introduzione - Università degli Studi di Ferrara
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Università degli Studi di Ferrara DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE BIOMEDICHE CICLO XXIV COORDINATORE Prof. Capitani Silvano VAV1 NEL DIFFERENZIAMENTO MONOCITO/MACROFAGICO DI PRECURSORI MIELOIDI TUMORALI Settore Scientifico Disciplinare BIO/16 Dottorando Dott. Nika Ervin Tutore Prof.ssa Bertagnolo Valeria ________________________ _________________________ (firma) (firma) Anni 2009/2011 INDICE Pag. 1 INTRODUZIONE Leucemia Mieloide Acuta (AML) 1 Epidemiologia 3 Classificazione 3 Alterazioni molecolari e patogenesi dell’AML 5 Trattamento della AML 7 Trattamento della AML con agenti differenzianti 9 − ATRA e ATO in AML-M3 11 − ATRA in AML-non M3 12 − Esteri del forbolo nel differenziamento di cellule AML-derivate 13 L’antigene di superficie CD11b come marcatore di differenziamento mieloide 14 − Espressione e aspetti prognostici del CD11b nelle AML 14 − Il fattore di trascrizione PU.1 nell’espressione di CD11b 15 Alterazioni della trasduzione del segnale nella APL 17 18 La famiglia proteica Vav − Funzioni della proteina Vav1: attività GEF 20 − Funzioni di Vav1 diverse dall’attività GEF 21 Ruolo di Vav1 nelle cellule mieloidi mature 23 − Ruolo di Vav1 nelle cellule linfoidi 24 − Ruolo di Vav1 nei granulociti neutrofili 24 − Ruolo di Vav1 nei monocito-macrofagi 25 Ruolo di Vav1 nel differenziamento di precursori mieloidi tumorali − Vav1 promuove la maturazione neutrofilica di cellule APL-derivate 26 26 − Vav1 regola il citoscheletro/nucleoscheletro actinico nel corso del trattamento con ATRA di cellule APL-derivate 27 − Vav1nella modulazione dell’espressione proteica 29 OBIETTIVO 32 I MATERIALI E METODI 33 Modello sperimentale 33 Induzione e valutazione del differenziamento monocito-macrofagico 33 − Valutazione dell’adesione cellulare 34 − Valutazione della morfologia cellulare mediante 34 microscopia a contrasto di fase − Valutazione dell’espressione dell’antigene di superficie CD11b 35 Modulazione negativa dell’espressione di proteine 35 Immunoprecipitazione di proteine a analisi immunochimica 36 Analisi immunocitochimica 38 Analisi dell’actina filamentosa e della colocalizzazione tra F-actina e Vav1 39 Quantificazione dell’actina filamentosa mediante citometria a flusso 39 Saggio di mobilità elettroforetica (EMSA) 40 Analisi statistiche 41 RISULTATI 42 Vav1 è coinvolto nel differenziamento in senso monocito/macrofagioco di linee cellulari AML-derivate di tipo M2 42 Vav1 è una molecola cruciale per il differenziamento fenotipico in senso monocito/macrofagico di linee cellulari APL-derivate Vav1 regola la morfologia cellulare e nucleare di cellule NB4 trattate con PMA modulandone il citoscheletro actinico 58 PU.1 regola l’espressione di Vav1 durante il differenziamento monocito/macrofagico indotto da PMA in cellule AML-derivate 49 65 Vav1 e PU.1 nella regolazione dell’espressione di CD11b durante il differenziamento monocito/macrofagico di precursori mieloidi tumorali 66 CONCLUSIONI 71 BIBLIOGRAFIA 74 II Introduzione INTRODUZIONE La leucemia è il risultato di alterazioni dei processi di produzione e maturazione delle cellule emopoietiche, che frequentemente rimangono in uno stato più o meno immaturo, senza raggiungere né la morfologia né la funzione delle cellule normali e la cui progenie costituisce il clone leucemico. Le leucemie possono essere suddivise in due grandi gruppi in relazione al tipo di cellule interessate alla trasformazione tumorale: leucemie mieloidi, che colpiscono globuli rossi, leucociti e piastrine e leucemie linfoidi, che coinvolgono cellule localizzate nei linfonodi e nella milza (linfociti e plasmacellule). Dal punto di vista clinico, si possono distinguere leucemie acute e leucemie croniche, che differiscono per il decorso della patologia. In particolare, le leucemie acute sono caratterizzate da rapida progressione, per la presenza di cellule bloccate ad uno stadio precoce di maturazione e che per tale motivo non possono assolvere alle loro normali funzioni. Le leucemie croniche presentano invece un decorso lento e sono caratterizzate dal progressivo accumularsi nel midollo osseo e nel sangue periferico di cellule relativamente mature, in parte ancora funzionanti (Castoldi et al., 2001). In base al tipo di cellule coinvolte nel processo tumorale ed al decorso della malattia, le leucemie vengono classificate in Leucemia Linfatica Acuta (ALL, incidenza in Italia del 10%), Leucemia Linfatica Cronica (CLL, incidenza in Italia del 30%), Leucemia Mieloide Cronica (CML, incidenza in Italia del 25%), Leucemia Mieloide Acuta (AML, incidenza in Italia del 30%) e Leucemia a cellule “hairy” (incidenza in Italia del 5%) (Fonte AIRT, Associazione Italiana Registro Tumori, Epidemiologia e Prevenzione, rapporto 2006). La Leucemia Mieloide Acuta (AML) La AML origina dalla mutazione di una cellula staminale emopoietica della linea mieloide, che porta ad alterati proliferazione e differenziamento della stessa e delle linee cellulari mieloidi (granulocitaria e monocitaria), eritroide e megacariocitaria derivanti (Figura 1). Il quadro clinico dell’AML dipende essenzialmente all'invasione del midollo da parte del clone neoplastico ed alla conseguente alterata produzione delle cellule emopoietiche normali: il paziente affetto da leucemia sviluppa dunque anemia (per insufficiente produzione di globuli rossi), infezioni frequenti e gravi (per ridotta produzione di linfociti) ed emorragie (per ridotta produzione di piastrine). Poiché le cellule leucemiche circolano attraverso il sangue ed il sistema 1 Introduzione linfatico, possono infiltrare organi essenziali per la sopravvivenza come polmoni, reni e fegato, il cui funzionamento viene compromesso. Se non trattata, l’AML porta alla morte in un lasso di tempo che va da poche settimane ad alcuni mesi dall’esordio della malattia (Castoldi e Liso, 2001; Joshua et al., 2009). Figura 1. Schema riassuntivo della maturazione delle cellule ematopoietiche lungo le diverse filiere. Epidemiologia La leucemia mieloide acuta rappresenta il 30% di tutte le leucemie dell'adulto ed ogni anno in Europa ne vengono diagnosticati circa 18.300 nuovi casi, che rappresentano circa lo 0,6% di tutti i tumori. Sebbene la AML sia, in assoluto, meno frequente della leucemia linfatica cronica, la più diffusa leucemia negli adulti, risulta essere cinque volte più frequente al di sopra dei 50 anni di età (Parkin et al., 2002). Il rischio di avere una diagnosi di AML nel corso della vita (fra 0 e 74 anni) è di 2,5‰ per i maschi (1 caso ogni 398 uomini) e di 1,7‰ per le femmine (1 caso ogni 578 donne), con un’incidenza in crescita nel sesso maschile. La mortalità è stimata, complessivamente, in circa 4-6 casi/100.000/anno (Fey and Dreyling, 2009). A tutt’oggi, le cause che determinano l’insorgere della leucemia mieloide acuta non sono del tutto conosciute, dal momento che vari fattori, di natura genetica ed ambientale, concorrono allo sviluppo di tale patologia. Alcune rare sindromi ereditarie (Sindrome di Down, Sindrome di 2 Introduzione Bloom, Sindrome di Klinefelter, anemia di Fancioni, neurofibromatosi congenita ecc.) sono associate ad un’alta incidenza di AML. Una più elevata frequenza di sviluppo di AML in gemelli omozigoti ed in alcune famiglie, cosiddette ad “alto rischio”, fanno ritenere che esista una predisposizione genetica per questo tipo di leucemia (Castoldi e Liso, 2001). Classificazione Le AML possono essere suddivise in due grandi gruppi: - AML primarie o de novo, se insorte come prima malattia in pazienti che non presentano anamnesi di esposizione a fattori di rischio (Löwenberg et al., 1999); - AML secondarie, quando insorgono in pazienti con un’esposizione pregressa a determinati agenti cancerogeni o con precedenti emopatie congenite (es. neutropenia severa congenita), ereditarie (es. Sindrome di Bloom, Anemia di Fancioni) o acquisite, come nel caso delle sindromi mielodisplastiche (si parla di AML secondaria quando vi è una storia di mielodisplasia da almeno tre mesi) (Löwenberg et al., 1999). Le forme secondarie di AML sono più aggressive e meno sensibili alle terapie delle forme primarie. Poichè la trasformazione neoplastica può avvenire a diversi livelli lungo il percorso differenziativo (Bonnet and Dick, 1997), diversi tipi di leucemia mieloide acuta sono stati identificati. La classificazione universalmente accettata è quella sviluppata dal Gruppo FrancoAmericano-Britannico (FAB) che suddivide le AML in 8 sottotipi in base alla cellula di origine ed al livello di maturazione raggiunta dalle cellule leucemiche stesse, utilizzando criteri morfologici, citochimici ed immunofenotipici (Figura 2). In particolare, le AML vengono così suddivise: M0 o AML indifferenziata, che presenta un’incidenza del 3% ed i blasti leucemici non mostrano segni di differenziamento. Da un punto di vista fenotipico, la AML-M0, tende ad esprimere gli antigeni mieloidi associati alle fasi più precoci della maturazione. M1 o AML mieloblastica, con differenziazoine minima, che costituisce circa il 15-20% dei casi di AML. Per quanto riguarda l’aspetto fenotipico, l’AML-M1 non presenta rilevanti differenze con la forma AML-M0 e tende a riprodurne le caratteristiche. M2 o AML mieloblastica, con differenziazione, che rappresenta circa il 25-30% di tutte le leucemie mieloidi acute ed i blasti leucemici presentano alcuni segni di maturazione. Questa forma è spesso associata ad una traslocazione tra il cromosoma 8 e il cromosoma 21 (t(8;21)) che risulta nella fusione di parte del gene AML1/RUNX1 con il gene ETO/MTG8 generando la proteina di fusione AML1-ETO (Peterson and Zhang, 2004). Da un punto di vista più strettamente fenotipico, i blasti della AML-M2 tendono ad esprimere gli antigeni associati alla 3 Introduzione serie mieloide, quali CD13, CD15 e CD33, nonché gli antigeni CD34 e CD117. La forma con traslocazione t(8;21) presenta alcune particolari caratteristiche fenotipiche, tra cui un’intensa positività per CD34, una debole ma frequentissima espressione di CD19 ed una forte espressione di CD56. M3 o Leucemia Promielocitica Acuta (APL), che presenta un’incidenza del 10-15%. L’APL è caratterizzata dalla proliferazione di cellule ipergranulate, bloccate allo stato di promielocita. La diagnosi di leucemia AML-M3 si basa, in più del 90 % dei casi, sul riscontro della traslocazione cromosomica t(15;17)(q22;q21), responsabile della formazione della chimera PML/RARα, che coinvolge la proteina della leucemia promielocitica (PML) ed il recettore-α dell’acido retinoico (RARα) (Wang and Chen, 2008). Le cellule della APL esprimono con elevata frequenza una serie di antigeni associati alla linea mieloide, quali CD13, CD33, CD64 e, in modo più irregolare, CD11b, CD14, CD117. Nella AML-M3 è inoltre spesso rilevabile la presenza di sottopopolazioni di cellule CD34+. La M4 o AML mielomonocitica, con maturazione granulocitaria e monocitaria, presenta un’incidenza del 20% ed è caratterizzata dalla presenza di una componente granulocitaria a vari stadi di differenziamento, che vanno dal promielocita al granulocita, ed una componente monocitaria con un livello maturativo che va dallo stadio di monoblasto a quello di monocito. Le cellule leucemiche di tipo M4 tendono ad esprimere antigeni della linea monocitaria, con particolare preferenza per CD11b, CD11c, CD33, CD64, CD87 e CD116. M5 o AML monoblastica (M5a) o monocitica (M5b), presenta un’incidenza del 10% ed è caratterizzata da cellule con diversi livelli di maturazione lungo la filiera monocitaria (monoblasti, promielociti e monociti). Le cellule della AML-M5 esprimono una serie di antigeni mieloidi, con una particolare predilezione per quelli connessi alla differenziazione monocitaria, come CD11b, CD11c, CD33, CD64, CD87 e CD116. A differenza della forma più immatura (M5a), che tende a essere negativa per CD14, la forma matura M5b mostra una maggiore positività per tale antigene. La forma M6 o AML eritrocitica, o eritroleucemia acuta, presenta un’incidenza del 5% ed è caratterizzata dalla contemporanea presenza di blasti mieloidi ed eritroblasti abnormi nel midollo osseo. L’analisi citofluorimetrica della AML-M6 è utile in quanto non solo è in grado di esplorare il fenotipo dei blasti leucemici, ma permette la documentazione dell’anomala espansione del comparto eritroide, costituito da cellule negative per CD45, mieloperossidasi e antigeni mieloidi, e particolarmente positive per CD71 e CD105. Per contro, i blasti AML-M6 esprimono un fenotipo generalmente indistinguibile da quello degli altri sottotipi. 4 Introduzione M7 o AML megacarioblastica, è una forma di rara osservazione, relativamente frequente nei soggetti affetti da sindrome di Down. Le cellule leucemiche assomigliano a megacariociti immaturi, caratterizzati dall’espressione di antigeni associati alla linea megacariocitaria, quali CD41, CD61, CD42a e CD42b (Ortolani, 2002). Figura 2. Classificazione delle AML secondo il Gruppo Franco-Americano-Britannico (FAB). Nel 2001, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO, World Health Organization), integrando parametri morfologici, immunofenotipici, genetici e clinici, ha aggiunto una nuova classificazione delle AML, riconoscendo 4 principali categorie: AML con anomalie genetiche ricorrenti, AML con displasia multilineare, AML con sindromi mielodisplastiche secondarie a chemioterapia ed AML non altrimenti classificabili (Harris et al., 1997). Modifiche successive della classificazione WHO hanno permesso di introdurre nuovi sottotipi morfologici e di creare categorie definite da alterazioni sia citogenetiche che molecolari (Jaffe et al., 2001; Vardiman et al., 2008). Alterazioni molecolari e patogenesi dell’AML L’origine clonale della AML è stata dimostrata mediante studi di citogenetica che hanno rilevato anomalie cromosomiche, quali traslocazioni, inversioni e mutazioni puntiformi, caratteristiche di particolari popolazioni cellulari ed utilizzabili, a loro volta, come marcatori clonali. Tali alterazioni coinvolgono generalmente geni che codificano per fattori di trascrizione o per molecole coinvolte nella trasduzione del segnale intracellulare. La trasformazione 5 Introduzione leucemica risulta spesso dovuta alla generazione di proteine di fusione che interferiscono con la funzione fisiologica delle proteine native determinando un’alterazione dei meccanismi molecolari responsabili della proliferazione e del differenziamento mieloide. Le alterazioni geniche, interferendo nelle funzioni di proteine direttamente coinvolte nei processi di proliferazione e differenziamento cellulare, sono pertanto responsabili della acquisizione di caratteristiche neoplastiche (Löwenberg et al., 1999).. Da quanto sopra riportato, emerge che le cause dell’insorgenza dell’AML sono da ricercare principalmente nei fattori in grado di causare un danno a livello del DNA delle cellule emopoietiche. Tra i fattori di rischio per lo sviluppo di AML si annoverano precedenti malattie ematologiche, come sindromi mielodisplastiche o mieloproliferative (Catenacci and Schiller, 2005), trattamenti chemioterapici antitumorali, in particolare agenti alchilanti, epipodofillotossine e antraciclinici (Kimby et al., 2001), radiazioni ionizzanti (Yoshinaga et al., 2004) ed alcune sostanze chimiche come il benzene, il suo analogo toluene e altri solventi organici aromatici, note come sostanze cancerogene in vitro (Albin et al., 2000). Per quanto riguarda una possibile origine virale della leucemia mieloide acuta, questa è stata dimostrata nei mammiferi ma non nell’uomo (Castoldi e Liso, 2001). Il profilo citogenetico delle cellule leucemiche è riconosciuto essere uno dei fattori più importanti nella diagnosi, nella terapia e nella prognosi delle diverse forme di AML. Poichè quadri citogenetici specifici per un determinato tipo di AML hanno una forte correlazione con la risposta terapeutica, l'individuazione di una particolare lesione cromosomica consente di migliorare l'approccio terapeutico a questa neoplasia (Mrózek et al., 1997). Tuttavia, proprio perché la AML comprende molteplici quadri patologici molecolari ed è una malattia eterogenea per quanto riguarda morfologia ed aberrazioni cromosomiche, in circa la metà dei casi, le anomalie genetiche che ne determinano la patogenesi devono ancora essere identificate. In base alla risposta ad una specifica terapia di induzione, al rischio di ricaduta e alla percentuale di sopravvivenza, si possono identificare tre gruppi di pazienti con AML, caratterizzati da specifiche anomalie citogenetiche. Pazienti con i difetti cromosomici t(8;21), t(15;17) e inv(16) ricadono in una categoria a basso rischio ed hanno una prognosi favorevole rispetto a pazienti che presentano una citogenetica normale. Pazienti che presentano cariotipo normale, anomalie 11q23, +8, +21, +22, del(9q), del(7q) o altri difetti cromosomici numerici o strutturali sono associati ad un rischio intermedio. Fanno parte di questo gruppo anche casi caratterizzati dalla traslocazione t(9,11), come i casi in cui si ha la perdita di interi cromosomi e più in particolare del cromosoma Y. Al contrario, i pazienti caratterizzati da una citogenetica complessa, come anomalie -5, -7, del(5q) e anomalie del 3q, traslocazione t(6;9) e l’inversione inv(3)/t(3;3), 6 Introduzione entrano a far parte della categoria a rischio elevato e presentano una prognosi peggiore se paragonati ad individui con citogenetica normale (Bryan et al., 2010). Nel corso degli ultimi dieci anni è stata identificata una serie di mutazioni nucleotidiche, non rilevabili mediante analisi citogenetiche standard, in un numero crescente di geni. Tali mutazioni sono diventate, allo stesso modo delle alterazioni citogenetiche, dei veri e propri marcatori prognostici, soprattutto in pazienti con AML che presentano un cariotipo normale. Ad oggi, le mutazioni più significative da un punto di vista prognostico sono relative a NPM1 (Nucleophosmin), CEBPA (CCAAT enhancer binding protein α) ed FLT3-ITD (FMS related tyrosin kinase 3). NPM1 è una fosfoproteina polifunzionale che si sposta tra i comparti nucleare e citoplasmatico. Nel suo stato normale è prevalentemente localizzata nel nucleo, dove è implicata nell’assemblaggio dei ribosomi e nella regolazione di ARF e di p53. Le mutazioni di NMP1 associate all’AML portano ad una localizzazione citoplasmatica della proteina e sono indice di una prognosi favorevole e di una buona risposta alla farmacoterapia (Suzuki et al., 2005). CEBPA è un fattore di trascrizione la cui funzione è cruciale per lo sviluppo ed il differenziamento dei precursori ematopoietici a granulociti. La mutazione di CEBPA associata all’AML è stata in un primo momento messa in relazione con la promozione della leuchemogenesi attraverso il blocco differenziativo dei granulociti. Recentemente, la stessa mutazione è stata correlata ad un aumento della sopravvivenza e quindi ad una prognosi favorevole dei pazienti con AML (Lin et al., 2005). FLT3 è un recettore ad attività tirosino-chinasica ancorato alla membrana plasmatica che, una volta attivato dal suo ligando, sostiene la sopravvivenza e la proliferazione dei progenitori ematopoietici. Una duplicazione in tandem interna al gene FLT3 è associata ad una prognosi molto sfavorevole ed all’aumento delle probabilità di ricaduta dei pazienti con AML (Levis and Small, 2003). Trattamento della AML I progressi nel trattamento delle leucemie mieloidi acute hanno consentito di ottenere, in generale, percentuali di remissione del 50-75% (Lin-la et al., 2011). La terapia standard delle AML consiste principalmente nella chemioterapia citotossica e nel trapianto di midollo osseo in prima remissione. L’approccio mediante chemioterapia comprende una prima fase di induzione e una seconda fase di consolidamento/mantenimento. Lo scopo della terapia di induzione è quello di raggiungere una remissione completa riducendo la quantità dei blasti leucemici ad un livello minimo (<5% di cellule leucemiche permangono nel midollo 7 Introduzione osseo), mentre quello la terapia di consolidamento consente l’eliminazione delle cellule leucemiche residue (Abeloff et al., 2004). Anche dopo remissione completa, una ridotta quantità di cellule leucemiche sopravvive, con il rischio di causare una ricaduta in pazienti che non ricevono una terapia post-remissione. Pazienti che presentano un elevato rischio di ricaduta devono essere valutati come soggetti candidati al trapianto allogenico di midollo osseo, se esiste un donatore compatibile. Un’alternativa è costituita da trapianto di cellule staminali autologhe (Abeloff et al., 2004). Terapie più recenti nel trattamento dell’AML hanno come bersaglio molecole coinvolte negli eventi implicati nella leuchemogenesi, quali la proliferazione incontrollata, la mancata capacità di differenziamento e l’impossibilità di intraprendere la via apoptotica. Una proliferazione cellulare incontrollata è spesso correlata all’attivazione dell’oncogene ras, che risulta mutato in circa il 10-40% delle AML. L’attivazione di tale oncogene richiede una modificazione post-traduzionale durante la quale alla proteina RAS inattiva si attacca una gruppo farnesilico che deriva dal farnesil pirofosfato (FPP) ad opera dell’enzima farnesiltrasferasi (FTasi). Questo evento garantisce il corretto posizionamento della proteina RAS sulla membrana cellulare, da dove è in grado di trasferire i segnali attivati dai recettori di membrana (Downward, 2003). Tale meccanismo ha suggerito come eventuale strategia terapeutica l’utilizzo di inibitori dell’enzima farnesiltrasferasi, tra cui il Tipifarnib, ed i risultati ottenuti fino ad ora dimostrano l'efficacia di questa molecola in pazienti con AML refrattaria o dopo ricaduta, anche in assenza di mutazioni sul gene ras (Armand et al., 2007; Harousseau, 2007). Inoltre, pazienti in età avanzata e/o con complesse alterazioni cromosomiche rispondono al trattamento con Tipifarnib come prima terapia senza utilizzo di chemioterapia (Stone, 2007). Anche il recettore FLT3 che, come sopra riportato, quando attivo promuove la proliferazione cellulare, costituisce un bersaglio terapeutico nella AML. Duplicazioni interne in tandem nel gene che codifica per FLT3, corrispondenti ad una sequenza di 3-100 amminoacidi nella regione transmembrana della proteina, sono infatti presenti nel 25% dei casi di AML. In circa 5-10% delle AML si possono inoltre riscontrare mutazioni puntiformi nell’ansa di attivazione di FLT3 (Gilliland and Griffin, 2002). Le mutazioni di lunghezza di FLT3 sono altamente associate a un cariotipo normale o a una traslocazione t(15;17) e determinano una prognosi molto sfavorevole. In linee leucemiche, entrambi i tipi di mutazione determinano una proliferazione cellulare indipendente dal ligando, con un meccanismo che porta all’auto-attivazione costitutiva del recettore, e sono associati ad una sindrome mieloproliferativa fatale in un modello murino (Stone et al., 2007). Evidenze pre-cliniche suggeriscono l’adozione di inibitori di FLT3 nel trattamento di pazienti con FLT3 mutato e agenti quali MLN518, CEP701 e PKC412, SU-11248 (Sunitinib), 8 Introduzione MLN-518 (Tandutinib), KW-2449, SU-5416 e Sorafenib sono attualmente in fase di sperimentazione clinica (Lin-la et al., 2011). Un aspetto importante per lo sviluppo di una AML è la mancata morte cellulare programmata delle cellule leucemiche. Attualmente, molecole ad attività anti-apoptotica quali bcl-2, costituiscono il bersaglio di specifiche terapie anti-leucemiche. In particolare, è in fase di sperimentazione l’uso di Oblimersen, un oligonucleotide antisenso diretto contro l’mRNA codificante per la proteina bcl-2 allo scopo di sopprimerne l’espressione ed inibirne l’attività anti-apoptotica (Stone, 2007). Altre strategie terapeutiche dell’AML si basano su un approccio immunoterapeutico, in particolare sull’utilizzo di un anticorpo monoclonale diretto contro il CD33 coniugato con caliceamicina, un potente antibiotico citotossico (Gemtuzumab Ozogamicin, GO), che trae vantaggio dall’ampia espressione di CD33 nelle cellule leucemiche. Il riconoscimento dell’antigene di superficie ad opera del GO risulta nella sua internalizzazione e nel rilascio idrolitico della caliceamicina, appartenente alla famiglia delle antracicline, agenti chemioterapici altamente efficaci nel trattamento dell’AML (Stone, 2007). Il GO è particolarmente efficace nel trattamento del sottotipo M3 poiché i blasti APL mancano della glicoproteina 170, responsabile della resistenza ai chemioterapici (Lo Coco et al., 2006). Una nuova strategia sperimentale per il trattamento della AML permette di rendere le cellule leucemiche maggiormente visibili al sistema immunitario. In particolare, vengono somministrati ai pazienti vaccini contenenti antigeni peptidici provenienti da cellule leucemiche oppure fusioni di cellule leucemiche con cellule presentanti l’antigene (Lei et al., 2009) . La ricerca di terapie per i pazienti con AML rimane attiva anche nell’ambito degli agenti chemioterapici, allo scopo di identificare sostanze più specifiche e meno tossiche. Negli ultimi anni sono state testate numerose nuove sostanze, quali la cloretazina, un agente alchilante, e due nuovi analoghi nucleosidici quali la troxacitabina e clofarabina. Quest’ultima, approvata per il trattamento dell’ALL, ha dimostrato di essere una molecola attiva anche nell’AML (Stone, 2007). Trattamento della AML con agenti differenzianti ATRA e ATO in AML-M3 La cura delle AML, come sopra riportato, si basa primariamente sull’utilizzo di chemioterapici, farmaci ad azione citotossica in grado di contrastare la proliferazione e l’invasività delle cellule neoplastiche, nonchè di indurne l’apoptosi. Agli inizi degli anni ottanta, l’introduzione dell’acido tutto trans-retinoico (ATRA) ha aperto una nuova pagina nel 9 Introduzione trattamento delle AML, ed in particolare del sottotipo M3, la leucemia promielocitica acuta, una patologia a rapida progressione caratterizzata dall’abnorme accumulo nel sangue di cellule della serie bianca bloccate allo stadio maturativo di promielociti. Nella quasi totalità dei casi di APL diagnosticati, si riscontra un riarrangiamento genico specifico determinato dalla traslocazione bilanciata e reciproca t(15;17)(q22;q21), che coinvolge il gene codificante per RARα, situato sul braccio lungo del cromosoma 17, ed il gene che codifica per PML, localizzata sul cromosoma 15. Tale traslocazione determina la formazione della proteina chimerica PML/RARα (Wang and Chen, 2008). RARα appartiene alla famiglia dei recettori per l’acido retinoico e funge da fattore di trascrizione ligando-dipendente interagendo con specifici elementi di risposta (RAREs) situati nella regione del promotore dei geni interessati (Wang and Chen, 2008). PML, rilevato nei complessi multiproteici dei corpi nucleari (nuclear bodies), fa parte di una famiglia di proteine implicate nella soppressione tumorale e nel controllo della stabilità del genoma. In particolare, PML controlla l’induzione dell’apoptosi attivata da p53, la soppressione della crescita e la senescenza in risposta a radiazioni ionizzanti e la trasformazione oncogenica (Wang and Chen, 2008). La proteina di fusione PML/RARα è in grado di formare eterodimeri con i recettori X dei retinoidi (RXRs) che inibiscono la trascrizione di geni essenziali per il differenziamento granulocitario. I complessi molecolari si legano direttamente alle regioni regolatorie delle sequenze RAREs e richiamano co-repressori che inducono una condensazione della cromatina e una soppressione della trascrizione. PML/RARα è inoltre in grado di richiamare gli enzimi di metilazione Dnmt1 e Dnmt3a, portando ad una ipermetilazione delle regioni promotrici di geni regolati dall’acido retinoico con conseguente repressione trascrizionale di quest’ultimi (Wang and Chen, 2008). L’ATRA, un derivato attivo della vitamina A, induce cambiamenti conformazionali della proteina di fusione PML/RARα, la conseguente dissociazione del complesso co-repressore dal RARα ed il reclutamento dei co-attivatori. Questi ultimi inducono un rimodellamento della cromatina, che assume una conformazione aperta, smascherando i siti di legame per i fattori di trascrizione e portando all’attivazione della trascrizione di vari geni regolati da RARα, precedentemente repressi (Wang and Chen, 2008). Molti di questi geni codificano per proteine coinvolte nel completamento del programma di differenziamento granulocitario, tra cui diversi fattori di trascrizione responsabili della granulocitopoiesi, recettori per citochine e molecole coinvolte nella trasduzione del segnale intracellulare (Ohnishi, 2007). L’ATRA induce anche della degradazione della proteina di fusione PML/RARα, finalizzata alla rimozione del blocco trascrizionale, ed è ancora oggi argomento di discussione il ruolo effettivo 10 Introduzione che i due effetti dell’ATRA hanno sul processo maturativo dei blasti APL (Wang and Chen, 2008). Nonostante l’utilizzo di ATRA nel trattamento delle APL abbia portato vantaggi evidenti come l’aumento della percentuale di remissione completa e della sopravvivenza generale rispetto alla sola chemioterapia, la terapia a base di ATRA richiede numerose somministrazioni che inducono spesso la comparsa di effetti collaterali indesiderati come sindromi associate a differenziamento o resistenza ai retinoidi (Wang and Chen, 2008). Per questi motivi, negli ultimi 10 anni un nuovo agente, il triossido di arsenico (As2O3, ATO), è stato introdotto nella terapia dei pazienti con APL. ATO risulta molto efficace nella terapia di pazienti che manifestano refrattarietà o che sviluppano resistenza in seguito a trattamento con ATRA. Attualmente, il trattamento con ATO rappresenta la terapia di scelta in pazienti con APL dopo ricaduta o refrattari all’ATRA, sui quali è in grado di indurre la remissione completa della patologia nell’80-90% dei casi (Tallman, 2007). La combinazione di ATO e ATRA permette inoltre di ottenere risultati migliori rispetto ai due agonisti utilizzati singolaremente, in termini di remissione completa e sopravvivenza (Wang and Chen, 2008). Grazie alla sua efficacia clinica, l’ATO ha fortemente stimolato l’attività di ricerca finalizzata alla comprensione del meccanismo tramite cui questa sostanza agisce. Da diversi studi è emerso che ATO possiede una doppia attività dose-dipendente: a basse concentrazioni induce un parziale differenziamento dei blasti APL, mentre ad alte concentrazioni innesca un meccanismo apoptotico causando la morte delle cellule leucemiche. Evidenze sperimentali hanno dimostrato che l’effetto apoptotico è mediato da modifiche del contesto biochimico intracellulare. In particolare, è stato rilevato il collasso del potenziale di transmembrana mitocondriale, l’aumento di specie reattive di ossigeno, il rilascio di citocromo C e del fattore di induzione dell’apoptosi (AIF) nel citoplasma e l’attivazione di diverse caspasi (Wang and Chen, 2008). Per quanto riguarda il differenziamento di blasti APL, l’ATO, a differenza dell’ATRA, non agisce attraverso recettori nucleari e il meccanismo attraverso il quale tale composto porta a maturazione non è a tutt’oggi completamente noto, anche se è per lo più attribuibile alla degradazione di PML/RARα (Ohnishi, 2007). Negli ultimi anni, nuovi agenti differenzianti in grado di indurre una buona remissione dell’APL sono stati individuati. Tra questi, il Tamibarotene, un retinoide sintetico recentemente approvato per il trattamento terapeutico di pazienti con APL dopo ricaduta o resistenti all’ATRA. Se paragonato all’ATRA, il Tamibarotene è più stabile e più potente come induttore di maturazione di blasti APL e nel 40% dei pazienti che non rispondono al trattamento con questa molecola sembra essere presente una mutazione genetica del suo recettore nucleare RARα 11 Introduzione (Ohnishi, 2007). Altri approcci terapeutici in pazienti con APL che non rispondono alla somministrazione di ATRA e/o ATO consistono nel utilizzo di trattamenti alternativi alla terapia del differenziamento quali l’immunoterapia con GO, precedentemente descritta (Lo Coco et al., 2006; Tallman, 2007). ATRA in AML-non M3 Nonostante le scarse evidenze esistenti riguardo il ruolo fisiologico dell’ATRA nella ematopoiesi normale, questo agonista induce il completamento del programma maturativo di promielociti APL-derivati e potrebbe avere un ruolo più generale nel superamento del blocco differenziativo di blasti leucemici AML-derivati. Negli ultimi anni, numerosi gruppi di ricerca hanno pertanto studiato la possibilità che l’ATRA possa indurre il differenziamento di precursori leucemici AML-non M3 ed il numero maggiore di dati ottenuti riguardano il sottotipo AML-M2. A differenza dei blasti leucemici APL-derivati, che rispondono all’ATRA differenziando in senso granulocitario, i blasti leucemici AML-M2, se sottoposti al trattamento ex-vivo con lo stesso agonista, intraprendono un differenziamento in senso monocitario, indipendentemente dalla presenza della traslocazione t(8;21) (Manfredini et al., 1999). Differenziamento similmonocitario è anche indotto dal trattamento con ATRA nella linea cellulare Kasumi-1, derivata da un paziente affetto da AML-M2 e caratterizzata dalla traslocazione cromosomica t(8;21) (Manfredini et al., 1999). Il processo differenziativo di precursori mieloidi a diversi stadi di maturazione è sotto il controllo di un meccanismo molecolare attivato dalla vitamina D. In particolare, il recettore per la vitamina D (vitamine D receptor, VDR) lega in modo specifico determinate sequenze responsive VDRE (vitamine D response element) localizzate su geni bersaglio e ne promuove la trascrizione, portando a differenziamento monocitario (Grande et al.,1997). Nonostante il meccanismo attraverso il quale l’ATRA induce il differenziamento monocitario in cellule leucemiche non-M3 non sia del tutto noto, è stata dimostrata la sua capacità di aumentare i livelli di espressione del VDR, con meccanismi molecolari a tutt’oggi non ben conosciuti. La trascrizione del gene che codifica per la proteina VDR è probabilmente sotto il controllo di sequenze RARE, suggerendo un aumento della sua espressione direttamente indotto dall’attività trascrizionale di RARα, ma l’espressione di VDR potrebbe essere regolata anche a livello posttrascrizionale (Manfredini et al., 1999). L’aumento dei livelli cellulari della proteina VDR attiva induce a sua volta l’espressione di geni da essa controllati quali HMSE-1, hOC e CD14 che, in ultima analisi, completano il differenziamento monocitario di blasti leucemici AML-M2-derivati, (Manfredini et al., 1999). 12 Introduzione I soli altri studi noti su blasti leucemici non M3 riguardano il sottotipo AML-M0/M1, dove il trattamento con ATRA non sembra indurre nessun tipo di differenziamento (Manfredini et al., 1999). Esteri del forbolo nel differenziamento di cellule AML-derivate Gli esteri del forbolo, nonostante non possano essere utilizzati dal punto di vista terapeutico dato il loro elevato potenziale cancerogeno, costituiscono degli agonisti ottimali per studiare il differenziamento di numerose linee cellulari derivate da leucemie mieloidi. In particolare, gli esteri del forbolo inducono il differenziamento monocito/macrofagico in linee cellulari derivate da pazienti con AML-M3, AML-M2 e con forme non classiche di leucemia mieloide. Le cellule HL-60, che presentano caratteristiche fenotipiche intermedie tra i blasti da leucemia AML-M2 e AML-M3, e le cellule NB4, che presentano la traslocazione cromosomica t(15;17) tipica della AML-M3, hanno un potenziale maturativo bi-lineare in quanto possono differenziare a granulociti neutrofili se trattate con ATRA o a monociti/macrofagi dopo trattamento con esteri del forbolo, quali il phorbol 12-myristate 13-acetate (PMA) (Breitman et al., 1981; Bhatia et al., 1994; Idres et al., 2001). Il meccanismo del differenziamento monocito-macrofagico PMA-indotto sembra dipendere principalmente dall’attivazione della proteina chinasi C (PKC), dovuta alla somiglianza strutturale del PMA con il diacilglicerolo (DAG), che costituisce il principale attivatore di molte delle componenti di questa famiglia enzimatica (Song and Norman, 1998). Il meccanismo d’azione del PMA è inoltre correlato ad una regolazione positiva della trascrizione dell’mRNA del recettore per la vitamina D e ad un aumento dei livelli del VDR dovuto a regolazione posttrascrizionale (Song and Norman, 1998). Anche il trattamento con PMA della linea cellulare AML-M2-derivata Kasumi-1 induce un fenotipo simil-macrofagico, caratterizzato da un aumento di espressione dell’antigene di superficie CD11b, da una completa down-modulazione dell’antigene CD4 e dall’acquisizione da parte delle cellule di capacità adesive (Asou et al., 1991). E’ stato recentemente riportato che il trattamento linee cellulari AML-derivate con ATRA e PMA modifica la loro sensibilità ai chemioterapici, suggerendo che un vantaggio nel trattamento di diversi tipi di AML potrebbe essere ottenuto facendo precedere il trattamento differenziante ai classici agenti chemiotearpici (Jasek et al., 2008; Kogan, 2009; Nasr et al., 2010) ed aprendo una possibile nuova frontiera nel trattamento della maggior parte delle leucemie mieloidi . 13 Introduzione L’antigene di superficie CD11b come marcatore di differenziamento mieloide Nelle AML, la valutazione dell’espressione degli antigeni di superficie è considerata cruciale solo nello studio dei casi non facilmente classificabili mediante la morfologia e la citochimica, come la leucemia mieloide acuta senza segni di maturazione (M0), la forma variante della leucemia promielocitica acuta (M3v), la leucemia monoblastica (M5a), la leucemia eritroide (M6) e la leucemia megacarioblastica (M7) (Ortolani, 2002). Va però anche detto che, nella diagnostica delle AML, la fenotipizzazione immunologica può essere rivolta verso altre finalità, quali la ricerca di fenotipi aberranti, utili per monitorare la malattia minima residua, per dimostrare l’eterogeneità della popolazione neoplastica, riconoscere fenotipi predittivi di particolari pattern citogenetici, come nel caso della AML-M2 con traslocazione (8;21) e soprattutto, per identificare nuovi bersagli terapeutici. In quest’ultimo contesto, risulta di particolare importanza l’analisi dell’espressione del CD11b, un antigene di superficie variabilmente espresso in precursori mieloidi bloccati a diversi stadi maturativi lungo le diverse filiere mieloidi ed i cui livelli correlano positivamente con il procedere del processo differenziativo. L'antigene CD11b è una glicoproteina di 170 kD, codificata da un gene localizzato sul cromosoma 16, che costituisce la catena alfa dell’eterodimero Mac1 (CD11b/CD18). Il dimero CD11b/CD18, noto anche come integrina αMβ2, costituisce un ligando del fattore X e del fibrinogeno, ed è principalmente espresso sugli elementi della serie mieloide, eosinofili e basofili compresi. Il dimero CD11b/CD18 è presente anche sull’80% dei linfociti NK, sui linfociti B dopo stimolazione con PWM e su alcuni subset di linfociti T (Ortolani, 2002). L’espressione del CD11b è più limitata rispetto a quella del dimero CD11a/CD18, è assente sui precursori mieloidi più immaturi e, durante la maturazione, compare prima di CD16 e dopo lo stadio di promielocita. Per quanto riguarda la filiera monocitaria, l’antigene CD11b compare non prima dello stadio di monoblasto. (Ortolani, 2002). Espressione e aspetti prognostici del CD11b nelle AML L’espressione di CD11b, congiuntamente a quella di CD11c, CD14 e CD64, è particolarmente frequente ed intensa nelle AML-M4 ed AML-M5 mentre tende ad essere assente nelle forme M3, M6 e M7. La capacità di discriminare tra forme monocitiche e forme non monocitiche è comunque maggiore per CD14, con CD11c e CD11b, in ordine decrescente (Ortolani, 2002). L’espressione di CD11b sembra essere correlata ad una maggiore durata della remissione completa e della sopravvivenza, anche se costituisce un fattore prognostico negativo per un sottogruppo di pazienti caratterizzato da una remissione completa più breve. Questa 14 Introduzione discordanza è presumibilmente giustificata dall’associazione di CD11b con le forme AML-M4 e AML-M5 con cattiva prognosi, in quanto il 41% delle AML positive per CD11b è diagnosticabile come AML-M4 o AML-M5 in base ai criteri FAB. Lo studio dell’espressione di CD11b eseguito congiuntamente a quello di CD34 o CD117, antigeni normalmente espressi da cellule più immature, può essere utile per evidenziare asincronismi maturativi ed ha un ruolo importante nella determinazione della malattia minima residua (Ortolani, 2002). Durante il processo di differenziamento di precursori mieloidi lungo le filiere neutrofilica e monocito/macrofagica si verifica un significativo incremento di espressione di CD11b (Rosmarin et al., 1989). Per tale motivo, l’analisi dell’espressione di questo antigene di superficie riveste un ruolo importante nel monitoraggio del livello di differenziamento raggiunto dalle cellule leucemiche in seguito a trattamenti differenzianti. In particolare, l’analisi dell’espressione di CD11b può essere utilizzata come marcatore dell’avvenuta maturazione in cellule primarie di pazienti sottoposti a terapie con agenti differenzianti e, allo stesso modo, può costituire un metodo per individuare, mediante analisi in vitro su linee cellulari immortalizzate, nuove sostanze in grado di indurre il differenziamento dei promielociti AML-derivati. Il fattore di trascrizione PU.1 nell’espressione di CD11b Da studi effettuati su cellule staminali embrionali è emerso che il fattore di trascrizione PU.1 è coinvolto nel processo di differenziamento mieloide regolando direttamente l’espressione di geni associati agli stadi più avanzati di maturazione, tra cui il gene che codifica per l’antigene di superficie CD11b (Pahl et al., 1993; Olson et al., 1995). PU.1/Spi-1 è un fattore di trascrizione appartenente alla famiglia Ets ed è codificato dal gene sfpi1, localizzato nell’uomo sul cromosoma 11. La proteina PU.1 ha un peso molecolare di 31 KDa e, tra i fattori della famiglia Ets, è quella che presenta maggior omologia con le proteine Spi-B e Spi-C (Kastner and Chan, 2008). La struttura di PU.1 contiene diversi domini funzionali (Figura 3), tra cui il dominio ETS, che interagisce con il DNA sul quale riconosce sequenze GGAA. Questo dominio è anche coinvolto nell’interazione proteina-proteina e nell’associazione con altri fattori di trascrizione come GATA1, Runx-1 o C/EBPα. Sono presenti inoltre un dominio acidico NH2-terminale ed un dominio ricco di glutammine (Gln), responsabile dell’attivazione trascrizionale, nonché una regione PEST, coinvolta in interazioni proteina-proteina, in particolare con i fattori di trascrizione IRF4/8 (Kastner and Chan, 2008). L’attività trascrizionale di PU.1 può essere regolata, oltre che dall’interazione con altre molecole della macchina trascrizionale, da eventi di fosforilazione e, in particolare, dalla fosforilazione in 15 Introduzione S148 (Kastner and Chan, 2008). Figura 3. Struttura del fattore di trascrizione PU.1 con indicati i principali domini funzionali. L’espressione di PU.1 appare specifica delle cellule ematopoietiche, comprese le cellule staminali, i progenitori linfoidi e i progenitori di granulociti e macrofagi. Nelle cellule mature, l’espressione di PU.1 è elevata in granulociti e macrofagi, modesta nei linfociti B, mentre non è rilevabile in linfociti T e Natural Killer (Kastner and Chan, 2008). Studi in vivo hanno dimostrato che la delezione del gene che codifica per PU.1 causa alterazioni dell’ematopoiesi, bloccando lo sviluppo dei linfociti T e B ed inducendo l’accumulo di un’anomala popolazione granulocitaria nel midollo osseo e nella milza (Metcalf et al., 2006; Kastner and Chan, 2008), nonchè lo svilupparsi di leucemie in modelli sperimentali umani e murini (Weigelt et al., 2009). PU.1 sembra essere coinvolto nel differenziamento in senso macrofagico e neutrofilico di precursori mieloidi regolando, tra gli altri, la trascrizione del gene che codifica per MCSF-R (Weigelt et al., 2009). Sia in blasti APL, che in cellule AML-derivate, PU.1 è scarsamente presente e il trattamento di tali cellule con ATRA ne induce l’espressione nel corso del differenziamento granulocitario (Mueller et al., 2006). Una corretta attività trascrizionale di PU.1 risulta essenziale nella soppressione della AML attraverso la regolazione di geni cruciali per il differenziamento mieloide, inclusi recettori per citochine ed interleuchine, e l’interazione con fattori chiave per il processo maturativo quali AML-1 e C/EBPα. (Dakic et al., 2007). In particolare, l’espressione di PU.1 indotta da ATRA in blasti purificati da pazienti con APL è necessaria e sufficiente per indurne la maturazione in senso granulocitario (Mueller et al., 2006). Per quanto riguarda il meccanismo d’azione di PU.1 in cellule APL-derivate, è noto che l’isoforma di tipo IV della proteina PML, coinvolta nella patogenesi della APL, può interagire direttamente con il fattore di trascrizione PU.1 e promuoverne l’associazione con la sua subunità 16 Introduzione p300. Ciò ne aumenta l’attività trascrizionale e promuove il differenziamento granulocitario di precursori mieloidi tumorali. La proteina di fusione PML/RARα impedisce la formazione del complesso molecolare PU.1/PML inibendo pertanto l’attività trascrizionale di PU.1 ed il processo maturativo stesso. La somministrazione di ATRA, inducendo la degradazione di PML/RARα, ristabilirebbe l’attività del fattore di trascrizione (Yoshida et al., 2007). Per quanto riguarda l’espressione di CD11b, PU.1 presenta 3 diversi possibili siti di legame sul promotore del gene per questo antigene di superficie (Figura 4). Esperimenti condotti in vitro sulla linea cellulare promonocitica U937 hanno dimostrato che l’interazione di PU.1 con la sua sequenza “consensus” localizzata a –21/-12bp sulla regione promotrice del CD11b risulta necessaria per attivare la trascrizione del gene che codifica per questo marcatore del differenziamento mieloide (Pahl et al., 1993; Olson et al., 1995). TTCTCCTTTT PU.1 PU.1 PU.1 +1 -1704 bp -1319/-1314 -134/- 129 -21/- 12 Figura 4. Schema riportante le posizioni delle 3 sequenze “consensus” per PU.1 localizzate sul promotore del gene che codifica per l’antigene di superficie CD11b. La sequenza situata a -21/-12 bp è stata riportata per esteso. Alterazioni della trasduzione del segnale nella APL Come sopra riportato, l’AML è caratterizzata da un aumento incontrollato della proliferazione e della sopravvivenza di progenitori mieloidi immaturi, associato ad una deregolazione delle principali vie di trasduzione del segnale che talvolta risultano attivate in maniera aberrante. Sulle proteine del “signalling” intracellulare, nonchè sulle molecole coinvolte nei sistemi di trasduzione del segnale ad esse collegate, si stanno pertanto concentrando le ricerche di potenziali bersagli terapeutici per le diverse forme di AML. Studi compiuti dal nostro gruppo di ricerca hanno dimostrato che il differenziamento granulocitario di promielociti tumorali APL-derivati indotto da ATRA è modulato dall’azione coordinata di numerose molecole, tra cui enzimi deputati al metabolismo dei lipidi dell’inositolo, come fosfolipasi C fosfoinositide-dipendenti (PLC) e fosfatidilinositolo 3-chinasi (PI3K), enzimi ad esso correlati, come PKC e proteine coinvolte nella riorganizzazione del citoscheletro actinico, come la proteina ad attività di scambiatore guanosinico Vav1 (Bertagnolo et al., 2001). E’ stato in particolare dimostrato come l’ATRA induca modificazioni dei livelli di specifiche isoforme delle diverse proteine sia nelle cellule in in toto che nel compartimento nucleare 17 Introduzione (Bertagnolo et al., 2001). Un’indagine compiuta dal nostro gruppo di ricerca su linee cellulari APL-derivate ha messo in evidenza il ruolo cruciale svolto da Vav1 nel superamento del blocco differenziativo e nell’acquisizione di un fenotipo differenziato in seguito al trattamento con ATRA dei promielociti tumorali, attraverso molteplici ed interconnessi meccanismi funzionali (Brugnoli et al., 2006). La famiglia proteica Vav Vav1, la prima isoforma di una famiglia che comprende Vav2 e Vav3 nei mammiferi e CelVav nei nematodi, è stato identificato nel 1989, nel corso di esperimenti volti alla caratterizzazione di loci coinvolti in neoplasie umane (Bustelo, 2001). Il termine "vav" deriva dal nome della sesta lettera dell’alfabeto ebraico poiché il gene trasformante vav era il sesto isolato in quel laboratorio. I geni vav dei mammiferi, indipendentemente dalle somiglianze strutturali, differiscono nella localizzazione cromosomica e nel pattern di espressione. In particolare, i geni umani vav1, vav2 e vav3 sono stati individuati sui cromosomi 19, 9 e 1, rispettivamente. Nonostante tutti i geni della famiglia siano espressi nelle cellule ematopoietiche, i trascritti di vav1 sono presenti nelle cellule del sangue in quantità maggiore rispetto a quelli di vav2 e vav3 (Tybulewicz, 2005). Mentre l’espressione di Vav1 caratterizza le cellule ematopoietiche, sia della linea linfoide che di quella mieloide, Vav2 e Vav3 hanno una distribuzione tissutale quasi ubiquitaria (Katzav et al., 2007). Vav1, come gli altri membri della famiglia, presenta diversi motivi strutturali (Figura 5) che le permettono di svolgere un ruolo in molteplici eventi cellulari, quali proliferazione, maturazione ed apotosi (Bustelo, 2002). A partire dall’estremità amino-terminale, è presente un dominio di omologia con la Calponina (CH). Si tratta di un dominio di circa 100 residui aminoacidici presente in molte proteine del citoscheletro che legano l’F-actina e che potrebbe quindi fornire a Vav1 una via di connessione al citoscheletro stesso (Hornstein et al., 2004). Il ruolo del dominio CH di Vav1 sembra essere particolarmente complesso, essendo coinvolto nella regolazione dell’attività di Vav1 come Fattore di Scambio Guanosinico (GEF) e nella mobilizzazione del Ca2+ con un’azione a valle dei recettori MIRRs (Multi Subunit Immune Recognition Receptors) (Turner and Billadeau, 2002). E’ stato inoltre dimostrato che il dominio CH è in grado di legare vescicole composte da fosfatidilserina e fosfatidilinositolo, suggerendo una potenziale regolazione di questa proteina ad opera di lipidi. 18 Introduzione Al dominio CH fa seguito un modulo Acidico (Ac) di circa 50 residui aminoacidici, contenente tre residui di tirosina altamente conservati, Y142, Y160 e Y174, coinvolti nel processo di regolazione dell’attività GEF di Vav1. Queste tirosine sono localizzate in una sequenza riconosciuta dalle proteine ad attività tirosina-chinasica appartenenti alle famiglie Src e Syk/Zap70 (Bustelo, 2002). Un terzo dominio presenta omologia con lo scambiatore guanosinico dbl (DH), coinvolto in diverse funzioni biologiche come riorganizzazione del citoscheletro e crescita cellulare, in quanto in grado di interagire fisicamente con le proteine della famiglia Rho/Rac, promuovendo lo scambio GDP/GTP (Bustelo, 2001). Un “pleckstrin-homology domain” (PH), comune a molte molecole del “signalling”, è in grado di interagire con i fosfoinositidi, che sembrano modularne l’interazione intramolecolare con il dominio DH, finalizzata alla regolazione dell’attività GEF di Vav1 (Turner and Billadeau, 2002). Al dominio DH segue un dominio “zinc-finger”, regione ricca di cisteine simile a quella che si trova nei membri della famiglia delle PKC. Mutazioni che inattivano questo dominio aboliscono l’attività GEF di Vav1 in vitro (Turner and Billadeau, 2002). All’estremità C-terminale di Vav1, due domini SH3, che legano sequenze ricche in residui di prolina, fiancheggiano un dominio SH2, che interagisce con specifici residui di tirosina fosforilata. Tali domini mediano in generale l’interazione di Vav1 con altre proteine della trasduzione del segnale intracellulare (Bustelo, 2002; Turner and Billadeau, 2002). Infine, due sequenze di localizzazione nucleare (NLS) giustificano la localizzazione di Vav1 anche all’interno del compartimento nucleare (Katzav et al., 2007). Figura 5. Struttura modulare della proteina Vav1 e principali funzioni correlate ai diversi domini. Sono state identificate alcune varianti di “splicing” per Vav1 e Vav2, almeno tre per quest'ultimo, che differiscono per la presenza di inserzioni nel dominio acidico, nel modulo PH e nella zona “linker” SH2-SH3 e per distribuzione tissutale (Tybulewicz, 2005). 19 Introduzione Per quanto riguarda la regolazione dell’espressione di Vav1, in cellule mieloidi ma non in altre cellule ematopoietiche, questa sembra dipendere dall’attività trascrizionale di PU.1 (Denkinger et al., 2002). Tale ruolo sembra essere mantenuto anche in cellule mieloidi tumorali, quali NB4 (Brugnoli et al., 2010) ed U937 (Ilan and Katzav, 2012). Funzioni della proteina Vav1: attività GEF La presenza nella struttura di Vav1 di domini strutturalmente e funzionalmente diversi consente a questa proteina di svolgere molteplici funzioni, comuni a molecole variamente coinvolte nel metabolismo cellulare (Turner and Billadeau, 2002). La funzione meglio nota delle proteine della famiglia Vav è quella di GEF che porta all’attivazione di piccole GTPasi appartenenti alla famiglia delle proteine Rho/Rac/CDC42. Vav agisce promuovendo il rilascio del GDP dalle GTPasi inattive favorendo l’incorporazione di GTP, che consente loro il raggiungimento di una conformazione attiva in grado di interagire con le molecole effettrici (Tybulewicz, 2005). La regolazione dell'attività GEF delle proteine Vav è complessa ed è mediata da processi di fosforilazione a cascata in residui di tirosina ad opera di tirosina-chinasi (PTKs) attivate in seguito al legame tra un agonista ed uno specifico recettore di membrana. Nel caso di recettori con attività tirosina-chinasica intrinseca, Vav si associa attraverso il suo dominio SH2 direttamente alle molecole recettoriali fosforilate in residui di tirosina. Quando, invece, i recettori sono privi di attività tirosina-chinasica intrinseca, la fosforilazione di Vav prevede un complesso meccanismo che coinvolge PTKs citoplasmatiche e proteine adattatrici. La maggior parte dei dati riportati in letteratura riguarda l'attivazione di Vav1 e le chinasi citoplasmatiche coinvolte, sia nelle cellule mieloidi che nelle linfoidi, appartengono principalmente alle famiglie Syk/Zap70, Src e Jak (Bustelo, 2002). Recentemente, e stato dimostrato il coinvolgimento di c-Abl nella regolazione dell’attività di Vav1 nell’adesione neutrofilica mediata da integrine (Cui et al.2009). E’ noto dalla letteratura che nel meccanismo di regolazione dell’attività GEF di Vav1 svolgono un ruolo cruciale i residui tirosinici Y142, Y160 e Y174, che, come precedentemente accennato, sono altamente conservati e localizzati nella regione Ac di Vav1. In particolare, queste tirosine, nella forma non fosforilata, interagiscono con aminoacidi localizzati nel dominio DH, adiacente alla regione Ac, contribuendo a mantenere la proteina in uno stato inattivo (Chrencik et al., 2008). Tutti e tre i residui tirosinici sono inseriti all’interno di una sequenza aminoacidica che funge da sito consenso per diverse tirosina chinasi (Miletic et al., 2006). In particolare, tutte e tre le tirosine possono essere fosforilate da Lck, Zap70 e Syk (Amarasinghe et al., 2005; Prisco et 20 Introduzione al., 2005). Recentemente, numerosi residui tirosinici situati all’estremità C-terminale di Vav1 sono risultati fosforilati in cellule tumorali, lasciando aperta la possibilità che molte delle 31 tirosine di Vav1 possano svolgere un ruolo nella regolazione della sua attività (Lazer et al., 2010). Il livello di attività GEF di Vav1 sembra dipendere anche dalla presenza di fosfoinositi, e, in particolare, dai siti di fosforilazione dei lipidi contenenti inositolo legati al dominio PH. Infatti, l’attività enzimatica in vitro di Vav1 aumenta del doppio quando questo viene incubato con fosfatidilinositolo 3,4-bisfosfato (PI(3,4)P2) o con fosfatidilinositolo 3,4,5-trisfosfato (PIP3), due prodotti dell’enzima PI3K. L’attività GEF di Vav1 è invece totalmente inibita quando il fosfatidilinositolo 4,5-bisfosfato (PIP2) è incluso nel saggio. Il meccanismo ipotizzato prevede che l’interazione del dominio PH di Vav1 con il PIP2 ne inibisca l’azione di scambiatore guanosinico e che la sua sostituzione con PI(3,4)P2 o PIP3 ne renda possibile la fosforilazione tirosinica (Bustelo, 2002). L’attività GEF di Vav1 risulta coinvolta in diversi processi biologici, tra cui la riorganizzazione del citoscheletro, che porta a modificazioni della morfologia e della motilità cellulare, l’attivazione di cascate enzimatiche per la trasduzione del segnale e l’induzione dell’espressione di geni richiesti per lo sviluppo e per la proliferazione o il differenziamento cellulare (Tybulewicz, 2005). Funzioni di Vav1 diverse dall’ attività GEF Come precedentemente accennato, oltre alla sua attività di GEF, Vav1 ha la potenzialità per agire come proteina adattatrice, grazie alla capacità d'interazione di questa con altre molecole coinvolte nella trasduzione del segnale intracellulare. La presenza nella sua struttura di un dominio SH2, di due domini SH3 e di 31 residui di tirosina potenzialmente fosforilabili, quindi in grado di interagire con i domini SH2 di altre molecole, fa sì che Vav1 possa fungere da adattatore e mediare in questo modo diverse risposte cellulari, sia a livello citoplasmatico che nucleare (Bustelo, 2002; Hornstein et al., 2004; Tybulewicz, 2005). Numerosi dati indicano che la stessa attività di Vav1 come molecola adattatrice dipende dalla sua interazione con proteine adattatrici. Tra queste, proteine che ne modulano i livelli di fosforilazione e proteine coinvolte nel signalling Vav-dipendente (CD19, CD28, LAT, SLP-76, BLNK), proteine che attivano vie di traduzione del segnale che interagiscono con quelle attivate da Vav (SLP-76, BLNK) e altre con funzione sconosciuta ma attive nei processi a valle di Vav1 (Bustelo, 2002). E’ stato inoltre dimostrato che Vav1 media la riorganizzazione del citoscheletro actinico con 21 Introduzione meccanismi GEF-indipendenti, che prevedono l’interazione diretta con proteine leganti l'actina in grado di regolarne la polimerizzazione. In particolare, Vav1 lega costitutivamente talina e vinculina, ancorando il citoscheletro actinico alla membrana plasmatica, e la proteina citoscheletrica zixina (Hornstein et al., 2004). Come precedentemete riportato, nella struttura della proteina Vav1 sono state identificate due sequenze di localizzazione nucleare (NLS) e numerosi studi hanno dimostrato la presenza di Vav1 nel nucleo di numerosi tipi cellulari, sia in presenza di stimoli, come in cellule RBL (Rat Basophilic Leukemia) e linfociti T, che in condizioni basali, come nel caso di cellule Jurkat, promielociti HL-60 ed NB4, megacarioblasti UT7 (Margolis et al., 1992; Romero et al., 1996; Romero et al., 1998; Houlard et al., 2002; Bertagnolo et al., 2005; Gomez et al., 2005). La localizzazione nucleare di Vav1 è regolata anche dal dominio SH3 carbossi-terminale, che agisce sequestrando la proteina nel citoplasma e mediandone l’interazione con specifiche proteine citoscheletriche o altre molecole citosoliche. Questo dominio potrebbe anche essere responsabile della creazione di una struttura intramolecolare che maschera il motivo NLS all’interno del dominio PH, mantenendo così Vav1 a livello citosolico (Katzav, 2007). Diverse sono le evidenze sperimentali che indicano come Vav1 nucleare possa essere coinvolto nel controllo dell’espressione genica attraverso interazioni con proteine resposabili del rimodellamento cromatinico e con fattori di trascrizione. A favore di questa sua funzione è la presenza, nella struttura di Vav1, di moduli comunemente riscontrabili in fattori trascrizionali, quali “helix-loop-helix”, “leucin-zipper” e “zinc-finger” (Margolis et al., 1992). In cellule di leucemia basofilica di ratto, Vav1 si accumula nel compartimento nucleare dopo stimolazione del recettore FcεRI e fa parte di un complesso trascrizionalmente attivo comprendente NFAT (Nuclear Factor of Activated T Cells) sul sito di legame per questo fattore di trascrizione localizzato sulla regione promotrice dell’Interleuchina 2. In questo contesto, Vav1 potrebbe svolgere un ruolo nel compartimento nucleare agendo come proteina adattatrice coinvolta nella regolazione della fosforilazione o dell’assemblaggio di complessi trascrizionali (Houlard et al., 2002). Nello stesso modello cellulare, è stato inoltre riportato che Vav1 interagisce, mediante il suo dominio SH3 C-terminale, con proteine nucleari diverse dai fattori di trascrizione. Tra queste, la proteina Ku-70, una componente del complesso chinasico DNA-dipendente, la ribonucleoproteina hnRNPC, coinvolta nei processi di maturazione dell’RNA e nel trasporto nucleocitoplasmatico, ed ENX-1, l’omologo umano di una proteina coinvolta nei processi trascrizionali in Drosophila (Romero et al., 1996, 1998; Hobert et al., 1996). Nel nucleo di cellule linfoidi, è stato riportato che la proteina Vav1 interagisce con il fattore NF22 Introduzione AT (Nuclear Factor of Activated T Cells), attivandolo e inducendo modificazioni del citoscheletro, flussi di Ca2+ e attivando la via Ras. L’attivazione di NF-AT da parte di Vav1 è un complesso processo che richiede il simultaneo reclutamento di proteine adattatrici e l’attivazione di vie di trasduzione del segnale regolate dall’attività catalitica di Vav1, nonché di un ruolo dello stesso Vav1 come proteina adattatrice (Tybulewicz, 2005). In cellule linfoidi, è stato recentemente riportato che Vav1 e CD28 possono sinergizzare per la trascrizione del gene per l’IL-2. Inoltre, CD-28 lega la proteina Grb-2 ed è probabile che tale complesso funga da ponte per Vav1. L’incapacità di Grb-2 di legare CD28 impedisce a Grb-2 stesso di cooperare con Vav1 nella up-regolazione dell’attività del complesso NF-AT/AP-1 (Schneider et al., 2008). Studi compiuti, sia in vitro che in vivo, nelle cellule T indicano infine che Vav1 interagisce, sempre mediante il proprio dominio SH3 carbossi-terminale, con la proteina Sam68 (Srcassociated in mitosis of 68 kD), che fa parte della famiglia di proteine in grado di legare l’RNA omologhe alla ribonucleoproteina hnRNPK (Hobert et al., 1996; Romero et al., 1996, 1998). La co-espressione di entrambe le proteine induce un aumento della localizzazione nucleare di Vav1 e modifiche della morfologia cellulare (Lazer et al., 2007). Un recente studio condotto nel laboratorio dove è stata svolta l’attività di ricerca riportata in questa tesi, ha dimostrato che durante il differenziamento ATRA-indotto di cellule NB4, Vav1 partecipa a complessi molecolari con il fattore di tascrizione PU.1 e che le due proteine potrebbero cooperare nel regolare l'espressione dell'antigene di superficie CD11b (Brugnoli et al., 2010). Nello stesso modello cellulare, Vav1 sembra essere responsabile del reclutamento a livello nucleare di proteine coinvolte nella trascrizione genica a nel processamento degli mRNAs (Bertagnolo et al., 2011). Ruolo di Vav1 nelle cellule mieloidi mature Come accennato precedentemente, Vav1 è fisiologicamente espresso nelle cellule emopoietiche dove esplica la sua attività mediando numerose risposte cellulari. L’importanza funzionale di Vav1 per il differenziamento linfocitario è stata ampiamente dimostrata (Doody et al., 2001; Fujikawa et al., 2003). Anche se un aumento dell’espressione di Vav1 si verifica quando normali progenitori emopoietici CD34+ sono trattati con un cocktail di citochine che ne promuove il differenziamento granulocitario (Bertagnolo et al., 2005), non esistono evidenze dirette che indichino per questa proteina un ruolo nel modulare la maturazione di cellule nonlinfoidi. 23 Introduzione Ruolo di Vav1 nelle cellule linfoidi Esperimenti compiuti su topi knock-out hanno dimostrato che Vav1 svolge un importante ruolo nella funzione dei linfociti T e dei linfociti B grazie alla sua fosforilazione in risposta all’attivazione di BCR (Complesso Recettoriale delle Cellule B) e di TCR (Recettore della Cellula T). In particolare, in assenza di Vav1, l’attivazione delle cellule T mature risulta deficitaria e i processi di proliferazione, di attivazione di molecole della trasduzione del segnale e di secrezione di citochine, indotti da TCR, risultano sensibilmente ridotti (Tybulewicz, 2005). Nelle cellule linfoidi mature, Vav1 è principalmente coinvolto nella regolazione delle dinamiche citoscheletriche che si osservano durante la risposta immunitaria (Hornstein et al., 2004; Tybulewicz, 2005). Il suo coinvolgimento in questo processo è stato dimostrato osservando come il rimodellamento del citoscheletro actinico, indispensabile per processi come divisione cellulare, adesione e motilità, sia ampiamente influenzato dall’attività della famiglia delle Rho GTPasi, di cui Vav1 è membro (Tybulewicz, 2005). Sia nei linfociti T che B Vav1 è in grado di attivare NF-AT, mediando la trascrizione di geni per diverse citochine, quali IL-2, IL-3, IL-4, IL-5, GM-CSF, IFN-γ, TNFα. NF-AT è a sua volta coinvolto nella regolazione dell’espressione di diverse molecole immunoregolatrici sulla superficie delle cellule T, come CD40L e CTLA-4 (Katzav, 2004). Ruolo di Vav1 nei granulociti neutrofili E’ noto che la stimolazione recettoriale ad opera di sostanze chemoattraenti in granulociti neutrofili non aderenti induce una complessa sequenza di eventi quali riorganizzazione dell’actina, modifiche morfologiche, sviluppo di polarità e adesione reversibile, tutte culminanti nella chemiotassi (Zhao et al, 2003). I complessi meccanismi di trasduzione del segnale che regolano la migrazione neutrofilica sono stati ampiamente studiati e Vav1 sembra avere un ruolo cruciale nella comunicazione tra recettori di adesione e recettori per citochine (Zhao et al., 2003). In particolare, l’attività di Vav1 come GEF per la GTPasi Rac2 è inibita in cellule aderenti, in seguito all’attivazione adesione-dipendente di una o più fosfatasi responsabili della defosforilazione di Vav1 (Zhao et al., 2003). Esperimenti condotti su topi Vav1-/- hanno inoltre dimostrato che la motilità dei neutrofili in vitro e la mobilizzazione dei neutrofili nel sangue periferico in vivo indotta dal formylmethionyl-leucyl-phenylalanine (FMLP) è significativamente ridotta, così come la produzione di actina filamentosa (Kim et al., 2003). La regolazione dei neutrofili mediata dalle integrine è essenziale per un’appropriata adesione e trasmigrazione tissutale. Utilizando neutrofili Vav1-/-/Vav3-/-, è stato dimostrato che le proteine Vav sono richieste per numerose funzioni dipendenti dall’integrina β2, che, oltre all’adesione, 24 Introduzione comprendono la diffusione e la fagocitosi mediata dal complemento (Gakidis et al, 2004). Vav1 è implicato anche nella regolazione della combustione ossidativa dei neutrofili attivata da FMLP (Kim et al, 2003, Ming et al, 2007). L’adesione dei neutrofili è importante per l’induzione della combustione ossidativa ad opera di vari agenti pro-infiammatori associati ad infezioni batteriche. In questo contesto, sono stati identificati difetti nella trasduzione del segnale integrinica in neutrofili privi di Vav1, accompagnati dall’assenza di produzione di Intermedi Reattivi dell’Ossigeno (ROIs) in risposta a diversi stimoli adesione-dipendenti (Ming et al, 2007). Per quanto riguarda le chinasi responsabili dell’attivazione di Vav1 in questi processi, è stato osservato un incremento di Syk a livello dei lamellipodi in seguito alla migrazione indotta da FMLP in cellule HL-60 (Schymeinsky et al., 2006), dove la chinasi co-localizza con le proteine Vav. La down-modulazione di Syk determina una riduzione delle capacità di adesione e di migrazione, indicando quindi come questa tirosina-chinasi svolga un ruolo fondamentale nel reclutare i neutrofili durante la risposta infiammatoria in vivo (Schymeinsky et al., 2006). Ruolo di Vav1 nei monocito-macrofagi La migrazione dei macrofagi è un evento biologico che viene attivato in risposta al rilascio di citochine nel sito d’infiamazione (Ridley, 2001). La chemiotassi è mediata da una coordinata organizzazione del citoscheletro actinico in risposta alla trasduzione del segnale innescata dai recettore per le chemochine. Un ruolo importante in questo contesto è svolto dal MCSF (macrophage colony stimulating factor), che, oltre che responsabile del differenziamento dei precursori emopoietici della linea monocito/macrofagica (Xaus et al., 2001), richiama i macrofagi nel sito d’infiammazione. Macrofagi stimolati con M-CSF mostrano riorganizzazione dell’actina, immediata polarizzazione cellulare e migrazione verso la sorgente della chemochina (Webb et al., 1996). Tra i membri della famiglia Vav, Vav1 e Vav2 sono espressi nei macrofagi. In particolare, Vav1 è localizzato a livello di “phagocityc cups” ed è fosforilato in tirosina durante la fagocitosi, nel corso del “crosslinking” integrinico ed in risposta a diverse citochine, tra cui, l’MCSF (Gotoh et al., 1997; Vedham et al., 2005). E’noto che macrofagi deficienti di Vav1 e Vav2 mostrato una ridotta area di diffusione. Inoltre, la sola mancanza di Vav1 induce una riduzione della velocità di migrazione mediata da MCSF e tale fenomeno sembra imputabile ad una minor formazione di microtubuli dovuta ad una riduzione del livello di polimerizzazione della β-tubulina (Wells et al., 2005). Al contrario, macrofagi privi di Vav2 ma non di Vav1 mostrano esclusivamente un aumento del “ruffling” di 25 Introduzione membrana. La migrazione chemioattrativa dei macrofagi coinvolge l’enzima PI3K che, grazie alla produzione di fosfoinositidi fosforilati in posizione 3’ dell’anello dell’inositolo, richiama enzimi che contegono un dominio PH, quali proteine ad attività GEF (Servant et al., 2000). Utilizzando inibitori farmacologici di PI3K si è osservato che il legame del GTP al Rac e al cdc42 richiede l’attivazione di questo enzima (Keely et al., 1997). E’ noto che Rac e cdc42 sonno neccessari per la migrazione chemioattrativa delle cellule mieloidi, come viene dimostrato dalla scarsa risposta alla chemiotassi di granulociti neutrofili (Li et al., 2002), monociti macrofagi (Pradip et al., 2003) e cellule staminali ematopoietiche (Yang et al., 2001) di animali mancanti di Rac2. Mentre risulta chiaro che Rac è importante per la risposta chemotattica indotta da MCSF e che PI3K regola Rac, non sono ancora del tutto noti i meccanismi che portano all’attivazione di quest’ultima. Ciononostante, Vav1 sembra svolgere un ruolo primario, mediato dalla sua attività come GEF, nell’attivazione di questa piccola GTPasi in seguito a stimoli chemioattraenti, dopo essere reclutato dai fosfoinositidi prodotti dall’attività enzimatica di PI3K (Vedham et al., 2005). Poichè, in seguito a stimolazione dei macrofagi con MCSF, membri della famiglia Vav risultano essere fosforilati in tirosina, indice della loro attivazione (Vedham et al., 2005), Vav1 e Rac sembrerebbero essenziali per il fenomeno di chemiotassi macrogagica indotta da MCSF. Ruolo di Vav1 nel differenziamento di precursori mieloidi tumorali Numerose evidenze sperimentali indicano un coinvolgimento di Vav1 nella trasduzione del segnale di citochine o di fattori di crescita emopoietici, in precursori mieloidi tumorali umani. In particolare, la fosforilazione tirosinica di Vav1 è stata identificata in blasti da leucemia mieloide acuta stimolati dal G-CSF (Yuo et al., 1995) e in cellule HL-60 dopo il crosslinking del recettore umano FcγRIIa1 (CD32) (Rouard et al, 1999). Un ruolo cruciale per Vav1 è stato individuato dal nostro gruppo di ricerca nel corso del differenziamento granulocitario indotto da ATRA di cellule derivate da pazienti affetti da APL, il sottotipo M3 delle leucemie mieloidi acute. Vav1 promuove la maturazione neutrofilica di cellule APL-derivate Precedenti studi del gruppo al quale al quale ho afferito per lo svolgimento della mia attività di ricerca hanno dimostrato che, a differenza dei granulociti neutrofili di sangue periferico, caratterizzati da una forte espressione di Vav1, i promielociti tumorali APL-derivati bloccati a diversi stadi di differenziamento neutrofilico mostrano bassi livelli di espressione della proteina (Bertagnolo et al., 2005). Il trattamento differenziante con ATRA induce un 26 Introduzione significativo aumento di espressione di Vav1 nelle linee APL-derivate HL-60 ed NB4 così come in blasti ottenuti dal midollo osseo di pazienti affetti da APL (Bertagnolo et al., 2005). Studi compiuti dallo stesso gruppo di ricerca dimostrano che un’adeguata espressione di Vav1 è necessaria per il completamento del processo maturativo dei promielociti APL-derivati. Infatti, quando Vav1 viene down-modulato mediante specifici siRNAs nel corso del trattamento con ATRA, al fine di contrastarne l’aumento di espressione indotto da questo agonista, le cellule raggiungono livelli di maturazione significativamente ridotti (Bertagnolo et al., 2005). Al contrario, esperimenti in cui la quantità di Vav1 è stata up-regolata, mimando l’azione dell’ATRA, hanno permesso di stabilire che questa proteina promuove, in cellule HL-60, un aumento significativo dell’espressione dell’antigene di superficie CD11b. Un incremento dei livelli di differenziamento granulocitario è stato rilevato anche quando Vav1 è stato overespresso in cellule HL-60 ed NB4 indotte a differenziare con ATRA. La sola over-espressione di Vav1 non è tuttavia sufficiente per modulare la morfologia nucleare, evento tipico del differenziamento in senso neutrofilico (Bertagnolo et al., 2005). Lo stesso gruppo di ricerca ha inoltre dimostrato che, in seguito al trattamento differenziante con ATRA, Vav1 si accumula nel compartimento nucleare di entrambe le linee cellulari HL-60 e NB4 in una o più forme fosforilate in tirosina, suggerendo che il raggiungimento di una morfologia nucleare più differenziata richiede la fosforilazione tirosinica di questa proteina (Bertagnolo et al., 2005). Nelle cellule HL-60, dopo il trattamento con ATRA sono stati identificati numerosi complessi proteici comprendenti Vav1, che sembrano essere responsabili del reclutamento e dell’attivazione di questa proteina nel corso del processo maturativo (Figura 6). In particolare, è stata dimostrata un’associazione Cbl/Vav1 nel citoplasma ed un complesso SLP-76/Vav1 nel compartimento nucleare di cellule differenziate (Bertagnolo et al., 2001), indicando l’esistenza di un’associazione compartimentalizzata tra queste molecole nel corso del differenziamento granulocitario delle cellule HL-60, possibilmente correlato al diverso ruolo svolto da Vav1 nei diversi compartimenti cellulari. Vav1 regola il citoscheletro/nucleoscheletro actinico nel corso del trattamento con ATRA di cellule APL-derivate Esperimenti compiuti sulla linea cellulare HL-60 mediante l’utilizzo di inibitori farmacologici specifici per le tre principali famiglie di tirosina chinasi note per essere in grado di fosforilare Vav1, quali Syk/Zap-70, Src e Jak, hanno dimostrato che la tirosina chinasi Syk fosforila Vav1 in cellule differenzianti. Tale risultato è stato confermato da specifici saggi di 27 Introduzione attività in vitro e dall’utilizzo di Picetannolo, inibitore farmacologico della famiglia Syk/Zap-70 particolarmente specifico per la tirosina chinasi Syk (Bertagnolo et al., 2001). Una riduzione farmacologica della fosforilazione tirosinica di Vav1 dipendente da Syk previene le modifiche della morfologia cellulare e nucleare che si verificano nel corso del differenziamento granulocitario di cellule HL-60 (Bertagnolo et al., 2001). Sebbene non sia al momento noto il residuo di Vav1 fosforilato da Syk in questo modello cellulare, la fosforilazione Syk-dipendente di Vav1 gioca un ruolo importante nel regolare la riorganizzazione del citoscheletro/nucleoscheletro durante il completamento del processo maturativo di promielociti APL-derivati. L'incapacità del Picetannolo di abrogare completamente la fosforilazione tirosinica di Vav1 indica tuttavia che, in aggiunta a Syk, altre chinasi vengono reclutate da ATRA in cellule APL-derivate. Un recente studio del nostro gruppo di ricerca ha identificato, mediante analisi proteomica seguita da spettrometria di massa, la fosforilazione del residuo tirosinico Y745 di Vav1, in risposta al trattamento con ATRA di cellule NB4. Sebbene non sia nota la chinasi responsabile della sua fosforilazione, il residuo Y745 di Vav1 risulta cruciale per la regolazione dell’espressione dell’antigene CD11b, nonché per l’acquisizione di capacità migratorie da parte delle cellule NB4 indotte a differenziare con ATRA (Figura 6) (Bertagnolo et al., 2010). Come noto, la funzione principale di Vav1 fosforilato in tirosina è l’attività GEF, che determina modificazioni citoscheletriche correlate all’azione di GTPasi. Il nostro gruppo di ricerca ha dimostrato che l’attività GEF di Vav1 non sembra essere coinvolta nei cambiamenti morfologici indotti dall’ATRA nelle cellule HL-60 (Bertagnolo et al., 2004), indicando che meccanismi alternativi devono essere attivati da Vav1 per promuovere le modifiche del citoscheletro di promielociti tumorali differenzianti. Come sopra riportato, la fosforilazione tirosinica di Vav1 può essere finalizzata alla regolazione della sua attività GEF come pure alla sua capacità di interagire con altre molecole del “signalling” intracellulare In particolare, nelle cellule mieloidi, Vav1 fosforilato in tirosina sembra intervenire primariamente nei meccanismi di adesione e trasmigrazione tissutale regolati dalle integrine (Coppolino et al., 2001). Studi finalizzati a stabilire il ruolo di Vav1 nelle modificazioni fenotipiche che accompagnano il differenziamento ATRA-indotto di cellule APL-derivate hanno dimostrato che Vav1 associa con l’enzima PI3K. In particolare, in cellule HL-60 trattate con ATRA, Vav1 fosforilato in tirosina ad opera di Syk associa con il dominio SH2 della subunità regolatrice p85 dell’enzima, regolandone, sia nel citoplasma che nel nucleo, l’attività e l’interazione con l’actina (Bertagnolo et al., 2004). Quando l’interazione Vav1/PI3K e la correlata attività di PI3K sono compromesse 28 Introduzione dall’inibizione della fosforilazione tirosinica Syk-dipendente di Vav1, il differenziamento fenotipico risulta alterato (Bertagnolo et al., 2004), confermando il fatto che l’attività di PI3K è cruciale per il differenziamento granulocitario di cellule APL-derivate. Poiché, quando l’interazione PI3K/actina dipendente da Vav1 è abrogata, la produzione di 3-fosfoinositidi è fortemente ridotta (Bertagnolo et al., 2004), è possibile che l’interazione di PI3K con l’actina possa permettere l’utilizzo dei suoi substrati associati al citoscheletro, determinando modifiche del “pool” di fosfoinositidi, che, come noto, gioca un ruolo cruciale nel modulare la riorganizzazione citoscheletrica delle cellule differenzianti (Figura 6). (Takenawa et al., 2001). Soluble molecules Cytokines (CD38?) (?) Syk Cbl SLP-76 Syk P Vav1 Signalling proteins P Vav1 Vav1 Vav1 Vav1 PI3K actin PIP3 PIP2 ATRA Signal transduction pathways ? PY745 SLP-76 Syk Vav1 P Gene transcription Vav1 P Vav1 PI3K actin Co-activators ATRA RXR PML/RARα α PIP2 PIP3 Figura 6. Rappresentazione schematica del reclutamento e della fosforilazione di Vav1 in promielociti APL-derivati trattati con ATRA. Vav1 nella modulazione dell’espressione proteica Come conseguenza della somministrazione di ATRA, Vav1 fosforilato in uno o più residui tirosinici si accumula nel compartimento nucleare di cellule APL-derivate ed è coinvolto nella riorganizzazione dell’architettura nucleare. Questi cambiamenti strutturali sono alla base sia della trascrizione genica che di eventi post-trascrizionali, suggerendo che Vav1 può essere coinvolto nella regolazione della espressione genica ATRA-indotta. Uno studio condotto su cellule HL-60 e focalizzato su geni codificanti per citochine e fattori di crescita ha dimostrato che l’inibizione della fosforilazione Syk-dipendente di Vav1 durante il trattamento con ATRA previene l’espressione di TMSB10, una “small G-actin binding protein” che induce la depolimerizzaione della F-actina. Anche l’espressione di un omologo di Notch, 29 Introduzione che media il destino cellulare durante l’emopoiesi, sembra dipendere dalla presenza di Vav1 durante in trattamento differenziante della cellule HL-60, confermando che la presenza di vav1 nel compartimento nucleare di cellule APL-derivate costituisce un evento chiave nella maturazione in senso granulocitario di precursori mieloidi tumorali. Studi compiuti su cellule NB4 dimostrano che Vav1 nucleare associa con PU.1 (Brugnoli et al. 2010), un fattore di trascrizione indotto da ATRA e con un ruolo cruciale nel completamento del differenziamento granulocitario di precursori mieloidi tumorali (Mueller et al., 2006). D'altra parte, in cellule NB4, come in altri precursori mieloidi tumorali (Denkinger et al. 2002), PU.1 regola l'espressione di Vav1 indotta da ATRA (Brugnoli et al. 2010). Durante il differenziamento ATRA-indotto di cellule NB4, PU.1 e Vav1 sembrano cooperare per la regolazione dell'espressione dell'antigene di superficie CD11b. In particolare, e stato dimostrato che sia PU.1 che Vav1 vengono reclutati alla sequenza “consensus” per PU.1 localizzata sul promotore del gene per il CD11b, anche se come parte di diversi complessi molecolari. In particolare, Vav1 sembra di essere presente in complessi DNA/proteine solo nelle cellule non differenzianti e sembra regolare, attraverso un meccanismo dipendente dalla sua fosforilazione tirosinica Syk-dipendente, la formazione di complessi molecolari contenenti PU.1 (Brugnoli et al. 2010) (Figura 7). Studi recenti eseguiti mediante un'approccio di proteomica funzionale hanno dimostrato che Vav1 svolge un ruolo più generale nella modulazione dell’espressione proteica indotta dall’ATRA in cellule APL-derivate. In particolare, la down-modulazione di Vav1 durante la somministrazione di ATRA influisce sull’espressione agonista-dipendente di proteine associate al citoscheletro, coinvolte in proliferazione ed apoptosi, nonché di molecole coinvolte nel metabolismo, sintesi, folding e degradazione delle proteine (Bertagnolo et al. 2008). Le proteine la cui espressione è influenzata da Vav1 sia in HL-60 che NB4 comprendono 14-33ε, specificamente coinvolta nella cascata di attivazione delle caspasi (Sanford et al., 2005), suggerendo che Vav1 possa essere critico nel determinare il meccanismo di attivazione delle caspasi nell’APL. Un’altra proteina modulata da Vav1 nel corso del differenziamento ATRAindotto di entrambe le linee cellulari è l’α-enolasi, una proteina multifunzione coinvolta nella glicolisi e spesso up-regolata nei tumori umani (Zou et al., 2005), suggerendo che Vav1 potrebbe promuovere il differenziamento dei promielociti tumorali anche attraverso la regolazione di pathways metabolici. Sia in cellule HL-60 che NB4 Vav1 down-modula l’espressione ATRAdipendente del componente del proteasoma “splice isoform 2 subunit α3” (Bertagnolo et al. 2008). Poiché il proteasoma è il principale meccanismo proteolitico cellulare (Von Mikecz, 2006), Vav1 potrebbe anche essere coinvolto nella regolazione della degradazione di proteine 30 Introduzione durante la maturazione ATRA-dipendente di promielociti tumorali. Anche l'espressione del componente dei microtubuli α-tubulina è influenzata dalla downmodulazione di Vav1 durante il trattamento con ATRA di cellule APL-derivate (Bertagnolo et al. 2008), indicando che Vav1, oltre a partecipare alla riorganizzazione dell’architettura citoscheletica della cellula modulando la polimerizzazione delle sue componenti filamentose, è direttamente coinvolto nella regolazione dell'espressione di specifiche proteine componenti del citoscheletro. Un più specifico ruolo di Vav1 nella regolazione dell’espressione proteica è emerso da studi recenti compiuti sulla linea cellulare NB4, in cui la proteina risulta coinvolta nella modulazione del pool proteico all’interno del compartimento nucleare in risposta al trattamento con ATRA (Bertagnolo et al., 2011). Tra le proteine la cui presenza e/o quantità nucleare sembrano dipendere dalla presenza di Vav1 nel corso del processo differenziativo vi sono componenti della famiglia delle hnRNPs, proteine di legame per l’RNA coinvolte in molteplici aspetti del metabolismo dell'acido nucleico (Han et al., 2010). Anche la quantità nel nucleo di componenti della famiglia delle proteine SR, che regolano lo “splicing” costitutivo ed alternativo dell’mRNA e cruciali regolatori dell’esportazione di mRNA in diversi modelli cellulari, sembra dipendere dalla presenza di Vav1 nel corso del tratamento con ATRA (Sanford et al., 2005). Poiché alcune delle proteine hnRNPs ed SRs si spostano continuamente tra i compartimenti nucleare e citoplasmatico, Vav1 potrebbe agire come una proteina scaffold specificamente coinvolta nella regolazione ridistribuzione tra il citoplasma e il compartimeto nucleare di proteine con ruoli specifici nel processamento dell'RNA (Figura 7). Figura 7. Rappresentazione schematica dei meccanismi molecolari che coinvolgono Vav1 nella regolazione dell’espressione genica ATRA-indotta e nelle modifiche del pool proteico nucleare in promielociti tumorali trattati con ATRA. 31 Obiettivo OBIETTIVO Il nostro gruppo di ricerca, in precedenti studi, ha individuato nella proteina Vav1 una molecola chiave nella maturazione granulocitaria indotta dall’ATRA in promielociti APL-derivati, attraverso molteplici e in parte interconnessi meccanismi. L’identificazione di un possibile ruolo anche nel differenziamento di precursori leucemici lungo la filiera monocitica/macrofagica, renderebbe Vav1 un potenziale bersaglio terapeutico comune a diversi sottotipi di leucemia mieloide acuta. Sulla base di queste considerazioni, l’obiettivo primario del lavoro presentato in questa tesi è stato quello di stabilire se Vav1 svolge un ruolo nel corso del differenziamento monocito/macrofagico indotto da diversi agonisti in cellule mieloidi tumorali derivate dai sottotipi M2 ed M3 della AML, che costituiscono circa il 50% delle leucemie mieloidi acute. A tale scopo, le cellule Kasumi-1, tipiche AML-M2, sono state indotte a differenziare a monociti in seguito a somministrazione di ATRA e trattate con PMA in modo da raggiungere un livello di maturazione più avanzato lungo la filiera monocito/macrofagica. Lo stesso tipo di maturazione è stato indotto nelle linee cellulari HL-60, classificata come M2/M3, ed NB4, tipica AML-M3, mediante somministrazione di PMA. In tutti i modelli di differenziamento sopra riportati, l’espressione della proteina Vav1 è stata down-modulata mediante specifici siRNAs e il suo ruolo è stato studiato monitorando caratteristiche tipiche del differenziamento monocito/macrofagico, quali acquisizione della capacità di adesione, modifiche della morfologia cellulare ed aumento di espressione dell’antigene di superficie CD11b. Recenti studi del nostro gruppo di ricerca hanno dimostrato come, in cellule APL-derivate trattate con ATRA, Vav1 sembra cooperare con PU.1 nella regolazione dell’espressione dell’antigene di superficie CD11b. Ulteriore obiettivo del lavoro presentato in questa tesi è stato pertanto quello di stabilire, attraverso saggi di mobilità elettroforetica, l’eventuale ruolo di Vav1 nel modulare l’espressione del CD11b nel corso del differenziamento monocito/macrofagico di cellule mieloidi tumorali regolando la formazione di complessi molecolari contenenti il fattore di trascrizione PU.1. 32 Materiali e Metodi MATERIALI E METODI Modello sperimentale Per la conduzione degli esperimenti riportati in questa tesi sono state utilizzate le seguenti linee cellulari immortalizzate: • Linea cellulare Kasumi-1, costituita da cellule derivate da sangue periferico di un paziente affetto da leucemia mieloide acuta di tipo M2, secondo la classificazione FAB. E’ caratterizata dalla traslocazione cromosomica t(8;21) che dà origine alla proteina chimerica AML1-ETO. Tale linea cellulare può differenziare in senso monocitario se trattata con esteri del forbolo, acido retinoico tutto-Trans (ATRA) e/o vitamina D3. • Linea cellulare HL-60, costituita da promielociti derivati da una paziente affetta da APL che non presentano la traslocazione cromosomica t(15;17), tipica di questa patologia (ATCC CCL-240, Rockville, MD). Tale linea può differenziare sia in senso similneutrofilo, se trattata con esametilenbisacetamide (HMBA), dimetilsulfossido (DMSO) e retinolo o suoi derivati, che in senso monocitario (simil-macrofagico) se trattata con vitamina D3, esteri del forbolo, briostatina e teleocidina. • Linea cellulare NB4, costituita da promielociti derivati da un paziente affetto da APL, caratterizzati dalla tipica traslocazione t(15;17) (German Collection of Microorganism and Cell Cultures, Braunschweing, D). Tali cellule sono bloccate lungo la filiera granulocitaria ad uno stadio maturativo più avanzato rispetto a quelle della linea HL-60 e differenziano in senso simil-neutrofilo quando sottoposte al trattamento con dosi micromolari di ATRA. Possono differenziare in senso simil-macrofagico se trattate con esteri del forbolo e/o vitamina D3. Induzione e valutazione del differenziamento monocito-macrofagico Tutte le linee cellulari utilizzate sono state coltivate in terreno RPMI-1640 (Bio Whittaker Europe, Cambrex Company, Verviers, B) addizionato con 10% FBS (Gibco Laboratories, Grand Islands, NY) e 1% penicillina/streptomicina (Bio Whittaker), in ambiente umidificato contenente il 5% di CO2, ad una densità cellulare compresa tra 5x105/ml e 1,5x106/ ml. Le sostanze utilizzate nei diversi protocolli sperimentali provengono da Sigma Chemicals (St Louis, MO), fatto salvo quanto diversamente indicato. Il differenziamento in senso monocito/macrofagico delle cellule Kasumi-1 è stato indotto coltivandole in presenza di 1µM ATRA per 96 ore oppure di 100nM phorbol-12-myristate-1333 Materiali e Metodi acetate (PMA) per 72 ore. Le cellule HL-60 ed NB4 sono state indotte a maturare in senso monocito/macrofagico aggiungendo al terreno di coltura 100nM PMA per 48 ore. Il differenziamento in senso granulocitario delle stesse linee cellulari è stato indotto mediante trattamento con 1µM ATRA per 96 ore. Il PMA e l’ATRA sono stati solubilizzati rispettivamente in DMSO ed etanolo assoluto, avendo cura che la concentrazione finale del solvente fosse comunque inferiore allo 0.1%. L’inibizione dell’attività enzimatica della tirosina chinasi Syk è stata ottenuta somministrando alle cellule in coltura 1µg/ml Picetannolo (PIC), in presenza o meno degli agenti differenzianti. Il progredire del processo differenziativo secondo la filiera monocito-macrofagica coincide con l’acquisizione da parte delle cellule di diverse caratteristiche fenotipiche, alcune delle quali possono essere assunte come marcatori dell’avvenuto differenziamento. Valutazione dell’adesione cellulare Per stabilire la percentuale di cellule che acquisiscono capacità adesive dopo trattamento con gli agenti differenzianti sono state dapprima recuperate le cellule in sospensione. Dopo lavaggio in PBS, le cellule che avevano aderito alla fiasca sono state staccate mediante l’utilizzo di tripsina-EDTA (Gibco) per 5 minuti a 37°C. Entrambe le popolazioni cellulari sono state sottoposte a colorazione vitale con Trypan Blue e contate mediante l’utilizzo di un emocitometro. L’adesione è stata espressa come percentuale di cellule aderenti sul numero totale. Valutazione della morfologia cellulare mediante microscopia a contrasto di fase Al fine di valutare le modificazioni morfologiche correlate al livello di maturazione raggiunta, le linee cellulari HL-60 e NB4 indotte a differenziare in senso monocito/macrofagico sono state osservate mediante microscopio rovesciato a contrasto di fase (Nikon Eclipse TE2000E; Nikon, Florence, Italy). Le immagini relative alla morfologia delle cellule nelle diverse condizioni sperimentali sono state acquisite mediante fotocamera digitale DXM1200F (Nikon). Per valutare l’area di adesione e la modifica nella forma delle cellule adese, le immagini digitalizzate sono state analizzate mediante il software ImageJ (http://rsb.info. nih.gov/ij/) secondo quanto suggerito da Papadopulos et al. (2007). In particolare, per ogni condizione sperimentale sono state analizzate tre differenti aree, contenenti complessivamente almeno 30 cellule. Le cellule sono state classificate come “flattened” quando la loro superficie citoplasmatica risultava uguale o maggiore dell’area occupata dal nucleo e non vi era prevalenza di una dimensione. Le cellule sono state invece definite “elongated” quando il loro asse maggiore 34 Materiali e Metodi misurava perlomeno due volte l’asse minore. Le cellule che dopo il trattamento differenziante mantenevano una morfologia simile a quella delle cellule coltivate in condizioni di controllo, caratterizzata da assenza di prolungamenti citoplasmatici e prevalenza dell’area nucleare rispetto al citoplasma, sono state definite “compacted”. Valutazione dell’espressione dell’antigene di superficie CD11b Una metodica classicamente descritta in letteratura e da noi utilizzata per monitorare il livello di differenziamento monocitario consiste nella valutazione dell’espressione fenotipica dell’antigene di superficie CD11b. Per tale tipo di analisi, circa 5x105 cellule sono state centrifugate per 10 minuti a 850 rpm (Centrifuge 5415 D, Eppendorf, Milan, I), risospese in PBS contenente il 2% di siero fetale bovino a 4°C e successivamente incubate per 1 h con l’anticorpo fluorescente anti-CD11b coniugato con ficoeritrina (PE) (Immunotech, Coulter, Marseille, France). L’eccesso di fluoresceina è stato eliminato mediante lavaggio con 1ml di PBS. Il pellet cellulare è stato poi risospeso in PBS e la fluorescenza associata alle cellule, corrispondente all’espressione del CD11b, è stata analizzata mediante citometro a flusso (FACScan). I dati raccolti su almeno 10.000 cellule sono stati rappresentati come valore dell'intensità della fluorescenza cellulare media. Modulazione negativa dell’espressione di proteine Per ridurre l’espressione delle proteine Vav1 e PU.1 nelle linee cellulari in esame è stata impiegata la tecnica dell’RNA Interference, secondo una procedura messa a punto nel nostro laboratorio (Bertagnolo et al., 2005), utilizzando una miscela di 3 sequenze di small interfeering RNA (siRNAs, Santa Cruz Biotechnology, Santa Cruz, CA) specifiche per l’RNA messaggero di Vav1 e PU.1 rispettivamente. A 24 ore dalla semina, le cellule sono state transfettate con una miscela delle tre sequenze di siRNAs mediante elettroporazione secondo la seguente procedura: 8 µg di siRNAs sono stati aggiunti a 2×106 cellule in 100 µl di RPMI-1640 contenente 20% di FBS in cuvette per elettroporazione (4MM Cuvette W/IN, Gene Pulser, Bio-Rad Laboratories, Hercules, CA). Le cellule sono state poi elettroporate (250 V per 20 msec per Kasumi-1 e HL-60 e 250 V per 30 msec per NB4) con elettroporatore Electro Square Porator ECM 830, BTX, Genetronics, Inc, San Diego, CA), quindi diluite in 600 µl di RPMI-1640 contenente il 20% di FBS. In parallelo, è stata effettuata una transfezione con sequenze di RNA non codificanti coniugate con fluoresceina, allo scopo di valutare, mediante analisi citofluorimetrica, l’efficienza di transfezione, che è risultata 35 Materiali e Metodi essere di circa il 70% per le linee HL-60 e NB4 e dell’80% per le cellule Kasumi-1. Le cellule, a 5 h dalla transfezione con i siRNAs per Vav1 e/o PU.1 sono state successivamente trattate con i corrispondenti agenti differenzianti, e dopo tempi variabili, sono state sottoposte ad analisi immunochimica, per valutare l’avvenuto silentamento di Vav1 e PU.1, e ad analisi della morfologia cellulare e dell’antigene di superficie CD11b, per valutare il livello di differenziamento raggiunto. Immunoprecipitazione di proteine a analisi immunochimica Per ottenere lisati cellulari totali, le cellule nelle diverse condizioni di trattamento sono state centrifugate a 850 rpm con centrifuga refrigerata (Megafuge 2.0 R, Heraeus Instruments, Milano, I) per 10 min, sottoposte a lavaggio con PBS addizionato di 1mM sodio ortovanadato e lasciate incubare, per 1 h a 4°C in agitatore rotante, con un tampone di lisi contenente 1% Nonidet P-40, 0,25% sodiodeossicolato, 150 mM NaCl, 1 mM EGTA e inibitori delle proteasi (1 µg/ml Aprotinina, 1 µg/ml Leupeptina e 1 mM PMSF) e delle fosfatasi (1 mM Na3VO4) in 50 mM TrisHCl, pH 7,4. Il materiale così solubilizzato è stato addizionato di tampone Laemmli (250 mM Tris-HCl, pH 6,8, 20% β-mercaptoetanolo, 40% glicerolo, 8% sodio dodecil solfato (SDS) e 0,003% blu di bromofenolo), bollito per 5 min allo scopo di denaturare le proteine e sottoposto successivamente all’analisi elettroforetica. I pellet ottenuti da circa 10x106 cellule, dopo essere stati lisati secondo il procedimento sopra descritto, sono stati sottoposti a centrifugazione refrigerata a 14.000 rpm (Biofuge Fresco, Heraeus Instruments) per 15 min al fine di rimuovere il materiale non solubilizzato. I supernatanti sono stati incubati “overnight” a 4°C con l’anticorpo diretto specificamente contro le proteine d’interesse, in agitatore rotante. Successivamente all’aggiunta di proteina A-Sefarosio (Pharmacia, Uppsala, S), i campioni sono stati nuovamente incubati per 1 h e 30 min a 4°C, quindi centrifugati per 5 min a 4.500 rpm (Biofuge Fresco), allo scopo di far sedimentare gli immunocomplessi costituiti dalla molecola in esame, dall’anticorpo diretto contro di essa e dalla proteina A legata al Sefarosio e associata all’anticorpo. Gli immunoprecipitati sono stati successivamente lavati per tre volte con PBS addizionato degli inibitori delle proteasi, centrifugati a 4.500 rpm per 5 min (Megafuge 2.0 R) ed infine risospesi in tampone Laemmli e sottoposti a separazione elettroforetica su gel di poliacrilammide al 7,5%, in condizioni denaturanti. Dopo separazione elettroforetica monodimensionale di lisati cellulari ed immunoprecipitati, le proteine sono state trasferite su membrana di nitrocellulosa (Hybond-C, Amersham Life Science, Little Chalfont, UK) e successivamente sottoposte ad ibridazione, secondo quanto indicato nei singoli esperimenti, con anticorpi policlonali diretti contro Vav1, la forma fosforilata di Vav1 sul 36 Materiali e Metodi residuo di tirosina 174, PU.1 (Santa Cruz) e contro Syk (Millipore, Billerica, MA), con un anticorpo monoclonale diretto contro i residui tirosinici fosforilati (PY20, Transduction Laboratories, Lexington, KY), e con gli anticorpi monoclonali anti-α-tubulina, anti-β-tubulina e anti-actina (Sigma). Per la rilevazione dei residui fosforilati delle tirosine, la procedura prevede la saturazione della membrana di nitrocellulosa per 1 h con una soluzione di TBS contenente il 3% di BSA. Si procede con l’ibridazione utilizzando l’anticorpo primario diluito 1:1000 in TBS 1% Tween 0,1% BSA, per 2 h. Trascorso tale intervallo di tempo, si eseguono tre lavaggi da 5 min con TBS 0,1% Tween-20. Si procede infine con l’incubazione con l’anticorpo secondario (anti-Mouse, Sigma) diluito 1:2000 in una soluzione di TBS contenente 0,1% Tween-20 e 0,1% BSA per 45 min, a temperatura ambiente. Per quanto riguarda l’immunorilevazione delle proteine Vav1, PU.1, p-Vav174, la procedura prevede dapprima l’incubazione della membrana per 1 h con una soluzione di TBS contenente 0,05% Tween-20 e 5% latte, allo scopo di saturare i siti di legame aspecifici, e la successiva incubazione “overnight” con l’anticorpo primario specifico per le singole proteine diluito 1:1000. La membrana, dopo opportuni lavaggi con TBS addizionato di 0,05% di Tween-20, viene quindi incubata con un anticorpo secondario (anti-Rabbit, Sigma), diluito 1:2000 e coniugato con l’enzima perossidasi, per almeno 45 min a temperatura ambiente. Per l’immunorilevazione della proteina Syk, la procedura prevede l’incubazione della membrana per 1 h con una soluzione di PBS contenente 0,1% Tween-20 e 3% latte e la successiva incubazione “overnight” con l’anticorpo primario diluito 1:1000. La membrana, viene quindi incubata, dopo lavaggio con PBS addizionato di 0,1% di Tween-20,con l’anticorpo secondario coniugato con l’enzima perossidasi alla diluizione di 1:2000. Per quanto riguarda infine la rivelazione di α-tubulina, β-tubulina e actina si procede con una saturazione in tampone costituito da PBS addizionato di 3% BSA, per 1 h a temperatura ambiente, a cui fa seguito l’ibridazione con l’anticorpo primario diluito 1:1000 in PBS contenente lo 0,1% di Tween-20 e lo 0,1% di BSA per 2 h. Infine, previo i necessari lavaggi per eliminare l’anticorpo non legato, si effettua l’ibridazione con l’anticorpo secondario (anti-Mouse, Sigma) coniugato con perossidasi. Per tutte le proteine analizzate, il complesso proteina/anticorpo primario/anticorpo secondario è stato rivelato mediante l’utilizzo di un sistema chemioluminescente (luminolo, NEN Life Science Products, Inc., Boston, MA) seguito da autoradiografia su lastra (Kodak X-Omat AR Film, Sigma). Le lastre sono state acquisite mediante densitometro Agfa Duoscan T1200 (Agfa Graphics s.r.l., 37 Materiali e Metodi Milano, I) e l’analisi densitometrica degli autoradiogrammi è stata eseguita utilizzando il programma ImageQuant TL program (Amersham Bioscience, Uppsala, S). Per rendere le membrane di nitrocellulosa disponibili a successive reazioni con i diversi anticorpi è stato necessario asportare il complesso anticorpo primario/anticorpo secondario mediante incubazione a 50°C per 10 min con una soluzione di “stripping” costituita da 100 mM βmercaptoetanolo, 62,5 mM Tris-HCl, pH 6,8 e 2% SDS, seguita da lavaggio in TBS contenente lo 0,1% di Tween-20 per 10 min. Analisi immunocitochimica Allo scopo di valutare la localizzazione delle proteine di interesse, cellule NB4 e HL-60 indotte a differenziare in senso monocito/macrofagico sono state lasciate crescere su vetrini coprioggetto tondi di 12-mm in diametro, mentre cellule non trattate sono state poste su identici vetrini coprioggetto mediante citocentrifugazione (Cytospin 3, Shandon Scientific, Astmoor, UK), per essere sottoposte ad analisi immunocitochimiche. Le cellule presenti sul vetrino sono state lavate con PBS e fissate con 4% paraformaldeide per 10 min a temperatura ambiente. In seguito, sono state lavate due volte con PBS per 5 min su bascula e conservati in PBS a 4°C. Per l’analisi della distribuzione di Vav1 e α-tubulina, le cellule fissate su vetrino sono state dapprima incubate con una soluzione di Net Gel (150 mM NaCl, 5 mM EDTA, 50 mM TRISHCl pH 7.4, 0.05% NP40, 0.25% Carrageenan Lambda gelatine e 0.02% Na azide) per 1 h a temperatura ambiente al fine di bloccare i siti di legame aspecifici e permettere la penetrazione dell’anticorpo all’interno della cellula. Successivamente le cellule sono state incubate con gli anticorpi diretti specificamente contro le proteine di interesse in Net Gel per 3 h a temperatura ambiente. I campioni sono stati poi fatti reagire con un anticorpo secondario, diretto contro l’anticorpo primario, coniugato con fluoresceina isotiocianato (FITC) in Net Gel per 45 min a temperatura ambiente al buio. Dopo un lavaggio in Net Gel e due in PBS le cellule sono state sottoposte a colorazione nucleare con 0,5 µg/ml DAPI, ulteriormente lavate in PBS e disidratate con una serie progressiva di etanolo al 70%, 90% e 100%. I preparati sono stati lasciati asciugare all’aria, montati su vetrino portaoggetto utilizzando una soluzione contenente glicerolo/PBS/1,4diazobiciclo-(2,2,2)-ottano (DABCO). I campioni fluorescenti sono stati osservati mediante un microscopio a fluorescenza Nikon Eclipse TE2000-E (Nikon), acquisendo immagini tramite il software ACT-1 per la fotocamera digitale DXM1200F (Nikon). 38 Materiali e Metodi Analisi dell’actina filamentosa e della colocalizzazione tra F-actina e Vav1 Allo scopo di analizzare la distribuzione intracellulare dell’actina filamentosa, cellule fissate su vetrino, come precedentemente descritto, sono state dapprima lavate in PBS e permeabilizzate con 1% Triton X-100 in PBS per 5 min a temperatura ambiente, poi incubate con 1% BSA per 30 min per la saturazione dei siti di legamen non specifici. Successivamente sono state incubate con la tossina falloidina coniugata all’isotiocianato di tetrametilrodamina (TRITC) in PBS per 30 min a temperatura ambiente al buio. Dopo tre lavaggi in PBS, le cellule sul vetrino sono state sottoposte a colorazione nucleare con DAPI, come sopra riportato, e disidratate con una serie progressiva di etanolo. I preparati sono stati lasciati asciugare all’aria, montati su vetrino portaoggetto utilizzando una soluzione contenente glicerolo-(DABCO) e analizzate con un microscopio a fluorescenza Nikon Eclipse TE2000-E (Nikon). Allo scopo di analizzare la co-localizzazione tra la forma filamentosa dell’actina e Vav1 le cellule fissate su vetrino sono state lavate con PBS, permeabilizzate con 1% Triton X-100 in PBS per 5 min a temperature ambiente, saturate con 1% BSA per 30 min, ed incubate con un anticorpo specifico anti-Vav1 per 3 h in PBS a temperatura ambiente. I campioni sono stati successivamente incubati con una miscela contenente, sia l’anticorpo secondario diretto specificamente contro l’anticorpo anti-Vav1 coniugato con un fluorocromo FITC, sia la falloidina coniugata con un fluorocromo TRITC in PBS per 30 min a temperatura ambiente al buio. Dopo essere state lavati in PBS i vetrini sono stati disidratati in etanolo, lasciati asciugare all’aria e montati su vetrino portaoggetto con glicerolo-DABCO. I campioni sono stati successivamente analizzati mediante microscopio confocale a scansione laser Zeiss 510 laser-scanning (Carl Zeiss, Oberkochen, Germany) e le immagini ottenute sono state processate tramite LSM Image Browser (Zeiss). In particolare, le sezioni cellulari delle superfici apicali, intermedie e basali osservate mediante microcopia confocale sono state ottenute come descritto da Khatau et al. (2009). Quantificazione dell’actina filamentosa mediante citometria a flusso Allo scopo di valutare la quantità di actina filamentosa, 5×105 cellule nelle diverse condizioni di trattamento, dopo essere state pellettizzate e lavate con PBS, sono state permeabilizzate mediante incubazione con 100 µl di Perm Solution (Beckman Coulter, Inc. Fullerton, CA) per 5 min a temperatura ambiente al buio e successivamente stabilizzate con 50 µl di Stab Solution (Beckman Coulter). Per la marcatura dell’actina filamentosa le cellule sono state poi incubate per 30 min a temperature ambiente al buio con una soluzione 82.5 nM di falloidina coniugata con il fluorocromo Alexa-488 (Invitrogen, Paisley, UK). Le cellule sono state successivamente lavate con PBS, fissate mediante 0.5% formaldeide e analizzate tramite un 39 Materiali e Metodi citometro a flusso FACSCan (Becton Dickinson). L’intensità di fluorescenza è stata valutata su una popolazione cellulare adeguatamente selezionata, secondo i parametri fisici di forward e side scatter del citometro, privata dei frammenti e degli aggregati cellulari. L’intensita media di fluorescenza, misurata su 10,000 cellule, è stata espressa come valore percentuale rispetto a quello delle cellule di controllo. Saggio di mobilità elettroforetica (EMSA) Per la preparazione delle sonde radioattive è stata utilizzata la sequenza contenente il “binding site” di PU.1 localizzato a –21/-12bp sul promotore del CD11b: 5’- CTGCCTCCTACTTCTCCTTTTCTGC-3’, disegnata a partire dall’intera sequenza del promotore e sintetizzata dalla Ditta Sigma Genosys (Sigma). La marcatura degli oligonucleotidi è stata effettuata mediante la tecnica del “5’oligolabeling” incubando, per 1 h a 37°C, 200 ng di oligonucleotidi a doppia elica con 10 U di enzima T4 polinucleotide chinasi (New England Bio Labs, Ipswich, MA) e 50.000 cpm/ng di (γ32P)-ATP (Perkin Elmer, Boston, MA). Per terminare la reazione è stata aggiunta una soluzione costituita da tampone TE (Tris HCl 10 mM, EDTA 1 mM, pH8) e 1 µg/µl poly (dI-dC) (Amersham), che fungono da “carrier” perché la quantità di DNA utilizzata è molto ridotta. Successivamente, gli oligonucleotidi sono stati estratti centrifugando in presenza di fenolo e cloroformio. Per precipitare il DNA, infine, sono stati aggiunti ai campioni acetato d’ammonio ed etanolo assoluto freddo, a cui ha fatto seguito una incubazione a –20 °C “over night”. Per ottenere estratti nucleari con i quali eseguire il saggio di mobilità elettroforetica (EMSA), le cellule (100x106), previo lavaggio in PBS, sono state risospese in una soluzione composta da 15 mM Tris-HCl, pH 7,5, 60 mM KCl, 0,5 M saccarosio, 0,25 mM EDTA pH 8, 0,125 mM EGTA pH8 (HNB), addizionata degli inibitori delle proteasi e delle fosfatasi (1 mM DTT, 0,5 mM Spermidina, 0,15 mM Spermina, 0,5 mM PMSF, 2 mM Benzamidina, 5 µg/ml Aprotinina, 5 µg/ml Pepstatina e 5 µg/ml Leupeptina). Alla sospensione cellulare è stato successivamente aggiunto l’1% di NP40 per 1 min, allo scopo di lisare le membrane cellulari. Il campione è stato successivamente centrifugato a 2.500 rpm (Biofuge Fresco) per 10 min a 4°C ed il pellet nucleare ottenuto è stato lisato a 4°C per 1 h in agitatore rotante con un tampone costituito da 20 mM Hepes, pH 7,9, 25% glicerolo, 1,5 mM MgCl2, 0,25 mM EDTA, 0,37 M NaCl (NEB), addizionato degli inibitori delle proteasi e fosfatasi. Gli estratti nucleari sono stati successivamente sottoposti a centrifugazione in microfuge refrigerata a 13.000 rpm (Biofuge Fresco) per 1 h e 30 min, al fine di rimuovere il materiale non solubilizzato, e i supernatanti sono stati incubati “overnight” a 4°C con 0,3 g/ml di ammonio solfato. Dopo centrifugazione a 13.000 40 Materiali e Metodi rpm per 30 min a 4°C, gli estratti nucleari sono stati risospesi in un tampone costituito da 20 mM Hepes, pH 7,9, 60 mM KCl, 20% glicerolo, 0,25 mM EDTA, 0,125 mM EGTA (Dyalisis buffer), addizionato degli inibitori delle proteasi e delle fosfatasi. La concentrazione proteica degli estratti nucleari è stata determinata mediante utilizzo di un sistema colorimetrico (BCA protein assay, Pierce Chemical Co, Rockford, IL). Il saggio di mobilità elettroforetica è stato effettuato in un tampone contenente 10 mM Tris-HCl, pH 7,5, 50 mM NaCl, 1 mM DTT, 1 mM EDTA e 5% glicerolo, a cui sono stati aggiunti 10 µg di estratti nucleari e 2 µg di poly (dI-dC) (Amersham), piccole sequenze di DNA utilizzate come competitori per evitare il legame aspecifico da parte dei fattori trascrizionali. La soluzione contenente gli estratti nucleari è stata successivemente incubata con 2 ng di oligonucleotide specifico marcato, a temperatura ambiente per 20 min. Per l’identificazione delle proteine costituenti il complesso molecolare, i campioni sono stati in seguito incubati per 30 min con anticorpi specifici diretti contro le molecole di interesse. I complessi ottenuti sono stati separati mediante elettroforesi in gel non-denaturante al 4,5% di poliacrilamide in un tampone 0,5 X TBE (Invitrogen), a 200 V costante a 4°C per circa 3 h. Il gel è stato successivamente disidratato mediante l’utilizzo di un gel-dryer (Hoefer Scientific Instruments, San Francisco, CA), a 80°C per 30 min, e sottoposto ad analisi autoradiografica. Analisi statistiche I risultati sono stati espressi come media di tre o più esperimenti ± la deviazione standard. L’analisi statistica è stata fatta usando il test T di Student a due code pr dati non appaiati. P values < 0.05 sono stati considerati significativi. 41 Risultati RISULTATI Vav1 è coinvolto nel differenziamento in senso monocito/macrofagioco di linee cellulari AML-derivate di tipo M2 Poiché, come emerso da precedenti studi del nostro gruppo di ricerca, la proteina Vav1 gioca un ruolo cruciale nel differenziamento simil-neutrofilo indotto da ATRA in linee cellulari AML-M3 derivate, gli esperimenti riportati in questa tesi sono stati finalizzati all'identificazione di un possibile ruolo di Vav1 nel processo maturativo di precursori mieloidi tumorali anche in senso monocito-macrofagico Un primo gruppo di esperimenti è stato condotto sulle cellule Kasumi-1 coltivate in presenza di 1µM ATRA, concentrazione sufficiente per indurre il differenziamento monocitario di questa linea cellulare (Manfredini et al., 1999). L’agente differenziante è stato somministrato per tempi variabili da 0 a 5 giorni e, a partire dalle 72 ore, le cellule sono state giornalmente monitorate allo scopo di individuare il tempo ottimale di maturazione. Come atteso, il trattamento con ATRA induce una significativa e progressiva diminuzione della velocità di proliferazione cellulare (Figura 8), mentre nessuna significativa modificazione della morfologia è stata evidenziata mediante microscopio a contrasto di fase (dati non mostrati). 30 cells x10 5 /ml C o nt ro l ATRA 20 10 0 0 72h 96h 120h Figura 8. Curva di crescita di cellule Kasumi-1 coltivate in condizioni di controllo ed in presenza di 1 µM ATRA per i tempi indicati. I valori costituiscono la media di 3 esperimenti effettuati in duplicato, ± SD. Poiché una delle metodiche maggiormente utilizzate nel monitoraggio del differenziamento monocito-macrofagico è costituita dall’analisi citofluorimetrica dell’antigene di superficie CD11b, l’espressione di tale molecola è stata valutata nelle cellule Kasumi-1 trattate con ATRA. I risultati ottenuti hanno evidenziato un significativo aumento di espressione dell’antigene, che raggiunge un massimo dopo 96 ore di trattamento (Figura 9). 42 Risultati CD11b expression (Mean Fluorescence Intensity) 200 Control 180 72h ATRA 160 96h ATRA 140 120h ATRA 120 100 80 60 40 20 0 Figura 9. Espressione dell’antigene di superficie CD11b in cellule Kasumi-1 coltivate in condizioni di controllo, o in presenza di 1 µM ATRA per i tempi indicati. I valori costituiscono la media di 3 esperimenti effettuati in duplicato, ± SD. Poiché, in promielociti APL-derivati, l’ATRA induce un aumento di espressione di Vav1, un anticorpo diretto specificamente contro tale proteina è stato utilizzato per effettuare l’analisi immunochimica delle cellule Kasumi-1 a diversi tempi di trattamento con l’agonista. I risultati ottenuti hanno evidenziato come il trattamento con dosi differenzianti di ATRA induce un significativo aumento di espressione di Vav1, che raggiunge un massimo dopo 96 ore di coltura in presenza dell’agonista (Figura 10), corrispondente al picco di espressione dell’antigene di superficie CD11b. 72h ATRA - + 96h - + 120h - + WB: Vav1 a.u. 16,4 WB: β-tubulin a.u. 57,4 29,9 16,1 31,2 15,2 19,0 51,1 41,4 30,6 Figura10 49,3 47,9 Figura 10. Lisati cellulari di cellule Kasumi-1 coltivate per i tempi indicati in presenza (+) o meno (-) di ATRA sono stati sottoposti ad analisi immunochimica con l’anticorpo diretto contro Vav1. L’ibridazione con l’anticorpo antiβ-tubulina costituisce un controllo interno delle cariche proteiche. L’analisi densitometrica a cui sono stati sottoposti gli autoradiogrammi è stata riportata sotto forma di unità arbitrarie (a.u.). I dati sono rappresentativi di 3 esperimenti, effettuati in duplicato. Poiché Vav1 svolge un ruolo cruciale nel differenziamento granulocitario ATRAdipendente di promielociti APL-derivati ed un suo aumento di espressione si verifica anche nel differenziamento monocitario dipendente da ATRA, sono stati condotti esperimenti volti a 43 Risultati stabilire il coinvolgimento di Vav1 anche nella regolazione del processo differenziativo in senso monocitario indotto dallo stesso agonista. A tale scopo, le cellule Kasumi-1 sono state transfettate in modo transiente con specifiche sequenze di siRNA in grado di inibire l’espressione della proteina Vav1 e trattate con ATRA per 96 ore, tempo che, come sopra riportato, è risultato ottimale per il differenziamento monocitario di queste linea cellulare. Come mostrato in Figura 11, l’utilizzo della tecnica dell’”RNA interference” è stata efficace nel contrastare l’aumento di espressione Vav1 indotto dall’agonista. + + + + + 20.9 37,9 21,5 24,1 29,9 23,5 ctrl siRNA Vav1 siRNAs ATRA WB: Vav1 a.u. WB: β-tubulin a.u. Figura 11. Analisi immunochimica effettuata con l’anticorpo anti-Vav1 su lisati totali di cellule Kasumi-1 in cui è stata (Vav1 siRNAs) o meno (ctrl siRNA) down-modulata l’espressione di Vav1 durante il trattamento con ATRA per 96 ore. L’ibridazione con l’anticorpo anti-β-tubulina costituisce un controllo interno delle cariche proteiche. L’analisi densitometrica a cui sono stati sottoposti gli autoradiogrammi è stata riportata sotto forma di unità arbitrarie (a.u.). I dati sono rappresentativi di 3 esperimenti. L’analisi citofluorimetrica dell’espressione dell’antigene di superficie CD11b ha dimostrato come una ridotta espressione di Vav1 nel corso del trattamento con ATRA non influisca significativamente sul livello di differenziamento raggiunto (Figura 12). CD11b expression (Mean Fluorescence Intensity) 350 ctrl siRNA ctrl siRNA/ATRA 300 Vav1siRNAs/ATRA 250 200 150 100 50 0 Figura 12. Espressione dell’antigene di superficie CD11b di cellule Kasumi-1 coltivate per 96 ore in condizioni di controllo, o in presenza di 100nM ATRA dopo essere state sottoposte (Vav1 siRNAs) o meno (ctrl si RNAs) alla downmodulazione dell’espressione di Vav1. I valori costituiscono la media di 3 esperimenti effettuati in duplicato, ± SD. *valori statisticamente significativi (P <0.05). 44 Risultati Dai risultati ottenuti è emerso che, nonostante l’ATRA induca nella linea monoblastica Kasumi1 un significativo aumento di espressione della proteina Vav1, questa non risulta essenziale per la maturazione fenotipica, in termini di espressione dell’antigene di superficie Cd11b, di questi precursori tumorali. Dal momento che, nel corso della maturazione granulocitaria ATRAdipendente di linee cellulari APL-derivate, Vav1 sembra essere responsabile della regolazione dell’architettura citoscheletrica, questi risultati sono in accordo con l’assenza di significative variazioni della morfologia cellulare indotte dal medesimo agonista nella linea cellulare Kasumi1. Secondo quanto riportato in letteratura, le cellule Kasumi-1 possono raggiungere livelli di differenziamento più avanzati lungo la filiera monocito/macrofagica in seguito a trattamento con esteri del forbolo (Sakakura et al., 1994). Un secondo gruppo di esperimenti è stato pertanto condotto con cellule Kasumi-1 trattate con 100 nM PMA per 4 giorni e giornalmente monitorate allo scopo di individuare il tempo ottimale di maturazione. Come atteso, il PMA induce, in parallelo all’acquisizione della capacità di aderire alla plastica, un rallentamento della proliferazione delle cellule Kasumi-1. (Figura 13). 30 Control cells x10 5 / ml PMA 20 10 0 0 24h 48h 72h 96h Figura 13. Curva di crescita di cellule Kasumi-1 in condizioni di controllo e dopo tattamento con PMA per i tempi indicati. I valori costituiscono la media di 3 esperimenti effettuati in duplicato, ± SD. Attraverso osservazione al microscopio a contrasto di fase è stato possibile evidenziare come il numero delle cellule in adesione raggiunga un massimo, corrispondente a circa al 90% del totale, a 72 ore di trattamento con l’agonista (Figura 14). 45 Risultati PMA Figura 14. Percentuale di adesione di cellule Kasumi-1 in condizioni di non trattate (0h) e trattate con PMA per i tempi indicati. I valori costituiscono la media di 3 esperimenti effettuati in duplicato, ± SD. L’analisi mediante citometria a flusso dell’espressione dell’antigene di superficie CD11b ha dimostrato che l’agente differenziante induce, sia nelle cellule in sospensione che in quelle che acquisiscono capacità adesive, un aumento dei livelli di CD11b, più evidente nella popolazione cellulare in adesione, che raggiunge il massimo dopo 72 ore di trattamento (Figura 15). PMA Figura 15. Espressione dell’antigene di superficie CD11b di cellule Kasumi-1, coltivate in condizioni di controllo (Untreated) o in presenza di PMA per i tempi indicati. I valori costituiscono la media di 3 esperimenti effettuati in duplicato, ± SD. L’analisi immunochimica eseguita con l’anticorpo diretto Vav1 su cellule Kasumi-1 trattate con PMA ha dimostrato un aumento di espressione della proteina a tutti i tempi di trattamento esaminati. In particolare, la popolazione cellulare che va incontro ad adesione presenta livelli di 46 Risultati espressione di Vav1 maggiori rispetto alle cellule che rimangono in sospensione, indicando che nelle cellule Kasumi-1 trattate con PMA il raggiungimento di un fenotipo più maturo è accompagnato da una più elevata espressione della proteina (Figura 16). 24h PMA - 48h 72h 96h + - + - + - + WB: Vav1 a.u - 97 kDa 9,6 15,9 11,1 18 9,2 18,7 12 21,2 WB: β-tubulin a.u - 55 kDa 16,4 18,5 15,5 21,2 17,8 20 16,5 21,9 Figura 16. Lisati di cellule Kasumi-1 coltivate per i tempi indicati in presenza (+) o meno (-) di PMA sono stati sottoposti ad analisi immunochimica con l’anticorpo diretto contro Vav1. L’ibridazione con l’anticorpo anti-βtubulina costituisce un controllo interno delle cariche proteiche. L’analisi densitometrica a cui sono stati sottoposti gli autoradiogrammi è stata riportata sotto forma di unità arbitrarie (a.u.). I dati sono rappresentativi di 3 esperimenti, effettuati in duplicato. Al fine di identificare un possibile coinvolgimento di Vav1 nel differenziamento in senso monocito/macrofagico PMA-dipendente di cellule Kasumi1, l’espressione della proteina è stata inibita mediante specifici siRNAs per tutta la durata del trattamento con l’agonista (Figura 17). ctrl siRNA Vav1 siRNAs PMA - + + + + + - 97 kDa WB: Vav1 a.u. 20,3 44,7 11,2 - 55 kDa WB:β β-tubulin a.u. 20,7 31,8 24,7 Figura 17. Analisi immunochimica effettuata con l’anticorpo anti-Vav1 su lisati totali di cellule Kasumi-1 in cui è stata (Vav1 siRNAs) o meno (ctrl siRNA) down-modulata l’espressione di Vav1 durante il trattamento con PMA per 72 ore. L’ibridazione con l’anticorpo anti-β-tubulina costituisce un controllo interno delle cariche proteiche. L’analisi densitometrica a cui sono stati sottoposti gli autoradiogrammi è stata riportata sotto forma di unità arbitrarie (a.u.). I dati sono rappresentativi di 3 esperimenti. L’analisi fenotipica compiuta su cellule nelle stesse condizioni sperimentali ha dimostrato come sia la capacità di adesione (Figura 18) che l’espressione del CD11b (Figura 19) subiscono una significativa diminuzione quando l’espressione Vav1 è inibita nel corso del trattamento differenziante. 47 Risultati /ATRA /ATRA Figura 18. Percentuale di adesione di cellule Kasumi-1 coltivate per 72 ore in condizioni di controllo (ctrl siRNAs) e in presenza di 100nM PMA. dopo essere state sottoposte (Vav1 siRNAs) o meno (ctrl si RNAs PMA) alla downmodulazione dell’espressione di Vav1. I valori costituiscono la media di 3 esperimenti effettuati in duplicato, ± SD. *valori statisticamente significativi (P <0.05). /ATRA /ATRA Figura 19. Espressione dell’antigene di superficie CD11b di cellule Kasumi-1 coltivate per 72 ore in condizioni di controllo (ctrl siRNAs) in presenza di 100nM PMA dopo essere state sottoposte (Vav1 siRNAs) o meno (ctrl si RNAs PMA) alla down-modulazione dell’espressione di Vav1. I valori costituiscono la media di 3 esperimenti effettuati in duplicato, ± SD. *valori statisticamente significativi (P <0.05). Dall’insieme dei dati fin qui riportati è stato possibile dimostrare che un aumento dell’espressione di Vav1 accompagna il differenziamento in senso monocito/macrofagico delle cellule Kasumi-1 indotto sia da ATRA che da PMA. Il coinvolgimento di Vav1 nel processo differenziativo sembra tuttavia verificarsi solo nel trattamento con PMA, che induce, in questa linea cellulare, un livello di differenziamento fenotipico più avanzato rispetto all’ATRA. Questi 48 Risultati risultati sono in accordo con il più noto ruolo svolto da Vav1 nelle cellule mieloidi, che consiste sostanzialmente nella regolazione dell’architettura citoscheletrica nel corso di fenomeni caratteristici delle cellule mature, quali adesione, motilità e fagocitosi. Vav1 è una molecola cruciale per il differenziamento fenotipico in senso monocito/macrofagico di linee cellulari APL-derivate Come noto, le linee cellulari HL-60 (AML-M2/M3) ed NB4 (tipica AML-M3) possono maturare in senso simil-granulocita neutrofilo se trattate con dosi micromolari di ATRA ed in senso monocito-macrofagico se coltivate in presenza di esteri del forbolo. Poiché nel differenziamento granulocitario di entrambe le linee cellulari Vav1 gioca un ruolo essenziale e, come sopra riportato, sembra essere coinvolto anche nel differenziamento di promielociti tumorali in senso monocitario, una serie di esperimenti è stata allestita allo scopo di indagare l’eventuale coinvolgimento di Vav1 nel differenziamento monocito-macrofagico di cellule APLderivate. Esperimenti preliminari hanno consentito di valutare l’effetto del trattamento di cellule HL-60 ed NB4 con 100 nM PMA, in termini di velocità di proliferazione, adesione cellulare e modificazioni fenotipiche, allo scopo di individuare le condizioni ottimali di maturazione. Come atteso, in entrambe le linee cellulari, il PMA induce una riduzione della velocità di proliferazione cellulare (Figura 20). a 12 Control Control 10 PMA PMA cells x 10 /ml 10 8 5 8 5 cells x 10 /ml 12 b 6 4 6 4 2 2 0 0 0 24h 0 48h 24h 48h Figura 20. Curva di crescita di cellule HL-60 (a) ed NB4 (b) in condizioni di controllo (Control) e dopo tattamento con 100 nM PMA per i tempi indicati. I valori costituiscono la media di 3 esperimenti effettuati in duplicato, ± SD. La capacità di aderire alla plastica compare già a 24 ore dalla somministrazione di PMA e raggiunge un massimo, corrispondente a circa l’85% del totale per quanto riguarda le cellule HL60 e a circa 75% per quanto riguarda le cellule NB4, a 48 ore di trattamento con (Figura 21) . 49 Risultati Figura 21. Percentuale di adesione di cellule HL-60 ed NB4 coltivate per i tempi indicati in presenza di 100nM PMA. I valori costituiscono la media di 3 esperimenti effettuati in duplicato, ± SD. Il trattamento con PMA delle cellule HL-60 ed NB4 è accompagnato da una serie di modificazioni di carattere fenotipico che possono essere assunte come marcatori del livello di maturazione raggiunta. L’analisi mediante citometria a flusso ha dimostrato che l’agente differenziante induce un aumento dei livelli di espressione dell’antigene di superficie CD11b che, sia nelle HL-60 che nelle NB4, risulta più evidente nelle cellule in adesione e dopo 48 ore di CD11b expression (Mean Fluorescence Intensity) trattamento (Figura 22). 0h 24h 48h S A A S NB4 HL-60 Figura 22. Espressione dell’antigene di superficie CD11b in cellule HL-60 e NB4 coltivate coltivate per i tempi indicati in condizioni di controllo o in presenza di PMA. La valutazione del differenziamento monocito/macrofagico è stata effettuata sia sulla popolazione cellulare in sospensione (S) che su quella in adesione (A). I valori costituiscono la media di 3 esperimenti effettuati in duplicato, ± SD. 50 Risultati L’analisi effettuata mediante microscopia ottica a contrasto di fase, ha consentito di evidenziare che il trattamento con PMA induce, in entrambe le linee cellulari ed esclusivamente nella popolazione cellulare in adesione, modificazioni tempo-dipendenti delle caratteristiche morfologiche. In particolare, le cellule di entrambe le linee mostrano, già dopo 24 ore di trattamento, un profilo irregolare, caratterizzato da corte sporgenze simili a pseudopodi. Dopo 48h di trattamento con PMA, la popolazione presenta un aspetto eterogeneo, caratterizzato da cellule con forma appiattita/allargata e da cellule con un numero variabile di processi citoplasmatici più o meno lunghi, indice di motilità cellulare (Figura 23). 0h 24h 48h HL-60 NB4 Figura 23. Analisi al microscopio rovesciato a contrasto di fase della morfologia di cellule HL-60 ed NB4 coltivate in condizioni di controllo o in presenza di 100 nM PMA per i tempi indicati. I dati sono rappresentativi di 3 esperimenti. Ingrandimento 20X. Bar = 10 µm L’analisi immunochimica, eseguita con un anticorpo diretto specificamente contro Vav1 su cellule HL-60 ed NB4 trattate con PMA, ha dimostrato che l’espressione di questa proteina aumenta in seguito al trattamento con l’agonista, a tutti i tempi esaminati e particolarmente nelle cellule che acquisiscono capacità di adesione (Figura 24). 51 Risultati HL-60 24h PMA - NB4 24h 48h S A + + 16.7 24.9 S A + + - 16.9 33.6 23.8 - 48h S A + + 16.1 31.9 - S A + + 27.6 33.0 WB: Vav1 a.u. 97 kDa 5.8 8.3 26.3 55 kDa WB: β-tubulin a.u. 50.6 53.7 48.7 45.9 47.1 46.5 40.8 23.9 31.4 47.4 51.5 39.0 Figura 24. Analisi immunochimica effettuata con l’anticorpo anti-Vav1 su lisati di cellule HL-60 ed NB4 coltivate per i tempi indicati in condizioni di controllo o in presenza di PMA. L’ibridazione con l’anticorpo anti-β-tubulina costituisce un controllo interno di carica proteica. La valutazione dell’espressione di Vav1 è stata effettuata sia sulla popolazione cellulare in sospensione (S) che su quella in adesione (A). L’analisi densitometrica è stata riportata sotto forma di unità arbitrarie (a.u.). I dati sono rappresentativi di 3 esperimenti. L’espressione di Vav1 nelle cellule HL-60 ed NB4 trattate con PMA è stata valutata anche mediante analisi immunocitochimica, allo scopo di correlare i livelli di espressione della proteina con le modificazioni morfologiche a cui le cellule vanno incontro nel corso del trattamento differenziante. L’analisi mediante microscopia a fluorescenza ha confermato l’aumento di espressione di Vav1 indotto da PMA ed ha consentito di stabilire come, particolarmente nelle cellule NB4, la proteina si accumuli all’interno del compartimento nucleare come conseguenza del trattamento differenziante (Figura 25). NB4 HL-60 Control Control 48h PMA 48h PMA a b Figura 25. Immagini rappresentative di cellule HL-60 ed NB4 coltivate in condizioni di controllo e differenzianti (48h PMA) e sottoposte ad analisi di immunocitochimica con l'anticorpo anti-Vav1 (a). In b sono riportate immagini ottenute per sovrapposizione del segnale derivato dall’ibridazione di Vav1 (verde) e dalla colorazione nucleare con DAPI (azzurro). Ingrandimento 20X. Bar = 10 µm. 52 Risultati Questa prima serie di risultati dimostra che, per quanto riguarda i promielociti tumorali APLderivati, un aumento di espressione della proteina Vav1 caratterizza sia il differenziamento in senso granulocitario che in senso monocito/macrofagico. Ciò suggerisce che, in questo modello cellulare, Vav1 giochi un ruolo chiave nel raggiungimento di un fenotipo più differenziato, indipendentemente dalla filiera ematopoietica e dall’agente differenziante utilizzato Allo scopo di stabilire il coinvolgimento della proteina Vav1 nel differenziamento monocito/macrofagico indotto da PMA nelle linee cellulari APL-derivate HL-60 ed NB4, l’incremento di espressione della proteina Vav1 indotto da PMA è stato contrastato mediante l’utilizzo di specifici siRNAs. Come riportato in Figura 26, la strategia di down-modulazione, particolarmente efficiente nelle cellule NB4, ha garantito una riduzione dell’espressione di Vav1 per l’intera durata del trattamento differenziante (48 ore). HL-60 S ctrl siRNA + Vav1 siRNAs 48h PMA - + + NB4 S A + + + + + + A + - + + + + + + 16.7 16.9 2.2 27.3 + + 97 kDa WB: Vav1 a.u. 3.3 29.5 23.5 39.2 13.6 1.1 WB: β-tubulin a.u. 30.3 55 kDa 27.8 24.3 24.5 25.7 25.0 30.9 20.7 26.3 24.6 Figura 26. Analisi immunochimica effettuata con l’anticorpo anti-Vav1 su lisati di cellule HL-60 ed NB4 in cui è stata (Vav1 siRNAs) o meno (ctrl siRNA) down-modulata l’espressione della proteina, coltivate per 48 ore in condizioni di controllo o in presenza di PMA L’ibridazione con l’anticorpo anti-β-tubulina costituisce un controllo interno di carica proteica. La valutazione dell’espressione di Vav1 è stata effettuata sia sulla popolazione cellulare in sospensione (S) che su quella in adesione (A). L’analisi densitometrica a cui sono stati sottoposti gli autoradiogrammi è stata riportata sotto forma di unità arbitrarie (a.u.). I dati sono rappresentativi di 3 esperimenti. Gli effetti della down-modulazione dell’espressione di Vav1 sul processo di maturazione indotto da PMA sono stati valutati monitorando l’acquisizione del fenotipo differenziato. Come riportato in Figura 27, quando l’aumento di espressione Vav1 indotto dal PMA è contrastato, si verifica una diminuzione sostanziale della percentuale di cellule che acquisiscono capacità di adesione in seguito al trattamento differenziante, particolarmente evidente nella linea cellulare NB4. 53 Risultati 100 ctrl siRNA + 48h PMA * adhesion (%) 80 Vav1 siRNAs +48h PMA 60 * 40 20 0 HL-60 NB4 Figura 27. Percentuale di adesione di cellule HL-60 ed NB4 coltivate per 48 ore in presenza di PMA dopo essere state sottoposte (Vav1 siRNAs) o meno (ctrlsi RNAs) alla down-modulazione dell’espressione di Vav1. I valori sono rappresentativi di 3 esperimenti ±SD. *valori statisticamente significativi (P <0.05). Una significativa riduzione dell’espressione del CD11b caratterizza tutta la popolazione cellulare, comprese le cellule che, nonostante la loro ridotta quantità di Vav1, conservano la capacità di adesione CD11b (Figura 28). CD11b expression (Mean Fluorescence Intensity) ctrl siRNA ctrl siRNA + 48h PMA Vav1 siRNAs + 48h PMA * * S A S HL-60 A NB4 Figura 28. Espressione dell’antigene di superficie CD11b in cellule HL-60 e NB4 coltivate per 48 ore in presenza di PMA dopo essere state sottoposte (Vav1 siRNAs PMA) o meno (ctrl si RNAs PMA) alla down-modulazione dell’espressione di Vav1. I valori sono rappresentativi di 3 esperimenti ±SD. *valori statisticamente significativi (P <0.05). Anche le modifiche della morfologia cellulare indotte dal PMA risentono della ridotta espressione di Vav1 nel corso del trattamento differenziante. In particolare, la modulazione 54 Risultati negativa della proteina Vav1 durante il trattamento differenziante diminuisce, in entrambe le linee cellulari, il numero di cellule allargate ed allungate a favore di cellule con una morfologia compattata simile a quella delle cellule coltivate in condizioni di controllo (Figura 29). Vav1 siRNAs + 48h PMA ctrl siRNA + 48h PMA F HL-60 E C E NB4 F C Figura 29. Immagini ottenute mediante microscopio a contrasto di fase di cellule HL-60 ed NB4 sottoposte (Vav1 siRNAs PMA) o meno (ctrl siRNAs PMA) alla down-modulazione dell’espressione di Vav1 e coltivate in presenza di PMA per 48h. Le frecce indicano cellule con morfologia compatta (C), appiattita (F) ed allungata (E), identificate come descritto in “Materiali e Metodi”. I dati sono rappresentativi di 3 esperimenti separati. Ingrandimento 40x. Bar= 10µm. I risultati dell’analisi morfometrica, eseguita con un programma specifico sulla popolazione in adesione, sono riportati nella Tabella 1, da cui è possibile evincere come, dopo somministrazione di PMA, le cellule NB4 mostrano un’area di adesione più estesa se paragonata a quella delle cellule HL-60 coltivate nelle medesime condizioni. Quando l'espressione di Vav1 è downmodulata durante il trattamento differenziante, l'area totale di adesione risulta significativamente diminuita in entrambe le linee cellulari, così come il numero di cellule appiattite ed allungate, in parallelo con l’aumento del numero di cellule che mostrano una forma rotonda e compatta simile 55 Risultati quelle delle cellule coltivate in condizioni di controllo (Tabella 1). Tabella 1. Effetto della down-modulazione di Vav1 sulla morfologia e adesione di cellule HL-60 ed NB4 sottoposte (Vav1 siRNAs PMA) o meno (ctrl siRNAs PMA) alla down-modulazione dell’espressione di Vav1 e coltivate in presenza di PMA per 48h. I dati sono rappresentati come medie di 4 esperimenti ±SD. *valori statisticamente significativi (P <0.05). Percentuale Percentuale Percentuale cellula compatte cellula appiattite cellula compatte Area di adesione Condizioni 2 (µ /cellula) ctrl siRNA 362.3±44.5* 31.9±1.2 31.2±7.4 37.0±8.6 Vav1 siRNAs 237.0±16.2* 50.5±9.9 22.1±0.6 27.4±10.4 ctrl siRNA 481.0±56.3* 39.4±3.7* 54.0±1.5 6.6±3.2* Vav1 siRNAs 374.1±14.8* 50.8±6.9* 47.5±7.2 1.7±0.5* HL-60 NB4 Questa seconda serie di risultati dimostra che Vav1 interviene nella regolazione di importanti fenomeni correlati al differenziamento monocito-macrofagico di promielociti tumorali, quali l’acquisizione di capacità adesive e la modulazione della morfologia cellulare, alla base delle quali è necessaria una profonda riorganizzazione dell’architettura citoscheletrica. Questo è coerente con la nozione che Vav1 è espresso nelle cellule mieloidi mature, dove una sua adeguata attività risulta necessaria per i rimaneggiamenti citoscheletrici che stanno alla base delle loro specifiche funzioni nel sangue periferico (Bhavsar et al 2009; Hall et al 2006). Poichè quasi tutte le funzioni conosciute di Vav1, ed in particolare il suo ruolo di GEF finalizzato alla regolazione del citoscheletro actinico, dipendono dalla sua fosforilazione tirosinica, questo fenomeno è stato studiato nelle corso del differenziamento monocito/macrofagico delle linee cellulari HL-60 ed NB4. L’analisi immunochimica, effettuata su immunoprecipitati ottenuti con l’anticorpo anti-Vav1 da cellule in adesione ha dimostrato che il trattamento con PMA induce, in entrambe le linee cellulari, un aumento della fosforilazione tirosinica totale della proteina (Figura 30 a). La medesima analisi è stata effettuata con un anticorpo che riconosce in modo specifico il residuo tirosinico Y174 fosforilato, riconosciuto regolatore dell’attività GEF di Vav1 nelle cellule mieloidi. I risultati, riportati in Figura 30, mostrano un aumento di fosforilazione del residuo Y174 di Vav1 solo nelle cellule NB4, compatibile con l’avanzato livello di differenziamento raggiunto da questa linea cellulare in seguito al trattamento con PMA. 56 Risultati Figura 30. Analisi immunochimica, con gli anticorpi indicati, di lisati da cellule HL-60 e NB4 coltivate in condizioni di controllo, in presenza di PMA , ATRA e/o Piceatannolo (PIC), per la valutazione dell’espressione e della fosforilazione tirosinica di Vav1 (a) e Syk (b). La valutazione di β-tubulina costituisce un controllo interno dell’equivalenza delle cariche proteiche. L'analisi densitometrica è stata espressa come unità arbitrarie(a.u.). I dati sono rappresentativi di 3 diversi esperimenti. Allo scopo di determinare se la fosforilazione tirosinica di Vav1 in questo modello sperimentale sia dipendente dalla tirosina chinasi Syk, nota per fosforilare Vav1 in cellule APL-derivate trattate con ATRA, il trattamento con PMA è stato condotto in presenza di uno specifico inibitore farmacologico di Syk. I risultati ottenuti hanno dimostrato che né la fosforilazione tirosinica totale di Vav1 né quella sul suo residuo Y174 sono dipendenti in modo significativo da Syk in questo modello sperimentale, contrariamente a quanto si verifica se le stesse linee cellulari sono indotte a differenziare in senso neutrofilico con ATRA (Figura 30 a). Il coinvolgimento di Syk nel processo di maturazione indotto da PMA nelle cellule HL-60 ed 57 Risultati NB4 è stato definitivamente escluso mediante analisi immunochimica con anticorpi specifici, che hanno dimostrato come il PMA non abbia alcun effetto né sull’espressione della proteina Syk e né sulla sua fosforilazione tirosinica, indice della sua attivazione (Figura 30 b). I risultati di questo gruppo di esperimenti hanno dimostrato che la fosforilazione tirosinica di Vav1 indotta dal PMA in cellule APL-derivate è indipendente da Syk. Questo evento è coerente con la nozione che, almeno in cellule HL-60, Syk esercita un ruolo specifico nel dirigere le cellule verso il differenziamento granulocitario (Bertagnolo et al., 2008). Questi risultati sono infine in accordo con precedenti evidenze secondo le quali, in cellule HL-60 differenziati in senso simil-macrofagico, l'attività di Syk si concentra sulle funzioni svolte dalle cellule mature, compresa la fagocitosi mediata dal complemento, in cui Syk regola, via Vav1, i livelli di polimerizzazione dell’actina (Shi et al. 2006). Vav1 regola la morfologia cellulare e nucleare di cellule NB4 trattate con PMA modulandone il citoscheletro actinico Fenomeni come adesione e migrazione cellulare richiedono modifiche della struttura del citoscheletro. Il diretto coinvolgimento di Vav1 nella riorganizzazione citoscheletrica che sta alla base delle variazioni morfologiche e funzionali indotte da PMA in promielociti tumorali è stato pertanto investigato. Dal momento che, come sopra riportato, il PMA induce le modificazioni fenotipiche più significative e la modulazione negativa di Vav1 risulta più efficiente nella linea cellulare NB4, l’indagine è stata eseguita su cellule NB4 trattate con PMA. In cellule APL-derivate indotte a differenziare con ATRA, Vav1 regola l’architettura cellulare modulando l'espressione di proteine del citoscheletro. In particolare, è stato dimostrato il coinvolgimento di Vav1 nella regolazione dell’espressione di α-tubulina (Bertagnolo et al. 2008), in accordo con dati riportati in letteratura secondo i quali il citoscheletro dei microtubuli è compromesso in topi Vav1-deficienti (Wells et al. 2005). L’analisi immunochimica eseguita con un anticorpo diretto specificamente contro l’ α-tubulina non ha consentito di evidenziare alcuna modifica dell’espressione di α-tubulina in seguito a somministrazione di PMA e/o in seguito a modulazione negativa di Vav1 nel corso del trattamento differenziante (Figura 31). 58 Risultati ctrl siRNA + Vav1 siRNAs 48h PMA WB: α-tubulin a.u. 45.0 + + + + 55 kDa 44.4 47.9 45 kDa WB: actin a.u. 25.6 35.0 24.6 22.7 19.4 WB:β-tubulin a.u. 23.3 55 kDa Figura 31. Analisi immunochimica con gli anticorpi indicati di lisati di cellule NB4 in cui è stata (Vav1 siRNAs) o meno (ctrl siRNA) down-modulata l’espressione di Vav1, coltivate per 48 ore in condizioni di controllo o in presenza di PMA. Il contenuto di β-tubulina costituisce un controllo interno di l’equivalenza delle cariche proteiche. L'analisi densitometrica sono stati espressi come unità arbitrarie (a.u.). I dati sono rappresentativi di 3 esperimenti separati. L’analisi immunocitochimica ha dimostrato come PMA induca l’organizzazione di una rete di filamenti di α-tubulina, non modificati dalla down-modulazione di Vav1 in cellule che mantengono mantenuto la capacità di aderire alla plastica, anche quando la loro morfologia appare più simile a quella delle cellule coltivate in condizioni di controllo (Figura 32). Questi risultati indicano che, durante il processo maturativo di cellule APL- derivate, Vav1 esercita un ruolo agonista/lineage-specifico nella regolazione di α-tubulina e che, per quanto riguarda l'organizzazione dei microtubuli in questo modello cellulare, il ruolo di Vav1 è finalizzato alla motilità delle cellule mature. Questo in accordo con precedenti osservazioni secondo le quali le variazioni nella dinamica dei microtubuli contribuiscono a una riduzione della velocità di migrazione in macrofagi Vav1-deficienti in risposta a CSF-1 (Wells et al.2005). Come sopra riportato, Vav1 è coinvolto nel rimodellamento del citoscheletro actinico di cellule mieloidi mature. In particolare, granulociti Vav1-deficienti mostrano ridotta motilità cellulare e reclutamento nel sangue periferico, eventi direttamente imputabili alla polimerizzazione dell’actina (Kim et al., 2003). Vav1 è inoltre necessario per la riorganizzazione del citoscheletro actinico durante la migrazione dei macrofagi, in cui l’attività di RhoA e Rac1 è stata correlata a recettori di adesione (Bhavsar et al. 2009). A partire da tali evidenze, l'espressione e la polimerizzazione dell’actina sono state analizzate in cellule NB4 trattate con PMA in presenza di ridotti livelli di Vav1. Come riportato in Figura 31, l'analisi immunochimica delle cellule che acquisiscono capacità adesive ha dimostrato come il PMA induce, in parallelo all’aumento di espressione di Vav1, un aumento l'espressione di actina. D’altro canto, l’aumento agonista-dipendente di quest’ultima è significativamente contrastato dalla down-modulazione di Vav1 durante il trattamento differenziante (Figura 31). Ciò costituisce un’ulteriore dimostrazione del fatto che Vav1, oltre che attraverso la sua attività GEF, è in grado di modulare il citoscheletro attraverso la regolazione dell’espressione di 59 Risultati specifiche componenti proteiche. ctrl siRNA ctrl siRNA + PMA Vav1 siRNAs + PMA α-tubulin /DAPI F-actin F-actin /DAPI Figura 32. Cellule NB4 sotto le condizioni sperimentali di controllo o trattate con PMA 100 nM per 48 ore in presenza di siRNAs non silenzianti o specifici siRNAs per Vav1, sono state sottoposte ad analisi immunoistochimica con un anticorpo diretto contro l’α-tubulina (verde). L’F-actina è stata analizzata TRITC phalloidina TRITC-coniugata. Dopo la colorazione nucleare con DAPI, sono state ottenute immagini sovraposte di F-actina/DAPI (rosso / blu). Tutte le immagini sono rappresentative di 3 esperimenti separati. Bar = 10 µm. Allo scopo di stabilire se Vav1 sia coinvolto anche nella regolazione della polimerizzazione dell’actina, è stato valutato l’effetto della riduzione dell’espressione di Vav1 sulla formazione dell’ actina filamentosa (F-actina). Come mostrato in Figura 32, in cellule coltivate in condizioni di controllo, l’F-actina è limitata ad un sottile strato che circonda il nucleo, difficile da apprezzare a causa del piccolo volume di citoplasma presente in questi precursori ematopoietici tumorali. Il trattamento con PMA induce un significativo aumento di F-actina, che si organizza a formare una rete di filamenti partendo da un'area di assemblaggio situata in prossimità del nucleo. L’accumulo di actina filamentosa all’interno dei lunghi e sottili processi citoplasmatici è indicativo del ruolo del citoscheletro nei processi di motilità cellulare. 60 Risultati In cellule NB4 in cui il trattamento con PMA è stata eseguito in presenza di una ridotta quantità di Vav1, una lieve diminuzione del contenuto di F-actina è stato osservato, particolarmente evidente a livello della periferia nucleare e cellulare (Figura 32). L’aumento della quantità dell’F-actina in cellule NB4 indotte a differenziare con PMA e la sua lieve diminuzione come conseguenza della down-modulazione dell’espressione di Vav1 sono stati verificati e quantificati attraverso analisi citofluorimetrica (Figura 33). Figura 33. Quantificazione dell’F-actina mediante analisi citofluorimetrica in cellule NB4 in cui è stata (Vav1 siRNAs) o meno (ctrl siRNA) down-modulata l’espressione di Vav1, coltivate per 48 ore in condizioni di controllo o in presenza di PMA. I risultati sono riportati come percentuale rispetto alla condizione di controllo, posta uguale a 100 e costituiscono la media di 3 esperimenti separati, ±SD.*valori statisticamente significativi (P <0.05). I risultati fin qui riportati dimostrano per la prima volta un ruolo diretto di Vav1 nel regolare il citoscheletro actinico attraverso la modulazione dell'espressione della proteina piuttosto che attraverso la regolazione della sua polimerizzazione. Poiché, come sopra riportato, il trattamento con PMA di cellule NB4 induce un aumento di espressione di Vav1 e actina e i livelli di actina dipendono dalla presenza di Vav1 durante il trattamento maturativo, una possibile associazione funzionale tra le due proteine è stata analizzata. Come dedotto dalla Figura 34, che riporta un’analisi mediante miscroscopia confocale della colocalizzazione di Vav1 ed actina filamentosa, quest’ultima aumenta notevolmente in seguito a trattamento con PMA delle cellule NB4. In particolare, nella maggioranza delle cellule aderenti, ampie regioni nelle quali le due proteine co-localizzano sono situate in corrispondenza dell’area di accumulo dell’F-actina in prossimità del compartimento nucleare (Figura 34). 61 Risultati Control 48h PMA Figura 34. Cellule NB4 coltivate nella condizione di controllo o trattate con PMA per 48 ore sono state sottoposte ad analisi immunocitochimica per la valutazione della co-localizzazione Vav1/F-actina. Le immagini sono state ottenute mediante sovrapposizione dei segnali derivanti dalla proteina Vav1 (verde) e dalla F-actina (rosso) e sono rappresentative di 3 esperimenti separati. Bar = 10 µm. Un'analisi più dettagliata della co-localizzazione tra Vav1 ed F-actina in cellule che presentavano una morfologia allungata o appiattita ha dimostrato come l’F-actina delimita in modo evidente la periferia nucleare e, solo nelle cellule allungate, sembra essere localizzata a livello citoplasmatico, con un addensamento nelle lunghe protrusioni citoplasmatiche (Figura 35). F-actin Merge Vav1 a b Figura 35. Cellule NB4 coltivate in presenza di PMA per 48 ore sono state sottoposte ad analisi immunocitochimica per la valutazione della distribuzione di Vav1 (verde), F-actina (rosso) e la loro colocalizzazione Vav1/F-actinamostrata da immagini ottenute mediante sovrapposizione dei segnali derivanti dalla proteina Vav1 e dalla F-actina. Le immagini e sono rappresentative di 3 esperimenti separati. Bar = 10 µm. 62 Risultati La proteina Vav1, come l’actina filamentosa, definisce in modo evidente la periferia nucleare e, diversamente dalla F-actina, mostra una distribuzione omogenea nel citoplasma di entrambe le tipologie cellulari (Figura 36). La simultanea acquisizione mediante microscopio confocale dei segnali corrispondenti a Vav1 ed F-actina ha permesso di evidenziare una co-localizzazione tra le due proteine in prossimità del nucleo. Solo un co-localizzazione parziale tra Vav1/F-actina è stata osservata a livello della periferia nucleare e dei processi sottili delle cellule di forma allungata. Infine, le due molecole risultano per lo più dissociate all’interno del nucleo e nella maggior parte del citoplasma di entrambe le tipologie cellulari (Figura 36). Poiché l'esistenza di processi citoplasmatici in cellule aderenti trattate con PMA è indicativa di attività migratoria (Stricker et al. 2010), la co-localizzazione di Vav1 con F-actina a livello dei prolungamenti citoplasmatici suggerisce una sinergia delle due molecole nella modulazione della motilità cellulare. Recenti dati suggeriscono che il citoscheletro actinico è coinvolto nella regolazione della forma nucleare di cellule aderenti attraverso una struttura filamentosa di actina, denominata “perinuclear actin cap”, che si trova sopra ed intorno al nucleo durante l’interfase (Khatau et al. 2009). A partire da queste nozioni e dai risultati sopra riportati che indicano che Vav1 e F-actina co-localizzano intorno al nucleo di cellule NB4 trattate con PMA, è stata effettuata un'ulteriore analisi allo scopo di determinare se, nel nostro modello cellulare, Vav1 può cooperare con l'Factina per regolare morfologia nucleare. Con questo intento, sezioni confocali ottenute nella regione apicale, a circa metà della dimensione cellulare e in prossimità della superficie basale delle cellule NB4 trattate con PMA, sono state analizzate per valutare la co-localizzazione di Vav1 ed F-actina. Come mostrato nella Figura 36, le immagini ottenute a livello basale rivelano omogeneità di distribuzione sia della proteina Vav1 (verde) che dell’F-actina (rosso) e una colocalizzazione tra Vav1/F-actina quasi esclusivamente limitata alle aree di accumulo in prossimità del nucleo. Le sezioni ottenute a circa metà della dimensione cellulare mostrano una maggiore quantità di Factina, situata principalmente intorno e vicino al nucleo. Nelle stesse sezioni, Vav1 definisce la periferia nucleare, senza alcuna modifica evidente della sua quantità rispetto alle sezioni basali. Per quanto riguarda le immagini ottenute a livello apicale, è possibile osservare un ulteriore aumento di F-actina, la cui distribuzione si estende a coprire quasi completamente la superficie della cellula. In queste sezioni, la quantità di Vav1 appare perfettamente sovrapponibile a quella delle sezioni precedenti ma la proteina co-localizza quasi completamente con la F-actina. 63 Risultati apical mid-height basal F-actin Vav1 Merge . Figura 36. Cellule NB4 trattate con PMA sottoposte ad analisi immunocitochimica con un anticorpo anti-Vav1 (verde) colorate e phalloidin fallidina coniugata a TRITC (rosso) per evidenziare il citoscheletro actinico. Le immagini sono state ottenute mediante microscopia di sezioni confocali raccolte a livello apicale, a media altezza e livello basale. I due canali sono stai uniti per valutare la co-localizzazione (merge). Le immagini sono rappresentativi di 3 esperimenti separati. Bar = 10 micron. Bar=10 micron. Poiché, in cellule NB4 trattate con PMA la co-localizzazione Vav1/F-actina sembra riguardare quasi esclusivamente la periferia nucleare e la regione sovrastante il nucleo, le due proteine potrebbero cooperare nel regolare la forma del nucleo attraverso una struttura di actina filamentosa simile a quella del “perinuclear actin cap” descritto da Khatau et al. (2009). E’ noto che, oltre alla motilità, l’actina filamentosa regola l'adesione cellulare (Stricker et al. 2010). La mancanza di una significativa co-localizzazione di Vav1 ed F-actina a livello della porzione basale delle cellule NB4 in adesione suggerisce che, nel nostro modello cellulare, il ruolo di Vav1 nel regolare l'adesione cellulare indotta da PMA è legata alla sua possibilità di modulare l'espressione di integrine di superficie, come CD11b, piuttosto che incidendo direttamente sul citoscheletro actinico. 64 Risultati PU.1 regola l’espressione di Vav1 durante il differenziamento monocito/macrofagico indotto da PMA in cellule AML-derivate Come in altri precursori mieloidi tumorali, in cellule APL-derivate indotte a differenziare in senso granulocitario con ATRA, l’espressione di Vav1 sembra dipendere dal fattore di trascrizione PU.1, la cui espressione è a sua volta indotta dall’attività dell’agonista (Brugnoli et al. 2010). Una successiva serie di esperimenti è stata pertanto compiuta allo scopo di stabilire se, anche nella maturazione di precursori mieloidi tumorali lungo la filiera monocito/macrofagica, l’espressione di Vav1 dipende dall’attività di PU.1. L’indagine è stata compiuta sulle linee cellulari Kasumi-1 (AML-M2) ed NB4 (AML-M3), che, secondo quanto riportato nelle sezioni precedenti, mostrano la massima risposta, in termini di aumento dell’espressione di Vav1, in seguito a somministrazione di PMA. Cellule Kasumi-1 ed NB4 sono state pertanto transfettate con un siRNA specifico per l’mRNA di PU.1, quindi trattate con PMA per i tempi corrispondenti al differenziamento ottimale. I risultati dell’analisi immunochimica compiuta con anticorpi specifici su lisati cellulari totali dimostrano che PU.1, contrariamente a Vav1, non subisce alcuna significativa modifica di espressione in risposta all’agente differenziante (Figura 37). L’utilizzo di specifici siRNAs riduce significativamente l'espressione del fattore di trascrizione, in entrambe linee cellulari e per l’intera durata del trattamento differenziante (Figura 37). NB4 ctrl siRNA PU.1 siRNAs PMA + - + + Kasumi-1 + + + - + + + + 97 kDa WB: Vav1 a.u 7.2 18.9 2.3 20.4 29.6 6.8 40 kDa WB: PU.1 a.u. 5.1 4.7 0.4 40.2 44.1 1.5 WB: β-tubulin a.u. 30.3 55 kDa 25.8 24.3 18.2 21.9 17.4 Figura 37. Analisi immunochimica con gli anticorpi indicati di lisati di cellule NB4 e Kasumi-1 in cui è stata (PU.1 siRNAs) o meno (ctrl siRNA) down-modulata l’espressione di PU.1, coltivate rispettivamente per 48 ore e 72 ore in condizioni di controllo o in presenza di PMA. Il contenuto di β-tubulina costituisce un controllo interno di l’equivalenza delle cariche proteiche. L'analisi densitometrica sono stati espressi come unità arbitrarie (a.u.). I dati sono rappresentativi di 3 esperimenti separati. 65 Risultati La down-modulazione dell’espressione di PU.1 nel corso del trattamento con PMA di entrambe le linee cellulari Kasumi-1 ed NB4 induce una significativa riduzione dell’espressione di Vav1 (Figura 37) dimostrando che, anche nel differenziamento monocito/macrofagico indotto da PMA in linee cellulari AML-derivate, l’espressione di Vav1 risulta essere dipendente dall’attività trascrizionale di PU.1. L’analisi citofluorimetrica eseguita su cellule nelle stesse condizioni sperimentali ha permesso di evidenziare come la down-modulazione di PU.1 nel corso del trattamento differenziante contrasti l’aumento di espressione dell’antigene di superficie CD11b indotto dal PMA (Figura 38). Questi risultati costituiscono un’ulteriore conferma che, nel corso della maturazione di cellule AMLderivate in senso monocito/macrofagico indotta da agonisti, l’espressione del CD11b dipende dall’attività trascrizionale di PU.1 (Burda et al. 2010). ctrl siRNAs 450,00 ctrl siRNAs+PMA CD11b expression (MFI) 400,00 PU.1 siRNA+PMA 350,00 Vav1 siRNA+PMA 300,00 * 250,00 200,00 150,00 100,00 * * * 50,00 0,00 NB4 Kasumi-1 Figura 38. Espressione dell’antigene di superficie CD11b in cellule NB4 e Kasumi-1 in condizioni di controllo o trattate con PMA rispettivamente per 48 ore o 72 ore dopo essere state sottoposte (Vav1 siRNAs, PU.1 siRNAs) o meno (ctrl si RNAs) alla down-modulazione dell’espressione di Vav1, o PU.1. I valori sono rappresentativi di 3 esperimenti ±SD. *valori statisticamente significativi (P <0.05). Vav1 e PU.1 nella regolazione dell’espressione di CD11b durante il differenziamento monocito/macrofagico di precursori mieloidi tumorali In cellule APL-derivate indotte a differenziare in senso granulocitario in seguito a trattamento con ATRA, Vav1 e PU.1 sembrano cooperare per la regolazione dell’espressione dell’antigene di superficie Cd11b . In particolare, Vav1 sembra essere coinvolto nella formazione di complessi molecolari contenenti PU.1 sul promotore del CD11b (Brugnoli et al. 2010). Poichè, come sopra riportato, anche nel differenziamento monocito/macrofagico di precursori mieloidi tumorali indotto da PMA, Vav1 e PU.1 sembrano essere coinvolti nella regolazione dell’espressione del CD11b, una possibile cooperazione tra le due proteine è stata 66 Risultati investigata. A tale scopo, è stata dapprima verificata l’associazione Vav1/PU.1 in cellule Kasumi-1 ed NB4 tratte con PMA. Attraverso l’analisi immunochimica eseguita su immunoprecipitati con anticorpi specificamente diretti contro le due proteine è stato possibile identificare, in entrambe le linee cellulari coltivate in condizioni di controllo, una modesta interazione tra Vav1 e PU.1 (Figura 39). Il trattamento con PMA non induce nessun significativo aumento dell’associazione tra le due proteine nella linea cellulare Kasumi-1, contrariamente a quanto si verifica nella linea cellulare NB4 (Figura 39). Risultati simili sono stati ottenuti sugli immunoprecipitati eseguiti con gli anticorpi diretti contro Vav1 e PU.1 (Figura 39), indicativi del fatto che, almeno nella linea cellulare NB4, Vav1 e PU.1 potrebbero essere presenti in complessi macromolecolari indotti dal PMA. Ip: Vav1 PMA - Ip: PU.1 Kasumi-1 NB4 + - + PMA WB: Vav1 a.u. - + - + 27,6 5,1 11,8 3,4 0,4 0,4 WB: PU.1 17,9 32,6 8,4 a.u. 19,4 44,1 WB: Vav1 WB: PU.1 a.u. Kasumi-1 NB4 0,6 2,1 0,2 0,3 a.u. 1,1 Figura 39. Analisi immunochimica con gli anticorpi indicati di immunoprecipitati effettuati con gli anticorpi diretti contro Vav1 e PU.1 di lisati cellulari totali ottenuti da cellule NB4 e Kasumi-1 coltivate rispettivamente per 48 e 72 ore in presenza o assenza di PMA. I dati sono rappresentativi di tre esperimenti separati. La possibile cooperazione di Vav1 e PU.1 nella regolazione dell'espressione del CD11b durante il differenziamento indotto da PMA in cellule AML-derivate è stata investigata valutando la presenza delle due proteine sulla sequenza consenso per PU.1 sul gene per l’antigene di superficie. A tale scopo, saggi di mobilità elettroforetica sono stati eseguiti sui lisati nucleari da cellule Kasumi-1 ed NB4 differenzianti, utilizzando la sequenza di riconoscimento per PU.1 localizzata a -21/-12 bp sul promotore del gene che codifica per l’antigene CD11b. Tale regione è stata scelta, tra le 3 sequenze “consensus” di PU.1 identificate sul promotore del CD11b poichè, secondo quanto riportato in letteratura in modelli di differenziamento mieloide, questa risulta essenziale per l’attività del promotore stesso. La stessa sequenza è in grado di interagire con complessi molecolari contenenti Vav1 e/o PU.1 in cellule NB4 trattate con ATRA (Brugnoli et al. 2010). Per quanto riguarda le cellule Kasumi-1, i primi risultati ottenuti hanno consentito di 67 Risultati identificare, nelle cellule coltivate in condizioni di controllo, 3 complessi molecolari a diversa mobilità elettroforetica (Figura 40), identificati come A, B, C. L’aggiunta nel saggio dell’anticorpo diretto specificamente contro PU.1 ha permesso di stabilire la presenza del fattore di trascrizione nei due complessi a maggiore mobilità (B e C), come dedotto dalla scomparsa delle bande corrispondenti e dalla comparsa di bande a minore mobilità (super-shift), compatibili con lo spostamento verso l’alto dei complessi molecolari appesantiti dall’interazione con l’anticorpo. L’aggiunta nel saggio dell’anticorpo diretto specificamente contro Vav1 non determina modifiche significative della mobilità elettroforetica di nessuno dei complessi molecolari evidenziati, suggerendo che, in questo modello cellulare, la proteina Vav1 non è parte di complessi molecolari sul promotore del CD11b nella condizione di controllo (Figura 40). Kasumi-1 Control Abs - PU.1 Vav1 PMA - PU.1 Vav1 CP Super-Shift A D B C Figura 40. Estratti nucleari da cellule Kasumi-1 nelle condizioni di controllo trattate con PMA per 72 ore sono stati sottoposti a EMSA usando come sonda l'oligonucleotide corrispondente alla sequenza consenso -22/-12 bp di PU.1 situato sul promotore del CD11b. Il supershift è stato eseguito incubando gli estratti nucleari con gli anticorpi indicati. L'uso di sonde a freddo (CP) ha permesso di valutare la specificità della proteina legante il DNA. Le frecce indicano i complessi maggiori. I dati sono rappresentativi di tre esperimenti separati. Il trattamento con PMA determina una profonda modifica nel profilo di migrazione dei complessi in grado di interagire con il promotore per il CD11b. In particolare, si osserva una forte riduzione dei complessi a maggior mobilità (B e C) evidenziati nella condizione di controllo e la comparsa di un nuovo complesso con minore mobilità elettroforetica (D). L’aggiunta nel saggio dell’anticorpo anti-PU.1 determina, in aggiunta alla scomparsa dei complessi B e C residui, il super-shift del nuovo complesso identificato (D), indicando la partecipazione di PU.1 al complesso stesso. Anche in questo caso è stata valutata la presenza di Vav1 nei complessi molecolari mediante aggiunta dell’anticorpo specifico nella miscela di 68 Risultati reazione. Come riportato in Figura 40, sebbene l’anticorpo diretto contro Vav1 non modifichi in maniera evidente il profilo di migrazione, si osserva una riduzione di intensità del complesso di nuova formazione contenente PU.1 (D) a favore di una evidente intensificazione del complesso con maggiore mobilità, contenente anch’esso PU.1 (C). Per quanto riguarda il complesso a minor mobilità (A), questo si intensifica quando gli anticorpi diretti contro PU.1 o Vav1 sono aggiunti alla miscela di reazione, sia nelle condizioni di controllo che differenziate (Figura 40), lasciando aperta la questione della possibile presenza delle due proteine nel complesso molecolare. Questi ultimi dati suggeriscono che Vav1, in cellule Kasumi-1 trattate con PMA, pur non essendo presente negli stessi complessi molecolari contenente PU.1, potrebbe regolare l’accesso di questo fattore di trascrizione al promotore del CD11b . Saggi di mobilità elettroforetica compiuti su lisati nucleari da cellule NB4 trattate con PMA ha consentito di evidenziare, già nelle condizioni di controllo, la formazione di 4 complessi molecolari (A, B, C, D) a diversa mobilità elettroforetica (Figura 41). NB4 Control Abs - PU.1 Vav1 PMA - PU.1 Vav1 CP Super-Shift A B C D Figura 41. Estratti nucleari ottenuti da cellule NB4 coltivate nelle condizioni di controllo o i presenza di PMA per 48 ore sono stati sottoposti a EMSA usando come sonda l'oligonucleotide corrispondente alla sequenza consenso -22/-12 bp di PU.1 situato sul promotore del CD11b. il supershift è stato eseguito incubando gli estratti nucleari con gli anticorpi indicati. L'uso di sonde a freddo (CP) ha permesso di valutare la specificità della proteina legante il DNA. Le frecce indicano i complessi maggiori. I dati sono rappresentativi di tre esperimenti separati. L’aggiunta nel saggio dell’anticorpo diretto specificamente contro PU.1 ha permesso di evidenziare la presenza di questo fattore di trascrizione nei 3 complessi a maggiore mobilità (B, C, D), come indicato dalla sostanziale riduzione delle bande corrispondenti e dalla scomparsa di 69 Risultati complessi a minore mobilità (super-shift), compatibili con lo spostamento verso l’alto dei complessi molecolari appesantiti dall’interazione con l’anticorpo. La presenza di Vav1 nei complessi molecolari evidenziati è stata valutata aggiungendo alla miscela di reazione l’anticorpo diretto specificamente contro tale proteina. Come è possibile osservare nella Figura 39, l’anticorpo anti-Vav1 determina una sostanziale diminuzione del complesso B, analogamente a quanto osservato in presenza dell’anticorpo anti-PU.1. Ciò suggerisce la co-presenza di Vav1 e PU.1 in un complesso molecolare in grado di interagire con il promotore del CD11b in cellule NB4 coltivate in condizioni di controllo. Il trattamento con l’agente differenziante determina sostanzialmente una drastica riduzione del complesso a maggiore mobilità (D) evidenziato nella condizione di controllo (Figura 41). L’aggiunta nel saggio dell’anticorpo diretto contro PU.1 determina verosimilmente il super-shift del complesso C, già presente e contenente PU.1 in condizioni di controllo, mentre sembra non essere più evidenziabile la presenza di PU.1 nel complesso B, che conteneva PU.1 in condizioni di controllo. L’aggiunta nel saggio dell’anticorpo diretto contro Vav1 determina la scomparsa del complesso B che, dopo trattamento con PMA, non sembra più contenere PU.1 (Figura 41). Da questa serie di esperimenti sembra emergere che il trattamento con PMA delle cellule NB4 si traduce nella scomparsa di PU.1 da complessi molecolari contenenti Vav1 in grado di interagire in vitro con la sequenza di riconoscimento per PU.1 localizzata in posizione –21/-12 bp sul promotore del gene che codifica per dell’antigene di superficie CD11b. Poichè l’associazione tra le due proteine è stata dimostrata aumentare in seguito al trattamento differenziante di questa linea cellulare Vav1 potrebbe modulare l’accesso del fattore di trascrizione alla sua sequenza di riconoscimento sul promotore del CD11b. In cellule NB4 trattate con ATRA, Vav1 regola la presenza nel compartimento nucleare di proteine coinvolte nella trascrizione genica e nel processamento dell’mRNA (Bertagnolo et al. 2011). L’analisi della composizione dei complessi molecolarii in grado di interagire con la sequenza consenso per PU.1 sul promotore per CD11b potrebbe pertanto stabilire con certezza l’eventuale presenza di Vav1 nei complessi molecolari o stabilire per questa molecola adattatrice un ruolo specifico nel reclutare a livello nucleare le componenti dei complessi trascrizionali contenenti PU.1. A tale scopo, è in corso la messa a punto di un saggio di mobilità elettroforetica in cui la sequenza di riconoscimento per il fattore di trascrizione è coniugata con un fluoroforo anzichè marcata con fosforo radioattivo. Ciò consentirebbe di identificare agevolmente i complessi molecolari su gel non denaturante, la loro asportazione, digestione proteica ed analisi mediante spettrometria di massa. 70 Conclusioni CONCLUSIONI La cura delle AML, che rappresentano il 30% delle leucemie nell'adulto, si basa primariamente sull’utilizzo di farmaci in grado di contrastare la proliferazione e l’invasività delle cellule neoplastiche, nonchè di indurne l’apoptosi. Nonostante l’introduzione di nuove strategie terapeutiche, tra cui l’impiego di agenti differenzianti, abbia migliorato la prognosi di alcuni sottotipi di AML, la ricerca di nuove terapie per i pazienti con AML rimane attiva soprattutto nella ricerca di potenziali bersagli molecolari. La proteina multidominio Vav1 gioca un ruolo fondamentale per il differenziamento e per le funzioni svolte dalle cellule ematopoietiche normali nel durante la risposta immunitaria. Sia nelle cellule linfoidi che mieloidi, Vav1 regola la riorganizzazione del citoscheletro actinico, alla base delle modificazioni della morfologia cellulare che si verificano ne corso di adesione, migrazione e fagocitosi. In aggiunta al suo ruolo fisiologico, Vav1 svolge un ruolo cruciale nel differenziamento similneutrofilo indotto da ATRA in linee cellulari AML-M3 derivate, attraverso non convenzionali ed interconnessi meccanismi. Alla luce di queste evidenze, gli esperimenti riportati in questa tesi sono stati finalizzati all'identificazione di un eventuale ruolo di Vav1 nel processo maturativo di precursori mieloidi tumorali anche in senso monocito-macrofagico A tale scopo, è stato valutato l’effetto della modulazione negativa di Vav1 nel corso del differenziamento indotto da agonisti di cellule AML-derivate lungo la filiera monocito/macrofagica. In tutti i modelli di differenziamento utilizzati, il ruolo di Vav1 è stato studiato valutando caratteristiche correlate al raggiungimento del differenziamento monocitomacrofagico quali acquisizione della capacità di adesione, modificazioni della morfologia cellulare e aumento di espressione dell’antigene di superficie CD11b. Dai risultati ottenuti è emerso che, nonostante un aumento dell’espressione di Vav1 accompagni il differenziamento monocitario di cellule Kasumi-1 indotto sia da ATRA che da PMA, Vav1 risulta essenziale per la maturazione fenotipica, in termini di acquisizione delle capacità adesive ed espressione di Cd11b, solo in risposta al PMA. Poichè PMA induce, in questa linea cellulare, un livello di differenziamento più avanzato rispetto all’ATRA, Vav1 sembra essere coinvolto negli aspetti più tardivi della maturazione in senso monocito/macrofagico, in corrispondenza dei più significativi riarrangiamenti citoscheletrici. Poiché le linee cellulari APL-derivate HL-60 ed NB4 hanno un potenziale maturativo bi-lineare in quanto possono differenziare a granulociti neutrofili se trattate con ATRA o a 71 Conclusioni monociti/macrofagi dopo trattamento con esteri del forbolo, è stato studiato l’eventuale coinvolgimento di Vav1 nel differenziamento monocito/macrofagico indotto da PMA in entrambe le linee cellulari. I risultati ottenuti hanno dimostrato che, in entrambe le linee, l’acquisizione di un fenotipo maturo indotto da PMA è accompagnato da una aumento di espressione di Vav1. La modulazione negativa della proteina ha consentito di stabilire che Vav1 svolge un ruolo cruciale nel determinare l’acquisizione di caratteristiche che correlano con il differenziamento in senso monocito/macrofagico delle linee APL-derivate HL-60 ed NB4, quali espressione di CD11b, capacità di adesione e modifiche della morfologia cellulare, indice della potenzialità migratoria. Considerato che, generalmente, Vav1 è coinvolto nella riorganizzazione citoscheletrica, il possibile ruolo di Vav1 nel regolare il citoscheletro è stato studiato in questo modello sperimentale. Dai risultati è emerso che, contrariamente a ciò che si verifica nel corso del differenziamento granulocitario, Vav1 non è implicato nella modulazione dell’espressione del componente dei microtubuli α-tubulina, suggerendo che, per quanto riguarda l’organizzazione dei microtubuli, il ruolo di Vav1 è limitato alla motilità delle cellule mature, in accordo con precedenti dati che indicano che modifiche della dinamica dei microtubuli contribuiscono alla riduzione della velocità di migrazione di macrofagi non esprimenti Vav1. Anche l’actina è coinvolta in numerosi processi fisiologici che richiedono modificazioni della morfologia cellulare, come l’adesione, migrazione e fagocitosi di cellule ematopoietiche mature, e la sua polimerizzazione sembra essere regolata da Vav1 in cellule APL-derivate indotte a maturare in senso granulocitario. I dati riportati in questa tesi riportano, per la prima volta, il ruolo di Vav1 nel regolare espressione di actina in cellule NB4 trattate con PMA, indicando che Vav1 prende parte nella riorganizzazione del citoscheletro anche come modulatore dell’espressione di specifiche componenti proteiche. Attraverso analisi mediante microscopia confocale, è stato possibile dimostrare come la somministrazione di PMA induca, in cellule NB4, la formazione di un network di F-actina che definisce la periferia nucleare, si accumula in prossimità del nucleo ed all'interno delle estroflessioni citoplasmatiche. In tutte queste regioni cellulari, il trattamento con l’agonista induca la co-localizzazione di F-actina con Vav1, suggerendo una cooperazione delle due molecole nella modulazione della morfologia cellulare e nucleare. L’analisi di sezioni confocali, effettuate su diversi piani, ha dimostrato una quasi completa colocalizzazione Vav1/F-actina nella regione che sovrasta il nucleo stesso. Questo risultato 72 Conclusioni suggerisce una possibile cooperazione tra le due proteine nella regolazione della morfologia nucleare attraverso una struttura simile a quella descritta come il “perinuclear actin cup” ed avente lo scopo di regolare la morfologia nucleare nelle cellule in adesione. La scarsa co-localizzazione Vav1/F-actina osservata in prossimità della superficie basale suggerisce che, nel nostro modello cellulare, il ruolo di Vav1 nel regolare l’adesione cellulare è legata alla sua capacità di regolare l'espressione di integrine di superficie, come il CD11b, piuttosto che ad una sua azione diretta nella regolazione del citoscheletro actinico. Analogamente a quello che avviene in cellule APL-derivate indotte a differenziare in senso granulocitario con ATRA, nel differenziamento monocoto/macrofagico indotto da PMA in cellule AML-derivate, è stato possibile dimostrare che l’espressione di Vav1 dipende dal fattore di trascrizione PU.1, responsabile anche dell’espressione dell’antigene di superficie Cd11b. Poichè in cellule APL-derivate, Vav1 sembra regolare la formazione di complessi molecolari contenenti PU.1 sul promotore del CD11b, la possibile cooperazione tra le due proteine nella regolazione dell’espressione dell’antigene di superficie è stata studiata anche nel corso del differenziamento monocito/macrofagico indotto da PMA. I risultati ottenuti mediante saggi di mobilità elettroforetica dimostrano che, nel corso del differenziamento indotto da PMA in cellule NB4 e Kasumi-1, Vav1, come PU.1 vengono reclutati alla sequenza “consensus” per PU.1 localizzata sul promotore del gene per il CD11b. In particolare, in cellule Kasumi-1 trattate con PMA, Vav1 non risulta essere presente negli stessi complessi molecolari contenente PU.1 mentre nelle cellule NB4 il trattamento con l’agonista si traduce nella scomparsa di PU.1 da complessi molecolari contenenti Vav1. Poichè l’associazione tra le due proteine è stata dimostrata in queste linee cellulari, Vav1 potrebbe modulare l’accesso del fattore di trascrizione PU.1 alla sua sequenza di riconoscimento sul promotore del CD11b. Recenti studi dimostrano che il trattamento di linee cellulari AML-derivate con agenti differenzianti, quali ATRA e PMA, aumenta la loro sensibilità ai chemioterapici, proponendo come strategia terapeutica un trattamento differenziante che precede il classico utilizzo di agenti chemioterapici ed aprendo la via alla identificazione di molecole da utilizzare come bersagli terapeutici comuni a diversi sottotipi di leucemia mieloide acuta. Dal momento che Vav1 è essenziale anche per il differenziamento in senso granulocitario di cellule mieloidi tumorali, i dati riportati in questa tesi concorrono a stabilire per questa proteina un ruolo chiave nel completamento del programma differenziativo di cellule derivate da leucemia mieloide acuta lungo diverse filiere ematopoietiche, suggerendo Vav1 come potenziale target comune per lo sviluppo di nuove terapie nel trattamento delle AML. 73 Bibliografia BIBLIOGRAFIA Albin M, Björk J, Welinder H, Tinnerberg H, Mauritzson N, Johansson B, Billström R, Strömberg U, Mikoczy Z, Ahlgren T, Nilsson PG, Mitelman F, Hagmar L. Acute myeloid leukemia and clonal chromosome aberrations in relation to past exposure to organic solvents. Scand J Work Environ Health, 2000; 26: 482-91. Amarasinghe GK, Rosen MK. Acidic region tyrosines provide access points for allosteric activation of the autoinhibited Vav1 Dbl homology domain. Biochemistry, 2005; 44: 1525768. 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