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DAI PROBLEMI “REALI” ALLE EQUAZIONI LINEARI: UN APPROCCIO STORICO-MULTIDISCIPLINARE PER LA MATEMATICA NEL BIENNIO. Indice 1. Premessa:Enriques-Polya-Pellerey 2. Introduzione 3. Problem solving-Pisano, Ragone, Rossi, Russo 4. Storia della matematica in classe- Bagni 5. Esempio 6. Conclusioni 7. Bibliografia Premessa “…un apprendimento scolastico valido implica tre aggettivi cioè esso deve essere: significativo, stabile, fruibile. Alla significatività concorrono la comprensione e la strutturazione delle conoscenze; alla stabilità un’adeguata fissazione e ricordo in maniera da garantire la disponibilità di un patrimonio permanente e non solo occasionale; alla fruibilità, lo sviluppo di competenze nell’utilizzare il patrimonio conoscitivo posseduto stabilmente al fine di interpretare nuove situazioni e conoscenze e di risolvere problemi applicativi…fare matematica diventa quindi un’esperienza emozionale ottimale (concetto di flusso, flow, di Csikszentmihalyi) quando si realizzano alcune condizioni. Il soggetto in primo luogo la percepisce come interessante, stimolante, sfidante, suggestiva, sulla base di guadagni e significati internamente vissuti. In secondo luogo egli si rende conto del senso o della ragione di questa sollecitazione, cioè ha un ritorno riflessivo che permette una più o meno pronunciata concettualizzazione dell’esperienza stessa: perché egli né è stato stimolato; che cosa gli ha fatto intravedere o verso che cosa gli ha fatto aprire gli occhi; da che cosa si è sentito attirato; quale guadagno personale ha acquisito; che cosa ciò può prospettare per la sua esistenza. E’ questa la base che può condurre nel tempo non solo ad avvertire il valore applicato in quella attività ma a interiorizzarlo come riferimento anche per iniziative proprie e non solo quando ne sia sollecitato dagli altri. In breve, un’esperienza ottimale nel fare matematica agisce sul soggetto in due direzioni: • Promuove una crescita personale nelle abilità, conoscenze e competenze connesse con quell’attività • Favorisce una progressiva percezione del valore personale attribuito ad essa. Pellerey M. , “Emozioni, motivazioni e comprensione nel fare matematica”, Matematica e didattica: tra sperimentazione e ricerca, Pitagora, Bologna, 2000. “…In primo luogo voglio essere preciso su quale sia il primo e principale obiettivo dell’insegnamento della matematica, soprattutto nella scuola secondaria: insegnare a pensare. Ciò significa che l’insegnante non deve solo fornire informazioni, ma anche fare in modo che gli allievi sviluppino l’abilità di utilizzare le informazioni ricevute, insistendo sul saper fare, su atteggiamenti favorevoli, su ambiti mentali desiderabili. Ma devo precisare due punti: • Il pensiero di cui parlo non è un sognare ad occhi aperti, ma un pensare diretto ad uno scopo o un pensare volontario (W. James), un pensare produttivo (M. Wertheimer). Questo pensiero in prima approssimazione può essere identificato con la soluzione di problemi. Comunque l’abilità nel risolvere problemi la considero la principale delle finalità scolastiche. • Il pensiero matematico non è puramente formale, non è preoccupato solo d’assiomi, definizioni, prove rigorose; molte altre cose gli appartengono: generalizzare a partire da casi osservati, argomenti induttivi, argomenti per analogie, riconoscere un concetto matematico a partire da una situazione concreta o saperlo estrarre da essa. L’insegnante ha molte opportunità per abituare i suoi alunni a questi processi informali di gran valore: insegniamo a provare con ogni mezzo, ma anche a congetturare…Il saper fare in matematica è l’abilità a 1 risolvere problemi, trovare prove, a criticare argomenti a favore, ad usare un linguaggio matematico con una certa fluidità, a riconoscere concetti matematici in situazioni pratiche.” -Polya G. , La scoperta matematica, Feltrinelli, Milano, 1971, vol. II.“...Se le matematiche vengono cosi spesso riguardate come inutile peso dagli allievi, dipende, almeno in parte, dal carattere troppo formale che tende a prendere quell’insegnamento, da un falso concetto del rigore tutto intento a soddisfare certe minime esigenze di parole, da una critica analitica eccessiva e fuori posto della quale invero basterebbe ritenere il risultato sintetico che pone nell’esperimento la base della geometria. Ma queste tendenze si riattaccano ad una causa più generale, cioè al fatto che le matematiche siano state studiate come un organismo a sé, riguardandone piuttosto la sistemazione astratta conseguita dopo uno sviluppo secolare, che non l’intima ragione storica. Si dimenticano per tal modo i problemi concreti che conferiscano interesse alla teoria, e sotto la formula o lo sviluppo del ragionamento non si vedono più i fatti ormai da lungo tempo acquisiti, ma soltanto la concatenazione in cui noi li abbiamo artificialmente stretti…” - Enriques F., sulla preparazione degli insegnanti di scienze, relazione tenuta al V congresso degli insegnanti di scuole medie, 1906.- Introduzione Dal linguaggio naturale al linguaggio rigoroso ovvero dal ragionamento naturale al ragionamento rigoroso. Quindi, possiamo assumere come principale obiettivo dell’insegnamento della matematica quello dell’insegnamento al “pensiero, al ragionamento, inteso come un pensare volontario, diretto ad uno scopo, produttivo. Lo strumento ideale per conseguire questo obiettivo è l’attività di risoluzione dei problemi; questi problemi, però, devono essere problemi che nascono dalla realtà degli studenti e quindi anche dalla storia dell’uomo, del suo pensiero, di cui fa parte anche quello matematico, se vogliamo che questo apprendimento sia significativo, stabile e fruibile. Inoltre, per gli studenti del primo biennio delle superiori, questo processo si deve collegare con continuità con il metodo precedentemente appreso, un metodo sostanzialmente “intuitivo”, “naturale”. Questo metodo non è più “debole” di quello cartesiano, anzi talvolta costituisce una preziosa fonte di ispirazione per quest’ ultimo. Gli studenti devono appunto maturare la consapevolezza della “mano destra” (razionalità), per imparare ad usarla, insieme alla “mano sinistra”(istintività,cretività), nelle loro attività; “Accettare a questo fine i contributi della <mano sinistra> significa tener presente tutto ciò che è impulso, irrazionalità, soggettività, eccezionalità individuale, tutto ciò che la luminosa traduzione o trasposizione della conoscenza della <mano destra> non riesce ad esaurire.”( Tratto da IL CONOSCERE Saggi per la mano sinistra-J.S.Bruner). Prima di descrivere come ho cercato di realizzare queste idee nelle mie classi vorrei approfondire, per mezzo di due articoli, alcune questioni: Introduzione al problem solving nell’insegnamento della matematica. Pisano R., Ragone G., Rossi M., Russo A. Gruppo S.I.C.S.I, Indirizzo F.I.M., DM2, Università degli studi di Napoli Federico II L’attivita’ di problem posing ( L’attività di problem posing consiste nel concettualizzare un problema, mediante una riflessione sulla situazione problematica nella quale l’allievo s’imbatte.) e di problem solving non devono essere identificate con quella di risoluzione di esercizi applicativi; esse sono attività più complesse. Gli esercizi applicativi possono essere risolti utilizzando concetti e regole già apprese, mentre la soluzione di un problema nuovo richiede capacità decisionali e l’utilizzazione di procedure e di strategie da scoprire. La strategia di risoluzione di un problema comporta l’esplorazione di regole (esperienze, procedure, leggi,...), l’analisi della situazione da più punti di vista, l’utilizzazione di regole anche nuove e la capacità di valutare la risolubilità del problema stesso. Il problem solving potrebbe essere definito come un approccio didattico teso a sviluppare, sul piano psicologico, comportamentale 2 ed operativo, l'abilità di soluzione di problemi. Generalmente il problem solving è associato allo sviluppo delle abilità logico-matematiche di risoluzione di problemi. Tuttavia questi non si rivela l'unica area didattica che può giovarsi di dette abilità: problem solving, in un’ottica interdisciplinare, può dirsi uso corretto dell'abilità di classificazione di situazioni problematiche e capacità, quindi, di risolvere problemi-tipo analoghi, siano essi pertinenti all'area logico-matematica o meno. Quindi, alla fine esso è un metodo di ricerca e di scoperta, che può comunemente essere applicato nelle diverse aree didattiche. Inoltre il metodo di soluzioni dei problemi, del quale il problem solving è una sfaccettatura, pone, come nucleo operativo, la scoperta ed il dominio di situazioni problematiche in generale, che possono sviluppare le potenzialità euristiche dell'allievo, e le sue abilità di valutazione e di giudizio obiettivo. “ll problem solving strategico è come un esperto marinaio che, in mezzo all'oceano, cerca di prevedere e programmare le proprie azioni sulla base delle condizioni del mare in quel momento. Deve prevedere l'insorgere di imprevisti e prepararsi ad affrontarli confidando soltanto sulla sua "consapevolezza operativa", non sul controllo assoluto degli eventi. Non solo, ma egli non conosce e non può conoscere né la profonda verità del mare né tantomeno il perché dei suoi mutamenti. Eppure con questa sua conoscenza limitata al "come fare" attraversa gli oceani e fronteggia le tempeste adattando sempre il suo agire all'evolversi degli eventi”. Il metodo della didattica per problemi consente agli allievi di apprendere a risolvere, con gradualità, problemi sempre più complessi che permettono allo studente di acquisire abilità cognitive di livello elevato. Un problema può essere una domanda che richiede una risposta precisa ed esauriente, oppure, un quesito che richiede l’individuazione o la costruzione di regole e di procedure che soddisfino condizioni predefinite e consentano di risolvere il quesito stesso. Riteniamo che la didattica per problemi abbia una cruciale valenza educativa-formativa e consenta di far acquisire ad ogni allievo gli obiettivi didattici pre-fissati (a livello disciplinare o pluridisciplinare. L’attività di insegnamento-apprendimento per problemi deve consentire a ciascun allievo di: Ricercare dati ed informazioni; Fare stime e calcoli ...; Formulare ipotesi risolutive; Proporre soluzioni; Prendere decisioni. La didattica per problemi deve essere intenzionale e funzionale rispetto agli obiettivi educativi e didattici da conseguire, in termini di conoscenze, competenze e capacità. Durante la soluzione di un problema l’allievo deve essere messo (dal docente) in condizione di scoprire (e ri-scoprire) ed acquisire, autonomamente, conoscenze nuove. E’ importante sottolineare che, in questo tipo di didattica, devono essere rispettate alcune regole fondamentali di relazione: I problemi non devono essere imposti, in modo direttivo, ma essere discussi e condivisi dal gruppo classe e/o nei piccoli gruppi; I docenti assumono la funzione di guida metodologica, di assistenza e di consulenza per ciascun allievo o per il gruppo di alunni impegnato nella soluzione del problema. Il docente svolge le funzioni di tutor; Inoltre la didattica per problemi consente il conseguimento dei seguenti obiettivi per ciascun allievo: a) Apprendere ad organizzare in modo significativo le proprie conoscenze; b) Apprendere a valutare l’utilità delle conoscenze acquisite, rispetto agli obiettivi prefissati in termini di conoscenze, competenze e capacità; c) Sviluppare l’attitudine ad affrontare problemi nuovi ed imprevisti e a trasferire le conoscenze acquisite in contesti diversi (transfer); d) Decidere in condizioni d’incertezza oltre che di certezza; e) Sviluppare la capacità di dominare situazioni anche complesse; f) Apprendere ad utilizzare appropriati metodi di comunicazione oltre che di documentazione; g) Apprendere ad apprendere. 3 Quando un allievo s’imbatte in un problema, inizialmente ne sa molto poco, ma potrà diventare esperto di quel particolare problema, formulando ipotesi risolutive, seppure inadeguate ed insoddisfacenti, criticando, rivedendo ed affinando le ipotesi stesse, dopo averle messe alla prova. Comprendere un problema, quindi, significa capirne le difficoltà, tentare di risolverlo con un’applicazione tenace e responsabile, con perseveranza e gratificazione intellettiva, legata alla soluzione del problema stesso. Con tale metodo si possono sviluppare alcuni aspetti fondamentali della personalità quali: 1) La responsabilità, 2) L’autonomia, 3) La fiducia in sé, 4) La stima di sé, 5) La cooperazione con gli altri, 6) La solidarietà, 7) Le capacità decisionali. L’attività didattica deve essere progettata e programmata collegialmente facendo in modo che gli allievi risolvano i problemi in piccoli gruppi, costituiti ad es. da cinque studenti. I problemi possono essere scomposti in sottoproblemi, più semplici da risolvere. I gruppi scelgono un loro referente che illustra ai componenti degli altri gruppi le procedure che hanno consentito la soluzione del problema. In tale fase, la funzione del docente consiste nell’insegnare agli allievi del gruppo classe a trovare la soluzione o le soluzioni (anche quelle non ottimizzate) del problema. Generalmente un problema ne genera un altro: la soluzione di un problema può essere, infatti, il presupposto per la posizione di un altro. Il filosofo ed epistemologo K. Popper sostiene che “[…] la ricerca scientifica consiste nel risolvere problemi”, […] la vita è costituita da problemi da risolvere” e, quindi, che“ apprendere a risolvere problemi significa apprendere a vivere […]’’ (Popper K.). 2. Cenni sul problem solving di tipo metacognitivo Recenti studi (Web) sono proiettati all’applicazioni di risoluzioni di problemi mediante un approccio definito come problem solving di tipo metacognitivo; esso tende ad essere, rispetto al metodo classico di cui sopra, un'espansione applicativa. Di seguito riportiamo un digramma che sintetizza tale approccio (Web): 4 La routine del problem solving prevede diversi momenti, durante i quali possono essere sviluppati diversi processi di controllo propri delle abilità metacognitive. Di seguito, sintetizziamo le principali relazioni che sussistono tra la tecnica del problem solving e le attività metacognitive che accompagnano l’uso di tale tecnica. Tab. 1 relazione tra il problem solving e le attività metacognitive di controllo PROBLEM SOLVING ATTIVITA' METACOGNITIVE DI CONTROLLO Prima di lavorare rifletti: Comprensione Quello che vai ad affrontare è proprio un problema? Cosa sai su come si fa? Hai incontrato problemi simili? Prima di lavorare prevedi: Previsione Cosa ti può aiutare? Quanto tempo hai? Di quali/quanti strumenti hai bisogno? Qual è l'ambiente in cui svolgerai il compito? Organizzati: Pianificazione Identifica il problema. Vuoi/puoi lavorare da solo o in gruppo? Reperisci materiali e strumenti. Scegli i metodi di rappresentazione dei dati. Stabilisci i tempi di lavoro. Mentre svolgi il compito risolutivo controlla: Monitoraggio Sei sulla strada giusta? Cosa va eliminato o invece salvato? Il compito ti sembra facile o difficile? Se non riesci ad andare avanti, cosa fai? Quella che hai trovato e' la soluzione? Quando hai risolto il problema, guarda indietro: Valutazione Le tue previsioni e la tua pianificazione ti sono stati utili? Hai lavorato bene? Si sarebbe potuto fare in un altro modo? Questa procedura di risoluzione può esserti utile in altri compiti? C'è stato qualche problema insuperabile? Il problem solving metacognitivo diviene quindi un palestra per l'abilità di autoregolazione poiché, in modo sempre più puntuale, i ragazzi saranno in grado di monitorare i processi e di valutare i gradi di utilità, necessità ed appropriatezza dei diversi processi risolutivi, nonché di classificare le rappresentazioni personali di procedure, ed attiveranno positivi transfer degli apprendimenti . 5 2. Il metodo della didattica per problemi si fonda sulla motivazione ad apprendere. L’intuizione intesa come conoscenza diretta ed immediata della realtà, di un fenomeno, di una situazione, può giocare un ruolo importante nella soluzione di un problema. Le difficoltà, per l’alunno, possono presentarsi in una delle seguenti fasi: a) Lettura del problema, b) Comprensione del problema, c) Applicazione di procedure risolutive, d) Codifica della risposta. Le fasi di risoluzione di un problema, invece, possono essere le seguenti: 1) Presentazione del problema, 2) Riflessione sul problema, 3) Soluzione del problema, 4) Discussione in gruppo (brain storming). Nella soluzione di problemi intervengono anche processi metacognitivi quali: a) l’analisi delle proprie conoscenze, b) la loro utilizzazione pratica. Durante la tecnica del PS può essere adottato il metodo del brain storming. Esso può essere utilizzato dal docente per animare i lavori di gruppo, soprattutto nella fase in cui si discute la soluzione di un problema. Per semplificare la risoluzione di un problema si ricorre ad una sua modellizzazione ossia ad una sua rappresentazione euristica, che ne riproduce le caratteristiche essenziali. Il modello interviene in due fasi relative alla soluzione di un problema: Quando dal modello si passa a ciò che il solutore deve fare per risolvere il problema, Quando dalla situazione problematica reale si arriva alla costruzione di un modello risolutivo. Il modello preliminare alla soluzione di un problema può essere un modello già strutturato, oppure un modello formato solo in parte e, quindi, in via di formazione completa. Il modello può essere adeguato per risolvere il problema oppure non è adeguato del tutto o solo in parte, per giungere alla soluzione del problema. Esiste una varietà di modelli, articolati in fasi, per il problem solving. Secondo alcuni studiosi per il modello tipo classico si possono articolare quattro fasi: Fase iniziale: il solutore tenta di comprendere di che cosa tratta il problema che ha di fronte e che cosa deve fare; Fase di attacco: il solutore saggia una prima ipotesi di soluzione, che può condurlo in porto o no; in quest’ultimo caso deve riformulare le ipotesi; Fase di controllo: il solutore confronta la propria soluzione con lo stimolo posto dal problema, per valutarne l’efficacia; Fase di estensione: la soluzione di un problema dovrebbe portare alla formulazione di un altro problema. Inoltre in tale modello l’attività di problem solving è influenzata da condizioni esterne e da condizioni interne. Le condizioni esterne sono costituite da: a) Stimoli verbali e non, b) Indicazioni, direttive finalizzate a favorire la concettualizzazione del problema, c) Istruzioni che hanno la funzione di agevolare la soluzione del problema. 6 Le condizioni interne sono legate alle differenze individuali e dipendono dalla: Quantità di informazioni immagazzinate, Facilità di richiamare alla memoria le informazioni stesse, Capacità di selezionare i concetti, Flessibilità nel formulare ipotesi, Capacità di saper confrontare il caso specifico con il caso generale. 3. Modellizzazione della tecnica del Probem solving Contributi al problem solving vengono dalle teorie psicologiche come la gestalt, il comportamentismo, il cognitivismo (Polmonari, 245-261) e dalle scienze dell’informazione (metodo top down e bottom up (Booch; Cantor; Pisano R.). A questo punto per una rapida e globale visione dell’approccio metacognitivo riportiamo i seguenti digramma B. e C. che specificano solo passi operativi (tralasciando quelli cognitivi). Analisi qualitativa a Analisi quantitativa Prototipo di soluzione Applicazione del la soluzione Estensione Controllo Soluzione del problema - Diagramma C. il modello a cascata OOT adattato per l’applicazione del problem solving metacognitivo - Legenda: Il modello a cascata, con un approccio Object Oriented theory (OOT) è utilizzato in teorie di modellizzazione e progettazione informatica (Cantor). 7 4. Il problem solving nell’insegnamento della matematica. Piccola sintesi dell’interpretazione di Poyla L’attività’ di problem solving ha una sua specifica applicazione in matematica. Secondo il matematico George Polya la risoluzione di un problema si sviluppa in quattro fasi: Comprendere il problema, Ideare un piano per trovare la soluzione, Eseguire il piano, Verificare e valutare il procedimento e controllare il risultato. Si possono distinguere tre aspetti relativi alla strategia di risoluzione dei problemi: a) Come si presenta il problema, b) Come interagiscono le caratteristiche del contesto problematico con le conoscenze ed i modelli di ciascun solutore, c) Come sono analizzati i problemi e come il solutore stesso analizza la propria struttura o matrice cognitiva. Risolvere un problema matematico implica la trasformazione della struttura conoscitiva del solutore da uno stato iniziale “i” ad uno stato finale “f”, come avviene per il processo d’apprendimento in generale. Nell’attività’ di problem solving il docente valuta: 1. Il tempo impiegato nella soluzione del problema, 2. La precisione, in altre parole, la qualità e la quantità di errori commessi (analisi dell’errore). Nell’attività di risoluzione di problemi l’allievo deve acquisire le seguenti competenze intese come esiti in uscita: a. b. c. d. e. f. g. h. i. Comprendere il testo di un problema, Individuare i dati essenziali, Individuare quelli mancanti, Individuare relazioni e corrispondenze, Costruire relazioni e corrispondenze, Utilizzare in modo consapevole tecniche e procedure di calcolo, Sviluppare algoritmi risolutivi, Controllare la validità degli algoritmi risolutivi individuati o costruiti, Matematizzare il problema da risolvere, attraverso processi di generalizzazione e di simbolizzazione, questa operazione riduce l’effetto della complessità, j. Padroneggiare modelli risolutivi in condizioni di certezza e in condizioni d’incertezza, k. Utilizzare gli strumenti informatici a disposizione, l. Allenarsi al rigore e alla precisione mentale, m. Comprendere e utilizzare i codici formali. 8 In particolare: in merito alla concettualizzazione di un problema matematico (mathematical problem posing) può essere utile servirsi delle tabelle seguenti: Dato il testo di un problema Individuare i dati utili alla sua risoluzione. Dato il testo di un problema Individuare gli eventuali dati che lo rendono ambiguo Data una situazione problematica Individuare il problema che la rappresenta e gli elementi utili per la sua risoluzione. Dato un enunciato Individuare ipotesi, conclusioni e l’ambito di applicabilità del problema. Relazioni tra dati: Dato il testo di un problema Organizzare i dati in una tabella Dato il testo di un problema Organizzare i dati in un diagramma Data una situazione problematica Organizzare le relazioni dirette e inverse tra i dati Organizzare relazioni astratte di tipo simbolico tra dati. Dato un enunciato Metodi risolutivi. Determinare un algoritmo che permetta d’individuare un risultato controllandone i limiti di validità o di pertinenza: Dato il testo di un problema Risolvere il problema con un metodo intuitivo “ Risolvere il problema per analogia. Data una situazione problematica Risolvere il problema con il metodo delle approssimazioni successive. Dato l’enunciato di un problema Risolvere il problema con metodi grafici (compreso il metodo geometrico. “ Risolvere il problema con metodi algebrici “ Risolvere il problema con metodi informatici “ Risolvere il problema con metodi misti. 9 5. Conclusioni e riflessioni È noto che la scuola costituisce un ambito importante di socializzazione, un ambito nel quale si apprendono e perfezionano competenze culturali e sociali. È indubbio che parlando di scuola si debba prendere in considerazione, fra gli altri aspetti, anche la qualità sociale dell'educazione, elemento da cui può dipendere in varia misura l'insuccesso scolastico. Il tema del "buon insegnante" o anche dell'insegnante "ideale" è stato ampiamente studiato in psicologia dell'educazione, soprattutto in rapporto alla fascia adolescenziale, poiché è proprio l'allievo adolescente, quello che da un lato, mostra le aspettative più precise ed articolate nei confronti dei propri insegnanti, dall'altro, è anche l'allievo tendenzialmente più difficile poiché più incline a demotivazione scolastica, più capace di abbassare la credibilità dell'insegnante attraverso propri comportamenti. Gli insegnanti giocano un ruolo importante nel rendimento scolastico. Questo fatto è piuttosto comprensibile: se l'insegnante si centra di preferenza sugli individui rischia di perdere il controllo del gruppo. Questa è la situazione in cui facilmente incorrono gli insegnanti meno esperti, che mostrano difficoltà ad interagire per tempi prolungati con la classe intera. D'altra parte, saper interagire produttivamente con un gruppo di adolescenti prevede che siano attivati i loro livelli di partecipazione e di motivazione. Insomma, producono risultati migliori in termini di riuscita scolastica quelle scuole in cui è incoraggiata la partecipazione attiva degli allievi, in cui è messo in pratica l'ascolto reciproco fra insegnanti ed alunni, in cui gli insegnanti possono effettivamente programmare collegialmente le attività e contare sulla supervisione di insegnanti esperti (più anziani). In conclusione riteniamo che acquisire, progressivamente, capacità di problem posing e di problem solving serve ad agevolare le potenzialità d’apprendimento di un allievo, che manifesterà desiderio di coinvolgimento nelle attività di formazione, all’interno dell’organizzazione. Tutte le discipline sono potenzialmente portatrici e generatrici di problemi, la matematica in particolare è una disciplina costituita da procedure o algoritmi basati sulle capacità di analisi, di sintesi e di capacità di concettualizzare e risolvere problemi. 6.I compiti di sviluppo Il successo e l’insuccesso scolastico si collocano entro una matrice interattiva che contestualizza il percorso scolastico dello studente attraverso la descrizione delle dinamiche e dei processi sociopsicologici che si verificano in classe, nonché attraverso la comprensione di rappresentazioni, valori e significati condivisi dagli insegnanti e dagli studenti che interagiscono all’interno dello stesso spazio. La natura sociale della conoscenza è considerata come il risultato delle interazioni di gruppi di persone che costruiscono insieme modi comuni di esprimersi usando linguaggi appropriati, di mettere a punto procedure e metodi più efficaci per raggiungere gli obiettivi comuni. Le relazioni fra insegnanti e studenti sono caratterizzate da un processo basato sulla possibilità degli insegnanti di interagire con gli allievi sulla base delle rappresentazioni sociali più diffuse a livello di senso comune, riguardo quello che caratterizza uno studente di successo o di insuccesso. Secondo alcuni studi, sono definiti i compiti di sviluppo, il lavoro che l’adolescente compie per superare ostacoli socio-culturali connessi al passaggio fra cicli di studio e la scelta del ciclo scolastico successivo all’istruzione obbligatoria. Entrambi questi passaggi possono indurre nell’adolescente (ad es.) situazioni di stress e ansia: sia per l’inserimento nella scuola superiore o nei centri di formazione professionali, sia per coloro che lasciano la scuola per accedere al mondo del lavoro. La situazione disagiata che l’adolescente vive costituisce l’occasione per verificare le proprie capacità. In più tali situazioni, non solo devono essere oggetto di oculato studio da parte del docente (attento), ma occorre che essi siano il punto di partenza per una didattica per problemi. Il superamento positivo di tale fase genera (o incrementa) la fiducia di se stessi di essere in grado di affrontare ulteriori compiti; quindi scatena un processo molto positivo di autostima. Al contrario, il non superamento del compito produrrà inevitabilmente la perdita di fiducia nelle proprie capacità di far fronte a situazioni e problematiche in modo soddisfacente. Allora, qual è il ruolo dell’insegnante in questo caso? 10 7.Perché l’alunno “va male” a scuola? Gli adolescenti che affrontano i diversi compiti di sviluppo sono oggetto di valutazione da parte degli adulti: insegnanti e genitori; e di confronto con gli altri coetanei. Questo è un aspetto molto delicato nella crescita dell’adolescente. Infatti, il riconoscimento che gli è fornito ed impegnato nel superamento di un compito di sviluppo, incide notevolmente sul processo di costruzione della identità del ragazzo/a. Da qui, l’adolescente tenderà a costruire un’immagine positiva (o negativa) di se stesso. Solo quando ogni individuo percepisce di possedere qualità socialmente valorizzate in grado di relazionarsi bene con gli altri, si può convincere di poter interagire costruttivamente con l’ambiente sociale in cui vive. Questo processo è talvolta (positivamente o negativamente) accompagnato da una interazione prolungata con i genitori o gli insegnanti. Oggetto della valutazione è qui il tipo di rapporti esistenti tra gli alunni e tra alunni ed insegnante, e cioè il genere di relazioni che permettono di creare in classe un clima favorevole all'acquisizione del sapere. La prospettiva causalistica che ha dominato e che spesso domina tuttora all’interno dell’istituzione scolastica ha costruito un sistema di rappresentazioni che ha consentito di giustificare la presenza dello studente “diverso” (deviante, in condizioni di handicap o solamente l’alunno che “va male a scuola”) quale risultato delle differenze individuali tra gli alunni (differenze nell’intelligenza, nelle attitudini, negli interessi, nelle predisposizioni, nelle motivazioni, nel contesto socio-economico di provenienza) e legittimare quindi gli eventuali provvedimenti messi in atto dall’istituzione stessa per mano degli insegnanti. In questo modo l’intero sistema e gli stessi insegnanti sono stati deresponsabilizzati dal prendere criticamente in esame il proprio agire quotidiano. Ma la diversità, la devianza del ragazzo, non è solo una proprietà dell'azione compiuta dal ragazzo o una caratteristica della sua personalità o del suo carattere, come più frequentemente è chiamato in causa, ma è anche una conseguenza del fatto che l'insegnante applica delle regole di valutazione dettategli dal criterio di normalità/anormalità che il suo personale consenso all'istituzione gli impone. E questo, secondo me, è errato! Il tema della comunicazione in classe si affronta partendo dall'osservazione diretta del comportamento comunicativo dell'insegnante, caratterizzato dal porre domande o dal fornire risposte, dal lodare, dal criticare o dall'ignorare dal trasmettere informazioni o dal riferire opinioni. L'intento sembra essere quello di valutare la capacità professionale dell'adulto tramite la qualità delle interazioni instaurate con gli alunni, tentando in alcuni casi di stabilire dei nessi tra lo stile comunicativo dell'insegnante e il rendimento degli allievi. L'adolescente è impegnato, proprio negli anni della scuola superiore, in una complessa e lunga operazione di passaggio da un'identità appartenente al mondo infantile ad un'identità adulta e sociale. Questo processo implica per lui la necessità di separarsi da oggetti, affetti e comportamenti infantili, e passare ad acquisire autonomia delle proprie capacità e delle proprie relazioni sociali. La scuola, senza dubbio, si inserisce in questa vicenda di trasformazione e passaggio. In effetti, essa rappresenta un campo di esperienza particolarmente significativo proprio in rapporto a quei processi in cui occorre dare prova di sé, misurarsi con le difficoltà, esporsi al giudizio, produrre risultati valutabili, ottenere una valutazione da un adulto competente ed autorevole. Insomma, per l'allievo, la scuola è, in primo luogo, la sede dove cresce il bisogno di sperimentarsi, di realizzare e produrre qualcosa in cui riconoscersi, qualcosa che possa essere valutato dagli altri e possibilmente approvato e apprezzato all'esterno per rimandare un'immagine concreta e ricca di sé. Per comporre il quadro della relazione tra adolescenti e scuola occorre anche riflettere sul senso dell'apprendimento scolastico, in particolare sui significati concreti connessi alla funzione dell'imparare. In alcuni testi, si legge che imparare con successo significa crescere, affermarsi, vincere, controllare: l'imparare è una funzione importante e desiderabile perché sinonimo di passaggio a stadi più evoluti. Ma, l'adolescenza è dominata anche da oscillazioni e contraddizioni tra la voglia di crescere e la paura di uscire dall'infanzia. Pertanto, imparare potrebbe voler dire anche uscire dal gioco, dall'irresponsabilità e dalla dipendenza da chi sa di più. Dunque, il processo dell'imparare implica anche esperienze di incertezza, confusione e incomprensione, ed espone naturalmente a rischi di fallimento, di frustrazione e di fatica. Per i ragazzi è spesso cosa difficile e fonte di ansia tollerare lo stato di non conoscenza, la sensazione di non comprensione e controllo del nuovo da acquisire. L'apprendimento insomma, può essere per l'adolescente un'esperienza che ripropone e condensa le emozioni, i conflitti, e le ansie più intense. Tuttavia, il rapporto tra le richieste della scuola e la realtà della condizione adolescente è certamente complesso e contraddittorio: se da un lato i caratteri del pensiero, della libertà dell'astrazione, e a 11 formulare ipotesi, sembrano la migliore premessa per un forte impegno intellettuale, d'altro canto, l'investimento massiccio sulla propria realtà emotiva pongono, all’allievo, un ostacolo sulla possibilità di una convergenza tra compiti scolastici e compiti di sviluppo. Probabilmente la condizione necessaria perché tale convergenza si verifichi fattivamente è che l'adolescente possa sentire la scuola come un'occasione di sperimentazione positiva di sé, sede di riconoscimento e conferma di elementi necessari alla graduale conquista di nuove identità; ma sicuramente la condizione appena suggerita segue da una modifica (quasi) radicale del mondo-scuola. In definitiva, nella scuola, occorrerebbe almeno recuperare i seguenti elementi: La motivazione allo studio Il significato dello studio Il significato della funzione educativa 8.Recuperare la motivazione Occorrerebbe far percepire la scuola come spazio esperienziale che contiene opportunità di prova di sé, di affermazione, di scoperta, di evoluzione, di identificazione, di confronto, di gioco di idee, delle opinioni e di responsabilità. Infine, occorrerebbe ri-centrare l'immagine e la realtà della scuola sugli studenti, e non solo su talvolta impraticabili ed incomprensibili programmi e sull'istituzione, in modo che lo studente senta di essere il protagonista e percepisca le opportunità che la scuola offre come risposta ad un'esigenza formativa propria e non solo dettata da esterne burocrazie e pericolose politiche valide solo per fini istituzionali. 9.Recuperare il significato dello studio Occorrerebbe, fondare la didattica nel suo complesso, non più come trasmissione di saperi, ma come ricostruzione di significati. Un sapere che sia sempre accompagnato da idee, motivi ed opinioni; proposte di contenuti che prevedano anche i modi di pensare e di valutare quei contenuti, percorsi di ragionamento che partano dalle precedenti conoscenze di vissuto dei ragazzi. 10.Il significato della funzione educativa Dobbiamo uscire da ciò che è rigidamente curricolare e mettere (quando è possibile) da parte l'iter scolastico per favorire "contenuti di relazione". Recuperare la relazione, in realtà, significa mettersi in gioco con tutto il proprio carisma e tutta la propria autorevolezza di ruolo come punto di riferimento adulto e colto, e come possibile modello di rapporto con il sapere e la conoscenza. Significa entrare in una relazione produttiva con gli studenti per condividere progetti, comunicare aspettative e restituire valori. Storia della matematica in classe: scelte epistemologiche e didattiche Giorgio Bagni: dipartimento di Matematica, Universita di Roma “La Sapienza” 1. Storia della matematica e didattica: diversi quadri teorici È sufficiente sfogliare le principali riviste di didattica della matematica e molti libri di testo attualmente in uso per rendersi conto che l’introduzione di un concetto fa spesso riferimento alla storia della nostra disciplina: spesso l’impiego di elementi storici nella pratica scolastica è considerato con favore da ricercatori e da insegnanti e non raramente è apprezzato anche dagli allievi. Tuttavia, come vedremo, la presentazione di un contenuto matematico attraverso la sua evoluzione storica richiede l’assunzione di posizioni epistemologiche importanti e impegnative. Considerare la storia della matematica come una specie di “laboratorio in cui esplorare lo sviluppo della conoscenza matematica” richiede infatti l’accettazione di un punto di vista teorico che giustifichi il collegamento tra lo sviluppo concettuale nella storia e quello moderno. Per realizzare una tale connessione è necessario affrontare questioni rilevanti per la didattica disciplinare: i problemi più gravi sono connessi all’interpretazione dei dati storici, 12 inevitabilmente condotta alla luce dei nostri attuali paradigmi culturali. Il dilemma tra scoperta e invenzione ha fatto discutere a lungo matematici, filosofi e storici della matematica; da un lato, la posizione platonista tende ad assimilare il lavoro del matematico a quello di uno scopritore, di chi individua e studia oggetti, fatti, proprietà in qualche modo già dotati di una propria esistenza; dall’altro, il matematico sarebbe invece chi introduce, crea autonomamente la matematica, la inventa mantenendo un significativo margine di libertà. Dal punto di vista storiografico, il dilemma è talvolta impostato secondo una concezione che elude l’alternativa tra le posizioni ricordate. Un nuovo concetto sarebbe inizialmente “incontrato” da un matematico in fasi operative, ad esempio nella risoluzione di un problema o all’interno di una dimostrazione; per essere più tardi ripreso e rielaborato alla luce dei mutati standard di rigore.( In una conferenza inaugurale tenuta al Corso di Perfezionamento in Matematica e Fisica, A. Frajese sosteneva: “Come l’umanità, si dice, ha dovuto percorrere numerose tappe per giungere al possesso di una dottrina scientifica, attraverso errori, deviazioni, scoperte, così nella mente del discente tali tappe devono essere ripercorse, con analoghi errori, analoghe deviazioni, analoghe scoperte”). Notiamo però, anticipando un’osservazione che riprenderemo, che l’accettazione di tale struttura evolutiva può portare ad affrontare alcune non banali questioni epistemologiche: è accettabile concepire la storia della matematica come un percorso che, attraverso tentativi, errori e rivisitazioni critiche, conduca alla “corretta” sistemazione concettuale moderna? In altri termini, possiamo riferire l’intera evoluzione storica alla nostra attuale concezione della matematica? Quale ruolo va attribuito ai fattori culturali e sociali che hanno influenzato i singoli periodi storici? Non si può dimenticare che le fasi che siamo tentati di considerare (oggi) come interlocutorie, come momenti di passaggio verso la formazione della matematica “compiuta” (la nostra attuale matematica), costituivano invece la matematica “compiuta” dell’epoca, elaborata in base a concezioni culturali e funzionale rispetto a esigenze precise. A partire dagli anni Settanta, Guy Brousseau introdusse il concetto di ostacolo epistemologico: si concepiva la conoscenza come soluzione ottimale per un problema caratterizzato da esigenze e da vincoli; l’ostacolo epistemologico può interpretarsi alla stregua di una sistematica difficoltà che gli individui incontrano (e a causa della quale compiono errori) nell’affrontare i problemi. Tale impostazione porta ad uno studio storico il cui scopo fondamentale è l’evidenziazione di tali esigenze, quindi l’interpretazione, attraverso la loro analisi, della conoscenza che a partire da esse si è sviluppata. La nota suddivisione degli ostacoli in epistemologici, ontogenetici, didattici e culturali sottolinea la separazione della sfera della conoscenza dalle altre sfere ad essa collegate. L’approccio ora descritto è chiaramente caratterizzato da alcune importanti assunzioni epistemologiche: la prima riguarda la ricomparsa nei processi attuali (nelle situazioni di apprendimento) di uno stesso ostacolo epistemologico manifestatosi in un periodo storico; la seconda riguarda più specificamente la trasmissione del sapere e prevede che il discente apprenda affrontando un problema significativo in modo sostanzialmente isolato, senza influenze sociali o, più in generale, senza interagire con l’ambiente. A quella di Brousseau si affiancano altre impostazioni teoriche, basate su differenti assunzioni epistemologiche: secondo l’approccio socio-culturale di Luis Radford, la conoscenza si collega alle attività nelle quali i soggetti si impegnano e ciò deve essere considerato in relazione con le istituzioni culturali dell’ambiente sociale. La conoscenza non si produce nel rapporto esclusivo tra individuo e problema da risolvere, ma è socialmente ottenuta: all’impostazione unidirezionale di una costruzione della conoscenza scandita da successivi superamenti di ostacoli si sostituisce un progresso dialogico; l’allievo apprende la matematica in collaborazione con altri allievi e con l’insegnante, in un ampio contesto culturale. Chiaramente la storia deve essere interpretata con riferimento alle diverse culture e fornisce dunque un’occasione per la ricostruzione critica dei contesti socio-culturali del passato. Molto interessante dal punto di vista didattico è infine l’approccio “voci ed echi” di Paolo Boero; esso si basa sulla considerazione di alcune espressioni verbali e non verbali (dette “voci”), riconducibili a momenti storici, che, su esplicita proposta del docente, possono essere considerate ed interpretate dai discenti (e produrre pertanto un “eco”.Ciò può avvenire attraverso un Gioco delle voci e degli echi, con domande quali: “Come X avrebbe potuto interpretare il fatto Y? Attraverso quali esperienze Z avrebbe potuto sostenere la propria ipotesi? Quali analogie e differenze puoi trovare tra quanto affermato da un tuo compagno di scuola e ciò che hai letto su W?”). La posizione epistemologica che sta alla base di tale impostazione prevede che la conoscenza teorica sia organizzata secondo criteri metodologici di coerenza e di sistematicità e fornisca specifici “modi di vedere” gli oggetti di una teoria; inoltre, che le 13 definizioni e le dimostrazioni siano basate su strategie di pensiero collegate allo specifico linguaggio impiegato ed alle tradizioni culturali. 2. L’interpretazione degli elementi storici Le precedenti riflessioni portano a considerare le difficoltà determinate dalle impegnative assunzioni epistemologiche che si rendono di volta in volta necessarie, e dunque alla formulazione di un interrogativo radicale: è lecito l’uso della componente storica nella trasmissione del sapere matematico? Non è forse produttivo porre la questione in termini così netti e inquietanti. Preferiamo chiederci: quale uso della storia è lecito, alla luce di alcune scelte epistemologiche di base che non possono essere eluse, nei processi di trasmissione della conoscenza matematica? Secondo noi, infatti, è possibile delineare un uso corretto della storia: se un livello aneddotico, pur potendo rinforzare la motivazione dei discenti, rimane superficiale e dunque non molto significativo, un approccio che pretenda di far seguire allo sviluppo cognitivo un percorso modellato sull’evoluzione storica (ci riferiamo alla celebre tesi espressa in: Piaget) incontrerebbe difficoltà piuttosto rilevanti. La stessa impostazione teorica collegata agli ostacoli epistemologici, come sopra notato, implica alcune assunzioni pesanti; ad esempio L. Radford sottolinea: “Anche il più titanico sforzo di rinunciare alle nostre conoscenze attuali nel tentativo di vedere l’evento storico nella sua purezza non avrebbe successo: siamo condannati a portarci dietro le nostre moderne concezioni del passato. E ciò che è peggio, non basta riconoscere tale problema, come spesso si fa, per risolverlo. Le principali questioni alle quali è opportuno dedicare attenzione sono dunque le seguenti: possiamo confrontare direttamente due diversi periodi storici? Qual è il ruolo dei fattori socio-culturali che hanno influenzato lo sviluppo del sapere matematico? Non è possibile interpretare gli eventi storici senza l’influenza delle moderne concezioni; dunque dobbiamo accettare il nostro “punto di vista” e tenere presente che, guardando al passato, poniamo in contatto due culture che sono “diverse [ma] non sono incommensurabili”. Naturalmente anche questa scelta comporta alcune difficoltà: non sarebbe infatti accettabile un ingenuo tentativo di imitare l’approccio mentale ai problemi proprio dei matematici del passato; la ricostruzione dell’ambiente socio-culturale di un periodo lontano non è un’operazione semplice e deve essere sorretta da un’adeguata preparazione storica ed epistemologica. Concordiamo comunque con P. Pizzamiglio, il quale afferma: “L’introduzione della dimensione storica non serve direttamente e precisamente a spiegare matematica, ma (…) consente di conoscere la matematica ad un livello riflesso, studiandola cioè come oggetto di indagine appunto storica”. La concezione della matematica come oggetto di indagine storica è molto importante: l’ineliminabile presenza della “lente” determinata dalle concezioni moderne rende opportuna l’adozione consapevole di un punto di vista; e la presa d’atto della presenza di una “indagine storica” avente per suo oggetto la matematica evidenzia la possibilità di una corretta collocazione del punto di vista moderno. 3. Usi della storia nella trasmissione del sapere matematico L’introduzione storica di un concetto può essere organizzata secondo diverse modalità: potremmo ad esempio ipotizzare una diretta illustrazione cronologica dei riferimenti storici collegati al concetto in questione, realizzando una vera e propria “storia dell’argomento”. A ciò corrisponderebbero alcune posizioni: gli elementi storici servirebbero per introdurre l’argomento ai quali si riferiscono e dovrebbero essere quindi inseriti all’inizio della trattazione; potrebbero essere proposti, in ordine cronologico, tutti i riferimenti storici disponibili (compatibili con il livello del discente). Tale modo di operare, che possiamo indicare come uso a priori della storia nella trasmissione del sapere matematico, porrebbe dunque l’accento su di una supposta valenza introduttiva degli elementi storici; e tale supposizione si basa su di una posizione epistemologica tutt’altro che trascurabile. Ma essa non è l’unica possibile per interpretare e caratterizzare il ruolo della storia nella trasmissione della conoscenza matematica. L’uso a priori della storia nella trasmissione del sapere matematico si collega con una questione didatticamente non banale: l’introduzione di un concetto deve sempre seguire l’evoluzione storica? Percorsi storici ordinati non cronologicamente sono spesso adottati nella pratica tradizionale: ad esempio, l’analisi matematica viene in generale presentata secondo una sequenza che non riflette l’evoluzione storica; anzi, per molti versi, l’analisi viene proposta storicamente “a ritroso” ( Naturalmente neppure un’impostazione cronologicamente “a ritroso” può essere considerata alla stregua di una regola fissa: in alcuni casi i riferimenti storici stessi 14 Il problema epistemologico non riguarda solo l’ordine degli elementi storici, ma la loro interpretazione: si tratta cioè di stabilire se l’accostamento alla storia debba anticipare o seguire la presentazione di un concetto nella sistemazione moderna. Un uso a posteriori della storia nella trasmissione del sapere matematico può prevedere che il ruolo degli elementi storici si colleghi (anche) all’approfondimento e al chiarimento degli argomenti trattati. Una nota è essenziale: qualsiasi siano le modalità dell’impiego della storia, è indispensabile mantenere un rigoroso atteggiamento su alcune questioni metodologiche. In particolare, come in parte anticipato, ogni richiamo storico deve essere adeguatamente contestualizzato, cioè presentato con riferimento al periodo in esame: l’evoluzione del savoir savant non può essere concepita assolutamente, ma deve essere riferita all’evoluzione delle. istituzioni culturali: usi acritici o strumentali della storia della matematica sarebbero sostanzialmente scorrette. possono infatti suggerire una ben precisa sequenza). Esempio Le equazioni lineari (1° parte, Classe prima) Introduzione: Il gioco del Mago “Pensa a un numero tra 1 e 10, moltiplica per tre e somma 5 al numero che hai ottenuto. Che numero hai ottenuto? Bene, il numero che hai ottenuto è…! Come ho fatto ad indovinare? Sareste capaci di farlo anche voi?” ( equazioni e funzioni composte, soluzione come immagine della funzione inversa ) Introduzione: Il problema del mattone “Su di una bilancia a due piatti in equilibrio vediamo, su un piatto un mattone e un peso da mezzo chilo e sull’altro un peso da un chilo e mezzo mattone. Quanto pesa un mattone? ( principi di equivalenza ) Breve excursus storico sulle equazioni di primo grado Sia nelle tavolette degli antichi babilonesi che nei papiri dell’antico Egitto è possibile trovare degli esempi di equazioni di primo grado che venivano fuori dalla necessità di risolvere dei problemi legati alla realtà. Proprio nel Papiro di Rhind, un papiro che prende il nome dall’antiquario scozzese Alexander Henry Rhind (1833 – 1863) che lo acquistò nel 1858 nella città di Luxor sul Nilo e che si trova oggi conservato presso il British Museum di Londra, è possibile trovare metodi di risoluzione di equazioni di primo grado. In esso sono proposti alcuni problemi come “una quantità sommata con la sua metà diventa 16” che non vengono risolti mediante il classico formalismo che noi utilizzeremmo di fronte ad un tale problema, ma col metodo, allora noto, della “falsa posizione”. In base a tale metodo, non si indica col simbolo x il valore incognito, ma si parte da un valore particolare e, applicando delle opportune operazioni su di esso, si cerca di pervenire al risultato richiesto. A titolo d’esempio si riporta la soluzione proposta sul Papiro di Rhind al problema sopra citato: 1 “Conta con 2. Allora 1 + di 2 è 3. Quante volte 3 deve essere moltiplicato per dare 16, lo stesso numero di volte 2 1 1 deve essere moltiplicato per dare il numero esatto. Allora dividi 16 con 3. Fa 5 + . Ora moltiplica 5 + per 2. Fa 3 3 2 2 1 10 + . Hai fatto come occorre: la quantità è 10 + , la sua metà è 5 + , la loro somma è 16”. 3 3 3 15 16 Dopo aver presentato i tre metodi risolutivi: aritmetico, geometrico, algebrico, vengono discussi i vantaggi e gli svantaggi di ciascuno. Alla difficoltà di comprensione del “come” e del “perché” del metodo aritmetico si contrappone la chiarezza, su questi punti, degli altri metodi. Ciò che differenzia il metodo algebrico da quello geometrico è la facilità di generalizzazione. In questo modo viene introdotto il concetto cartesiano di un metodo universale per risolvere problemi. Anche i matematici greci si sono imbattuti nella risoluzione di equazioni di primo grado affrontandole da un punto di vista geometrico. Infatti, Euclide (365 – 300 a. C.) nei suoi Elementi risolve le equazioni ax=b ricercando la misura del secondo lato di un rettangolo avente un lato lungo a e area pari a b. Sarà Diofanto, matematico greco vissuto nel III secolo d.C., ad introdurre per primo il simbolo ξ per indicare l’incognita dando ad esso il nome di aritmos (= numero incognito). In questo modo si assiste al tramonto della fase retorica dell’algebra, in cui si utilizzava solo il linguaggio naturale e nessun simbolo. Importante è stato il contributo apportato da Leonardo Pisano (1170 – 1250), detto Fibonacci che s’inserisce nel processo di passaggio dal linguaggio naturale alla traduzione simbolica di un problema. Egli adopera il metodo geometrico utilizzato da Euclide e, nel suo Liber Abaci (1202), impiega le lettere per indicare i dati e le incognite di un problema. In questo modo si assiste alla nascita della fase sincopata dell’algebra che si avvale sempre del linguaggio naturale, ma adopera anche delle abbreviazioni per le incognite. Con il matematico francese François Viète (1540 – 1603) si assiste al passaggio dalla fase sincopata alla fase simbolica. Egli introdusse la notazione simbolica nel suo In artem analyticam isagogé, pubblicato nel 1591, dimostrandone l’utilità. 16 Il papiro di Ahmes (pag. 516 L. 1) L’algebra sincopata (pag.445 L. 1) Definizione di identità e di equazione Condizione di esistenza Principi di equivalenza e le loro conseguenze Risoluzione di equazioni lineari in una incognita numeriche intere Problemi con le equazioni di primo grado: metodo risolutivo generale L’obiettivo di questo punto è quello di presentare agli studenti una possibile “struttura” in grado di guidarli nella risoluzione dei problemi.(Cartesio, Polya La struttura a cui mi riferisco all’inizio può essere rappresentata come nella precedente figura. Il triangolo (la concezione di questo triangolo è dovuta a Cartesio) rappresenta un percorso ideale che ha il suo inizio e la sua fine nel vertice sinistro della base. Ciò che è associato ad ogni vertice è l’obiettivo di una ben determinata fase di ragionamento e il punto di partenza di un altra: 1. 2. 3. Fase 1: Analisi (cercare, tradurre, scegliere) a. Leggere attentamente il testo b. Individuare la richiesta c. Fare un disegno che rappresenti il problema (non sempre necessario) d. Redigere una legenda e. Scrivere i dati (i dati sono valori attribuiti a grandezze) f. Tradurre le condizioni esplicite (le condizioni sono relazioni fra grandezze) g. Cercare e scrivere eventuali condizioni nascoste probabilmente utili h. Scegliere l’incognita i. Scegliere la condizione “sorgente” j. Trasformare la condizione sorgente in una equazione numerica Fase 2: Calcolo (applicare regole matematiche) a. Risolvere l’equazione Fase 3: Verifica (controllare, discutere, rispondere) a. Utilizzare la soluzione dell’equazione per dare una risposta al problema (in alcuni casi è necessario fare ulteriori calcoli) b. Discutere eventuali incompatibilità c. Ricontrollare i calcoli 17 Non è casuale che la fase di analisi si trovi a sinistra che è la “parte” della creatività e “in salita”, perché è più difficile della fase di calcolo che si trova appunto in “discesa”e nella parte destra che è la “parte” raziocinante. e inoltre, a differenza della fase 1, la fase 2 è eseguibile da un computer. Ciò che bisogna “fare” inizialmente nella fase 1 è “semplicemente osservare” il problema da ogni possibile punto di vista in modo tale che la ricerca della risposta sia successivamente più semplice. E’ importante presentare agli studenti vari tipi di problemi non standard che abbiamo una o più delle seguenti caratteristiche: 1. 2. 3. 4. 5. 6. la richiesta non coincide con l’incognita le condizioni esplicite non sono tutte necessarie le condizioni esplicite non sono sufficienti la richiesta non sia facilmente riconducibile a grandezze non esiste risposta perché il valore proposto dal modello non è accettabile non esiste risposta perché il modello non produce valori Problemi di Fisica: Il ciclista e la mosca Problemi O.C.S.E. Andatura Triangoli Fattorie Problemi reali: Il pastore Multisala Al cinema multisala vengono venduti ,di sabato, 1865 biglietti con un incasso di 13972,70euro. Sapendo che il sabato il costo del biglietto è 5,90 euro per i ridotti e 8,50 euro per gli interi, calcolare il numero dei biglietti ridotti venduti. Soluzione: (Fase di analisi) Legenda: I = incasso N = numero di biglietti venduti Pr = prezzo biglietto ridotto Pi = prezzo biglietto intero Nr = numero biglietti ridotti venduti Ni = numero biglietti interi venduti Dati: 1. I=13972,70euro 2. N=1865 3. Pr=5,90euro 4. Pi=8,50euro Condizioni: 5. Nr+Ni=N 6. Pr Nr+Pi Ni=I Richiesta: 7. Nr Incognita: 8. Nr=x Costruzione dell’equazione: Pr Nr+Pi Ni=I (Condizione sorgente) 5,90 x+8,50 Ni=13972,70 (per 1,3,4,8) 5,90 x+8,50 (N-Nr)=13972,70 (per 5) 18 5,90 x+8,50 (1865-x)=13972,70 (per 2, 8) (Fase di calcolo) X=723 (Fase di verifica,discussione,risposta) Il risultato è accettabile e quindi i biglietti ridotti venduti sono stati 723. Il fruttivendolo Problemi di geometria: Pag. 552 n285 Pag. 551 n274 Pag. 553 n299 (con dimostrazione) Matematica per il cittadino: Laboratorio di informatica: Le equazioni lineari con Excel (pag. 528 L. 1) Compito Conclusioni: Non esiste un metodo generale ottimale per insegnare la Matematica. Occorrono delle scelte, che siano ispirate da principi e fini chiari e definiti. Occorre stabilire delle priorità. Che senso ha insegnare a risolvere problemi se gli studenti non sanno nemmeno sommare due frazioni? A cosa serve insegnare le frazioni se gli studenti non sanno fare un qualsiasi elementare ragionamento? In questo lavoro ho voluto presentare dei fini e dei principi diversi da quelli che generalmente vengono perseguiti nelle nostre scuole ma in cui credo fermamente. Resta da verificare l’efficacia del metodo, per altro, tutt’altro che vicino alla sua completa definizione. Molte domande restano aperte: qual è il metodo “migliore” per usare la storia nella matematica? Quali sono i fatti storici didatticamente interessanti? Quali sono i problemi “reali” che possono essere proposti agli studenti? Quali sono i contenuti matematici minimi, veramente “necessari”, da insegnare nel biennio? In quale ordine questi contenuti vanno organizzati? 19 Bibliografia Bruner J.S.: Il conoscere. Saggi per la mano sinistra. Bottazzini, U.; Freguglia, P. & Toti Rigatelli, L. (1992), Fonti per la storia della matematica.Sansoni, Firenze. Bourbaki, N. (1963), Elementi di storia della matematica.- Feltrinelli, D'Amore, B. (1999). Elementi di didattica della matematica.- Bologna: Pitagora. D’Amore B.: Problemi. Pedagogia e psicologia della matematica nell’attività di problem solving – Franco Angeli, D'Amore, B. & Frabboni, F. (1996). Didattica generale e didattiche disciplinari. Milano.- Angeli. Frajese, A. (1950), Storia della matematica ed insegnamento medio, Bollettino dell’Unione Matematica Italiana, III, 337 342. Furinghetti, F. & Somaglia, A. (1997), Storia della matematica in classe, L’educazione matematica, XVIII, V, 2, 1. Furinghetti, F. (1993), Insegnare matematica in una prospettiva storica, L’educazione matematica, III, IV, 123-134. Furinghetti, F. 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