Le patologie dell`atto di citazione
Transcript
Le patologie dell`atto di citazione
Le patologie dell’atto di citazione In via generale, la domanda giudiziale viene introdotta nel processo civile nelle forme dell’atto di citazione, ossia nelle forme di un atto processuale doppiamente recettizio che si rivolge contemporaneamente al soggetto (convenuto) nei cui confronti l’istante propone la domanda e al soggetto (ufficio giudiziario) al quale l’istante rivolge la domanda stessa. Tale natura dell’atto di citazione si riflette chiaramente nel suo contenuto il quale assolve la duplice funzione di: a) convenire in giudizio la controparte – mediante la vocatio in ius e b) rivolgere al Giudice la domanda di tutela giurisdizionale - mediante la editio actionis. La summa divisio dell’atto di citazione apportata dal legislatore della novella del 1990 si riflette, altresì, nella disciplina dei vizi dell’atto e chiarisce, al tempo stesso, l’esigenza di offrire una razionale regolamentazione delle ipotesi di nullità nell’ottica di limitare le conseguenze “distruttive” dei vizi ai casi in cui ciò è imposto da reali esigenze di rispetto del contraddittorio. In via preliminare, pertanto, va chiarito che la lettura combinata dell’art. 163 c.p.c., norma contenente l’indicazione analitica del contenuto necessario dell’atto, e del novellato art. 164 c.p.c. norma contenente l’indicazione dei casi di nullità, deve essere necessariamente condotta alla luce del principio generale del raggiungimento dello scopo dell’atto di cui all’art. 156 u. comma c.p.c., e ciò al fine di comprendere quali conseguenze si producano, 1 per le sorti del giudizio, qualora la difformità dell’atto dal suo modello legale gli impedisca di raggiungere lo scopo a cui è destinato, in considerazione del fatto che le varie ipotesi di nullità non sono trattate allo stesso modo e che, di conseguenza, non tutte sono realmente sanabili. Sulla base di queste preliminari osservazioni, è possibile distinguere i vizi attinenti alla vocativo in ius da quelli attinenti all’editio actionis, in relazione ai rispettivi meccanismi sananti. LE NULLITA’ DELLA VOCATIO IN IUS. La disciplina dei vizi della parte dell’atto di citazione contenente la “chiamata in giudizio” del convenuto è contenuta nei primi tre commi dell’art. 164 c.p.c., in relazione al contenuto dell’atto come fissato dall’art. 163 3° comma c.p.c. nn. 1,2 e 7, ossia omissione o assoluta incertezza del Tribunale davanti al quale la domanda è proposta, omissione o assoluta incertezza delle parti, mancata indicazione della data dell’udienza di comparizione, assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello legale, omissione dell’avvertimento rivolto al convenuto di comparire dinnanzi al Giudice designando e di costituirsi nel termine di 20 giorni prima di tale udienza. 1) Il requisito di cui al n. 1 dell’art. 163 3° comma c.p.c., assolve, infatti, alla funzione di individuare il Giudice al quale si propone la domanda. Generalmente, tale indicazione viene compiuta nell’intestazione dell’atto ma potrebbe essere contenuta anche nel suo contesto purché sia inequivoca: in tali termini si è espressa la 2 Cassazione Civile che con sentenza n. 4726 del 1989 ha dichiarato la nullità della citazione, per omessa indicazione del Giudice, in un’ipotesi in cui nell’intestazione dell’atto era stato indicato un ufficio giudiziario, e nell’invito a comparire ne era stato indicato un altro. 2) Il requisito di cui al n. 2 dell’art. 163 c.p.c., assolve alla funzione di individuare le parti processuali, attore e convenuto, nonché le persone che le rappresentano o le assistono: la dottrina, infatti, ritiene pacificamente che l’omissione o l’assoluta incertezza dell’indicazione delle parti configuri un vizio attinente alla vocatio in ius quando, individuato il diritto nei suoi profili soggettivi, vi sia carenza di individuazione della parte processuale, mentre qualora manchi o sia incerta l’individuazione dei soggetti cui fa capo la situazione giuridica sostanziale dedotta in giudizio, il vizio colpisce la parte della editio actionis. Per evitare la nullità della citazione sotto questo profilo, la giurisprudenza costante della Suprema Corte ritiene che sia sufficiente l’indicazione dei requisiti idonei ad individuare il soggetto destinatario senza incertezze (così Cass. n. 8344 del 2004; conf. n. 272 del 1998) : tale nullità si determina, infatti, solo allorché “in relazione alla mancanza o erroneità di quelle indicazioni si verifichi una situazione di incertezza assoluta sulla identità della parte, sicché non si possa stabilire quale siano i soggetti del processo” (Cass. n. 3745 del 1984). 3 In particolare, in un caso di citazione notificata ad un ente estinto per incorporazione, la nullità è sanabile, “con la costituzione in giudizio dell’ente incorporate, successore universale ex lege di quello incorporato” (Cass. Civ. n. 1918 del 2000), con conseguente salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda. Se la parte è una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, occorre indicare la denominazione o la ditta e l’organo o ufficio al quale fa capo il potere di stare in giudizio, pur non essendo necessaria l’indicazione precisa della persona fisica titolare dell’organo (Cass. Civ. n. 3114 del 1988). Al contrario, quando si tratti di ditta individuale è necessaria l’indicazione del nome della persona fisica del suo titolare: l’erronea designazione del titolare è, pertanto, motivo di nullità sempre che “nonostante l’errore non sia individuare la persona effettivamente citata” (Cass. Civ. n. 5 del 1981; conf. Cass. Civ. n. 562 del 1987). L’indicazione della residenza o della sede è intesa in funzione di una ulteriore precisazione della individuazione delle parti: la relativa mancanza non pregiudica la validità dell’atto salvo che l’erronea indicazione non dia luogo a incertezza o nullità della notificazione (Cass. Civ. n. 1507 del 1981). L’elemento di cui al n. 6 della norma in esame, completa questa parte dell’atto con riguardo al difensore – procuratore, richiamando la facoltà prevista dall’art. 125 2° comma c.p.c., di rilasciare la procura alle liti fino al momento della costituzione in giudizio. 4 L’indicazione della data dell’udienza di comparizione, pur dovendo essere effettuata in modo inequivoco, viene ritenuta valida se affetta da errore facilmente riconoscibile (Cass. Civ. n. 15498 del 2004). In ogni caso la Cassazione ricorda che per evitare la nullità l’indicazione deve essere contenuta nella copia notificata, non bastando la sua presenza nell’originale, “dovendosi dare prevalenza, in tal caso, a ciò che risulta dalla copia consegnata alla controparte” (Cass. Civ. n. 2407 del 1999) allo scopo di “garantire l’affidamento del destinatario sull’atto ricevuto e gravando, pertanto, sull’attore l’onere di verificare, per suo conto, la rispondenza della copia notificata all’atto originale (Cass. Civ. n. 7037 del 1999; conf. Cass. Civ. n. 6017 del 2003). 3) La previsione della nullità della citazione per mancato avvertimento di cui al n. 7 dell’art. 163 c.p.c. (vocatio in ius in senso stretto) rappresenta una innovazione : tale previsione, infatti, si coordina con il nuovo sistema delle preclusioni di cui agli artt. 167, 183 e 184 c.p.c, e con la sottesa esigenza di garantire che il convenuto non incorra in decadenze. In tal senso, la dottrina ritiene che l’avvertimento riguardi l’intero n. 7 dell’art. 163, cioè non solo l’invito a comparire e a costituirsi ma soprattutto l’indicazione del termine ultimo per la comparizione. Negli stessi termini si è di recente pronunciata la Corte di Cassazione non ritenendo sufficiente il generico rinvio ai termini di cui all’art. 166 c.p.c. “essendo necessaria l’esplicita quantificazione 5 dei termini al fine di non depotenziare la funzione garantistica della norma” (Cass. Civ. n. 13652 del 2004). LE CONSEGUENZE DELLE NULLITA’ Le conseguenze dei vizi afferenti alla vocatio in ius sono disciplinate nel 2° e 3° comma dell’art. 164 c.p.c. i quali prevedono due possibilità, e cioè, la rinnovazione dell’atto ovvero la costituzione spontanea del convenuto, che mirano ad un recupero pieno dell’atto introduttivo, fin dalla sua origine. a) I vizi sopra esaminati sono rilevabili d’ufficio solo in caso di mancata costituzione del convenuto: alla rilevazione della nullità deve, quindi, accompagnarsi l’ordine del Giudice di rinnovazione della citazione entro un termine perentorio. La sanatoria, in tal caso, opera nel senso che il legislatore riconosce la fattispecie “atto di citazione invalido più rinnovazione” equivalente alla fattispecie “atto di citazione valido. La rinnovazione, ritualmente effettuata dà, quindi, luogo ad una vera e propria fattispecie sanante a carattere retroattivo a seguito della quale “gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione dell’atto al convenuto”. Nel caso in cui l’attore provveda alla rinnovazione dell’atto anteriore alla prima udienza ma oltre il termine perentorio fissato dal Giudice, si produce ugualmente un effetto “sanante” ma con efficacia irretroattiva, nel senso che esso opera dalla data della 6 notificazione della citazione rinnovata e non da quella della prima notificazione. Identica soluzione è da seguirsi nel caso in cui la rinnovazione sia effettuata entro il termine fissato ma in modo ancora invalido per vizi attinenti alla vocatio. Ove, invece, tale rinnovazione non venga eseguita nel termine, si produce una vicenda estintiva che investe tutto il processo, in applicazione dell’art. 307 3° comma c.p.c. b) Alla rinnovazione dell’atto la legge equipara la costituzione spontanea del convenuto: anche in tal caso il meccanismo sanante opera con efficacia retroattiva in quanto costituendosi il convenuto dimostra di aver comunque avuto conoscenza della pendenza di un giudizio, di conseguenza la vocatio ha raggiunto il suo scopo, sicché l’atto può essere ritenuto valido fin dall’inizio. Tuttavia, il principio subisce un’eccezione nei casi in cui il vizio della vocatio possa aver pregiudicato la possibilità per il convenuto di predisporre tempestivamente le proprie difese: è questo il caso in cui nella citazione sia stato assegnato un termine a comparire inferiore a quello legale (ovvero manchi l’indicazione dell’avvertimento di cui al n. 7 dell’art. 163 cpc) : in tali casi il Giudice, come espressamente previsto dall’art. 164 3° comma c.p.c., deve fissare una nuova udienza di comparizione nel rispetto dei termini, per consentire al convenuto che lo richieda, di depositare una comparsa di costituzione ( ai sensi dell’art. 167 c.p.c.) venti giorni prima dell’udienza fissata. Sul punto, la Suprema 7 Corte ricorda come tale vizio sia sanato dalla costituzione del convenuto solo se questi non faccia richiesta di fissazione di una nuova udienza nel rispetto dei termini: “la mancata fissazione della nuova udienza, sollecitata costituzione di sanare la dal convenuto, impedisce alla nullità … dovendosi presumere che l’inosservanza del termine a comparire gli abbia impedito una più adeguata difesa” (Cass. Civ. n. 12129 del 2004; conf. Cass. Civ. n. 9150 del 2004). Se, dunque, il convenuto si costituisce di sua iniziativa nel termine dell’art. 166 c.p.c. potrà svolgere tutte le sue difese, come se la nullità non fosse mai esistita, se, invece, si costituisce successivamente incapperà nelle decadenze quanto all’attività difensiva che avrebbe dovuto necessariamente compiere fino a quel momento, salva la possibilità di essere rimesso in termini ex art. 294 c.p.c ove dimostri di non aver avuto conoscenza dell’esistenza del processo a causa della nullità. Qualora, infine, il convenuto non si costituisca, l’inosservanza del termine minimo di comparizione, essendo il termine perentorio, inderogabile e assoluto, comporterà la nullità insanabile dell’atto, rendendolo inidoneo a costituire un valido rapporto processuale (Cass. Civ. n. 8146 del 2000). LE NULLITA’ DELLA EDITIO ACTIONIS La disciplina dei vizi dell’atto di citazione relativi alla parte della editio actionis, ossia alla parte dell’atto in cui sono contenuti gli elementi identificativi della pretesa fatta valere in giudizio, attinenti 8 cioè alla formulazione della domanda, è contenuta nel 4° comma dell’art. 164 c.p.c., in relazione al contenuto dell’atto fissato dall’art. 163 3° comma nn. 3 e 4, ossia omissione o assoluta incertezza della determinazione della cosa oggetto della domanda (petitum) e/o omissione o assoluta incertezza dell’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda (causa petendi). 1) Il requisito di cui al n. 3 dell’art. 163 c.p.c., ossia l’indicazione della cosa oggetto della domanda, è generalmente inteso come relativo sia al petitum mediato, quale concreta utilità che la parte intende ottenere attraverso il ricorso alla giustizia, cioè il bene della vita che intende conseguire sia al petitum immediato quale è il provvedimento giudiziale, strumentale rispetto a tale scopo. Con riguardo alle modalità dell’indicazione del petitum, la giurisprudenza ritiene che non occorrano formule sacramentali, essendo sufficiente che la domanda risulti, anche implicitamente, dalle difese della parte e che il suo oggetto possa essere chiaramente individuato nella parte espositiva dell’atto (Cass. Civ. n. 6512 del 1983), e tale principio risulta in linea con quello in base al quale il giudice deve interpretare la domanda secondo il suo contenuto effettivo e non secondo la terminologia usata dalla parte (Cass. Civ. n. 3528 del 1980). L’individuazione delle parti in senso sostanziale rientra nell’editio actionis in quanto necessario elemento identificativo del diritto fatto valere. 9 2) I requisiti di cui al n. 4 dell’art. 163 c.p.c. attengono, invece, all’individuazione del titolo della domanda: è, infatti, pacifico che l’esposizione dei fatti consista nell’affermazione o allegazione di quei fatti che, in quanto riconducibili in astratto ad una o più norme, costituiscono la causa petendi, indicata dal legislatore a volte come “ragione della domanda”, altre volte come “titolo della domanda”. Parallelamente, l’indicazione degli elementi di diritto prospetta la suddetta riconducibilità dei fatti ad una o più norme e, in tal senso, può essere modificabile dal giudice in base al suo potere di qualificazione della domanda. E’ necessario sottolineare che la omessa esposizione dei fatti “costituenti le ragioni della domanda” comporta vizio della citazione, per mancata individuazione del diritto fatto valere, solo per i diritti cosiddetti eterodeterminati, ossia per i diritti che sono individuati soprattutto dall’indicazione del loro fatto generatore per i quali, perciò , la fattispecie costitutiva è elemento necessario per la loro identificazione, come avviene per tutti i diritti relativi (di credito). Di conseguenza, senza la precisa indicazione del fatto che ha dato origine alla pretesa, questa non è individuabile e il Giudice, qualora la nullità non sia sanata con l’integrazione della domanda, dovrà rigettarla per ragioni processuali. Per la individuazione di tali diritti, infatti, “è indispensabile il riferimento ai relativi fatti costitutivi che divergono tra loro e 10 identificano distinte entità” (Cass. Civ. n. 16005 del 2003; Cass. Civ. 10168 del 2004), tra loro sensibilmente “divergenti sul piano genetico e funzionale” (Cass. Civ. 10409 del 2003) sicché per essi “il giudicato copre soltanto lo specifico fatto costitutivo fatto valere” (Cass. Civ. 4773 del 2001). Rispetto, invece, ai diritti autodeterminati, cioè quelli individuati sulla base della sola indicazione del loro contenuto, così come rappresentato dal bene che ne forma l’oggetto, quali i diritti reali, la mancata specificazione del fatto generatore non comporta nullità dell’atto introduttivo, emendabile fino all’udienza ex art. 183 c.p.c, così che l’allegazione della fattispecie costituiva diventa una condizione per l’accoglimento della domanda nel merito ma non per l’identificazione del diritto fatto valere. E’, infatti, principio ampiamente consolidato in giurisprudenza quello secondo cui la causa pretendi delle azioni giudiziarie relative a tali diritti, “si identifica con i diritti stessi e non con il titolo che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non ha alcuna funzione di specificazione della domanda, essendo, viceversa, necessario ai soli fini della prova” (Cass. Civ. n. 3192 del 2003; Cass. Civ. n. 9851 del 1997). Ne deriva, altresì, che mentre l’attore “può mutare titolo della domanda, senza incorrere nelle preclusioni della modifica della causa petendi, dall’altro lato, il giudice può accogliere il petitum in base ad un titolo diverso da quello dedotto senza violare il principio della domanda” (Cass. Civ. n. 7078 del 1999). 11 LE CONSEGUENZE DELLE NULLITA’ Le conseguenze dei vizi afferenti alla editio actionis sono contemplate nel 4° e nel 5° comma dell’art. 164 c.p.c., per i quali la sola costituzione del convenuto non è sufficiente a sanare le nullità della citazione. La sanatoria, infatti, può provenire soltanto da un’attività dell’attore che faccia acquisire al processo l’elemento mancante, cioè che sia idonea ad integrare la propria domanda, individuando la situazione sostanziale controversa. Per tali ragioni, i meccanismi sananti previsti dall’art. 164 c.p.c. sono la rinnovazione della citazione, necessariamente integrata con gli elementi carenti, ove il convenuto non si sia costituito, ovvero, ove quest’ultimo si sia costituito, l’integrazione della domanda previa fissazione all’attore di un termine perentorio per provvedervi. Tale sanatoria, però, a differenza di quanto accade per quella operante per i vizi della vocativo in ius, opera con effetto ex nunc: gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono dal momento della rinnovazione della citazione così come integrata, se il convenuto si è costituito. Per tali ragioni, si ritiene che non si possa parlare di un vero e proprio meccanismo sanante in quanto esso non mira al recupero dell’originaria citazione ma al più limitato scopo di tenere in vita il processo. 12 Va ricordato che nel caso di fissazione del termine per l’integrazione della domanda, il giudice dovrebbe altresì fissare una nuova udienza di prima comparizione per consentire, nel termine di 20 giorni prima della stessa, al convenuto di integrare, a sua volta, la comparsa di risposta alla luce delle precisazioni dell’attore (così il Trib. di Torino 27.11.03). Resta da risolvere il problema delle conseguenze della mancata rinnovazione della citazione: si ritiene applicabile, per identità di ratio, il 2° comma dell’art. 164 c.p.c. in quanto la cancellazione della causa dal ruolo, e la conseguente estinzione del giudizio, rappresenta la via per concludere un processo viziato perché carente di un presupposto processuale. Nel caso, invece, di mancata integrazione della domanda potrebbe applicarsi l’art. 307 c.p.c., sebbene l’omessa integrazione non sia prevista quale causa di nullità. INESISTENZA DELL’ATTO DI CITAZIONE Per opinione unanime, si ritiene che quando il vizio investa l’atto nella sua “esistenza” non possa operare alcuna sanatoria. Tuttavia, dottrina e giurisprudenza convengono nel ritenere che l’unico caso di citazione inesistente sia costituito dal difetto di sottoscrizione: questa, infatti, è elemento “indispensabile per la formazione fenomenica dell’atto stesso, sicché il suo difetto determina l’inesistenza di questo e non già soltanto la sua nullità” (Cass. Civ. n. 4116 del 2001). 13 Qualora, tuttavia, vi sia certezza circa la riconducibilità dell’atto all’attore, dovrebbe poter operare la possibilità della rinnovazione, stante la ratio ispiratrice dell’art. 164 c.p.c. Da parte sua, la Suprema Corte si è espressa nel senso di ritenere insussistente il difetto di sottoscrizione quando il procuratore abbia sottoscritto soltanto l’autenticazione della firma (Cass. Civ. n. 802 del 1987) atteso che in tal caso “la firma del difensore ha duplice scopo di sottoscrivere tale atto e di certificare l’autografia del mandato” (Cass. Civ. n. 4617 del 2004) e quando la firma manchi solo nella copia notificata alla controparte (Cass. Civ. n. 802 del 1987). Dott.ssa Alessandra Teresi 14