Altro che - Fumo di China
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Altro che - Fumo di China
auitori Altro che shojo! di Gianluca Grisolia Rumiko Takahashi e i suoi manga “per tutti” è 16 difficile offrire un quadro generale su Rumiko Takahashi senza apparire almeno un po’ di parte. Per tutti coloro che hanno iniziato ad avvicinarsi, sia con cognizione critica che in maniera del tutto casuale, al mondo dell’animazione giapponese nel boom degli anni Novanta, è stato inevitabile confrontarsi con il vasto immaginario legato alla “principessa dei manga”. Formatasi nella scuola di fumetto dell’autore di Crying Freeman e Lone Wolf and Cub, Kazuo Koike, l’autrice di Niigata è stata prolifica fin dalla metà degli anni Settanta. Oltre a una serie di racconti brevi, alcuni dei quali vengono considerati rozzi prototipi dei suoi successivi cavalli di battaglia, già alla fine di quel decennio si affacciava in patria la sua prima creazione di successo. Un manga umoristico, a episodi perlopiù autoconclusivi, che proponeva una galleria di personaggi strampalati e una componente fantascientifica classica e demenziale insieme. Il titolo, Urusei Yatsura, suggeriva un gioco di parole intraducibile tra l’aggettivo “urusai” (rumoroso), e la sua variante in “sei” (stella, pianeta). E già in questo divertissement si intuiva il gusto per il gioco linguistico e l’amore per l’ambiguità da parte della giovane fumettista. Da noi però, piuttosto che tentare un adattamento comunque insoddisfacente, si è optato per un più immediato Lamù (che poi è il nome italiano della protagonista). Alla pubblicazione del manga è seguita poi una trasposizione animata dal successo mondiale. Le vicende di questa aliena coi cornetti, frivola, lunatica e perennemente in un accattivante intimo tigrato, fornì al panorama dell’animazione di quegli anni una buona dose Sopra il titolo, Rumiko Takahashi; in alto, una sua caricatura circondata dai suoi personaggi in versione superdeformed; a lato, la pudica e tormentata Kyoko di Maison Ikkoku; sotto, nuova creatura della Principessa del manga: Rinne di sensualità, stemperata tuttavia da toni grotteschi ed esilaranti. Le storie, poi, avevano l’indubbio pregio di fruire di una godibilità universale pur mantenendosi fortemente ancorate alla tradizione e alle leggende nazionali, privilegio che spesso le serie di successo dovevano (e tuttora devono) sacrificare a scapito di una perdita di identità culturale. Il nome di Rumiko Takahashi divenne ancora più celebre nel mondo dell’intrattenimento nipponico, soprattutto per un non trascurabile dettaglio che si sarebbe consolidato come tratto distintivo dell’autrice nei lustri seguenti: per la prima volta, un manga/anime nato dalla penna di una donna aveva raccolto un enorme consenso non solo da parte del pubblico delle ragazze ma da un target assai più vasto. Fino a quel momento, quand’anche c’erano state opere famose di mangaka del gentil sesso, si era sempre trattato perlopiù di shojo manga, legati agli stilemi del loro genere di appartenenza. Con Lamù, invece, tali confini furono finalmente valicati in maniera sensibile. Dopo Urusei Yatsura Takahashi si dedicò a quello che si può considerare, oltre che il suo capolavoro, uno dei più bei racconti di sempre mai prodotti tra le pagine auitori di una rivista a fumetti. In questo caso l’adattamento del titolo fu più fedele allo spirito dell’originale e mantenne il vero nome dell’opera aggiungendo solo un sottotitolo. Risultato: Maison Ikkoku – Cara dolce Kyoko. La sua serializzazione iniziò nel 1980 (due anni dopo l’inizio di Lamù) per concludersi nel 1987. Il rischio che questa commedia romantica sconfessasse il binomio “Takahashi – shonen manga” (o ancor meglio: “Takahashi – manga per tutti”) era reale. Per quanto presentasse momenti divertenti, i suoi toni ricordavano molto l’idillio amoroso di una classica storia al femminile. Tuttavia, fin dai primi episodi, il pericolo apparve fittizio. Lo stile di disegno, le scelte grafiche, i temi trattati e tutto ciò che faceva parte dell’ormai consolidato universo takahashiano rendevano il nuovo lavoro ancor più realistico ed emozionante di quanto avesse fatto fino ad allora un’autrice shojo tout court. E quando diversi anni dopo fu trasposta in animazione, la serie ebbe il merito di restituire un prodotto addirittura migliore, più adulto e lirico nello stesso tempo, superando la già alta qualità della storia pubblicata su carta. Il successo definitivo, però, arrivò con la sua creazione successiva: Ranma ½. Le bizzarre avventure di questo ragazzo che, a contatto con l’acqua fredda o calda, diventa rispettivamente femmina o maschio, ha divertito e scandalizzato allo stesso tempo. Oltre che per i soliti quesiti etici del nostrano Moige, l’anime in questione (tratto dal longevo e apprezzatissimo manga omonimo del 1987) spiazzò il pubblico per i suoi ammiccamenti sessuali nonché per le imbarazzanti ambiguità sentimentali che la doppiezza del protagonista comportava nelle sue relazioni con amici e nemici. Come prevedibile, Ranma ½ è stato anche largamente strumentalizzato dai detrattori dell’animazione giapponese, assieme ad altre serie più o meno coeve, e additato come esempio di depravazione e decadenza morale veicolate dalla nuova ondata di cartoni animati del Sol Levante. Dal 1996 al 2008 invece viene serializzata la sua creazione a oggi più longeva: Inuyasha. La storia è quella di un mezzo demone dell’epoca feudale che, affiancato da una ragazza del Giappone contemporaneo e da una combriccola di guerrieri assortiti, inizia una crociata contro A sinistra, l’autrice che supera la sua proverbiale timidezza rivolgendosi al pubblico; a destra,un’immagine promozionale di Urusei Yatsura (in Italia, Lamù); sotto, i protagonisti della Saga della sirena, forse il lavoro più adulto dell’autrice un nemico potentissimo. La saga mescola i toni cupi dell’ambientazione demoniaca ai soliti momenti leggeri, puntando però assai più che in passato su una trama di lungo respiro e combattimenti avvincenti. Anche qui i riferimenti alle creature leggendarie del Giappone antico diventano costanti, e il sapore tradizionale diventa il vero fulcro dell’intera epopea. Tuttavia occorre ricordare che la prolifica autrice ha dato vita a un pantheon di personaggi assai più vasto di quello noto al pubblico prevalentemente televisivo. Fra le sue miniserie meno conosciute ci sono dei capolavori assoluti, come lo sportivo e romantico One Pound Gospel, l’horror vietato ai minori La saga della sirena, nonché un numero notevole di storie autoconclusive dal tono più intimo e quotidiano, raccolte in volumi prestigiosi nel corso degli anni. Storie che, anche quando non hanno goduto di trasposizioni animate, hanno rappresentato senza dubbio la facciata più autoriale della sua opera. Facendo una panoramica veloce di questa immensa produzione, soprattutto per ciò che concerne i lavori principali, sembra impossibile non notare come la principessa del manga sia affetta in qualche modo da quella che potremmo definire bonariamente la “sindrome del mezzo”. Oltre ad aver infatti inserito questo sinonimo di incompletezza nel titolo del suo lavoro più amato (il già citato Ranma ½), Takahashi tende sempre a prediligere protagonisti caratterizzati da una dualità di fondo: il genere sessuale per Ranma ½; la natura umana e demoniaca per Inuyasha o La saga della sirena; la parvenza aliena dal sapore fin troppo umano di Lamù; persino il dramma emotivo fra vedovanza e nubilato di Kyoko Otonashi. E così via. Anche la sua ultima fatica, approdata di recente in Italia grazie a Star Comics, prende il titolo da un personaggio metà umano e metà shinigami (ovvero dio della morte): Rinne. Il manga, ben lontano dai toni epici del precedente Inuyasha, riprende i toni più scanzonati dei lavori precedenti, pur non avendo ottenuto il successo sperato. Segno che forse quelli che sono stati i punti di forza della scrittrice sono diventati, a lungo andare, il suo invisibile filo spinato. L’auspicio è che un talento così poliedrico e originale come quello di Takahashi possa trovare nuove strade e altre ossessioni da affrontare e sviscerare, per poter così innovare sia il proprio immaginario che quello ormai stantio della serialità giapponese degli ultimi anni. Rumiko e il mezzo animato O ltre ai cartoni animati famosi di cui si parla nell’articolo, numerose altre opere a fumetti di Rumiko Takahashi hanno goduto di una trasposizione animata nel corso di questi ultimi trent’anni. Forse è il caso di tracciare almeno una parziale filmografia minore. La fonte di ispirazione principale è la raccolta Rumic World, che comprende in senso lato anche le antologie di racconti autoconclusivi degli ultimi anni. Il primo esperimento apprezzabile fu Fire Tripper del 1986, in cui la principessa del manga si cimentava con viaggi e paradossi temporali. Dello stesso anno è il film The Supergirl, di tono assai meno cupo ma in generale anche meno interessante. Nel 2003 viene trasmessa in patria addirittura una serie in 13 episodi dal titolo Rumic World, che raccoglie storie più leggere e di stampo quotidiano. Ci sono poi gli anime della bellissima e in- quietante Saga della sirena, che ha goduto sia di lungometraggi animati che, più di recente, di una serie in 13 episodi. Esiste poi un Oav del 1989 del gustoso One Pound Gospel, del quale nel 2008 è stata realizzata addirittura una serie con attori in carne e ossa. È innegabile tuttavia che la produzione di speciali televisivi e cinematografici partoriti dalle opere di Takahashi sia legata perlopiù all’universo dei suoi anime più longevi. Eccetto Maison Ikkoku (che vanta “solo” una manciata di Oav, un film animato e ben due live action), a fare la parte del leone sono senza dubbio Urusei Yatsura, Ranma ½ e Inuyasha, che tra lungometraggi e Oav possono annoverare un bel numero di ore animate extra serie. Ed è verosimile pensare che se anche l’anime di Rinne avrà successo, originerà a sua volta vari episodi e produzioni speciali. Ma forse è ancora presto per esprimersi: date le premesse deludenti del manga, un pizzico di sana scaramanzia non guasta. 17
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