicenda drammatica del 777, seguita in diretta da tutti i canali di news, si affianca la loro storia quotidiana, familiare, piena di difficoltà e sofferenza, ma che dà L loro la forza e la possibilità di riemergere, aggrappandosi al pensiero delle figlie e della moglie lontane. E gli affetti prevalgono infine sui biechi interessi di un’azienda attenta solo al denaro e all’immagine, che non ha fiducia in loro e minaccia di licenziarli. Temendo infatti, pur se in maniera implicita, che le ripercussioni di un’esplosione potrebbero danneggiare le loro famiglie, i due si improvvisano eroi, riconquistando, complice anche la ribalta mediatica, la gratitudine dei parenti, che li osservavano ormai con occhi forse un po’ appannati. Attori convincenti, anche se nel complesso il film fatica a decollare. Gli manca quel guizzo adrenalinico che inchioda lo spettatore, anzi, in certi passaggi è perfino lento e noioso. Dopo l’affresco dei personaggi, dei loro caratteri e delle loro storie di vita, avviene il passaggio graduale verso l’azione, con una corsa contro il tempo dapprima per evitare l’impatto col 777; poi, nel disperato tentativo di fermarlo. S’impone a questo punto l’idea di un dinamismo crescente, veicolata dal treno in corsa, dalle decine di auto della polizia al suo fianco e dagli elicotteri che seguono e filmano le operazioni, emblema di un onnipresente sistema mediatico, paradossalmente contrapposto alla fissità del conducente, che, pur in scene così convulse, rimane sempre seduto al suo posto di guida. Qualora non agisse in tal modo, accadrebbe quanto si è verificato già nelle prime scene dell’opera, col treno che sfugge al controllo umano. Ma a quel punto questo film non ci sarebbe stato. Luca Caruso POST MORTEM (Post Mortem) Cile/Messico/Germania, 2010 Regia: Pablo Larraín Produzione: Juan de Dios Larraín per Fabula/Canana/Autentika Production Distribuzione: Archibald Enterprise Prima: (Roma 29-10-2010; Milano 29-10-2010) Soggetto e sceneggiatura: Pablo Larraín, Mateo Iribarren, Eliseo Altunaga Direttore della fotografia: Sergio Armstrong Montaggio: Andrea Chignoli Musiche: Alejandro Castanos, Juan Cristóbal Meza Scenografia: Polin Garbisu Costumi: Muriel Parra Casting: Paula Leoncini Aiuto regista: Rosario Onetto Interpreti: Alfredo Castro (Mario Cornejo), Antonia Zegers (Nancy Puelmas), Jaime Vadell (Dott. Castillo), Amparo Noguera (Sandra), Marcelo Alonso (Victor), Marcial Tagle (capitano Montes) Durata: 98’ Metri: 2700 32 Film antiago del Cile, 1973. Mario Cornejo è un uomo di mezza età, impiegato come dattilografo presso l’obitorio della capitale, dove trascrive le relazioni delle autopsie realizzate dai medici legali. Di fronte alla sua casa abita una donna bellissima, Nancy Puelmas, che fa la ballerina di cabaret. Lui, che la osserva sempre dalla finestra, un giorno decide di andare a vedere il suo spettacolo al locale Bim Bam Bum: qui, dopo averla raggiunta in camerino, le offre un passaggio in macchina. Ma, durante il tragitto, l’auto si ritrova bloccata in mezzo a una manifestazione del partito socialista. La donna fugge via assieme a un amico che partecipa al corteo. Mario e Nancy si rincontrano e, da semplici dirimpettai, diventano prima buoni amici e poi amanti, (anche se solo per una notte). Entrambi si scoprono due persone solitarie e insoddisfatte della propria vita: l’uomo è obbligato a fare un mestiere che non gli piace (in seguito al golpe, viene informato di far parte dell’Esercito del Cile); mentre la donna è disperata e sembra non aver più prospettive dopo essere stata licenziata dal proprietario del cabaret dove ballava, don Patricio. Con il colpo di stato, la situazione precipita. Nancy, figlia di un dirigente comunista, riesce a scampare a un blitz dei militari nella sua abitazione e, grazie all’aiuto di Mario, si rifugia in un nascondiglio nel suo giardino. L’obitorio in cui lavora il dattilografo, intanto, si trasforma in una specie di fossa comune, dove ogni giorno vengono scaricati centinaia e centinaia di cadaveri. Lo staff del dottor Castillo, corrotto dai colonnelli, inizia a rendersi conto dello scempio che si sta compiendo. Cornejo è il primo a rifiutarsi di copiare i referti falsati dagli uomini del generale Pinochet (ma rimane al suo posto). E, poco dopo, anche l’assistente Sandra si ribella agli ordini delle autorità. Dopo aver scoperto che Nancy lo tradisce con il dimostrante Víctor, Mario mura il covo dove sono rinchiusi i due amanti con alcuni mobili in legno e appicca il fuoco. S Tutti i film della stagione Assistiamo, a sorpresa, perfino all’autopsia del Presidente Allende, il cui decesso dell’11 settembre 1973 viene fatto passare per un suicidio dalla nuova giunta militare al potere, schierata al gran completo come un plotone d’esecuzione. Questo curioso episodio che, come vuole il protocollo, si svolge nel più totale anonimato, restituisce appieno la cifra di un film ambiguo e asettico, statico e nebuloso, in cui i personaggi vivono, o meglio, sopravvivono, come sospesi in un eterno limbo. A partire da Cornejo: l’uomo, al pari delle salme che trasporta, veglia e di cui annota anche i particolari più raccapriccianti, è una persona priva di una vita vera. Un morto che cammina. Gli fa degnamente compagnia la sua amata Nancy che, da quando diventa una ricercata dalla polizia, è costretta a nascondersi, a fingersi appunto morta. Due condannati in attesa di giudizio, due figure invisibili in cerca di complicità e di calore umano provano a riscattare le rispettive squallide esistenze abbandonandosi l’uno nelle braccia dell’altra (in una scena di sesso tra le più disperate e infelici che si siano mai viste negli ultimi anni). Non prima, però, di aver sfogato tutta la loro amarezza e frustrazione con un pianto liberatorio. L’utopia di un amore si sovrappone e si fonde con quella di una società libera e democratica: la Storia con la maiuscola e la storia di tutti i giorni finiscono per assomigliarsi nel comune quanto vano tentativo di conciliare realtà e ideale, necessità e arbitrio. Qualche stagione fa abbiamo assistito a un dilemma simile nel fortunato film tedesco Le vite degli altri. Se in quella circostanza, però, l’agente della Stasi era pronto a sacrificare la propria posizione di potere per il bene di una donna, qui, invece, n un’edizione della Mostra del cinema di Venezia, come quella del 2010, in cui il tema unificante del “corpo” è stato declinato sotto le più svariate forme, anche Post Mortem ha segnato una tappa significativa di questo percorso tematico. Dopo il corpo mastodontico de La Venere Nera di Kechice, fatto oggetto di spettacolo (e poi di studio scientifico), o quelli troppo magri o troppo pingui degli adolescenti inquieti de La solitudine dei numeri primi di Costanzo, il cileno Pablo Larraín mette in scena corpi inanimati destinati alla dissezione. I 33 il “becchino di regime” sposa senza batter ciglio la causa della forza (uniformandosi così ai suoi colleghi), pur di salvaguardare la sua rassicurante non-vita. L’incertezza, l’ambiguità e il mistero di questo “uomo senza qualità” si incarnano nel volto di Alfredo Castro. Il suo sguardo abulico e trasognato è l’impronta del fallimento di un intero popolo. Il tenebroso attore cileno, già protagonista del bellissimo Tony Manero (premiato come miglior film al Festival di Torino del 2008), questa volta supera se stesso e ci regala un personaggio lontano dagli stereotipi e con un fondo di verità tutto da scoprire. Uno spirito cupo, malato, ma indifeso, al punto che, nel finale, ci riesce quasi naturale solidarizzare con lui e con la sua disgrazia sentimentale. Il sogno abortito di una nazione assetata soltanto di sangue e di potere prende forma invece attraverso il corpo non più elegante, appesantito e finanche volgare della ballerina. La malinconia della sua interprete, Antonia Zegers (perfetta per un dramma almodovariano) è lancinante, ci tocca nel profondo come uno sfregio dell’anima. Post Mortem non sarà certamente un’opera di facile impatto (la materia narrativa è greve, l’andamento ha delle evidenti fasi di stanca, la fotografia di Sergio Armstrong indugia sul grigiore degli ambienti) e, in alcune situazioni, Pablo Larraín spinge forse un po’ troppo l’acceleratore in direzione dell’assurdo. Ciononostante, siamo più che mai convinti che, in futuro, sentiremo ancora parlare di questo esuberante regista e della sua consolidata squadra di lavoro. Diego Mondella Film Tutti i film della stagione THE KARATE KID-LA LEGGENDA CONTINUA (The Karate Kid) Stati Uniti, 2010 Operatore: Man-Ching Ng Art director: Second Chan Acconciature: Camille Friend Supervisore effetti visivi: Rocco Passionino Coordinatore effetti visivi: Joey Bonander Supervisore costumi: Jack Tung Supervisore musiche: Pilar McCurry Interpreti: Jaden Smith (Dre Parker), Jackie Chan (signor Han), Taraji P. Henson (Sherry Parker), Wenwen Han (Meiying), Rongguang Yu (maestro Li), Zhensu Wu (padre di Meiying), Zhiheng Wang (madre di Meiying), Zhenwei Wang (Cheng), Jared Minns (amico di Dre), Shijia Lü (Linag), Yi Zhao (Zhuang), Bo Zhang (Song), Luke Carberry (Harry), Cameron Hillman (Mark), Ghye Samuel Brown (Oz), Rocky Shi (Ur Dang), Ji Wang (signora Po), Harry Van Gorkum (maestro di musica), Tess Liu (insegnante di storia), Xinhua Guo (dottore al torneo), Yanyan Wu (signorina Xie), Tao Ji (annunciatore), Wentai Liu (tizio di Detroit), Geliang Liang (giocatore di ping pong), Xu Ming (Bao), Hannah Joy (Diane), Chen Jing, Jijun Zhai, Shun Li Durata: 140’ Metri: 3850 Regia: Harald Zwart Produzione: James Lassiter, Jada Pinkett Smith, Will Smith, Ken Stovitz, Jerry Weintraub per Columbia Pictures/China Film Group/ Jerry Weintraub Productions/ Overbrook Entertainment Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 3-9-2010; Milano 3-9-2010) Soggetto: remake del film The Karate Kid-Per vincere domani (1984) di John G. Avildsen con la sceneggiatura di Robert Mark Kamen Sceneggiatura: Christopher Murphey Direttore della fotografia: Roger Pratt Montaggio: Joel Negron Musiche: James Horner Scenografia: François Séguin Costumi: Han Feng Produttori esecutivi: Susan Ekins, Sanping Han, Dany Wolf Co-produttore: Solon So Line producers: Chiu Wah Lee, Er-Dong Liu Direttore di produzione: Dany Wolf Casting: PoPing AuYeung, Zoe Thompson Aiuti regista: Lemon Liu, Han Niu, Marty Eli Schwartz, Fei Wong tati Uniti, il dodicenne Dre Parker è costretto a trasferirsi da Detroit in Cina a causa del lavoro della mamma Sherry. Per il ragazzino, ambientarsi alla nuova realtà, così diversa da quella cui è abituato, è davvero difficile. Nel parco sotto casa, Dre simpatizza con Mei Yin, una ragazzina solitaria che studia musica, ma viene subito minacciato da Cheng, un bullo prodigo del kung-fu geloso del sentimento del ragazzino per la graziosa studentessa. Il suo primo giorno di scuola, Dre è di nuovo vittima di provocazioni da parte di Cheng. Uscito da scuola, Dre viene attratto da un solenne palazzo che altro non è che la sede dell’Accademia di kung-fu, dove tra gli allievi scorge proprio Cheng. Il giorno dopo, Cheng e i suoi amici inseguono Dre e lo picchiano selvaggiamente nel cortile di casa, dove, proprio nel momento più brutto, viene salvato dal custode del condominio, il signor Han. Colpito dalla forza e dall’abilità che si nasconde sotto le dimesse spoglie di un addetto alla manutenzione di mezza età, Dre gli chiede di insegnargli i segreti del kung-fu. Dopo una serie di titubanze, Han finisce per accettare, non prima di essersi recato all’Accademia di kung-fu ed essersi fatto promettere da Cheng e compagni di lasciare in pace Dre fino al torneo, giorno in cui Dre si batterà. S Dre inizia il suo apprendistato con Han. Ma, durante le prime lezioni e con sua grande sorpresa, il maestro non gli insegna nulla del combattimento ma piuttosto lo abitua a una estenuante ripetizione di semplici e banali gesti quotidiani utili a insegnarli cos’è la vera disciplina. Intanto il legame tra Dre e la piccola Mei è sempre più forte, dopo che i due hanno trascorso una bella giornata alla festa dello Qi Xi, il San Valentino cinese. Han prosegue il suo apprendistato portando il giovane allievo alla Grande Muraglia e poi sul monte Wudang, dove gli mostra le origini del kung-fu. Dre è ipnotizzato da alcuni guerrieri in fase di allenamento che dimostrano il grande potere della concentrazione. Tornato a Pechino, Dre trascorre un allegro pomeriggio con Mei ma i due vengono interrotti da una telefonata del padre che comunica che alla ragazzina che la sua audizione all’Accademia di Musica di Pechino è stata anticipata. Mei si reca all’audizione dove fa sfoggio di un’ottima prova, ma, all’uscita, comunica a Dre che d’ora in poi non potranno più vedersi. Tornato a casa, Dre trova Han completamente ubriaco e in preda a una violenta crisi di nervi. L’uomo non è mai riuscito a superare il trauma della perdita della moglie e del figlio in un incidente di cui si sente responsabile. Il suo piccolo allievo lo aiuta a risollevarsi e a 34 trovare la forza per andare avanti. È il giorno del torneo; dopo aver convinto il padre di Mei ad acconsentire che la figlia sia presente alla competizione, Dre esce vittorioso da diversi scontri arrivando alla finale decisiva con Cheng. Resistendo al dolore di un brutto colpo ricevuto in semifinale, Dre trova il coraggio di combattere e, anche grazie alla forza della concentrazione, riesce a battere il suo rivale e a sconfiggere le sue paure. a vita può mandarci al tappeto, spetta a noi scegliere di rialzarci” parola di Jackie Chan, non un qualunque allenatore di ‘kung fu’. E così sia, dunque rimettiamoci il giacchetto, pardon il kimono. Grande fan del primo cult The Karate Kid, pellicola di grande successo (ebbe tre seguiti) del 1984 interpretata dal giovane Ralph Macchio e da Noriyuki Pat Morita, il piccolo Jaden Smith, che non è proprio un ragazzino qualunque (vanta già nel suo curriculum un ruolo di primo piano nel film La ricerca della felicità, regia del nostro Muccino e con papà Will protagonista), ha visto realizzato il suo sogno di interpretare il remake del suo film preferito grazie ai due genitori premurosi e famosi come Will Smith e Jada Pinkett Smith. Trasferita la storia originale in Cina, il piccolo jankee può vantare l’onore di recitare accanto al mitico Jackie “L Film Chan. Siamo al quinto capitolo della serie che in realtà non è niente di più che una scopiazzatura del primo film, meglio noto in Italia con il sottotitolo Per vincere domani di cui segue passo passo il plot. E ci risiamo con la solita immagine del bambino campione che riesce a sconfiggere le sue paure, sul ring e nella vita. Unico cambiamento, un tormentone per un altro: al “togli la cera, metti la cera”, ora abbiamo un insistito “togli il giacchetto, metti il giacchetto”. Lo spostamento in Cina dell’azione ha reso necessario concentrarsi sul ‘kung fu’ piuttosto che sul ‘karate’, che ha origini in Giappone, a Okinawa. Infatti in una scena i “bulletti” di turno deridono Dre chiamandolo “karate kid”, perché esegue il karate nella terra del ‘kung fu’. Per sopravvivere, il piccolo dovrà imparare il Tutti i film della stagione ‘kung fu’, che in realtà è un termine cinese piuttosto generico che indica abilità e in particolare l’abilità nelle arti marziali. In particolare, nel film il ragazzo apprenderà il ‘wushu’, una disciplina sportiva fisicamente impegnativa (che alla lettera vuol dire “arte della guerra”, wu-shu). Al di là del plot arcinoto e svolto con banalità sconcertante, il vero fascino del film risiede nell’ambientazione. Con grande furbizia ma soprattutto grazie a grandi mezzi, la produzione ha potuto girare in luoghi splendidi: la porta di Tiananmen e l’immensa Città Proibita (l’ultima troupe autorizzata a girare in questo luogo magico era stata più di vent’anni fa quella da L’ultimo imperatore di Bertolucci), così come la Beijng Shaolin Wushu School, con i suoi allievi vestiti con il tradizionale “gi” rosso, ma soprattutto la Grande Muraglia e il monte Wudang sulla sommità del quale ha luogo una delle scene più accattivanti del film, quando il piccolo allievo è incantato da una donna che, grazie alla forza della concentrazione, riesce a controllare i movimenti di un cobra. “Ogni uomo ha dentro di sé delle forze immense. Il segreto è prenderne coscienza” diceva il sensei di arti marziali a Kim Rossi Stuart in Il ragazzo dal kimono d’oro, remake ‘made in Italy’ del celebre Karate Kid, girato nel 1987 dal nostrano Larry Ludman-Fabrizio De Angelis con un Rossi Stuart ragazzino carino e promettente. Lezioncina sempre valida, ricetta sempre buona per i palati facili. Per bambini di tutte le età. Elena Bartoni BURIED-SEPOLTO (Buried) Spagna, 2010 Regia: Rodrigo Cortés Produzione: Adrián Guerra, Peter Safran per Versus Entertainment/The Safran Company/Dark Trick Films/Studio 37 Distribuzione: Moviemax Prima: (Roma 15-10-2010; Milano 15-10-2010) Soggetto e sceneggiatura: Chris Sparling Direttore della fotografia: Eduard Grau Montaggio: Rodrigo Cortés Musiche: Víctor Reyes Scenografia: María de la Cámara, Gabriel Paré Costumi: Elisa de Andrés Produttori esecutivi: Rodrigo Cortés, Alejandro Miranda Produttori associati: Tom Drumm, Miguel Nadal, Víctor Reyes ttobre 2006. Buio. Paul Conroy si ritrova chiuso in una bara, imbavagliato. Ansima, prova a urlare, mentre la luce di un accendino illumina il suo volto disperato. Libera la bocca e urla ‘Aiuto!’. Tossisce, si dimena. Inutilmente prova a spingere il legno che lo sovrasta. Squilla un cellulare, che è impostato in lingua araba. Riesce a telefonare a un numero di emergenza. Dice di trovarsi in una bara di legno, che qualcuno ve lo ha messo dentro. Lui è un autotrasportatore americano in servizio in Iraq. Racconta che è stato attaccato insieme ai suoi colleghi e che gli altri sono stati uccisi tutti. Poi chiama casa, ma risponde la segreteria telefonica. Chiama quindi l’Fbi. Riferisce che fa l’autista ed O Co-produttore: Ken Hirsh Line producer: Oriol Maymó Aiuti regista: Manel Martínez, Nicolás Umpiérrez Operatore: Pau Esteve Supervisore effetti visivi: Alex Villagrasa Interpreti: Ryan Reynolds (Paul Conroy), Robert Paterson (Dan Brenner), José Luis García Pérez (Jabir), Stephen Tobolowsky (Alan Davenport), Samantha Mathis (Linda Conroy), Warner Loughlin (Donna Mitchell/Maryanne Conroy), Ivana Miño (Pamela Lutti), Erik Palladino (agente speciale Harris) Durata: 94’ Metri: 2600 è in Iraq da nove mesi. Era in coda a un convoglio, quando dei ragazzi hanno iniziato a tirare sassi contro i camion, poi è esploso un ordigno, quindi è spuntata della gente (ribelli? terroristi?) che sparava all’impazzata. Lui crede di essere stato colpito da un sasso ed essere svenuto, è l’ultima cosa che ricorda. Adesso si ritrova in una cassa sepolta in mezzo al deserto. Chiama la sua società, chiedendo che mandino qualcuno ad aiutarlo, che non riesce a respirare... Con una matita ricopia dei numeri sulla cassa, e scrive ‘Aiuto?’. Si mette in contatto con un arabo, che pretende 5 milioni di dollari di riscatto entro la sera, dalla famiglia o dall’ambasciata americana, altrimenti lui rimarrà lì. La telefonata si 35 conclude e Paul cancella la parola ‘Aiuto’. Telefona al Dipartimento di Stato, che lo scongiura di non contattare la stampa e lo rimanda all’agente Dan Brandan, il quale assicura che stanno lavorando per tirarlo fuori da lì. Non c’è molto tempo. Dato che riesce a utilizzare il cellulare, non può essere ad una profondità superiore a un metro: proveranno a rintracciarne il segnale. Telefona di nuovo il sequestratore, che gli chiede di realizzare un video per il riscatto, mentre la posta scende da cinque a un milione di dollari. Dan osserva che il riscatto non può essere pagato e che non sarà semplice trovare Paul, ma gli proibisce di realizzare il video. Dice che i ribelli hanno sequestrato per ottenere dei Film soldi decine di giornalisti, contractors, soldati... Loro non ne hanno salvati molti... Paul gli chiede il nome di qualcuno che hanno messo in salvo, per capire se realmente si interessi a lui. Dan scandisce: “Marc White”, assicurandogli che lo salveranno, una squadra sta raggiungendo la zona. Lo invita pertanto a stare calmo e a risparmiare ossigeno e batteria del cellulare, raccomandandogli di tenere duro. Paul telefona alla madre malata, notando che potrebbe essere l’ultima volta che si sentono. Gli arriva quindi un mms con la foto di una donna imbavagliata: se Paul non realizza il video, la donna sarà uccisa. Paul registra il video e lo invia. Nella bara entra poi un serpente, mentre Paul rimane immobile e gli da fuoco. La batteria del cellulare intanto si sta esaurendo. Paul riceve un filmato, nel quale la donna afferma che le richieste dei sequestratori non sono state esaudite, prima di essere uccisa a bruciapelo. Nella testa di Paul risuonano tutte le voci che ha sentito al telefono in queste ore di disperazione. Parla ancora con Dan: il suo video sta circolando in tutto il mondo. Si avverte un’esplosione, mentre nella cassa inizia a entrare della sabbia. Gli telefona il direttore del personale della sua azienda, comunicandogli che, a causa della sua relazione con un’altra dipendente (Pamela, la donna uccisa), esplicitamente vietata dal regolamento, il suo contratto è ufficialmente risolto. Siccome l’incidente ed il sequestro sono avvenuti dopo la risoluzione del contratto, l’azienda non ne è responsabile e non è tenuta a pagare l’assicurazione alla sua famiglia. Sono le 20.30, alle 21 scade l’ultimatum dei sequestratori. Paul sente Dan: il quartiere è stato raso al suolo, i sequestratori sono morti. Adesso possono solo provare a rintracciare il segnale del suo cellulare. Paul capisce che è finita e registra il suo testamento. Si fa vivo il sequestratore, minacciando di colpire la famiglia di Paul in America, mentre la sabbia sta seppellendo l’uomo, che ormai, in preda alla disperazione, piange e ride contemporaneamente. Paul sogna: sente delle voci che dicono ‘Continuate a scavare’... Quindi viene tolta la lastra che chiude la cassa e riappare la luce... Telefona Dan, che gli dice: “Stiamo venendo a prenderti, sappiamo dove sei. Un ribelle sciita catturato dalle forze della coalizione sapeva dov’era se- Tutti i film della stagione polto vivo un americano e lo ha rivelato in cambio della libertà”. Paul li scongiura di fare in fretta, perché sta entrando la sabbia. Gli rimane solo un istante per sentire la moglie e tranquillizzarla. Pare che sia ormai in salvo... “Stiamo per tirarti fuori, ci siamo quasi...” urla al telefono Dan, che è esagitato, ma poi si placa e dice: “Oh mio Dio! Mi dispiace tanto Paul... È Marc White, ci ha portato da Marc White... Mi dispiace Paul”. La sabbia riempie la cassa, il cellulare è sommerso e si spegne... È finita. rovate sempre nuove consentono a un film ardito e rischioso – gli ultimi, fitti 90 minuti di vita di un uomo chiuso in una cassa – di non annoiare e avvincere lo spettatore, su quale sarà la sorte di Paul Conroy, che misteriosamente si trova sepolto vivo in mezzo al deserto iracheno, non si sa per mano di chi, non si capisce neanche per quale ragione: solo per un riscatto milionario? Estremo, quasi immobile, con inquadrature e possibilità d’azione circoscritte a una cassa, eppure questo film presenta sempre nuovi slanci di regia e di sceneggiatura: totali, primi piani, panoramiche su un corpo disteso, luci di fiamma, luci al neon, luce dallo schermo del cellulare, un serpente che s’insinua, la sabbia che s’infiltra e che soffoca, telefonate a un ampio ventaglio di persone, urla, silenzi, risate e pure un sogno che un istante dopo si tramuta in incubo. Può piacere o meno, si segnalano comunque l’originalità dell’idea e l’abile concretizzazione. Vittima degli errori del suo Paese, che espia alla fine con la propria vita, Paul lotta in maniera inesausta, servendosi dei pochi oggetti che trova nella cassa (che rispondono all’opera di un manovratore che rimane ignoto), per tentare in ogni modo di mettere in salvo la sua vita. Ma si trova a scontrarsi, in una maniera davvero snervante e claustrofobica, con difficoltà logistiche (il buio, l’assenza di campo per il cellulare, la cui batteria si va inoltre esaurendo) e barriere burocratiche incomprensibili e inaccettabili per lui, che sta morendo in una bara. Chiede disperatamente aiuto e si sente domandare il codice della sua polizza assicurativa. Non può neanche morire in pace: con uno stratagemma malvagio, la sua azienda gli nega l’assicurazione sulla vita, mentre il suo seque- T 36 stratore minaccia ritorsioni sulla sua famiglia in America. Chi ha messo Paul lì dentro? Chi si sta attivando per tirarlo fuori? Delle voci... Eppure quest’impalpabile immaterialità dei protagonisti pare quasi di non percepirla. È come se gli attori fossero presenti, condividendo nei toni delle conversazioni il dramma che si consuma, anche se per parti opposte, e per opposta colpevolezza: il sequestratore ha infatti la responsabilità materiale della morte di Paul, il soccorritore quella morale, per non essere riuscito a fornirgli l’aiuto più urgente. È il dramma della guerra, che da sistemico si fa quotidiano ed entra con violenza dirompente e omicida nella vita delle persone, che, a loro volta, sono di certo espressione del sistema, ma al contempo sue inermi vittime. Non è Paul a decidere le politiche dell’America, ma è lui a lavorare sul pericoloso territorio di un popolo minacciato da morte e guerra, che non è abituato a fare tante sottigliezze sui responsabili della propria miseria e del proprio massacro. E che, rapendo cittadini americani e condannandoli a una morte senza pietà, insidia la potenza dell’impero oltreoceano e ne logora i nervi e l’opinione pubblica. Non è casuale, infatti, che l’agente con cui Paul si mette in contatto lo inviti caldamente a non realizzare il video. Qualora venga diffuso, infatti, costringerebbe i sequestratori ad attuare fino in fondo i loro proclami (che comportano l’eliminazione di Paul), dando però visibilità planetaria – ed è il dettaglio che Dan sottace – alle carenze e all’impotenza dell’intelligence americana. Dan, preposto all’aiuto di questi casi disperati, appare sincero nel suo impegno a distanza, anche se tutto culmina poi in tragedia. Due le incongruenze che lasciano qualche perplessità. Come fa Paul a contattare il primo numero che compone, se questo è raggiungibile solamente dal suolo americano e lui ritiene di trovarsi in Iraq? Come fa la donna del Dipartimento che risponde a un’altra sua chiamata a sapere il suo nome, se lui non si è ancora presentato? Interrogativi che alimentano teorie da complotto... Di certo, però, v’è solo il dramma di claustrofobia e di morte, che nessuno potrebbe invidiare, di un uomo abbandonato al suo destino. Luca Caruso Film Tutti i film della stagione IL SEGRETO DEI SUOI OCCHI (El secreto de sus ojos) Argentina/Spagna, 2009 Casting: Walter Rippell Aiuti regista: Marisol Freites, Glenda Heevel Art director: Marcelo Pont Vergés Trucco: Lucila Robirosa Acconciature: Osvaldo Esperón Effetti: Rodrigo S. Tomasso Suono: José Luis Díaz Interpreti: Ricardo Darín (Benjamín Espósito), Soledad Villamil (Irene Menéndez Hastings), Pablo Rago (Ricardo Morales), Javier Godino (Isidoro Gómez), Guillermo Francella (Pablo Sandoval), José Luis Gioia (Ispettor Báez), Carla Quevedo (Liliana Coloto), Rudy Romano (Ordóñez), Mario Alarcón (Juez Fortuna Lacalle), Alejandro Abelenda (Mariano), Sebastián Blanco (Tino), Mariano Argento (Romano), Juan José Ortíz (Agente Cardozo), Kiko Cerone (Molinari), Fernando Pardo (Sicora) Durata: 129’ Metri: 3550 Regia: Juan José Campanella Produzione: Mariela Besuievski, Juan José Campanella, Carolina Urbieta per 100 Bares/ Canal+ España/Haddock Films/ Tornasol Films; con la partecipazione di Televisión Española (TVE) e in associazione con Televisión Federal (Telefe) Distribuzione: Lucky Red Prima: (Roma 4-6-2010; Milano 4-6-2010) Soggetto: tratto dal romanzo La pregunta de sus ojos di Eduardo Sacheri Sceneggiatura: Eduardo Sacheri, Juan José Campanella Direttore della fotografia: Félix Monti Montaggio: Juan José Campanella Musiche: Juan Federico Jusid Scenografia: Marcelo Pont Vergés Costumi: Cecilia Monti Produttori esecutivi: Gerardo Herrero, Vanessa Ragone Produttore associato: Axel Kuschevatzky Direttori di produzione: Muriel Cabeza, Federico Posternak 999. Benjamín Espósito ha lavorato per anni come assistente al Pubblico Ministero. Ora è in pensione e sta scrivendo un romanzo. La sua mente è ancora ossessionata dal caso Morales, ormai archiviato dalla polizia, ma ancora vivo nella sua memoria. A quel tempo, Espósito aveva indagato sull’omicidio di Lilliana Morales avvenuto nel giugno del 1974 in un sobborgo di Buenos Aires, una giovane donna che era stata prima violentata e poi uccisa. Il marito Ricardo, affranto dal dolore e assetato di vendetta, ha ora come unico scopo quello di trovare l’assassino e consegnarlo alla giustizia. Nelle indagini Espósito viene aiutato dall’assistente Pablo Sandoval e da Irene Menendez-Hastings, il nuovo cancelliere da cui resta subito affascinato. A casa di Morales, trova qualche indizio guardando delle foto in cui c’è spesso un uomo che sembra guardare la vittima in modo sospetto. Si tratta di Isidoro Gómez. L’uomo, però, sparisce prima di essere rintracciato. Con Sandoval entra di nascosto nella casa della madre del sospettato che si trova a Chivilcoyy (la stessa città di Lilliana) e prende con sé delle lettere. Questa azione, però, appare inutile, visto che non trovano indizi. Inoltre ha creato dei problemi con i superiori perché l’operazione è illegale. Il caso viene così chiuso. Passa circa un anno. Espósito rivede Morales e scopre che il marito della ragazza uccisa passa gran parte del tempo libero nelle stazioni ferroviarie di Buenos Aires alla ricerca di Gómez. Colpito dalla sua determinazione, riesce a convincere 1 Irene a riaprire l’inchiesta. A sua volta, Sandoval. grazie a un amico del bar (l’uomo è infatti vittima di alcolismo), riconosce alcuni nomi scritti nelle lettere prese da casa della madre di Gómez e si tratta di alcuni calciatori del Racing Club de Avellaneda. Pensando così che il sospetto sia un tifoso della squadra di calcio, vanno a vedere diverse partite del Racing sperando di trovarlo. Una volta, lì allo stadio, finalmente, riescono a riconoscerlo. Lui scappa e dopo un inseguimento viene catturato dalla polizia. Nell’interrogatorio Irene ed Espósito riescono a farlo confessare. Viene così processato e condannato. Dopo poco tempo, però, è liberato da Romano, collega con cui Espósito ha frequenti scontri, e lo fa lavorare come guardia del corpo del Presidente Isabel Péron. I tentativi per ottenere giustizia si rivelano inutili e, a Espósito non resta che informare Morales che Gómez, pur condannato all’ergastolo, ora è libero. Nel frattempo, Sandoval viene trovato assassinato nell’appartamento di Espósito che, a questo punto, sentendosi in pericolo, decide di andare in esilio a malincuore perché si allontana dalla donna che ama, Irene. Si trasferisce così a Juijuy. Quando torna a Buenos Aires dopo molti anni, Romano è stato ucciso durante la dittatura del 1976, Irene si è sposata con due figli e di Gómez si sono perse le tracce. Ora nel 1999, mentre sta scrivendo il libro, ritrova anche Irene. Poi va a trovare Morales che si è trasferito da molto tempo in una casa di campagna alla periferia di Buenos Aires. L’incontro, inizialmente pia- 37 cevole, si carica di un’inspiegabile tensione. Il marito della donna uccisa anni prima confessa di aver prima sequestrato poi ucciso Gómez. Espósito però ha dei dubbi. Torna così di nascosto a casa di Morales e scopre che in una cella nell’oscurità c’è un uomo vecchio e malconcio. Si tratta di Gómez. Tornato poi a Buenos Aires, va alla tomba di Sandoval poi da Irene, riuscendo finalmente a dirle ciò che prova per lei. La donna, felice, lo invita a rimanere in ufficio e a chiudere la porta. el ventre della memoria. Un viaggio nel buio Il segreto dei suoi occhi che parte come un noir classico (l’indagine su un omicidio) poi vira verso il melodramma nel modo in cui vengono mostrati gli sguardi e le parole mai dette tra Benjamin e Irene e, infine, termina come un thriller con la vendetta del marito vedovo che tiene sequestrato l’assassino della moglie. Tratto dal romanzo di Eduardo Sancheri, Il segreto dei suoi occhi da forma a molteplici ossessioni nel modo più tradizionale possibile. Forse per questo ha fatto storcere il naso il fatto che sia stato premiato nel 2010 con l’Oscar come miglior film straniero al posto del troppo acclamato Haneke di Il nastro bianco e dello straordinario carcerario Audiard di Il profeta (quello sì che lo meritava). Eppure è un film lineare nel suo genere, capace di accendersi a intermittenza e non in modo costante come invece la ricchezza della materia narrativa poteva promettere. Il film dell’argentino Juan José Campanella (del quale in Italia si è visto Il figlio della sposa del 2001, che ottenne la nomination al- N Film l’Oscar) gioca essenzialmente sull’alternanza di due piani temporali diversi: il 1974, data dell’omicidio, e il 1999, momento in cui nella mente di Benjamín riprende forma il caso Morales. Il passato è rivissuto attraverso i suoi occhi. Potrebbe essere alterato, manipolato, frutto di una fantasia individuale, o una personale lotta contro i propri demoni. Il film, però, non lascia questa ambiguità ma preferisce soffermarsi su un racconto teso e ben ritmato, che sa utilizzare anche delle tracce visive evidenti (la presenza delle fo- Tutti i film della stagione tografie), all’interno delle quali la macchina da presa sembra voler sprofondare per poi animarle e farle riprendere vita. Uno schema, questo, che a volte si vede anche in alcune serie tv statunitensi, alcune anche di ottima fattura. Del resto Campanella ha anche diretto alcuni episodi di Law & Order e Dr. House e si vede che ha una mano abile nel costruire la tensione, nel mostrare i suoi protagonisti in uno stato di continuo pericolo. Non vuole sembrare una provocazione, ma, forse, per Il segreto dei suoi occhi doveva emergere l’anima più televisiva del regista piuttosto che quella più autoriale. Il film ha una raffinatezza visiva (le inquadrature negli interni, l’utilizzo di tonalità neutre, l’indugiare sui primi piani dei protagonisti) che finisce per trattenerlo eccessivamente quando invece era potenzialmente esplosivo. Di conseguenza, tende a ripulire il suo essere torbido, quasi sporco e a tenere a troppa distanza le ombre della dittatura evidenti solo in isolate azioni o in una partenza che lascia una consistente frattura temporale. Eppure nell’opera ci sono anche degli slanci improvvisi (il modo in cui viene inquadrato Gómez, quasi una specie di diavolo che prende provvisoriamente una forma umana), momenti di gran bel cinema (il piano-sequenza allo stadio) e la bravura di attori come Ricardo Darín e Soledad Villamil, che ha già diretto insieme in El mismo amor, la misma lluvia del 1999 e lui da solo proprio in Il figlio della sposa e in Luna de avellaneda del 2004. Il cuore melò, però, ha un battito regolare che accelera solo nella scena del treno. Se avesse preso un andamento irregolare, forse ora staremmo a parlare di un capolavoro e non solo di un discreto film. Potrebbe bastare, ma nel caso di Il segreto dei suoi occhi resta maggiormente il rimpianto per come sarebbe potuto essere. Simone Emiliani WALL STREET: IL DENARO NON DORME MAI (Wall Street 2: Money Never Sleeps ) Stati Uniti, 2010 Acconciature: Chris Clark, Suzy Mazzarese-Allison, Silvie Salle, Kerrie Smith Supervisori effetti visivi: David Burton (With A Twist Studio), Eric Bruneau, Paul Graff Coordinatori effetti visivi: Matt Kushner, Andy Simonson (Look FX) Interpreti: Michael Douglas (Gordon Gekko), Shia LaBeouf (Jake Moore), Josh Brolin (Bretton James), Carey Mulligan (Winnie Gekko), Eli Wallach (Jules Steinhardt), Susan Sarandon (madre di Jake), Frank Langella (Louis Zabel), Austin Pendleton (dottor Masters), John Bedford Loyd (Bill Clark), Vanessa Ferlino (Audrey), John Buffalo Mailer (Robby), Jason Clarke (capitano della polizia federale), Maria Bartiromo (conduttrice televisiva), Waltrudis Buck (segretario di Zabel), Alice Burla (pianista tredicenne), Anthony Cochrane (rappresentante di Londra), Frank Ciornei (proprietario di casa), Michael Genet (maggiordomo di James), Harry Kerrigan (guardia della prigione), Edmund Lyndeck (paziente), Tom Mardirosian (procuratore distrettuale), Sylvia Miles (agente immobiliare), Manu Narayan (analista), Julianne Michelle (Natasha), Nan Lu, Sondra James, Limor Hakim, Edward Henzel, Richard Green, Christian Baha Durata: 127’ Metri: 3500 Regia: Oliver Stone Produzione: Eric Kopeloff, Edward R. Pressman, Oliver Stone per Edward R. Pressman Film Distribuzione: 20th Century Fox Prima: (Roma 22-10-2010; Milano 22-10-2010) Soggetto: Bryan Burrough, Stephen Schiff Sceneggiatura: Allan Loeb, Stephen Schiff Direttore della fotografia: Rodrigo Prieto Montaggio: David Brenner, Julie Monroe Musiche: Craig Armstrong Scenografia: Kristi Zea Costumi: Ellen Mirojnick Produttori esecutivi: Alessandro Camon, Celia D. Costas, Alex Young Direttore di produzione: Deb Dyer Casting: Kathleen Chopin, Sarah Finn Aiuti regista: David Fischer, Chris Gibson, Adrian Grunberg, Peter Thorell Operatore Steadicam: Maceo Bishop Art director: Paul D. Kelly Arredatore: Diane Lederman Trucco: Jane Choi, Leslie Fuller, Mindy Hall, Gabriel Solana, Mary Anne Spano, Ande Yung 38 Film 001: Gordon Gekko, speculatore, affarista, mente diabolica della Borsa di New York degli anni ’80, esce dalla prigione dove ha scontato otto anni per “insider trading” e altri reati finanziari. Non trova nessuno ad attenderlo, tantomeno sua figlia Winnie che lo considera colpevole delle sofferenze inflitte alla madre e della morte del fratello per overdose. Gekko passa quindi il suo tempo scrivendo libri (la gente fa la fila per avre la firma autografa sul suo memoriale “L’avidità è buona?”) e tenendo conferenze all’università. Altri anni passano e tempi sempre più duri si delineano all’orizzonte per la finanza, l’economia e le tasche della gente, stretta tra la disoccupazione, le case che non valgono nulla con le rate di mutuo però sempre uguali e che in tanti non pagano più. Conseguenza: i debiti sono cartolarizzati, trasformati in titoli, i cosiddetti “tossici” che le banche d’affari si passano l’una con l’altra fino a che qualcuna non rimane col cerino in mano e soccombe. È il caso della Zabel Bank, il cui amministratore, Lewis Zabel è la guida e il paterno maestro di Jake Moore, giovane rampante che tenta la scalata al successo nel mondo finanziario per sostenere un’ azienda amica specializzata nella green economy e nelle energie alternative. Il momento diventa bruciante e doloroso: Lewis, sotto la pressione del suo avversario Bretton James, anima nera della finanza sporca che ha messo in giro voci sulla scarsa tenuta della sua banca, si uccide. Jake è disperato ma vuole continuare a lavorare nell’ambiente che divora i più deboli per vendicare il vecchio Zabel: avvicina Gekko, con la cui figlia, guarda caso, è fidanzato e come realizzazione di un sogno nefasto incomincia a lavorare proprio per la banca di Bretton. Gekko vuola da James l’aiuto per riavvicinarsi alla figlia, cosa che avviene alla fine di alcuni incontri apparentemente fortuiti, ma in realtà preparati dai due. La vendetta per Jake arriva presto: Bretton James cade sotto le voci messe sul tappeto da una congiura di borsa, di cui Gekko e il giovane sono gli artefici. Manca un ultimo tassello: Gekko rivela che in Svizzera ci sono dei fondi da lui occultati ai tempi d’oro, cento milioni di dollari, basta una firma di Winnie per sbloccarli ed entrarne in possesso a sostegno delle sue campagne sociali e ambientaliste sul suo blog “di sinistra”. In realtà è un inganno: una firma di Winnie e i soldi, come per magia, ritornano in mano proprio a Gekko che riapre ufficialmente e clamorosamente la sua attività in borsa, a dimostrazione che lui è sempre e ancora il più forte. Per Jake e Winnie è una ferita dolorosissima che li divide e sembra inaridire ogni sentimento. Jake prova il colpo gobbo: porta a Gekko un’ecografia che rivela Winnie essere incinta di un bimbo, suo nipote. La durezza del finanziere si 2 Tutti i film della stagione sgretola, i cento milioni andranno per il futuro del piccolo Gekko e per le iniziative sociali di Winnie: il vecchio squalo ha rinfoderato i denti, forse, per sempre. liver Stone è un regista d’impeto e anche qui conferma la sua fama e il suo modo di girare affrontando una materia vasta e corposa per metterci dentro tanto e alla sua maniera: l’avidità, naturalmente, il denaro e il suo potere sulla ingenuità degli uomini, la consapevolezza che l’essere umano non è mai cambiato nel corso dei secoli e mai cambierà, come mosso e continuamente depredato da una maledizione biblica che non lascia scampo e che a cadenze cicliche riappare immutabile, persecutoria e divoratrice. È, in fin dei conti, il monolite di Kubrick alla rovescia, lì portatore di una misteriosa fonte di intelligenza capace di accompagnare l’evoluzione, qui pietra tombale su un essere vivente la cui caratteristica principale è la rapacità, la stupidità senza via d’uscita. Naturalmente c’è anche molto altro, a cominciare dal rapporto padri e figli per esempio, dilatato a superare lo stretto legame dei protagonisti per caratterizzare altri piani narrativi: Jake e Lewis, Jake e Gekko, Gekko e Winnie ma anche Jake e Bretton e Bretton e il vecchio banchiere Steinhard (un monumento a se stesso fatto da un sublime e quasi centenario Eli Wallach). E sempre a significare la stessa cosa: un padre incombente, onnivoro, divoratore della realtà e dei propri figli, crudele, minaccioso, spaventevole quando è grande; disponibile all’affetto, umanamente e normalmente vulnerabile quando cade in una discesa, che, a sua volta, provoca ancora dolore. Per superare quaesta doppia forma che il dolore prende prima e dopo, l’uomo si ubriaca nella sopraffazione, nell’avidità, conferisce al denaro quel potere che O 39 non è stato in grado di costruirsi con la propria personalità mancante. Questa è la macchina della storia, questo è ciò che l’uomo ancora non comprende. Stone inquadra tutto ciò secondo due architetture narrative e d’ambiente: i protagonisti, le loro storie, il loro dibattersi; intorno i personaggi della finanza, della borsa, dei consigli di amministrazione, delle sale delle contrattazioni, degli alberghi, dei ricevimenti, degli uffici. Dei primi praticamente sappiamo tutto e nulla ci meraviglia, dalle scene tenute con solida conduzione registica alla forte professionalità degli interpreti basata soprattutto sulla contrapposizione tra la padronanza luciferina del vecchio Douglas e il sincero slancio dei due giovani Shia Labeouf (Jake) e Carey Mulligan (Winnie). È particolarmente affascinante invece la composizione dell’ambiente che fa da contorno alla storia primaria, sia nella caratterizzazione degli attori, di grandissimo mestiere anche nelle partecipazioni più brevi come nella precisazione delle note scenografiche più strettamente d’interni: Stone ci consegna uno scenario di spettri di cui mette in evidenza con disprezzo e una condanna senza appello ogni crudeltà, ogni bassezza nel calpestare la dignità umana; gli stereotipi del linguaggio, dei comportamenti, del vestiario borsistico d’ordinanza, delle espressioni convenzionali sono rappresentati con la spietatezza del giustiziere e la fantasia di un grande cineasta. Chissà se la rabbiosa distruzione di un preziosissimo quadro di Francisco Goya e delle mostruosità in esso rappresentate a opera di Bretton James sia la strada auspicata dal regista: fare piazza pulita di tutta questa serie di mostri che hanno portato il genere umano sull’orlo del baratro. Fabrizio Moresco Film Tutti i film della stagione I FIORI DI KIRKUK (Golakani Kirkuk) Italia/Svizzera, 2010 Operatore: Marco Carosi Arredatore: Malakdjahan Khazai Trucco: Ronald Haldimann Acconciature: Simona Marra Fonico: (presa diretta) Patrick Becker Effetti speciali: Fernando Sabelli Interpreti: Morjana Alaoui (Najla ), Ertem Eser (Sherko), Mohammed Zaoui (Mokhtar), Mohammed Bakri (Sherko 20 anni dopo), Maryam Hassouni (Rim), Ashraf Hamdi (Rasheed), Falah Fleyeh (zio), Shilan Rahmani (Bayan), Sarkaw Gorany (Karim), Fehd Benchemsi (Hashem) Durata: 115’ Metri: 3150 Regia: Fariborz Kamkari Produzione: Fabrizia Falzetti, Marcel Hoehn, Dorotea Morlicchio, Francesca Morlicchio, Claudio Tesauro, Carlo Nizzo, Michelangelo Morlicchio, Giulia Fretta per Far Out Films/T&C Film AG Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 19-11-2010; Milano 19-11-2010) Soggetto e sceneggiatura: Fariborz Kamkari, Naseh Kamkari Direttore della fotografia: Marco Carosi Montaggio: Marco Spoletini Musiche: Orchestra di Piazza Vittorio Scenografia: Malak D. Khazai, Sima Yazdanfar Costumi: Malakdjahan Khazai, Simona Marra Direttore di produzione: Sabina Tranquilli 988: Najla, giovane dottoressa irachena laureatasi a Roma torna nel suo Paese per avere notizie di Sherko, medico curdo, suo grande amore, ritornato precipitosamente a Kirkuk e di cui non sa più nulla. Najla trova una realtà ben diversa da quella sperata: la famiglia dello zio (i genitori di lei non ci sono più) si considera depositaria dei valori del clan fermo nei secoli; il cugino è un despota, fautore della sottomissione completa della donna al marito, al padre, al maschio. Sherko è entrato prima come fiancheggiatore poi direttamente nella lotta partigiana dei curdi di cui Saddam Hussein ha avviato lo sterminio; per questo ha voluto troncare ogni rapporto con Najla per non comprometterla insieme alla sua famiglia. A questo, si aggiunge il corteggiamento di Mokhtar, ufficiale dell’esercito regolare che vuole sposare Najla, i cui rifiuti lo fanno diventare sempre più ossessivo e insidioso. Per tenere lontano tutto ciò e per potere gestire almeno una parte della propria libertà, Najla decide di diventare guardia medica nell’esercito: può così aiutare la causa curda dall’interno e stare vicino a Sherko. 1 Tutto questo però non basta; le vicissitudini si accavallano, la morsa di Saddam si chiude intorno ai curdi; Najla riesce a fuggire insieme Sherko utilizzando un lasciapassare rubato a Mokhtar; lei è presa e fucilata, solo lui riesce a mettersi in salvo. 2003: Saddam è caduto e con lui le sue statue, la persecuzione è finita, Sherko può finalmente portare un fiore sul campo pieno di tombe dove Najla riposa insieme ad altri martiri. piani narrativi sono due: la storia privata dei due protagonisti, il loro amore, il ritorno, il riprendere contatto con una realtà che stando lontani sembrava impossibile che esistesse ancora; l’incapacità di restare fuori dalla mischia e il profondo dovere morale di partecipare alla resistenza contro la persecuzione fino al sacrificio finale di cui tutti e due sono consapevoli. La storia pubblica con i suoi orrrori, le torture, le armi chimiche sulle popolazioni inermi, il genocidio e poi la caduta del dittatore e del suo regime di cortigiani e generali inetti. Due considerazioni di base da cui non I si può prescindere, indipendentemente dai giudizi e dalle idee che tutti liberamente possono avre su tutto e quindi anche su di un film: non basta la nobiltà civile di un argomento, né l’onestà delle intenzioni registiche per fare un buon film, tantomeno un bel film; i due piani narrativi, cui accennavamo prima, non si compenetrano mai, non concorrono a comporre un’unica figura umana, inquadrata nella sua evoluzione storica come persona capace di sentimenti e di azioni contro i soprusi di un regime. Il film, quindi, risulta sempre sbilanciato, a favore di una o dell’altra narrazone, privo di quel respiro drammaturgico completo, capace di coinvolgere l’attenzione e l’animo dello spettatore. Tecnicamente poi la conduzione delle immagini avviene in maniera primitiva, come il compitino di un giovane operatore alle prime armi e questo non conferisce al lavoro nemmeno quella spontaneità un po’ naif forse ricercata ma solo la penuria di competenza, di soluzioni, di fantasia. Fabrizio Moresco VALUTAZIONI PASTORALI Benvenuti al sud – consigliabile / brillante Bruno – sconsigliato-non utilizzare / volgarità Buried – Sepolto – complesso-problematico / dibattiti Corsa a Witch Mountain – consigliabile / semplice Doppia ora (La) – consigliabile / problematico Estate di Martino (L’) – n.c. Figli delle stelle – consigliabile / brillante Fiori di Kirkuk (I) – consigliabile-problematico / dibattiti Harry Potter e i doni della morte – Parte1 – consigliabile / problematico In carne e ossa – n.c. Karate Kid (The) – La leggenda continua – futile / superficialità Maschi contro femmine – futile / scabrosità Noi credevamo – consigliabile-problematico / dibattiti Notte da leoni (Una) – futile / grossolanità Panico al villaggio – n.c. Post Mortem – consigliabile-problematico / dibattiti Potiche – La bella statuina – consigliabile / brillante Precious – Complesso-problematico / dibattiti Ritorno a Brideshead – n.c. Qualcosa di speciale – consigliabile / problematico 40 Segreto dei tuoi occhi (Il) – n.c. Social Network (The) – consigliabile / realistico Superpoliziotto al supermercato (Il) – n.c. Stanno tutti bene – consigliabile / semplice Ti presento un amico – consigliabile / semplice Unstoppable – Fuori controllo – consigliabile / semplice 20 sigarette – consigliabile / realistico Wall Street: il denaro non dorme mai – consigliabile / problematico Winx Club 3D – Magica avventura – consigliabile / semplice Film Tutti i film della stagione PESARO 2010: IL “NUOVO” CINEMA È VIVO A cura di Flavio Vergerio La Mostra Internazionale del Nuovo cinema di Pesaro, giunta alla sua 46.a edizione, continua a essere, per l’attenzione a cineasti “fuori dal coro” e per la ricchezza documentaria con cui da alcuni anni ripropone le maggiori figure del nostro cinema, la manifestazione più significativa del nostro panorama festivaliero, seconda solo a Torino e a Venezia. Anche quest’anno il programma, molto ricco e stimolante, presentava molteplici motivi d’interesse: accanto a un Concorso migliorato di livello (senza alcune concessioni del passato al pubblico distratto delle proiezioni all’aperto) è stata proposta una corposa ricognizione del nuovo cinema russo, con autori di grande interesse, un gruppo significativo di opere di cinema “di ricerca” nella sezione evocativa dello spirito cinema della Nouvelle Vague, “Bande à part”, una retrospettiva completa di Carlo Lizzani, grande testimone di sessant’anni di vita italiana, con un importante volume curato da Vito Zagarrio. La Mostra, come da sua specifica tradizione, ha inoltre pubblicato una raccolta di saggi critici del suo fondatore, Lino Micciché, utile documentazione per ripercorrere il dibattito culturale italiano fra il 1930 e il 1980. IL CONCORSO Il film premiato dalla Giuria, Eighteeen (ma il titolo originale suona Hoe-ori Ba-ram, che significa “Uragano”) del sud-coreano Jang Kunjae è una meditazione poetica e sofferta sulla “dolce ala della giovinezza”. Due diciottenni vivono un delicato idillio in una breve vacanza invernale in riva al mare, ma al loro ritorno a casa i genitori di lei le proibiscono duramente di rivedere l’amico. La ragazza ubbidisce e al giovane innamorato non resta che una dolorosa riflessione sulla fine dei sogni e sul ritorno all’ordine. Sospeso fra realismo e tempi morti della riflessione il film si segnala per la convincente indagine psicologica. Più ambizioso, ma meno riuscito per l’eccesso di verbosità e la meccanica velocizzazione delle immagini ritmate dalla musica rocchettara pop da videoclip, il film premiato dalla giuria alternativa formata da studenti dell’Università di Urbino, Kislorod (Oxygen) del giovane siberiano Ivan Vyrypayev. In uno studio di registrazione musicale due presentatori commentano il dettato dei Dieci Comandamenti, messi a confronto con la ricerca esistenziale di una giovane coppia. Ma senza l’Ossigeno - il Verbo - moriranno… Memore di atmosfere rarefatte alla Antonioni, El Pasante (The Intern) della trentenne esordiente argentina Clara Picasso descrive gli impacci amorosi di uno stagista e della sua formatrice, una scialba receptionist in un grande albergo. I due osservano la vita segreta e illusoria dei clienti e finiscono per essere coinvolti nella misteriosa scomparsa di un cliente. Il film parla di difficoltà comunicativa, di vita affettiva bloccata, di rapporti fra vita privata e vita sociale. Buono lo stile, poco convincente il plot. Il secondo film sudamericano, Vaho (Becloud, ovvero confuso) di un altro esordiente, il messicano Alejandro Gerber Bicecci, intreccia diverse storie in un complesso andirivieni cronologico sullo sfondo della rappresentazione popolare della Passione di Cristo a Iztapalpa. Tre ragazzi diciottenni sono lacerati dal senso di colpa per non essere intervenuti anni prima per salvare un bambino loro coetaneo. Il regista vuole denunciare l’incapacità di fare chiarezza nella propria esistenza, condizionata dall’emarginazione sociale (si prega perché l’acqua torni a sgorgare da una sorgente rinsecchita) e dalla solitudine. Miyoko Asagaya Kibun (Miyoko) di un altro giovane, il giapponese Yoshifumi Tsubota, descrive l’ossessione erotica del disegnatore di fumetti manga Abe Shinichi, che cerca disperatamente di trarre ispirazione dalla sua musa e modella Miyoko. L’artista vive tutte le tappe dell’artista maledetto, diviso fra abiezione bohemienne e successo, amore e violenza, produzione artistica e blocchi creativi. Storia narrata infinite volte, ma qui nobilitata dalla qualità delle immagini e dal rapporto problematico fra realtà e rappresentazione. Film violentemente pessimista come viene confermato dalla battuta finale dell’artista che appare alla fine del film in prima persona: “Diventa buio così velocemente…”. NUOVO CINEMA RUSSO La censura del mercato ha prodotto una visione distorta della cultura e del cinema russi contemporanei, affidata ai nomi prestigiosi ed elitari, da tempo fiore all’occhiello di molti festival nel mondo, di Sergej Bodrov (Il prigioniero del Caucaso), Pavel Lungin (Taxi blues, Le nozze), Andrej Konèalovskij (Il proiezionista, La casa dei matti), Alexander Sokurov (Madre e figlio, L’arca russa, Il 41 sole), oltre al più popolare Nikita Michalkov (Sole ingannatore, 12). Così almeno tre nomi significativi della nuova generazione sono sconosciuti in Italia: Aleksej German jr., Boris Chlebnikov e Aleksej Popogrebeskij. La “liberalizzazione” post-comunista, oltre a un iniziale impoverimento della popolazione, ha portato alla dissoluzione delle strutture delle cinematografia di stato, alla chiusura dei rapporti con l’estero e alla paralisi della produzione. Per merito dello sfruttamento degli immensi giacimenti di petrolio e di idrocarburi, e quindi con grandi possibilità finanziarie, la Russia ha ripreso lentamente e con molte contraddizioni la sua rinascita economica e sociale. Permane tuttavia una grande disparità fra i grandi ricchi e una massa enorme di popolazione ridotta alla povertà. Ma si è anche formato un ceto medio che inizia a godere del benessere consumistico di stampo occidentale. Di questa “rinascita” hanno beneficiato anche le nuove case di produzione, che hanno usufruito di notevoli contributi statali, diminuiti solo negli ultimi due anni a causa delle crisi globale. Nel 2009 sono stati prodotti in Russia 107 film e alcuni di essi sono riusciti a scalare le vette del box-office, su un totale di 300 film distribuiti. Al maggio 2010 risultavano operanti 2155 schermi in 802 cinema moderni, in un territorio vastissimo e su una popolazione di 142 milioni di abitanti. In questo panorama ha ripreso spazio e vigore il cinema d’autore, di cui ha dato significativo conto la mostra di Pesaro con una cospicua rassegna di una ventina di film realizzati negli ultimi dieci anni. La nuova generazione dei cineasti russi indipendenti ci offre uno sguardo sghembo e trasversale sulla complessa e difficile società russa. I giovani registi si sono allontanati dalle grandi città, Mosca e San Pietroburgo, dai centri del potere politico e dei nuovi oligarchi e mafiosi corrotti, per andare a cercare l’anima di una possibile nuova Russia nei piccoli villaggi agricoli persi nella steppa, con la loro piccola umanità, la loro genuina moralità, le loro rissose e bonarie relazioni interpersonali e i suoi riti religiosi (o alcolisti), il loro fatalismo, il loro profondo rapporto con la terra. I loro film spesso studiano il rapporto fra passato e presente, raccontandoci storie di conflitti generazionali, di ribellioni dei figli e di confessioni dei padri. Assieme a Il ritorno di Andrej Zviagincev, Roa- Film ds to Koktebel (t.l. Strade per Koktebel) di Aleksej Popogrebskij e Boris Boris Klebnikov, realizzati nello stesso anno, il 2003, segna la nascita del nuovo movimento, dando origine alla vivace casa di produzione Koktebel. Si tratta di un road movie carico di simbolismi. Un ingegnere, rimasto vedovo, abbandona Mosca per raggiungere la sorella a Koktebel sul Mar Nero. Lo accompagna il figlio undicenne, che vuole raggiungere rapidamente la costa per vedere volare gli alianti. L’uomo è amareggiato, nasconde nel profondo dell’animo e della memoria molti ricordi tristi; privo di autostima, ha un rapporto difficile col figlio. Se per l’uomo il viaggio rappresenta una sorta di purificazione e di ricostruzione di una nuova vita, per il figlio il mare e gli alianti rappresentano la ricerca di indipendenza e l’inizio dell’età adulta. Il viaggio segnala anche la presenza desolata della Russia profonda, con la sua miserie e la sua violenza. All’ultimo, l’uomo sembra rinunciare alla meta, innamorandosi di una dottoressa che l’ha curato. Il ragazzo raggiunge invece su una collina a picco sul mare il monumento al deltaplano tanto agognato, lotta con un gabbiano che lo assale (il volo solitario è una conquista difficile) e finisce con perdere il suo sguardo sull’orizzonte infinito, gravido di speranze e di interrogativi. Il padre è infine accanto a lui: lo sguardo comune e la consapevolezza di un destino incerto forse apriranno un dialogo difficile. I rapporti fra padri e figli, lo scontro generazionale, la rivisitazione di un passato drammatico dei padri e il loro senso di colpa nei confronti dei figli è tema ricorrente in altri film. Si veda il doloroso percorso verso l’annullamento di sé di una cantante lirica che rinuncia alla propria carriera dopo la scomparsa del figlio “ribelle” per dedicarsi ai diseredati del suo villaggio natale (Yuri’s Day/Il giorno di Yuri di Kiril Serebrennikov) oppure la difficile convivenza fra un esperto metereologo e un giovane neolaureato in una sperduta stazione d’osservazione fra i ghiacci del circolo polare (How I Ended This Summer/Come ho passato quest’estate di Aleksey Popogrebsky), situazione narrativa che ricorda Il tempo si è fermato di Ermanno Olmi. L’altro tema significativo è il rapporto fra città e campagna, ben illustrato da Granny/(Nonnina) di Lidya Bobrova in cui una vecchietta è costretta a cercare rifugio in città, salvo poi fuggirne per tornare al suo mondo rurale. Arioso e sorridente, malgrado il desolante contesto sociale, è apparso Travelling with Pets (Viaggio con animali domestici) di Vera Storozheva, ritratto di una donna brutalizzata dalla vita e dagli uomini, che riesce a costruirsi una nuova identità, tornando all’orfanotrofio da cui proviene e adottandovi un bambino, dopo aver rifiutato il matrimonio con un buon uomo, ma fondamentalmente maschilista. Anche in questo film la campagna e il lento scorrere delle acque che l’ attraversano è il luogo simbolico della rinascita e della riconquista della propria umanità. La campagna non è sempre un luogo idillico e pacificato, ma spesso è il deserto in cui si Tutti i film della stagione muovono i fantasmi dei personaggi: si veda Morphia/Morfina di Aleksey Balabanov, tratto da Appunti di un giovane medico di Bulgakov, in cui un giovane medico operante in un villaggio sperduto cerca di vincere le proprie insicurezze cadendo progressivamente nel baratro della droga. Alcune donne registe (e non solo) stanno sviluppando una significativa riflessione sulla condizione della donna in Russia: basti citare il durissimo Tale in the Darkness/Racconto nel buio di Nikolay Khomeriki, amaro ritratto di una donna poliziotto che cerca inutilmente di sfuggire alla sua solitudine in un rapporto con un collega maschilista e violento. Una rappresentazione “al nero” della vita urbana a Mosca, tra violenza, scontri fra bande malavitose e polizia corrotta, spaccio di droga e prostituzione è il tema di Bumer di Pyotr Buslov. Un gruppo di giovani sbandati si dedica a furti di poco conto, ma cade progressivamente in una spirale di azioni sempre più pericolose e violente, soccombendo negli scontri a fuoco. Il protagonista, malgrado i tentativi di tornare a una vita normale accanto alla sua donna, finirà per morire da solo su una potente BMW nera impantanata in una strada di campagna, ai margini della notte. Più metafisico l’amaro ritratto, in Simple Things (Piccole cose) di Aleksey Popogrebsky, di un modesto anestesista costretto alla convivenza con un autista e un’anziana donna malata. Per integrare il magro stipendio si prende cura di un noioso vecchio attore, per il quale ipotizza l’eutanasia (metafora forse della morte dell’arte). Finirà sotto un’auto inseguendo la figlia adolescente in fuga da casa. Il film si segnala per la sottile ironia e il distacco impassibile con cui il regista osserva i suoi personaggi. E non si creda che il nuovo cinema russo sfugga al dovere della denuncia politica diretta, come dimostra Captive/ Prigioniero di Aleksey Uchitel in cui si narra un atroce episodio della guerra cecena, in cui un gruppo di soldati russi assolda una guida locale e finisce per ucciderla per sfuggire alla cattura da parte del “nemico”. BANDE À PART. La sezione “sperimentale” (o più semplicemente curiosa e innovativa) della Mostra ha offerto alcuni sguardi non riconciliati con il mondo complesso e drammatico in cui viviamo. Budrus di Julia Bacha, una co-produzione fra Israele, Palestina e USA, descrive l’attività poco nota, ma foriera di nuove prospettive di pacificazione, di un movimento non-violento palestinese indipendente dagli altri partiti politici, fondato dall’attivista sociale Ayed Morrar. Il documentario, dotato di una forte immediatezza e impatto emotivo, descrive la sorprendente lotta vittoriosa della popolazione di un villaggio destinato alla distruzione con la costruzione del Muro israeliano. Il redivivo regista lituano di “culto” Sharunas Bartas propone in Eastern Drift (Indige42 no d’Eurasia) un viaggio estremo verso l’autodistruzione e la morte di un uomo che tenta di ribellarsi alla mafia russa con cui è in affari. La lunga fuga fra pianure innevate e laghi gelati, complicata da una doppia storia d’amore, si concluderà tragicamente per mano del fratello in un’isola francese. Il regista ha inteso mostrare la lotta dell’uomo per la vita in condizioni estreme,“situazioni in cui l’istinto è la forza trainante e le regole della società civilizzata non hanno più senso”. La berlinese di origine giamaicana Cynthia Beatt ha proposto con Cycling The Frame del 1988 e The Invisible Frame del 2009 due lunghi percorsi ciclistici (la ciclista muta è la carismatica Tilda Swinton) lungo il Muro, prima e dopo la sua caduta. Se il primo film costituiva uno sguardo inedito sulla Berlino Est vista da Ovest, il secondo va alla scoperta di nuovi percorsi al di qua e al di là di ciò che rimane del Muro, denunciando l’insorgenza di nuove interruzioni e impedimenti. Abbattuto un muro, se ne ricostituiscono molti altri, invisibili ma altrettanto insidiosi. Non per nulla, il film è dedicato al popolo palestinese. Daniel Schmid – Le chat qui pense é uno straordinario ritratto del regista svizzero deceduto nel 2006 (autore di opere barocche e surreali quali La Paloma o Violanta), dei compatrioti Pascal Hofman e Benny Jaberg. Gli autori attraverso locations a Flims, nei luoghi che hanno ispirato l’opera di Schmid, interviste allo stesso regista scomparso e a suoi collaboratori e amici, hanno ricostruito in modo empatico le origini culturali del regista, figlio di albergatori in un grande hotel in stile Belle Epoque, ove la vita era già rappresentazione e finzione. Indecifrabile rappresentazione di un incubo appare Symbol dell’ex-comico giapponese Hitoshi Matsumoto. Un uomo si sveglia (ma forse continua a sognare), ma si ritrova travestito da clown in una stanza bianca da cui non riesce a fuggire. Porte si aprono e si chiudono, impenetrabili, alle pareti appaiono simboli fallici. Ma l’incubo è correlato alla vita circense di una povera famiglia messicana, con il padre costretto a varie comparsate umilianti (ad esempio diventa la vittima in un combattimento di boxe). Il film si conclude paradossalmente in una cosmogonia cristologica con l’uomo-clown posto di fronte alla propria origine. Da segnalare infine il nuovo inquietante exploit del filmaker francese Jean-Gabrile Périot che in L’art délicat de la matraque (L’arte delicata del manganello) ci propone un breve martellante montaggio di immagini di repertorio su pestaggi della polizia nei confronti di dimostranti civili. Ironicamente Périot fa precedere il suo film dalla citazione dell’art.12 della Costituzione Francese del 1789: “La garanzia dei diritti dell’uomo e del cittadino necessita di una forza pubblica: questa forza è dunque costituita per il vantaggio di tutti e non per l’utilità particolare di coloro ai quali è affidata”. Film Tutti i film della stagione MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2010, EDIZIONE 67 A cura di Flavio Vergerio con il contributo di Simone Emiliani, Silvio Grasselli, Luisa Ceretto, Davide Di Giorgio UNA BUONA SELEZIONE E NUOVE PROSPETTIVE Siamo alle solite. Se si dovesse tenere conto delle cronache giornaliere dei quotidianisti, l’edizione ’67 della Mostra sarebbe stata ancora una volta deludente, priva di capolavori, segnata da molteplici incidenti di percorso (il “buco” del futuro nuovo Palazzo del Cinema, la chiusura del Des Bains..), del resto indipendenti dalla volontà dei responsabili artistici. Prima della manifestazione i gazzettieri si sono concentrati sui “pericoli” cinefilici derivanti dalla nomina a Presidente della Giuria dell’imprevedibile Quentin Tarantino e sull’esclusione dalla competizione del film di Pupi Avati (in verità anche troppo presente in passato a Venezia). Una sconfinata giovinezza è un film dignitoso, un poco prevedibile e senza grandi invenzioni di regia. Accusare i selezionatori di parzialità mi è sembrato un atto di presunzione. A chiusura del festival, si è invece scatenata la polemica contro Tarantino che avrebbe imposto per il Leone d’Oro Somewhere della compatriota Sofia Coppola (ma possibile che gli altri giurati non abbiano aperto bocca?). Il film potrà piacere o meno, ma manifesta una precisa idea di regia, e non si deve liquidarlo frettolosamente. Malgrado la discutibile uscita giornalistica di Salvatores che ha accusato i quattro colleghi italiani di incapacità di emozionare il pubblico e di insufficienze di scrittura, mi sembra che Martone, Mazzacurati, Celestini e persino il più discutibile Costanzo abbiano offerto uno sguardo inedito e stimolante sulla nostra storia e sui nostri problemi sociali. Piuttosto ho qualche dispiacere che non sia stato possibile dare spazio al delicato e commovente Notizie dagli scavi di Emidio Greco, relegato allo spazio indefinibile del Fuori Concorso, all’inquietante L’amore buio di Antonio Capuano (ceduto alle Giornate degli Autori), alla dichiarazione di intimità autoriale di Sorelle Mai di Marco Bellocchio (Fuori Concorso). Ma mi rendo conto che l’ulteriore affollamento di opere italiane sarebbe stato indifendibile… Ciò che mi sconcerta sempre nelle cronache dal Festival dei quotidiani è la quasi totale assenza di stimoli alla comprensione critica dei film, l’invito motivato ai lettori alla scoperta delle opere più innovative, dando invece spazio alle polemichette del giorno per giorno e ai relativi gossip. La selezione offriva poi l’occasione di ritrovare grandi registi che credevamo perduti e che sono invece lucidi e vitali: Monte Hellman, Paul Morissey, Jerzy Skolimowski, Jan Swankmajer (f.c.). Belle conferme anche dal cileno Pablo Larrain, dal giapponese Miike Takashi, dal sempre innovativo François Ozon, dal radicale Kelly Reichardt. E alcune sorprese: la rivisitazione in chiave malinconica dell’anarchico Le margheritine della ceca Chytillovà, proposto dal greco Attenberg di Athina Rachel Tsangari, la ricerca di un rapporto profondo con la natura oltre la morte in Silent Souls del russo Aleksei Fedorchenko, la terribile denuncia degli orrori dei campi di “rieducazione” maoisti di Il fosso di Wang Bing. La volontà di Marco Müller, giunto al suo settimo anno di direzione, di non limitarsi all’ovvio e al prevedibile (cioè alla conferma dei soliti noti, i classici autori da festival), ma di interrogare tutti gli aspetti dell’odierna produzione, molto diversificata nell’inarrestabile corsa a nuove tecnologie e mezzi di trasmissione, ben lungi dall’essere omologata come pensano inguaribili mass-mediologi catastrofisti e vetero-ideologici si è manifestata nella cospicua rassegna di opere di ricerca-sprimentazione nella rinnovata sezione Orizzonti. Continuo invece ad avere qualche dubbio sull’utilità della rivisitazione del ci43 nema italiano di serie B (o C), quest’anno dedicati ai comici nostrani (Marco Giusti li definisce “maggiori”, a me sembrano “minori”, se si escludono Totò e pochi altri). Se si tratta di capire il rapporto fra il cinema popolar-commerciale e il cinema d’autore, si faccia un convegno, o una serie di convegni, e si appronti documentazione funzionale allo scopo. Mi sembra invece un’operazione terroristica “occupare” la Sala Volpi mettendo sullo stesso piano l’epocale Guardie e ladri e, ad esempio, il noiosissimo L’eroe sono io di Carlo Ludovico Bragaglia, con un insipido Renato Rascel. Nella mia inguaribile cinefilia di serie A continuo a rimpiangere le grandi retrospettive veneziane dedicate a Mizoguchi o a Buñuel... Ma so di prediligere una linea passatista e me ne scuso. Flavio Vergerio CONCORSO Ha vinto Somewhere di Sofia Coppola, con code polemiche al seguito. C’è infatti chi ha accusato il Presidente della giuria Quentin Tarantino di essere stato di parte, c’è addirittura chi è sceso in campo come il Ministro Bondi per sottolineare che bisogna ‘controllare’ le scelte dei giurati. Al di là di tutti i rumori post-Festival, ci è sembrato di vedere le cose da un’altra prospettiva. Un ottimo film ha vinto in un’ottima competizione. Certo, i Leoni d’Oro potevano essere altri, dal potentissimo Essential Killing di Jerzy Skolimowski, alle macerie del passato di Post Mortem del cileno Pablo Larraín. In ogni caso, se fossero stati premiati anche uno di questi due film, ci sarebbe stato probabilmente qualcuno che avrebbe avuto da ridire. Un dato salta comunque all’occhio. Questa 7° edizione dell’era Müller ha confermato come il concorso veneziano sia enormemente cresciuto nel corso degli anni, superando non solo quello troppo grigio di Berlino, Film ma anche il più prestigioso Festival di Cannes. Peccato che le strutture che dovrebbero accoglierlo adeguatamente non siano all’altezza (si è in attesa del nuovo palazzo del cinema) e che la stampa quotidiana (tranne qualche eccezione) preferisce il tiro al bersaglio suggerendo e sponsorizzando il Festival di Roma. Somewhere, quarto lungometraggio della regista, riprende luoghi e atmosfere di Lost in Translation. Lì Tokyo, qui Los Angeles. Il rapporto padre-figlia porta quasi a rimandi autobiografici e dentro ci sono omaggi al cinema di Francis, soprattutto per il nomadismo di Non torno a casa stasera e la sperimentazione sonora di La conversazione. In Somewhere aleggiano anche i fantasmi anni ’70 di Monte Hellman, Russ Meyer e Frank Perry. Soprattutto dentro ‘un viaggio nel vuoto’ tra alberghi, giorni che si consumano nelle inquadrature fisse, c’è una potenza alienante che apre all’opera della cineasta nuove strade, tra le più interessanti del cinema americano di oggi. Piuttosto deludente l’apertura del festival con Black Swan di Darren Aronofsky che proprio qui al Lido due anni fa vinse il Leone d’Oro per The Wrestler con un grande Mickey Rourke. Echi di Michael Powell (tra Scarpette rosse e L’occhio che uccide) entrano in questo thriller psicologico ambientato nel mondo del balletto newyorkese, dove la protagonista, una danzatrice che aspira al ruolo da protagonista per Il lago dei cigni, deve confrontarsi con il suo doppio. La stessa Natalie Portman appare a disagio in un ruolo che finisce per soffocarla. Si tratta di uno dei pochissimi nei del concorso (anche se un film come Black Swan, al di là del valore qualitativo, qualunque selezionatore l’avrebbe preso) assieme al pessimo Miral di Julian Schnabel, tratto dal libro La strada dei fiori di Miral della sua compagna Rula Jebreal, kolossal ambientato dal 1948 ai giorni nostri, che tratteggia il continuo stato di tensione Israele-Palestina dove il cineasta sembra volerci indottrinare con un furore e una passione che, al di là dei nobili temi, finisce fuori strada a causa del suo illimitato egocentrismo. Nell’elenco delle pellicole meno convincenti vanno inclusi anche Venus noir di Abdellatif Kechiche, altro cineasta di talento ma schiavo anche lui del suo narcisismo, che porta sullo schermo il caso della Venere ottentotta all’inizio dell’800, con la macchina da presa attaccata ai corpi ‘fino all’ultimo respiro’, che però qui diventa pura maniera, quasi esibizione. Oltre a questi, risulta forzata la metafora circo-guerra ci- Tutti i film della stagione vile spagnola in Balada triste de trompeta dell spagnolo Alex de la Iglesia, il calligrafico e didascalico western Meek’s Cutoff di Kelly Richard con immaginario pittorico annacquato in un respiro artificiale che vorrebbe riprodurre quello del cinema di Gus Van Sant, e Drei del tedesco Tom Tykwer, rapporto a tre con deriva omosessuale, raccontato con una pesantezza emotiva che toglie ogni slancio e che mostra come il regista si sia perso da qualche anno dopo essersi fatto conoscere per il dinamismo contagioso di Lola corre e le pulsioni improvvise dello straordinario Heaven. Tra gli altri grandi film di questa competizione, si parlava di Post Mortem di Pablo Larraín, ossia il ‘coma del Cile’ dal settembre del 1973 dopo la morte di Allende (gli effetti della dittatura di Pinochet si erano già visti nel precedente Tony Manero) in cui attraverso la figura apparentemente impassibile del dattilografo di un obitorio (interpretato da Alfredo Castro, già protagonista del film precedente) si assiste a una progressiva chiusura materializzata dal bellissimo finale e di Essential Killing, grande ritorno del polacco Jerzy Skolymowski in cui, attraverso il martirio di Mohammed (uno strepitoso Vincent Gallo, Coppa Volpi come miglior attore), catturato dai soldati statunitensi, si assiste a un film puramente fisico che fa avvertire il dolore fisico, il freddo con una visionarietà così potente, che elimina anche le parole dal suo protagonista, che esiste solo attraversi i rumori prodotti dai suoi movimenti e le urla. Ed è proprio Gallo regista che ha dato vita al film più detestato dalla critica, Promises Written in Water, invece esempio di un grandissimo cinema che non ha paura di sperimentare e di mettersi in gioco, mostrando autopsie voyueristiche in cui la macchina da presa si spinge a filmare oltre, con un bianco e nero da ‘New American Cinema’ e con quella rabbia repressa che poi diventa esplosiva come in Cassavetes. La pellicola viene plasmata da Gallo, proprio come materia e si assiste all’atto della creazione dell’opera nel momento in cui la si sta guardando. Chissà quando questo film e il precedente del regista, The Brown Bunny verranno rivalutati. Non è mai troppo tardi. Ma sono molte le variabili impazzite e attraenti di questo concorso: la teatralità che diventa musical-politico nel folgorante Potiche di François Ozon, la malattia e l’amore oltre la morte del vibrante Norvegian Wood del vietnamita Tran Anh-hung (Leone d’Oro nel 1995 per 44 Cyclo) dal romanzo cult di Haruki Murakami capace di riscaldarsi progressivamente frantumando la sua apparente bellezza figurativa, un campo di lavoro cinese luogo in cui un apparente documentarismo politico si trasforma in un horror nello sconvolgente The Ditch di Wang Bing, il ‘cinema nel cinema’ di Road to Perdition di Monte Hellman che è forse una delle opera più avanzate da un punto di vista teorico e che sembra far dichiarare al cineasta stesso l’impossibilità di fare cinema oggi; il rituale e struggente Silent Souls di Aleksei Fedorchenko, in cui il paesaggio ha una funzione espressiva notevole, l’irregolare e intimo Barney’s Version di Richard J. Lewis, rafforzato anche dalla prova di Paul Giamatti e Dustin Hoffman, il classico e sanguinario 13 Assassins di Miike Takashi remake di un classico jiidaigechi del 1963 di Eichi Kudo, le coreografie frantumate ed esplosive di Detective Dee and the Mistery of Phantom Flame di Tsui Hark e le coinvolgenti alienazioni e attese del greco Attenberg di Athina Rachel Tsangari, con cui la protagonista Ariane Labed ha vinto la Coppa Volpi per l’interpretazione femminile. E il cinema italiano? Forse dei quattro, chi poteva competere maggiormente è Noi credevamo di Mario Martone che recupera in modo sublime la lezione rosselliniana che, nel dare forma ad alcune pagine oscure del processo risorgimentale per l’Unità d’Italia in quattro episodi, è profondamente umanista nella forma e nello spirito. Ascanio Celestini con La pecora nera lascia emergere la realtà dei manicomi attraverso un’opera soggettiva, di voci fuori-campo, odori, ricordi, con frammenti dal passato di Pasolini e ancora più di Sergio Citti che cresce sempre di più nel corso del tempo. La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo, dal best-seller di Paolo Giordano è balbettante e attraente e aumenta d’intensità nella seconda parte quando si affida a una potenza visiva anche incontrollata, ma che trascina dentro. Ci mette un po’ troppo a decollare invece La passione di Carlo Mazzacurati. Orlando è spaesato, Guzzanti incontrollato e solo Battiston lo trascina con generosità. Si avverte ancora la sofferenza del regista ogni volta che si confronta con le forme della commedia grottesca. Con la rappresentazione della ‘Passione’, il film cambia marcia e sembra di assistere a un’opera finalmente più libera. Sfortunatamente l’inversione è arrivata troppo tardi. Simone Emiliani Film ORIZZONTI La rinnovata sezione ha presentato un programma “monstre”: ben 68 titoli fra corti, medi e lunghi, generi diversi (documentari, fiction, animazione, sperimentazione pura, interventi su nervi scoperti della nostra società interconnessa, riflessioni “teoriche” sulle forme del linguaggio visivo, rivisitazioni critiche del cinema “classico”), quasi una dimostrazione dell’infinita capacità del cinema di rinnovarsi e di rinnovare il suo sguardo sul mondo. Marco Müller, nella sua introduzione alla “Guida” al programma spiega che la sezione intendeva documentare la progressiva “liberazione da ogni definizione che li costringeva entro contorni angusti” i linguaggi. A suo avviso le nuove tecnologie mass-mediatiche hanno prodotto nuove forme espressive. Il possibile rinnovamento, che sempre più spesso si manifesta anche nelle produzioni destinate al grande pubblico, è memore di una “rottura”, che si è manifestata più volte nella storia del cinema, dalle avanguardie storiche alle nouvelles vagues degli anni ’60. La “modernità” nel cinema continua a cercare nuove strade nella sua ricerca di distruzione di linguaggi falsificanti e di nuove contaminazioni. “Motore di un rivolgimento tecnico-estetico che ha azzerato tutti gli antichi criteri qualitativi (dalla fattura alla firma d’autore), con la sua apparizione aveva fatto saltare le paratie che dovevano salvaguardare e regolare lo statuto di opera, dalle condizioni di produzione ai valori attribuiti alla sua fruizione”. Secondo Müller questa distruzione dello statuto dell’ “opera” ha prodotto nuovi campi di sperimentazione, di cui la sezione ha fornito una straordinaria documentazione. Alcuni titoli esemplificativi, nell’impossibilità di dar conto di tutto. The Nine Muses del documentarista anglo-ghanese John Akomfrah mette in rapporto testi di Omero, della Bibbia, di Emily Dickinson, Nietzche, Dylan Thomas, Milton, Joyce, Beckett, Dante, Shakespeare dedicati al tema del viaggio con immagini di lavori umilianti di immigrati africani in Inghilterra e inquadrature fisse di uomini di colore posti di fronte a paesaggi innevati, fiordi congelati, porti battuti dal vento e dalle onde. Il risultato è un poema di grande impatto emozionale, in cui il tema dell’immigrazione viene descritto come storia di solitudine e di spaesamento. “Nessuno, neanche il poeta, può misurare cosa prova l’animo umano”, commenta la voce narrante. Tutti i film della stagione Il talentuoso spagnolo José Luis Guerin in Guest (un visitatore di passaggio, estraneo) ci ha offerto uno straordinario viaggio attorno a un mondo percorso da mille inquietudini e povertà. Guerin segue il suo ultimo film precedente, En la ciudad de Sylvia, da un festival all’altro, da Venezia a Cannes, New York, San Paolo, Cuba, Gerusalemme. Il regista esce dalle stanze dorate dei festival per scoprire dietro l’angolo una realtà ben diversa, incontrando mendicanti, predicatori, gente comune che parla di politica e di economia. Gente pronta a parlare e incontrare l’estraneo, con immediatezza e ingenua disponibilità A New York intervista Jonas Mekas che descrive il suo metodo di lavoro in rapporto a una realtà apparentemente indifferente, a Venezia raccoglie le affermazioni di Chantal Ackerman circa il rapporto inestricabile fra fiction e documentario; e la proibizione divina di adorare l’immagine. Appunti di viaggio che segnalano la confusa attesa di un diluvio universale, l’ansia di giustizia di masse diseredate di fronte ai sempre nuovi colonialismi e ai muri che il potere erige attorno a sé. Piena di suggestioni simboliche l’ultima inquadratura del film, girata a Venezia in occasione della Biennale 2008, con la statua equestre del Colleoni del Verrocchio a Campo San Giovanni e Polo, sotto una pioggia battente, a segnalare forse una tempesta incombente. Jean-Gabriel Périot, ormai impostosi all’attenzione critica per i suoi fulminanti montaggi subliminali, ha proposto con il breve pamphlet Les Barbares un nuovo attacco radicale al sistema dei media che cerca inutilmente di occultare le tensioni sociali provocate dalla crisi economica. Périot si riferisce al testo di Pierre Brossaud sulla “resistenza infinita” sostituendo alle foto ufficiali del potere quelle inquietanti, ma rivelatrici, di manifestazioni e sommosse di piazza. La giuria ha premiato Verano de Goliat del giovane messicano Nicolas Pereda, una rigorosa e inquietante docu-fiction, descrizione della violenza che progressivamente riduce allo stato ferino gli abitanti di un remoto villaggio. Una donna va alla ricerca del marito scomparso, ma scopre invece un groviglio inestricabile di risentimenti e di odi, storie di morti misteriose, atteggiamenti intimidatori dei soldati. La violenza del quotidiano diventa così segno di una condizione esistenziale e sociale più generale. Straordinario l’impianto narrativo di Bet45 ter Life dell’inglese Isaac Julien che a partire dalla morte per annegamento di un gruppo di raccoglitori di frutti di mare cinesi in Inghilterra, ne ricostruisce la cultura e l’immaginario attraverso l’intreccio di diversi piani di rappresentazione. Julien mescola immagini della Shanghai moderna, quelle degli studi cinematografici della stessa città e il racconto di una favola cinese del XV secolo secondo le convenzioni mélo del cinema di Tsui Hark (fra magia, amore e morte). Il regista tenta di scoprire così quali siano i sogni e i desideri di colore che sfidano l’ignoto per una “vita migliore”. Posso solo citare, per brevità, pochi altri film degni di attenzione. Caracremada dello spagnolo Lluis Galter, un amaro ritratto alla Bresson di un resistente anarchico antifranchista che da solo sui Pyrenei, al confine con la Francia, compie inani azioni di sabotaggio. Il capo del filmaker ravennate Yury Ancarani: metafisica rappresentazione de lavoro dei cavatori di pietra di Carrara. Casus Belli del greco Yorgos Zois: un carrello della spesa in un supermercato lanciato a tutta velocità sconvolge le abitudini consumistiche dei clienti. El sicario – Stanza 164 dell’eritreo-americano Gianfranco Rosi: registrazione di un lungo monologo di un killer ex-poliziotto affiliato al cartello dei trafficanti di droga di Medellin. Il killer, ora pentito, descrive le terribile atrocità di cui è stato protagonista a volto coperto, aiutandosi con il disegno. Il film, oltre a informarci sulla forza invasiva della criminalità organizzata, ci coinvolge poco alla volta nell’inestricabile interpellazione del rapporto fra finzione e realtà. Impossibile poi dimenticare il fascino che promana dal corto I pannelli di San Vicente de Fora, una visione poetica del centenario Manoel De Oliveira: un dipinto goticheggiante del XVI secolo, in cui si affollano santi, clero, nobiltà e popolo, si anima con l’irruzione di doppi, impersonati da attori, per proporre una pacificazione del consesso umano, quale si proponevano i grandi navigatori portoghesi. De Oliveira dimostra una volta di più che le forme del cinema sono inesauribili, se create in funzione dell’infinita significazione della realtà, della sua ambiguità e ricchezza. Flavio Vergerio CONTROCAMPO ITALIANO La Mostra Internazionale del Cinema di Venezia ha presentato per il secondo anno consecutivo “Controcampo Italiano”, Film selezione che, inevitabilmente senza pretese di esaustività, prova a dar conto – come recita il sottotitolo ufficiale della sezione – delle “nuove linee di tendenza del cinema italiano”. Gli esordi sono una delle direttrici fondamentali della sezione. A ottenere il primo premio è stato proprio un esordio, 20 sigarette, il lungometraggio autobiografico di Aureliano Amadei, unico superstite civile all’attentato portato nell’autunno del 2003 contro la base italiana dei Carabinieri presso Nassiriya, in Iraq. Il film – che viene dopo la pubblicazione di Einaudi del quasi omonimo resoconto diaristico - mostra fino in fondo la scarsa esperienza del regista, le grosse incertezze della sua regia, disordinata, imprecisa e per lo più inadatta, l’insostenibile pochezza di una scrittura approssimativa, ammiccante, retorica. La colpa peggiore di Amadei però è altrove, sta prima: invece di seguire regola di austerità dei mezzi espressivi, laconicità dei toni ed essenzialità nella costruzione dei dialoghi - sulla via di una coerenza indispensabile al progetto, vista la delicatezza della vicenda e la sua vicinanza nel tempo -, il non più giovane neo-regista tenta di imitare la commedia, si cimenta spregiudicatamente nell’uso di trucchi grossolani e fuori tema, cerca senza pudore l’approvazione del pubblico e, peggio ancora, la chiusura di un facile teorema sugli orrori della guerra. Invece di usare la forza del proprio ruolo di testimone (o, al contrario, di lavorare coraggiosamente sulla sua lacunosità), Amadei si lascia prendere la mano dalla ricerca dell’effetto. E, così facendo incontra, il favore della giuria. Su tutt’altro fronte – e fuori dalla selezione del concorso – hanno lavorato altri due esordienti, Antonio Di Trapani e Marco De Angelis, non solo registi e sceneggiatori, ma anche montatori, fonici e direttori della fotografia di Tarda estate, percorso di scoperta e dissolvimento di un vecchio giapponese che, dopo un lungo periodo in Italia, ritrova la propria identità dimenticata attraverso un viaggio memoriale nella patria d’origine. Il film rappresenta un caso interessante a più livelli. Per prima cosa si tratta dell’ultimo e più ambizioso progetto uscito da una delle poche – forse l’unica – factory universitarie italiane: il Centro Produzioni Audiovisivi del Dipartimento di Comunicazione e Spettacolo dell’Università di Roma Tre, al quale si è affiancato anche Gianluca Arcopinto. Di Tutti i film della stagione Trapani e De Angelis, senza mostrare alcun timore, hanno scelto di ambientare la maggior parte del racconto in Giappone, dove poi effettivamente hanno girato il film. Sul piano delle scelte di stile, Tarda estate dichiara fin troppo la densa consapevolezza cinefila dei due autori: il modo d’inquadrare, la scrittura dei dialoghi, la durata delle inquadrature, ma anche i raccordi di montaggio, riecheggiano i modelli alti del cinema internazionale del passato. Se, da una parte, dunque, il film evita tutti – o quasi – i vizi peggiori del cinema italiano di questi anni, dall’altra procede fino alla fine senza mai innescare un discorso, trovare un verso forte al racconto: sembra che, oltre la finitura dei singoli pezzi, manchi un’idea precisa sui motivi della loro forma, e, più in là, sul principio che li tiene insieme. Un altro esordio che guarda al passato è Il primo incarico, per il quale Giorgia Cecere si è guadagnata come protagonista Isabella Ragonese, madrina di Venezia 67. Ragonese veste perfettamente i panni di una giovane maestra elementare di famiglia poverissima, culturalmente redenta dal fidanzato ricco e bello, dal quale è costretta a separarsi per rispondere alla chiamata in ruolo in un villaggio sperduto nelle campagne pugliesi. Inizialmente concreto, compatto e felicemente concentrato sui dettagli che distinguono e separano classi, gruppi sociali e contesti antropologici, il film si perde con l’avanzare del racconto, scompaginandosi del tutto poco prima del finale, risolto con un happy ending trattenuto. Tra i non esordienti sta invece Salvatore Mereu che con Tajabone racconta, a metà tra documentario e finzione, la quotidianità dentro e fuori la scuola, di alcuni studenti della periferia cagliaritana. In principio, doveva essere un laboratorio audiovisivo, poi Mereu – che è insegnante di scuola media –, scegliendo come stella polare Diario di un maestro di Vittorio De Seta, prende Bellas Mariposas, racconto di Sergio Atzeni, e ne trae un modello per provare a raccontare pensieri parole, gioie e affanni delle più giovani e meno ascoltate – generazioni. Un esperimento esteticamente e tecnicamente molto povero, che però trova la sua efficacia proprio sul piano della relazione tra obiettivo e piccoli interpreti, costruendo una narrazione anti-istituzionale autenticamente vicina ai tempi e ai modi espressivi dei protagonisti. 46 Una semplice menzione la dedichiamo a Ma che storia, film di montaggio di Gianfranco Pannone che tagliando e incollando i materiali più vari tenta di ricostruire il tortuoso e doloroso sentiero che ha condotto all’unità d’Italia. Una ricostruzione che invece di produrre analisi finisce per limitarsi a una composta celebrazione. A guardare l’insieme dei titoli scelti sembra che a tenere insieme le esperienze diverse, i nomi vecchi e quelli nuovi, le opere prime e gli esperimenti dei professionisti più navigati sia una comune vecchiaia. Vecchiaia dei modelli retorici, dei riferimenti narrativi ed estetici; vecchiaia delle storie e del modo di metterle in scena: un malsano ristagno di pratiche e di pensieri. E l’evidenza più paradossale è che a occupare le posizioni più arretrate ci siano proprio i nuovi autori, quelli che, in un orizzonte sano e vitale, dovrebbero invece portare avanti le istanze di riforma e di cambiamento. Silvio Grasselli SETTIMANA INTERNAZIONALE DELLA CRITICA Anche quest’anno la “Settimana Internazionale della Critica” ha proposto una panoramica di lungometraggi di registi emergenti: sette le opere presentate in concorso in prima mondiale, in prevalenza di origine europea, ma anche extraeuropea. Ad inaugurare la venticinquesima edizione, un esordio eccellente, fuori concorso, Notte italiana, il film programmato alla Settimana della Critica nel 1987, una pellicola che segna l’inizio di un percorso autoriale e coerente. A distanza di più di vent’anni, l’opera prima di Carlo Mazzacurati supera infatti egregiamente la prova del tempo, offrendo, sullo sfondo del paesaggio del nord est italiano, una riflessione acuta sui mali e le contraddizioni della nostra penisola pre - Mani Pulite. Scorrendo il programma, in questa edizione è prevalsa l’attenzione per tematiche legate alle urgenze di una contemporaneità problematica, con particolare riguardo alla sfera privata, al nucleo familiare e alle sue “variazioni sul tema”. Cominciamo con il film che è stato premiato, Svinalängorna (Tit. int. Beyond, Svezia, 2010, 92’), firmato dall’attrice bergmaniana, Pernilla August, che ricordiamo in Una soluzione razionale, presentato lo scorso anno alla SIC. Tratto dall’omonimo testo di Susanna Film Alakoski, il film ritrae una donna, interpretata da Noomi Rapace – che ha dato vita al problematico personaggio di Lisbeth Salander in Uomini che odiano le donne, tratto dall’omonimo romanzo di Stieg Larsson –, felicemente coniugata e madre di due figli. Una telefonata dall’ospedale con cui apprende che la propria madre è in fin di vita, costringe la protagonista a fare i conti con un passato rimosso. Filmato in stile Dogma, la pellicola, ottimamente interpretata, è un intenso kammerspiel che si svolge tra le mura della casa, quindi dell’ospedale e ancora della camera d’albergo. Flashback che rimandano agli anni Settanta, frammenti di memorie d’infanzia che ricompongono il doloroso ritratto di una famiglia disfunzionale, si intrecciano con i nostri giorni. Hora Proelefsis (Tit. int. Terra madre, Grecia, 2010) è un intenso affresco familiare firmato dal cineasta di Salonicco Syllas Tzumerkas, che ha al suo attivo la direzione di show e serie tv, oltre alla regia di due cortometraggi, The Devouring Eyes e Rain, vincitori di premi prestigiosi. Sullo sfondo di trent’anni di storia greca, dove scorrono immagini dagli anni del consolidamento della democrazia alle recenti manifestazioni di piazza relative alla crisi economica, la mdp insegue i percorsi di una famiglia afflitta da verità non dette, ferite mai rimarginate. Un quadro composito raccontato con un montaggio sostenuto, talvolta eccessivamente insistente, eppure non privo di efficacia dove inesorabilmente le responsabilità dei padri ricadono sui figli. Il “piccolo” film sloveno, O A (Tit. int. Papà, Slovenia, 2010, 70’), racconta il rapporto padre e figlia, scegliendo il lirismo di un suggestivo ed essenziale susseguirsi di immagini che hanno per scenario i silenzi e la bellezza di una natura incontaminata, in contrapposizione con la durezza della quotidianità, le difficoltà lavorative, il distacco dall’amato/odiato genitore. Il film introduce un’altra tematica che costituisce il fil rouge tra alcuni titoli presentati, la disoccupazione e le implicazioni psicologiche che ne derivano. Martha, pellicola firmata dal messicano Marcelino Islas Hernandes (Martha id, Messico, 2010, 77’), racconta di una donna che vive all’estrema periferia di Città del Messico, che per trentaquattro anni ha occupato la stessa scrivania in una compagnia di assicurazione e che d’un Tutti i film della stagione tratto si trova rimpiazzata da un computer e da una giovane segretaria. Coniugando commedia nera col grottesco e il dramma, il film riesce piuttosto bene a cogliere la vertigine della disfatta esistenziale, il senso alienante di perdita di ogni riferimento. Brava l’attrice, Magda Vizcaino, nel caratterizzare la psicologia della protagonista. Firmato da Massimo Coppola, Hai paura del buio (Italia, 2010, 90’) intreccia i percorsi di due figure di giovani donne, una rumena e una italiana. Eva, all’indomani della chiusura della fabbrica dove lavora, decide di lasciare il proprio paese e di raggiungere Melfi, dove trova ospitalità a casa di Anna. Ben presto si comprenderanno le ragioni che l’hanno spinta a recarsi in Italia, la ragazza è in cerca della madre che non vede da diversi anni. Girato in uno stile essenziale, fatto di pedinamenti discreti ma ostinati, il film cerca di interpretare le incertezze e le difficoltà dell’Italia di oggi. Esordio nel lungometraggio del regista televisivo Eitan Zur, Hitparzut X (Tit. int. Naomi, Israele-Francia, 2010, 102’) è un riuscito noir tratto dall’omonimo racconto di Edna Mazaya. Un noto docente agée di astrofisica dell’Università di Haifa è sposato con la giovane e bella illustratrice di libri, Naomi. L’uomo scopre di essere tradito e si trova ad affrontare l’amante della moglie. Un inatteso avvenimento ribalterà la situazione, con un finale a sorpresa. Per chi cerca un happy end, ma non solo, Angèle et Tony (Idem, Francia, 2010, 85’) è certamente il titolo giusto, la conferma del buono stato di salute della cinematografia francese. Il giovane Alix Delaporte coniuga egregiamente l’osservazione del reale ( la vicenda si svolge sullo sfondo di una Francia di provincia, dura e difficile) con l’analisi dei sentimenti - due percorsi solitari, due figure ai margini, un pescatore e una ex detenuta in cerca di un lavoro, e il loro trovarsi. Il filippino Limbunan (Tit. int. La stanza della sposa, Filippine, 2010, 82’) è l’evento di chiusura, il film fuori concorso della SIC per la regia di Gutierrez Mangansakan II. La sedicenne Ayesah viene promessa in sposa, suo malgrado, al figlio di una famiglia potente della zona. L’ultimo mese prima del matrimonio la ragazza è segregata nella propria camera da letto. Il film offre una riflessione sulla condizione della donna, la constatazione dell’osservanza di tradizioni che costringono la donna ad accettare 47 un destino imposto dai propri familiari, senza tuttavia prendere posizione, confidando nel potere evocativo delle immagini. Un esordio intenso, che sullo sfondo di un dramma personale, accenna a un momento storico travagliato, ad un tragico attacco nella città di Ampatuan avvenuto nel 2009, dove furono rapite e brutalmente giustiziate più di cinquanta persone. Luisa Ceretto RETROSPETTIVA CINEMA COMICO E FUORI CONCORSO: IL CINEMA CHE GUARDA AL PASSATO C’è aria di passato alla Mostra del Cinema di Venezia. Da un po’ di anni a questa parte, infatti, la mission che le retrospettive veneziane si sono poste è quella di esplorare e rivalutare il cinema italiano più “a latere”, quello solitamente destinato a rimanere fuori dalle classificazioni storiche ufficiali, per ribadirne i fermenti e, perché no, i legami con gli esempi più “alti” della nostra storia produttiva. Fra “Italian Kings of the B’s”, Western e “Questi fantasmi”, l’idea si è articolata in un percorso a metà strada fra il piacere collettivo di rivedere su schermo classici altrimenti destinati alle nicchie del mercato DVD (pensiamo a certi titoli di Fulci, Dallamano, Corbucci) e la rivalutazione forzata. È rimasto quasi sempre schiacciato fra queste istanze il tentativo più interessante e coraggioso di riflettere secondo una prospettiva culturale cosa realmente questo cinema “dimenticato” abbia seminato nell’immaginario globale e quanto esso fosse in linea con il resto della produzione europea. La retrospettiva 2010, “La situazione comica (19341988)” denuncia in pieno tutti i limiti di questo approccio, lasciando allo spettatore la domanda su quale sia il senso di proporre in una sede come Venezia titoli come Fracchia la belva umana, Eccezziunale veramente o Il ragazzo di campagna. Non per snobismo nei confronti di queste opere, si badi, ma semplicemente perché appare chiara la deriva sistemica di una rivalutazione a tutto campo che non contempla più il piacere della scoperta, ma soltanto quello del recupero fine a se stesso. Non è un caso che questi titoli siano anche quelli che più hanno finito per catalizzare l’attenzione, impedendo una serena trattazione dell’argomento comicità lungo i Film decenni. E che per questo sia rimasto un sostanziale piacere per pochi la visione dei titoli più interessanti presenti nel mucchio di proposte (ovviamente in tutto questo bisognerebbe seriamente aprire una discussione sul senso di queste retrospettive-monstre dove l’unica direttiva sembra quella di rimpinguare il programma dando forma a un elenco infinito che lo spettatore non riuscirà mai materialmente a seguire per intero). Utili esempi sono il bellissimo Casotto (1977) del dimenticato Sergio Citti, mirabile gioiello di economizzazione del set che riesce a diventare crocevia dell’italietta e manuale perfetto di tipizzazione dei vizi nostrani; oppure Il mantenuto, diretto e interpretato nel 1961 da quell’Ugo Tognazzi che, già grandissimo attore, merita ancora di essere analizzato e riscoperto adeguatamente nelle vesti di regista dal gusto acre e assolutamente non consolatorio nei confronti delle cattive abitudini e delle aspirazioni sbagliate dell’italiano medio. In questo senso il vero cortocircuito si attua quando i fratelli Vanzina risultano più interessanti nelle vesti di presentatori del film Guardie e ladri, diretto nel 1951 dal padre Steno insieme a Mario Tutti i film della stagione Monicelli, piuttosto che in quelle di autori dei loro film. È una sorta di chiusura del cerchio perché permette alle loro figure di farsi veicolo delle istanze del cinema italiano nel suo periodo più articolato e di tributare anche a Steno quella rivalutazione che, come ricordava Lucio Fulci, non era mai arrivata paradossalmente nemmeno dai figli. In questi momenti, riusciamo finalmente a trovare il senso di una retrospettiva come questa, curata, come gli appuntamenti passati, da Marco Giusti. Il tentativo veneziano di guardare indietro si sposa poi con alcune proposte votate proprio al recupero del cinema che fu, in questa perenne rincorsa al classico che nei casi più virtuosi diventa omaggio a chi ha dato tanto alla storia del cinema, oppure occasione per riflettere sul fluire del tempo che ci ha portato ai tempi presenti. Basta scorrere i titoli di alcuni lavori presentati nella sezione Fuori Concorso: Vittorio racconta Gassman, La prima volta a Venezia, 1960, Dai nostri inviati – La Rai racconta la mostra del Cinema 1954-1967, Come siamo come eravamo e le canzoni di Luciano Ligabue; a questi aggiungiamo il Michele Placido di Vallanzasca, che nel raccontare la storia di un noto rapinatore riflette sul concetto di antieroe/divo nell’era mediale. E poi il dittico di Zebraman, realizzato dal giapponese Takashi Miike fra il 2004 e il 2010, in cui un modesto impiegato decide di diventare un supereroe sulla scorta delle serie tv anni Settanta di cui è appassionato. Sembra insomma che uno dei modi prediletti per rileggere il nostro presente sia attraverso la continua rivalutazione e ricontestualizzazione del passato. A questo proposito, ci piace chiudere questa riflessione con la scheggia impazzita di The Last Movie (Fuga da Hollywood), film con il quale il compianto Dennis Hopper sanciva nel 1971 la propria estraneità dai meccanismi del cinema suo contemporaneo e cercava nuove strade nella decostruzione dei linguaggi. Ecco, è sintomatico che sia un autore ormai scomparso a tracciare la via più virtuosa e a fornire il commento più puntuale, rispetto a questa tendenza. Forse il bello del cinema di ieri era proprio che partiva dal proprio presente per andare avanti, mentre oggi spesso accade il contrario. Peccato che il film l’abbiano visto in pochi, a causa dell’orario scomodo. Davide Di Giorgio IL RAGAZZO SELVAGGIO è l’unica rivista in Italia che si occupa di educazione all’immagine e agli strumenti audiovisivi nella scuola. Il suo spazio d’intervento copre ogni esperienza e ogni realtà che va dalla scuola materna alla scuola media superiore. È un sussidio validissimo per insegnanti e alunni interessati all’uso pedagogico degli strumenti della comunicazione di massa: cinema, fotografia, televisione, computer. In ogni numero saggi, esperienze didattiche, schede analitiche dei film particolarmente significativi per i diversi gradi di istruzione, recensioni librarie e corrispondenze dell’estero. Il costo dell’abbonamento annuale è di euro 30,00 - periodicità bimestrale. SCRI VERE di Cinema direttore Carlo Tagliabue SCRIVERE DI CINEMA Ogni anno nel nostro paese escono più libri riguardanti il cinema che film. È un dato curioso che rivela l’esistenza di un mercato potenziale di lettori particolarmente interessati alla cultura cinematografica. ScriverediCinema, rivista trimestrale di informazione sull’editoria cinematografica, offre la possibilità di essere informati e aggiornati in questo importante settore, segnalando in maniera esaustiva tutti i libri di argomento cinematografico che escono nel corso dell’anno. La rivista viene inviata gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta al Centro Studi Cinematografici, Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Telefono e Fax: 06.6382605. e-mail: [email protected] 48
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