Sister Rassegna stampa 1
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Sister Rassegna stampa 1
RASSEGNA STAMPA CINEMATOGRAFICA SISTER Editore S.A.S. Via Goisis, 96/b - 24124 BERGAMO Tel. 035/320.828 - Fax 035/320.843 - Email: [email protected] L'ENFANT D'EN HAUT 1 Regia: Ursula Meier Interpreti: Léa Seydoux (Louise), Kacey Mottet Klein (Simon), Martin Compston (Mike), Gillian Anderson (Signora inglese), Jean-François Stévenin (Cuoco), Yann Trégouët (Bruno), Gabin Lefebvre (Marcus), Dilon Ademi (Dilon), Magne-Håvard Brekke (Sciatore), Johan Libéreau Genere: Commedia/Drammatico - Origine: Svizzera/Francia - Anno: 2011 - Sceneggiatura: Antoine Jaccoud, Ursula Meier, Gilles Taurand Fotografia: Agnès Godard - Musica: John Parish - Montaggio: Nelly Quettier - Durata: 97' - Produzione: Archipel 35/Véga Films in coproduzione con RTS Radio Télévision Suisse/Band à part Films - Distribuzione: Teodora Films (2012) Autrice finora di due lungometraggi, questo e il precedente "Home" (2008), Ursula Meier ha costruito le proprie storie intorno all'idea della 'frontiera', della linea di passaggio. Una vera e propria barriera di confine, concretissima e ben visibile (nel primo film era un'autostrada, qui una funivia) capace però di colorarsi di valenze metaforiche e in qualche modo fantastiche. Proprio come i suoi film, che sembrano all'apparenza realistici e 'documentari' (genere in cui la Meier si è misurata in passato con successo) per poi prendere la dimensione di una favola contemporanea, con tutta la forza immaginativa e metaforica che porta con sé. La 'frontiera' di "Sister" è quella segnata dal percorso di una funivia che mette in contatto un fondovalle brullo e polveroso, come solo certi agglomerati popolari sembrano capaci di essere, con i campi di sci innevati e baciati dal sole. Giù, in basso, si vedono solo ragazzini poco raccomandabili e sicuramente poco abbienti; in alto, invece, si respira il benessere e l'opulenza. Ed è per questo che ogni giorno il piccolo Simon (Kacey Mottet Klein, straordinario) varca quel confine metaforico e sale dai 'suoi', prati senza erba ai 'loro' campi con la neve. Nel viaggio diventa un altro, si maschera e si nasconde dentro un passamontagna e una giacca a vento e si trasforma in un ladro. Ruba tutto quello che gli capita a tiro: occhiali da neve, zaini, sci per ragazzi. Più che un ladro professionista sembra un raccoglitore bulimico di cose altrui. Prende tutto per poi nasconderlo in strani anfratti, come un animale che ammassi provviste per l'inverno. Non che non tragga vantaggi dai suoi furti: lo vediamo vendere occhiali e cappelli ai suoi amici e poi sci e altri oggetti anche ai cuochi del ristorante della stazione sciistica, ma si capisce che c'è qualche cosa che non funziona, che i prezzi sono fin troppo bassi, che Simon sembra preoccuparsi più della quantità della refurtiva che del suo effettivo valore. Un po' di luce ci arriva quando incontriamo la sorella del ragazzo, Louise (Léa Seydoux, altrettanto straordinaria). Dovrebbe essere lei a prendersi cura del fratello minore e invece le parti sono invertite: la ragazza non sembra capace di mantenere un posto di lavoro più di tanto, così come sembra piuttosto volubile nei suoi legami sentimentali. E tocca al ragazzino passarle i soldi per le sigarette, per uscire la sera, per mangiare, con un ribaltamento dei ruoli che inizia a spiegare le ragioni di certi comportamenti, di certi modi di agire, di certe 'ossessioni'. Fin qui, e siamo a metà circa del film (premiato a Berlino), la Meier ha messo in atto la tattica del pedinamento, con una macchina da presa molto mobile che insegue le sue 'prede', concedendo poco al quadro d'insieme, alla voglia di capire un po' di più. Chiede allo spettatore di accettare quello che vede, di leggere il film come un continuo 'passaggio' da un mondo all'altro, dal basso all'alto, dalla povertà alla ricchezza (anche se degli altri, dei turisti da derubare), dalla solitudine all'attenzione altrui (l'incontro con la turista inglese Gillian Anderson - inventando una storia che puzza da lontano di bugia). Un po' dalle parti dei Dardenne e della loro voglia di pedinare la realtà. A metà del film però le carte improvvisamente cambiano e la sceneggiatura (della regista con Antoine Jaccoud e Gilles Tourand) ci regala un colpo di scena che colpisce lo spettatore come un pugno nello stomaco. Sarebbe inge- neroso svelarlo ma non si può non dire che da questo momento in poi tutto cambia senso, per incamminarsi verso una dimensione più cupa e disperata, più inquietante e angosciata. Ma anche più chiara rispetto ai caratteri e ai comportamenti dei personaggi. E la frontiera che fino a quel momento sembrava definire solo uno spostamento geografico (dal fondovalle ai campi da sci) e sociale (dalla miseria e dalla povertà alla relativa ricchezza offerta dalla refurtiva) diventa la linea di demarcazione tra due mondi lontanissimi tra di loro, dove i sogni e le fantasie si ribaltano. Il film assume allora un nuovo spessore, un più intenso significato, capace di raccontare non il disagio di un singolo ma quello di una generazione e forse di un paese, costretto a guardare dentro un buco nero di fronte al quale aveva cercato di chiudere gli occhi e che invece si spalanca drammaticamente di fronte a tutti. Personaggi e spettatori. Il Corriere della Sera - 09/05/12 Paolo Mereghetti Due anime inquiete in una Svizzera inedita, perché proletaria e periferica. Unico miraggio di benessere è la montagna, ricca e innevata. Nonché il rifugio contro la solitudine del piccolo Simon, ladruncolo innocente, che ruba ai turisti per guadagnarsi l'affetto della sorella maggiore Louise, unica sua parente rimasta. Mentre lei si arrabatta l'esistenza prostituendosi. Dopo il sorprendente "Home", la franco-svizzera Ursula Meier si guadagna con quest'opera seconda - premiata a Berlino - la conferma di poetessa degli emarginati e dei loro rapporti complessi e contradditori. Difficile non vedere in "Sister" il tratto di una fiaba dickensia- na, fatta di tenerezza ma priva di retoriche ridondanze. Dove lo stridore di un ossimoro quale 'i poveri della Svizzera' si erge a importante metafora di certa decadenza occidentale, che però finora raramente era stata raccontata con tali autenticità e raffinatezza. Utilizzando a fondo il suo talento visivo e narrativo, la Meier riesce a rendere plausibili sia il livello realistico sia quello favolistico, giacché molti dei gesti dei due personaggi non hanno conseguenze legate al contesto. Eppure tutto funziona, perché tutto è permeato di una verità che trascende la logica. Notevoli le interpretazioni della nuova musa francese Léa Seydoux e del giovanissimo Kacey Mottet Klein già apprezzato in "Home". Ciak - 2012-5-105 Anna Maria Pasetti "Sister" è uno di quei film che possono piacere o respingere, farsi ammirare o, rifiutare sull'onda di una contagiosa resistenza alla rappresentazione del dolore e della fatale attrazione per le favole a tinte rosa (vedi il clamoroso esempio della cartolina romana di Woody Allen, operazione tanto apparentemente naif quanto in realtà pensata e sofisticata), ma non possono lasciare indifferenti. Orso d'argento assegnato al Festival di Berlino dalla giuria presieduta dal regista inglese Mike Leigh, è il secondo lungometraggio della regista svizzerofrancese Ursula Meier già consacrata promessa del nuovo cinema europeo dal suo precedente "Home" scoperto dalla Semaine de la critique di Cannes nel 2008. Prodotto dallo stesso Denis Freyd del film dei Dardenne, in sintonia di spirito e stile con il cinema dei prodigiosi fratelli belgi, il film affida gran parte della sua forza al precoce carisma del piccolo interprete Kacey Mottet Klein e al singolare fascino di Léa Seydoux, star europea emergente oltre che discendente da una famiglia di magnati dell'industria cinematografica francese. Terzo decisivo protagonista con il ragazzino e la ragazza, fratello e sorella portatori di un oscuro segreto che non va anticipato, l'ambiente alpino. Fondamentale la separazione verticale tra fondovalle grigio e squallido dove in un anonimo casermone popolare vivono nel disagio socio economico i due fratelli senza famiglia, e su in alto la stazione sciistica alla moda frequentata da gente bella, ricca e spensierata. Il piccolo Simon fa incessantemente e freneticamente su e giù, bardato di capaci zaini. Come se fosse un lavoro, condotto con esperta perizia, con gesti sicuri e scelte precise, deruba i turisti delle loro costose attrezzature da sci per farne poi mercato a prezzi di saldo, giù, con i suoi coetanei. E' bravo e svelto, e se la cava a lungo senza che nessuno lo scopra. Uno sì, anzi, è uno dei tanti lavoratori stagionali del ristorante della stazione sciistica, parla inglese, e dopo una prima reazione minacciosa trova un accordo con Simon, reciprocamente vantaggioso. Si riconoscono, sono entrambi estranei al mondo che lì viene a divertirsi e spendere, ambedue stanno lì per bisogno, chi a servire e chi a derubare i facoltosi frequentatori e i loro figli perfetti. Giù c'è Louise che va e viene e vive alla giornata, la sorella maggiore sbandata e capricciosa, sempre alle prese con relazioni tempestose. Dovrebbe essere lei il capofamiglia, ma non fa niente o quasi per guadagnarsi da vivere, e tocca dunque al piccolo Simon provvedere a tutti e due. Protettivo e possessivo, un piccolo uomo che parla poco e non si ferma mai. Impasto perverso e snaturato di ingenuità infantile e scaltrezza da consumato lottatore per la sopravvivenza, rappresentazione inconsapevole e innocente ma istintivamente adeguata e già cinica e incattivita di un mondo diviso tra chi sta sopra e chi sta sotto. E per il nuovo sottoproletariato che sta sotto senza alcuna forma di tutela o speranza non c'è che da arrangiarsi. Simon non conosce altro che questa giungla nella quale è cresciuto come un animaletto selvatico, sa solo che deve colpire, fare male per primo, e non sa che si può vivere diversamente. In questa chissà se volontaria o involontaria ma naturale rivisitazione del capolavoro rosselliniano "Germania anno zero" - appesa però nell'epilogo bellissimo, con i due che s'incrociano sulla seggiovia ormai deserta per fine stagione, a un filo di ottimismo, di possibilità futura - non c'è diretta ispirazione sociologica né la minima sbavatura melodrammatica, perché tutto è tremendamente impassibile. Tutto salvo il distorto e viscerale amore che lega i due protagonisti, reietti senza altro spiraglio di luce, senza altra opportunità e speranza che contare l'uno sull'altra. La Repubblica - 05/05/12 Paolo D'Agostini 'L'occasione non fa solo il ladro, fa anche il grand'uomo'. Simon è piccolo, all'anagrafe, un petit voleur orfano che abita in un ecomostro addomesticato dalla povertà e vive rivendendo accessori sottratti ai turisti sulle piste da sci, Dal basso della sua abitazione sale ogni giorno nell'alto dei monti, poi ridiscende dalla piramide sociale coperta di neve, per smerciare, prendersi cura della sorella Louise, a stento sopravvivere. Sulla carta, un'opera alla Dardenne. Ma nelle immagini ad alta definizione di Agnès Godard la definizione di realismo vacilla. Come in "Home". Casa dolce casa? Non ci sono istituzioni, non c'è Stato, non c'è Giustizia: l'umanità è un laboratorio astratto e inflessibile di iniquità e solitudine. Un mondo binario e senza dio dove una funivia collega 0 e 1, ricchi e poveri, cielo e terra. Ursula Meier, dopo un esordio smaccatamente metaforico, si muove in equilibrio sul filo di un cinema dove ogni inquadratura è immagine realistica e insieme simbolica, pedina i suoi strepitosi protagonisti fino a farci sentire l'affanno della vita quotidiana, mentre i due si dimenano per svestirsi di quel che sono costretti a essere, recitando ciò che non sono. Per poi, infine, farsi coscienti. Perché non è per dimostrarsi ladri o grandi uomini, l'occasione che cercavano. Ma per riconoscersi e comprendersi, lì, sospesi su quella funivia che collega e divide la terra e il cielo, la miseria dello stato delle cose e quella volontà di vivere chiamata desiderio. FilmTv - 2012-19-28 Giulio Sangiorgio
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