catalogo - Enologica

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catalogo - Enologica
“ ... Mito, rito
e simbolo sono connaturati
con qualunque forma di civiltà,
nascono con essa e
con essa si sviluppano.”
Franco Cardini, storico
2015
Palazzo Re Enzo - BOLOGNA
21-22-23 NOVEMBRE 2015
Salone del vino e del
prodotto tipico dell’Emilia-Romagna
www.enologica.org
Evento
inserito
nel progetto
di marketing
territoriale
Orari
sabato 21 novembre 2015: dalle ore 11 alle 20
domenica 22 novembre 2015: dalle ore 11 alle 20
lunedì 23 novembre 2015: dalle ore 11 alle 20
- Ingresso intero 20 Euro, valido per tutti e tre i giorni
- Ingresso ridotto operatore (solo lunedì) 10 Euro
- Calice degustazione e catalogo compresi nel costo del biglietto
- Chiusura biglietteria ore 19
Programma
Il programma potrà subire delle variazioni che, nel caso,
saranno riportate sul nostro sito: www.enologica.org
Si ringraziano:
tutto lo staff di Enoteca Regionale Emilia Romagna,
ed in particolare: Elena Sarzi Sartori, Ambrogio Manzi,
Cecilia Bortolotti. Marco Broggi
Coordinamento Teatro dei Cuochi
Enrico Vignoli
Stampa
Litografia Fabbri - Modigliana (FC)
Grafica
Laura Staderini
Testi sui Tarocchi
Andrea Vitali, Associazione Culturale Le Tarot
Illustrazioni
Francesca Ballarini
Traduzioni
Helena Olga Kyriakides
Allestimenti
Andrea Casali, Davide Cristofani, Elisa Grossi,
e Valentina Mazzotti, Magaze Architetti;
Carlo Losi, Cardo Reggio Emilia
Fotografa
Vittoria Lorenzetti
Organizzazione
Piazza Rocca Sforzesca - 40060 Dozza
Tel. 0542 367700 - Portatile 347 5125365
[email protected]
Curatore
GIORGIO MELANDRI
Enologica è un marchio registrato.
Inventati a Bologna da un principe all’inizio del ‘400 e
diventati presto popolari, i Tarocchi sono un meraviglioso
contenitore dove la nostra cultura ha nel tempo riposto i
significati che erano al centro della nostra vita.
Prima una grande biblia pauperum, poi via via la
rappresentazione delle nostre paure, delle ambizioni,
del pensiero simbolico, della morale, ed anche
dell’immaginazione. Una sorta di coscienza collettiva
che abbiamo usato come guida nel viaggio in Emilia
Romagna di Enologica 2015. Sarà come sempre la
via Emilia la trama della nostra esplorazione con i
trionfi maggiori dei Tarocchi a scandirne le tappe e a
creare l’occasione per raccontare i vini e i cibi di questa
straordinaria regione.
Un tema colto e popolare insieme, profondo nei contenuti
e semplice nel linguaggio, carico della tradizione dei
gesti che ci portiamo dietro a volte senza la necessaria
consapevolezza.
Nel tempo i significati del vino sono cambiati,
ma non è cambiato il nostro attaccamento al suo valore
simbolico, alla sua capacità di rappresentare la nostra
identità. Come ci ricorda lo scrittore reggiano Pier Vittorio
Tondelli nel suo “Un racconto sul vino”, «La cultura del
vino diventa, in epoca medievale, una vera e propria
cultura alternativa che ha nella comicità, nell’uso del
paradosso, nell’utopia del Regno alla rovescia i suoi
punti di dissacrante forza.». Con il gioco di abbinamenti
tra i prodotti regionali e i Tarocchi vogliamo sottolineare
questo aspetto, quello di una libertà che nel vino
in questi anni ha trovato il modo di esprimersi e
affermarsi, un orgoglio ritrovato del mondo contadino
che in Emilia Romagna ha espresso valori molto
vicini al nostro modo di essere di oggi.
Enologica 2015, con i Tarocchi e i testi (in italiano ed
inglese) che li accompagnano, è una grande piattaforma
narrativa per raccontare l’Emilia Romagna e la magia
che realizza, quella di un quotidiano straordinario fatto di
valori solidi e di prodotti popolari capaci di sfidare l’idea
retorica di eccellenza, ormai così consumata,
su un piano nuovo, moderno e rivoluzionario. Per la
qualità di questo viaggio desidero ringraziare Francesca
Ballarini che ha disegnato le carte e Andrea Vitali,
storico ed esperto di Tarocchi, che ha scritto i testi sui
trionfi maggiori e ha seguito tutto il lavoro per garantirne
la assoluta correttezza.
Benvenuti ad Enologica 2015.
Giorgio Melandri
Curatore Enologica
CON IL CONTRIBUTO E IL PATROCINIO DI
Comune di Bologna
IN COLLABORAZIONE CON
www.autori.it
STUDIO DI ARCHITETTURA
COMUNICAZIONE IN COLLABORAZIONE CON
Enologica giunge alla sua diciottesima edizione e,
per il secondo anno consecutivo, Enoteca Regionale
Emilia Romagna mette a disposizione di questa
importante vetrina dei prodotti tipici della Regione
il know how organizzativo acquisito in oltre
quarant’anni di attività di promozione dei vini
dell’Emilia Romagna sia in Italia che all’estero.
Proprio il vino, “canto della terra verso il cielo”
come lo ebbe a definire il grande Luigi Veronelli, sarà
il protagonista assoluto a Palazzo Re Enzo, nel cuore
di Bologna, dal 21 al 23 Novembre, dove oltre 120
produttori incontreranno appassionati, operatori,
buyer e giornalisti del settore in una tre giorni di festa
alla scoperta di un territorio così ricco quanto per
molti aspetti ancora inedito quale è l’Emilia Romagna.
Forse non tutti sanno che l’Emilia Romagna è una
regione leader dell’agroalimentare, con una produzione
che vale 20 miliardi di euro, prima in Europa per
numero di prodotti Dop e Igp (ben 41 sul totale
europeo di 259) e che vanta anche il primato italiano
per esportazioni agroalimentari: numeri importanti,
in costante crescita, che abbiamo il compito di
comunicare al meglio, attraverso occasioni di incontro
e approfondimento come proprio Enologica vuole
essere.
Il filo conduttore della manifestazione sarà quello
della via Emilia, da oltre duemila anni asse portante
della nostra regione, tra storia, cultura, tradizioni e
prodotti di qualità, tra cui i suoi vini: un ideale viaggio
dal riminese fino ai colli piacentini, attraverso i vini
simbolo di questa regione: Albana e Sangiovese,
Pignoletto, Fortana, Lambrusco, Malvasia e Gutturnio.
Il vino si configura come elemento trainante di un
progetto dal respiro ampio, che coinvolge tutto il
territorio con le sue sorprendenti espressioni.
Per noi Enologica è un momento d’ incontro con
questo racconto della straordinaria filiera vitivinicola
e agroalimentare dell’Emilia Romagna, un viaggio
alla scoperta delle storie, delle passioni e del lavoro
racchiusi all’interno di un calice di vino: un’esperienza
unica, che vi invitiamo a fare con noi.
Pierluigi Sciolette
Presidente Enoteca Regionale Emilia Romagna
Programma
TORREFAZIONE
CAFFÈ LELLI
BOLOGNA
WWW.CAFFELELLI.COM
TE AT R O D E I C U O C H I
La promozione di un territorio e dei suoi prodotti enogastronomici ha bisogno di riferimenti, di luoghi speciali, di personaggi e di storia: in poche parole di modelli.
L’Emilia-Romagna in particolare è un territorio che deve
riconoscere il ruolo dei ristoratori che rappresentano la
tradizione e la capacità di testimoniarla.
Le esibizioni sono aperte a tutti e non sono prenotabili.
Coordina e presenta gli incontri Enrico Vignoli.
IL TEMA 2015:
LA PASTA RIPIENA
Enologica è un grande cantiere dove si progetta la tradizione del futuro. Per farlo abbiamo bisogno di una grande
conoscenza della tradizione, di una consapevolezza della
nostra identità e della libertà dei cuochi della regione. La
pasta ripiena ha trovato in Emilia-Romagna espressioni
raffinate e territoriali e con questa edizione 2015 del Teatro
dei Cuochi vogliamo prima raccontarlo e poi scoprire cosa
ci riserva il futuro. Un cuoco, o una sfoglina, per ognuna
delle nove provincie della regione, tante storie e qualche
idea per confrontare la tradizione con il contemporaneo.
MA RTED Ì 1 7
N O V E M BRE 2 0 1 5
ANTEPRIMA
Ore 19,30
Presentazione del mazzo
dei Tarocchi di Enologica
Con Andrea Vitali (storico dei tarocchi),
Giorgio Melandri (giornalista enogastronomico e
curatore di Enologica)
e Francesca Ballarini (illustratrice)
Ore 20,30
Gianluca Esposito, a cena con i Tarocchi
Presso Eataly Ambasciatori
via degli Orefici, 19 - Bologna
Un mazzo di Trionfi Maggiori dei Tarocchi disegnato da
Francesca Ballarini che ritrae in un ideale viaggio sulla Via
Emilia le 22 tappe enogastronomiche imperdibili dell’Emilia-Romagna sarà il protagonista di Enologica 2015. Il
mazzo sarà presentato alle 19,30 alla libreria Ambasciatori e chi vorrà potrà fermarsi alla cena preparata da Gianluca Esposito con tutti gli ingredienti citati nel mazzo. Sa-
studio di architettura di
davide cristofani
valentina mazzotti
elisa grossi
andrea casali
via giangrandi, 2 faenza
0546 668176
[email protected]
ranno piatti legati al territorio, golosi e diretti come è nelle
corde di questo straordinario cuoco. A tutti i partecipanti
alla cena sarà regalato un mazzo dei Tarocchi di Enologica.
Prenotabile direttamente a Eataly Tel. 051.0952820.
Prezzo euro 40 a persona vini inclusi.
SA BATO 2 1
N O V E M BRE 2 0 1 5
ORE 11,30
Dai Xiaogang e Chen Xujuan,
Ristorante Bambù, Bologna
Presso Via con me
via S. Gervasio, 5/D - Bologna
Nel mondo le due grandi cucine che riconoscono un ruolo
importante per la pasta ripiena sono quella italiana e quella cinese. Per aprire l’edizione 2015 del Teatro dei Cuochi
abbiamo quindi invitato due cinesi che lavorano a Bologna da tanti anni per rendere omaggio a questa tradizione che, come la nostra, viaggia nella geografia del paese
cambiando regole e usanze. Jiaozi e Wonton, così amati e
importanti nella cultura cinese, rappresentano sempre le
comunità locali adattandosi alle materie prime e alle abitudini dei diversi territori.
Dai e Chen racconteranno la loro cultura e prepareranno
per noi dei “ravioli” speciali preparati utilizzando carne di
mora romagnola e mazzancolle dell’Adriatico. Che la contaminazione abbia inizio!
Presentano Enrico Vignoli e Giovanni Angelucci.
ORE 15,30
Gianluca Gorini.
Le Giare, Montiano (Cesena)
Presso O fiore mio
piazza Malpighi, 8 - Bologna
Gianluca Gorini ha compiuto a Le Giare un percorso di maturazione che ha il sapore più vero della provincia italiana.
Le Giare infatti sono in mezzo alla filiera, nella provincia
italiana che ha orto e pascoli a portata di mano, vicina anche intellettualmente a quella freschezza necessaria alla
cucina che nutre ambizioni. Gianluca attinge a piene mani
da questo patrimonio e lo restituisce nel piatto con la sensibilità di chi è ogni volta incantato.
Ad Enologica si confronterà con la doppia anima della
“sua“ pasta ripiena, quella pesarese dell’infanzia e quella cesenate della maturità professionale. Un racconto di
viaggio, tra la sua fantasia e le suggestioni della memoria.
Presenta Albert Sapere.
PROTEGGI
LE TUE BOTTIGLIE
Leggero
Riciclabile
Pratico
Personalizzabile
ORE 17
Elisabetta, Valeria e la nonna Angiolina.
Pasta Fresca Naldi, Bologna
Con Lionel Joubaud, Banco 32
Presso Banco 32 al Mercato delle Erbe,
via San Gervasio, 3A - Bologna
In via del Pratello, nel cuore di una Bologna che profuma di
osterie e notti in bianco, all’angolo con via Pietralata, storica
sede del cinema Lumiere, c’è dagli anni ’80 questa bottega di
pasta fresca che è diventato uno degli indirizzi di culto di Bologna. Un po’ di passato, molto futuro e un’idea di pasta popolare e spericolata perché si compra nella bottega e si consuma ai tavoli dei bar intorno, a metà tra il cibo di strada e un
picnic urbano. A reggere il gioco una pasta di grande qualità,
rigorosa e profumata, con i tortellini a ribadire la bolognesità
di questo terzetto delle meraviglie. Un racconto di donne e
tradizione, di cose vecchie che ritornano nuove, di campagne
d’Emilia e strade di città. Ad incontrarle ci sarà uno cuoco
francese, Lionel Joubaud, perché Bologna è una città aperta
che ha incrociato le sue strade con quelle del mondo da quando nel 1088 ha aperto la più antica università d’Europa.
Presenta Michela Pallonari.
ORE 18,30
Elsa Fregnani. Antichi Sapori, Modigliana
Presso RoManzo al Mercato di Mezzo,
via Clavature, 12 - Bologna
Il confine è un tema meraviglioso dell’enogastronomia perché più che un luogo di divisione è opportunità di contaminazione. Lo è anche per Modigliana, capace di conservare
precisamente la tradizione del cappelletto ravennate di solo
formaggio attraverso un prodotto di montagna come il raviggiolo e di strizzare l’occhio a quel Granducato di Toscana
del quale fece parte per tanti secoli con una pasta ripiena realizzata con la farina di castagne. Una doppia lingua
parlata perfettamente da quella sfoglina straordinaria che
è Elsa Fregnani.
Presenta Carlo Catani.
D OME N IC A 2 2
N O V E M BRE 2 0 1 5
ORE 15,30
La San Nicola,
Castelfranco Emilia (Modena)
Con Eros Palmirani, Diana Bologna.
Presso Diana,
via Indipendenza, 24 - Bologna
Modena e Bologna, le due patrie storiche del tortellino a confronto. Da una parte le sfogline dell’Associazione San Nicola,
dall’altra la tradizione classica della cucina bolognese, quella
del ristorante Diana, custodita da Eros Palmirani con disciplina e intransigenza.
Non si tratta di stabilire quale sia il “vero” tortellino, ma di
incrociare le strade di due comunità e le tante verità che ogni
paese (e forse ogni famiglia) è in grado di regalare. L’identità
della cucina italiana vive da sempre di tolleranza e se oggi
possiamo vantarci di tanta varietà lo dobbiamo a questa capacità di tramandare le differenze.
Presenta Carla Brigliadori, Casa Artusi.
ORE 17
Ido ed Adalberto Migliari,
Trattoria La Chiocciola,
Portomaggiore (Ferrara)
Presso Berberè
via Giuseppe Petroni, 9 - Bologna
Ristoratori da tre generazioni (era loro il mitico ristorante
Ido a Marrara!), i Migliari sono custodi di una tradizione
che viaggia in bilico tra terra e mare, tra la pasta ripiena
della cultura emiliana e i prodotti di quelle terre contese
all’acqua come rane, anguille e lumache.
Adalberto, accompagnato nella gestione dalla moglie
Arianna, ha trovato una sintesi tra la concretezza contadina della sua tradizione –un piatto deve essere buono, ripete spesso - e una mano raffinata e attenta ai dettagli. Un
grande interprete di una filiera originale e straordinaria.
Presenta Giulia Sampognaro.
ORE 18,30
Carla Aradelli. Ristorante Riva,
Ponte dell’Olio (Piacenza)
Presso Camera a Sud
via Valdonica, 5 - Bologna
Carla Aradelli è una cuoca straordinaria, che combina le
esperienze familiari ad una formazione che già a 17 anni,
negli anni ’80, la porta ad incontrare il talento di George
Cogny come studentessa di un corso organizzato alla Cantoniera, a Farini d’Olmo.
Lui capisce subito che dietro a quell’umanità profonda e a
quella capacità di sognare c’è un talento fuori dal comune
e la stimola, forse la sfida pure. Lei passa per il Sole di
Maleo, dell’indimenticato Franco Colombani, e poi ritorna
a casa ad intrecciare i classici tortelli piacentini e ad inventare una cucina nuova per quegli anni.
Oggi la ritroviamo ad Enologica a parlare di tradizione, forse di tradimenti, di un incanto provato da bambina che ancora alimenta la sua cucina, forse la più poetica dell’intera
regione.
Presenta Alfonso Isinelli.
ORE 20,30
Cena a quattro mani con Athos Migliari
e Mario Ferrara
Scacco Matto
via Broccaindosso, 63 - Bologna
Il sud di Mario Ferrara e la tradizione militante di Athos
Migliari, due anime popolari a confronto per raccontare
un’Italia inedita fatta di povertà e grandi privilegi. Perché,
occorre sempre ricordarlo, in Italia è il quotidiano ad essere
straordinario.
Prenotabile direttamente allo Scacco Matto 051 263404.
Prezzo euro 60 a persona.
LUN ED Ì 2 3
N O V E M BRE 2 0 1 5
ORE 15,30
Riccardo Agostini.
Il Piastrino, Pennabilli (Rimini)
Presso Enoteca Storica Faccioli,
via Altabella, 15/B - Bologna
Pennabilli è in cima alla Valmarecchia, lontanissimo, anche culturalmente, da Rimini e dal suo mare. Qui c’è una
filiera di terra, o forse sarebbe meglio dire di montagna. È
infatti l’Appennino a dettare legge in quanto a sensibilità,
odori e occasioni. Per Riccardo Agostini ritornare nel suo
paese natale dopo favolose esperienze nell’alta cucina italiana ha significato fare i conti (e la pace!) con un paniere
preciso, con la storia piena di identità del Montefeltro e con
l’esattezza di stagioni scandite dalla natura. Un territorio
di contaminazioni, dove le strade e la lingua viaggiano verso Umbria, Marche e Toscana, romagnolo nei riti e nella
cultura, bellissimo nei paesaggi dominati dalle rocche che
ne hanno fatto la storia.
Presenta Giorgia Cannarella.
ORE 17
Massimo Spigaroli.
Antica Corte Pallavicina,
Polesine Parmense (Parma)
Presso Twin Side,
via de’ Falegnami, 6 - Bologna
Che racconto quello di Massimo Spigaroli! C’è dentro la
storia della bassa parmense, quella del rapporto con il
fiume Po, e poi ancora l’avventuroso salvataggio del maiale nero di Parma. Poi la narrazione tutta radici e famiglia
che lo riguarda personalmente. E lì, in quella magia tutta
familiare, c’è l’invenzione del Culatello di Zibello, già in-
ventato per la verità, ma quasi dimenticato fino all’arrivo di
Massimo. Spigaroli è cuoco e istrione, capace di incantare
con le parole e con piatti rigorosi e geniali. Un uomo che
vale un territorio, innamorato di quegli argini di nebbie e
canne che forse prima di lui nessuno aveva guardato (e
visto) così.
Presenta Alessandro Bocchetti.
ORE 18,30
Marta Scalabrini.
Marta in cucina, Reggio Emilia
Presso Re Sole L’Inde de Palais,
via de’ Musei, 4/D - Bologna
Marta ha un percorso formativo originale, pieno di strumenti ed esperienze diverse. Oggi cucina a Reggio Emilia
in pieno centro storico (dove c’era la storica Osteria della Ghiara) e lo fa con tanta personalità e molti pensieri.
Scrive: “Il mio ristorante non ha niente di tradizionale e ha
tutto di tradizionale. Ha i sapori della tradizione perché i
miei piedi sono piantati a Reggio Emilia, ma sono contaminati dal mio girovagare. A 18 anni volevo solo andare via,
mi sembrava che questa città non potesse offrirmi niente.
Poi ho avuto bisogno di tornare.” Ed eccola qui, a parlare
di tradizione e a ragionare di futuro con la forza di chi ha
scelto di ricominciare dalle radici.
Presenta Martina Liverani.
ORE 20,30
Cena di chiusura con Matteo Aloe,
Fabio Fiore, Pierluigi Di Diego
Berberé,
via Petroni, 9 - Bologna
La festa di chiusura di Enologica 2015, una cena a 6 mani,
una festa come ultima tappa del viaggio in Emilia-Romagna, un omaggio allo spirito conviviale e alla capacità di
ospitalità della regione. Matteo Aloe, padrone di casa a
Berberè, Fabio Fiore titolare del ristorante Quanto Basta
di via del Pratello, Pierluigi Di Diego, del ristorante Don
Giovanni/La Borsa Bistrot di Ferrara.
Prenotabile direttamente a Berberè Tel. 051 2759196.
Prezzo euro 40 a persona.
Il TEATRO DEI CUOCHI è realizzato
all’interno della Campagna
WINES FROM THE SOUTH OF EUROPE
MEDITERRANEAN WINES,
progetto europeo per
la promozione del consumo
consapevole di vino.
Il viaggio
sulla Via Emilia
attraverso
i Tarocchi
Cosa sono i Tarocchi
di Andrea Vitali
I Tarocchi sono un gioco formato da 56 carte numerali
(Arcani Minori) provenienti dal mondo arabo raffiguranti
semi di coppe, danari, spade, bastoni, apparse in Italia nel
sec. XIV e da 22 immagini allegoriche chiamate Trionfi (Arcani Maggiori), ideate quest’ultime dal Principe Francesco
Antelminelli Castracani Fibbia agli inizi del Quattrocento
quando dalla natia Toscana si trasferì a Bologna eleggendola quale patria adottiva..
Un gioco che rimanda ai Triumphi (Trionfi) di Francesco
Petrarca, opera letteraria in cui il poeta trecentesco descrive le sei principali forze che governano gli uomini attribuendo loro un valore gerarchico. Per primo viene l’Amore (Istinto), che corrisponde ad una fase giovanile, vinto
dalla Pudicizia (Castità, Ragione), fase successiva di matura pacatezza, a cui segue la Morte, a significare la transitorietà delle cose terrene. Quest’ultima viene vinta dalla
Fama, vittoriosa sulla morte nella memoria dei posteri,
ma su di essa trionfa il Tempo il quale è sovrastato infine
dal Trionfo dell’Eternità, che sottrae l’uomo dal flusso del
divenire e lo pone nel regno dell’Eterno.
Dal primo ordine di Trionfi conosciuto risulta evidente che
si trattava di un gioco a sfondo etico: il Bagatto (Giocoliere, Mago) raffigura l’uomo peccatore a cui sono state
date quali guide temporali dal volere divino l’Imperatrice
e l’Imperatore e guide spirituali, il Papa e la Papessa (la
Fede). Gli istinti umani devono essere mitigati dalle virtù:
l’Amore dalla Temperanza, e il desiderio di potere, ossia il
Carro, dalla Forza (la cristiana virtù ‘Fortitudo’). La Ruota
della Fortuna insegna che ogni successo è effimero e che
anche i potenti sono destinati a diventare polvere. L’Eremita, che segue la Ruota, rappresenta il tempo al quale ogni essere deve sottostare e la necessità per ciascun
uomo di meditare sul valore reale dell’esistenza, mentre
l’Appeso (il Traditore) denuncia il pericolo di tradire il proprio Creatore prima che la Morte sopraggiunga.
Anche l’Aldilà è rappresentato secondo la tipica concezione medievale: l’Inferno e quindi il Diavolo, è posto sotto
la crosta terrestre sopra la quale si estendono le sfere
celesti. Secondo la visione del cosmo medievale, la sfera terrestre è circondata dal cerchio dei ‘fuochi celesti’,
raffigurati da fulmini che colpiscono una Torre. Le sfere
planetarie sono sintetizzate da tre astri: la Stella, la Luna
e il Sole. La sfera più alta è l’Empireo, sede degli Angeli
che nel giorno del Giudizio saranno chiamati a risvegliare
i morti dalle loro tombe. In quel giorno la Giustizia divina
trionferà, pesando le anime e dividendo i buoni dai malva-
gi. Sopra tutti sta il Mondo, cioè ‘El Dio Padre’, come scriveva un anonimo monaco che commentò i Tarocchi all’inizio del Cinquecento. Lo stesso religioso pone il Matto
dopo il Mondo, come ad indicare la sua estraneità ad ogni
regola e insegnamento in quanto, difettandogli la ragione,
non era in grado di comprendere le verità rivelate.
Il pensiero della Scolastica, cioè la filosofia cristiana medievale che veniva insegnata presso le Scholae, cioè le
università, e che mirava ad avvalorare le verità di fede attraverso l’uso della ragione, accumunò nella categoria dei
matti tutti coloro che non credevano in Dio. Nei Tarocchi la
presenza del Matto acquista un profondo significato: tutti
i Matti, intesi come coloro che non credevano in Dio, dovevano divenire, attraverso gli insegnamenti etici espressi dagli Arcani Maggiori, ‘Folli di Dio’, come lo divenne il
santo più popolare, cioè Francesco, che fu chiamato ‘Lo
Sancto Jullare’ o ‘Il Sancto Folle di Dio’ (‘Non fu mai più
bel sollazzo, / Più giocondo, né maggiore, / Che, per zelo
e per amore, / Di Iesù divenir pazzo’, Canzone a ballo di
Girolamo Benivieni, 1453-1542).
Nel corso del Quattrocento il gioco dei tarocchi era chiamato Ludus Triumphorum cioè Gioco dei Trionfi. Solo agli
inizi del Cinquecento apparve la parola Tarocco, termine
con il quale veniva chiamata, nel linguaggio popolare, ogni
persona stolta, stupida e folle. Una parola che denuncia
quindi l’attribuzione del nome del gioco dalla carta del
Matto. Tarocchino invece venne chiamato il gioco a Bologna quando verso la metà del Cinquecento il numero delle
carte venne ridotto per motivi di praticità di gioco, da 78 a
62, tramite l’eliminazione delle carte dal 2 al 6 di ciascun
seme.
Nel Rinascimento divenne usanza comune divinare con le
carte numerali, cioè gli Arcani Minori, La cartomanzia con
gli Arcani Maggiori esplose invece, propagandosi in tutta
Europa, verso la fine del sec. XVIII, una moda testimoniata
per la prima volta da un manoscritto bolognese di poco
precedente il 1750. Bologna fu quindi non solo la città in
cui il gioco venne ideato, ma anche la culla della sua pratica divinatoria.
L’origine storica
dei Tarocchi
di Andrea Vitali
Quando il Principe Francesco Antelminelli Castracani Fibbia agli inizi del Quattrocento dalla natia Toscana si trasferì
a Bologna, non avrebbe mai pensato che nella nuova patria
adottiva avrebbe ideato un gioco di carte destinato nei secoli
a divenire il più amato e giocato al mondo, tanto da far scrivere a Mozart in un diario date e consistenza dei denari vinti
e persi. Bologna era allora una fiorente città, sede della più
prestigiosa università, con uno straordinario flusso di studenti provenienti da tutta Europa. Nel tempo perso frequentavano le osterie, dove il vino scorreva a fiumi, dandosi ai più
licenziosi divertimenti. In quella situazione, giocando a dadi
o ad altre amenità, le bestemmie e le liti - senza tacere le
uccisioni - erano divenute oramai una consuetudine pressoché quotidiana. La Chiesa tentava ripetutamente di arginare
questo scempio cercando attraverso l’opera dei predicatori
di indirizzare i propri figli verso una conduzione etica della
vita. È vero che tanti valori cristiani venivano già insegnati
ai ragazzi dalle famiglie e dalle scuole di catechismo, come
l’affidarsi ai detentori del potere temporale e spirituale, posti da Dio al governo del mondo; ricorrere alla virtù per moderare se non dominare del tutto le passioni; pensare che il
destino, se oggi ti innalzava, poteva in un breve volgere farti
cadere. D’altro canto, la visione in Piazza Maggiore di numerose persone appese per un piede, si manifestava come
monito verso tutti coloro che fossero stati tentati di operare
tradimenti, azioni considerate peccati mortali dalla Chiesa.
Nonostante ciò nulla sembrava poter modificare la condotta
degli abitanti e dei suoi numerosi ospiti.
Il Principe nell’inventare quel gioco di carte, abbinando
alle carte normali divise nei semi di coppe, bastoni, spade e denari, già presenti in Italia fin dalla meta del 1300 e
provenienti dal mondo arabo, diverse altre carte riportanti
immagini allegoriche, diede involontariamente una grande
mano alla Chiesa nella sua opera di redenzione. Si trattava
di un gioco di carte chiamato allora Ludus Triumphorum,
cioè Gioco dei Trionfi, per il fatto che le carte allegoriche
trionfavano, cioè vincevano sulle carte numerali. Data la sua
bellezza, in tutte le osterie si giunse, nel breve volgere di
pochi anni, a giocare a Trionfi. Dopo la morte del Principe,
le carte allegoriche vennero ampliate nel numero mediante
l’inserimento di virtù, di immagini di astri che brillano nel
cielo, del giudizio universale e della giustizia divina. Divennero 22, numero che nella mistica cristiana rappresenta la
conoscenza di Dio da parte dell’uomo dato che 22 sono i libri
sapienziali descritti nell’Antico Testamento. Così i giovani e
i meno giovani, mentre giocavano, traevano dai significati
universali delle immagini impresse sulle carte valori di etica
cristiana. Si trattava di un ‘Ludendo intelligo’ (giocando imparo), un modo intelligente per rimandare alla mente valori
etici utili alla salute dell’anima.
A Bologna, dove esiste ancora un’enclave di amanti di questo gioco di carte, lo chiamano Tarocchino e non Tarocco. Il
motivo risiede nel fatto che verso la metà del Cinquecento
i giocatori si lamentavano per il numero complessivo delle
carte, ben 78, che li costringeva sovente a chinarsi sotto il
tavolo per recuperare quelle carte, cadute a terra, che non
erano riusciti a tenere in mano. Infatti giocando in tre persone (Terziglio) a ciascuna di queste spettavano 20 carte,
numero decisamente alto da contenere.
Per ovviare a questa situazione venne deciso di eliminare dagli Arcani Minori quattro carte, dal 2 al 5 per ciascun
seme. Il mazzo, ridotto quindi a 62 carte, venne così chiamato ‘Tarocchino’. In ogni parte del mondo, ad iniziare dalla
civiltà sumerica e da quella egizia, i simboli vennero creduti
essere intermediari fra la terra e il cielo, valutazione che
spinse le caste sacerdotali ad indagare attraverso i simboli
il volere divino. Nel Rinascimento divenne usanza comune
divinare con le carte numerali, cioè gli Arcani Minori, anche
da parte dei non addetti ai lavori. La cartomanzia con gli
Arcani Maggiori esplose invece, propagandosi in tutta Europa, verso la fine del sec. XVIII, testimoniando una moda
che individua il primo documento in senso assoluto in un
manoscritto bolognese di poco precedente il 1750 ora conservato presso la Biblioteca Universitaria della città. Considerata dai più una superstizione o un passatempo, solo con
le tesi sull’energia simbolica espresse dal celebre psicologo
Carl Gustav Jung, la Cartomanzia, cioè l’arte di interpretare
i simboli a scopo divinatorio, acquisì la sua propria dignità.
Accanto ai tortellini, al buon vino e alle straordinarie prelibatezze gastronomiche, senza parlare ovviamente delle altre qualità da ricercarsi in ogni campo dello scibile umano,
Bologna ha avuto il merito straordinario di essere stata la
culla del gioco dei Tarocchi e della loro pratica divinatoria.
Un gioco, che una volta esportato dapprima in Italia, poi in
Europa, ha allietato nel tempo personalità, oltre a Mozart,
come Napoleone, il Foscolo, il Manzoni, il Carducci, il Pascoli e tantissimi altri geni. Oggi la Cartomanzia con i Tarocchi è conosciuta e praticata in tutto il mondo.
Per questo motivo, oltre che per i suoi contenuti etici, tutti
dovrebbero guardare ai tarocchi con quell’assoluto rispetto
che si deve alle grandi opere d’ingegno prodotte dalla creatività della mente dell’uomo. Un dono che Bologna ha regalato al mondo intero.
La Scala Mistica
dei Tarocchi
di Andrea Vitali
La scala è stata sempre considerata simbolo di ascensione: considerazione ovvia dato che la scala serve per salire
da qualche parte. L’origine del concetto della Scala Mistica
in ambito cristiano si fa risalire al celebre passo biblico che
racconta il sogno fatto da Giacobbe in viaggio verso Harran, città della Mesopotamia (Genesi, 28, 12-13). Durante
una sosta notturna Giacobbe si stese a terra per dormire e
utilizzò una pietra come cuscino. Sognò una scala appoggiata dove lui riposava, la cui vetta giungeva fino al cielo.
Sulla sommità di questa immersa fra le nuvole, gli apparve
Dio che promise a lui e ai suoi discendenti, cioè il popolo
di Israele, la terra sulla quale giaceva. I gradini della scala
erano percorsi nei due sensi da numerosi angeli.
Per rappresentare il viaggio dell’uomo che si eleva verso
l’incontro con Dio, un percorso inteso in forma di ascesa
o di salita come dir si voglia, la scala divenne l’elemento
principale assieme ad un ripido monte.
Ma la salita per giungere alla sua cima, dove trovava posto
il Creatore, non era cosa facile e tranquilla. Lo testimonia
una miniatura dell’antico codice miniato La Scala del Paradiso che si trova presso il Monastero di Santa Caterina
del Sinai, dove i penitenti che cercano di salire la scala si
trovano ad essere preda di diversi diavoli che, come tanti Buffalo Bill, li prendono al laccio gettandoli nel vuoto.
I diavoli diventano pertanto la rappresentazione dei vizi e
delle passioni che impediscono all’uomo di giungere alla
meta finale.
L’insieme simbolico dei tarocchi è strutturato secondo una
scala i cui gradini sono rappresentati dai 21 Arcani Maggiori: un percorso di elevazione attraverso la conoscenza
di ogni singolo gradino o, a dir meglio, di ogni significato
etico espresso da ogni singola carta. Abbiamo scritto ’21
gradini’ e non 22 dato che il Matto rappresenta il punto di
partenza a terra. Il Matto nei tarocchi assume diversi ruoli:
se da un lato era considerato estraneo ad ogni regola e
insegnamento, dato che gli difettava quella ragione necessaria per comprendere le verità rivelate, d’altro canto venivano considerati matti tutti coloro che non credevano in
Dio, poiché dopo la morte sarebbero andati ad ingrossare
la schiera degli abitatori del regno infernale. Ma il Matto
nei tarocchi assume un significato ancor più profondo, in
quanto, da non credente, attraverso l’apprendimento dei
valori etici espressi dalle altre 21 carte, sarebbe dovuto diventare folle di Dio, come lo divenne il santo più popolare,
cioè San Francesco, che venne chiamato ‘Lo Sancto Jullare o il Sancto Folle di Dio’. Infatti in occasione di processioni per le vie delle città, i penitenti erano soliti cantare
questo ritornello:
“Non fu mai più bel sollazzo,
Più giocondo, né maggiore,
Che, per zelo e per amore,
Di Iesù divenir pazzo, pazzo, pazzo”.
Una pazzia che lungi dall’essere imitata, sortiva comunque
un discreto effetto nella coscienza del popolo.
Dal primo ordine di Trionfi (Arcani Maggiori) conosciuto,
opera di un anonimo monaco dell’inizio del Cinquecento, si
comprende che il Bagatto (Mago, Prestigiatore) raffigurava
l’uomo dappoco (ancor oggi a Bologna affermare che una
persona ‘l’è un bagat o bagai’ significa attribuirgli qualità
scadenti) che seppur credendo in Dio non faceva nulla o
quasi per salvare la propria anima. In suo aiuto il volere
divino aveva posto guide temporali, rappresentate dall’Imperatrice e dall’Imperatore, e guide spirituali, la Papessa,
cioè la Fede, e il Papa. Per mitigare le passioni carnali,
raffigurate dalla carta degli Amanti, l’unica risorsa era affidarsi alla virtù della Temperanza, in grado di moderare
ogni istinto, mentre per vincere il Carro, cioè l’umano desiderio di successo, ecco fare bella mostra di sé la Forza,
cioè la cristiana virtù della Fortitudo, una forza di volontà
che insegnava a dominare qualsiasi passione.
La Ruota della Fortuna, con il suo alternarsi di re in trono
e re che cadono, istruiva sulla precarietà dell’esistenza e
che anche i potenti erano destinati a diventare polvere. L’Eremita, che segue la Ruota, rappresentava il tempo al quale ogni essere deve sottostare e la necessità per ciascun
uomo di meditare sul valore reale dell’esistenza, mentre
l’Appeso (il Traditore) denunciava il pericolo di tradire il
proprio Creatore dato che, appena la Morte fosse sopraggiunta, il Diavolo avrebbe aperto le proprie braccia a tutti i
peccatori. Meglio quindi evitare l’ira divina, rappresentata
da un fulmine che distrugge una Torre, e volgere gli occhi
alla bellezza del cielo dove la Stella la Luna e il Sole suggerivano la presenza del Supremo Architetto. Le cattive e
buone opere compiute da ogni essere umano sarebbero
state conosciute nel giorno del Giudizio (nei tarocchini bolognesi questa carta è chiamata ‘Angelo’) cosicché la Giustizia divina avrebbe separato i buoni dai malvagi, ponendo
i primi al cospetto del Mondo, cioè di ‘Dio Padre’, così come
descritto dal buon monaco. Un percorso istruttivo, o meglio una scala mistica, che divenuta furbescamente il contenuto di un gioco di carte, pare aver servito alquanto ad
una importante causa. ‘A Dio non dispiace il Tarocchino’,
non è una boutade, ma una valutazione di Antonio Golini,
gesuita nel Settecento.
Il Bagatto,
Cotechino di Modena.
ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA BALLARINI
di Giorgio Melandri
«Il Bagatto è un prestigiatore, un mago di strada,
e deve il suo nome dalla moneta veneziana bagattino, una moneta di nessun valore. In cartomanzia
indica le cose di poco valore e anche l’inganno.
Ma perché, non è il cotechino un miracoloso gioco di prestigio che rende nobile una materia prima
poverissima?»
Cudghéin. Ecco la magica parola che a Modena significa cotechino. Una invenzione della povertà, di quella
cultura italiana che ha trasformato dei problemi pratici
in grandissimi prodotti. Un gioco di prestigio come abbiamo detto. Il cotechino si è sempre prodotto in inverno
e la tradizione di uccidere i maiali a partire dal giorno di
Santa Lucia, che è il 13 dicembre, consegnava i cotechini
già perfettamente asciugati direttamente alla tavola del
Natale. A consacrare il cotechino fuori dai confini modenesi e bolognesi fu probabilmente la ricetta “322. Coteghino fasciato” che Pellegrino Artusi inserì nel suo “La
scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, pubblicato
alla fine dell’Ottocento e arrivato in meno di vent’anni
a ben 13 edizioni. Il Cotechino è forse il primo dei salumi insaccati, prodotto con la cotenna, nella tradizione
almeno per il 50% (oggi in misura molto minore) e con
gli spolpi della testa e del collo, tutte carni ricche di tessuto connettivo, che richiedono una lunga cottura e che
una volta cotte assumono la consistenza gelatinosa tipica del cotechino. L’altro prodotto modenese che gode di
grande fama (e che è oggi anche lui protetto da una IGP)
è lo zampone di Modena. Se nel cotechino l’impasto è
insaccato nel budello, nello zampone è infilato nella cotenna della zampa anteriore poi ricucita. Sono due prodotti simili, per i quali è difficile dare una ricetta perché
ogni bottega ha un suo modo di prepararlo e condirlo.
Quello che è sicuro è che lo zampone è nella storia un
prodotto più ricco destinato alle tavole dei signori dove
veniva servito con zabaione e contorni di verdure.
La leggenda vuole che l’idea di conservare la carne di
maiale impastandola con la cotenna e asciugandola
all’aria sia nata a Mirandola nel 1510 durante l’assedio
portato alla città da Papa Giulio II Della Rovere. Nell’occasione furono macellati gli ultimi maiali della città
e uno dei cuochi di Pico della Mirandola ebbe l’idea di
imbottire le zampe svuotate degli animali con un impasto di cotenna e carne. I modenesi diventarono presto
maestri e i loro zamponi e cotechini, insieme alle salsicce gialle modenesi, comparivano come specialità nei
menù bolognesi insieme ai “salati” di Parma. A Modena,
storicamente il cotechino veniva prodotto dai “lardaroli
e salsicciari”, che si riunirono in una Corporazione Autonoma nel 1547. Solo nel 1745 si trova la prima citazione
ufficiale del cotechino, quando in un “calmiere” ne viene
indicato il prezzo. A partire dal ‘700 il cotechino divenne
sempre più diffuso fino alle produzioni semiindustriali
che alcune macellerie cominciarono nell’800.
Tra queste due sono restate famose: Frigieri e Bellentani. A Bellentani si rivolgeva il musicista Gioachino Rossini (1792-1868) che era un noto buongustaio. Egli si rivolgeva direttamente al Bellentani raccomandandosi di
spedirgli “quattro zamponi e quattro cotechini, il tutto
della più delicata qualità”.
IL BAGATTO di Andrea Vitali
Carta numero 1 degli Arcani Maggiori, il Bagatto, rappresentato nelle carte antiche come un prestigiatore, un
mago di strada, deriva il suo nome dalla moneta veneziana ‘bagattino’ di talmente esiguo valore che, come oggi
per il centesimo di euro, ci si domandava perché diavolo
fosse stata coniata dato che con quella non si poteva acquistare un bel nulla di nulla. Gli inganni dei prestigiatori,
che facevano apparire cose che prima non c’erano, imparentavano quei personaggi con il Diavolo, l’essere immondo che attraverso trucchi riempiva l’Inferno di anime. Sicché il lavoro del Bagatto era considerato disonesto - tanto
che il più delle volte sia le autorità civili che religiose non
permettevano loro di esibirsi - e anche poco redditizio in
quanto vivevano con l’offerta libera che il pubblico elargiva. Nella prima lista completa di tarocchi conosciuta,
risalente alla fine del Quattrocento, viene definito come
‘El Bagatella’ unitamente alla scritta latina ‘est omnium
inferior’, cioè ‘è fra tutti l’inferiore’ a significare da un lato
che si trattava del Trionfo con meno potere di presa nel
gioco e dall’altro di un personaggio di poco valore, un farabutto, che per vivere operava inganni. In più la Chiesa
si inventò il peccato Bagatella, un peccato fra i più mortali. In pratica, il peccato ‘bagatella’ consisteva nel seguire
o propugnare il seguente insegnamento: “Cosa pensate
che vi accadrà se qualche volta non andrete a messa, se
qualche volta non vi confesserete o mangerete carne di
venerdì di Quaresima? Pensate forse che per queste bagatelle (cioè cose di poco conto) Dio vi manderà all’inferno?”. Se Matto era colui che non credeva in Dio, il Bagatto
credeva, ma non riteneva necessario osservare alla lettera tutti i comandamenti. Un po’ di tolleranza, perbacco!
Dalla parola Bagatto derivò ‘bagattare’ o ‘abbagattare’,
cioè rovinare qualcosa o qualcuno, espressione che tutti
conoscono. Quindi i suoi significati in cartomanzia sono:
persona o cosa di poco valore, di poco conto; situazione,
cose o personaggi falsi, ingannatori; giocare (da giochi
di prestigio); rovinare, e, in base al peccato ‘bagatella’,
essere colpevoli, peccatori. Insomma, proprio un personaggio coi fiocchi!
La Papessa,
Mora romagnola.
di Giorgio Melandri
«La carta de La Papessa, nel suo significato divinatorio più comune rappresenta le convinzione nei
propri ideali e la fede in ciò che si crede. Sono i
valori che hanno ispirato chi ha salvato dall’estinzione questo maiale nero italiano, a cominciare da
quel piccolo allevatore di nome Mario Lazzari che
ne ha ostinatamente salvato gli ultimi esemplari.
Oggi, grazie a queste persone, la mora è ancora
un patrimonio straordinario e di tutti.»
Quando nell’inverno del 2005 Luigi Tacchi batté la Romagna stalla per stalla per controllare tutte le scrofe e tutti i verri di mora romagnola esistenti capì che
la storia moderna di questa straordinaria razza nera
suina era ancora tutta da scrivere. “Nel 2004 mi ero
interrogato su questa faccenda, nutrendo molti dubbi,
poi nel 2005 ho capito che per caratterizzare veramente questa razza dovevamo fare delle scelte drastiche e
coraggiose”. E così Tacchi si prende la responsabilità di
scartare parte dei riproduttori in attività. A “difendere”
la razza restano un centinaio di scrofe, ma da lì in poi
la mora ritrova i suoi caratteri e una vera somiglianza
con i suoi antenati. È uno dei capitoli più affascinanti di
questa lunga storia che ha aperto e chiuso stagioni e
avvicendato fantastici protagonisti. Una storia avventurosa che ha rischiato diverse volte di finire in tragedia
e sempre ha trovato un nuovo inizio. Oggi finalmente,
con le circa 2000 scrofe iscritte all’anagrafe di razza,
possiamo dire che la mora romagnola è salva. Tutto
parte nei primi anni ’80 quando un allevatore faentino
di nome Mario Lazzari ebbe l’istinto e l’intelligenza di
salvare un piccolo nucleo di mora romagnola acquistata da un allevatore a Marradi, nella parte alta della Valle del Lamone. Quel piccolo nucleo ha di fatto garantito
la continuità genetica che ha portato la mora ad essere una delle razze nere italiane riconosciute dall’Anas
con l’Apulo-Calabrese, la Casertana, la Cinta Senese,
il Nero Siciliano, la Sarda. Per un periodo Lazzari rimase l’unico allevatore (e custode) della mora e poi,
finalmente, grazie ad un’apparizione televisiva a Linea
Verde, il mondo ricomincia ad interessarsi a questo suino nero. Cresce l’interesse, cresce finalmente il numero di capi, ma la mora in verità è ancora da salvare.
A darle una grossa mano ci pensano gli allevatori che si
stringono attorno al progetto del Copaf di Brisighella.
Sono capitanati da un allevatore, Mario Guaducci, e da
un veterinario, Cesare Dacci. Sono loro a creare una
rete di allevatori e a lavorare per scongiurare i rischi
legati alla consanguineità. Cesare Sangiorgi, sindaco di
Brisighella, li aiuta, insieme a Guido Tampieri, a riaprire il vecchio macello del paese. Siamo tra la fine degli
anni ’90 e i primi anni 2000. Ho partecipato a diversi
incontri tra allevatori e ricordo il senso di comunità che
si era creato. Tutti insieme si stava salvando un pezzo
di identità. Poi arriva Tacchi, del quale vi ho già raccontato e poi arrivano due sognatori, Emilio Antonellini e
Leonardo Spadoni. Aprono nel 2010 un allevamento tra
Brisighella e Zattaglia, sulla vena del gesso, e cominciano a lavorare sulla genetica facendo fare alla razza
un vero salto di qualità. “Dopo una vita passata ad allevare maiali ho visto nella mora romagnola una sfida
eccezionale.”, a parlare è Emilio Antonellini, “È stata
durissima, ma alla fine, con un lavoro rigoroso di selezione e separazione delle linee, la sfida è stata vinta.
Certo oggi non dobbiamo abbassare la guardia, ci sono
ancora tante insidie, ma se mi guardo indietro la strada
fatta è davvero tanta. Alle volte ripenso a quel nucleo
iniziale di 30 capi che acquistai da Michele Graziani di
Bagnacavallo che seguivo da più di dieci anni e penso
che siamo andati davvero avanti.”. E con loro ci sono
centinaia di piccoli allevatori che avevano la mora nella loro memoria, e quindi una sorta di esperienza ancestrale da spendere. Oggi possiamo dire che la mora
romagnola è salva e che la storia ha avuto un lieto fine.
Non era scontato. L’erosione delle razze italiane era
iniziata nel 1872 quando il Ministero dell’Agricoltura
incaricò Antonio Zanelli del Regio Stabilimento Sperimentale di Zoootecnia di Reggio Emilia di importare e
diffondere le due razze inglesi Yorkshire e Berkshire.
Le razze del nord furono le prime a sparire e il sud tutto
sommato riuscì a contenere i danni. Già negli anni ‘20
un grande patrimonio di varietà era perduto e Mascheroni, nel Manuale di Zootecnia della Utet edito nel 1927,
ne censì solamente 11: romagnola, cinta, cappuccia,
maremmana, umbra, abruzzese, casertana, pugliese,
calabrese, siciliana, sarda. Oggi le razze sono sei e la
mora è sicuramente una delle più importanti.
La Razza. La storia di questo maiale nero, che nasce
rosso e cambia colore diventando nero focato sui 6
mesi, ha origini molto antiche e nella sua storia si è arricchita di contributi genetici fin dal periodo longobardo.
Questo lo ha portato ad essere un maiale con carni dalle qualità eccezionali, per caratteristiche nutrizionali e
per la bontà e complessità del sapore. Come descritto nel testo ufficiale dell’Anas, prima dell’unità d’Italia
l’allevamento della popolazione suina romagnola era
diffuso su territori di diversi Stati: lo Stato della Chiesa, il Ducato di Modena, la Repubblica Veneta e poi il
Lombardo-Veneto austriaco. Questa divisione potrebbe
spiegare l’esistenza di diverse varietà della medesima
razza, ben distinte fino agli inizi del novecento. I nomi
delle varietà facevano riferimento al luogo di allevamento (forlivese, faentina, bolognese) o alle caratteristiche del mantello (bruna, mora, castagnina), mentre
il nome di Mora Romagnola comparve solo nel 1942.
Tra le varietà presenti all’inizio del XX secolo, più delle
altre si diffuse e si affermò nelle province di Forlì e di
Ravenna e nell’allora circondario di Rocca San Casciano (tra Romagna e Toscana), un morfotipo con mantello
nerastro, con tinte dell’addome più chiare e con la caratteristica ”linea sparta” costituita da robuste, irte e
fitte setole della linea dorsale che a metà dorso o sul
sacro tendono a cambiare direzione. Questa varietà si
affermò per lo sviluppo delle sue masse muscolari e
per la squisitezza della sua carne, probabilmente derivava da incroci ripetuti tra la Mora e la razza Chianina o
Cappuccia (oggi estinta) che era stata introdotta su larga scala in Romagna per la sua eccellente attitudine al
pascolo. Questa, la più nera di tutte, è quella alla quale
appartenevano gli animali salvati da Mario Lazzari e la
mora odierna infatti ha queste caratteristiche. Le altre
varietà erano la riminese, più chiara e con una stella
bianca sulla fronte, e la faentina, più rossiccia.
LA PAPESSA di Andrea Vitali
Esiste una leggenda che vuole che dopo il pontificato
di Leone IV - siamo nel 885 - una donna proveniente
dal nord Europa, talmente abile da farsi passare per
uomo e grazie a dimostrazioni straordinarie di carità e
devozione, venisse eletta al soglio papale. Rimasta incinta, dono di qualche prelato dimenticato, durante una
processione che la portava in Laterano da San Pietro,
a causa della folla che stringeva da vicino la portantina
dove lei si trovava, pare che il cavallo che la trainava
s’imbizzarrisse provocando nel Papa un travaglio prematuro. Scoperto il segreto, Giovanna fu fatta trascinare per i piedi dallo stesso cavallo per le vie di Roma e
lapidata. La leggenda continua affermando che poiché
venne sepolta nello stesso luogo in cui venne scoperta
la sua vera identità, d’allora in poi le processioni papali evitarono quel luogo, per non far rinverdire il ricordo di tanta scelleratezza. Inoltre, per essere sicuri di
non cadere nello stesso tranello, prima di ogni nuova
consacrazione, il futuro Papa sembra venisse tastato
per controllare la presenza dei testicoli e della verga. Si tratta, ovviamente, di una storia inventata, probabilmente dai Riformisti, tanto per dire che la Curia
Romana era a tal punto corrotta che poteva diventare
Papa anche una donna. I sostenitori della veridicità del
racconto fanno invece riferimento al Platina, bibliotecario vaticano, che nella sua opera sulla storia dei
Papi scrive di Giovanna ‘dicitur foemina esse’, cioè ‘si
dice che fosse una donna’ e inoltre come fra le tante
teste di Papi scolpite e presenti nel Duomo di Siena sia
presente anche la signora venuta dal nord. Per molto
tempo si credette che la Papessa dei Tarocchi facesse
riferimento a quella leggenda, ma le indagini storiche
hanno messo in evidenza che si tratta della Fede Cristiana, così come la dipinse Giotto a Padova nella Cappella degli Scrovegni o Raffaello nelle stanze vaticane.
La Papessa viene raffigurata seduta su un trono, con
tanto di triregno sulla testa e con in mano la Bibbia, il
testo su cui la Fede basa le sue convinzioni. Assieme
al Papa rappresenta nei tarocchi il riferimento spirituale a cui ciascun uomo doveva rivolgersi per la salvezza
dell’anima. In cartomanzia esprime convinzioni, ideali
e la fede in ciò che uno crede.
L’Imperatrice, Aceto Balsamico
Tradizionale di Modena,
Aceto Balsamico Tradizionale
di Reggio Emilia.
di Giorgio Melandri
«L’Imperatrice è una carta che esprime bellezza,
seduzione, fascino, ricchezza e materialità. Sembra un ritratto dell’Aceto Balsamico Tradizionale
prodotto a Modena e a Reggio Emilia.»
C’è una manciata di chilometri a dividere Reggio Emilia da Modena, tutti sulla Via Emilia. E c’è un prodotto
che difficilmente “uno di fuori” riconoscerebbe come
reggiano oppure modenese. Sono differenze sottili,
ma bastano a fare dell’Aceto Balsamico Tradizionale
un prodotto simbolico delle due comunità. Perché di
simbolo si tratta. Anni fa un modenese purosangue mi
raccontò che in cima ad ogni condominio di Modena c’è
qualche batteria di piccole botti per produrre Tradizionale e la “malattia” è così forte che ci sono delle persone che ogni giorno controllano gli annunci mortuari per
vedere se si è “liberata” qualche batteria. “Sai com’è”,
mi aveva detto, “delle volte gli eredi le vendono e allora
bisogna arrivare subito.”. Mi raccontò anche di un bar,
non ne ricordo il nome, dove si ritrovavano i mediatori
specializzati.
L’Aceto Balsamico Tradizionale ha una lunga storia,
nata probabilmente dall’abitudine di cuocere il mosto
d’uva per concentrarlo e di conseguenza conservarlo. Per questo qualcuno ipotizza che a partire dall’alto
medioevo i mosti potessero anche essere speziati. In
Emilia questi mosti cotti, spesso chiamati saba o sapa,
avevano la tendenza a fermentare leggermente e di
conseguenza ad acetificare. Una conseguenza del clima che consegna inverni freddi e umidissimi ed estati
schiacciate dalla calura. L’Aceto Balsamico Tradizionale ha bisogno di questa alternanza e, inutile dirlo, di
tanto tempo. Quello della produzione è infatti per questo un processo molto lento che l’uomo ha probabilmente sfruttato per allungare i tempi di “stagionatura”
e arricchire il prodotto con gli aromi e la complessità
dei diversi legni di stagionatura. Il centro di questa cultura è stato il Ducato Estense e dunque l’attuale areale
di produzione. Il primo scritto che se ne occupa risale
all’anno 1046, quando l’imperatore di Germania Enrico III, in viaggio verso Roma per l’incoronazione, fece
tappa a Piacenza. Da qui rivolse a Bonifacio, marchese
di Toscana nonché padre della famosa contessa Matilde di Canossa, la richiesta di omaggiargli uno speciale aceto che “aveva udito farsi colà perfettissimo”.
Proprio all’interno delle mura del castello che diverrà
famosissimo qualche anno più tardi per l’incontro “del
perdono” tra papa Gregorio VII e l’imperatore Enrico
IV, si narra venisse prodotto un aceto, elisir e balsamo,
tanto agognato dalle teste coronate. Il fatto storico è
registrato nel poema Vita Mathildis dal monaco Donizone, il principale biografo della Gran Contessa Matil-
de. Nei secoli XII, XIII e XIV sappiamo per certo dell’esistenza a Reggio Emilia, Scandiano e nei principali
centri estensi, di fabbricanti di aceto riuniti in vere e
proprie consorterie i cui affiliati dovevano tenere gelosamente custodito il segreto della pregiata produzione.
Dopo l’imprimatur imperiale, per tutto il Rinascimento
l’aceto balsamico compare spessissimo nelle tavole di
re e duchi, in particolare alla mensa dei duchi d’Este.
Con l’avvento nel 1476 di Alfonso I - duca di Ferrara la storia del balsamico ebbe un impulso determinante.
Nel 1863 in una pubblicazione di Fausto Sestini leggiamo inequivocabilmente che “ nelle province di Modena
e Reggio Emilia si prepara da tempo antichissimo una
particolare qualità di aceto a cui le fisiche apparenze e
la eccellenza dell’aroma fecero acquistare il nome di
Aceto Balsamico”. Le testimonianze sull’Aceto Balsamico si infittiscono nell’Ottocento, attraverso gli elenchi dotali delle nobili famiglie reggiane. All’epoca era
buona norma infatti arricchire la dote della nobildonna
che si maritava con vaselli di aceto balsamico pregiato
e batterie di botticini dal contenuto prezioso.
L’Aceto Balsamico Tradizionale (da non confondere con
il semplice Aceto Balsamico) è un condimento ottenuto
dalle uve di Trebbiano di Spagna, di tutti i Lambrusco,
Ancellotta, Sauvignon, Sgavetta, Berzemino e Occhio di
Gatta. Dopo aver fatto bollire il mosto d’uva a fiamma
diretta per concentrarlo questo si aggiunge alle batterie di stagionatura. Le batterie devono essere composte di minimo 5 botti e sempre di un numero dispari di
esemplari, via via più piccole. I legni più comunemente
usati sono castagno, ciliegio, ginepro, quercia, gelso,
frassino. La botte più grande, quella in cui annualmente viene inserito il mosto cotto fermentato, viene tradizionalmente chiamata “badessa”. Ogni legno ha il suo
rapporto con l’aceto, ad esempio il ginepro gli regala
speziatura, il castagno i tannini. Ogni anno, a causa
dell’evaporazione, la batteria perde circa il 20% di peso
e per favorire questo processo le botti vengono sostanzialmente tenute aperte, unicamente con una garza
appoggiata sopra il cocchiume. La fase di maturazione
dura all’incirca dieci anni che, sommata ai circa 2 anni
necessari per la fermentazione ed acetificazione del
prodotto di partenza, giustifica i 12 anni richiesti come
requisito minimo per la definizione di Aceto Balsamico
Tradizionale. Ogni anno si effettua il prelievo del prodotto finito dalla botte più piccola e partire da questo
si rincalza ogni botticella con il prodotto contenuto in
quella immediatamente a monte. Ogni famiglia ha una
sua “ricetta” che comprende una scelta delle uve di
partenza e dei legni di stagionatura. Le batterie sono
tutte registrate in una speciale anagrafe che ne certifica l’età e la composizione.
Il disciplinare dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena prevede due stagionature: Affinato (12 anni minimo di stagionatura e bollino aragosta) ed Extravecchio
(affinato 25 anni minimo e bollino oro). Quello di Reggio
Emilia prevede anche un secondo Affinato che può pregiarsi del bollino argento e che in genere ha 6/7 anni di
stagionatura in più.
L’IMPERATRICE di Andrea Vitali
L’Imperatrice è presente nei tarocchi per il semplice fatto che la Bibbia è categorica nell’affermare che
nella vita occorre essere in due, dato che, ad esempio,
“se due dormono assieme, si possono riscaldare; ma
uno solo come farà a riscaldarsi?” (Ecclesiaste). Il potere temporale per volontà divina era stato messo nelle
mani di un imperatore, il quale saggiamente avrebbe
dovuto provvedere al bene materiale del popolo. Ovviamente all’imperatore spettava dare per primo il buon
esempio, provvedendosi una sposa, dato che l’uomo
solo era considerato vivere continuamente sotto tentazione dell’appetito carnale.
Un’imperatrice era quello che, come si dice in questi
casi, andava a nozze con le esigenze dell’imperatore,
sia fisiche che di buon esempio. Poi, se la moglie fosse
stata anche intelligente, oltreché bella, avrebbe potuto
dare qualche consiglio utile, tanto per venire incontro
ai dettami biblici. La carta mostra in generale una donna seduta in trono, riccamente vestita, con una corona
sulla testa e con in mano lo scettro del comando. Certamente affascinante qualsiasi imperatrice, ancorché
di brutto aspetto, dato che la sua regalità suscitava
negli astanti un senso di rispetto, devozione e ammirazione. A questo proposito occorre riferire un aneddoto
riguardante l’origine del saluto militare: sembrerebbe
che dopo la vittoria della flotta inglese sull’Invincibile
‘Armada’ spagnola avvenuta nel 1588, la regina Elisabetta ordinasse che i marinai che tanto si erano prodigati nello scontro, si presentassero al suo cospetto per
essere da lei onorati e ringraziati. Francis Drake, ammiraglio della flotta inglese, ordinò che al momento di
ricevere l’onorificenza gli uomini si fossero protetti gli
occhi con la mano destra per ‘ripararsi’ dall’accecante
bellezza della sovrana.
Come sappiamo, Elisabetta non era in realtà una donna di grande attrattiva fisica, ma questo non importava. Ciò che la rendeva straordinaria era la sua regalità
che la faceva risultare la più affasciante fra le donne.
In cartomanzia, questa carta esprime bellezza, seduzione, fascino, ricchezza (e come potrebbe non essere
altrimenti?!) e materialità.
L’Imperatore,
Culatello di Zibello.
di Giorgio Melandri
«L’Imperatore in cartomanzia è una carta di successo ed esprime valori di guida e comando, decisione, volontà, fermezza ed onestà. È il ruolo di
Parma nella tradizione dei salumi dell’Emilia e
per questo abbiamo abbinato la carta al più aristocratico dei salumi emiliani, il Culatello di Zibello. Questo salume esprime il valore solido della
tradizione e la sua storia è legata a quella del Nero
di Parma, rappresentato ai piedi dell’imperatore,
il suino storico del territorio, l’unico che riesce ad
esprimere livelli assoluti di complessità.»
Il Culatello di Zibello è un salume ottenuto dalla coscia
di maiale separata dal fiocchetto e rifilata a mano, così
da conferirle la caratteristica forma “a pera”. Viene
prodotto nei mesi freddi, da fine ottobre a febbraio, e
dopo la salatura viene insaccato nella vescica di maiale
e legato con lo spago, spago che dopo la stagionatura
risulta a maglie larghe e irregolari. Sembra tutto detto,
ma la complessità di questo salume, figlia della stagionatura tra le nebbie invernali e le calure estive, ha ben
altro da raccontare.
La storia del Culatello di Zibello è profondamente legata alla storia del territorio di Parma ed è un esempio di
come l’uomo possa trasformare le difficoltà pratiche in
grandi opportunità. Bisogna però partire da lontano, da
quando la pianura padana era un immenso bosco. “Il
territorio di Parma è sempre stato scelto dagli eserciti romani per gli accampamenti invernali e lì, probabilmente, si è cominciata a produrre carne salata per
le campagne militari estive. Qui c’era il sale, ottenuto dalle acque salse di Salsomaggiore e c’era l’acqua.
O forse, meglio, c’erano i terreni acquitrinosi e ricchi
ideali per il maiale”. Massimo Spigaroli parla del suo
territorio con un trasporto che trasforma le supposizioni in una storia affascinante. Certo è che il rapporto
con il maiale fa parte della storia di Parma e che i Longobardi, arrivati qui dopo i Romani, continuarono una
tradizione che era di fatto anche una cultura europea.
Nell’editto di Rotari, nel 643, all’allevamento dei maiali allo stato brado in querceti e faggete, sono dedicati
infatti ben sette articoli. Una tradizione conservata nei
secoli fino a quando, con il ducato, successe qualcosa
che cambiò le caratteristiche del maiale nero di Parma
rendendolo unico. Nel 1714 Elisabetta Farnese sposò
Filippo V di Spagna, un matrimonio che porterà poi i
Borbone a governare dal 1748 il granducato di Parma
con Filippo di Borbone, figlio appunto di Elisabetta.
Con i Borbone arrivarono a Parma i bufali, le pecore
Merino e i maiali di linea iberica che incrociati con i
maiali locali posero le basi per una razza nera diversa da tutte le altre. Successe anche per la pecora del
Corniglio, la razza dell’Appennino di Parma, che è con
la gentile di Puglia e la Sopravissana una delle razze
italiane figlie degli incroci con la Merino portata dai
Borboni. L’unica nel nord Italia. Scrive il prof Alberto
Sabbioni dell’Università di Parma: «Una delle più antiche fonti bibliografiche alle quali siamo stati in grado
di attingere per ricostruire la storia della razza suina
Nera Parmigiana è rappresentata dal testo Memoria
intorno all’educazione, miglioramento e conservazione delle razze de’ porci di Francesco Toggia (Torino,
1820) che suddivide le razze suine in relazione alla provenienza, ed accomuna i suini iberici con quelli originari della parte meridionale della Francia, dell’Africa
e dell’Italia. A questo gruppo, caratterizzato da animali
“robusti, fecondi, di buona bocca” e che “ingrassano
facilmente”, egli ascrive la razza Parmigiana. A proposito delle razze suine italiane, viene citata per prima
quella Parmigiana, “la quale ivi ha conservato la sua
purità”. Essa viene brevemente descritta come animale
caratterizzato da arti corti, setole quasi assenti, colore della pelle “bruno tendente al nero, ma più fino, e
delicato di quello degli altri porci”; il peso è ragguardevole, se paragonato alle altre razze allora allevate,
potendo raggiungere i 190-240 kg, “e la loro carne è di
un gusto esquisitissimo, e si conserva molto tempo”. A
Bologna, invece, era descritta una razza con mantello
rosso e cinghiatura toracica bianca (probabilmente da
ricondurre alla più conosciuta Rossa Modenese), mentre nel Napoletano sono citati animali simili a “quelli
di Parma, ma non così voluminosi” (forse l’odierna Casertana). La dovizia di particolari con i quali vengono
descritti gli animali di razza Nera Parmigiana rispetto
agli altri presenti in Italia e le continue citazioni nelle pagine seguenti, a proposito delle razze presenti in
Francia e in Piemonte, con le quali vengono confrontati,
ci fa ritenere la razza già consolidata all’epoca e particolarmente apprezzata.». Il fatto è storia e Spigaroli,
con una ipotesi sempre più accreditata, individua nel
cambiamento l’origine del Culatello di Zibello. “I maiali
aumentarono di dimensione e nella umidissima bassa
parmense non si riuscirono più a salare e conservare
in modo adeguato le enormi cosce di maiale. Fu così, io
credo, che fu inventato il culatello, per soddisfare l’esigenza pratica di diminuire la dimensione delle cosce
da salare.”. A sostenere questa tesi c’è, oltre ad una
prima citazione di un prosciutto stagionato senza osso
che era probabilmente un culatello, un documento uf-
ficiale. La parola culatello compare per la prima volta a
Parma nel 1735 nel Calmiero della carne porcina salata. Di certo c’è che la famiglia Spigaroli ha confidenza
con questo incredibile salume fin da quando, ormai più
di un secolo fa, si trovò a produrlo per la famiglia del
grande musicista Giuseppe Verdi. “Ho lavorato a lungo
sul culatello fino a quando ho sentito la necessità di
recuperare la complessità dei salumi del passato. E a
quel punto la mia strada ha incrociato di nuovo quella
del suino nero di Parma.” A parlare è ancora Spigaroli.
“Questo è un maiale che ha un grasso eccezionale, ed
è perfettamente nel gusto di questo territorio. È dolce
e con grasso abbondante, tra l’altro un grasso di qualità eccezionale. Una dimostrazione di come la cultura
di una comunità possa orientare la selezione delle sue
razze di riferimento.”. E la qualità del grasso è dimostrata dal fatto che i tagli adiposi, come spalla e lardo,
spuntano oggi prezzi superiori agli altri, il contrario di
quello che succede con i maiali bianchi “industriali”. Il
recupero del Nero di Parma inizia alla fine degli anni
’90 quando un censimento dell’APA (Associazione Provinciale Allevatori, oggi confluita nell’Araer) evidenzia
in Appennino una residua popolazione di maiali che
presentavano macchie nere sul dorso. Sabbioni, che
dal 2003 ha seguito il progetto di recupero del Nero di
Parma, scrive: “Nella campagna di Santa Margherita di
Fidenza vennero trovate alcune scrofe con estese macchie grigio ardesia sul dorso e sul posteriore: in questa
azienda, fino a qualche anno prima si allevavano una
trentina di scrofe e buona parte dei suinetti era venduta
dopo lo svezzamento, mentre gli altri erano mantenuti
in azienda per l’ingrasso e per la rimonta. Nell’azienda
erano sempre stati allevati maiali neri o macchiati fino
a quando, cessata l’attività, non avendo più a disposizione un verro nero, l’anziana conduttrice ha raccontato di essere stata costretta ad usare un verro comune,
ma che fra i suinetti di “colore”, sempre meno frequenti, venivano scelte le scrofette da tenere in azienda.
Nel comune di Bardi nell’alta Valceno, su segnalazione
del veterinario locale, vennero trovati e acquistati due
suinetti, maschio e femmina, figli di una scrofa macchiata coperta da un verro macchiato; il maschio era
quasi completamente nero. Si risalì così al verro, un
ossuto animale macchiato allevato da un vecchio montanaro della zona; non fu possibile acquistare il verro,
ma esso venne utilizzato per alcune monte. A Pellegrino Parmense vennero trovate altre scrofette, scarsamente macchiate sulla groppa, allevate da un allevatore di vacche da latte che, in periodo invernale, svolgeva
l’attività di norcino e vendeva i salumi.” Fu l’inizio di un
recupero che oggi, dopo molte generazioni, ha linee di
sangue pure finalmente pronte per il riconoscimento di
razza che sarebbe la settima razza nera italiana. Per
questo risultato dobbiamo ringraziare le meravigliose
disobbedienze contadine dei contadini di montagna che
dagli anni ’60 protessero i maiali neri facendone sopravvivere i preziosi geni.
Dunque il culatello di Zibello ha ad un certo punto incrociato di nuovo la strada del Nero di Parma ed è secondo me impossibile oggi parlare dell’uno senza parlare dell’altro. Così come è difficile parlare del Culatello
senza parlare dell’Antica Corte Pallavicina di Massimo
Spigaroli e del fratello Luciano, che ha costruito sul
Culatello di Zibello un racconto che coinvolge il paesaggio. E inventato di fatto un territorio. È una visione,
nutrita con una forza e con una caparbietà che ha pochi
paragoni in Italia.
Siamo infatti accanto al Po, in un vecchio castello del
1300 costruito accanto ad un porto fluviale, in un paesaggio di nebbie invernali dense e giornate estive roventi, in mezzo al niente o forse, più semplicemente,
in mezzo ad un paesaggio che nasconde la filiera, e la
bellezza, tra argini e campi. Oggi questo posto è una
azienda agricola e un progetto di ospitalità con camere
e ristorante nel quale arrivano da tutto il mondo. La prima volta che sono entrato nella grande sala ristorante
ho subito notato un grande ritratto della famiglia Spigaroli ed è stata per me una illuminazione. Quel ritratto
racconta il progetto di Massimo meglio di migliaia di
parole, in modo emozionante e discreto. Massimo è riuscito a mettere al centro di tutto la magia e l’intimità
di quel clima familiare e la sua costruzione ne rispetta
sempre l’anima. L’incanto ha attraversato il tempo ed
è oggi miracolosamente intatto, credibile dentro ad un
progetto di adulti, condiviso da chi arriva qui. Il segreto
di Massimo Spigaroli è questo: avere lavorato, inventato, sognato, costruito, nel rispetto di quella atmosfera.
E di averla resa leggibile a tutti.
L’IMPERATORE di Andrea Vitali
L’imperatore, messo al governo degli uomini per volontà divina e per occuparsi dei bisogni del proprio
popolo, è raffigurato nei Tarocchi seduto su un trono
con in mano lo scettro del comando e un globo aureo.
Il bastone del comando, presente in numerose narrazioni veterotestamentarie, era utilizzato nell’antichità da tutti i dignitari di alto rango. Il globo, per la sua
sfericità che la collega al simbolo del cerchio e quindi
dell’infinito, lo si trova spesso nelle mani di Dio. Infatti
non era raro trovare imperatori che si credevano dei.
Un simbolo importante presente sul copricapo dell’Imperatore, come nella omonima carta dei quattrocenteschi Tarocchi Visconti-Sforza o su uno scudo posto ai
suoi piedi, quale appare nel francese Tarocco Vieville
del sec. XVII, era l’aquila, il principe degli uccelli. Non
tanto per le sue dimensioni quanto perché, volando più
in alto di tutti, vedeva più distante degli altri. Il simbolismo dell’aquila si rapporta quindi alla capacità
dell’Imperatore di vedere oltre, alla facoltà di scorgere
‘da lontano’ le necessità del suo regno e inoltre alle sue
capacità di scelta nell’individuare quanto mantenere e
quanto estirpare per il bene del suo popolo. Ciò lo rendeva un essere illuminato, in qualche modo un chiaroveggente, qualità attribuite infatti al rapace.
Nel Bestiaire di Philippe de Thaon del 1126 si leggono
infatti questi versi a proposito del rapace: “L’aquila è la
regina degli uccelli. Giustamente in latino la chiamiamo “chiaro-veggente”, perché guarda il sole quando è
più luminoso e sebbene lo guardi fissamente, tuttavia
non distoglie da esso lo sguardo”. La presenza di un
giglio nella carta dei cosiddetti Tarocchi di Carlo VI, in
realtà bolognesi del sec. XV, non testimonia che fosse
stato raffigurato un imperatore francese, in quanto tale
fiore fu largamente adottato nell’araldica europea, anche se la sua origine è da far risalire al cosiddetto Giglio di Francia. Il suo significato araldico appare infatti
di varia natura. Se da un lato il fiore, per il suo colore,
rappresenta la purezza, il candore dell’animo, l’onestà
e conseguentemente la rettitudine, dall’altro può divenire rappresentazione dell’abbandonarsi alla volontà
divina, cioè alla Provvidenza che sopperisce ai bisogni
dei suoi eletti, così come troviamo nella tradizione biblica in Matteo (6, 28): “Osservate come crescono i gigli
del campo; non lavorano e non filano, eppure abbandonato nelle mani di Dio, il giglio viene adornato meglio di
Salomone in tutta la sua gloria”. Pertanto nella carta di
Carlo VI - come in qualsiasi altra raffigurazione legata
a personaggi di potere dove il giglio è presente - tale
fiore rappresentava le peculiarità proprie del sovrano
che, come abbiamo visto, consistevano nella purezza e
nell’onestà delle sue azioni e delle finalità a cui il suo
governa attendeva, oltre alla dimostrazione che il popolo non sarebbe mai stato abbandonato a se stesso,
ma continuamente aiutato dall’imperatore che avrebbe sopperito ai suoi bisogni nei momenti problematici
dell’esistenza. In cartomanzia, questa carta esprime
persona leader, comando, decisione, volontà, fermezza, onestà e ovviamente, successo.
Il Papa, Pignoletto.
di Giorgio Melandri
«Il Papa è una carta che esprime saggezza e rimanda alle azioni che permettono di esprimere le
personali convinzioni. Proprio alla saggezza ci riferiamo nell’abbinarla al Pignoletto, un vino che
oggi, con lungimiranza, punta tutto sui suoi valori
territoriali. »
Bologna e l’Emilia-Romagna sono luoghi emergenti nell’immaginario collettivo dei cittadini del mondo: si mangia bene
e si vive con uno stile di vita invidiato e ammirato. E poi in
Emilia-Romagna la gente è accogliente e ospitale. Bologna
sta diventando il simbolo di questa regione che cresce e ha
voglia di futuro. E c’è un vino, il Pignoletto, che rappresenta
bene tutto questo. Erano poche centinaia di ettari qualche
anno fa, sono circa tremila oggi. E il racconto di questo vino
bianco è diventato profondamente territoriale. Proviamo a
ripercorrerne la storia.
A Bologna, la tradizione era quella di vinificare insieme Albana e Trebbiano, sia Trebbiano di Empoli che Trebbiano
romagnolo. Quello era il vino bianco di Bologna, mentre il
rosso era a base di Barbera e Negretto oppure barbera e
Grasparossa nella zona collinare che si avvicina a Savignano sul Panaro. In pianura, in tutto il territorio modenese
e bolognese, c’erano anche altri vitigni bianchi come l’Alionza (tra l’altro un bianco con l’acinellatura!) e il Montuni.
Erano i protagonisti delle alberate che caratterizzavano il
paesaggio di pianura. E poi c’era anche il Pignoletto, soprattutto nella zona che produceva canapa. La canapa vuole terreni asciutti e per questo i campi erano sistemati a
schiena d’asino in modo che potessero smaltire facilmente
l’acqua piovana. Tra un campo di canapa e l’altro vi era il
cosiddetto “cavalletto”, una striscia di terra che aveva ai
lati due fossi di scarico. In quella striscia c’era un’alberata
frangivento –di frassino, acero campestre o olmo– che impediva alla canapa femmina di allettare. Nell’alberata era
tipicamente presente il pignoletto, allora chiamato pignolo
come attesta un documento rinvenuto nell’archivio della
famiglia Lodi (ora Lodi Corazza) che parla di una vendita
di casse d’uva pignolo fatta da Luigi Lodi, noto a Bologna
come botanico e come primo curatore dell’Orto Botanico
della città. Siamo a Zola Predosa, ma in effetti la canapa
era diffusa fin sulle prime colline. “Lo chiamavano pignolo
ed era un’uva amata dai mezzadri perché produceva molte foglie e dunque era ideale come barriera per il vento. Il
centro di queste alberate era Calderara di Reno. I padroni
chiedevano Albana, ma i contadini piantavano pignolo!”, a
parlare è Enzo Garagnani, titolare negli anni ’70, insieme al
socio Anderlini, dell’azienda Al Pazz (il pozzo) di Montebudello, “Poi successe che questo vitigno convinse tutti per la
rusticità e per i profumi e si diffuse pure in collina a partire
dagli anni ’50. Noi fummo i primi ad indicare in etichetta il
nome Pignoletto bolognese a metà degli anni ‘70. E fu un
successo che portò in pochi anni alla DOC”. È curioso come
la canapa abbia firmato un altro prodotto tipico di Bologna…
il pesce rosso che veniva riprodotto e allevato nei maceri e
spedito con il treno in tutta Europa. La produzione bolognese
era rinomata e ricercata, soprattutto in Germania.
“Nel 1967 la Romagna aveva istituito la doc Albana e da quel
momento i bolognesi persero interesse per questa produzione storica.”, racconta Alberto Bettini della Trattoria Amerigo di Savigno, “Io feci la mia prima carta dei vini negli anni
’80 e feci fatica a trovare una Albana dei Colli Bolognesi. Il
Pignoletto aveva già successo e lo producevano Anderlini e
Garagnani, Lazzari a Ponte Rivabella, Gaggioli e Negroni a
Montemaggiore. I Negroni lo chiamavano Sparvo dato che il
nome Pignoletto non lo conosceva nessuno. Altri scrivevano
in etichetta Riesling italico, per lo stesso motivo.” Però da
allora il Pignoletto ha guadagnato terreno, fino alla qualità
delle produzioni odierne e fino alla nuova Doc che ne ha rivoluzionato la lettura. L’attuale Doc Pignoletto, istituita nel
2014, prende il nome dalla località Pignoletto nel Comune di
Monteveglio (ora Valsamoggia), territorio di confine fra Bologna e Modena. Il territorio di riferimento della Doc comprende le colline modenesi, i colli bolognesi e si estende fino ai
colli di Imola e Faenza. In pianura si spinge fra Panaro e Reno
e fino al territorio romagnolo del comune di Faenza. È una
zona molto vasta, ma è l’aerale storico di diffusione. Dentro
alla Doc sono previste tre sottozone: Modena, Colli di Imola,
Reno. A suggellare la storicità e la qualità delle produzioni
dei Colli Bolognesi è stata istituita la Docg Colli Bolognesi
Pignoletto. È una docg importante che mette in evidenza le
possibilità di lettura territoriale di questa area produttiva
che ha in un mosaico di suoli diversi (e di diversi microclimi)
la sua cifra complessiva. Il Pignoletto si produce in diverse
versioni: fermo, frizzante, spumante, passito e vendemmia
tardiva. È un vino fresco, profumato, che si esprime su sentori erbacei –salvia, erbe di montagna, origano fresco– e su
un corredo agrumato elegantissimo. È sapido in generale e
materico nelle produzioni più legate alla pianura.
IL PAPA di Andrea Vitali
La figura del Papa nei tarocchi non subì radicali trasformazioni rispetto ai primi esempi conosciuti: gli attributi della
tiara sul capo e dell’asta cruciata tenuta in una mano, alternati al libro sacro o alle chiavi che indicano la discendenza da San Pietro, rimarranno costanti nelle versioni iconografiche di questo Arcano unitamente all’atteggiamento
benedicente. Assieme alla Papessa, cioè la Fede, il Papa
rappresentava il punto di riferimento spirituale a cui ogni
uomo doveva rivolgersi per la salute della propria anima. La
tiara papale o triregno (in latino triregnum) rappresenta il
copricapo extra-liturgico che ogni Papa indossò durante la
cerimonia dell’incoronazione, da Clemente V (1305) a Papa
Paolo VI (1963), il quale poi ne sospese l’uso sostituendola con la mitria. Il significato simbolico delle tre corone del
triregno è ancora oggetto di indagine: per alcuni storici significa il triplice potere del Papa in quanto “padre dei principi e dei re, rettore del mondo, vicario in terra di Cristo”,
per altri la triplice autorità del Sommo Pontefice: “Pastore
universale, Giurisdizione ecclesiastica e potere temporale”, mentre Giovanni Paolo II nel suo discorso per l’inizio
del pontificato le associò alla triplice missione di Cristo, in
quanto “Sacerdote, Profeta-Maestro, Re”. Ma esse potrebbero rappresentare anche la “Chiesa Militante sulla terra,
la Chiesa purgante dopo la morte e prima del Paradiso, e
la Chiesa trionfante nella ricompensa eterna”. Forse prima
o poi, si raggiungerà un accordo. Il libro tenuto in mano dal
Pontefice è quello Sacro della fede cristiana, cioè la Bibbia
(Vecchio e Nuovo Testamento) che contiene le Verità divinamente rilevate. Un elemento simbolico di grande interesse
si trova nella carta del Tarocco Parigino di anonimo datato
all’inizio del sec. XVII, dove il Papa tiene nelle mani chiavi di
grandi proporzioni e una lunga asta. Ai suoi piedi appare una
Sfinge viva dalle proporzioni di un cane, ritta sulle zampe
anteriori. La Sfinge, divinità solare, fu considerata dagli antichi Egizi simbolo di sovranità, di saggezza, di forza divina.
A proposito del Carro di Minerva, dea della Sapienza, così
scrive Cesare Ripa nella sua Iconologia a fine Cinquecento:
“in capo porta una celata, che per cimiero ha una sfinge”
a significare “che la sapienza ogni ambiguità risolve”. La
presenza della Sfinge nella carta del mazzo sopra descritto
esprime simbolicamente la sapienza del Pontefice, la forza
divina che in lui risiede e che lo guida in qualsiasi decisione,
oltre ad essere l’incarnazione terrena della Verità rivelata.
La posizione della Sfinge che non è di riposo, ma ritta sulla zampe anteriori, denota che la sua attenzione, e quindi
quella del Papa, è vigile e pronta a manifestare, in ogni momento e laddove occorresse, le proprie capacità sapienziali.
Molto si è discusso sulla presenza nei tarocchi di immagini
di Pontefici con o senza barba, cercando di individuare quali personaggi reali fossero stati rappresentati nelle carte.
Seppur tale opera appaia meritoria, la barba, lungi da essere intesa come un preciso riferimento realistico di un ritratto, deve essere interpretata come un aspetto di saggezza in
quanto le persone sagge venivano sempre raffigurate con
questo ornamento naturale dovuto all’età avanzata alla quale veniva attribuito tale dote intellettiva. Una volta passato
nel dimenticatoio il concetto di Scala Mistica, la presenza
del Papa e della Papessa nei tarocchi non fu ben vista dalla
Chiesa del tempo, che lecitamente si domandava il motivo
per cui in un gioco di carte fossero state poste quelle due
figure sacre. Valutando la cosa più che inappropriata, fece
sentire a più riprese il proprio alito inquisitoriale sul collo
dei giocatori. Un atteggiamento che non produsse alcun
effetto, dato che si continuò a giocare a tarocchi per tutti i
secoli a venire. Solo a Bologna la Chiesa corse ai ripari, facendo sostituire fin dal 1725 il Papa e la Papessa, e per par
condicio anche la figura dell’Imperatore e dell’Imperatrice,
con quattro moretti. In cartomanzia, questa carta esprime
saggezza, matrimonio e le convinzioni personali quando
vengono espresse attraverso un’azione.
Gli Amanti,
Lambrusco Salamino
di S. Croce.
di Giorgio Melandri
«Gli Amanti in cartomanzia esprimono semplicemente una scelta o la necessità di operarla. Noi
abbiniamo questa carta al Lambrusco Salamino
di S. Croce, una DOC che testimonia bene la scelta di Modena di puntare sulla specializzazione dei
territori. Un scelta che ha la forza di una grande
tradizione.»
S. Croce di Carpi è una piccola frazione alle porte di
Carpi, a pochi km dal fiume Secchia. Siamo nella pianura modenese, al confine con il territorio reggiano,
qui così vicino che alcune parrocchie della diocesi di
Carpi sono in provincia di Reggio Emilia. La pianura è
il regno del Salamino, il vitigno che regala il nome alla
DOC. Per parlare del Salamino di S. Croce occorre partire da qui, dal suo paesaggio, da una pianura segnata
da argini e canali, da campanili e grandi alberi solitari. Il paesaggio qui è cambiato parecchio, soprattutto
con la scomparsa delle famose piantate che reggevano
i festoni formati dalle liane della vite. Poi è arrivato il
Bellussi, il sistema a raggi molto diffuso nel modenese
che lascia sfogare la pianta e che ancora ha accaniti
estimatori. In ultimo, e siamo ai giorni nostri, gli impianti moderni. Per capire la storia di questo territorio
e della incredibile diffusione della vite occorre parlare
delle sue cantine cooperative, le prime nate in Italia. La
Cantina di Carpi, fondata nel 1903 è la più vecchia cantina cooperativa italiana ancora in attività se si escludono le cantine altoatesine che furono fondate quando
l’Alto Adige era ancora austriaco. Agli inizi del 1900 la
minaccia di una crisi vinicola turbava l’animo di tutti i
viticoltori. A Carpi, il dott. Alfredo Molinari, per far fronte a tutto ciò, propone l’istituzione di una Società Civile, che insieme alla Cooperazione di alcuni viticoltori,
avrebbe permesso la completa solidarietà fra gli associati, responsabilità illimitata di fronte a terzi, garanzia
di affidamento. Nasce così la Cantina Sociale di Carpi.
Siamo agli albori dell’agricoltura moderna. Conclusa
la prima Guerra Mondiale nel 1918, la Cantina diventa
una Cooperativa. Un ruolo importante in quegli anni fu
quello di Gino Friedmann che nel 1913 fu promotore
della Cantina Sociale Cooperativa di Nonantola, costituita a Modena il 18 maggio dello stesso anno. Sogno
e visione, grande energia e capacità di fare progetti
concreti come la costruzione della sede della cantina
in un’area adiacente la ferrovia con la dichiarata intenzione di sfruttare la nascente linea Modena – Ferrara
per spedire il vino. Friedmann era convinto dei principi di cui aveva dimostrato con la pratica la validità e si
fece promotore della nascita di un sistema cooperati-
vo nell’intera provincia: nel 1920 fu creata la cantina
sociale di Formigine, alla quale seguirono, nel 1923,
quelle di Modena, di Sorbara, di Limidi e di Settecani.
Il modello cooperativo si affermò in fretta, tanto che in
un articolo del 1927 il Direttore della Cattedra Ambulante di Modena G. Toni sottolinea come Reggio Emilia
con il 50,6% e Modena con il 47,6%, rappresentino le
aree in cui la viticoltura occupava la maggior superficie
agricola coltivabile. Gino Friedmann fu un personaggio straordinario che promosse la cooperazione, ma
che soprattutto portò la cultura dell’innovazione dentro all’agricoltura di questo territorio. Ebreo, figlio di
una importante famiglia modenese, fu anche sindaco
di Nonantola e fu il primo presidente della Federazione
nazionale delle cantine sociali fondata nel 1922.
Ma torniamo al Salamino. È il più educato dei lambrusco, resta equilibrato anche nei terreni grassi della
pianura che si allontana da Secchia e Panaro, sempre
suadente nei tannini, elegante e austero nel frutto. È
forse meno ancestrale di altri lambrusco, e l’equilibrio complessivo che regala ai vini è la firma di questa
caratteristica. Si adatta anche ai terreni più sciolti del
territorio di Sorbara, dove viene piantato per fare da
impollinatore a quel vitigno meraviglioso e difficile che
è il sorbara. Il grappolo è piccolo e compatto e somiglia
ad un piccolo salame, caratteristica che gli ha regalato
questo originale nome.
Per chiudere un pensiero ad un grande interprete del
Salamino di S. Croce, Villiam Friggeri, a lungo enologo
della cantina cooperativa di S. Croce, scomparso nel
2014.
GLI AMANTI di Andrea Vitali
Nei quattrocenteschi Tarocchi Visconti Sforza questa
allegoria è raffigurata da due giovani durante la cerimonia della dextrarum iunctio, ovvero l’unione della
mano destra, rito di indissolubile legame in voga anche all’epoca romana, specialmente fra la classe senatoria. Li sovrasta in piedi sopra una fontana Cupido,
dio dell’Amore sessuale, bendato e munito di frecce.
Per questo motivo venne anche chiamato ‘traforello’ perché trafiggeva gli uomini con dardi di passione
amorosa. L’Aretino nell’opera Le carte parlanti (1543)
gli riserva gli attributi di ‘furfantino’ e ‘impiegatorio’,
quest’ultimo per il fatto che, essendo al servizio della madre Venere, da bravo figliolo ubbidiva ciecamente
a tutto ciò che la madre gli imponeva di fare, come il
più umile degli impiegati. Per comprendere il significato attribuito all’Amore nei tarocchi, occorre far riferimento ai Trionfi del Petrarca dove viene interpretato
come ‘istinto’, forza travolgente che spinge l’uomo ad
abbracciare le proprie passioni rendendolo cieco come
lo era Cupido, che colpiva ovunque senza un’apparente
ragione. Una variante figurativa apparsa nei tarocchi
nel sec. XVII consiste nell’immagine di un uomo in atteggiamento pensoso fra due donne. Non si poteva certamente affermare che una delle due fosse una grande
bellezza, in confronto all’altra assai seducente. Per di
più, colei che non brillava era completamente vestita
fino al collo, mentre l’altra mostrava nudità in più parti
del corpo fra cui il seno. L’immagine si riferisce al mito
di Ercole al bivio fra il Vizio e la Virtù. Quale delle due
donne scegliere? Se l’una, quella meno bella, teneva
la mano destra alzata indicando un alto colle, raggiungibile attraverso un percorso tortuoso e sulla cui cima
si trovava Pegaso, il cavallo alato simbolo della fama,
l’altra fanciulla teneva la mano rivolta verso il basso indicando all’eroe bicchieri colmi di buon vino, maschere
e carte da gioco e, in alcuni casi, fanciulle nude che si
dilettavano nelle acque di un laghetto. Lasciando al lettore di immaginare quale delle due signore incarnasse
il Vizio, questa ‘favola’ ideata dal greco Prodico, amico di Socrate e Platone, e narrata da Senofonte (Detti memorabili di Socrate, 2.1,22 ss.), fu assunta dalla
Chiesa del tempo quale insegnamento sulla giusta via
da seguire, dato che Ercole - forse abbagliato dal sole?
- scelse la Virtù. Anche se il percorso che conduceva ad
una vita virtuosa appariva ad Ercole tortuoso e in salita,
la sua scelta venne ricompensata da Giove che di lui ne
fece un dio. In cartomanzia questa carta esprime semplicemente una scelta o la necessità di operarla.
Il Carro,
Colli di Parma Barbera.
di Giorgio Melandri
«Il Carro è in cartomanzia una carta che significa
successo, movimento, motivazione. La Barbera
dei Colli di Parma con la sua freschezza e la sua
energia è esattamente questo, un vino in movimento pieno di allegria e forza. »
“È la barbera il vino importante di Parma, è sempre stato così. Secondo me lo si può considerare l’espressione
più alta del nostro territorio.”. Ricordo questa frase con
precisione a distanza di anni. Me la disse una mattina
Camillo Donati, il vignaiolo di Parma famoso in tutto il
mondo per i suoi vini rifermentati in bottiglia, nella sua
cantina a due passi dal Castello di Torrechiara. “Molti purtroppo ignorano la storia della viticoltura delle
nostre zone, ma prima dell’avvento della fillossera le
colline attorno a Torrechiara, Arola e Barbiano erano
tappezzate da vigneti per lo più di Barbera, Malvasia
Aromatica di Candia e Moscato. Dopo la fillossera, che
ha letteralmente devastato i vigneti, i grandi proprietari terrieri hanno investito nell’allevamento bovino
per la produzione di Parmigiano Reggiano anche in
collina, ritenendolo meno rischioso.”. E forse, un altro
nemico della vigna fu la battaglia del grano voluta da
Benito Mussolini. E quella di Camillo Donati non è l’unica testimonianza in questo senso. “Una cosa è certa,
era la Barbera il vitigno principe delle colline attorno a
Langhirano,”, a parlare è Giovanni Lamoretti, erede di
un’azienda storica di questo territorio, “anche se parlare di purezza mi sembra azzardato perché ognuno faceva le vigne a modo suo, mescolando vitigni e biotipi.
Comunque la Barbera era la regina di queste colline,
famosa già alla fine dell’ottocento, in particolare quelle
di Maiatico e di Casatico. L’azienda Grossi, per fare un
esempio, riforniva la casa reale proprio con la Barbera
di Parma. Il Lambrusco era nelle piantate di pianura
insieme alla Fortana, tra una striscia di prato stabile e
l’altra. Ricordo che nei primi anni ’70 a Parma si cercò
di fare un Consorzio del Lambrusco, ma di fatto non si
riuscì perché non c’erano le vigne.”.
Oggi a Parma si parla di lambrusco, ma a guardare la
tradizione il rosso frizzante di Parma è sempre stato un
vino fatto con la barbera, in gran parte, e la bonarda.
È la stessa tradizione di Piacenza, fatto che testimonia una continuità importante tra queste due provincie,
riscontrabile anche nei vini bianchi fatti con la malvasia. A Piacenza hanno dato un nome a questo vino, il
Gutturnio, a Parma no. Questo è successo e questo ha
influenzato la storia in modo significativo. Non che a
Parma non ci fossero uve lambrusco, ma quella non
era la tradizione importante del territorio. Oggi parla-
re di Barbera sembra strano, quasi fosse una curiosità
e invece nella storia di Parma questo vitigno aveva il
ruolo di protagonista. “Quel rosso frizzante fatto con
Barbera e Bonarda era il vino rosso di Parma. E credo
lo sia ancora. Io lo vado a cercare presso gli artigiani di
collina che ne hanno conservato la tradizione.”. A parlare è Diego Sorba del Tabarro, uno degli Osti più conosciuti e originali della città. Andrea Grignaffini, stimato
giornalista enogastronomico parmigiano, aggiunge a
questo racconto un suo ricordo personale, che arricchisce la nostra lettura: “A Parma, in città, si beveva
anche un vino rosso frizzante abboccato fatto con Fortana e lambrusco Maestri, un vino semplice e fruttato.
A Parma, bisogna dirlo, un certo gusto per il dolce c’è e
questi vini da osteria erano molto amati dalla gente.”.
A fare una sintesi tra questi contributi una conclusione viene fuori. Il vino della tradizione collinare è quello
che oggi si chiama Colli di Parma rosso, un vino rosso
frizzante ottenuto da Barbera, in gran parte, e Bonarda. Un vino molto vicino al piacentino Gutturnio, rosso
e frizzante. Molti però ricordano la particolare vocazione delle colline parmensi per la Barbera, un vino che
solo in questo territorio veniva vinificato anche da solo.
Come fanno ancora Camillo Donati e Giovanni Lamoretti e come fanno alcuni altri piccoli artigiani come
Gianmaria Cunial e Crocizia. Accanto a questi, che vinificano la barbera frizzante c’è l’impegno di Monte delle
Vigne che porta avanti un interessante progetto per una
barbera vinificata ferma.
IL CARRO di Andrea Vitali
Nell’antica Roma quando un generale tornava vittorioso da una campagna militare, riceveva dall’imperatore,
e in età repubblicana dal senato, il Trionfo, cioè una corona d’alloro, segno dell’ imperitura riconoscenza del
popolo romano. Il suo cocchio sfilava per le vie della
città, tra due ali di folla osannante, seguito dai legionari, dai nemici vinti in catene e da carri colmi dei tesori
tolti agli avversari. Uno schiavo teneva sulla testa del
generale l’alloro della vittoria e gli sussurrava all’orecchio: Respice post te! Hominem te memento! (Guarda
dietro te! Ricordati di essere un uomo!). Un consiglio,
un comando o un semplice avvertimento? Al tempo degli imperatori, se concedere il Trionfo era indispensabile rituale, il momento si configurava non proprio dei
migliori poiché le legioni avrebbero ubbidito al proprio
generale se questo avesse deciso di impossessarsi del
potere. Le parole sussurrate all’orecchio del trionfatore stavano a significare che il vero dio era l’imperatore
e che ribellarsi al suo potere sarebbe stato come tradire una divinità. Azione inaccettabile. Nella più antica
lista di tarocchi conosciuta, risalente alla fine del sec.
XV, l’anonimo monaco compilatore chiama questo carta ‘lo caro triumphale’, cioè il carro trionfale, definendolo con l’attributo ‘mundus parvus’ ovvero un piccolo
mondo, un trionfo minimo. In parole povere un trionfo
illusorio, un monito indirizzato a chiunque cercasse la
gloria e la fama, dato che queste sarebbero defunte con
la morte. Per cui l’espressione Memento homo, quia
pulvis es et in pulverem reverteris (Ricordati uomo, che
sei polvere e polvere ritornerai) tanto declamata dalla
Chiesa non era altro che un ampliamento orrificante
della frase sussurrata all’orecchio dei generali vittoriosi, un additare alla morte come la fine di ogni successo
che, essendo terreno, sarebbe svanito nel nulla. Infatti
il Carro assumendo nei tarocchi i valori attribuiti dal
Petrarca alla Fama nei suoi celebri Trionfi, anche se
questa consegna al tempo le gesta dei grandi uomini,
dovrà poi soccombere al Tempo e soprattutto all’unica
e vera realtà immutabile, cioè la Divinità che il Petrarca
espresse nel Trionfo dell’Eternità. La carta mostra un
guerriero in armatura o in ogni modo lussuosamente
vestito su un carro trainato da cavalli, con in mano il
globo aureo e il bastone del comando. C’è da chiedersi
chi governasse il carro. In cartomanzia significa avere successo, trionfare e un muoversi caratterizzato da
una spinta motivazionale forte.
La Giustizia,
Gutturnio.
di Giorgio Melandri
«Dal punto di vista divinatorio La Giustizia indica
la valutazione di persone e situazioni, ma anche
l’equità e l’equilibrio. Facile associarla al Gutturnio, un vino che vive dell’equilibrio tra le due
uve che lo compongono: da una parte la barbera
con la sua acidità, dall’altra la bonarda con i suoi
tannini.»
Il Gutturnio è un vino che chiede coraggio e amore
per la classicità. È tradizionalmente frizzante, ma ha
espresso sempre grandi valori di qualità anche nelle
versioni ferme. È tagliente in bocca e al naso si esprime su un frutto nitido ed austero e a volte sulle note
terrose della tradizionale rifermentazione in bottiglia.
I Colli Piacentini sono un grande mosaico di territori e
microclimi distribuiti su quattro bellissime valli piene
di storia e castelli. Il vino simbolo di questo territorio è
il Gutturnio, ottenuto dall’assemblaggio di barbera (dal
55 al 70%) e Croatina, localmente detta Bonarda, (dal
30 al 45%). Data la differenza nei loro tempi di maturazione e negli accorgimenti necessari nella vinificazione, le due uve vengono vinificate separatamente, per
poi unirsi successivamente. Il Gutturnio prende il nome
da un boccale d’argento di epoca romana, il “Gutturnium”, ritrovato nel 1878 sulla riva del fiume Po, nei
pressi di Castelvetro Piacentino, precisamente a Croce
Santo Spirito.
Proviamo a vedere una per una le quattro valli piacentine. La Val d’Arda, al confine con Parma, è una valle
che prende il nome dal torrente Arda, affluente destro
del fiume Po. Si arrampica in Appennino a partire da
Castell’Arquato, e nel suo territorio possono essere
comprese le valli vicine dello Stirone, dell’Ongina, del
Chiavenna e del Chero. Da segnalare che sul crinale
tra la valle dell’Ongina e quella dello Stirone c’è su un
rilievo un imponente complesso fortificato, il Castello
di Vigoleno, bellissimo ed intatto in tutte le sue parti.
Qui si produce da rare uve autoctone il Vin Santo di
Vigoleno, uno dei vini dolci più preziosi e buoni d’Italia.
La Val Nure è una delle due vallate centrali della provincia, partendo da Piacenza è percorribile con la fondovalle SS n. 654, della Val Nure. Lasciandosi alle spalle
la pianura, addentrandosi verso le colline si incontra il
bellissimo borgo in stile medievale di Grazzano Visconti. Diverse sono le importanti aziende vitivinicole che si
scorgono salendo sul crinale delle colline di destra fino
ad arrivare al cuore della Val Nure a Ponte dell’Olio.
Questa valle è forse quella con la maggior tradizione
vinicola del territorio piacentino.
La Val Trebbia prende il nome del fiume che segna una
delle più belle vallate d’Italia. Le rive ghiaiose e ciottolose del fiume sono meta obbligata e fissa per i bagni
di sole dei piacentini, milanesi, pavesi e cremonesi. La
SS 45, partendo da Piacenza e passando per Bobbio,
costeggia il fiume ed arriva fino al mare ligure: è una
strada piena di bellezze naturali e paesaggistiche. Qui,
nei pressi di Travo e più in alto, c’è una storica produzione di uve bianche ripresa oggi da alcuni viticoltori. In
basso ci sono le argille rosse e povere che hanno reso
famosi i vini de La Stoppa, l’azienda piacentina che da
oltre cento anni produce vini di qualità e che è un riferimento per tutta la provincia.
La Val Tidone sale da Castel S. Giovanni, nota cittadina
sulla s.s. 10 , e punta verso le prime colline di Borgonovo Val Tidone dove si incontrano la bella Rocca-Castello e poi le prime aree vitate lungo la strada che porta
a Ziano. Oggi è la valle più vitata dell’intera provincia e
conta alcuni cru di grande reputazione come ad esempio quello di Montepo.
Torniamo al Gutturnio, vino nato con la DOC nel 1967,
e prodotto in 3 diverse tipologie. frizzante, superiore
(fermo) e riserva (fermo). La dicitura Classico, presente su alcune bottiglie nella versione “fermo”, identifica
un vino prodotto nei comprensori storici della Val Tidone, della Val Nure e delle valli del Chero e dell’Arda
con i territori collinari dei comuni di Ziano Piacentino
e parzialmente quelli di Borgonovo Val Tidone, Castel
San Giovanni, Nibbiano, Vigolzone, Castell’Arquato,
Carpaneto, Lugagnano Val d’Arda e Gropparello fino ad
un’altitudine massima di 350 metri. Al di là delle infinite citazioni storiche che si possono trovare per i vini
piacentini, quello che va detto è che questo vino alimentava un mercato che aveva nel fiume Po e nei suoi
porti il centro nevralgico. Nelle osterie lungo il fiume si
beveva tradizionalmente Gutturnio negli “scudlen”, le
classiche tazze bianche usate ancora oggi da qualcuno,
e il vino era venduto ai mercanti che viaggiavano sul
fiume e verso la Lombardia, ancora oggi un mercato di
riferimento per i vini piacentini.
LA GIUSTIZIA di Andrea Vitali
La Giustizia, una delle tre virtù cardinali presenti nei
tarocchi assieme alla Temperanza e alla Forza, viene
rappresentata da una donna seduta che tiene nelle mani
una bilancia e una spada. La spada è sempre rivolta
verso l’alto, in posizione eretta, senza che mai si pieghi
verso uno dei due lati, a significare che essa non favorirà mai alcuna parte ma che sarà usata esclusivamente
come strumento di difesa dei giusti. Un atteggiamento
che la identifica come Giustizia divina, poiché quella
degli uomini, come ben sappiamo, sovente si discosta da questo atteggiamento. La bilancia simboleggia
invece l’equità con cui verrà valutata ciascuna azione
umana. In quanto cardinale, cioè cardine fondamentale
su cui deve ruotare la condotta di vita cristiana, indica
che le azioni dell’uomo devono conformarsi sulla fede,
ovviamente quella cattolica, e sulla ragione, una volta
acquisita la conoscenza con la pratica. Nel tarocchino
bolognese a figura intera - quelli a figura doppia erano maggiormente utilizzati per il gioco, dato che non
occorreva rivoltare le carte per metterle in posizione
diritta – la donna tiene nella mano sinistra anche il globo aureo, simbolo di comando e in alcuni casi il Libro
della Legge, posto sulle ginocchia. Nei quattrocenteschi Tarocchi Visconti Sforza la sezione superiore della
carta mostra un cavaliere al galoppo con armatura e
spada. Si tratta dell’Arcangelo Michele, prototipo del
cavaliere cristiano, spesso raffigurato con la spada e la
bilancia come troviamo nella Cappella degli Angeli nel
Tempio Malatestiano di Rimini. A lui spetta il compito
della pesa delle anime dei morti in occasione del Giudizio Universale (Apocalisse, VI, 2). Non si deve infatti
dimenticare che nel primo ordine di trionfi conosciuto
presente nel Sermones de Ludo (Discorso sul gioco) la
Giustizia segue il Giudizio a significare che in quell’occasione la Giustizia divina trionferà, che le anime buone saranno divise da quelle malvagie e che in tutto ciò
la bontà, la clemenza e la misericordia di Dio avranno
un ruolo predominante. Dal punto di vista divinatorio la
Giustizia indica la valutazione di cose, persone e situazioni; equità; equilibrio e, ovviamente, il tribunale.
L’Eremita,
Romagna Sangiovese
di Giorgio Melandri
«L’Eremita è la carta dei tarocchi che rappresenta il
tempo e la sapienza. Sono esattamente le cose che ci
chiede il Romagna Sangiovese, ovvero di rispettarne
le attese che lo fanno grande e di comprenderne la
sapiente lettura territoriale che può regalarci.»
Difficile, sempre austero, scontroso, scarico di colore,
irriverente, eppure meraviglioso e capace di letture territoriali raffinate e piene di dettagli. È fruttato quando
cresce sulle argille della prima quinta collinare, floreale e minerale quando incontra i terreni poveri e sciolti
delle colline più alte. In Romagna, vero e proprio mosaico di terroir, il sangiovese può esprimere tutto il suo
potenziale di traduttore di suoli e microclimi. Viaggiando sul tratto romagnolo della via Emilia si incontrano
le città una dopo l’altra e in corrispondenza di ognuna
salgono dalla pianura verso l’Appennino una o più valli,
ciascuna con il suo carattere e la sua storia. E pare che
sia proprio dal crinale che divide Romagna e Toscana,
come documentato recentemente dallo storico Beppe
Sangiorgi, che il sangiovese si sia diffuso nelle due regioni. Sangiorgi ipotizza infatti che la culla del vitigno,
un ibrido tra Ciliegiolo e il calabrese Negrodolce, siano
stati i monasteri della Congregazione Vallombrosiana
diffusi nel crinale tra Casola Valsenio, Marradi e il Casentino. Il nome deriverebbe, secondo l’ipotesi del linguista Friederich Schürr, dai gioghi nei quali i monaci
piantavano le loro vigne.
In Romagna il sangiovese è sempre stato un vino contadino, semplice e bevuto nell’annata, vinificato spesso
insieme alle uve bianche che venivano piantate insieme
a lui nelle vigne. È stato il novecento, a partire dagli
anni ’70, a vederlo protagonista di esperienze di qualità
che hanno cominciato a farne esprimere le potenzialità e la capacità di invecchiare e sviluppare complessità. Tra i pionieri di questa rivoluzione ricordiamo la
Fattoria Paradiso di Bertinoro, Nicolucci a Predappio
Alta, Castelluccio a Modigliana, la Fattoria Zerbina a
Marzeno, Drei Donà a Vecchiazzano. Grazie a loro e a
tutti i vignaioli che li hanno seguiti è diventato possibile
leggere la Romagna per territori. Fu una piccola rivoluzione avviata nel 2004 da una intuizione mia e di Fabio Giavedoni. Da allora questa idea è stata sviluppata
e approfondita fino ad arrivare nel 2011 alla definizione
delle menzioni geografiche aggiuntive che si possono
aggiungere in etichetta:
Bertinoro, solo con la menzione Riserva
Brisighella, anche con la menzione Riserva
Castrocaro-Terra del Sole, anche con la menzione Riserva
Cesena, anche con la menzione Riserva
Longiano, anche con la menzione Riserva
Meldola, anche con la menzione Riserva
Modigliana, anche con la menzione Riserva
Marzeno, anche con la menzione Riserva
Oriolo, anche con la menzione Riserva
Predappio, anche con la menzione Riserva
San Vicinio, anche con la menzione Riserva
Serra, anche con la menzione Riserva
In questo mosaico di terroir ci sono le marne e arenarie
dei territori più alti con vini sottili e minerali che lasciano la freschezza a dettare il ritmo, e i vini carnosi e materici delle argille più pure. Il novecento, che ha chiesto
all’agricoltura quantità ed efficienza, ha “scacciato” il
sangiovese dalle zone alte per portarla a valle, sulle fertili argille della prima quinta collinare. Da lì sono partiti
i progetti di qualità negli ultimi trenta anni, ma le zone
alte, quasi dimenticate, stanno tornando ad essere protagoniste perché lì il sangiovese diventa elegantissimo,
fresco e teso, anche “duro” a volte, con tannini e acidità
in grado di affrontare il tempo con disinvoltura. I terreni
argillosi sono a loro volta un mondo variegato. Sono più
o meno pure, più o meno evolute. Il timbro del frutto è
carnoso, comunque austero, ma espressivo e le bocche
possono lavorare sul volume grazie alla spinta acida
che alza comunque il ritmo del vino. Le argille rosse
evolute del faentino sono un terroir di riferimento per
lo stile, ma sono interessanti anche le argille più chiare del territorio riminese e le argille “alleggerite” da
sabbie della zona tra Vecchiazzano e Forlì. Tra Faenza
e Forlì si trova anche un terreno originale, una lente di
sabbie molasse, ideale anche per i bianchi da uve albana. Sul “fronte mare” delle colline romagnole c’è una
altro terroir unico, si tratta dei suoli calcarei di Bertinoro, terreni ventilati dove emerge in continuazione lo
spungone, un roccia madre calcarea di origine marina che è la firma di queste colline. I vini di Bertinoro
hanno una trama tannica serrata, grandi potenziali di
longevità e un equilibrio sempre riuscito tra l’eleganza
e il grande carattere. Interessante anche il territorio
riminese, argille calcaree, colline dolcissime e aperte
e curve termiche mitigate dal mare. E’ un terroir che
non risparmia la freschezza, ma che regala bocche in
generale più suadenti. Per ultimo vorrei citare un territorio nuovo, il Montefeltro, una regione storica che
è oggi a cavallo tra Romagna e Marche. Qui, in alto e
precisamente a Macerata Feltria, c’è l’esperienza faro
di Valturio, il progetto visionario di Adriano Galli che ha
di fatto inventato un terroir inedito e straordinario per
il sangiovese consegnandoci la certezza di una grande
vocazione territoriale.
L’EREMITA di Andrea Vitali
L’Eremita, nell’ordine degli Arcani Maggiori rappresenta il pensiero dell’uomo che deve essere indirizzato alla
valutazione della propria natura umana, una natura che
lo indentifica come figlio di Dio, prerogativa possibile da
riconoscere attraverso la meditazione e l’introspezione.
Nei Tarocchi Visconti-Sforza del sec. XV e nei mazzi dei
secoli successivi l’Eremita viene solitamente raffigurato
come un vecchio che si appoggia ad un bastone mentre
tiene in mano una clessidra (in alcuni casi una lanterna)
a significare la ricerca della verità da parte dell’uomo.
Una ricerca che, come simboleggia la clessidra, necessita di tempo. La lanterna simboleggia invece la luce
che può illuminare l’oscurità della mente, offuscata dalle passioni terrene. Una consistente variante appare nei
tarocchi bolognesi e toscani dove il vecchio è raffigurato
come Saturno, dio del Tempo, con ali (dato che il tempo vola) e grucce (poiché è vecchio, vi si appoggia). Nel
Tarocchino di Bologna, il vecchio sostiene una colonna
posta sulla schiena, evidente riferimento al mondo degli stiliti, cioè di quei santi eremiti che trascorsero nel
Vicino Oriente buona parte della propria esistenza in
cima a colonne, accuditi dal popolo, che veniva da questi ricompensato con le informazioni che i santi uomini
ricevevano dal cielo riguardanti il benessere del popolo
stesso. Poiché i pagani onoravano i loro dei, ponendoli
sulle colonne, gli stiliti, vivendo su queste, intendevano
scalzare quei falsi idoli prendendone il posto in nome
del Cristo. Inoltre la colonna rappresenta anche quella
“rovina”, che risulta essere una fra le conseguenze del
trascorrere inesorabile del tempo. Infatti le raffigurazioni di rovine contemplano quasi sempre una colonna che
si erge, sola, fra le macerie. La saggezza del vecchio viene messa in risalto dalla barba e dai capelli bianchi, che
accomuna tutte le immagini degli Eremiti nei tarocchi:
solo nella vecchiaia era considerato possibile acquisire
quella maturità, pacatezza e dignità necessarie per acquisire la retta conoscenza delle cose e più la barba era
lunga - assecondando in tal modo la moda del tempo
per le persone anziane - più venivano esaltate le qualità
di introspezione personale. Non a caso barba e capelli
bianchi caratterizzano nei tarocchi anche le immagini
del Papa. Dal punto di vista divinatorio, l’Eremita significa quindi meditare, indagare e il trascorrere del tempo,
necessario per giungere alla consapevolezza di se stessi
o delle situazioni oggetto dell’indagine cartomantica.
La Ruota della Fortuna,
Parmigiano Reggiano.
di Giorgio Melandri
(in collaborazione con Igino Morini, Consorzio Parmigiano Reggiano)
«In cartomanzia La Ruota significa momenti favorevoli e sfortunati, ma anche quotidiano e la vita
giorno per giorno. Quest’ultimo è il significato
che abbiamo voluto abbinare al Parmigiano Reggiano, nostro compagno sulla tavola tutti i giorni
dell’anno. In Emilia infatti è il quotidiano ad essere straordinario.»
Perché la forma del Parmigiano Reggiano è così grande?
Pesa in media 40 kg e maneggiarla è complicato. Eppure
nessuno ha mai pensato di ridurla o modificarla. La ragione è molto semplice, questo è il formaggio più importante
del mondo e la sua storia è nobile sin dall’inizio, giocata
su un equilibrio che ha bisogno di tempo e anche di peso.
Tutto iniziò nel Medioevo, quando le intense attività agricole e di bonifica dei terreni legate ai monasteri dei Benedettini e dei Cistercensi della pianura di Parma e Reggio
Emilia portarono allo sviluppo delle grancie, aziende agricole dove si iniziò a sviluppare l’allevamento di vacche utili
ai lavori agricoli e alla produzione di latte. Una semplice
famiglia infatti non avrebbe avuto la possibilità di lavorare
tanto latte tutto assieme. Iniziò così nei monasteri lo sviluppo di una produzione di formaggio resa possibile grazie
alla disponibilità di sale proveniente dalle saline di Salsomaggiore, che ha caratterizzato fortemente i territori d’origine e la loro agricoltura. I monaci furono quindi i primi
produttori di Parmigiano Reggiano, spinti dalla ricerca di
un formaggio che avesse una caratteristica su tutte: quella di durare nel tempo. Ottennero questo risultato asciugando la pasta e aumentando le dimensioni delle forme,
consentendo così al formaggio di conservarsi e, quindi, di
viaggiare, allontanandosi dalla zona di produzione. Il più
antico documento in cui viene riportato il termine caseus
parmensis (formaggio di Parma) risale al 1254 ed è stato
ritrovato nell’Archivio Storico di Genova, e questo consente
una datazione storica almeno al secolo precedente. Mai
prima di allora un formaggio era noto in una città così lontana dalla sua zona di produzione. Nel XIV secolo le abbazie dei monaci Benedettini e Cistercensi continuano a giocare un ruolo fondamentale nella definizione della tecnica
di fabbricazione. Si ha così l’espansione dei commerci in
Romagna, Piemonte e Toscana, dai cui porti, soprattutto
da Pisa, il formaggio prodotto a Parma e a Reggio raggiunge anche i centri marittimi del mare Mediterraneo. Nell’Emilia del 1400 si ha un ulteriore sviluppo economico con
l’ascesa di alcune famiglie aristocratiche il cui potere si
basava sulla produzione agricola dei loro feudi. Feudatari
e abbazie concorsero assieme ad un aumento produttivo e
nella pianura parmigiana e reggiana la produzione si era
ormai diffusa ovunque vi fosse la possibilità di avere forag-
gi. La dimensione delle forme aumenta, fino ad arrivare
anche al peso di 18 kg l’una. Il formaggio prodotto a maggio era considerato il migliore (il cosiddetto “maggengo”).
Il Parmigiano veniva così apprezzato e gustato nei banchetti del Rinascimento. Nel XVI secolo l’Emilia risultava
essere in espansione agricola e commerciale e tra i beni
trattati il formaggio giocava un ruolo fondamentale. Oltre
alle abbazie ed ai feudatari, che aumentavano gli investimenti nella produzione di formaggio, si afferma una categoria borghese di commercianti-proprietari di vacche e di
artigiani cittadini, che continuava ad investire “in vacche”,
con lo sviluppo delle cosiddette vaccherie. Alla vaccheria
padronale era annesso il caseificio, per trasformare il latte del proprietario a cui si aggiungeva il latte delle stalle
dei mezzadri, che aiutavano il casaro a turno. Il caseificio
era dunque detto turnario e fin da allora espresse la sua
funzione, mantenuta e sviluppata nei secoli, come punto
di riferimento produttivo, economico e poi sociale. In questi anni la produzione di Parmigiano Reggiano si afferma
anche nella provincia di Modena grazie ai benedettini. La
produzione andava dal formaggio maggengo al settembrino, quindi nei mesi in cui le vacche potevano sfruttare gli
abbondanti pascoli della pianura.
Il Parmigiano Reggiano oggi si produce con il latte che arriva dalle aziende agricole rigorosamente della
zona di origine che comprende le provincie di Parma, Reggio Emilia, Modena e parte della provincia di Bologna, precisamente l’area a sinistra del fiume Reno. Le vacche sono
alimentate esclusivamente con foraggi prodotti nella zona
di origine. Il latte viene raccolto e portato in caseificio due
volte al giorno e non subisce alcun trattamento termico.
Quindi, è trasformato crudo, con tutta la ricchezza dei batteri che provengono dal territorio, dai fieni e dai campi. Il
latte della mungitura della sera (che avviene circa dalle 16
alle 19 del pomeriggio) una volta
arrivato in caseificio viene steso dal casaro in grandi vasche di acciaio dove riposa tutta la notte. La panna del latte
si posiziona così negli starti superiori per affioramento naturale (i grassi sono più leggeri dell’acqua, quindi tendono
a galleggiare) separandosi dal resto del latte. Al mattino,
prima delle 6, il casaro lascia cadere questo latte, che è diventato così parzialmente scremato, nelle caratteristiche
caldaie di rame che hanno la forma di campana rovesciata,
mentre la panna di affioramento è raccolta in un contenitore frigorifero per poi fare il burro. Il casaro e i suoi aiutanti
fanno la raccolta del latte della mungitura del mattino, che
viene unito al latte della sera nelle caldaie. Complessivamente la quantità di latte in caldaia è all’incirca 1.100 litri,
per la produzione di due forme che all’età di 24 mesi peseranno circa 40 kg. Considerando l’intera produzione di
latte prima della scrematura, occorrono circa 15 di litri di
latte per produrre 1 chilogrammo di Parmigiano Reggiano.
Il latte viene raccolto e lavorato crudo, cioè senza subire trattamenti termici di pastorizzazione, per conservare
tutta la ricchezza della flora lattica autoctona che viene
dai campi, dai foraggi e dai fieni, dalle stalle e quindi dal
territorio della zona di origine. Questi batteri naturali agiscono in modo completamente inalterato durante le fasi di
produzione e di maturazione in quanto per fare il Parmigiano Reggiano non si possono usare additivi che, in altri
casi, intervengono ad aggiustare e correggere le imperfezioni o le carenze microbiologiche del latte. Ecco perché
il formaggio racchiude in sé le caratteristiche della zona
di origine ed è così vera espressione del territorio. Dopo
aver unito il latte della sera scremato e il latte del mattino
intero, il casaro aggiunge il siero innesto, una coltura naturale di batteri lattici (termofili) che si è sviluppata in 24
ore nel siero del latte rimasto dalla lavorazione del giorno precedente. L’aggiunta del siero innesto (detto anche
“siero fermento”) è una pratica che risale alla fine del XIX
secolo da una scoperta del prof. Pellegrino Spallanzani e
del capo casaro dell’Istituto Agrario Zanelli di Reggio Emilia, Giuseppe Notari. Il casaro riscalda il latte nelle caldaie
in rame fino a circa 36°C, continuando una lenta agitazione. L’aumento del calore è regolato dal casaro che legge il
valore della temperatura su un termometro che tradizionalmente riporta la scala Réaumur ( °R, gradi francesi) e
non la scala centigrada (°C, gradi Celsius). Una abitudine
introdotta fin dal XVII secolo nel ducato di Parma, retto
allora dalla famiglia dei Duchi Farnese, che avevano non
pochi rapporti con la corte di Francia, rapporti che sono
continuati sia con la famiglia dei Duchi Borbone, sia con la
Duchessa Maria Luigia d’Austria, moglie di Napoleone Bonaparte. Una volta sospeso il riscaldamento, si aggiunge il
caglio (presame naturale ottenuto dallo stomaco di vitelli
lattanti), il casaro sospende l’agitazione e attende la coagulazione del latte per ottenere la cagliata, che avviene in
circa 12-15 minuti. L’abilità e l’esperienza del casaro, che
tocca con le mani la cagliata in formazione, permette di
individuare, attraverso la sensibilità del tatto, il giusto momento per iniziare la rottura della cagliata. Che viene rotta
con un attrezzo a lamine taglienti che è chiamato “spino”.
Con questa operazione (detta “spinatura”) il casaro, prima con gesti lenti, poi con gesti via via più veloci, riduce la
massa coagulata in granuli della dimensione di circa 2-4
millimetri (circa di un chicco di riso), pronti per la cottura.
Al momento ritenuto idoneo, il casaro sospende il “fuoco”
e i granuli caseosi cotti precipitano nel fondo della caldaia, si uniscono e formano un’unica massa (di circa 100 kg)
che, dopo circa 50-60 minuti, con una pala di legno viene
sollevata dal casaro e raccolta in una tela di canapa o di
lino, per poi essere tagliata in due. La massa di formaggio
cotto è estratta dalla caldaia avvolta nella tela di lino e viene introdotta in uno stampo detto “fascera”. Le forme sono
rivoltate ogni due ore circa ed avvolte ad ogni rivoltatura
con un telo asciutto per favorire la fuoriuscita del siero.
Alla fine del pomeriggio viene tolta la tela e tra la massa
del formaggio e la fascera viene inserita una speciale matrice marchiante che, premendo sul formaggio per tutta la
notte, incide su tutta la fiancata o “scalzo” delle scritte che
riportano i dati di origine della forma: la scritta a puntini
“Parmigiano-Reggiano”, il mese e l’anno di produzione, il
codice del caseificio produttore e la scritta “DOP. Al termine della formatura, dopo circa due giorni segue la salatura
che si ottiene tenendo la forma immersa per circa 20 giorni in vasche colme di una soluzione satura di sale naturale.
Dopo un breve periodo in una camera calda, per rassodare
la crosta in formazione, le forme vengono portate nella cascina, ovvero il magazzino di stagionatura, dove sono collocate su tavole di legno massiccio disposte a castello. I
magazzini di stagionatura del Parmigiano Reggiano DOP
sono grandi locali, con temperatura e umidità controllate, opportunamente attrezzati per la movimentazione e la
pulizia delle forme, e dalla capienza di decine di migliaia
di prodotti finiti, fino a 100-200 mila unità o anche più. Per
essere a pieno titolo Parmigiano Reggiano DOP e potersi
fregiare del bollo ovale impresso a fuoco, ogni forma dovrà
superare, intorno ai 12 mesi di vita, una rigida selezione,
che consiste in un esame di struttura operato dagli esperti del Consorzio. Questo esame, lo ripetiamo, viene fatto ad
ogni singola forma e non a campione.
Oggi la produzione si è arricchita di due importanti esperienze. La prima è la produzione di Parmigiano Reggiano a
partire dal latte dell’antica razza rossa reggiana. La rossa
produce un terzo in meno di latte rispetto alla razza Frisona, ma possiede una maggiore resa nella caseificazione.
Esiste un disciplinare dedicato e un marchio del Parmigiano Reggiano Vacche Rosse. Trovate altre notizie su www.
consorziovaccherosse.it. La seconda è la produzione fatta
con il latte della bianca modenese che ha un suo marchio e
fa capo all’esperienza del caseificio Rosola di Zocca.
LA RUOTA DELLA FORTUNA di Andrea Vitali
Come il musicista Antonio Salieri venne conosciuto da tutti, o da tanti, per essere stato uno dei personaggi del film
Amadeus sulla vita di Mozart, così la maggior parte delle
persone ha dimestichezza con la ‘Ruota della Fortuna’ per
aver udito spesso, inserito nella colonna sonora di molti
film - Excalibur fra i tanti -, il celebre motivo O Fortuna,
velut Luna. Tuttavia non tutti sanno, benché il testo sia da
annoverarsi fra le poesie scritte nel medioevo da studenti,
che la musica è del tedesco Carl Orff, suonata in pubblico
per la prima volta a Francoforte nel 1937. Per apprendere
il significato di O Fortuna, velut Luna a cui seguono le parole statu variabilis, semper crescit aut decriscit, in italiano
“O Fortuna, come la Luna, stato variabile, sempre cresci o
decresci”, occorre far riferimento appunto alla Ruota della Fortuna, allegoria sulla condizione umana che, senza
grande intuito, afferma che l’esistenza dell’uomo è soggetta ad un’alternanza di momenti favorevoli e sfortunati.
Il concetto di Fortuna in tal senso si ritrova anche nell’antichità, ma venne ideato nella sua forma di ruota dal filosofo Severino Boezio (475-525), divenuto santo, dove una
fanciulla bendata - non è forse vero che la fortuna è cieca? - gira una manovella a cui è attaccato un ingranaggio
che fa muovere la ruota. La Rota Fortunae è da intendersi
come la Ruota della Sorte, del Fato, del Caso o del Destino
così come dal latino Fortuna, mentre la sfortuna era chiamata infortunium, da cui il nostro italiano. Nei Tarocchi
Visconti-Sforza la fanciulla, posta all’interno della ruota, è
raffigurata manovrarla direttamente, senza l’ausilio della
manovella, dato il poco spazio a disposizione. Sulla cima
della ruota è raffigurato un Re, con tanto di corona sulla
testa e con la scritta Regno che ne identifica il suo stato.
Se pensiamo alla ruota come ad un orologio le cui lancette
si muovono indicando le ore, alle 3 è raffigurato lo stesso
Re che si avvinghia alla ruota per non cadere mentre la
corona vola nell’aria. La scritta che illustra la situazione è
regnavi, cioè ‘ho regnato’. Alle 6 il Re viene trascinato sotto
la ruota con la scritta sum sine regio, ‘sono senza regno’,
mentre alle 9 il nostro personaggio sembra recuperare
posizioni, sempre avvinto alla ruota per non cadere, con
la scritta regnabo, cioè ‘regnerò’. La stessa immagine appare nei quattrocenteschi Tarocchi Brambilla, ora all’Accademia di Brera. Un particolare interessante si trova nella
Ruota della Fortuna dei Tarocchi Visconti laddove il personaggio seduto in posizione superiore e l’uomo che sta per
risalire hanno orecchie asinine, mentre il personaggio che
cade possiede una lunga coda.
Questi elementi sono rappresentativi della natura animalesca dell’uomo la cui Vanitas non permette di riconoscere
e accettare il senso della sorte in quanto ancora legato ad
un mondo puramente materiale. Stesse orecchie d’asino si
trovano in due personaggi della Ruota del visconteo Tarocco Brambilla, in colui che “regna” e in quello che “regnerà”, quale dimostrazione dell’insensatezza che colpisce le
persone fortunate e quelle che sanno di diventarlo. In cartomanzia la Ruota significa momenti favorevoli e sfortunati, routine, svolta di vita, ruotare opinione o modo di agire.
La Forza,
Lambrusco Grasparossa
di Castelvetro.
di Giorgio Melandri
«La carta de La Forza indica in cartomanzia il
dominio degli istinti attraverso il ricorso alla ragione. È la storia del rapporto tra il Lambrusco
Grasparossa e l’uomo, l’eterno duello tra il carattere di questo vitigno e la tradizione.»
“Non ci sono mai state qui delle vigne fatte tutte da un
solo vitigno, figurati da un solo clone! Questa è una follia
dei nostri tempi. Io continuo per la strada che ho imparato da mio padre e da mio nonno.”. Non dimenticherò
mai le parole di Vittorio Graziano, pronunciate anni fa
un pomeriggio mentre camminavo con lui nelle sue vigne. Nelle colline emiliane le vigne di lambrusco sono
sempre state così, con un protagonista, ad esempio il
grasparossa, e una varietà di altri vitigni a fargli da spalla. C’era sempre la barbera ad esempio, preziosa per
le acidità che rinfrescavano le annate più calde e c’era l’ancellotta, una garanzia per il colore. Una varietà
che regalava al vino complessità e capacità di adattarsi
all’annata. Una saggezza contadina che per fortuna è
ancora nel patrimonio culturale di questa terra. Vittorio
Graziano ne è un esempio importante, e se in certi anni
bui del lambrusco industriale non ci fosse stato lui, certe
sensibilità sarebbero andate perdute. Lui ha continuato
a parlare di tradizione, e della rifermentazione in bottiglia senza sboccatura, con passione ed ostinazione e la
sua esperienza è fondamentale per mettere a fuoco il
linguaggio del grasparossa nella tradizione. E a dargli
ragione c’è pure un documento storico, un libro stampato a Modena e firmato da Angelo Formiggini del 1872.
Si chiama “Escursioni di viticultura nel bolognese, reggiano e modenese.” E vi è citata l’uva di pregio ottenuta da una vigna di barbera nel comune di Montefiorino,
sulle colline più alte di Modena. È la prima citazione della barbera nel modenese, ma ne suggerisce una certa
storicità.
Lo stesso Formiggini, in un testo successivo, evidenzia
l’abitudine di mescolare le uve quando venivano piantate
le vigne. E ricorda a tutti, con una citazione della produzione di Fanano, quanto fosse diffusa la vite anche ad
altitudini significative.
A Vittorio Graziano e alla sua esperienza dobbiamo un
omaggio, perché ci è servita e ci serve a ragionare sullo
stile e sull’identità. Accanto a lui ci sono i grandi marchi
del vino e le grandi produzioni classiche conosciute in
tutto il mondo. A Modena si viaggia sempre a metà tra
due culture, quella di un senso imprenditoriale straordinario e quella contadina di un attaccamento alla terra
che ha pochi paragoni. La sintesi è quella che Massimo Bottura non si stanca mai di ripetere, “Fast cars and
slow food.”, l’idea di una modernità in pace con il suo
passato e con le sue radici.
Il Grasparossa è il lambrusco della collina e mai, anche nei documenti storici, ci sono riferimenti alla sua
presenza in pianura. È adatto ai terreni poveri e la sua
moderata vigoria si adatta bene a condizioni più difficili. Deve il suo nome al colore dei piccioli delle foglie e
dei raspi, anche se oggi diversi cloni non hanno questa
caratteristica. Mauro Chiarli, titolare insieme al fratello
Anselmo dell’azienda Cleto Chiarli Tenute Agricole, sta
facendo su questo aspetto e in generale su un recupero di vecchi cloni un lavoro straordinario. Il grasparossa
matura tardi, come è nella tradizione di questa famiglia di vitigni, e per questo la sua tradizione ha potuto
mettere a fuoco un’identità frizzante. La fermentazione
si arrestava con il freddo (e veniva rallentata con continue filtrazioni realizzate con rudimentali filtri costruiti con sacchi di iuta) per riprendere poi in primavera
consegnando vini ancora frizzanti fino ai primi caldi. È
un lambrusco di grande carattere che ha nella forza dei
suoi tannini la sua caratteristica principale. Il frutto è
austero e le produzioni più interessanti trovano oggi il
coraggio di piccole riduzioni che aggiungono complessità al vino. La sfida di questo lambrusco “di collina” è
oggi quella di recuperare il difficile patrimonio di identità che gli anni ’70 hanno cancellato con un’idea enologica allora considerata rassicurante. Anno dopo anno le
produzioni stanno ritrovando carattere, tannini, austerità e bocche asciutte. Ci sono addirittura delle esperienze, come quella della Fattoria Moretto, che vinifica vigna
per vigna seguendo un’idea di lettura dei suoli rara nel
mondo del lambrusco e importante perché restituisce
vini classici e di personalità, dei grasparossa archetipi.
Si torna indietro per andare avanti, ancora una volta.
LA FORZA di Andrea Vitali
La Forza, o meglio la cristiana virtù Fortitudo, è posta nei
tarocchi quale insegnamento all’uomo di non lasciarsi
trasportare dagli istinti e dalle passioni, ma di domarli
attraverso la ragione e l’intelletto. La Fortezza attribuita
al Cristo si riverbera su tutti i Cristiani che nella Prima Lettera di Giovanni vengono chiamati ischyroi (forti),
perché in grado di resistere alle tentazioni del Maligno
e al peccato per mezzo della parola di Dio che abita in
loro. Sant’Agostino aggiungerà che la Fortezza consiste
nella ‘fermezza d’animo’ (firmitas animi), cioè nella capacità di sopportare i mali e le avversità della vita presente in vista del godimento dei beni supremi (De Civitate Dei, XIX, c. 4). La Forza, virtù propria della classe
dei guerrieri come descritta da Platone, trova un preciso
riferimento nell’omonima carta dei quattrocenteschi Tarocchi Visconti Sforza che mostra Ercole in quella che fu
considerata la sua prima fatica, cioè la lotta contro il leone Nemeo. Il nostro eroe lo affrontò dapprima con arco
e frecce e con la spada, ma poiché la pelle dell’animale
era stata forgiata in modo da renderlo invulnerabile, Ercole decise di colpirlo con una clava per poi strangolarlo
a mani nude. Un’impresa ardua dato che il leone possedeva zanne e artigli della durezza del metallo. Ma poiché
Ercole, come ben tutti sappiamo, possedeva una forza
fisica pressoché divina, riuscì ad ucciderlo. Da questa
vicenda si fa risalire l’immagine della Forza come troviamo in altre versioni dei tarocchi, dove una fanciulla
doma un leone aprendone le fauci. L’apparente facilità
del gesto va intesa in chiave simbolica, rappresentando
come la ragione e l’intelligenza possano vincere le passioni, il cui ruggito si esprime violentemente all’interno
di ciascun essere umano. La fanciulla nell’atto di spezzare una colonna come appare nei cosiddetti Tarocchi di
Carlo VI, in realtà bolognesi della fine del sec. XV, fa riferimento alla vicenda di Sansone il quale, avendo ricevuto
da Dio una forza sovrumana, abbatté con le mani le due
colonne centrali del tempio del Dio Dagon rimanendone
a sua volta ucciso. ‘Muoia Sansone con tutti i Filistei’ è
la celebre frase che si attribuisce all’eroe prima che venisse schiacciato dal crollo del tempio, espressione che
nel tempo è stata posta in relazione a coloro che, pur di
nuocere agli altri, non esitano a danneggiare anche se
stessi. Nei tarocchini bolognesi, una colonna, in questo
caso integra, sottolinea la forza che la contraddistingue
venendo ad assumere una funzione sostenitrice. Una
diversa raffigurazione caratterizza la carta della Forza
nei Tarocchi Rosenthal (di evidente realizzazione ottocentesca) dove un possente castello si configura quale
‘fortezza’ impenetrabile impossibile da distruggere. In
cartomanzia significa il dominio degli istinti attraverso il
ricorso alla ragione, forza morale e forza fisica.
L’Appeso,
Prosciutto di Parma.
di Giorgio Melandri
«In cartomanzia L’Appeso significa tradimento e
sofferenza, ma anche il ribaltamento delle situazioni. Con il Prosciutto di Parma giochiamo con
questo significato, perché la stagionatura regala
alla carne, in origine fragile e delicata, una vita
lunghissima e straordinarie qualità.»
Scrive lo storico Massimo Montanari che nei documenti
dell’Italia del nord redatti a partire dal VII secolo i boschi venivano valutati non in termini di superficie, ma in
base al numero di maiali che potevano ingrassare con
le ghiande, le faggiole e gli altri frutti spontanei. Una
rottura rispetto alla tradizione romana che vedeva nello sfruttamento del selvatico una barbarie. La cultura
della carne era una cultura europea e dall’Europa trovò
legittimazione nel Cinquecento quando la riforma protestante rigettò, fra le altre cose, la normativa dietetica
della Chiesa romana. Tornando al maiale, occorre considerare che la Pianura Padana era piena di boschi, in
particolare di boschi di querce ed era un territorio dove
abbondava l’acqua. A Parma in particolare c’erano due
altri elementi importanti: il sale ricavato dalle acque
salse di Salsomaggiore e l’aria asciutta delle valli che
salgono dalla pianura in Appennino. Furono queste le
condizioni che favorirono la cultura del maiale e della
salatura delle carni in questo territorio ed anche quando
la pianura venne disboscata e l’agricoltura cambiò faccia
al paesaggio la tradizione restò viva. La grande tradizione dei salati di Parma ebbe alla fine del Medioevo una
corporazione dedicata, quella dei Lardaroli, originatasi
per specializzazione dalla più forte Arte dei Beccai. La
storia del prosciutto di Parma è dunque molto antica e il
prodotto attuale è stilisticamente il risultato di secoli di
esperienza. Viene prodotto a partire da cosce di grande
pezzatura, in genere di peso superiore ai 12 kg, che vengono salate con grande misura e asciugate con la stagionatura. L’aspetto dei prosciutti è tipico, senza il piede
e con la classica rifilatura che lascia scoperta la testa
del femore (noce). I prosciutti, trascorso il giusto tempo
di stagionatura, vengono controllati dagli ispettori che
li trafiggono con un ago di osso di cavallo per esaminarne i profumi. Solo i prosciutti che superano questa
prova possono essere marchiati a fuoco con il marchio
Parma, la corona a cinque punte che è anche il marchio
del Consorzio istituito nel 1963. Gli unici ingredienti ammessi sono le cosce posteriori di maiale e il sale. Oltre
ovviamente al tempo di stagionatura che è come minimo 10 mesi. Oggi i produttori sono circa 200, quasi tutti
concentrati attorno al paese di Langhirano, nella valle
del torrente Parma, dove sono ancora frequenti i vecchi
edifici di stagionatura che hanno le finestre su tutti i lati
in modo da poter “prendere” aria da qualsiasi vento. Il
territorio di produzione, così recita il disciplinare della
DOP, è il territorio della provincia di Parma posto a sud
della via Emilia a distanza di almeno 5 km da questa,
fino a un’altitudine di 900 metri, delimitato a est dal fiume Enza e a ovest dal torrente Stirone. Solo in questa
area hanno luogo tutte le condizioni climatiche ideali per l’asciugatura, ossia la stagionatura naturale che
darà dolcezza e gusto al Prosciutto di Parma. I maiali
invece possono provenire da allevamenti italiani situati
in queste regioni: Piemonte, Lombardia, Veneto, EmiliaRomagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo,
Molise.
Per chiudere un omaggio ai salumieri milanesi perché è
a loro che si deve il successo moderno del Parma, alla
loro capacità di gestire questi grandi prosciutti e di affettarli a regola d’arte. Dei grandi maestri che nel Novecento hanno cambiato la storia di questo prodotto.
L’APPESO di Andrea Vitali
Una persona appare appeso per un piede ai rami di un
albero o ad una alta trave. Si tratta del Traitor, così come
viene descritto nelle carte antiche, cioè di un traditore.
In Piazza Maggiore a Bologna, come in qualsiasi altra
piazza italiana, se ne vedevano tanti, quale monito indirizzato a tutti coloro che avevano in animo di tradire o il
governo o la santa Chiesa. Nei cosiddetti Tarocchi di Carlo VI, ritenuti un tempo francesi, ma in realtà bolognesi
della fine del Quattrocento, fa bella mostra di sé il dodicesimo apostolo, cioè Giuda, appeso a testa in giù con
nelle mani i sacchetti delle monete ricevute per tradire
il proprio maestro. Come nel far west fuori dell’ufficio
degli sceriffi erano affissi i famosi ‘wanted’, anche i muri
laterali delle porte d’ingresso alle città erano costellati
di fogli di pergamene riportanti figure di appesi con sotto
la cifra dovuta nel caso che qualche cacciatore di taglie
avesse avuto in animo di catturarli e il popolo, vedendo quell’immagine, sapeva che si trattava di traditori.
Mussolini non venne impiccato per il collo o fucilato ma
appeso per i piedi in quanto considerato traditore della
patria. L’Appeso nei tarocchi si manifesta come monito
rivolto a tutti gli uomini affinché non pensassero di tradire il proprio Creatore, perché una volta colti dalla Morte,
carta che segue l’Appeso, la loro anima sarebbe andata
a bruciare all’Inferno. La più bella immagine di appesi
per i piedi si trova proprio a Bologna, presso la Cappella
Bolognini in San Petronio, in un affresco dell’Inferno che
Giovanni da Modena dipinse nel 1410. Fra i tanti esempi
di traditori di cui è costellata la storia medievale, Bernardino da Corte, governatore del Castello Sforzesco
che in seguito a corruzione aprì nel settembre del 1499
le porte ai Francesi e a Gian Giacomo Trivulzio tradendo in tal modo gli Sforza, divenne l’emblema per eccellenza del tradimento, tanto che nel commento posto in
margine al testo in alcune edizioni de L’Historia d’Italia
del Guicciardini, risulta come questo traditore, schernito da tutti, persino dai Francesi, in poco tempo morisse
di dolore. I soldati francesi lo disprezzarono a tal punto
che quando giocavano a tarocchi, invece di dire “do la
carta del traditore” dicevano ‘Do Bernardino da Corte’.
Un modo come un altro per passare alla storia. In cartomanzia significa ovviamente tradimento, sofferenza,
sacrificio, oltre a vedere il mondo ribaltato perché ci si
trova in una situazione poco piacevole.
La Morte,
Coppa Piacentina.
di Giorgio Melandri
«Poiché La Morte viene considerata dalla Chiesa
come una semplice variazione di stato, da quello
terreno ad un altro auspicabilmente migliore, in
cartomanzia questa carta esprime semplicemente
un cambiamento. Quello che subiscono i Salumi
Piacentini con la lunga stagionatura che li rende
meravigliosi e raffinati.»
A testimoniare la presenza del maiale nel piacentino fin
dall’antichità c’è un piccolo amuleto di origine romana conservato presso il Museo Civico di Piacenza. Qui,
come nel territorio di Parma, vi erano acqua e boschi
di querce che potevano ingrassare piccole mandrie. E
soprattutto c’era il sale di Salsomaggiore Terme, piccola città che si trova in collina alle spalle di Fidenza,
tra Parma e Piacenza e che ancora oggi, nonostante sia
amministrativamente in provincia di Parma, appartiene
alla diocesi di Piacenza. Bisogna però giungere al XIV
secolo, per avere testimonianze del commercio di carni conservate nella provincia di Piacenza. Negli antichi
Statuti cittadini si legge infatti che la vendita delle carni
conservate era riservata unicamente ai membri della
corporazione dei formaggiai, alcuni dei quali avevano
banco stabile in Piazza del Duomo. Successivamente, in
seguito all’aumento del consumo di questa carne venne
istituita una corporazione dedicata, i lardaroli. Nacque
così una tradizione che è continuata nel tempo e sul territorio si specializzò una figura professionale importante, quella del norcino, chiamato in dialetto “massalein”.
Il commercio delle carni salate divenne importante e lo
dimostra il fatto che si chiamasse un notaio ad autorizzare la macellazione del maiale come riportato dallo
storico Stefano Pronti nel suo “La cucina a Piacenza e
in Italia nei secoli.” edito da TIP.LE.CO.. Il notaio certificava che il peso dell’animale non fosse inferiore ai 250
kg e probabilmente garantiva a fini fiscali un controllo
del numero di animali macellati. “Il mercato di riferimento dei nostri salumi –coppa, pancetta arrotolata,
culatelli prodotti lungo le rive del Po e salami, storicamente chiamati zambudelli – era la Lombardia, Milano
in particolare.” a parlare è Roberto Belli, presidente del
Consorzio Salumi Tipici Piacentini, “A Milano i commercianti piacentini portavano anche il loro famoso cacio,
un formaggio grana che sarebbe poi diventato il Grana
Padano. Avevano un’offerta complementare ai commercianti di Parma che erano degli specialisti del prosciutto
e non avevano invece coppa e pancetta. A Milano ancora
oggi si parla di roba de Piasenza per indicare i salumi di
qualità del nostro territorio.” .
Se il mercato è sempre stato quello lombardo, la fama
arrivò per da molto più lontano nei primi decenni del
Settecento grazie ad un abile diplomatico piacentino,
il cardinale Giulio Alberoni (Piacenza, 30 maggio 1664
– Piacenza, 26 giugno 1752) un personaggio incredibile
che li promosse addirittura presso le corti di Francia e di
Spagna. Giulio Alberoni è stato infatti un cardinale italiano al servizio di Filippo V di Spagna. Durante la guerra di
successione spagnola, grazie ai servigi che rese a Luigi
Giuseppe di Borbone-Vendôme, comandante delle forze
francesi in Italia, l’Alberoni gettò le fondamenta del suo
successo politico. Quando questi, nel 1706, venne richiamato a Parigi, volle che il prelato lo seguisse. Qui venne
favorevolmente ricevuto da Luigi XIV ed il duca si avvalse spesso dei suoi talenti negli affari più importanti. Nel
1711 seguì il Vendôme in Spagna come suo segretario,
e lo aiutò a riportare sul trono spagnolo Filippo V. Dopo
la morte del duca, avvenuta nel 1712, la sua reputazione gli valse la nomina ad agente consolare del Ducato
di Parma alla corte di Spagna, dove presto divenne uno
dei favoriti del re. Nel 1714, dopo la morte della regina
Maria Luisa di Savoia, con l’aiuto della principessa Marie Anne de La Trémoille, molto influente presso il re,
combinò il nuovo matrimonio di Filippo V con Elisabetta
Farnese, nipote di Francesco, duca di Parma. La nuova
regina usò la sua influenza in favore dell’Alberoni, che
migliorò rapidamente la sua posizione. Fu nominato primo ministro, poi duca e grande di Spagna, quindi vescovo di Málaga.
La coppa piacentina è, insieme alla pancetta arrotolata e
al salame piacentino, uno dei tre prodotti DOP di Piacenza. La pezzatura è storicamente grossa e infatti non si
salano coppe di peso inferiore ai 2,5 kg. Lo stile è dolce e
poco speziato, con un grasso complesso e abbondante.
È lo stile di Piacenza, delicatissimo ed elegante, molto
lontano dai prodotti Romagnoli, speziati e piccoli, e più
raffinato di tutte le altre produzioni emiliane.
LA MORTE di Andrea Vitali
Francesco Petrarca nei suoi Trionfi, opera letteraria
sulle forze che governano il mondo, descrive la morte
come l’ovvia conclusione di un ciclo, dove l’istinto e la
ragione sempre in conflitto fra loro, dovranno chinare il
capo davanti alla funerea signora. I personaggi che accompagnano il carro su cui la morte in veste di scheletro
troneggia, appartengono a classi sociali ricche e potenti, siano esse laiche o religiose, in ogni modo persone
che per i loro privilegi erano in grado di vivere agiatamente e a cui la morte appariva molto più devastante
di quanto lo fosse per quei miseri contadini che morivano in continuazione come mosche e che, tutto sommato, non avevano né salute né tesori di cui lamentare
l’abbandono in seguito alla loro dipartita. La più antica
raffigurazione conosciuta della morte, in questo caso a
cavallo, che calpesta persone e brandisce la spada contro dei viventi, si trova in un affresco della metà del sec.
XIV presso il monastero benedettino del Sacro Speco a
Subiaco. Nei tarocchi la Morte indica esplicitamente di
non farsi cogliere in peccato mortale dato che il Diavolo,
che nel più antico ordine di Arcani Maggiori appare nella
carta successiva, è pronto a sprofondare agli inferi tutti
i peccatori. Se nei quattrocenteschi Tarocchi ViscontiSforza lo scheletro è raffigurato in piedi, con in mano un
grande arco, in quelli cosiddetti di Carlo VI e nei Tarocchi Visconti in possesso dell’Università di Yale appare a
cavallo brandendo la falce e calpestando papi, vescovi e
cardinali. Intorno alla metà del XV secolo si sviluppò il
motivo della Danza Macabra, dapprima con intenti moralistici, per svilupparsi poi come satira contro la corruzione e il fasto delle classi agiate. La morte danzante
che trascina nel suo ballo del trapasso l’intera umanità
fu motivo ispiratore per molti musicisti fra cui Stefano
Landi che compose nel sec. XVII una celebre passacaglia, dai ritmi di trascinante tarantella, detta Della vita
la cui inevitabile conclusione trova espressione in versi
non propriamente simpatici quali ‘È un sogno la vita che
par si gradita, è breve il gioire, bisogna morire. Non val
medicina, non giova la china, non si può guarire, bisogna
morire’. Il numero 13 che connota la carta fu nell’antichità considerato di cattivo augurio. Nella Bibbia il tredicesimo capitolo dell’Apocalisse è quello dell’Anticristo e
della Bestia. Numero nefasto quindi, ma anche il più potente e sublime: Zeus nel corteo dei dodici Dei avanzava
come tredicesimo, mentre Ulisse, il tredicesimo del suo
gruppo, sfuggì all’appetito divoratore del Ciclope. Poiché
la morte venne considerata dalla Chiesa come una semplice variazione di stato, da quello terreno ad un altro
auspicabilmente migliore, in cartomanzia questa carta
esprime semplicemente un cambiamento.
La Temperanza,
Bosco Eliceo Fortana.
di Giorgio Melandri
«In cartomanzia La Temperanza esprime moderazione e adattamento, castità, purezza e, per il fatto
che l’acqua viene messa in relazione con il vino,
ogni forma di rapporto. La Fortana è un campione di adattamento e nel Bosco Eliceo arriva quasi
a sfidare il mare con vigne piantate sulla sabbia.
Nella carta c’è anche un omaggio alla coppia ferrarese, il pane duro tipico della città di Ferrara.»
Il fascino della Fortana, tradizionalmente qui chiamata Uva
d’Oro, è straordinario. È un’uva antica e ancestrale, adatta
a crescere sulle sabbie più povere, capace di confrontarsi
con le vene d’acqua salata che emergono nei terreni costieri che vanno dalle bocche del Po di Goro alla foce del
Reno. Se ne ricava un vino rosso scarico di colore, duro
e minerale, tagliente nell’acidità, scontroso nei tannini,
profumato e verticale. Si è sempre chiamato vino del bosco per via degli eliseti –i boschi di Quercus ilex, comunemente chiamati lecci– che si estendevano abbondanti su
tutta l’area e che sono oggi ristretti ad alcune isole come
il boscone della Mesola, oppure il piccolo bosco di San
Giuseppe di Comacchio. La Fortana è la regina di queste
terre e qui viene piantata a piede franco, un po’ per le sabbie che la proteggono dalla filossera e un po’ per l’incapacità dei portainnesti di affrontare le condizioni estreme di
queste terre del delta. “Dovete immaginare un paesaggio
completamente diverso da questo”, spiega Emanuele Mattarelli, “dove l’acqua occupava tutto il territorio. Per la vite
restavano le lingue di sabbia che separavano il mare dalle
zone salmastre. E questo da sempre, da quando attorno
all’anno Mille i monaci di Pomposa erano impegnati con
le vigne.”. E infatti ci sono testimonianze riportate nel libro di Marcello Bertelli “L’Uva d’Oro” che riporta di come
i monaci benedettini dell’Abbazia di Pomposa coltivassero
la vite nei terreni sabbiosi dell’insula pomposiana che era
attorno al monastero. Sull’origine del vitigno vi sono varie
leggende, quella più famosa narra della giovanissima Renata di Francia che nel 1528, venuta in sposa ad Alfonso
D’Este, portò con se alcune vigne della Cote D’Or in Borgogna e le fece piantare sulle dune sabbiose dell’area litoranea ferrarese. “Niente di più falso.”, dice Mauro Catena,
agronomo ed enologo, “La Fortana ha origini meridionali,
ed è probabilmente un’uva napoletana.
Lo dimostrano le esigenze di sole e luce che esprime,
la sua necessità di avere indici termici alti. Per il resto è
un’uva ancestrale, che fatica a maturare, molto vicina alla
vite selvatica. Dalla sua ha una incredibile rusticità e buona produttività.”. La Fortana era un’uva diffusa in tutta la
pianura padana, da Parma, dove è chiamata fortanina del
Taro, fino al territorio modenese dove era piantata in mezzo ai vigneti di lambrusco. “A dire la verità di Fortana ce
ne sono due.”, a parlare è Marisa Fontana, esperta ampe-
lografa che ha studiato quest’uva e questo territorio, “C’è
una Fortana più piccola detta fortanina e una più grossa.
Sono due piante diverse, classificate rispettivamente come
CAB1 e CAB13 nei cataloghi dei vivaisti.”. Nella memoria
dei Comacchiesi la Fortana è quella più grande, ancora
oggi piantata a piede franco. Certo è che questo territorio è stato stravolto da bonifiche e dal lento lavoro del Po.
Innanzitutto nel 1570 un terremoto spostò a nord di ben
40 km la foce principale del Po. Poi i veneziani, all’inizio
del 1600, aprirono il taglio di Porto Viro, una grande opera
idraulica che dal Po di Venezia, allora “Po di Corbola o Po
del Mazzorno”, deviò il corso del fiume Po da Cavanella
Po (porto di Loreo) nella sacca di Goro scavando un canale
di 7 km, che costituisce parte del tratto dell’attuale Po di
Venezia. Fu una storia d’acque, sempre, anche quando nel
Novecento si bonificarono gran parte delle Valli di Comacchio, uno degli ecosistemi più incredibili d’Italia. A questo
proposito bisogna ricordare che Comacchio era raggiungibile solo in barca fino alla metà del Novecento. La Fortana è di casa qui dove veniva vendemmiata a fine ottobre
,e forse anche più tardi, e dove fermentava a fatica a causa del freddo. Riprendeva la fermentazione in primavera
e per questo la gente si era abituata a vini ancora dolci,
taglienti d’acidità e frizzanti. I compagni ideali di anguilla
e cefali e della cucina grassa del delta del Po fatta di salumi come la bondiola e la salama da sugo e caccia di valle.
Una identità difficile ed affascinante legata ad un ambiente
unico e fuori dal comune. Una viticoltura eroica, tra terra e
mare. Ancora oggi si viaggia in paesaggi bellissimi e poetici, fatti di argini e specchi d’acqua, di distese di canne e voli
d’uccelli. Un luogo difficile, ma anche generoso, che regala
riso (Riso del Delta del Po IGP), caccia e pesca di valle, le
vongole veraci della sacca di Goro, pesce di mare e ortaggi
coltivati sulle sabbie, a cominciare da quell’aglio straordinario che si produce a Voghiera, per continuare con le carote del delta, le zucche e i cocomeri. Un’ultima citazione è
per un vitigno dimenticato che si sta tentando di recuperare, si tratta della Russiola. Nella tradizione comacchiese si
vinificava da solo e dava il primo vino dell’anno, consumato
già prima di Natale. Un vino rosato con un’acidità furiosa,
salato come l’acqua di mare. Un altro vino ideale per le
carni di anguilla e le lumache.
LA TEMPERANZA di Andrea Vitali
Una delle più belle donne del mondo antico, Diana, dea
della caccia e della verginità, ogni anno in occasione del
giorno a lei dedicato, si recava assieme alle sue ancelle
presso un laghetto di acque cristalline. Ivi, una volta giunta, si denudava completamente ed entrava in quelle acque
attorniata dalle sue fide custodi, anch’esse tutte nude. Uno
spettacolo mozzafiato. La motivazione di tanto bagno consisteva nel proclamare e confermare la propria verginità,
poiché come sappiamo le acque possono esprimersi come
simbolo di purificazione. Atteone, un personaggio che viveva in quei pressi, accortosi di tanta grazia, decise di perdere un po’ del suo tempo a guardare di nascosto quelle belle
signore. Lo sventurato venne scoperto da Diana, la quale
lo trasformò in cervo, animale considerato dagli antichi
simbolo della temperanza, in quanto non solo si accoppiava con la femmina raramente, ma esclusivamente per
procreare. Diana, una volta compiuta quella trasformazione, si sedette sul dorso dell’animale e continuò il suo rito
versando da una brocca l’acqua in essa contenuta sul proprio sesso. Una storia che la carta della Temperanza dei
quattrocenteschi Tarocchi miniati di Alessandro Sforza ci
racconta pittoricamente. La Chiesa del tempo utilizzò questa favola degli antichi quale esempio di ammaestramento
morale: come Diana ha vinto sulla tentazione, trasformando il peccatore in un essere temperante, così l’uomo per
mantenersi sempre casto e puro deve rivolgersi all’acqua
salvifica di questa virtù. La Temperanza è infatti, assieme
alla Giustizia e alla Forza, la terza virtù cardinale presente
nella processione dei Trionfi (Arcani Maggiori). San Tommaso nella Summa Theologiae scrive: “La Temperanza
che implica moderazione, consiste principalmente nel regolare le passioni che tendono ai beni sensibili, e cioè la
concupiscenza e i piaceri, e indirettamente a regolare le
tristezze e i dolori che derivano dall’assenza di questi piaceri” (quaestio 2, articulum 2). La persona temperante è
dunque quella che si sforza di resistere all’attrattiva delle
passioni e dei piaceri, in particolare quelli sensuali, quando divengono eccessivi. Non a caso nel più antico ordine di
tarocchi conosciuto la Temperanza è posta dopo l’Amore,
cioè l’istinto. Essa viene usualmente rappresentata nei tarocchi nella sua veste classica, con una fanciulla nell’atto di versare l’acqua contenuta in una brocca in un’altra
dove si trova del buon vino a gradazione elevata. L’acqua
ne smusserà l’eccitabilità, rendendolo adatto alla digestione impedendo ogni forma di ubriachezza. Cosa farebbe
l’uomo se si lasciasse trasportare senza freni dai propri
istinti o dalle proprie passioni? Il ricorso alla temperanza permette di moderare i piaceri rendendoli consoni ad
una conduzione di vita cristiana. Nella carta dei cosiddetti
Tarocchi del Mantegna ai piedi della fanciulla appare un
ermellino. Il Ripa nel suo trattato di iconologia del sec. XVI
scrive che per rappresentare questa virtù “si può ancora
dipingere l’ermellino, per la gran cura che ha di non imbrattare la sua bianchezza, simile a quella di una persona
casta”. In cartomanzia questa carta esprime quindi moderazione, adattamento, castità, purezza e, per il fatto che
l’acqua viene messa in relazione con il vino, ogni forma di
rapporto.
Il Diavolo,
Mortadella Bologna.
di Giorgio Melandri
«Nei Tarocchi Il Diavolo rimanda alle situazioni
che fanno paura, alle ossessioni e ai piaceri della
carne. Ci giochiamo identificandolo con la Mortadella Bologna, simbolo di trasgressione, irresistibile e tentatrice.»
La Mortadella Bologna è un prodotto di salumeria famoso in tutto il mondo e spesso chiamato semplicemente
Bologna. Ne scrivono a proposito ne “La cucina italiana”
Alberto Capatti e Massimo Montanari. «Quando si tratta
di tradizioni alimentari, sembrerebbe scontato pensarla come appartenenza a un territorio: i prodotti, le ricette di un determinato luogo. Ma così si dimentica che
l’identità si definisce anche (o forse soprattutto) come
differenza, cioè in rapporto agli altri. Nel caso specifico
della gastronomia ciò appare con chiarezza: l’identità
“locale” nasce in funzione dello scambio, nel momento
in cui (e nella misura in cui) un prodotto o una ricetta si
confrontano con culture e regimi diversi. L’autoconsumo, in un’economia anche solo parzialmente autarchica, se da un lato corrisponde a una valorizzazione intima
e rituale degli oggetti commestibili, li sottrae dall’altro
al mercato e al giudizio. Il prodotto esclusivamente “locale” è privo di una identità geografica in quanto essa
nasce dalla sua “delocalizzazione”. La “mortadella di
Bologna” (o “Bologna” tout court) si definisce come tale
solo quando esce dal suo ambito di produzione. Le olive
“all’ascolana” assumono tale denominazione solo quando oltrepassano i confini della città natale - salvo subito
rientrarvi per una sorta di effetto boomerang. »
La mortadella è realizzata con carne di puro suino, finemente triturata, impastata con lardelli (e blandamente
aromatizzata con spezie), poi insaccata e cotta a lungo a bassa temperatura. È un salume povero e straordinario, inconfondibile, protagonista delle merende di
generazioni di italiani. Prima di parlare della sua storia
due riflessioni generali. La prima è che nessuno produce
mortadella in casa, come invece succede per salami, prosciutti e coppe. Questo non significa che sia per forza un
prodotto industriale, ma chiarisce che la mortadella ha
bisogno di una specializzazione estrema e di attrezzature
dedicate. E se il successo e la grande diffusione si devono
a prodotti industriali, spesso ottimi, è anche vero che la
mortadella è oggi interpretata da artigiani che ne curano
nei dettagli la produzione. È un gioco dei ruoli virtuoso
che soddisfa mercati e consumatori diversi, dall’intenditore al bambino che esce da scuola con una fame da
lupi. La seconda è che si sta diffondendo l’uso di servire la
mortadella a cubetti, un taglio che non ne valorizza la incredibile capacità di profumi. La mortadella deve essere
proposta a fette, meglio se tagliate espresse, come nella
più alta tradizione delle salumerie.
Parliamo ora di storia. Si parla della mortadella già nei
libri di cucina del Trecento, anche se è probabile che esistessero diversi tipi di mortadella confezionate con carni
di vitello e di asino. La fabbricazione e l’applicazione dei
sigilli di garanzia era di competenza della Corporazione
dei Salaroli, una delle più antiche di Bologna, che già nel
1376 aveva per stemma un mortaio con pestello. È infatti
probabilmente il mortaio a dare il nome a questo salume. La prima ricetta di una mortadella è probabilmente
quella pubblicata nel 1557 da Cristoforo da Messisbugo
nel suo Libro Novo. Si parla di mortadelle di fegato e anche di carne. Sono ricette di carni pestate e aromatizzate
insaccate in budello naturale. Un’altra ricetta scritta arriva nel 1644 con il celebre trattato bolognese di Vincenzo
Tanara “L’economia del cittadino in villa”. La mortadella
era in quegli anni un bene di lusso e addirittura, come
si legge in un editto del 1650 promulgato per assicurare
vitto e alloggio ai forestieri di passaggio in occasione del
Giubileo, si pagava la mortadella 4 volte il prosciutto. Da lì
in poi la mortadella diventò indissolubilmente legata alla
città, tanto da essere chiamata da tutti semplicemente
Bologna. Oggi viene prodotta con carne magra di maiale e
trippino. Riporto la ricetta di uno degli artigiani più reputati, Pasquini & Brusiani. «L’ingrediente principale della
mortadella è la carne magra di suino. Per la quasi totalità
noi utilizziamo i muscoli della spalla. Altro componente
fondamentale è il ‘trippino’, ovvero lo stomaco di suino. E’
questo ingrediente che determina in gran parte il gusto e
la consistenza della mortadella. Terzo componente chiave della mortadella è il ‘lardello’, ovvero i piccoli cubetti
bianchi che compaiono nella fetta del prodotto.
A dispetto del nome, il lardello che utilizziamo non proviene dal lardo, ma dalla gola. Questa parte grassa ha infatti migliori caratteristiche in fase di cottura. Il lardello
dapprima viene fatto a cubetti, poi viene lavato con acqua
calda per asportare la patina superficiale di grasso che
impedirebbe al cubetto di amalgamarsi completamente
nel prodotto e ne causerebbe il distacco dalla fetta durante il taglio. La parte magra e la trippa vengono finemente
triturate fino ad ottenere una specie di pasta. La pasta
ed i lardelli vengono poi introdotti in una impastatrice
insieme agli altri ingredienti, ovvero sale, pepe e spezie.
L’impasto completo viene trasferito alla macchina per insaccare che, operando sotto vuoto, elimina dall’impasto
tutte le bolle d’aria.
Le mortadelle vengono formate utilizzando involucri naturali o sintetici in pezzature che variano da 1Kg a 14Kg.
Il formato classico è di circa 12Kg e cuoce per 24 ore.».
IL DIAVOLO di Andrea Vitali
Il Diavolo nei tarocchi rappresenta l’Inferno, il luogo
maledetto che attende ogni uomo che, nonostante gli
insegnamenti espressi dagli altri Arcani Maggiori, non
sia stato in grado di comprenderli o di seguirli, dato
che il peccato conduce inesorabilmente alla perdizione
dell’anima. La carta del Diavolo è l’unica a non essere
sopravvissuta nei mazzi Quattrocenteschi per il motivo
che quell’immagine, incutendo una certa tensione, non
veniva riposta assieme alle altre carte una volta terminata una partita, ma chiusa probabilmente nel buio di
qualche cassetto. ‘Vade retro Satana!’ Così non sappiamo con precisione come il Diavolo venisse rappresentato nei tarocchi anche se possiamo immaginarlo. Le sue
versioni iconografiche, derivate dal Dio etrusco degli
Inferi Charun, rispecchiano la tendenza del tempo che
lo figurava mostruoso, con naso adunco, denti a forma
di zanne, orecchie a punta, ali di pipistrello, zampe di
falcone o caprine, con le corna e, in diverse occasioni,
anche gastrocefalo, cioè con un viso sull’addome a significare, al di là di un crescendo di bestialità, lo spostamento della sede intellettiva, posta al servizio degli
appetiti più bassi. In questa ultima versione venne raffigurato da Giovanni da Modena nell’affresco dell’Inferno
all’interno della Cappella Bolognini a San Petronio. E
non poteva essere diversamente dato che Bartolomeo
Bolognini, che commissionò l’affresco all’artista, nel
suo testamento aveva raccomandato che l’immagine
dell’inferno fosse “Orribilis quantum plus potest”, cioè
‘Il più possibile orribile’ e certamente il risultato corrispose all’effetto desiderato. In diverse carte il Diavolo,
incatenato ad un grande blocco di pietra, tiene incatenati a sua volta un uomo e una donna, del tutto nudi. Si
tratta di Adamo ed Eva, i nostri progenitori che il Diavolo
astutamente beffò. Nella divinazione, il Diavolo possiede
molteplici significati di cui i più utilizzati si riferiscono
alle paure, alle ossessioni, al sesso per puro piacere, a
strategie nascoste, significando inoltre quelle persone
che, figli adottivi del mostro, vivono nel mondo solo per
complicare l’esistenza al prossimo. Si tratta, in quest’ultimo caso, di una persona-diavolo che, come recita il titolo dell’opera lirica Il Diavolo color di rosa di Errico Petrella, fingendo di essere amico, pugnala poi alle spalle.
La Torre, Colli di Parma
Malvasia e Colli
Piacentini Malvasia.
di Giorgio Melandri
«La Torre è l’attacco alla casa e in cartomanzia
la Torre significa crisi, ma anche vincere quando
è la nostra ira che abbatte gli avversari. Inoltre
significa tentazione, colpo di fulmine, rottura con
il passato. A noi piace abbinare la Malvasia di
Parma e Piacenza alla rottura con il passato, con
la storia che questo vitigno ha avuto nella natia
Candia prima di giungere in Italia.»
Parma e Piacenza, un confine sfumato che attraversa
i territori con le contaminazioni che inevitabilmente incrociano le strade di tanti prodotti. A fare da filo conduttore un gusto emiliano sottolineato da Giancarlo Spezia
in un articolo uscito sul quotidiano La libertà a proposito
dell’appartenenza della cultura piacentina. Scrive Spezia: “Mi sono stupito, ma non avrei dovuto, quando alcuni hanno ventilato una annessione a Lodi e l’entrata in
Lombardia. Io non ci avrei pensato neppure un istante,
ma ahimè non sono un modaiolo e questo volo pindarico
non mi sarebbe mai appartenuto. Malgrado abbia passato alcuni dei migliori anni della mia vita a Milano, dove
il Politecnico mi ha forgiato, io mi sono sempre sentito
Emiliano sino al midollo.
Ma non si tratta solo di un fatuo idealismo. Siamo diversi. I confini caduti con l’unità d’Italia oltre centocinquanta anni fa in un certo senso esistono ancora. Basta
percorrere alcuni chilometri o attraversare un ponte
per ritrovare la stessa lingua ma con accento e cadenza diversi, abitudini differenti, ma la cosa che distingue
ancora maggiormente questi confini è la tradizione del
cibo, quello attorno al quale la famiglia fortunatamente ancora oggi si riunisce e comunica. Così risalendo la
Valtidone all’improvviso all’altezza della diga del Molato
entrerete in quello che fu l’Antico Piemonte e non ritroverete più i tortelli con la coda, sostituiti da più anonimi
e disdicevoli ravioli a base di carne, come attraversando
il Po troverete sapori agrodolci che non ci appartengono,
per esempio nei tortelli cremaschi con amaretto sbriciolato nel ripieno. Ma in realtà a fare la differenza non è
la mancanza di un solo piatto particolare, quanto un gusto diffuso e complessivo che ci distingue dai Lombardi
come dagli Antichi Piemontesi collocati nell’attuale Oltrepò Pavese.”. Sono bellissime queste parole di Spezia
e collocano definitivamente Piacenza in Emilia. Un fatto
non scontato nonostante la continuità territoriale di tanti
prodotti e di diverse abitudini. La Malvasia aromatica di
Candia è uno di questi, forse quello dove è più leggibile
una matrice comune di queste due province. E neanche
solo due, dato che nel territorio reggiano, a partire dalla
Val d’Enza, la Malvasia aromatica di Candia è diffusa e
vinificata. C’è una trama che collega le diverse provincie
del viaggio sulla Via Emilia tra Bologna e Piacenza e la
Malvasia lo racconta bene. Un altro testimone è la Barbera che ha un ruolo in tutti i territori collinari dalle valli
Piacentine fino ai Colli Bolognesi.
Si ipotizza che l’origine della Malvasia aromatica di Candia, come sottolineato dal nome, sia nel Mar Egeo, precisamente nell’isola greca di Creta. Si sta però facendo
avanti anche un’altra ipotesi avvalorata dal fatto che vi
possa anche essere semplicemente un’origina latina del
nome, derivante da candidus ovvero bianco, e non dalla parola dalla parola araba al-khandaq (il fossato) che
nel caso di Creta sarebbe un lascito della dominazione
araba dell’isola. “Siamo andati a cercare la Malvasia a
Creta, ma le poche piante sono di origine italiana.”, racconta Roberto Miravalle presidente del Consorzio Tutela
dei Vini Piacentini, “Quello che è interessante emerge
invece dagli studi di Attilio Scienza dell’Università di Milano e di Serena Imazio dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia: la Malvasia Aromatica di Candia
è diversa da tutte le altre 18 Malvasia bianche italiane,
lontana geneticamente da tutte ed anche dalla semplice
Malvasia di Candia diffusa in Lazio. Si potrebbe ipotizzare addirittura un’origine autoctona e anche un’ibridazione con uve lambrusche che sarebbe testimoniata dalla
presenza di alcuni geni. Una ipotesi, ma sicuramente la
dimostrazione che la storia di questo vitigno in Emilia ha
radici che vanno molto indietro nel tempo.”
Nella tradizione è sempre stato il vino frizzante da accompagnare ai salumi, ma negli ultimi vent’anni ci sono
state alcune etichette che ne hanno cambiato radicalmente la storia. La prima è la Malvasia Emiliana di Lodovica Lusenti, piccola artigiana della piacentina Val Tidone. Emiliana è una malvasia rifermentata in bottiglia
senza sboccatura come nella tradizione ancestrale dei
vini frizzanti emiliani. È un vino sfaccettato, che ha note
di fiori bianchi e pietra focaia, salato e asciutto. Un vino
che ha ridefinito la categoria insieme alla malvasia “La
mia malvasia” prodotto con la stessa tecnica da Camillo
Donati sui colli di Parma. Sono loro i riferimenti di questa tipologia che esprime una complessità straordinaria
senza tradire il carattere popolare. La novità rispetto
alla tradizione è nell’uso in purezza del vitigno malvasia che nella storia veniva abbinato ad altre uve bianche come sottolineano i vini che Giulio Armani produce
a Travo, nell’alta Val Trebbia, con la sua piccola azienda
Denavolo. Sui terreni poveri e sassosi dell’azienda Giulio alleva e vinifica solo uve bianche come è tradizione di
questa parte di valle –Ortrugo, Malvasia di Candia aromatica, Trebbiano romagnolo, Marsanne (qui chiamata
sciampagnino)– e lo fa con le lunghe macerazioni nelle quali è un maestro indiscusso. Il risultato sono vini
complessi, sfaccettati e cangianti al naso, freschissimi
in bocca, asciutti e vibranti. Una ultima e importantissima tappa degli ultimi anni è Ageno, vino prodotto da
La Stoppa, l’azienda dei colli piacentini che rappresenta
l’esperienza più storica ed importante per i vini di qualità. Si tratta di un vino prodotto a partire dall’annata
2002 con la tecnica della macerazione sulle bucce da
uve Malvasia di Candia Aromatica in maggioranza con
un saldo di Ortrugo e Trebbiano. Una nuova frontiera per
l’aromaticità della Malvasia che qui trova complessità e
longevità. Un vino imperdibile che rivoluziona l’idea storica e tradizionale di questo vitigno arricchendola con
una nuova possibilità.
LA TORRE di Andrea Vitali
Chiamata in origine con i nomi di ‘casa, sagitta, foco,
cieli’ la Torre viene rappresentata nelle carte quattrocentesche come una torre fortificata colpita da un fuoco
di provenienza celeste. Nei mazzi dei secoli successivi
vennero aggiunte due persone precipitare nel vuoto dalla cima dell’edificio. Se fino alla carta del Diavolo, il cui
luogo deputato era creduto essere situato sotto la crosta
terrestre, gli Arcani invitavano a riflettere su situazioni
legate alla conduzione di una vita etica sulla terra, con
la Torre la scala mistica dei tarocchi invitava a guardare il cielo, per scoprire nella presenza e nel movimento
degli astri a cui l’uomo era considerato essere soggetto,
il volere divino. In quei tempi si credeva che sopra la terra si estendesse un cerchio di fuoco, chiamato sphaera
ignis (sfera di fuoco), a cui la divinità ricorreva ogni qual
volta intendeva punire qualche scellerato che aveva osato ribellarsi al suo volere. La distruzione di Sodoma e
Gomorra ne rappresenta l’esempio più eclatante. In pieno Cinquecento questa carta assunse il nome di ‘Casa
del Diavolo’ e ‘Casa di Dio’. Essendo lo scrivente un romagnolo, tale apparente contraddizione risultava come
si suol dire ‘di casa’ in quanto, come anche gli emiliani
suppongo conoscano, dire che qualcuno abita a casa del
Diavolo o a casa di Dio significa la stessa cosa, cioè in
un luogo lontano difficile da raggiungere. Ma la vera decifrazione si rivelò allo scrivente dalla lettura della storia biblica di Giobbe. Chi fosse costui è presto spiegato:
l’uomo più ricco dell’intera umanità biblica. Una ricchezza voluta dal Signore a cui Giobbe ogni mattina dedicava
diversi minuti di ringraziamento. Il Diavolo, esasperato
da quella sequela giornaliera di gratitudine, si rivolse
a Dio sostenendo che forse Giobbe avrebbe smesso di
ringraziarlo se la sua casa fosse stata distrutta, i figli
uccisi e lui ridotto in miseria. Dio accettò di buon grado
la prova, sapendo che Giobbe l’avrebbe superata, data
la natura divina che comporta onniscienza e prescienza, cioè la conoscenza di ogni evento, anche futuro. Ma
leggiamo quanto riporta la Bibbia: “II fuoco di Dio è caduto dal cielo, ha bruciato le greggi e ha divorato i servi”
(Giobbe 1, 16); “I tuoi figli e le tue figlie stavano pranzando e bevendo vino in casa del loro fratello maggiore,
quand’ecco un gran vento arrivò dalla parte del deserto
e colpì i quattro spigoli della casa, che è caduta sui giovani, uccidendoli” (Giobbe 1, 18). Senza continuare nel
racconto, lasciando pertanto al lettore di intuire gli ulteriori disastri che il Diavolo seppe perpetrare, e arrivando
subito al finale della vicenda, riferiamo che Giobbe non
solo non provò rancore verso Dio, ma addirittura lo ringraziò: “Nudo sono uscito dal seno di mia madre e nudo
vi farò ritorno! Jahvé ha dato e Jahvé ha tolto: il nome di
Jahvé sia benedetto” (Giobbe 1, 21-22). Ritornando ai significati di ‘Casa del Diavolo’ e ‘Casa di Dio’, quanto accaduto a Giobbe insegna che coloro i quali a causa della
distruzione dei propri averi saranno tentati di rinnegare
il proprio Creatore e così faranno, vedranno la propria
casa diventare preda del demonio, mentre la casa di coloro che nella medesima tentazione manterranno fede
salda, sarà benedetta da Dio il quale dimorerà con loro.
Da quanto descritto, in cartomanzia la Torre significa
crisi, quando ovviamente cadiamo a causa di qualcuno
che ci ha colpiti duramente, ma anche vincere quando
è la nostra ira che abbatte gli avversari. Inoltre significa tentazione (dalla storia di Giobbe), colpo di fulmine,
dare un taglio al passato e, per estensione, ogni nostra
azione in cui mettiamo in campo maniere forti per modificare una situazione.
Le Stelle,
Reggiano Lambrusco.
di Giorgio Melandri
«In cartomanzia la carta de Le Stelle ha diversi significati: anima, nascita, piaceri seduttivi, armonia
in senso generale e purezza. E significa anche arte.
Il Reggiano Lambrusco è questo, un vino di grande equilibrio ed armonia che nasce da una comunità
che ha fatto del piacere della convivialità un’arte.»
I paesaggi della pianura reggiana hanno un loro linguaggio,
una poesia malinconica da scovare lungo strade che sembrano tutte uguali e attraversano paesi e ponti in quantità.
Ogni tanto si incontra una bicicletta che sembra ferma, ma
spesso si viaggia da soli dentro le fitte nebbie invernali, o
nelle giornate arroventate dei mesi più caldi, con gli unici riferimenti dei pioppi degli argini e dei campanili. Sono
terre che nascondono queste, a cominciare dai riti collettivi
dell’ammazzamento del maiale o della vendemmia. Nascondono tutto e uno s’immagina delle ricchezze nascoste
in ogni dove, che poi a cercarle forse si trovano anche. A
capire questi territori, e cosa significhi il vino per la gente
reggiana, ci può aiutare lo scrittore correggese Pier Vittorio
Tondelli che nel suo “Racconto sul vino” , anno 1988, scrive
a proposito di una viaggio di ritorno a casa: «… l’altro giorno
, vedendo più volte lungo la strada i contadini e le donne
intenti a lavare bottiglie, a sciacquarle e ad asciugarle, disponendole in fila sulle rastrelliere al sole, mi sono detto:
“Sta per cambiare la luna.” A casa, ho trovato mio padre e
mia madre presi da un fervore che non lasciava spazio né
ai saluti, né ai “Come stai?”. Facevano il turno per raggiungere la cantina con le loro bottiglie pulite. Ma, trovandosi il
nostro appartamento al sesto piano di un condominio, tutto
questo avveniva freneticamente tra il cucinotto, i pianerottoli, l’ascensore, le scale condominiali, il garage e, finalmente, i cunicoli delle cantine. Il bello era che anche altri
condomini facevano la stessa cosa. » Tondelli descrive poi
una comunità tutta indaffarata in un rito che celebra l’identità. E continua: «… questo non aveva a che fare solo con un
loro piacere personale, con la soddisfazione di poter offrire
qualche mese più tardi una bottiglia buona, di poter regalare qualcosa a cui avevano contribuito con le loro mani e con
la loro piccola fatica, ma, credo, con l’essenza stessa della
loro vita : con i ricordi, con le persone scomparse che, molti
anni prima, in ambienti completamente diversi, all’aria delle
cascine e delle case coloniche, avevano celebrato lo stesso
rito. Così, nell’atto di compiere quei gesti non erano più il
ragioniere, il geometra, il dottore, ma i figli della loro terra,
allo stesso modo in cui io, scendendo da un treno e annusando quegli odori, ho la profonda consapevolezza di essere impastato di quella nebbia e di quei vapori che la campagna emana in certi giorni dell’anno. E che le mie radici
sono da nessun’altra parte che in quel mondo contadino.
». Pier Vittorio Tondelli, nato a metà degli anni cinquanta
nel momento cruciale dell’evoluzione della nostra società
da agricola ad industriale, ha amato come tutti i giovani
della sua generazione la musica rock, la cultura americana, l’atmosfera metropolitana e ha però sentito ad un certo
punto il bisogno di riconciliarsi con le radici. Ne scrive: «…
per capire quei gesti e quei riti che, con una frattura di così
grande insensatezza, sono scomparsi nel giro di una generazione. È proprio questo il percorso. Dove non c’è nostalgia, ma semplicemente il desiderio di capire se stessi, di
indagare, di raccontare le persone e la cultura che ci hanno
contenuti, e di cui il vino è il grande serbatoio di vita e di
immaginario. ». Le parole di Tondelli sono profondamente
emiliane. Generose, aperte, esattamente come la gente di
qui. Il Lambrusco Reggiano è tutto questo. È cultura e identità, ma soprattutto è il simbolo di una comunità. Il vitigno
principe di questa DOC è il Lambrusco Salamino, elegante
ed equilibrato nei tannini anche quando si confronta con le
generose produzioni di pianura. In realtà, da disciplinare
sono ammessi tanti altri lambrusco: Lambrusco Marani,
Lambrusco salamino, Lambrusco Montericco, Lambrusco
Maestri, Lambrusco di Sorbara, Lambrusco grasparossa,
Lambrusco Viadanese, Lambrusco Oliva, Lambrusco Barghi, ma i vini a prevalenza Salamino sono sempre i più convincenti. “Per il nostro Concerto abbiamo scelto di lavorare
con il Salamino in purezza perché è quello che ci garantisce i risultati migliori per quel che riguarda la cremosità,
il frutto e l’eleganza.”, spiega Alberto Medici della Ermete
Medici. Il Salamino utilizzato per il lambrusco Concerto, il
Lambrusco Reggiano più famoso al mondo, proviene dalle vigne che la famiglia possiede nella tenuta La Rampata,
nella fascia pedemontana che accompagna l’imbocco della
Valle dell’Enza. A sancire la diversità del territorio collinare,
dove domina il Lambrusco Grasparossa, da quello di pianura dove il salamino esprime una grande eleganza e ottima
carnosità di frutto, ci pensa una DOC poco conosciuta, ma
importante. Si chiama Colli di Scandiano e Canossa ed ha
nella tipologia Grasparossa il suo punto di forza. Le colline
che si alzano dietro la via Emilia in provincia di Reggio Emilia hanno terreni interessanti e variegati, che passano dalle
argille della prima quinta collinare ai terreni poveri e sciolti
delle colline più alte. Siamo nel cuore delle famose Terre
Matildiche che Matilde di Canossa difese con un sistema
di castelli che comprendeva i castelli di Pianello, Rossena,
Canossa, Sarzano e Carpineti. Queste colline vedono oggi il
fiorire di piccole realtà che stanno recuperando la rifermentazione in bottiglia senza sboccatura, la tecnica ancestrale
di produzione che regala ai vini i nasi terrosi e complessi di
un diverso linguaggio del vino.
LE STELLE di Andrea Vitali
Nella carta del tarocchino bolognese sono raffigurati i Re
Magi che seguendo la stella cometa, navigatore satellitare
ante litteram, giunsero al cospetto del Salvatore. Se nelle
carte miniate dei Tarocchi di Ercole I d’Este appaiono due
astrologi, in quelli Visconti-Sforza e Colleoni una fanciulla
tiene alta in una mano una stella a otto punte. L’otto, che
nella numerologia mistica cristiana è chiamato Ogdoade, è
un numero molto importante poiché se è vero che Dio fece
l’universo in sei giorni, per riposarsi il settimo, fu nel giorno
successivo che prese vita l’universo nella sua completezza.
L’otto si configura quindi quale simbolo numerico di unione
fra la terra - che è caratterizzata dal quattro (quattro stagioni, quattro venti, quattro elementi), e il cui simbolo è il
quadrato - e la divinità, espressa da un cerchio, i cui punti
sono infiniti.
Non a caso i battisteri cristiani sono ottagonali in quanto
al suo interno, attraverso l’acqua del battesimo, si ottiene
completezza di vita cristiana. Lo stesso numero di punte
contraddistingue la stella maggiore e le altre quattro più
piccole che la attorniano in una xilografia (incisione su legno) della fine del Quattrocento, ora alla Yale University,
che divenne modello per tutti i mazzi successivi. Oltre alle
cinque stelle, appare anche una naiade, ninfa delle acque
sorgive inginocchiata nell’atto di versare del miele contenuto in due brocche in uno specchio d’acqua. Sulla spalla
della Naiade appare una stellina ad otto punte.
Questo insieme allegorico ci parla del mito platonico della
discesa delle anime nella generazione, una nascita ritenuta
di origine stellare splendidamente descritta dal neoplatonico Porfirio (II secolo d.C.) nell’opera De Antro Nimpharum,
cioè l’antro delle ninfe. Ma leggiamo a proposito cosa scrive
Porfirio: “I teologi ponevano negli antri il simbolo del cosmo
e delle potenze cosmiche e della essenza intellegibile...(§9).
Con Ninfe Naiadi indichiamo in senso specifico le potenze
che presiedono alle acque, ma i teologi designavano tutte le
anime in generale che discendono nella generazione. Essi
infatti ritenevano che tutte le anime si posassero sull’acqua
che, come dice Numenio, è divinamente ispirata; egli afferma che proprio per questo motivo anche il profeta disse: II
soffio divino si muoveva sull’acqua” (§10). Le anfore sono
colme di miele in quanto alimento considerato simbolo della forza seduttiva del piacere che induce alla generazione e
“per questo è appropriato anche alle ninfe dell’acqua, come
simbolo della purezza incontaminata delle acque - cui le
ninfe presiedono - della loro virtù purificatrice e della loro
cooperazione al processo generativo” (§17).
A rappresentare la nascita nel mondo, nella carta di un tarocco italiano, sempre del sec. XVI, conservato a Rouen, è
stata raffigurata Venere uscente dalle acque del mare. Già
per i Sumeri Venere era “colei che mostra la via alle Stelle”, simbolo di nascita in quanto dea dell’Amore, dal quale
deriva la generazione umana. In cartomanzia questa carta
significa anima, nascita di qualunque situazione, piaceri
seduttivi, armonia in senso generale e purezza.
La Luna,
Lambrusco di Sorbara.
di Giorgio Melandri
«La Luna è una carta complessa dai molti significati. Tra i tanti quelli importanti sono quelli che richiamano la femminilità e il mistero. Il Lambrusco
di Sorbara, qui rappresentato al posto dei fari con
due bottiglie legate a spago come nella tradizione
delle bottiglie rifermentate e non sboccate, è infatti
il più femminile dei lambruschi, misterioso per via
di quell’identità di forza incredibile ottenuta per
sottrazione. Anche la sua storia è legata alla luna
per via delle abitudini contadine di seguirne le fasi
per decidere il giorno dell’imbottigliamento che
era 10 giorni dopo la luna piena di marzo.»
Il Sorbara è un lambrusco diverso da tutti gli altri ed ha
una precisa identità: è scarico di colore, ha profumi austeri che ricordano la viola e la rosa, è ricco di acidità, ed
è elegante nella incredibile sapidità della bocca. La storia
di questa famiglia di vitigni è diversa da tutte le altre e tra
tutti i lambrusco il sorbara è forse quello più vicino alla vite
selvatica. Sull’origine delle viti di lambrusco scrive Mauro
Catena, enologo ed agronomo, nel suo saggio del 2008 “Il
Lambrusco, la lunga storia di un vino di successo”. Come è
ormai accertato la domesticazione della vite avvenne in siti
diversi e il processo che portò dalla Vitis vinifera silvestris
alla Vitis vinifera sativa è legato alla storia di ambienti e
comunità diverse. Certamente la famiglia dei lambrusco
è figlia di uno di questi centri di domesticazione dove la
pianta si è trasformata in pianta ermafrodita, ha modificato della forma delle foglie e dei semi, ha aumento la
dimensione degli acini e ridotto l’acidità. Nel caso dei lambrusco, più che l’isolamento delle popolazioni, ha giocato
un ruolo importante il perdurare di un habitat umido e fresco, non idoneo alle viti domesticate giunte con i movimenti migratori arrivati nella penisola da ambienti per lo più
caldi e secchi d’Europa e del Medio Oriente. I Lambruschi
in particolare, sono considerati molto vicini alla silvestris e
confermano attraverso l’analisi del loro patrimonio genetico l’esistenza di un centro di domesticazione secondario
nell’Italia del nord est. Come si diceva i limiti ambientali
hanno probabilmente favorito un’evoluzione dei Lambruschi senza o quasi l’apporto dei geni delle varietà coltivate
di origine, cosa che invece è avvenuta per molte altre varietà europee. Si può pertanto concludere che nel lungo
periodo di domesticazione indotta dall’uomo, nell’area di
diffusione dei Lambruschi si sono fissati nei vitigni caratteri genetici differenti da quelli originari, ma sufficienti ad
attestarne l’indiscussa autoctonia. Limitandosi a deduzioni
di carattere esclusivamente organolettico, sembra che il
Sorbara (più acido ed aggressivo al palato, con colore rosso poco intenso, con aromi riconducibili principalmente
alla viola e alla rosa, accompagnati da ciliegia e mirtillo)
abbia conservato maggiori caratteri della vite selvatica originale rispetto al salamino (più equilibrato, di un bel colore
rosso rubino intenso con note violacee a causa della ricchezza in antociani, morbido e delicato con profumi fruttati
che ricordano fragola, ciliegia e lampone) e al grasparossa, che dei tre sembra quello che ha ricevuto un maggior
contributo da apporti genetici esterni all’area che lo hanno
reso più simile ad un vino rosso tradizionale (colore rosso
rubino intenso, carattere decisamente tannico e un aroma in cui dominano amarena, mora e mirtillo, con note di
frutta secca).
Il documento più antico dove si cita il vino Lambrusco risale al 1670 ed è una lista di vini inviati a Roma e Tivoli
per rifornire la cantina del Cardinale Rinaldo d’Este, in cui
si elencano tra gli altri tre fiaschi (di circa 40 litri ciascuno) di vino Lambrusco. Da allora il lambrusco è cambiato
e più di tutti è cambiato il Sorbara, oggi protagonista di
una stagione dove le produzioni di qualità lo vedono vinificato in purezza nonostante sia coltivato con il lambrusco
Salamino. Scrive Mauro Catena: «Ha fiori fisiologicamente
femminili, con stami corti e reflessi che lo rendono autosterile (maschio sterilità). Ciò rende opportuna, nei vigneti
specializzati, la presenza di impollinatori di cui il più utilizzato è il Lambrusco salamino. Il grappolo si presenta
spargolo e spesso accompagnato da acinellatura verde
(alcuni chicchi rimangono del diametro di pochi millimetri
come conseguenza di un’anomalia che ne facilita l’aborto
floreale e però ne esalta la grande acidità, un’acidità salata
che è paragonabile solo a quella dei grandi Champagne.) È
varietà molto vigorosa, con portamento eretto ed espanso
della vegetazione, perciò adattabile alle forme di allevamento espanse tradizionali o a forme a spalliera e a doppia
cortina; problemi di fertilità delle gemme basali ne compromettono la produttività con potature corte. In purezza
si ottengono vini di colore poco intenso caratterizzati da
modesta componente tannica, a volte aggressiva, abbinata
ad acidità elevata. L’aroma è caratterizzato da note floreali
di rosa e viola, accompagnate da una componente fruttata
dominata da piccoli frutti (mirtillo rosso e nero) e ciliegia.
Si adatta particolarmente alla produzione di spumanti col
metodo classico o ancestrale. Ad oggi sono disponibili 4
cloni certificati. » La sua attitudine alla rifermentazione in
bottiglia ne fa uno dei protagonisti della tradizione. È famosa a tal proposito una lettera scritta nel 1893 dal prof.
Giosuè Carducci all’editore Cesare Zanichelli, in cui si lamenta di uno sfortunato invio di bottiglie di Lambrusco:
“Ahimè le bottiglie le ho ricevute con danno di sei rotte:
bisogna che quei signori di Modena mettano più paglia. È
troppo danno!”. Ne consegue che, dalla metà dell’800 alla
metà del ’900, la maniera più diffusa di ottenere un Lambrusco frizzante naturale in senso industriale, era rappresentata dalla rifermentazione in bottiglia. Si otteneva così
un frizzante torbido, senza sboccatura, e la gran parte del
prodotto rifermentato era comunque ottenuta non in cantina, ma a cura dell’acquirente, consumatore diretto o spesso oste. La più antica esperienza in tal senso venne avviata a Modena sulla scorta del successo conseguente alla
gestione della Trattoria dell’Artigliere. Nel 1860 prese così
ad operare la prima cantina di produzione di Lambrusco
frizzante di tutta l’Emilia. Le produzioni migliori venivano
sottoposte alla eliminazione delle fecce anche con metodi che ne diminuissero le perdite di quantità e qualitative,
dapprima con macchine travasatrici isobariche (messe a
punto dal Martinotti alla fine dell’800), mentre attualmente anche nei Lambruschi frizzanti e spumanti rifermentati
in bottiglia, si usa eliminare il deposito di fecce di lievito
dopo averlo fatto discendere verso il tappo e previa congelamento del collo della bottiglia.
La storia di questo lambrusco è sempre nella direzione di
una maggior qualità e finezza e consegna al Sorbara anche un altro primato, quello di una precisa lettura territoriale. A questo proposito un articolo di Martino Zuccoli,
apparso sulla Gazzetta di Modena dell’11 giugno 1862 ricorda che tale vino deriva da una «…plaga di terra detta
Villa di Sorbara eminentemente vinifera ma la brevità della
sua superficie rende quasi nulla la quantità di vino da essa
esportabile.». È l’idea di cru che si affaccia per la prima
volta nel mondo del lambrusco, e non casualmente con
il Sorbara. Sono pochi i vitigni che come il sorbara hanno
un rapporto così forte ed esatto con il loro territorio. Ne
scriveva nel 1934 P. L. Cavazzuti nel suo “Note enologiche sul lambrusco di Sorbara”: «Occorre premettere che il
vino di cui parliamo è il migliore, il più importante e rinomato spumante rosso italiano. Si hanno viti di lambrusco
a caratteri diversi [omiss] Questo è il famoso Lambrusco
della viola, e la varietà è indigena di Sorbara, frazione del
Comune di Bomporto; e quindi la culla del Lambrusco, dista 14 km da Modena ed è incuneata tra i fiumi Secchia e
Panaro. Il terreno compreso nella zona classica è formato
dalle alluvioni dei due fiumi, specie del primo, ed è a fondo
prevalentemente sabbioso, permeabile, ricco di potassa.
Nei terreni argillosi questo vino assume un colore più carico che si discosta da quello tipico presentando inoltre al
palato un’asprezza più elevata del consueto.» Si parla di
terroir, con precisione, forse per la prima volta nel mondo
del vino italiano. E ancora: aggiunge «Il sottosuolo poi è
dappertutto molto sabbioso e permeabilissimo, e le radici
delle piante vi si possono stendere liberamente. È di colore
bigio leggermente gialliccio ed ha ottimo scolo.». Ancora
l’idea di terroir emerge in un piccolo saggio del 1884 sulla
lotta alla filossera (comparsa in Italia nel 1879) del Prof.
Tito Poggi
«Ma, fortunatamente per noi, la Secchia ed il Panaro hanno insabbiato assai bene certi tratti delle loro rive, lungo le
quali alcune golene (i nostri saldini) producono già uva abbondante e finissima.». Le sabbie quindi come protagoniste del terroir, la mano del fiume come regista di una condizione precisa, esatta e unica. Un legame del quale parla
già nel 1863 Francesco Agazzotti nel suo celebre saggio
sul lambrusco modenese: «il suo terreno è quello di pianura ed è per eccellenza tale quello de così detti Saldini
(terre golenali del fiume Secchia) qui sulla destra del Secchia in prossimità della Villa di Sorbara: sono questi una
terra alluvionale, sabbioniccia, leggera, permeabilissima,
onde si hanno due vantaggi l’uno che l’acqua non si rafferma di troppo attorno alle radici della vite, l’altro che le
di lei radici godono il beneficio di una continua aerazione,
d’importanza così universalmente riconosciuta d’aver dato
luogo al proverbio che le radici della vite debbono udire il
suono delle Campane.».
Oggi è ancora così e l’area della DOC, interamente in provincia di Modena insiste sui comuni che possono vantare
i terreni sciolti così amati dal sorbara: gli interi territori
comunali di Bastiglia, Bomporto, Nonantola, Ravarino, San
Prospero e parte del territorio dei comuni di Campogalliano, Camposanto, Carpi, Castelfranco Emilia, Modena,
Soliera, San Cesario sul Panaro.
LA LUNA di Andrea Vitali
Fu il 20 luglio del 1969 quando la luna dovette rinunciare ai
suoi segreti, accogliendo un’umanità che fin dall’antichità
l’aveva cantata come dea. Sulla luna, dove andò Astolfo per
recuperare il senno di Orlando e le anime erano credute
dimorare prima di scendere sulla terra per incarnarsi, solo
sassi e polvere. Tutt’altro che afflati poetici. Ma a noi piace
pensarla ancora come i nostri progenitori e in particolare come la descrisse Tommaso Garzoni da Bagnacavallo
nell’opera Il Theatro de’ vari e diversi cervelli mondani
stampata a Reggio nel 1585: “Se discorri del Cielo, subito
trovano la Luna, & la chiamano decoro della notte, madre della rugiada, ministra dell’humore, dominatrice del
mare, misura del tempo, emula del Sole, muratrice dell’Aere”. Insomma un astro più che indispensabile. Simbolo
del femminile, questa carta viene rappresentata nei cosiddetti Tarocchi di Carlo VI e in quelli di Ercole I d’Este di
epoca quattrocentesca, quale luminare oggetto di indagine
da parte di alcuni astrologi. Nei Tarocchi Visconti appare
invece una fanciulla che tiene alta sulla mano l’astro crescente. Una sostanziale variazione, adottata in tutti i mazzi dei secoli successivi, apparve nel sec. XVI dove l’astro è
raffigurato sovrastare con i suoi raggi un paesaggio metà
acquatico e metà terrestre. Nell’acqua è rappresentato un
gambero o cancro, mentre sul terreno collinoso due costruzioni sono poste una di fronte all’altra. Se il Cancro
in astrologia è sede zodiacale della Luna, risulta essere
anche animale simbolo dell’Incostanza come la descrive
Cesare Ripa nella sua Iconologia del sec. XVI: “Donna che
tiene in mano la luna e con un gambero o cancro sotto i
piedi. Trattasi infatti di animale che cammina ora innanzi
ora indietro in uguale misura come fanno coloro che ora
amano la guerra ora la pace, ora la contemplazione ora
l’azione”. Constatazione che diede vita all’aggettivo ‘lunatico’. Le due torri - da intendersi come fari - poste a sinistra e a destra sotto la luna piena che splende in posizione
alta centrale, rappresentano la luna crescente e calante,
poiché gli antichi, e in particolar modo i marinai, come
attestano i trattati di iconologia del tempo, consideravano
questi due aspetti lunari, oltre alla luna piena, veri e propri
punti di riferimento, fari nel buio della notte. L’ acqua presente nella zona inferiore della carta, da dove esce il gambero, è invece da mettere in relazione, secondo la credenza
degli antichi, al momento in cui la luna non appare (luna
oscura) perché nascosta nel mare. Nel Seicento vennero
aggiunti a questa immagine due cani, uno bianco e l’altro
nero, a significare la fedeltà dell’astro. In effetti, seppure
incostante come presenza in cielo, la sua influenza che si
manifesta sulle maree, sulle nascite, sul ciclo mestruale e
su tanto altro ancora, non venendo mai meno fece pensare
alla luna come simbolo di fedeltà. Inoltre poiché i cani erano creduti solitamente abbaiare alla luna, la loro presenza
ci parla anche dell’Inanis Impetus, cioè di un arrabbiarsi
inutile, come racconta l’Alciati nel suo trattato Emblemata
del 1531: “Di notte il cane mira la faccia della Luna, come
se fosse uno specchio, e vedendosi crede che sia un altro
cane e abbaia: ma inutilmente la vana voce si disperde ai
venti e Diana [la Luna] continua insensibile i suoi viaggi”.
Fra i molteplici significati che la Luna possiede in cartomanzia ricorderemo: segreti, misteri, femminilità, sera,
notte, ombra, incertezza, non vedere chiaramente, arrabbiarsi per nulla, e punto di riferimento.
Il Sole,
Romagna Albana
di Giorgio Melandri
«Il Sole è una carta che indica verità, chiarezza,
successo, giovinezza e vita. È anche una carta che
richiama l’uomo e la mascolinità, proprio come
fanno gli inaspettati tannini di questa originale
uva bianca. Romagna Albana è un vino dalla forte identità, vibrante e pieno di un’energia trascinata dalla bellissima acidità. A noi chiede verità
sulla sua identità per potere esprimere la sua capacità di attraversare il tempo e di mostrare la sua
forza e la sua vitalità.»
L’albana è un vitigno bianco autoctono della Romagna citato già all’inizio del ‘300 (Pietro De Crescenzi, 1304) che ha
accompagnato la storia enologica delle colline comprese
tra Dozza e Bertinoro evolvendosi e differenziandosi fino
ad esprimere diversi biotipi, 5 cinque in totale, perfettamente adattati ai diversi territori di produzione. Per i contadini romagnoli l’albana era il vino che poteva superare
l’estate e dunque nella loro cultura il vino importante delle
loro case. L’albana, diffusa storicamente nel nord della Romagna fino a Bertinoro, è in effetti una macchina formidabile che accumula zuccheri senza mollare la freschezza di
un’acidità sopra le righe. È un’uva generosa, dal grappolo
lungo e dorato, capace di arrivare a gradazioni zuccherine impensabili per gli altri vitigni italiani. A questa forza
si aggiunge una buccia ricca di tannini e polifenoli, una
ricchezza che però complica tutte le operazioni di cantina.
Un vitigno diverso da tutto, che coniuga potenza e vulnerabilità alle ossidazioni, fitto di profumi e richiami, materico
nel linguaggio, sferzante in bocca. Il mondo contadino ha
custodito l’albana per secoli, ma poi le produzioni degli
anni ‘80 e ‘90 ne hanno banalizzato il linguaggio e semplificato l’espressione con una mano enologica invadente.
Per fortuna recentemente, grazie al lavoro di tanti piccoli
artigiani l’albana è tornata a parlare la sua lingua, coccolata in quella diversità che ne fa uno dei vitigni bianchi con
più potenziale in Italia. È un’identità ritrovata, sfaccettata e
complessa, coraggiosa anche. Lo stesso discorso vale per
le albana passite che in questi anni hanno abbandonato gli
affinamenti in legno piccolo per riabbracciare la complessità legata a tannini e ad un’acidità tagliente. Sono vini che
spaziano dai sentori di frutta–fichi secchi, albicocca, frutto
della passione- a quelli di erbe, capperi e agrumi, sempre
con la trama tannica che attraversa il bicchiere e porta il
naso ad essere cangiante e la bocca ad essere asciutta e
antica nel senso più bello del termine. Con questa nuova generazione di artigiani e i loro vini territoriali si apre
la possibilità di una lettura delle diverse identità espresse
su suoli e altitudini diverse. Ci sono le albana fatte in alto
nel faentino (Brisighella, Modigliana) che hanno mineralità
spinte, bocche vibranti e infinita austerità, e poi le albana
delle colline più basse (Dozza, Imola, La Serra, Santa Lu-
cia, Oriolo dei Fichi, Marzeno, Forlì, Bertinoro). Al di là di
un dettaglio che deve ancora arrivare i terroir si possono
dividere in due grandi famiglie, quelle che esprimono fiori
e quelle che esprimono frutti. Questa intuizione è dell’enologa Marisa Fontana che ne parlò la prima volta in un
convegno a Bertinoro nel 2011. Riporto fedelmente le sue
parole: “Le terre imolesi, della Valle del Senio, e della Serra che vantano suoli decarbonati e quindi meno alcalini e
con una frequente presenza di gesso, regalano albana più
fruttate che richiamano in modo netto l’albicocca, mentre i territori faentini e forlivesi, che sono in generale più
calcarei e vantano una presenza di sabbie più frequente,
producono albana floreali con richiami alla salvia. Il frutto
riemerge, ma più timidamente, a Bertinoro”. “È una chiave di lettura interessante che trova un riscontro anche nei
tre biotipi presenti in Romagna.”, gli fa eco Francesco Bordini, agronomo e wine maker, “L’albana media Gaiana di
Dozza- Castel S. Pietro, che si esprime sul frutto, l’albana
a grappolo lungo con la punta biforcuta tipica del faentino
(Serra e Compadrona), che regala profumi floreali e vegetali, e l’albana gentile di Bertinoro che ha il grappolo corto
ed era adatta ai bassi alberelli di quel territorio.”. Una
lettura preziosa dalla quale partire per un’indagine sull’identità che ancora una volta è assolutamente territoriale.
IL SOLE di Andrea Vitali
Nei tarocchi quattrocenteschi Visconti-Sforza questa carta
ci presenta il Genio del sole, cioè lo spirito che governa
l’astro, in pratica la sua anima. Il Genio appare come un
giovinetto nudo con al collo una collanina di corallo che,
lungi dall’essere un semplice ornamento e come troviamo
ai polsi o al collo di bambini nell’arte medievale e rinascimentale, era considerata un potente talismano contro la
peste. Un’immagine singolare appare nel ferrarese Tarocco di Ercole I d’Este dove un vecchio all’interno di una botte
è ritratto dialogare con un giovane. Si tratta evidentemente
di Diogene, maestro di Alessandro Magno, il quale dedito
all’ascetismo decise di vivere per un po’ di tempo in una
botte. Poiché l’unico bene che possedeva era una ciotola di
legno, da buon asceta decise di regalarla quando vide un
ragazzo che beveva dall’incavo delle mani. Per comprendere il motivo della presenza del filosofo greco occorre far
riferimento al biblico Libro dell’Ecclesiaste, in cui si afferma che tutto ciò che avviene sotto il sole è vanità, anche
il pensiero dei sapienti. Un concetto che sembra sposare
la celebre affermazione di Socrate “Più conosco, più so di
non sapere”, con la quale il filosofo intese esprimere una
ferma condanna verso qualsiasi atteggiamento di presunzione. “Vanitas vanitatum et omnia vanitas” declamavano
i saggi, frase che in italiano suona “Vanità di vanità, tutto
è vanità”, un insegnamento a non ricercare nella vita, di
cui il sole è simbolo, chissà quali traguardi dato che tutto
si tramuterà in polvere. Per questo motivo in un tarocco
parigino del sec. XVII una donna è raffigurata guardarsi
in uno specchio tenuto in mano da una scimmia, animale
che nell’antico testo del Fisiologo viene accumunato al demonio il quale tenta le ragazze rendendole vanitose. I due
fanciulli che appaiono nella carta del Sole nel maggior numero di mazzi conosciuti, rappresentano Apollo e Bacco,
dei solari simboli di gioventù. Il sole infatti era considerato
simbolo di giovinezza, dato che ogni giorno ritornava con
giovanile vigore ad illuminare il mondo, dopo essersi riposato la notte perché stanco. Molte preghiere venivano
rivolte dai pagani ai due dei solari sopra menzionati per
poter godere di eterna giovinezza. In un’epoca in cui non
esisteva la chirurgia plastica, tutto sommato si trattava di
una richiesta più che coerente. Al di là del consiglio di fuggire le effimere soddisfazioni, la presenza del Sole nei Tarocchi fa riferimento alle sfere celesti che, nella visione del
cosmo medievale, potevano influenzare la vita dell’uomo.
Sotto l’aspetto divinatorio questa carta esprime solarità,
illuminazione della mente, capacità di vedere bene le cose,
giovinezza, vita e crescita.
Giudizio, Brisighella
Olio Extravergine di Oliva.
di Giorgio Melandri
«Il Giudizio è la carta che indica la conoscenza
delle cose, delle persone e delle situazioni. Questa
conoscenza permette la corretta valutazione da
parte della giustizia divina. Le tre figure classicamente rappresentate dalla carta, che escono dalle
tombe nel giorno del giudizio universale diventano
per noi i tre colli di Brisighella - la rocca veneziana, la torre dell’Orologio e il santuario del Monticino - e quindi il territorio. L’olio di Brisighella
nasce infatti da questo rapporto di conoscenza tra
uomo e luogo, figlio della lettura puntuale degli
ulivi di Nostrana di Brisighella ai quali non si può
nascondere alcun segreto.»
Viaggiando sulla statale 302, la strada che collega Faenza
a Firenze attraversando la Valle del Lamone, si può godere di un paesaggio unico in Emilia-Romagna, i terrazzamenti di ulivi. Sono 100.000 piante iscritte alla prima DOP
italiana dell’Olio extravergine di oliva, la DOP Brisighella.
Questa piccola DOP è l’ultimo felice residuo della grande
diffusione che l’ulivo ha avuto in Appennino. Per fare un
esempio, i colli bolognesi erano grandi produttori di olio
e vi sono diverse fonti e diversi toponimi a testimoniarlo.
Fu probabilmente durante uno dei periodi più freddi della
Piccola Età Glaciale (1300-1900), il cosiddetto “Minimo di
Maunder” (dal 1645 al 1715 circa), che gli ulivi scomparvero dai paesaggi appenninici lasciando qualche albero a
sopravvivere in punti dal microclima speciale. Questo non
avvenne a Brisighella e Modigliana, probabilmente grazie
all’azione combinata della sella appenninica del passo della Colla, abbastanza bassa di quota e capace di alimentare
la valle del Lamone con aria del versante tirrenico, e della
vena del gesso che qui affiora su tutto il territorio e crea un
microclima eccezionale. Certo è che gli ulivi di Nostrana
di Brisighella e Ghiacciola, che già erano capaci di reggere gli inverni rigidi con un ciclo vegetativo di grande prudenza, resistettero a secoli di freddo per consegnare alla
Romagna una delle più belle identità di extravergine del
nord Italia. L’olio di Brisighella è inconfondibile, erbaceo e
algido, con richiami ad erbe e carciofi, amaro ed elegantissimo in bocca, quasi privo del piccante che firma invece
gli olii di Rufina e Chianti Classico. La presenza dell’ulivo
nella valle del Lamone è antica come dimostra il ritrovamento di un rudimentale frantoio del II secolo d.c. negli
scavi fatti negli anni ’50 alla Pieve del Tho. Ci sono poi diverse testimonianze successive. Nello “schedario Rossini”
conservato alla Biblioteca Comunale di Faenza vi sono ben
tre atti notarili che evidenziano degli uliveti nella Valle del
Lamone. Sono datati 24 maggio 1479, 2 settembre 1499 e
29 settembre 1499. Nel 1594 il brisighellese Mons. Andrea
Giovanni Calegari (1527 – 1613), Vescovo di Bertinoro in
una lettera indirizzata al Medico del Granduca di Toscana
Hieronimo Mercuriale di Forlì, ricorda la bellezza e la fertilità della Vallata del Lamone e, in particolare, la copiosità e
la grandezza degli olivi che facevano bella mostra a chi da
Firenze si avventurasse verso Faenza: “… l’aria, l’acqua,
li vini, l’olio, li casci e frutti che nascono sono così buoni e
saporiti che non hanno invidia a qualsiasi altra regione…”.
E ancora, lo storico brisighellese Francesco Maria Saletti
(1596 - 1674), nel suo “Comentario di Val d’Amone”, tuttora
inedito, esalta, in più parti dell’opera, la bellezza della Valle, mettendo in luce come l’olio e il vino, siano due prodotti
tipici ed eccezionali della Vallata del Lamone. Ci sono poi
diversi altri documenti conservati nell’archivio notarile di
Brisighella che citano gli uliveti a partire dal 1500 e fino a
tutto l’800. Anche Antonio Metelli (1807 – 1877) nella sua
“Storia di Brisighella e della Val d’Amone” scrive: “… imperocchè dove appena cominciano a spuntare le collinette,
e a far riparo coi loro dorsi ai venti, che spirano da tramontana, ivi vedesi verdeggiare le perpetue foglie d’ulivo, raro
d’apprima, poi cresciuto in numero e unito alle vigne, spargersi insieme con esse lungo la sinistra giogaja, che volge
a mezzodì tanto che per lo spazio che la medesima come
da Fognano fino a Brisighella, quelli cò rami, queste cò
tralci quasi tutte l’adombrano. Le ulive, che quivi particolarmente si raccolgono, e nei concavi seni della valle dove
fa un’aria tepida e benigna, non sogliono per l’ordinario
ascendere ed eguale quantità, essendo il mignolare dell’ulivo, anziché stabile, alternativo, ma i frutti sono sempre
così perfetti che ne stilla da essi un olio finissimo.”.
Il versante sinistro della Valle del Lamone quindi, oggi
come allora, è il cuore di questa straordinaria DOP e forse si potrebbe indicare Rontana come il luogo simbolo
del legame tra gessi e ulivi, il centro geografico di tutta
l’identità. Lo dimostrano anche i vecchi cartigli del Brisighello che riportavano l’elenco dei cru selezionati per
produrre questa mitica bottiglia che ha fatto la storia della
DOP. “Nerio Raccagni, patron della Grotta di Brisighella,
ci stimolò a produrre una bottiglia dove fosse certificata
tutta la filiera. Era il 1975 e la CAB, la Cooperativa Agricola Brisighellese, cominciava ad imbottigliare l’olio fino ad
allora venduto in damigiane. Pensammo ad una bottiglia
che fosse numerata e avesse un cartiglio firmato da tutti
davanti al notaio Baruzzi. Nacque così il Brisighello che
Nerio poi promosse dentro alla grande ristorazione italiana. Lui era uno dei fondatori dell’AIS e con la Grotta aveva
conosciuto tutti i ristoratori italiani importanti.”. A parlare
è Franco Spada, a lungo presidente della CAB e memoria
storica dell’olio di Brisighella. La svolta nella cooperativa era arrivata nel 1972 quando Teo Tredozi e Floriano
Venturi, convinsero i soci ad investire su un frantoio all’avanguardia. Arrivò quindi a Brisighella la famosa Sinolea,
una macchina allora all’avanguardia. Da quel momento la
separazione di tutti i cru e l’assaggio di ogni singola partita
per fare la selezione divennero i riti che fecero grande il
nome di Brisighella. “Nel 1995 arrivò la DOP, la prima in
Italia, e a quel punto capimmo che non aveva più senso
autocertificarci, c’era una legge che lo faceva.”, prosegue
Spada, “Però gli anni di esperienza ci avevano consegnato
una lettura territoriale con un dettaglio pazzesco. E i vecchi cru, diciamolo, non avevano mai tradito.”. A fargli eco
è Gianluca Tumidei, uno dei protagonisti odierni dell’olio
romagnolo che con la sua Tenuta Pennita produce degli
strepitosi olii a base di Nostrana di Brisighella in purezza:
“I vecchi contadini non sbagliavano mai. Io gestisco il cru
storico di Valdoleto, tra Fognano e Zattaglia e quando ne
frango le olive ho l’adrenalina alle stelle. I profumi che si
sprigionano sono di una purezza e di una intensità senza
paragone. È un olio verticale, nitidissimo e fresco. Che infatti imbottiglio separatamente.”.
La Valle del Lamone è piena di alberi storici, soprattutto di
Nostrana di Brisighella che è poi la regina della DOP dato
che il disciplinare ne prevede almeno il 90%. “La Nostrana
è un’oliva bianca, della famiglia delle olive adriatiche come
l’Ascolana tenera o l’istriana Bianchera. La Ghiacciola è
più “tinta” ed io credo che sia di origine toscana. Lo dimostra, secondo me, la sua maggiore presenza nelle vallata
di Modigliana che fu sempre nel Granducato di Toscana. Lì
ci sono piante di ghiacciola molto vecchie, come ad esempio alle Ovie o a Tossino. A Modigliana la presenza di olivi è meno continua e la diffusione è sempre più rarefatta
man mano che ci si allontana dai gessi, fino ad arrivare
alle piccole enclave segnalate a Dovadola, nella Valle del
Montone.”. A confermare questa osservazione c’è Gianluca
Tumidei: “A Castrocaro, a pochi chilometri da Dovadola,
c’è una cultivar chiamata localmente Quarantoleto, che è
in effetti una Ghiacciola.”.
IL GIUDIZIO di Andrea Vitali
Sul Giudizio Universale San Tommaso d’Aquino nella Summa Teologica alla Questione 87 riguardante ‘La Conoscenza dei meriti nel Giudizio’ asserisce che ogni uomo comprenderà in coscienza la sorte che il Signore gli riserverà,
e che i meriti e i demeriti di ciascuno saranno conosciuti
da tutti in modo che risulti evidente il premio o il castigo
assegnati dalla giustizia divina. Giorno dell’Ira Divina quel
giorno, che ispirò il celebre componimento medievale Dies
Irae a Tommaso da Celano, e che Mozart e Verdi, ma anche
tanti altri, rivestirono di note sublimi ancorché inquietanti.
Nei documenti del Cinquecento questo Arcano viene chiamato indifferentemente Angelo, Angiolo, Agnolo, termini
che l’Aretino, nelle Carte Parlanti del 1543, sostituisce con
“Le Trombe”. Infatti, come descritto nel passo evangelico
di Matteo (24, 30-31), è con tale strumento che verrà annunciata la venuta del Figlio dell’uomo che preannunce-
rà il Giudizio finale. Praticamente in quasi tutte le civiltà
il suono della tromba, forte e potente, veniva utilizzato in
occasione di cerimonie sacre, ma anche profane e militari, in quanto considerato in grado di associare il cielo e la
terra in una comune celebrazione. Nel Sermones de Ludo
del sec. XVI, che riporta la più antica lista conosciuta di
tarocchi, la carta che segue il Giudizio è la Iusticia, poiché
è attraverso la Giustizia, cioè la giusta valutazione delle
azioni degli uomini, che l’Arcangelo Michele, una volta conosciuto il bene e il male commesso da ciascuno, separerà
gli eletti dai dannati. In quella lista la carta che segue la
Giustizia è il Mondo definito ‘Dio Padre’. Un ordine da cui
si discosta il tarocchino bolognese che vede invece come
arcano superiore il Giudizio stesso. Nei quattrocenteschi
Tarocchi Visconti di Modrone, oltre ai morti che si alzano
dagli avelli unitamente all’angelo musicante - raffigurazione pressoché identica in tutte le carte dei tarocchi -, appare un uomo a metà busto entrante nella terra o uscente da
essa a rappresentare la discesa al Limbo del Cristo. E non
poteva essere diversamente dato che il Limbo, dal latino
Limbus, cioè orlo, era creduto essere posto sotto la crosta
terrestre al confine dell’Inferno. Si riteneva infatti che le
anime dei giusti che laggiù dimoravano in attesa della redenzione, essendo vissuti e morti prima della rivelazione
- cioè della verità espressa dal Cristo - dovessero assurgere anch’essi nel giorno del Giudizio. Una condizione che
li vedeva accumunati a tutti i bimbi deceduti senza battesimo. Se abbiamo scritto ‘accumunava’, cioè al passato, si
deve al fatto che la Commissione Teologica Internazionale,
con approvazione nel 2007 di Papa Benedetto XVI, ha esplicitamente ammesso che il Limbo non esiste. Una sorte
spettante, con qualche variante, anche all’Inferno, dato
che diversi teologi, sulla scia di Hans Urs von Balthasar,
promosso cardinale alla fine della sua vita, suppongono
che se anche quest’ultimo esistesse, sarebbe vuoto. Una
affermazione che la rivista ‘Civiltà Cattolica’ ha corretto
con “L’Inferno non è vuoto, è solo poco affollato”. In cartomanzia il Giudizio significa conoscere, conoscenza (quella
che permette di poter giudicare attraverso la Giustizia) e,
data la presenza della tromba, chiamare a raccolta, oltre a
perdonare gli inconsapevoli.
Il Mondo, Tortellino.
di Giorgio Melandri
«Il Mondo è una carta di successo che indica il
mondo esterno e le persone che stanno a cuore,
ma anche ciò che si nasconde nell’intimo delle
persone e quindi la loro anima. Il tortellino, come
la mandorla mistica della carta, nasconde il ripieno e nella sua varietà di interpretazione rappresenta a tutti gli effetti un vero e proprio mondo.»
A leggere i menù dei banchetti bolognesi del Cinquecento
e del Seicento si può pensare che la città dovesse ancora inventare le sue specialità, tortellini in testa. Si parlava molto di mortadella, allora un prodotto di lusso, ma
maiale e mortaio erano già comuni da secoli. Se i poveri,
come scrive lo storico Alberto Guenzi, si accontentavano
di pane, vino, legumi e carni salate, i ricchi portavano a
tavola ogni bendidio. Le verdure degli orti. E carni di maiale
e vitello, capretti, frattaglie. E poi polli, quaglie, piccioni,
fagiani, tordi, selvaggina di ogni tipo, luzzi ovvero lucci,
storioni del Po, trote, cavedani, tinche, le pregiatissime
anguille, lamprede, tartaruche ovvero tartarughe, rane e
gamberi d’acqua dolce. Può sorprendere, ma il pesce era
una voce importante dell’economia alimentare bolognese.
E non solo d’acqua dolce. Ci sono citazioni abbondanti di
ostriche, alici salate, sogliole, rombi, ombrine. I tortellini però erano già stati inventati come prova una citazione
del 1550 riportata in un diario del Senato di Bologna che
parla di una “minestra de torteleti” servita a 16 Tribuni
della Plebe riuniti a pranzo. Ma ci sono anche altre citazioni come quella di Cristoforo Messisbugo, scaleo alla corte
degli Estensi, che nel suo libro “Banchetti, composizioni di
vivande ed apparecchio generale” cita vari tipi di “tortellini
grassi”. Il testo fu pubblicato a Ferrara nel 1549, un anno
dopo la morte dell’autore. Nel 1570, nel suo enciclopedico
trattato, l’immenso Bartolomeo Scappi (il cuoco più importante del rinascimento nonché cuoco privato di Papa Pio V)
scrive due diverse ricette di tortellini. La prima è riferita ai
tortellini con polpa di cappone ed è una ricetta di un piatto
ricco di dolcezze e spezie. C’è un uso abbondante di zucchero, sia nella farcia che nel servizio, e di spezie. Si citano
l’acqua di rose per la sfoglia e poi chiodi di garofano, pepe,
cannella, zafferano, noce moscata, erbe aromatiche e uva
di Corinto appassita. Nell’altra, forse più popolare, si usa
pancia di porco o addirittura carne di cinghiale. In ogni caso
l’architettura è già a fuoco: una sfoglia di uova e farina che
racchiude in piccole forme una farcia di carne e formaggio
e che viene cotta in brodo. Scappi riporta che questa preparazione in inverno può conservarsi fino a 30 giorni prima
di essere cotta e questo è forse merito della abbondante
speziatura. Lo storico Massimo Montanari indica invece la
pasta ripiena come cibo deperibile e quindi probabilmente
come cibo rituale legato al calendario religioso. Che siano
nati per riciclare avanzi o invece come preparazione ricca
e ricercata, certo è che i tortellini in brodo hanno conquistato nei secoli fama e successo crescenti fino a diventare
il simbolo dell’identità bolognese. La ragione è nella loro
raffinatezza: la pasta sottile, una farcia piena di sapore e la
perfetta proporzione tra ripieno e sfoglia. Un piccolo capolavoro figlio di una manualità tramandata da generazioni.
La carta dei tarocchi che abbiamo dedicato ai tortellini richiama infatti la sapienza delle mani insieme alle due città
simbolo di questo piatto, Modena e Bologna.
La pasta ripiena non è però solo tortellino. Viaggiando sulla Via Emilia, questa preparazione cambia e testimonia via
via la diversità della cultura emiliano-romagnola. In Romagna, dove sono il piatto rituale del Natale, si chiamano cappelletti e la dimensione è più grande. Nelle ricette
dell’Artusi infatti il disco di pasta del cappelletto supera
i 6 cm, mentre quello per il tortellino neanche i 4 cm. I
cappelletti sono ripieni di carne e formaggio nel riminese
e nel cesenate, mentre di solo formaggio nel ravennate.
Viaggiando verso nord, da Modena verso Piacenza, la pasta
ripiena diventa più grande: dai parmigiani tortelli con le
erbette ai tortelli piacentini con la coda, passando per i tortelli di zucca del territorio ferrarese. Una trasformazione
che racconta di gente e filiere. Fa sorridere, in questa geografia di diversità, il deposito alla Camera di Commercio di
Bologna della ricetta e delle caratteristiche del tortellino*
che però è un documento importante per la memoria. In
città, nonostante questo, si può discutere per ore su cosa
sia il “vero” tortellino, a cominciare da quella disputa tutta
bolognese tra chi preferisce una farcia con carne cruda e
chi invece rispetta la tradizione della carne bollita o stracotta. E a pensarci bene, a proposito di tradizione, è sparito
anche il midollo che era uno degli ingredienti importanti
del ripieno. La verità è che non esiste un solo tortellino, ma
tanti tortellini, forse addirittura uno per famiglia. L’Italia
nella sua storia, ha sempre tollerato le differenze fino a
farle diventare una ricchezza. E poi, non va dimenticato, la
tradizione è un animale in lento movimento.
*La ricetta del ripieno è solennemente decretata dalla delegazione di Bologna dell’Accademia Italiana della Cucina e dalla “Dotta Confraternita
del Tortellino” e depositata con atto notarile il 7 dicembre 1974, presso
la Camera di Commercio di Bologna. La ricetta delle caratteristiche tipiche dei classici “Tortellini di Bologna” ovvero: come si fanno i tortellini
è solennemente decretata dalla “Dotta Confraternita del Tortellino” il 19
febbraio 2008 e depositata con atto notarile il 15 aprile 2008 presso la
Camera di Commercio di Bologna, Palazzo della Mercanzia.
IL MONDO di Andrea Vitali
Il Mondo è Dio Padre come scrive un anonimo monaco che
commentò i tarocchi sul finire del Quattrocento, il fine ultimo a cui l’uomo deve tendere e che si spera possa raggiungere dopo essere stato valutato dalla Giustizia divina
nel giorno del Giudizio. Se nei tarocchi miniati del sec. XV
questa carta venne raffigurata da due angeli putti nell’atto di sostenere un tondo nel cui interno risplende la città
ideale, cioè la Gerusalemme Celeste così come appare nei
Tarocchi Visconti-Sforza, in quelli di Ercole I d’Este il tondo, sovrastato da un putto, riporta un paesaggio con colline, alberi e castelli, in pratica un particolare del mondo
come appariva all’uomo medievale. Diversi anni fa, dentro
una fessura nel muro del Castello Sforzesco di Milano venne trovata una carta dove l’immagine del Mondo appariva
completamente diversa, con una fanciulla pressoché nuda
posta all’interno di una mandorla circondata dalle figure
in forma animale dei quattro evangelisti. Questa variante,
da farsi risalire al sec. XVI, verrà assunta nei tarocchi sino
ai nostri giorni. La spiegazione dell’immagine è da ricercarsi nella filosofia platonica, dove l’Anima Mundi, ovvero
l’anima del mondo, rappresenta uno spirito o una forza
naturale inerente alle cose. Posta nel mezzo dell’Universo, da il movimento agli astri, la vegetazione agli alberi e
alle piante, la sensibilità agli animali, la ragione agli uomini. Abelardo vedrà nello Spirito Santo l’anima del mondo, quell’Anima Mundi della quale parlano anche i monaci
di Chartres. Per meglio comprendere la figura nella sua
completezza, occorre dire che i quattro evangelisti in forma
di animale (Leone, Toro, Aquila, Angelo) stanno a rappresentare la terra (quattro elementi, quattro stagioni, quattro venti, etc), mentre la mandorla, che si presenta come
un ovale al cui interno è posta la fanciulla, diviene simbolo
dell’interiorità nascosta dall’esteriorità, racchiudendo con
ciò il mistero dell’illuminazione interiore. Quando troviamo
nei timpani delle chiese medievali l’immagine del Cristo
dentro una mandorla significa che la sua natura divina era
celata all’interno della sua natura umana. Concludendo,
l’immagine vuol esprimere la presenza di un’anima divina nel nostro corpo fisico, un’anima di cui tuttavia non ne
cogliamo l’aspetto perché invisibile agli occhi. Simbolo del
mondo è anche l’utero, inteso come ianua mundi, cioè porta d’ingresso al mondo. In un piatto di maternità fiorentina
del sec. XV, ora al Louvre, raffigurante il Trionfo di Venere,
la dea è rappresentata completamente nuda in cielo entro
una mandorla e sotto di lei, sulla terra, appaiono alcuni
uomini. L’artista ha tratteggiato il percorso dello sguardo
di questi ultimi che si vengono ad incentrare tutti sul sesso della dea. Nulla di erotico, ovviamente. Si chiamavano
infatti piatti di maternità quei deschi dipinti in ceramica o
in legno che venivano regalati alle partorienti per omaggiare la loro fecondità. Dal punto di vista divinatorio, questa
carta indica il mondo esterno, le persone o le situazioni
che stanno a cuore e ciò che si nasconde nell’intimo delle
persone.
Il Matto, Piada
di Giorgio Melandri
«Il Matto è la carta che rappresenta la guida
dell’istinto e la follia, l’assenza di ragione. Può
però anche avere un altro significato, quello del
“folle di Dio” che altri non è che il santo. Quello
tra santità e follia è infatti un confine labile che
apre a fatti straordinari. Abbiamo giocato su questo doppio significato per raccontare la Piada,
che non è un pane, ma di fatto lo è, che in fondo
è un omaggio all’istinto (e ai gesti) delle donne
più povere alle prese con la mancanza di farina
di grano, diventato con il novecento un simbolo
intoccabile di identità.»
La piada, o piadina, è il pane povero della Romagna contadina, probabilmente figlia di farine miserabili e inadatte
alla lievitazione come quelle dei cereali inferiori (spelta,
miglio, sorgo, segale) o di cicerchie, veccie, castagne,
formentone, ghiande e crusca. Nel 1801 il medico riminese Michele Rosa consiglia ai più poveri di confezionare piadine (il pane estemporaneo de’contadini) con farina
di mais e ghianda macinata. Nell’inchiesta sanitaria del
1899 la dieta del contadino, a detta dell’ufficiale sanitario
di Rimini, era costituita da “polenta sotto forma di piadina
cotta nel caldaio con un po’ di biade e schiacciate di farina di mais mal cotte con teglie che le abbrustoliscono
fuori senza cuocerle”. Ecco probabilmente l’origine della
piada, un’alternativa povera al pane che pure si faceva in
tutte le famiglie come testimoniato dalla presenza dei forni
a legna anche nelle case più umili. Ci ricorda lo storico
Piero Meldini che la prima citazione di un cibo chiamato
piada si trova nella Descriptio Romandiole, il censimento fatto redigere nel 1371 per ragioni fiscali dal cardinale
Anglic Grimoard de Grisac, fratello di Papa Urbano V. Alla
comunità di Modigliana veniva imposto annualmente un
tributo che comprendeva due piade. È probabile che queste piade nulla avessero a che fare con la piada moderna,
ma piuttosto con quella famiglia di pani lievitati che nel
centro Italia vengono chiamate genericamente spianate, in
romagnolo spianèdi. Dunque le prime vere citazioni della
piada, sempre per citare Meldini, sono del 1572 quando il
medico riminese Costanzo Felici ne scrisse in una lettera
indirizzata ad Ulisse Aldrovandi. Certo è che la Piê o Pjìda
ha una identità tutt’altro che codificata e cambia testimoniando le tante abitudini delle diverse comunità della Romagna. Come sostiene Graziano Pozzetto, gastronomo e
autore del libro “La Piadina romagnola tradizionale” edito
da Panozzo Editore, è una vera follia cercare di codificare
la piada con una ricetta che valga per tutti. La piada è un
viaggio che nasce nel riminese, probabilmente la sua culla
di origine, e arriva a sud fin nelle Marche e a nord nel ravennate dove la contaminazione emiliana la consegna più
alta, spesso lievitata e fritta nello strutto di maiale come
si fa per lo gnocco emiliano. Passando l’Appennino in direzione Umbria la piada diventa sempre più alta, e di conseguenza lievitata, fino diventare la crescia umbra, mentre
nel Montefeltro con gli stessi ingredienti vengono prodotti
i crostoli, ottenuti da una piada unta, arrotolata e spianata nuovamente. Sono cambiamenti che sfumano i confini
come è sempre nella gastronomia.
Scrive Piero Meldini: “L’estrema penuria di fonti storicodocumentarie lascia intendere che, fino a poco più di un
secolo fa, la piada, pur esistendo, aveva un peso assai modesto nell’alimentazione dei Romagnoli, e assolutamente
trascurabile nel loro immaginario.”. Partendo da questa
riflessione possiamo dire quindi che è il ‘900 a consegnare
alla piada quel ruolo simbolico nell’identità che le riconosciamo oggi. Cominciò forse Pascoli che la definì, nel 1909,
il pane nazionale dei Romagnoli, forse con eccessiva enfasi. Fatto sta che da quel momento in poi la piada, celebrata
dallo stesso Pascoli e da Aldo Spallicci, diventa quello che
conosciamo oggi, un pane azzimo fatto impastando farina,
acqua, strutto e sale, rotondo e sottile e cotto su un testo,
e’ test, il classico disco di argilla cotta che ogni romagnolo custodisce gelosamente in casa. Ovviamente la piada si
può cuocere anche su una lastra di ghisa o metallo, ma il
rito prevede l’uso di questo strumento meraviglioso. In Romagna resiste ormai solo un ultimo tegliaio, a Montetiffi,
nella Valle dell’Uso. Vale la pena visitarlo per capire con
quanta sapienza raccoglie e stagiona le argille per garantire a questi oggetti la continuità con quelli storici e un reale
attaccamento alle radici. Un oggetto ancestrale, ottenuto
impastando due diversi tipi di argille e una pietra locale
macinata che garantisce la resistenza al fuoco.
Per chiudere vorrei citare le due preparazioni più interessanti tra le mille che hanno la piada come protagonista.
La prima vede la piada come la compagna della rustida,
la tradizionale grigliata di pesce povero, principalmente i
sardoncini ovvero le alici, che si fa sulla costa tra Rimini e Cattolica, bellissima nel rito che coinvolge i pescatori
attorno al focone, un rudimentale braciere che sosteneva tutte le cotture. La seconda è quella, più di terra, delle
erbe di campo “cotte” nel sale grosso e utilizzate insieme
all’aglio e all’olio extravergine di oliva come ripieno dei
cassoni, cioè delle piade ripiegate a mezzaluna a mo’ di
contenitore e cotte già farcite. Sono probabilmente le erbe
agresti citate da Giovanni Pascoli e sono fondamentalmente amare. Sono le rosole o rosolacci, le cicorie selvatiche, i
crespini (localmente chiamati al zizerci).
IL MATTO di Andrea Vitali
Il Matto, Arcano Maggiore senza numero, viene solitamente rappresentato come un pover’uomo coperto di stracci
oppure come un giullare. Nella prima versione alcune sue
caratteristiche lo accomunano ai vagabondi, che girando
per le campagne in cerca di cibo, venivano solitamente aggrediti dai cani di guardia, così come raffigurati in diverse
carte di epoca cinquecentesca. Nelle Minchiate di Firenze
(cioè i Tarocchi Toscani) un Matto ridente appare vestito di
stracci, con piume nei capelli mentre cammina a cavallo
di un bastone tenendo in mano una girella e con fanciulli
intorno. La girella, gioco dei fanciulli, diviene simbolo di
instabilità, rappresentando i suoi comportamenti soggetti
all’influsso del vento scirocco (theroco in antico). Il fatto che
il folle, come appare anche nei quattrocenteschi Tarocchi
di Carlo VI e in quelli di Ercole I d’Este, rida senza ritegno, è
da collegarsi ad un detto di Salomone in cui si afferma che
il riso è indizio di pazzia dato che le persone sagge erano
ritenute ridere raramente e che Gesù Cristo, che fu vera
saggezza, non fu mai visto ridere. Più il matto veniva raffigurato con piume sulla testa, così come lo dipinse Giotto
nell’affresco della Stultitia presso la Cappella degli Scrovegni a Padova o il Bembo nei Tarocchi Visconti-Sforza del
sec. XV, più veniva considerato folle. Questa particolarità
che faceva assomigliare molti matti a valenti capi pellerossa, deriva dalla considerazione che gli antichi avevano di
Mercurio, la cui testa era concepita dotata di penne, poiché
essendo il Dio della parola, sembrava che le sue parole
volassero via velocemente come se possedessero ali. Nei
matti le piume o penne acquistano un significato ironico in
senso contrario, in quanto ai matti mancava del tutto velocità d’ingegno e d’intelletto, oltre alle adeguate parole. Infatti il lucchetto che si trova nella bocca dello stolto, come
dipinto da Giotto, assume questa funzione poiché il matto
altrimenti direbbe solo stoltezze, come descritto nel passo
biblico: ‘Lo stolto è rovinato dalla propria lingua. Le prime
parole delle sue labbra sono sciocchezze e la fine del suo
discorso follia’ (Ecclesiaste 10:12,13). Questa espressione
si riferisce al fatto che venivano considerati matti tutti coloro che non credevano in Dio per cui quando questi sparlavano di religione, per la Chiesa del tempo emettevano
solo parole senza senso. Sempre nei cosiddetti Tarocchi
di Carlo VI il Matto, simile ad un giullare, indossa uno slip
dall’incredibile foggia moderna, degno dell’Armani più raffinato, mentre nei tarocchi ferraresi di Ercole I d’Este, il
Matto espone la sua verga pubblicamente senza ritegno,
poiché il matto, essendo matto, non si vergogna di nulla.
Dalla carta del Matto derivò il nome Tarocco, termine che
nella letteratura del tempo significava stolto, folle, idiota
e attributi similari. Fra i molteplici significati cartomantici
troviamo l’agire follemente, il lasciarsi trasportare dall’istinto, e per il fatto che il cervello del matto venisse considerato vuoto della pur minima capacità di raziocinio, vuoto
di successo in qualsiasi situazione.
Carta bianca,
L’Adriatico
di Giorgio Melandri
«La carta bianca la si ritrova in molti mazzi, viene quasi sempre lasciata nella scatola dato che
non serve. Eppure c’è. Nella divinazione, secondo
alcuni, indica che il futuro è nelle mani del consultante. Noi la dedichiamo al principe Francesco Antelminelli Castracani Fibbia, inventore dei
tarocchi, e all’Adriatico, un grande protagonista
dell’identità romagnola.»
L’Adriatico, grande protagonista dell’identità romagnola, è assente da tutti gli elenchi delle specialità regionali non esprimendo prodotti DOP o IGP. E invece i suoi
prodotti sono importanti nella cultura della Romagna.
Ma andiamo con ordine. Il primo protagonista di questa
carta è quel principe Francesco Antelminelli Castracani
Fibbia, che è il reale inventore, in base ai documenti, del
Ludus Triumphorum meglio conosciuto con il termine
più tardo di Ludus Tarochorum, ovvero il gioco dei tarocchi. Scrive lo storico Andrea Vitali: “Il nostro discendeva
da Castruccio Castracani, uno dei più famosi condottieri
che la storia italiana ricordi. Ghibellino per nascita e per
fede non amava il Papa, il grande avversario, il principe
delle tenebre in quanto capo della fazione guelfa. Francesco apparteneva alla stessa razza del suo antenato.”.
Inventò i tarocchi, un mazzo inizialmente composto da
14 Trionfi e che solo nel tempo divennero 22. Sempre
Vitali conferma: “Ne sono un esempio i Tarocchi Visconti-Sforza che in origine erano 14 dato che le altre carte
vennero realizzate da un artista diverso dopo qualche
decennio. Lo stesso dicasi per altri mazzi miniati dell’epoca. Si tratta della convalidata teoria 5 x 14, cioè di 14
carte per ciascuno dei quattro semi di spade, bastoni,
coppe e denari, più un quinto seme, sempre composto
da 14 Trionfi (Arcani), che fungeva da briscola. Verso la
fine del Quattrocento gli Arcani raggiunsero il considerevole numero di 22, numero che è da mettere in relazione alla conoscenza di Dio da parte dell’uomo.”.
Il principe, semplicemente, è il polpo che vedete raffigurato nella carta insieme al suo stemma nobiliare. Un
gioco che richiama il Tirreno (il principe era toscano) e la
sua intelligenza. Attorno a lui ci sono gli abitanti dell’Adriatico romagnolo, quelli che come dicono i pescatori
“come sono qui, non sono da nessun’altra parte”. E probabilmente, a sbriciare i prezzi della mitica asta del pesce di Cesenatico, hanno ragione da vendere. Proviamo
ad elencarli, sono perlopiù abitanti delle sabbie tipiche
di queste coste. Per prima la vongola, detta anche poveraccia, che da Cesenatico a Cattolica ha un sapore unico
al mondo. Con le vongole si preparano ottimi tagliolini,
bianchi più a nord, con il pomodoro nella zona di Cattolica. Poi la sogliola, qui abbondante e delicatissima. È la
protagonista della rustida, la grigliata che riunisce tutti
attorno al fuoco, qui detto “fuocone”.
E ancora la canocchie, abbondanti dopo le mareggiate
che ne distruggono le tane, e le mazzancolle, il crostaceo più nobile di questo pezzo di mare. Ci sono poi quattro prodotti stagionali. Il rombo chiodato che si avvicina alle coste con il freddo invernale. E ancora le triglie
che dalla fine di agosto diventano abbondanti fino alla
primavera. Prima più piccole, le cosiddette agostinelle
da friggere in padella, poi più grosse da preparare alla
brace. Poi le seppie, con una citazione per le cosiddette
seppioline del Redentore (la festa veneziana che si celebra il sabato che precede la terza domenica di luglio)
cotte nere e intere, una cultura diffusa nella parte ferrarese della costa adriatica. Per ultima la saraghina o
papalina, il piccolo pesce principe della cultura riminese, che si pesca nella tarda primavera e fino a giugno e
viene messo alla brace componendo griglie fitte che non
lasciano spazi vuoti.
Chiudiamo questa carrellata con un prodotto straordinario, il sale di Cervia, un sale diverso da tutti gli altri
per la dolcezza. La storia delle saline cervesi è infatti
legata alla raccolta multipla, una tecnica adatta ai climi più freddi che concentra l’acqua in bacini sempre più
piccoli fino a far precipitare il solo cloruro di sodio.
Alcuni Sali contenuti nell’acqua precipitano a concentrazioni più basse, alcuni vengono eliminati con l’acqua
che viene scaricata alla fine del processo produttivo. In
questo modo il sale è libero dall’amaro di alcuni altri Sali
come ad esempio quelli di magnesio. Le saline di Cervia
erano suddivise in circa 200 piccole saline, ognuna gestita da una famiglia, fino al 1959 quando si passò ad una
tecnica produttiva diversa.
Ne fu conservata una, la Camillone, che produce ancora
un sale della tradizione cervese. Con la Camillone, gestita da una attivissima associazione di salinari, si è conservato un patrimonio di parole e strumenti che erano
tipici della cultura cervese.
LA CARTA BIANCA di Andrea Vitali
La carta bianca non pretende nulla, anche se materialmente esiste. Nonostante la si ritrovi in molti mazzi,
viene regolarmente lasciata nella scatola dato che non
serve. Eppure c’è.
Occorrerebbe domandarsene il motivo. Forse se messa assieme alle altre carte e scelta in una stesa cartomantica indicherebbe che il futuro risiede nelle mani del
consultante. Per darle un nome e un motivo per esistere
scriveremo su quella carta con inchiostro simpatico, riferendoci alla Scala Mistica dei tarocchi, il viaggio dall’insensata alla sensata follia, da una vecchia vita ad una
nuova vita, un percorso che possiamo paragonare all’attraversata delle grandi acque. Il pazzo, che nei tarocchi
esprimeva in origine colui che non credeva in Dio, per
giungere al Mondo cioè a Dio Padre, doveva percorrere
una strada impervia, dove le passioni lottavano costantemente con la ragione e l’intelletto. Occorreva togliere
l’ancora, salpando metaforicamente, per affrontare l’alto mare. Come scrive Alfredo Cattabiani “Ogni passaggio
delle acque è inquietante, ambiguo, angosciante. Non è
facile il viaggio: nella traversata la paura del passaggio
periglioso rende folli coloro che s’imbarcano”.
Figuriamoci cosa poteva accadere a coloro che si trovavano già in quello stato. Da un’insensata follia, quale
conduzione di vita dedita esclusivamente ai piaceri e alla
esaltazione del sé, si doveva giungere alla sensata follia,
che era quella del riconoscimento di se stessi come parte di un infinita anima divina. Da intendersi quest’ultima,
sempre metaforicamente, come un grande mare e l’uomo una delle tante creature che in esso vivono, cioè un
pesce. I pisciculi, cioè i pesciolini, rappresentano infatti
i fedeli in relazione all’episodio in cui Cristo invita alcuni
pescatori del lago di Tiberiade a seguirli per diventare
‘pescatori di uomini’. Quando Luca afferma che Pietro
sarebbe stato un grande pescatore di anime, intese
esprimere la sua capacità di convertire al Cristianesimo
una marea infinita di uomini. Per le comunità dei primi
cristiani il pesce divenne simbolo del Cristo, poiché la
sua venuta coincise astrologicamente con l’inizio dell’era dei Pesci. Che il pesce fosse assunto quale simbolo
del Dio Salvatore non fu in effetti una novità, poiché lo si
ritrova in ambito siriaco, assiro, mesopotamico e caldeo.
Il pesce assurse anche a simbolo dell’Eucarestia, del
Cristo che si offre ai fedeli come loro nutrimento spirituale. Sul cippo funerario di Abercio, religioso vissuto
nel II secolo, troviamo incise queste parole: “Io, Abercio,
visitai tutte le metropoli della Siria, persino Nisbi oltre
l’Eufrate, e dappertutto trovai fratelli, scegliendo Paolo
come compagno di viaggio. Era la fede a guidarmi e a
propormi ogni volta come cibo un pesce che veniva da
una fonte viva, immenso, puro, concepito da una casta
vergine”. In un quadro del celebre pittore Paolo Veronese (1528-1588), ora alla Galleria Borghese di Roma, viene descritto un episodio riguardante la vita di Sant’Antonio da Padova.
Recatosi a Rimini per estirpare un’eresia, venendo
schernito dagli abitanti di quella città che non ascolta-
vano affatto le sue parole, si recò sulle rive dell’Adriatico
chiamando a raccolta tutti i pesciolini con queste parole:
“Poiché gli uomini non vogliono ascoltare la parola di
Dio, mi rivolgo a voi, fratelli pesci, che siete molto più
vicini alla creazione e abitate le limpide acque del mare.
Sorgete!”.
Migliaia e migliaia di testoline di pesci spuntarono allora fuori dall’acqua rimanendo ad ascoltare la predica.
Una volta terminata, il santo fece il segno della croce
e i pesciolini ritornarono sott’acqua. Immancabilmente
tutti gli eretici riminesi si convertirono alla fede cristiana. Sulla diatriba alimentata da vari padri della chiesa
se fosse necessario per un buon cristiano astenersi dal
mangiare carne e pesce, sposiamo la tesi di Sant’Agostino che, nel De civitate Dei, sostenne che ‘con giustissimo ordinamento del Creatore la vita e morte di qualsiasi
animale è stata subordinata all’utilità dell’uomo’.
Ma ancor più siamo con Gioviniano, monaco romano
del IV secolo che, richiamando la lettera del messaggio evangelico e dei testi paolini, sosteneva l’erroneità di
scelte come la castità, la pratica del digiuno e l’astinenza da carne e pesce.
Lasciando castità e digiuno alle scelte individuali di
ognuno, quale risulta la migliore fra carne o pesce?
Si tratta di una preferenza dettata esclusivamente dal
gradimento, una scelta di gusto su cui i tarocchi, come
si suol dire, non mettono lingua. Suggeriscono invece
di stare vigili per non naufragare nel mare periglioso
e burrascoso di una vita trascorsa all’insegna del solo
vizio e dell’inutilità. “Che uomo è l’uomo che non fa crescere il mondo?” è un famoso detto medievale che gli
stolti non possono comprendere perché privi di ragione.
The Tarot
and its journey
along the
Via Emilia
Translations by:
Helena Olga Kyriakides
www.yummy-italy.com
[email protected]
Introduction by Giorgio Melandri
Tarot Cards were invented in Bologna by a prince at the beginning of the 1400s and soon became popular as an innovative metaphor with which western culture could, over
time, find a way of interpreting the meaning of all those existential issues that were at the centre of people’s lives.
The cards were first conceived as a ‘Biblia Pauperum’ (a
tradition of Medieval picture bibles), but were subsequently
transformed into representations of people’s fears, ambitions, morals, thought symbols and even of people’s imagination.
We were inspired to adopt this collection of Tarot cards as a
kind of ‘collective consciousness’ on the occasion of Enologica 2015, employing it as an allegorical guide for our journey
through the Emilia Romagna region.
As always, the Via Emilia will be the thread that links all
the elements of the concept together. It is the road that we
will be exploring using the Major Arcana Triumphs of the
Tarot cards, each card providing us with the opportunity to
recount the wines and food of this extraordinary region. The
concept is both a cultural and a popular one – profound in
content but simple in language. It is also a concept that is
filled with the traditions and the gestures that are an innate
part of who we are as a people, without us necessarily being
aware of them.
Over time, the role that wine played in people’s daily lives
has changed. However, our connection to its symbolic value
and its ability to represent our identity has not. As Pier Vittorio Tondelli, the writer from Reggio Emilia, reminds us in his
work ‘A Story of Wine,’ “…the culture of wine during the Middle Ages becomes a truly alternative one, which, with the
use of comedy and paradox, mocks the sacriligeous power
that it had in more aristocratic circles at that time”.
By playing on the pairings between the products of the region and the Tarot, we would like to underline the way in
which wine has, in recent years, found the freedom to express and establish itself. With its traditions deeply rooted
in the farming communities of the region, it is an element of
pride that has taken on a different role in recent years and
that has been targeted at a different kind of consumer. However, it continues to express the values that are inherent to
the way in which we live today.
Using the Tarot and the stories that accompany it as a
theme, Enologica 2015 provides an important narrative platform that recounts the gastronomic history of Emilia Romagna and the magic of the ordinary that is, in fact, extraordinary. This ordinary extraordinary, therefore, is made up of
the innate traditions and the celebrated products that have
their roots here. In this narrative, it is both the traditions
and the products that will challenge the rhetoric concept
of excellence that has become a cliché and been exhausted
over recent years. Here, we would like to take the idea of
‘excellence’ to another level – a level that is new, modern
and revolutionary. A concept of ‘excellence’ that looks to the
past and the agricultural and farming roots of the region to
find its identity in the future.
I would like to thank Francesca Ballarini, artist, who painted
the cards and Andrea Vitali, Historian and Tarot expert for
making this journey unique and thought-provoking – the
latter of who also wrote the texts (in Italian) relating to the
Major Arcana Triumphs and who oversaw the entire project
in order to guarantee its complete accuracy.
Welcome to Enologica 2015
THE MAGICIAN, COTECHINO DI MODENA
T
by Giorgio Melandri
b
«
«The Magician is an illusionist, a street magician
a
and, in Italian, owes its name, ‘Bagatto’ to the Ven
netian coin of no value known as the ‘bagattino’.
IIn fortune-telling and the Tarot, the card repressents things of little value and also of trickery. So
w
why then, can we not use it to represent the Cotecchino, a miraculous illusion of a noble food, that
iis, in fact, made of the poorest ingredients?»
Cudghéin. The magic word that in Modena refers to Cotechino. It was
an invention of the poor, of that ingenious Italian culture that transformed practical problems into wonderful products. A true illusion, as
we have already stated.
Cotechino has always been produced during the winter months and
the butchering of pigs that starts just after the festival of Saint Lucia
on the 13th December, meant that the Cotechini could be delivered
to people’s Christmas tables already perfectly dried. The Cotechino
was almost certainly made famous outside the territories of Modena
and Bologna by Recipe ‘322. Bound Cotechino’ that Pellegrino Artusi
included in his famous cookery book ‘The Science of Cooking and the
Art of Fine Dining’, published at the end of the 1800s and reprinted in
13 editions within a period of twenty years.
The Cotecchino is probably the first ‘sausage’ using pork backfat or
pigskin as a filling, traditionally including at least 50% (today much
less) of these meats, with the addition of left-over meat picked from
the pigs head and neck. These meats or cuts are rich in connective
tissue and require long cooking times. Once cooked, they assume a
kind of gelatinous consistency that is typical of the cotechino.
The other product from Modena that is also very famous (and today
designated with PGI status) is the Zampone di Modena. While all the
meat constituting the Cotechino is stuffed into an intestine, for the
Zampone, the skin and fat of the pig’s front trotter and other cuts of
meat are stuffed into the trotter itself which has been previously removed of its bone and muscle. It is then sewn shut. They are two very
similar products for which it is very difficult to provide a recipe, since
each butcher had and still has his own method of preparation. That
which is certain, is that historically the Zampone was a product that
was richer and destined for the tables of the wealthy where it was
served with ‘zabaione’ and vegetables.
Legend dictates that the idea of conserving pork by mixing it together
with the pig’s backfat, skin and spices and subsequently air-drying it,
was conceived in Mirandola in 1510 when Pope Julius II laid siege to
the town. During this time, the last remaining pigs of the area were
butchered and one of Pico di Mirandola’s cooks had the idea of filling
the emptied pigs’ trotters with meat, backfat and skin. The Modenese
soon became masters of the art and their Zamponi and Cotechini,
together with the Modenese Yellow Sausage, soon appeared as specialities in Bolognese menus, together with the salted and cured meats
from Parma.
Historically, in Modena, the Cotechino was produced by butchers specialising in making sausages and processing pig fat, who, together,
formed an independent corporation in 1547. It was only in 1745 that
we find the first official reference to the Cotechino, when its price was
indicated in a ‘controlled price list’. From 1700 onwards the Cotechino
became ever more popular and spread further afield, until such time
as it became a semi-industrial product. The first butchers began pro-
ducing it semi-industrially during the 1800s. Of these semi-industrial
producers, there are two which have remained famous: Frigieri and
Bellentani. The musician Gioachino Rossini (1792-1868), renowned
not only as a composer but also as a gastronome, was one of Bellentani’s most illustrious customers. He bought directly from Bellentani,
requesting them to send “…four Zamponi and four Cotechini, all of the
most delicate quality”.
THE HIGH PRIESTESS, MORA ROMAGNOLA
T
by Giorgio Melandri
b
«
«The basic divinatory meaning of the High Priesstess card is that of the conviction of one’s ideals
a
and belief in one’s instinct. These are the same
cconvictions that inspired a small group of people
tto save the Mora Romagnola pig from extinction.
T
The first person to embark on the quest to ensure
tthe continuation of this singular Italian black pig
w
was the breeder, Mario Lazzari, who was determined to safeguard the last specimens from dying out. Today,
thanks to all those who worked together for this one cause, the
Mora Romagnola once again forms part of the extraordinary heritage of the Emilia Romagna region and its people.»
During the winter of 2005, when Luigi Tacchi trawled through the Romagna region stable by stable, with the objective of analysing all the
surviving sows of the Mora Romagnola breed, he came to the conclusion that the modern history of this extraordinary black pig still
had to be written. “In 2004, my interest in the breed started to grow
and I wanted to learn more about it, but all the questions I had were
answered with doubts. Then, in 2005, I realised that in order to truly
characterize it as a pedigree, we had to make some drastic and courageous choices”. And so, Tacchi takes the exclusive responsibility of
stopping some of remaining the active breeders from continuing their
work. About a hundred sows were left to ‘defend’ the breed, and it is
with these sows that the Mora Romagnola embarks on the journey of
the re-discovery of its true characteristics and the genuine likeness
with its ancestors. It is certainly one of the most fascinating chapters
in this unique pig’s story, which goes back many years and which has
seen a number of important protagonists.
This is an adventure which, on several occasions, risked finishing in
tragedy but which was, thankfully, always blessed with a new beginning. Today, at last, with approximately 2000 Mora Romagnola sows
registered in the Breeding register, we can safely say that the pig has
been saved from extinction.
The story begins in the early 1980s when a breeder from Faenza
called Mario Lazzari had the intuition and intelligence to save a small
group of pigs by purchasing them from a breeder in Marradi, a small
village located in the upper part of the Lamone Valley. It was this
small group that ensured the breed’s genetic continuity and it was
subsequently recognised by ANAS (The National Association of Pig
Breeders) as one of Italy’s official black pedigree pigs together with
the Apulo-Calabrese, the Casertana, the Cinta Senese, the Nero Siciliano and the Sarda.
For a while, Lazzari remained the only breeder (and custodian) of the
Mora Romagnola. Then, further to being featured on an Italian TV
show called Linea Verde, people’s interest in this particular black pig
pedigree started to grow once again. Interest grew gradually, and the
number of pigs also grew proportionately, however, this still did not
mean that it was safe from extinction. Lazzari subsequently received
a lot of help from a group of breeders, who together formed the project Copaf (Association for the protection of the Mora Romagnola) in
Brisighella. The Association was overseen by the breeder Mario Guaducci and by the veterinarian, Cesare Dacci. Together they created a
network of breeders and worked together to overcome the obstacles
caused by inbreeding.
During the end of the 1990s and beginning of the year 2000, Cesare
Sangiorgi, the mayor of Brisighella, together with Guido Tampieri, decide to support the association by re-opening the town’s old abbattoir.
I, personally, took part in various breeder meetings and I remember
the distinct sense of community that had been created. Together, everyone was safe-guarding a piece of the town’s, region’s and country’s
identity. Then Luigi Tacchi arrived on the scene, and we have already
told his story. More protagonists in the tale of the Mora Romagnola
follow: two idealists named Emilio Antonellini and Leonardo Spadoni.
In 2010 they open a farm between Brisighella and Zattaglia, on the
‘Vena del Gesso’ a ridge running from the Sillaro Valley to Brisighella,
and they begin to work on the genetics of the pedigree, creating a
significant improvement in the quality of the meat. “Having bred pigs
all my life, I saw an unprecedented challenge in dealing with the Mora
Romagnola”, says Emilio Antonellini. “It was very difficult at first, but
in the end, having carried out a very rigorous selection process and
separation of breed lines, we overcame the challenge and our mission came to a successful conclusion. Of course, today, we mustn’t let
down our guard – there are still many pitfalls that we must be aware
of, but when I look back, we really have come a long way. Sometimes
I think of that initial group of 30 sows that Michele Graziani from Bagnacavallo purchased at the time and which I took care of for over 10
years. I really do believe that we have taken massive steps forward”.
In addition to the ‘official’ protagonists of the story, there are also
hundreds of smaller breeders who hold the Mora Romagnola ‘experience’ in their memory, and, as a result, have a kind of ancestral
familiarity and wisdom that they were able to employ within this new
breeding effort. Today, we can truly affirm that the Mora Romganola
has been saved from extinction and that history has a happy ending.
It wasn’t something to be taken forgranted, however. Some of the
typical Italian breeds of pig had already begun to die out in 1872 when
the Ministry of Agriculture appointed Antonio Zanelli from Royal Experimental Animal Husbandry Institute in Reggio Emilia. Zanelli had
started importing and spreading two English pedigrees, the Yorkshire
and Berkshire pigs. The breeds of black pig in the north of Italy were
the first to be eradicated, but in the south, thankfully, the extinction
process just about managed to be contained.
Already during the 1920s, an important legacy of several different
black pedigrees was lost and Mascheroni, in the ‘Utet Manual of
Animal Husbandry’ published in 1927, mentions that there were only
eleven that remained: the Romagnola, Cinta, Cappuccia, Maremmana, Umbra, Abbruzzese, Casertana, Pugliese, Calabrese, Siciliana
and Sarda. Today, the number of black pedigrees has been reduced
to six and the Mora Romagnola is, without doubt, one of the most
important.
The Pedigree
The history of this black pig, which is born red and becomes black at
around 6 months of age, while retaining some of its reddish markings, has very ancient roots and its history has been enriched with
genetic ‘enhancements’ from the time of the Longobards. As a result,
the Mora Romagnola provides meat of excellent quality with exceptional nutritional characteristics and it has become renowned for its
outstanding and complex flavour. As is described in the official ANAS
guide, the breeding of the Mora Romagnola pig was carried out within
various states before the unification of Italy: the Church State, the
Duchy of Modena, the Republic of Veneto and what was then known
as the Lombardo-Venetian Kingdom.
This division could explain the existence of various sub-species of the
same breed, with each one featuring distinctly different characteristics up until the beginning of the 1900s. The names of the various
sub-breeds either referred to the location in which they were bred
(Forlì, Faenza, Bologna) or to the visual characteristics of their coats
(brown, black, chestnut), while the name Mora Romagnola first appeared in 1942.
The Mora Romagnola, more than many other breeds, was very popular and well-established in the provinces of Forlì and Ravenna and in
the surrounding Rocca San Casciano area (located between Romagna and Tuscany). Among the breeds which existed at the beginning
of the 20th century, one morphotype had a black/brown coat with a
somewhat lighter abdominal area. The breed was considered to be
of ‘spartan heritage’, with a robust body and tight and prickly bristles along its spinal column, which tend to change direction half way
down the pig’s back or at the end of its backbone. It became popular
due to its ability to develop considerable muscle mass, as well as for
the exquisiteness of its meat. It probably descended from repeated
cross-breeding between the Mora Romagnola and either the Chianina or Cappuccia breeds (now extinct), which had been introduced on
a large sale in Romagna for their excellent grazing habits. The latter,
which was the blackest of all the breeds mentioned, was the one preserved by Mario Lazzari and the Mora Romagnola that is bred today,
in fact features the same characteristics. The other breeds were the
Riminese, which was somewhat lighter in colour and had a white star
shape on its forehead and the Faentina, which was redder in colour.
THE EMPRESS,
T
ACETO BALSAMICO TRADIZIONALE
A
DI MODENA, ACETO BALSAMICO
D
TRADIZIONALE DI REGGIO EMILIA
T
By Giorgio Melandri
B
«
«In the Tarot, the Empress is a card that signifies
b
beauty, seduction, allure, wealth and materiality.
T
These characteristics are entirely synonymous
w
with the Aceto Balsamico Tradizionale produced
iin both Modena and Reggio Emilia.
There are only a few kilometres dividing Reggio Emilia and Modena,
with all of those (few) kilometres running along the Via Emilia. And
there is one product in particular that someone hailing from outside
of these areas would find it extremely difficult to distinguish as coming from one place or the other. The differences are very subtle, but
they are enough to establish the Aceto Balsamico Tradizionale as
a symbol of these two provinces. And it is, indeed, a symbol. Some
years ago a gentleman who was born and bred in Modena told me
how there were batteries of small barrels used to produce the Traditional Aceto Balsamico located on the top floors of the apartment
blocks or in the attics of the houses. There are some people who are
so obsessed with this vinegar, that every day they check the obituaries
and death notices in the newspapers to see if there are any ‘availalable’ batteries. “You know how it is”, he said, “sometimes the heirs
sell the barrels and you need to be quick if you want to buy them”. He
also told me about a bar, whose name I forget, where specialist Aceto
Balsamico Tradizionale intermediaries meet.
The Aceto Balsamico Tradizionale has a long history and we can assume that it was originally a by-product of the grape must that was
cooked after the grape harvest in order to concentrate and therefore
conserve it. For this reason, there are some people who believe that
the cooked must may also have been spicy from the high middle ages
onwards, aiding its conservation properties. In Emilia, this cooked
must, known as saba or sapa, had a tendency to ferment slightly
and, as a consequence, become vinegar. The acetification process is
a consequence of the climate that is typical of this area, with cold,
humid winters and unbearably hot summers. As a result, the Aceto
Balsamico Tradizionale actually requires not only these extremes, but
also – and forgive me if I am stating the obvious - a lot of time and patience. People took full advantage of the very slow production process
to enrich the product with all the aromas and complexity of the various woods used. The heart of the Aceto Balsamico making tradition
was the Estense Dukedom that corresponds to the same area of production today. The first text that we know of that has any references
to Aceto Balsamico Tradizionale dates back to 1046 when the German
Emperor, Henry III stopped off in Piacenza on his way to Rome for the
coronation. Here he asked to visit Bonifacio, Marquis of Tuscany and
father of the famous Countess Matilda of Canossa and requested that
he be favoured with a gift – that of a special vinegar “which he was
told drizzled perfectly”.
It was actually inside the walls of the castle, which later became famous for the ‘Meeting of Forgiveness’ when Pope Gregory VII accepted
Emperor Henry IV back into the church after he had excommunicated
him, that we are told of a vinegar that was made, a balsamic elixir, ‘extremely coveted by those of royal standing’. This historic fact is mentioned in the poem ‘Vita Mathildis’ written by the monk Donizone, the
Great Countess Matilda’s primary biographer. During the 12th, 13th
and 14th centuries we can be sure that Aceto Balsamico Tradizionale
actually existed in Reggio Emilia, Scandiano and the main centres of
the Estense Dukedom. It appears that the vinegar producers actually
created true Consortia and gathered there regularly and their members were bound to keep secret the revered production process. During the Renaissance period, after the imperial imprimatur, Aceto Balsamico frequently appeared during the banquests of kings and dukes
– in particular in the dining rooms of the Este Dukes. With the birth
of Alfonso I, Duke of Ferrara in 1476, the history of Aceto Balsamico
took an important turn. In a publication dated 1863 by Fausto Sestini,
we read unequivocally that “in the provinces of Modena and Reggio
Emilia, a special quality of vinegar has been produced since ancient
times, whose visual and physical characteristics and the excellence of
its aroma have inspired the name Aceto Balsamico”.
The testimonies of the existence and use of Aceto Balsamico increase
significantly during the 1800s, in particular because it was mentioned
in the dowry lists of the noble families from Reggio Emilia. At the
time, it was customary to ‘embellish’ or increase the value of a noblewoman’s dowry when she was given away to her husband. In fact,
she was given “vases of Aceto Balsamico and batteries of barrels that
contained the precious liquid”.
The Aceto Balsamico Tradizionale (not to be confused with the simple
Aceto Balsamico), is a condiment obtained from Trebbiano di Spagna,
all Lambrusco, Ancellotta, Sauvigno, Savetta, Berzemino and Occhio
di Gatta grapes. The grapes are harvested and pressed and once the
grape must has been simmered on a direct flame and in the open air
to concentrate it, this is poured into the barrels for ageing. The batteries must comprise a minimum of 5 barrels (or another higher uneven
number) and decreasing in size. The woods that are most frequently
used are chestnut, cherry, juniper, oak, mulberry and ash. The largest barrel, that is to say, the one to which the fermented cooked grape
must from the year of harvest is added, is traditionally known as the
‘badessa’ or ‘Abbess’. Each type of wood has its own ‘rapport’ with
the vinegar. For example, juniper wood adds spicy aromas and chestnut wood provides the tannins. Every year, as a consequence of the
evaporation process, the battery (or group of barrels) loses approximately 20% of its volume. In order to aid this process, the barrels are
left open and covered with a small piece of cotton, linen or gauze that
lies over the hole. In order for the vinegar to be officially defined as
an Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, it must be aged for a
minimum total of 12 years. The ageing process lasts approximately
ten years, which, summed with the initial two years necessary for the
fermentation and acetification processes of the cooked grape must,
means that it reaches the required minimum. Every year, only one
litre of the final product is taken out of the smallest or first barrel,
after which it is refilled with vinegar from the second (and larger)
barrel. Then, the second barrel is refilled with vinegar from the third
(again larger) barrel, and so forth. Each family has its own ‘recipe’
which includes a personal selection of grapes that are used to make
the concentrated grape must, as well as its own selection of different
woods for the ageing process. The ‘batteries’ are all listed in a special
registry that certifies its age and composition. The disciplinary code
for the Aceto Balsamico Tradizionale di Modena specifies two ageing
categories for the official product: the Affinato (aged for a minimum of
12 years, featuring a lobster coloured seal) and the Extravecchio (aged
for a minimum of 25 years, featuring a golden seal). The Aceto Balsamico Tradizionale from Reggio Emilia foresees a second ‘affinato’
version which may feature a silver-coloured seal and which generally
undergoes approximately 6 or 7 additional years of ageing.
THE EMPEROR, CULATELLO DI ZIBELLO
T
by Giorgio Melandri
b
«
«In the Tarot, the Emperor is a card that signifies
ssuccess, that expresses values relating to leadersship and guidance as well as decisiveness, willpow
wer, determination and honesty. It is the role that
tthe town of Parma (and surrounding areas) plays
w
within the Emilian charcuterie tradition and it is
ffor this reason that we have paired this card with
tthe most noble of Emilian charcuterie, the Culatello di Zibello. This cold cured meat is a true upholder of tradition and its history is inextricably linked with that of the time-honoured Black Parma pig, depicted at the feet of the Emperor - the
only pig whose meat expresses absolute complexity of flavour.»
The Culatello di Zibello is a cured cut of meat obtained from the thigh
of the pig, then deboned and separated from the loin and trimmed by
hand, so as to create the typical ‘pear’ shape. The Culatello di Zibello
is produced during the colder autumn and winter months, usually
from October through to February. After having been rubbed with salt,
the cut of pork is stuffed into the pig’s bladder and bound with string,
which, after curing, appears to be tied at wide and irregular intervals.
The process seems simple, however the complexity of the flavour of
this charcuterie is the result of curing taking place during the winter
mist and fog as well as the hot summer months. There is, however, a
whole other story to be told.
The history of Culatello di Zibello is profoundly linked to the history
of the territory of Parma and it is surely an example of how practical
difficulties can be transformed into great opportunities. However, we
need to begin our story many, many years ago, when the plains of the
Po Valley were nothing but a huge forest. “The territory of Parma was
always chosen by the Roman army for its winter encampments and
it is probably there that salted meat started being produced for the
summer military campaigns. In this area water was readily available,
but, more importantly, salt was rife and obtained from the thermal
waters of Salsomaggiore. Even better, the land was marshy and fertile, ideal for the breeding of pigs”. Massimo Spigaroli talks about his
home territory with a passion that leaves no room for doubt as to the
accuracy of the information, but he tells it as a spell-binding story.
It is certain that pigs and man’s relationship with them, form a part of
Parma’s history as well as that of the Longobards who arrived after
the Romans. The Longobards continued a tradition that was, in fact,
also an inherent part of European culture. In the Rotari Edict of 643,
seven articles are dedicated to the breeding of free-range pigs in forests of oak and beech trees. This was a tradition that had been conserved throughout the centuries until, during the time of the Duchy of
Parma, something important happened that changed the characteristics of the Parma Black pig rendering it unique.
In 1714, Elisabetta Farnese married Philip V of Spain, a marriage
that brought the Bourbons to govern the Grand Duchy of Parma from
1748. Philip, son of Elisabetta, subsequently became the Duke of
Parma. Buffalo also arrived in Parma together with the Bourbons,
as well as Merino sheep and a variety of of Iberian pig which, when
cross-bred with the local pigs, founded the basis for a breed of black
pig that was different to all the others. The same happened with the
Corniglio sheep (one of its kind in the north of Italy), a breed from
the Parma Appenines which, together with the Puglia Gentile and Sopravissana breeds, is one of the Italian varieties that resulted from
cross-breeding with the Merino sheep brought by the Bourbons.
Professor Alberto Sabbioni of the University of Parma writes: “One
of the oldest bibliographic sources which we can use as a reference
in order to reconstruct the history of the Black Parma breed of pig is
the text ‘Memory Surrounding the Study, Improvement and Conservation of Pig Breeds’ written by Francesco Toggia (Turin 1820). This
text divides the breeds on the basis of their origins and groups the
Iberian pigs together with those originating in the southern parts of
France, Africa and Italy. Professor Sabbioni ascribes the Parma breed
to this same group, as it is characterized by animals that are “robust,
fertile, that have excellent grazing habits…and which ..fatten easily”.
With regard to Italian breeds of pig, the first that is usually mentioned
is the Parma, “which has conserved its pedigree over the years.” It is
briefly described as an animal characterized by its short limbs, almost non-existent bristles and the colour of its coat as “brown with a
tendency to black, but finer and more delicate than that of other pigs”.
Its weight is noteworthy when compared with other breeds prevalent
during that time and it often reached between 190 and 240 kg. “Its
meat is particularly exquisite and it can be conserved for a long time”.
A breed in Bologna with a red coat and featuring white lines around
its thorax (probably attributed to the better known Rossa Modenese)
is also mentioned, while at the same time in Naples, animals that are
similar to “those from Parma but not as voluminous” (maybe the contemporary Casertana breed), are referred to. We can deduce from the
subsequent pages of Francesco Toggia’s book, that the Black Parma
pedigree was already consolidated and very much appreciated during
that time due to the wealth of particulars with which it is described,
compared to other breeds of pig in Italy, and due to the continuous
references and comparisons made with breeds in France and the
Piemont.
Fact becomes history and Spigaroli, with a theory that is ever more
substantiated, identifies that the changes that take place during the
continuous breeding of the pig, form the origins of the Culatello di
Zibello. “The pigs grew ever larger in dimension, and in the very humid plains of Parma it was no longer possible to salt and adequately
conserve the pig’s huge thighs. It was in this way, I believe, that the
Culatello was invented – to satisfy the practical demands of reducing
the dimensions of the pig thighs that needed curing”.
There is, in fact, an official document that sustains this theory, in addition to a reference to a deboned cured ham which was probably a
Culatello. The word ‘Culatello’ first appears in Parma in 1735 in the
‘Calmiero della Carne Porcina Salata’ (The Calmiero of Salted Pork),
a document published by the Parma Council. What is certain is that
the Spigaroli family has great intimacy with this unique cured meat.
Indeed, already a century ago, they found themselves producing it for
the family of the great musician Giuseppe Verdi.
Spigaroli continues to explain: “I worked very hard on the production
of the Culatello until I finally felt the need to recover the complex characteristics of the charcuterie of the past. And it was at this point that
my path once again crossed that of the Parma Black Pig. This is a pig
which has an exceptional type of fat that is perfectly in keeping with
the tastes of this territory. It is sweet with a a high content of fat of exceptional quality. This demonstrates how the culture of a community
can steer the selection of its preferred breeds”. It is also important
to note that the quality of the fat is demonstrated by the fact that the
fatty cuts, such as the shoulder and back, now demand prices that are
much higher than other cuts, the exact opposite of what happens to
industrially-bred ‘white’ pigs.
The recovery of the Parma Black Pig began at the end of the 1990s
when a census called by APA (the Provincial Association of Breeders, now merged into Araer) identified a remaining population of pigs
in the Apennines which featured black marks on their backs. Sabbioni, who managed the recovery of the Parma Black Pig from 2003
onwards, writes: “Some sows with extensive slate grey markings on
their backs and rump were found in the countryside of Santa Margherita of Fidenza. Up until some years previously, about 30 pigs had
been bred at this particular farm and a good part of their offspring
were sold after they had been weaned, while the others were kept
at the farm for fattening and breeding. Black or marked pigs had
always been bred at this farm until such time as, when the farm was
sold, the elderly owner was forced to use a ‘normal’ boar for breeding as he no longer had a black boar available. However, despite the
ever-decreasing black offspring, the young sows were nevertheless
selected to keep at the farm for breeding purposes. Two piglets, a
male and female, were found and purchased after a tip-off by a local
veterinarian in the Comune of Bardi, located in the upper Valceno area
of the Province of Parma. The two were the offspring of a marked sow
and a marked boar. The male was almost completely black. It was in
this way that the existence of a marked boar was able to be identified.
It was a bony animal that had been bred by an elderly man in the
mountains of the area. Sadly, it was not possible to purchase the boar,
but the elderly gentleman permitted its use for breeding on several
occasions. Other young sows were subsequently found in Pellegrino
Parmense, however, these featured very few markings on their backs.
They had been bred by a milk farmer who, during the winter period,
also worked as a pork butcher and sold salami”.
“This was the beginning of a salvage operation”, continues Massimo
Spigaroli, “which today, after many generations, has a thorough-bred
blood line that can finally be recognised as a pedigree and which is
the seventh of the black pig pedigrees currently being bred in Italy. We
have to thank the wonderful disobedience of the mountain farming
communities for this happy conclusion, who, from the 1960s onwards,
protected the genetic blood-line by continuing to breed the black pigs.
I consequently believe that the Culatello di Zibello has, at some point
in the past, crossed paths with the Black Parma Pig. I think that it is
impossible to mention one without mentioning the other”.
In the same way, it is difficult to talk about this unique product without
mentioning the Antica Corte Pallavicina owned by same Massimo Spigaroli, chef, and his brother Luciano, who has created a unique story
around the Culatello di Zibello, involving the surrounding territory that
is wholly dedicated to its production. It is a vision that is nurtured with
an energy and with an obstinacy which has few comparisons in Italy.
Going on a journey of discovery of the Culatello di Zibello and the Spigaroli family, we find ourselves located beside the Po river, in an old
castle dating back to the 1300s that was constructed next to a river
port in an area that ‘suffers’ heavily from dense winter fog and boiling hot summers. This castle could be considered to be located in
the middle of nowhere, or maybe more romantically, in the middle
of a beautiful landscape of small river dams and fields, that hides
the production chain of the Culatello. Today it is a farm as well as a
boutique hotel (Relais) and a restaurant, with guests coming from all
over the world.
The first time I entered the extensive dining-room, I noticed a large
painting of the Spigaroli family and for me it was a moment of illumination. That painting, in an emotional yet discreet way, tells the
story of Massimo’s mission better than a thousand words. Massimo
has succeeded in creating as a focal point, the magic and the family
intimacy that are the true spirit of everything that both the place and
product represent.
The spell has endured over the years and today it remains miraculously intact, credible even as an ‘adult project’ and enchanting whoever comes here. Massimo Spigaroli’s secret is this: to have worked,
invented, dreamed and created, while maintaining the deepest respect for that magic and to have everyone who goes there, feel it.
THE HIEROPHANT, PIGNOLETTO.
T
By Giorgio Melandri
B
«
«The Hierophant is a card that expresses wisdom
a
and which incites us to actions that allow us to
eexpress our own personal convictions. We refer to
tthe concept of wisdom in particular when we pair
tthis card with the Pignoletto. Today it is a wine
tthat insists on maintaining its territorial values
w
with foresight and care.»
Bologna and Emilia-Romagna are emerging regions in the collective
consciousness of the world’s inhabitants. Here the people eat well
and they conduct a lifestyle that is both envied and admired in other
areas of Italy. And in Emilia-Romagna the people are also welcoming
and hospitable. Even though Bologna is the region’s political capital,
when perceived from a foreign perspective, it is starting to become
the symbol of this region. The town has a great desire for growth,
especially with regard to its gastronomic heritage and is keen to create a future for itself in this sense. And there is a wine, the Pignoletto,
that perfectly represents all of this. Many years ago, there were only a
few hundred hectares dedicated to the cultivation of this grape. Today
there are approximately three thousand hectares. The story of this
white wine has become profoundly linked to its territory so let’s try
and understand its history.
In Bologna, the wine-making tradition dictated the vinification of Albana and Trebbiano grapes together – both Trebbiano di Empoli and
Trebbiano romagnolo. This was the ‘white wine of Bologna’. The typical red wine of the area used the Barbera and Negretto grapes as a
base and in the hillside areas going towards Savignano sul Panaro,
a small municipality belonging to Modena, the typical red wine was
made up of Barbera and Grasparossa grapes. All over the Modena
and Bologna plains there were also many other white grape types
being cultivated such as the Alionza (a grape that is subject to floral
abortion) and the Montuni. These vineyards were the protagonists of
the tree-lined roads that characterized the landscape of the plains.
And then there was the Pignoletto grape that was specifically cultivated in the same areas as hemp. Hemp requires dry terrains to
grow successfully and for this reason the level of the fields was lower
in the centre (concave) so that the rainwater could drain away easily.
Between one hemp field and another there was the so-called ‘cavalletto’, a strip of land that had two drainage ditches on each side. In
that same strip of land trees such as ash, field maple or elm bordered
the fields, acting as a wind barrier that stopped the female hemp from
reproducing.The Pignoletto was traditionally cultivated within the
tree-lined areas. Many years ago, Pignoletto was known as ‘Pignolo’
as we can deduce from a document retrieved from the archives of
the wine producers Lodi (or Lodi Corazza). The document mentions
the sale of a crate of Pignolo grapes grown by Luigi Lodi who, at the
time, was a well-known botanist in Bologna and the first curator of
the city’s botanic gardens. The Lodi Corazza winery is located in Zola
Predosa, a small municipality on the outskirts of the city where both
hemp and the Pignoletto were cultivated, although the cultivation of
hemp did, in fact, spread to the primary hillside areas.
Enzo Garagnani, who during the 70s, together with his business partner Anderlini, was the owner of the winery ‘Al Pazz’ in Montebudello,
tell us that “…they called it Pignolo and it was a popular grape with
sharecrop farmers and landowners as it produced a large amount of
leaves that were ideal as a wind barrier. The heart of these tree-lined
areas is in Calderara di Reno. The landowners demanded Albana, but
the farmers planted Pignolo! Then, slowly slowly, the rustic nature
and the aromas of the wine produced from this grape began to convince people’s gastronomic sensibilities and its cultivation spread to
the hills from the 1950s onwards. We were the first to write the name
Pignoletto Bolognese on our wine labels during the mid seventies.
And it was so successful that we acquired a DOC designation”.
A curious fact is how hemp was also responsible for creating another
product that became typical of the area – the goldfish! Few people
know that goldfish were bred in the same pulp lakes that contained
the hemp during the decaying process. In the spring, when the hemp
had been removed, goldfish were bred until the hemp harvest in the
autumn (when that year’s production was put to decay in the lakes
again) and they were transported all over Europe by train. In fact, Bo-
lognese goldfish were extremely renowned and sought after, especially in Germany.
Alberto Bettini, patron of the renowned Trattoria di Amerigo located
in Savigno, a small hamlet in the hills above Bologna recounts his
story. “In 1967, Romagna had certified the Albana with a DOC status
and from that moment on the people in Bologna and surrounding areas lost interest in this historic wine as a part of the area’s tradition.
Albana became automatically associated with Romagna. I created my
first wine list during the 1980s and found it difficult to locate an Albana from the Bologna Hills (or the Colli Bolognesi which is the official
designation for this wine-producing area). The Pignoletto was already
a popular wine and there were several wineries that produced it including Anderlini & Garagnani, Lazzari in Ponte Rivabella, Gaggioli
and Negroni in Montemaggiore. The Negroni winery called it ‘Sparvo’
seeing as no-one was familiar with the name Pignoletto. Some people
even referred to it as ‘Riesling Italico’ for precisely the same reason.”
However, since then, the Pignoletto has gained exposure and its cultivation has increased substantially, with some excellent versions being
produced today. In addition, the recent DOC designation has revolutionised its perception.
The current Pignoletto DOC, registered in 2014, takes its name from
a tiny community in the Municipality of Monteveglio (now known as
Valsamoggia), an area that lies in the hills between Bologna and Modena. The areas included in the DOC designation are parts of the Modena hills, the Bologna hills and the territory extends eastwards, up
to the beginning of the Imola and Faenza hills. In the plains, the DOC
designated area includes the areas between the Panaro and Reno rivers, right up to the Romagna area and the Municipality of Faenza. It is
indeed a vast area, but its cultivation area does, in fact, represent its
historic area of expansion. There are three subzones within the DOC
designated area: Modena, the Imola hills and Reno. In order to seal
the historic status and the quality of the Pignoletto in the Bologna
hills in particular, only the wine produced in this area has been designated with DOCG status, known officially as DOCG Colli Bolognesi
Pignoletto. It is an important DOCG wine that enables us to profoundly
understand the territory of this production area that is characterized
by a mosaic of different terrains (and even different microclimates).
The Pignoletto is produced in several different versions: fermo, frizzante, spumante, passito and vendemmia tardiva. It is a lively wine
with lovely herbal aromas, from sage to mountain herbs and fresh
oregano with hints of various citrus fruits. As a general rule, it is a
polished wine and has a distinctive mineral element in the mouth,
with those versions produced in the plains that have a slightly more
complex body.
THE LOVERS,
T
LAMBRUSCO SALAMINO DI S. CROCE.
L
By Giorgio Melandri
B
«
«In the Tarot, the lovers, quite simply, represent a
cchoice or the necessity to excercise a choice. We
w
would like to pair this card with the Lambrusco
S
Salamino di Santa Croce, a DOC designated wine
tthat is testimony to Modena’s conscious decision
tto divide its territory into areas of excellence. It
iis a choice that encapsulates the power of a longstanding tradition.»
Santa Croce di Carpi is a small community lying just outside the town
of Carpi, a few kilometres from the Secchia river. Here we find ourselves in the Modena lowlands, on the border with the province of
Reggio Emilia and so close to its perimeters that some parishes of
the Diocese of Carpi are actually located in Reggio Emilia.
The Modena lowlands are the realm of the Salamino, the grape which
also gives its name to the DOC wine made from this same grape. We
need to use this landscape - from the plains that are marked with
many river banks and canals, a mass of bell-towers and solitary trees
- as our starting point when we talk of the Salamino di Santa Croce.
The landscape in this area changed remarkably, especially with the
disappearance of the famous vineyard layout where larger trees or
plants held up the garlands formed with the vine lianes. Subsequently, the Bellussi vine-training system arrived, a system that used wires
set out in ray patterns and that was implemented extensively in the
Modena area. The system leaves the plant to grow without being too
inhibited and there are still many wine-producers who strongly believe in and employ this system.
Today, there are other, more modern systems being employed both
in the vineyards and in the wine-cellars. In order to be able to understand the history and the incredible spread of vineyards within the
area, we need to talk about the wine cooperatives, the first of which
was founded in Italy. The Carpi Wine Cooperative, founded in 1903, is
the oldest wine cooperative in Italy that is still fully active, if we are
to exclude all those in the South Tyrol which were founded when the
region was still under Austrian rule.
At the beginning of the 1900s a wine-producing crisis (in particular
the Phylloxera parasite) threatened the vines and subsequent wine
production. In order to deal with this threat, Doctor Alfredo Molinari
proposed the establishment of a ‘civil society’ in Carpi, which, together with the cooperation of some wine-producers, created an alliance
between the associates. The members of the cooperative shared the
responsibility, both positive and negative, of the wine that was produced and were guaranteed an income for sustaining viticulture in
the Modena area.
This was how the Carpi Wine Cooperative was born. We find ourselves
at the dawn of modern agriculture methods. Once the First World War
had ended in 1918, the municipal wine-cellar became a cooperative.
A gentleman named Gino Friedmann played an important role during this time. He promoted the establishment of the Nonantola Wine
Cooperative, which was established in Modena on 18 May 1913. He
was a visionary who, with great energy and efficiency, was able to
achieve several concrete project objectives, such as the construction
of the Nonantola Wine Cooperative headquarters in an area near the
train station, with the express intention of taking advantage of the new
Modena-Ferrara train line to transport the wine.
Having grown up in wealthy family, instead of following in its white
collar footsteps, he dedicated himself to tending the family’s land. It
was this experience, then, that aided him in his quest to promote the
establishment of a series cooperatives in the entire province. In 1920,
the Formigine Wine Cooperative was established, after which, in 1923,
cooperatives in Modena, Sorbara, Limidi and Settecani followed suit.
The cooperative ‘model’ soon proved to be a success, to such an extent that the Itinerant Professor of the University of Modena, Professor Toni, underlines how vineyards in Reggio Emilia and Modena both
cover 50.6% and 47.6% respectively of the cultivable agricultural area.
Gino Friedmann was an extraordinary man who not only promoted the
idea and implementation of the cooperative, but, most importantly,
brought the concept of innovation to the agricultural traditions of this
territory. He was Jewish and the son of an important family from Modena. He also became the mayor of Nonantola and was the very first
president of the National Federation of Wine Cooperatives that was
founded in 1922.
However, let’s go back to the Salamino. It is, without doubt, the more
refined of the Lambrusco wines and remains balanced even when the
area of production moves away from the Secchia and Panaro rivers
and towards the more lush soils of the lowlands. It has mellow tannins while maintaining an elegant but austere fruit influence. Its is,
perhaps, a little less primitive than other Lambruschi and its overall
equilibrium is its trademark.
The vine also adapts to the less compact terrains of the Sorbara area
where it is planted to pollinate the Lambrusco di Sorbara vine, that
although wonderful, is more difficult to cultivate. The grape clusters
are small and compact and look a little like a Salami, a comparison
which has given the grape and wine its unique name.
To end, I would like to pay homage to a great interpreter of the Lambrusco Salamino Santa Croce, Villiam Friggeri, a long-standing enologist
of the Santa Croce Wine Cooperative, who sadly passed away in 2014.
THE CHARIOT, COLLI DI PARMA BARBERA
T
by Giorgio Melandri
b
«
«In the Tarot, the Chariot is a card that represents
ssuccess, movement and motivation.
T
The Barbera dei Colli di Parma personifies preccisely these characteristics with its crisp acidity
a
and vivacity. It is a wine that is tireless, dynamic
a
and joyful.»
““Parma’s trademark wine is the Barbera and it
always has been. I believe that it represents the most complete
expression of our territory.” It was Camillo Donati who said these
words to me one morning and which, even many years later, I remember with great precision.
Donati, a wine producer from Parma is famous the world over for
his wines that have gone through a secondary bottle fermentation
process and which he produces in his wine cellar located only a
short distance from Torrechiara Castle in Langhirano.
“Sadly, many people ignore the viticultural history of our area,
however, before the Phylloxera parasite hit our vineyards the hills
surrounding Torrechiara, Arola and Barbiano were carpeted with
Barbera, Malvasia Aromatica di Candia and Moscato vines.
After the Phylloxera parasite was eliminated, but which had already literally wiped out the vineyards, the most important landowners decided to invest in the breeding of cattle for the production of Parmigiano Reggiano even in the hills, because it was
considered less of a risk”.
Another enemy of the vine may also have been the Battle for Grain
incited by Benito Mussolini in 1925.
Camillo Donati is not the only person who is of the opinion that the
Barbera grape is of significant influence in the viticultural traditions of Parma. Giovanni Lamoretti, heir to one of the area’s oldest
wineries says, “one thing is certain - the Barbera was, without
doubt, the most important grape in the hills around Langhirano.”
He continues, “to refer to a wine as pure - in the sense that producers made their wines with only one grape type - would not be
appropriate, as each wine producer set out his vineyards in his
own personal way, intermingling both grape types and biotypes.
However, the Barbera, in particular the grape grown in the municipalities of Maiatico and Casatico, was the queen of the hills
here and was already famous at the end of the 1800s. The wine
producer Grossi, for example, supplied the royal family with the
Barbera di Parma. We should also take into consideration that
both Lambrusco and Fortana vines were planted in the lowland
areas between one field and another. Let’s also remember that at
the beginning of the 1970s, a group of wine producers attempted
to create a Lambrusco Consortium in Parma, however, it never
took off because there weren’t enough Lambrusco vineyards in
the area”.
Even though people talk of Lambrusco vines being present in Parma territory, if we are to look back, the traditional wine of the area
has always been one made predominantly with the Barbera grape
and blended with Bonarda. Piacenza uses the same combination
of grapes which is testimony to the fact that there is an important
sense of exchange and continuity between the two provinces.
The situation is also repeated with white wines using Malvsia as a
base. In Piacenza, the wine produced with a blend of Barbera and
Bonarda is named Gutturnio.
In Parma, on the other hand, it has not been blessed with a name
of its own and this has significantly influenced historical events.
The fact that there were no Lambrusco grapes wasn’t of importance with regard to the wine producing traditions of the area.
Today, to speak of Barbera in relation to Parma seems strange,
almost as though it was something out of the ordinary, however
in Parma’s wine-making history this grape, above all others, was
the protagonist.
Diego Sorba del Tabarro, one of Parma’s most famous and illustrious restaurant owners, says, “That sparkling wine made with
Barbera and Bonarda was ‘the red wine of Parma’.
And I believe that it still plays the same role today. I buy mine from
the artisan wine producers based in the Parma hills who have
kept the tradition alive”.
The renowned food and wine journalist from Parma, Andrea
Grignaffini, adds his own personal side of the story. “In the city
of Parma, people used to drink a sparkling, medium sweet wine
made with Fortana and Lambrusco Maestri grapes. It was a simple, fruity wine. I have to admit that the people of Parma have a
certain penchant for the sweeter varieties and these particular
wines, typical of the local ‘osterie’, were very popular”.
Summing up all these various considerations made by those people who have a profound bond with their territory, there is one single conclusion that can be made: that the wine traditionally made
in the hills is that which today is known as Colli di Parma rosso – a
sparkling red wine made predominantly from Barbera grapes and
blended with Bonarda.
It is very similar to the Gutturnio from Piacenza, which is also a
sparkling red wine. However, there are many people who recollect that only the producers in the Parma hills had the tendency to
produce a Barbera wine that was vinified by itself. This tradition is
being kept alive by Camillo Donati and Giovanni Lamoretti, as well
as some other small, artisan wine producers such as Gianmaria
Cunial e Crocizia. In addition to these producers, all of who make
a Barbera frizzante, I would like to mention the winery Monte delle
Vigne, which is currently experimenting with an interesting still
version.
JJUSTICE, GUTTURNIO.
by Giorgio Melandri
b
«
«In divination, the card Justice indicates the corrrect evaulation of people and situations, but also
ffairness and equilibrium. It is easy to associate
tthis card to Gutturnio, a wine that has survived
d
due to the balance between the two grapes from
w
which it is made: on the one hand Barbera with its
h
high levels of acidity, on the other, Bonarda with
iits distinct tannins.»
Gutturnio is a wine that demands courage and love for its classical
nature. Traditionally, the wine is sparkling but it also expresses some
of its innate characteristics in its still versions. It is angular in the
mouth and on the nose it expresses evident edgy fruity notes, with
some earthy characteristics typical of those wines that have been fermented on their lees.
The Piacenza Hills represent an important mosaic of terroirs and microclimates, spread over four beautiful valleys that are rich in history
and feature an abundance of historic castles. The emblematic wine of
this area is the Gutturnio, obtained from a blend of Barbera (from 55%
to 70%) and Croatina, locally known as Bonarda (from 30 % to 45%).
As the maturation times and vinification processes of both wines differ, the two grapes are vinified separately and then blended together
at the end. The Gutturnio takes its name from a silver cup dating back
to Roman times, known as the ‘Gutturnium’, which was discoverd on
the banks of the River Po in Croce Santo Spirito, close to Castelvetro
Piacentino.
Let’s take a look at the four valleys of the Piacenza Hills: first the Arda
Valley which is located on the border with Parma and takes its name
from the River Arda, (although, geographically speaking, it is more
a torrent) and a right tributary of the Po River. It runs along the Apennines beginning from Castell’Arquato and its ‘territory’ comprises
the valleys located near the Stirone, Ongina, Chiavenna and Chero
torrents. It is worth mentioning that rising from the hill on the ridge
running between the Ongina and Stirone valleys, there is an imposing
fortified complex known as Vigoleno Castle which is not only beautiful
but has remained completely intact. It is here that the Vin Santo di
Vigolena is produced, a dessert wine made with very rare autochthonous grapes and considered one of the most exquisite and valued in
Italy. The Nure Valley is one of the two central valleys of the province,
starting from Piacenza and running along the road, the SS 654, that
passes through the same valley. Leaving the lowlands and facing the
hills, we encounter the beautiful hamlet of Grazzano Visconti. There
are several very important wineries that we encounter when travelling
up along the ridge of hills on the right, until we come to the heart of
the Nure Valley, the Ponte dell’Olio. It is this valley that probably has
the longest historic wine-producing tradition in the whole of the territory of Piacenza.
The Trebbia Valley takes its name from the river that runs through
one of Italy’s most breathtaking valleys. The gravelly and pebbly river
banks are an obligatory spring and summer sun-bathing destination
for the people of Piacenza, Milano, Pavia and Cremona. The SS45
road, that begins in Piacenza and passes through Bobbio, flanks the
river and arrives at the Ligurian sea. It is a road that is full of natural
beauty and wonderful landscapes. Here, near Travo, but somewhat
higher up, there is another historic cultivation of white grapes that
has been adopted by several wine producers. Further down there is
the red clay terrain that has made one wine producer, in particular,
very renowned. Here we refer to La Stoppa, a Piacenza-based wine
producer that has been producing wines of the highest quality for
over a hundred years and which is most certainly a benchmark for
the whole province. The Tidone Valley rises from Castel San Giovanni,
a small but well-known town on the SS10 road that leads towards the
initial hills of Borgonovo Val Tidone. Here we see an imposing fortified
tower or castle, as well as the first vineyards along the road that leads
to Ziano. Today, this is surely one of the valleys with the highest concentration of vineyards in the whole province and boasts some wellrenowned crus, such as the Montepo. Let’s return to the Gutturnio:
this is a wine that was awarded its DOC designation in 1967, produced
in three different versions: frizzante, superiore (still) and riserva (still).
The ‘Classico’ designation which appears on some bottles of the still
version, identifies a wine that is produced in the historical areas of
the Tidone Valley, Nure Valley and the Chero and Arda valley, as well
as the hillside municipalities of Ziano Piacentino and partially those
of Borgonovo Val Tidone, Castel San Giovanni, Nibbiano, Vigolzone,
Castell’Arquato, Carpaneto, Lugagnano Val d’Arda e Gropparello all
reaching a maximum altitude of 350 m above sea level.
In addition to the infinite number of historical references that can be
found relating to the wines of Piacenza, what is important to remember is that this wine supplied an area that had the Po River at its heart.
In the inns or taverns that ran along the river, Gutturnio was traditionally drunk in ‘scudlen’, a kind of ceramic white cup, still used by some
people today. The wine was sold to the merchants who travelled along
the river towards Lombardy, which still remains an important market
for the wines from Piacenza to this day.
THE HERMIT, ROMAGNA SANGIOVESE
T
by Giorgio Melandri
b
«
«The Hermit is the Tarot card which represents
ttime and knowledge. This is precisely what the
S
Sangiovese asks of us: to respect the time necessarry to make it a product worthy of our expectations
a
and to create a deeper understanding of the territtory in which the grape grows.»
TThe Sangiovese grape is challenging: it is always austere, moody and disrespectful (as well as relatively pale in colour),
whilst at the same time able to maintain the ability to elegantly and
profoundly interpret its territory. When the Sangiovese grape grows
on the clay soil of the first hills going in the direction of Romagna,
the resulting wine has distinct floral characteristics, becoming more
mineral the higher, less fertile and less compact the terrain becomes.
Romagna is a true representation of mosaic terroirs and the Sangiovese is able to express all of its potential as an interpreter of both
the soil and microclimate. Travelling along the Via Emilia within Romagna, we pass through one city after another. In correspondence
to each city, one or more valleys rise up from the plains to the Apennines, each of which having its own distinct character and history.
It appears that it is precisely from the ridge that divides Romagna and
Tuscany, as recently documented by the historian Beppe Sangiorgi,
that the Sangiovese grape spread across the two regions. In fact, Sangiorgi hypothesises that the birthplace of the vine, a hybrid between
the Ciliegiolo and the Negrodolce from Calabria, was the Vallombrosa
Monasteries located on the ridges between Casola Valsenio, Marradi
and the Casentino. According to the theory of the linguist Friederich Schürr, the name Sangiovese derives from the gaps in which the
monks planted their vines.
In Romagna, Sangiovese has always been a simple ‘peasant’ or farmer’s wine, usually drunk within the same year in which it was made. It
was sometimes vinified together with white grapes that were planted
together in the same vineyards. It was only during the 1900s, in particular from the 1970s onwards, that the wine was finally seen as a
protagonist of quality, with several wine producers creating a product
that was able to express its full potential and capacity for ageing and
for developing more complex characteristics.
It is important to remember that Fattoria Paradiso in Bertinoro,
Nicolucci in Predappio Alta, Castelluccio in Modigliana, Fattoria Zerbina in Marzeno and Drei Donà in Vecchiazzano were some of the
foremost pioneers of this ‘Sangiovese Revolution’. Thanks to these
wine producers and all those who followed in their footsteps, we are
able to interpret the Romagna region through its various terroirs.
In 2004, another kind of tiny revolution was initiated, resulting from
my own personal intuition and that of the journalist Fabio Giavedoni.
From then on, the idea was developed and extended until finally, in
2011, producers were able to add further specifications to their wine
labels in addition to the original IGT geographical specifications:
Bertinoro, with an additional Riserva specification
Brisighella, with an additional Riserva specification
Castrocaro-Terra del Sole, with an additional Riserva specification
Cesena, with an additional Riserva specification
Longiano, with an additional Riserva specification
Meldola, with an additional Riserva specification
Modigliana, with an additional Riserva specification
Marzeno, with an additional Riserva specification
Oriolo, with an additional Riserva specification
Predappio, with an additional Riserva specification
San Vicinio, with an additional Riserva specification
Serra, with an additional Riserva specification
Within this mosaic of terroirs, there are the limestone and sandstone
areas of the higher terrains producing lighter-bodied wines with a
distinct mineral influence and edgy notes, as well as the full-bodied
and richer wines produced in the terrains where a purer type of clay
is predominant.
During the 1900s, when the demands of agriculture dictated quantity
and efficiency, the Sangiovese vines were ‘forced’ from the hilltops
down into the valleys, into the fertile terrains of the higher plains
that are abundant in clay. Beginning approximately thirty years ago,
producers in these very valleys and higher plains have been making
Sangiovese with one objective in mind: quality. The hill areas, by now
almost forgotten, are starting to return to their previous protagonist
status because, as time has proven, it is only there that the Sangiovese
wines are able to develop elegant, crisp and dry characteristics which
are also ‘firm’ at times, with tannins and acidity that are able to develop and mature over time without any particular problems.
Clay terrains also represent a world of variety. They are almost pure,
yet not quite evolved. In the mouth the wine is fleshy but at the same
time both austere and expressive and the wine’s body picks up rhythm
and speed thanks to its racy acidity. The evolved red clay terrains prevalent in the Faenza area are most certainly a benchmark for the style
of wine produced, although the lighter clay terrains prevalent in the
Rimini area, as well as those areas with ‘lighter’ clay soil mixed with
sandstone,located between Vecchiazzano and Forlì, are also worth
exploring. There is also a unique type of soil to be found between
Faenza and Forlì: a kind of lens molasses sand, ideally suited to the
cultivation of white Albana grapes. On the ‘sea front’ or coastal areas
of the Romagna hills, there is also another unique type of terroir featuring the chalky soil of Bertinoro, an area exposed to the wind where
the ‘Spungone’, a limestone mother rock with marine origins, rich in
minerals and fossils, continuously emerges. It is this type of soil that
creates the unique identity of these particular hills. The wines hailing
from Bertinoro have a dense tannic weave with great ageing potential
and their elegance and distinctive personality are successfully balanced. The wine-producing areas around Rimini are also interesting
with their chalky clay terrains, softly rolling open hills and climactic
conditions mitigated by the influence of the sea air. This is a terroir
whose wines are, at first, distinctly crisp in the mouth, but which nevertheless evolve into an interesting mellowness. Last, but not least,
I would like to mention a ‘new’ territory, that of Montefeltro, an historic region which bridges Romagna and the Marche. It is here in the
hills and precisely in Macerata Feltria, that Adriano Galli, owner of the
Valturio winery gave birth to his vision: to recuperate a specific geographical area and dedicate it to wine-making. His profound understanding of this extraordinary terroir and subsequent interpretation of
it, has resulted in the Sangiovese wines that are produced precisely
in this area being second to none. With the accomplishment of his
dream, Galli has provided us with the certainty that his Sangiovese
wines are able to express their full territorial DNA.
THE WHEEL OF FORTUNE,
T
PARMIGIANO REGGIANO.
P
b Giorgio Melandri (in collaboration with Igino
by
M
Morini, Consorzio Parmigiano Reggiano)
«
«In the Tarot, the Wheel of Fortune represents
b
both fortunate and unfortunate occurrences, but
a
also the lives that we lead on a daily basis. The
llatter meaning is the one that we wanted to pair
w
with the Parmigiano Reggiano, the cheese that we
find on our tables every day of the year. In Emilia,
in fact, it is the ordinary that is extraordinary.»
Why is it that the wheels of Parmigiano Reggiano are so large? Their
single average weight is 40 kg and handling these huge wheels is not
easy. And yet, no one has ever considered reducing or modifying their
size. The reason is actually very simple: this is the world’s most important cheese and its history, from the moment of conception, is a
noble one. The tradition of producing Parmigiano Reggiano still survives thanks to an equilibrium that requires both weight and time.
The Parmigiano Reggiano story begins in the Middle Ages when the
Benedictine and Cistercian monasteries of the Parma and Reggio
Emilia plains intensified their agricultural activities and remediated
vast quantities of land. This motivated the establishment of ‘grancie’,
farms that bred cows that were useful for working in the fields and for
producing milk. An ordinary land-owning family would have been unable to handle the enormous quantities of milk produced by the ‘grancie’ and so the monasteries began to develop a method of producing
a cheese with the milk available, made possible thanks to the availability of salt from the Salsomaggiore thermal springs. The monks
were therefore the first producers of Parmigiano Reggiano and they
were motivated to create a product that had one particular characteristic over all others: that of conservation. They achieved what they had
aimed for by drying the cheese curds and increasing the size of the
wheels, thus enabling the cheese to be conserved and transported
even far away from its area of production. And so, the use of products
from the area characterized the territory of origin and its agriculture.
The oldest document in which the term caseus parmensis (Cheese
from Parma) was used dates back to 1254 and was retrieved from the
Archivio Storico di Genova (Historical Archives of Genova). This allows
us to date the existence of Parmigiano Reggiano to at least a century
before it was mentioned. Never before had a cheese been so famous
in a city so far from where it was made.
In the 14th Century, the Benedictine and Cistercian monasteries
continued to play an extremely important role in the definition of the
production technique and thanks to the fact that the cheese could be
conserved and transported without problems, its sale subsequently
spread to markets in Romagna, Piemont and Tuscany. The cheese
departed from ports in these regions, Pisa in particular, and was
transported to various locations in the Mediterranean Sea. During the
1400s, Emilia underwent further economic development with the ascent of several aristocratic families, whose power was based on the
agricultural output of their land estates. Land owners and monasteries located in the Parma and Reggio Emilia plains worked together to
increase milk productivity even more and consequently the production of Parmigiano Reggiano spread to wherever fodder could be cultivated and cows were able to graze. The size of the wheels increased
further until they reached a weight of 18 kg each. The cheese produced in May was considered the best (known locally as ‘maggengo’)
and it reached such fame as to be appreciated during the banquets of
the European aristocracy during the Renaissance.
During the 16th Century, Emilia appeared to be in a state of agricultural and economic expansion and of the commodities traded, cheese
played a fundamental role. In addition to the monasteries and landowners who increased their investments thanks to the production of
Parmigiano Reggiano, a new category of ‘producer’ was established
– a middle-class merchant, cow breeder and ordinary artisan maker
of cheese who continued to invest ‘in cows’, causing yet another significant increase in dedicated dairy farms. The dairy, or location where
the cheese was actually produced was attached to the primary farm
in order to be able commence the transformation process directly.
Milk from the stables of the sharecrop farmers was also added, and
they took it in turns to help the cheese maker in converting the milk
into the unique golden wheels that we know so well. The dairy therefore benefited from ‘shift work’, making cheese continuously every
single day, a custom that has been well established and maintained
over centuries. The dairies also became an important point of reference not only for the production of cheese, but also commercially
and socially. During this time, the production of Parmigiano Reggiano
spread and was also established in the province of Modena thanks to
the Benedictine monks. Cheese was made from May to September –
the months in which the cows could take advantage of the wonderful
pastures of the plains. Today, Parmigiano Reggiano is produced with
the milk that arrives from dairy farms that belong to the official ‘Zone
of Origin’, which includes the provinces of Parma, Reggio Emilia,
Modena and a part of Bologna – more specifically the area left of the
Reno river. The cows feed exclusively on fodder that is cultivated in the
same territory of origin. The milk is collected in the morning and in
the evening and taken to the dairy after collection. It is not subjected
to pasteurisation and is therefore transformed raw, thereby maintain-
ing the wealth of good bacteria and organoleptic properties that come
from the grass and the fields.
There are two very important producers that form part of the official ‘Zone of Origin’ and which make a Parmigiano Reggiano that is
considered unique. One produces cheese made from the milk of an
ancient breed of cow – the ‘Rossa Reggiana’ or ‘Red Cow from Reggio Emilia’. This cow produces one third less milk than the classic
Friesian breed, but in proportion produces more of the final product.
There is even a disciplinary code and a special brand dedicated to
the Red Cow. You can find further information on www.consorziovaccherosse.it. The second producer that I would like to mention is the
Caseificio Rosola in Zocca (located in the hills above Modena) which
makes cheese from the milk of the ‘Vacca Bianca Modenese’ or ‘Modena White Cow’ which also has its own brand. This is a dairy that is
considered a territorial benchmark. For detailed explanations on the
Parmigiano Reggiano’s production process, please refer to the official
website of the Consortium www.parmigianoreggiano.it and select the
text in English.
STRENGTH, LAMBRUSCO GRASPAROSSA
S
DI CASTELVETRO
D
by Giorgio Melandri
b
«
«The card indicating Strength in the Tarot rep
presents the control over one’s instincts with the
a
application of reason. Here it represents the rellationship between Lambrusco Grasparossa and
m
man and the eternal battle between the wine and
tthe concept of tradition.»
“We have never had vineyards that comprised of only one grape type
here in this area, let alone a vineyard that was made up of only one
clone! It is the madness of our time. I, on the other hand, have decided
to follow in the footsteps of my father and his father before him”. I will
never forget these words spoken some years ago by Vittorio Graziano,
a revered producer of Lambrusco, while we were strolling through
the vineyards one afternoon. In the hills of Emilia, the Lambrusco
vineyards have always featured a combination of different grapetypes
– with a protagonist grapetype such as the Lambrusco Grasparossa
and a selection of other grapetypes that serve to enhance or add
some characteristics.
Barbera has always been one of the ‘enhancing’ grape types, useful
for its pronounced levels of acidity that were welcome during those
years when the summers were very hot. The Ancellotta grape, on the
other hand, was used to guarantee a more intense colour. It was the
diversity of grape types used throughout the area that gave the wine a
more complex structure and the ability to adapt to the various changes in climate every year. This approach was born of the wisdom and
experience of the farming communities, which, fortunately, still remain a part of the area’s cultural legacy to this day. Vittorio Graziano,
a well-known producer of Lambrusco Grasparossa, is an imporant
example of this wisdom and tradition and if he had not been present
during the ‘darker’ years of Lambrusco production, some of these
insights would have been lost altogether. Vittorio is both passionate
and determined when he speaks of the tradition of a secondary bottle
fermentation with the wine remaining on its lees. Vittorio Graziano’s
experience is fundamental in order to be able to identify the Grasparossa’s true expression and its heritage.
The book ‘Escursioni di Viticultura nel bolognese, reggiano e modenese’ (A voyage into the viticulture of Bologna, Reggio Emilia and Modena), printed in Modena in 1872 and written by Angelo Formiggini,
proves Graziano’s point. It mentions ‘an excellent grape obtained from
the Barbera vine in the municipality of Montefiorino, located in the
highest hills of the Modena province’. This is the first time that the
Barbera grape is mentioned in relation to the territory of Modena,
however it does suggest that historically the grape was present. In another book published some time later, Formiggini also writes about
the tendency to mix the different vines in the vineyard directly when
they were planted. Furthermore, there is a reference to a production
of Lambrusco Grasparossa located in Fanano, a small municipality
located in the mountains above Modena that underlines the fact that
the vines were successfully cultivated even at higher altitudes.
We owe much to Vittorio Graziano and his long-standing experience
that has been and continues to be extremely useful, especially in relation to understanding the true style and identity of the Lambrusco
Grasparossa. In addition to Graziano, there are various other important wine producers who make this renowned wine, as well as many
larger, classic producers that are well-known all over the world.
The province of Modena is a place where the people remain in a constant limbo between two cultures – that of an extraordinary sense of
entrepreneurship coupled with a farming heritage and a bond with
the land that has no comparison. The crux, as Massimo Bottura never
tires of saying, is the concept of “Fast Cars and Slow Food” – the paradox of cutting-edge innovation that is at peace with its past and its
roots.
The Lambrusco Grasparossa is the Lambrusco of the hills. There is
no mention of its presence in the plains of the Modena countryside,
even in any historical documentation. It is suited to the ‘poorer’ terrains and its vigour adapts easily to even the most extreme conditions.
Its name is derived from the colour of both the leaf and grape stalks,
even though some of the clones available today do not feature this
characteristic. Mauro Chiarli, together with his brother Anselmo who
are the owners of the winery Cleto Chiarli Tenute Agricole, are currently working on retrieving both the colour characteristic of the leaf
and grape stalks as well as the original attributes of the grape itself
from old clones.
The Grasparossa grape ripens late in the year, a typical characteristic
of this grape, and it is due to this that the tradition of producing a
sparkling wine has become a trademark of the wine’s identity. The
fermentation process stops during the cold weather (and in the past
was deliberately slowed down through various rudimentary filtration
methods, using sackcloth in particular). The fermentation process
begins again in the spring with the warmer weather, giving the wines
their sparkle until the outside temperatures increase.
The Lambrusco Grasparossa has a distinctive character and its bold
tannins are its primary feature. The fruit is austere and those who
produce the more interesting versions today have had the courage to
reduce the wines somewhat, adding complexity. Today, the challenge
regarding this ‘wine of the hills’ is that of retrieving its true legacy and
identity which the 1970s almost completely eliminated with an idea of
wine-making then that was carried out according to a set technique
or ‘recipe’ and that at the time was considered reassuring.
As the years go by, the wines are regaining their character, tannins,
austerity and dryness. There are even wineries such as the Fattoria
Moretto, that vinify the grapes from each vineyard on the basis of a
deep understanding of the characteristics of each different terroir – a
habit that is rare in the world of Lambrusco production, but very im-
portant as it restores the classical nature and the personality to the
archetypal Grasparossa wines.
And once again, we have to look to the past in order to innovate and
move towards the future.
THE HANGED MAN, PROSCIUTTO DI PARMA
T
by Giorgio Melandri
b
«
«In the Tarot, the Hanged Man card represents
b
betrayal and suffering, but also the overturning of
ssituations. We wanted to play on this concept with
tthe Prosciutto di Parma, as it is the curing proccess (by hanging) that turns the meat, delicate and
ffragile at the beginning, into a product that can be
cconserved for long periods.»
The historian Massimo Montanari writes that in documentation found
in Italy and written from the 8th century onwards, the forests were
evaluated not according to their surface area, but on the basis of
the number of pigs that could ‘fatten’ by feeding on the ‘fruits’ of the
woods - acorns, the nuts from beech trees as well as other fruits or
nuts both from trees, bushes or the earth itself. This was certainly a
complete turnaround from the Roman tradition, which adhered to the
opinion that the exploitation of natural areas was barbaric.
Meat already formed part of European culture and from the 1500s
onwards, when the Reformation rejected, amongst other things, the
dietary regulations that had been imposed by the Catholic Church, it
was considered a legitimate source of nourishment.
As regards the breeding of pigs, we need to take into consideration
that the Padana plains were originally covered with forest, in particular oak trees. It was also an area where there was a great deal
of water. In Parma, in particular, there were (and still are) two other
important elements that played a role in the production of Prosciutto:
the salt that was obtained from the thermal waters of Salsomaggiore
and the dry air that blew through the valleys and that rose from the
plains into the Apennines. It was a combination of all these elements
that made the production of Prosciutto di Parma possible. Even when
the immense deforestation programmes were implemented and the
nature of agriculture and the landscape changed, the tradition of
breeding pigs and salting the meat was nevertheless kept alive.
At the end of the middle-ages, the great ‘Parma Charcuterie’ tradition
was assigned with a special corporation named Lardaroli, which had
been inspired by the much more powerful ‘Arte dei Beccai’, a corporation founded in Florence, dedicated to the fourteen ‘minor’ arts
including butchery, fishery and the management of taverns.
The story of the Prosciutto di Parma is therefore one that goes back
centuries and the way that the product is made today is the result
of those same centuries of experience. The Prosciutti are made using the pigs’ larger thighs, usually weighing over 12kg. They are then
heavily salted and cured by being hung and air-dried. The appearance
of the Prosciutto has become typical and it is always without the trotter and the classic shaping typical of other cured hams that leave the
head of the thigh-bone open . Once the Prosciutti have been cured for
the specified amount of time, they are inspected by specialists who
pierce them with a needle made from a horse’s bone to examine the
smell. Only the hams that pass this test can be heat-branded with the
Parma logo that features a five-pointed crown and which is also the
logo of the Prosciutto di Parma Consortium founded in 1963.
The only ingredients that may be used to produce the Prosciutti are
the posterior thighs of the pig and salt – and of course the curing time
which is a minimum of ten months. Today, there are approximately
200 producers of Prosciutto di Parma, almost all concentrated in the
Langhirano area, located in the Parma valley. Here we can often find
old buildings that were dedicated to the curing process, which have
windows on all sides in order to be able to ‘air’, regardless of the direction in which the wind blows.
The territory of production, according to the product specification criteria imposed by the Consortium, is the area in the Parma province
located approximately 5km south of the Via Emilia. The area reaches
an altitude of up to 900m above sea level and is bordered to the east
by the Enza river and to the west by the Stirone torrent. It is only in this
area that the climactic conditions are considered ideal for the ‘dryingout’ process (in Italian ‘prosciutto’ means ‘dried out’), or rather the
natural curing process that gives the Prosciutto di Parma its sweet
flavour. The pigs, on the other hand, may originate from other regions:
Piemont, Lombardy, Veneto, Emilia-Romagna, Tuscany, Umbria,
Marche, Lazio, Abruzzo and the Molise.
To end, I would like to pay homage to the Milanese delicatessen owners, as it is thanks to them that the Prosciutto di Parma is so revered
today. It is they who were able to manage these large Prosciutti and to
slice them in the most perfect manner. And it is these great masters
who changed the history of this product during the 1900s.
DEATH, COPPA PIACENTINA.
D
by Giorgio Melandri
b
«
«Even though Death is considered by the Cattholic Church as a simple change in the state of
o
one’s condition, from an earthly being to one that
iis hopefully superior, in the Tarot this card quitte simply represents the concept of change. The
C
Charcuterie from Piacenza, with its long curing
p
process that makes it beautifully refined in taste, is
ssubjected precisely to this change.»
An amulet dating back to Roman times and exhibited at the Civic
Museum of Piacenza testifies the presence of pigs in the Piacenza
area even many centuries ago. As was also the case in Parma, large
amounts of pigs were able to feed (and fatten) here, due to the significant quantity of natural water resources available and the forests
that were dominated by oak trees, providing large amounts of acorns.
The presence of salt was of also utmost importance, however, and
this was found in the thermal waters of Salsomaggiore Terme, a
small town in the hills located just south of Fidenza, near Parma and
Piacenza. Even today, although the Province of Parma manages the
town’s administration, from an ecclesiastical point of view the town
belongs to the Diocese of Piacenza.
However, we need to go back some years - to the 14th Century to
be precise - in order to find evidence of the sale of cured meat in the
Province of Piacenza. We can deduce from the old town statutes that
the sale of preserved meat was reserved exclusively for the members
of the then Cheese Corporation, some of who had a regular stand
at the market in the Piazza del Duomo. Some time later, when the
consumption of this type of meat had already increased, a dedicated
corporation known as the ‘Lardaroli’ was founded.
This was how a tradition was born that has continued over the cen-
turies. In this area a special and very important professional role was
created – that of ‘norcino’ or pork butcher, known as ‘massalein’ in
the local dialect. The buying and selling of cured meats became of
significant importance in the area and this is proven by the fact that
a notary was called upon to authorise the butchering of pigs. This is
clearly stated in the book ‘La cucina a Piacenza e in Italia nei Secoli’
(Centuries of Cooking in Piacenza and Italy), written by the historian
Stefano Pronti. The notary confirmed that the pig butchered weighed
no less than 250 kg, but he also verified the amount of animals butchered, probably for fiscal reasons.
“The target market for our charcuterie – Coppa, Pancetta Arrotolata,
Culatello, and Salami (the latter historically known as ‘zambudelli’) all produced in the communities that flank the Po River, was Lombardy
and Milan in particular.” It is Roberto Belli, President of the Consorzio
Salumi Tipici Piacentini who provides us with this information. “In Milan, the charcuterie sellers from Piacenza also brought their famous
‘cacio’, a cheese that was to become the renowned Grana Padano in
later years. It was a product that could complement their selection
of charcuterie, which the sellers from Parma (who were Prosciutto
specialists and limited to this product) did not have. Coppa and Pancetta did not form a part of their product selection either. Even today,
the Milanese speak of ‘roba de Piasenza’ or ‘stuff from Piacenza’, to
indicate the high quality charcuterie of our territory”.
Even though the primary market for the purchase of cured meats was
Lombardy, thanks to the promotional work carried out by a skilful diplomat and passionate gastronome from Piacenza, the Cardinal Giulio
Alberoni (1664-1752), they also became famous much further afield
in the first few decades of the 1700s.
Alberoni, who was born in Piacenza, which at the time formed part of
the Duchy of Parma, was an illustrious character who even managed
to promote the local charcuterie in the Royal Spanish and French
courts. In fact, Giulio Alberoni was an Italian Cardinal and statesman who was in the service of Philip V of Spain. During the War of
the Spanish Succession, Alberoni laid the foundation of his political success through the services he rendered to Louis-Joseph, duc
de Vendôme, commander of the French forces in Italy, to whom he
had been sent by the Duke of Parma. When the French forces were
recalled in 1706, he accompanied the duke to Paris where he was
favourably received by Louis XIV. The Duke took advantage of both Alberoni’s diplomatic talents and his business acumen when it came
to dealing with important issues of an economic nature. In 1711 he
followed Vendôme into Spain as his secretary and he was very active in aiding Philip V in gaining the throne of Spain. After the death
of the Duke of Parma in 1712, Alberoni’s reputation was such as to
be appointed consular agent for Parma at Philip V’s court where he
soon became one of the king’s favourite members of his entourage.
When Queen Maria Luisa of Savoy died in 1714, with the help of Princess Marie Anne de La Trémoille who was very influential in Philip’s
court, Alberoni arranged a marriage between the widowed King Philip
V with Elisabetta Farnese, niece of Francesco, Duke of Parma. The
new queen exercised her power in favour of Alberoni, whose position
within court rapidly advanced and within not much more than a year,
Alberoni was made Prime Minister, and subsequently a duke and a
member of the King’s council. He was appointed Bishop of Málaga
some time later, then Cardinal by Pope Clement XI, under pressure
from the court of Spain.
In addition to his status as a remarkable soldier, his influence also
reached the stomachs of the Spanish court and the European aristocracy. He was a great gourmet who advised the court not only on table
manners and menus, but also on the products to be served. Several of
those were the cured meats from Parma and Piacenza.
The Coppa Piacentina, together with the rolled Pancetta and the
Salame Piacentino, is one of the three PDO products hailing from
Piacenza. Historically, the size of each product is on the larger side, in
fact Coppa that is less than 2.5 kg in weight is not even salted. Its taste
is slightly sweet and a little spicy with a fat that is both abundant and
complex. The Coppa Piacentina is probably one of the most refined
cured meat products from Emilia Romagna. The style of this cured
meat is typical of Piacenza and it is both delicate and elegant and very
different from the cured meat products made in Romagna which are
small and spicy.
TEMPERANCE, FORTANA.
T
by Giorgio Melandri
b
« the Tarot, Temperance represents moderation and
«In
aadaptability, chastity, purity and every type of relattionship especially since in this context, water is inextriccably linked with wine. Fortana is a champion of adapta
tability and in the Bosco Eliceo territory, challenges the
cconcept of grape cultivation, with vines actually planted
oon sand. The card also bears homage to the ‘Coppia
F
Ferrarese’, a typical, hard bread from Ferrara.»
The fascination surrounding Fortana, here traditionally called ‘Uva
d’Ora’ or the golden grape, is extraordinary. It is both an ancient
and primitive grape that has adapted to growing on the poorest of
sandy terrains, often directly in contact with the salt water streams
that stem off the coastal areas and that lead via the Po di Goro river
mouth to the Reno water outlets.
Once, a pale red wine was made in this area which was harsh with
very distinct mineral flavours, edgy acidity and aggressive tannins,
but at the same time aromatic and accessible. It was always called
the ‘wine of the forest’ due to the presence of the Eliceo Forest –
rife in Quercus ilex but more commonly known as evergreen oaks,
which extended over a vast area. Today, the forest areas are restricted to small ‘islands’ such as the Mesola forest or the small
San Giuseppe di Comacchio forest.
Fortana is the queen of these terrains and is planted ungrafted,
partly as the sands protect it from the Phylloxera parasite and
partly because the grafted vines have difficulty in confronting the
extreme climactic conditions of the Po Delta. Emanuele Mattarelli,
a local wine producer explains, “you have to imagine a landscape
that was once completely different to what you see now, where water covered the whole area. The vines grew in the small inlets of
sand which separated the sea from the brackish waters. This was
always the case until around the year 1000, when the Pomposa
monks started to cultivate the vines”.
And in fact, there are statements made in the book by Marcello
Bertelli ‘L’Uva d’Ora’ or ‘The Golden Grape’, that testify how the
Benedictine monks of the Pomposa Abbey cultivated the vines in
the sandy terrains known as the ‘insula pomposiana’ which were
located around the monastery.
There are various legends that exist surrounding the origins of the
grape.
The most famous, and perhaps most romantic, is the one that recounts how the young Renée of France who, in 1528 came to marry
Alfonso d’Este, brought with her some of the vines from the Côte
D’Or in the Bourgogne region in France and had them planted in
the sandy dunes on the coast of Ferrara. “Nothing could be further
from the truth”, says Mauro Catena, agronomist and enologist.
“The Fortana grape has southern Italian origins and is probably a
Neapolitan grape. This is proven by its need for sun and light and
how it grows and behaves in warmer climates.
Furthermore, it is a primitive grape that does not mature easily
and is very close in nature to the wild grapes. However, it is incredibly rustic and is extremely productive”. The fact is that the
Fortana grape grew in large areas of the Padano plains, starting
from Parma, where it is known as ‘Fortanina del Taro’ and spreading to Modenese territory where it was planted in the middle of
Lambrusco vines.
Marisa Fontana an expert ampelographer who has been studying
this area for many years says, “to tell the truth, there are two type
of Fortana grape. One which is smaller, known as ‘Fortanina and
one larger one. The vines are completely different and classified
respectively as CAB1 and CAB13 in the official nursery catalogues”.
The people of Comacchio remember the Fortana grape as the
larger one, today still planted ungrafted and maintaining the original European rootstock. What is certain is that this particular territory was overwhelmed by land being remediated and by changes
in the route of the Po river.
First of all, in 1570 an earthquake shifted the main mouth of the
river 40 km to the north.
Then, at the beginning of the 1600s, the Venetians opened the
‘Porto Viro cut-off’, an important hydraulic work which diverted the
course of the Po di Venezia, known at the time as the ‘Po di Corbola’ or Po del Mazzorno’, from the Po da Cavanella in the ‘Sacca
di Goro’, excavating a canal of 7km in length that currently forms
part of the Po di Venezia that we know today.
Water has always been at the heart of this story, even during the
twentieth century, when a large part of the Valli di Comacchio, one
of Italy’s most fascinating ecosystems was remediated. We should
remember, however, that Comacchio was once only reachable by
boat until the middle of the 1900s.
Here we are confronted with a wine that has a fascinating but difficult identity and that is linked to a single territory but nevertheless extremely out of the ordinary. It is a heroic wine that lives in an
equilibrium between the land and the sea.
Even today, when visiting the area, we are overwhelmed by the
beauty and poetry of the landscape made up of river dams and
water inlets and huge expanses of water reeds and birds in flight.
It is also an area that on the one hand is difficult to cultivate, but
on the other is generous, providing us with the wonderful PGI Rice
from the Po Delta, game and fish from the valley, cross-cut carpet
shell clams from the Sacca di Goro, fish from the sea and vegetables cultivated on the sands, starting with that extraordinary garlic
produced in Voghiera (PDO) as well as carrots, pumpkins and watermelons.
Last but not least, I would like to mention a forgotten grape-type
that is in the process of being recuperated – the Russiola. Comacchio tradition dictates that it be vinified by itself. It always provided
the first wine of the year which was consumed even before Christmas. Vintners made and are once again making a rosé wine with
the Russiola grape that has a racy acidity but that is as ‘salty’ as
sea water. It is another wine thatcan be perfectly paired with eel
and snails.
IIL DIAVOLO, MORTADELLA BOLOGNA
di Giorgio Melandri
d
«
«In the Tarot, the Devil is a card that forces us
tto confront situations that make us fearful and
o
obsessive, as well as the pleasures of the flesh. We
w
would
like to play on this by using Mortadella Bol
logna
as our protagonist, a symbol of transgress
sion
that is both seductive and irresistible.»
Mortadella Bologna is a world famous charcuterie
M
product that is often known simply as ‘Bologna’. Alberto Capatti and
Massimo Montanari write about this unique product in their book
‘La Cucina Italiana”. “When we speak of food traditions, it could be
taken for granted that we mean traditions that are inherently linked
to belonging to a particular territory - so to a specific geographical
area’s products and recipes. However, when we consider the concept
in this way, we forget that ‘identity’ can also (or perhaps most of all)
be defined as being something different, particularly with respect to
others”. If we are to consider this in relation to gastronomy then, the
idea becomes clear: ‘local’ identity is born on the basis of the concept
of ‘exchange’, that is to say when and the extent to which a product or
recipe is subjected to other cultures and regimes.
If on the one hand the concept of self-consumption in an economy
that could be considered even partially self-sufficient corresponds to
the intimate appreciation of food and its rituals, on the other hand it
detracts from market demand and the ability to judge the quality of
that particular product from outside that territory. So, a product that
is considered exclusively ‘local’, in fact has no geographical identity
in the sense that its local identity is born of its ‘delocalisation’. ‘Mortadella from Bologna’, (or more simply ‘Bologna’), is defined as such
only when it leaves the area in which it is made. The deep-fried stuffed
olives known as ‘olive all’ascolana’ (from Ascoli Piceno) assume this
classification only once they pass the borders of their birthplace – only
to return to their hometown, like a boomerang, with that same classification.
Mortadella is made with 100% pork that has been finely ground and
mixed with ‘lardelli’ or small cubes of fat and then mildly flavoured
with spices. It is then shaped by being stuffed into a natural or artificial casing and cooked for many hours at a low temperature. It is
a simple but extraordinary sausage that is unmistakeable in aroma
and flavour and has been eaten as a morning or afternoon snack by
generations of Italians.
Before we begin to talk about its history, I have two considerations that
I would like to share: the first is that no one produces Mortadella at
home, which is, however, the case for Salami, Prosciutto and Coppa.
This does not necessarily mean that it is an industrial product per se,
but underlines the fact that to make Mortadella it needs professional
know-how and specialist equipment. And if its international fame and
success are only due to the spread of the industrial versions, often of
excellent quality, it is also true that Mortadella is now being made by
artisan producers who take the selection of the ingredients and the
production processes to their own extremes. From large industrial
producers to small artisan producers, it is a product that satisfies the
demands of different markets and consumers, from the discerning
gourmet to the very hungry child who comes from school and wants
a snack.
The second consideration is that more and more people are serving
Mortadella cut into small cubes, a cut that does not do justice to its
wonderful aroma. Mortadella should be served thinly sliced, even better if it sliced just before being served, as tradition in the finest delicatessens dictates.
Let’s talk about its history: we find references to Mortadella in cookery
books that go as far back as the 1300s even if it is highly probable
that many different types of ‘Mortadella’ existed that were made with
veal and even donkey meat. Its production and the application of the
seal guaranteeing its quality and authenticity was carried out by the
‘Corporazione dei Salaroli’ (a medieval ‘corporation’ of people who
processed pork and used salt to preserve it). The corporation is one of
the oldest in Bologna, whose crest already featured a pestle and mortar in 1376. And this brings us to the logical conclusion that it is the
mortar itself (mortaio in Italian) that gave the name to this cold cut.
The first Mortadella recipe is probably the one published in 1376 by
Cristoforo da Messisbugo (Steward of the House of Este in Ferrara
and a famous Renaissance cook), in his book ‘Libro Novo’. He speaks
of a Mortadella made of liver as well as meat. His recipe speaks of
spiced and flavoured ground meats and then stuffed into an intestine.
Another recipe that dates back to 1644 is found in Vincenzo Tanara’s
famous Bolognese treatise ‘L’Economia del Cittadino in Villa’. Mortadella during this period was a luxury food item and on the occasion
of Pope Urbano VIII’s Jubilee, it had already assumed such a prestigious status so as to be guaranteed to the tourists who visited the
town, “who payed for it four times that of Prosciutto”. From then on,
Mortadella became inextricably linked to the town of Bologna, with
the result that it bears the same name.
Today, Mortadella is produced with lean pork and ‘trippino’ or tripe. I
would like to share the recipe of one of Bologna’s most famous and
reputable artisan producers, Pasquini & Brusiani. “The principle ingredient of Mortadella is lean pork meat. We almost exclusively use
the shoulder muscle. Another fundamental ingredient is ‘trippino’ or
the pig’s stomach. It is this ingredient that primarily determines the
taste and consistency of Mortadella. The third key ingredient are the
‘lardelli’ or small white cubes that can be seen. Despite the name,
the product that we use does not come from ‘lard’, but rather from
the neck of the pig. This part demonstrates superior characteristics
during the cooking process. The ‘lardello’ is first cut into cubes then
washed with hot water to remove the outer layer of fat which would
otherwise stop it sticking to the meat when it is sliced. The lean part of
the pork and tripe are finely ground until a kind of paste is formed. The
meat paste and ‘lardelli’ are mixed together with the other ingredients - salt, pepper and spices. The final mixture is then transferred to
a machine which stuffs it into either a natural or artificial intestine, a
process that is carried out in a vacuum machine so as to eliminate any
air bubbles from the mixture. The Mortadella is then formed into various sized ‘sausages’ weighing from between 1kg to 14kg. The ‘classic’
size is 12kg. It is then cooked at a low temperature for 24 hours”.
THE TOWER, COLLI DI PARMA MALVASIA E
T
COLLI PIACENTINI MALVASIA
C
by Giorgio Melandri
b
«
«The Tower represents a threat to our homes and
iin the Tarot, in particular, it represents a crisis.
W
When our anger causes us overcome our enemies,
iit can also represent the concept of victory. It also
ssignifies temptation, love at first sight, and a brea
ak from the past. We would like to pair this card
with the Malvasia di Parma e Piacenza, in this case representing
a break from the past and from the grape’s history in its native
Candia before it reached Italian soil.
The border between Parma and Piacenza has been and continues
to be somewhat undefined. As we cross from one to the other, both
areas have been ‘contaminated’ with the same products, the same
wines, the same traditions.
In an article published in the newspaper la Libertà, Giancarlo Spezia,
a university professor and owner of a company making machines for
wine production, writes of a common desire of the people of Piacenza
to unite with the town of Lodi (which currently forms part of the Lombardy region). Spezia writes, “I was surprised – but maybe I shouldn’t
have been – how some people suggested the political annexation of
Piacenza with Lodi and consequently with Lombardy. I wouldn’t even
have entertained the idea for a second, but alas, I do not keep up with
trends and this Pindaric flight is not typical of my way of thinking. In
spite of having passed the best years of my life in Milan where the
Polytechnic moulded me, I have always felt truly Emilian, right down
to my very core. However, here we are not dealing with a case of fatuous idealism. We Emilians are different from the Lombards. In reality, the borders that were physically eliminated during the Italian
unification over one hundred and fifty years ago, still exist to a certain
extent. We need only to travel a few kilometres north or cross a bridge
and we can find contrasting customs. We also find a different version
of the same language spoken - with different accents and cadences.
However, what demarcates these borders the most are the gastronomic traditions, those that thankfully continue to unite families who
respect and communicate them. So, all of a sudden, when you move
north along the Valtidone where the Molato Dam is located, you will
enter into what was once the ‘old’ Piemont where you will no longer
find Tortelli ‘with a tail’, but a more anonymous and dull substitute of
meat-filled ravioli with a sweet-sour flavour typical of the ‘other side’
of the Po river. Some of these flavours, for example those of Tortelli
Cremaschi that have amaretto biscuits crumbled into the filling, do
not belong to our Emilian traditions in any way. However, in reality,
the difference lies not in the lack of a single definitive dish, but in a
particular type of complex taste which we develop from childhood
through to adulthood and that differentiates us Emilians both from
the Lombards and the ‘old’ Piemontese, who are now situated in the
current area of the Oltrepò Pavese.”
These words spoken by Spezia are wonderful and they definitively position Piacenza in Emilia – a fact that should not be taken for granted,
despite the territorial continuity of many foods and customs. The Malvasia Aromatica di Candia is one of these commodities – and perhaps
one of the only products where we can decipher a ‘code’ that is common to both provinces. And perhaps this code is not even restricted to
these two provinces, considering that the Malvasia Aromatica di Candia grape is also cultivated (and its wine produced) from the beginning
of the Val d’Enza in the province of Reggio Emilia. There are several
food products that are common to the various provinces along the
Via Emilia between Bologna and Piacenza and the Malvasia grape is
one of them. The Barbera grape, which plays an important role in the
wine-making traditions of all the hillside territories from the Piacenza
valleys to the Bologna hills, is also testimony to this fact.
We can assume that the origins of the Malvasia Aromatica di Candia,
as the name suggests, are from the Aegean Sea, more precisely from
the Greek island of Crete (whose historic name is, indeed, Candia).
However, another validated theory is coming to light, based on the
fact that the name, rather than linking to the arab word ‘al-khandaq’
(moat) left as a legacy by the Ottomans during their rule in Crete,
more simply has Latin origins, with the word Candia deriving from the
Latin candidus, meaning white.
Roberto Miravalle, President of the Consorzio Tutela dei Vini Piacentini tells us how “…we went to look for Malvasia grapes in Crete, but the
few plants that we found there turned out to be of Italian origin. What
is truly interesting emerges from studies carried out by Attilio Scienza
of the University of Milan and Serena Imazio of the University of Modena and Reggio Emilia. They discovered that the Malvasia Aromatica
di Candia is, in fact, not only genetically distant from all the other 18
white Malvasia clones found in Italy but also from the more simple
Malvasia di Candia cultivated in Lazio. At this point, one could even
hypothesise that the grape is autochthonous and, even more daringly,
a hybrid with Lambrusco grapes, a theory that could be proven by the
presence of some common and similar genes. This may only be a
hypothesis, but it surely demonstrates that the history of this grape
goes back many, many years.”
The Emilians have always believed that only sparkling wines should
be paired with charcuterie, however, in recent years there have been
various wine producers that have drastically turned tradition on its
head. The first is Lodovica Lusenti, a small artisan producer in the Val
Tidone, located in the province of Piacenza, who makes the Malvasia
Emiliana. This wine undergoes a secondary fermentation in the bottle
and is not disgorged – a method of producing sparkling wines in Emilia that is considered ‘ancestral’. The Malvasia Emiliana is a multifaceted wine that has distinct notes of white flowers and flintstone. In the
mouth it is dry and expresses a marked mineral presence. The Malvasia Emiliana has completely redefined how the Malvasia Aromatica
di Candia is perceived. Another wine producer who has changed our
perceptions of this grape and how it is vinified is Camillo Donati, located in the Parma hills.
He produces La Mia Malvasia with the same secondary fermentation
technique. Lodovica Lusenti and Camillo Donati are the benchmark
producers of this type of wine that expresses an extraordinary complexity without betraying its popular character. The innovative aspect
of modern wine-making methods compared with the more traditional ones lies in the total (100%) use of the Malvasia Aromatica di
Candia grape. Historically, the grape had always been blended with
other white grapes, as the wines of Giulio Armani, owner of the small
winery Denavolo (located in Travo, Val Trebbia) demonstrate. On the
meagre and gravelly soils of the area, Giulio only cultivates and vinifies white grapes (Ortrugo, Malvasia di Candia Aromatica, Trebbiano
Romagnolo, Marsanne – here known as ‘Sciampagnino’) as is the
tradition on this side of the valley. He produces his wines using long
maceration processes, of which he is the undisputed master. The resulting wines are complex, multifaceted and powerful on the nose and
dry, vibrant and crisp in the mouth.
To end, I would like to mention the most important wine that has been
produced in recent years – Ageno – made by La Stoppa, a winery
based in the Piacenza hills and probably one of the oldest wine producers making high quality wines in this territory. La Stoppa makes
a wine consisting predominantly of Malvasia di Candia Aromatica
grapes to which small amounts of Ortrugo and Trebbiano grapes are
added. They are then all macerated on their skins.
Ageno represents a new frontier for the aromatic qualities of the Malvasia grape which, in this case, express both complexity and longevity.
It is a ‘must-drink’ wine that revolutionises the history and traditions
surrounding the Malvasia grape, enriching it with new possibilities.
THE STAR, REGGIANO LAMBRUSCO
T
By Giorgio Melandri
B
«
«The Star card in the Tarot has several meanings:
sspirit, birth, seductive pleasures, harmony in the
g
generic sense and purity. It also represents art.
T
The Reggiano Lambrusco is precisely this – a perffectly balanced and harmonic wine that was born
o
of a community that made convivial pleasure into
a
an art. »
The landscape that defines the Reggio Emilia lowlands speaks a
language of its own – a kind of melancholy poetry to be discovered
along the never ending, seemingly identical roads that pass through
a myriad of villages and over countless bridges. Every now and again,
we see a bicycle that appears to be standing still. Sometimes people
travel alone even in the thickest of winter fog or during the hottest of
summer days, with single landmarks as a reference point, such as
the poplar trees located on the many river banks or the bell towers.
Much of this territory’s essence is hidden, beginning with the collective ritual of butchering pigs or harvesting grapes. Everything is
concealed and one tends to imagine a wealth of something, anything,
hidden in the strangest of places. And if you consciously look for that
something or anything, you may even find it. The writer from the small
town of Correggio in the province of Reggio Emilia, Pier Vittorio Tondelli, helps us to understand this territory and what wine means for
the people of the communities of Reggio Emilia in his book ‘Racconto
del Vino’ (The Story of Wine), published in 1988.
In the book he recounts a homeward train ride. “The other day, during my journey, when I kept seeing the farmers and the local women
intently washing, rinsing and drying bottles, then putting them all in
line on a rack in the sun, I said to myself ‘there’s a new moon coming
soon’. When I arrived home, I also found my father and my mother
too busy to say ‘hello’ or ‘how are you?’. They were taking it in turns to
carry the clean bottles into the cellar. However, since our apartment
was on the sixth floor of the building, they were frenetically carrying
out their activities between the kitchen, the landings, the elevator, the
building stairs, the garage and then finally the small passageways in
the basement. What was interesting about all of this, was that all the
other people who lived in the apartment block were doing exactly the
same thing.”. Tondelli describes a community of people busy carrying
out tasks that constitute a ritual that, in turn, is a kind of celebration
of their identity. He continues, “…this activity was not only linked to
their own personal pleasure or to the satisfaction of being able to offer guests a decent glass of wine some months later, or even to be
able to offer something that they had helped to make with their own
hands and with some effort, but, I believe, it represented for them
the true essence of the lives that they were living. It all formed part
of a collective memory, of people who had passed away in the meantime, but who many years previously had carried out the same tasks,
thereby celebrating the same ritual, all be it in a completely different
environment - in the open air of a farmyard and in the shadows of old
stone houses. By carrying out these ‘rituals’ together, they no longer
embodied the accountant, the surveyor or the doctor, but were rather
descendants of their homeland, in the same way that when I get off
the train and smell all those scents hanging in the air, I have a profound awareness of being absorbed by and amalgamated with that
fog and with those countryside mists that hang over the fields and
roads some days of the year. Ultimately, my roots are nowhere else
but in that farming community”. Pier Vittorio Tondelli was born during the mid-fifties in that crucial moment of our civilisation’s evolution when our agricultural society gave way to an industrial one. Like
all young people of his generation, he loved rock music, American
culture and urban living, but he did, at one moment in time, feel the
need to reconcile himself with his roots. He writes, “…we need to understand those activities and rituals that people foolishly abandoned
when they left the countryside for the cities and which consequently
disappeared over the space of a generation.
Our true objective is this: to try and understand ourselves, to investigate the activities that constituted our rituals, to recount the people
and the culture that we were a part of.
We need find that place once again, not necessarily with nostalgia,
but where we can understand how wine was an innate and even unconscious part of people’s existence”. Tondelli’s words ring with a
profound sense of being a true Emilian, generous and open, exactly
like the people who come from here. The Lambrusco Reggiano encompasses all of this. It is culture and identity, but most of all it is the
symbol of a community.
The primary grape of this DOC designated wine is the Lambrusco Salamino that has both elegant and well-balanced tannins, even when
the production quantity increases towards the plains. In reality, the
production criteria authorises the use of many other types of Lambrusco grape, from Lambrusco Marani, Lambrusco salamino, Lambrusco Montericco, Lambrusco Maestri, Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Grasparossa to Lambrusco Viadanese, Lambrusco Oliva and
Lambrusco Barghi. Despite this, the wines which contain a higher
percentage of Lambrusco Salamino are much more convincing.
Alberto Medici of the famous Lambrusco winery Ermete Medici explains, “We choose to use only 100% Lambrusco Salamino for our
Concerto wine because it is the grape that guarantees the best quality - it expresses a wonderful mellowness, fruitiness and elegance”.
The Salamino grape used for the Lambrusco Concerto, the world’s
most famous Lambrusco Reggiano, comes from the vineyards owned
by the family at the Tenuta La Rampata, in an area that is located at
the base of the Reggio Emilia hills forming the beginning of the Enza
Valley.
A testimony to the difference between the hillside areas where the
Lambrusco Grasparossa grape dominates, and that of the plains
where the Salamino expresses wonderfully elegant wines with a
fleshy fruitiness, is a little-known but important DOC wine known as
the Colli di Scandiano e Canossa. Its superiority is thanks to the use
of the Lambrusco Grasparossa grape. The hills which rise behind the
Via Emilia in the province of Reggio Emilia have interesting and diverse terrains.
The lower hills have a heavy clay content with those less compact
soils that are poorer in minerals being restricted to the higher hillside
areas. We find ourselves in the heart of the famous territory of Matilde of Canossa (1046-1115), a powerful female feudal ruler and the
chief Italian supporter of Pope Gregory VII during the Investiture Controversy. She dominated all the territories north of the Church states
in northern Italy and defended the area with a complex of castles, including those of Pianello, Rossena, Canossa, Sarzano and Carpineti.
These hills now are home to a selection of smaller wine producers
who have once again embraced the ancestral method of Lambrusco
production, fermenting the wine on its lees. The wines are not disgorged and this method means that the wines acquire distinct and
complex earthy aromas, typical of those wines that are more primitive
in style.
THE MOON, LAMBRUSCO DI SORBARA
T
by Giorgio Melandri
b
«
«The Moon is a complex card that has many mea
anings. Among the most important are those that
rrepresent femininity and mystery. Depicted in placce of the lights are two bottles of Lambrusco di
S
Sorbara bound with string, as was typical when
tthe wine underwent a secondary bottle fermentattion and was not disgorged. The Sorbara is probab
bly the most feminine of all the Lambruschi and its
mystery is due to an incredible strength of identity achieved by
adhering to the philosophy that ‘less is more’. Its history is also
linked to the moon, especially since the farmers used to follow the
phases of the moon to decide the day on which they would carry
out the bottling process, normally 10 days after the full moon in
March.»
The Sorbara is a Lambrusco that is different to all the others and has
a very distinct identity. It is generous in its acidity, pale in colour, has
austere aromas that remind us of violets and rose and the pronounced
mineral element in the mouth renders it unmistakably elegant.
The history of this grape is different to all the others and it is probably
this, among all the other Lambrusco vines, that is closest to a wild
grape vine. The enologist and agronomist, Mauro Catena writes about
the origins of Lambrusco vines in his essay ‘Il Lambrusco, la lunga
storia di un vino di successo’ (‘Lambrusco, the long history of a successful wine’), published in 2008.
We need to be aware that the domestication of the vine came about in
various locations and the process that transformed the Vitis vinifera
silvestris into the Vitis vinifera sativa is linked to the history of different
environments and communities. We can be certain that the Lambrusco species of grape is the result of the work carried out in one of
the domestication centres where the plant was transformed into a
hermaphrodite plant causing the shape of its leaves and seeds to be
modified. The size of the grapes themselves increased, but the acidity
contained therein decreased. In the case of Lambrusco, the continuation of its cultivation in a humid and cool environment played a more
important role than the isolation of some species. However the humid
and cool environment previously mentioned was not suited to the domesticated vines that migrated to Italy from much warmer and drier
European and Middle-Eastern climes.
Lambrusco vines, in particular, are considered to be very close to
the Vitis Vinifera Silvestris species. Their genetic history has been
analysed, confirming that they were probably evolved in a secondary plant domestication centre in northeast Italy. It appears that the
environmental limitations to which the plant was subjected probably
advanced the evolution of the Lambrusco vines without (or nearly
without) being influenced by the genetics of those varieties originally
cultivated. The opposite was true, however, for many other European
species. We can therefore conclude that during the long man-induced
domestication process, vines with different genetic characteristics inherited from their earliest predecessors became inextricably linked
to an area where they could be successfully cultivated. This fact was
sufficient to confirm the Lambrusco Grasparossa’s undisputed status
as an autochthonous grape.
If we limit ourselves solely to an analysis of an organoleptic nature,
it would appear that the Lambrusco di Sorbara (more acidic and aggressive on the palate, pale red in colour and aromas that remind us
mainly of violets and rose with some hints of cherry and blueberry)
has maintained more characteristics typical of an original wild grape
compared to the Lambrusco Salamino grape (more balanced with a
lovely intense ruby red colour and hints of violet thanks to the abundance of anthocyanins, with a fruity aroma that remind us of strawberries, cherries and raspberries and a delicate and smooth finish)
or the Grasparossa grape, which, of the three, seems to have been
subjected to a more pronounced genetic influence outside of its area
of origin, rendering it more similar to a traditional red wine (intense
red ruby colour, pronounced tannins and aromas dominated by sour
cherry, blackberry, blueberry and hints of nut).
The oldest document where a reference to Lambrusco wine can be
found dates back to 1670. It mentions a list of wines, among which
three large wicker covered wine bottles (of ca. 40 litres each) filled
with Lambrusco and sent to Rome and Tivoli to supply Cardinal Rinaldo d’Este’s wine cellar. Since then, the various Lambrusco species (and the wines) have changed, but the one that has evolved the
most is the Lambrusco di Sorbara. Today, this grape has become the
champion of Modena and those wine producers that make a quality
product vinify it by itself, despite the fact that it is cultivated together
with the Salamino grape.
Mauro Catena writes, “The plant has flowers with short stamen,
which from a physiological point of view are female, but it has male
features that render it sterile. This means that in specialist vineyards, the presence of a pollinator is necessary and the one used
most frequently to this end is the Lambrusco Salamino. The grape
clusters are not particularly compact and often also include unripe
green grapes (some remain very small and only a few millimetres in
diameter as a consequence of the vine’s genetic deviation that causes
floral abortion, but which enhances its powerful acidity that is more
mineral in nature and only comparable to that of great Champagnes).
The Lambrusco di Sorbara is a vine that is very vigorous and erect in
its structure and has abundant vegetation. It can therefore be twined
using a number of different twining methods. There are some problems that appear with the fertility of the base buds; the short pruning of the vines compromises their productivity. When vinified alone,
the Lambrusco di Sorbara is a wine that is not particularly intense
in colour, however it is characterized by a modest tannic component
that may sometimes seem aggressive and which is accompanied by a
high level of acidity. Its aroma is distinctly floral with notes of rose and
violet accompanied by some fruity notes and dominated by the aroma
of smaller berries such as cranberries, blueberries and cherries. The
Lambrusco di Sorbara grape is particularly suited to the production of
Classical or Ancestral Method Spumanti. Today, there are four clones
of the grape that have been certified so far”.
Its behaviour with regard to secondary bottle fermentation surely
makes this wine one of the protagonists of the Lambrusco tradition.
In 1893, Professor Giosuè Carducci, wrote a letter to the editor Cesare
Zanichelli, in which he complains of an unfortunate delivery of some
bottles of Lambrusco. “Alas, of the bottles I received, six were broken.
Those men from Modena should put more hay in the box – otherwise
there is much too much damage”.
From the middle of the 1800s to the mid 1900s, the most popular
method of obtaining a naturally sparkling Lambrusco, in the industrial sense, was by carrying out a secondary fermentation in the bottle.
This method of vinification produced a sparkling, cloudy wine, ‘sur lie’,
that wasn’t disgorged and where the main period of secondary fermentation was not carried out in the wine cellar at all, but by whoever
purchased it, either the primary consumer or owner of an osteria. The
oldest example of where the secondary bottle fermentation was not
carried out directly in wine cellar where the wine had been produced,
but in another location altogether, was the Trattoria dell’Artigliere in
Modena. And it was the success that the Trattoria had with this process that paved the way for the establishment of Emilia Romagna’s
very first communal wine-cellar that began producing Lambrusco
frizzante in 1860. The better wines were disgorged of their lees, preferring methods that would reduce the quantity of quality wine lost,
initially using isobaric decanting machines that were developed by
Martinotti at the end of the 1800s. Now, however, both for sparkling
Lambruschi and Classical Method Spumanti, the yeast sediment is
disposed of once it has fallen to the bottom of bottle (into the bottle
top) that has previously been turned upside down. After this, the neck
of the bottle is frozen and the sediment removed.
The quality of the Lambrusco di Sorbara is establishing itself as one
of excellence and it is constantly surpassing itself. It also provides
the Sorbara area with an additional distinction – that of a perfect understanding and interpretation of its territory. An article by Martino
Zuccoli that appeared in the Gazzetta di Modena on 11th June 1862
tells us that the wine comes from “…a land known as Villa di Sorbara that produces most exquisite wines, but that has a small surface
area of vines making it difficult to export even a small quantity”. And
this is how, for the first time ever, the idea of a Lambrusco ‘cru’ was
conceived, which, (and not coincidentally) happens to be a Sorbara.
In 1934, P.L. Cazzuti wrote in his ‘Note enologiche sul Lambrusco di
Sorbara’ (Enological Notes on the Lambrusco di Sorbara) “We must
acknowledge that we are talking about the best kind of wine, the most
important and renowned Italian spumante. There are various different Lambrusco grapes being cultivated. This is the famous Lambrusco with the violet aroma, a species that is indigenous to Sorbara, a
small community belonging to the Municipality of Bomporto. It is the
nucleus of Lambrusco production and is located 14 km from Modena. The vineyards are compacted into an area between the Secchia
and Panaro rivers. The compressed soil in the ‘Classico’ area was the
result of flooding by the two rivers, in particular the river Secchia.
The base soil type is predominantly made up of sand that is porous
and rich in potassium. When the grapes are cultivated on clay-based
soils, however, the wine assumes a darker and more intense colour,
moving away from its typical characteristics. It also has a higher level
of acidity than normal”. It is here that we are able to make a more
precise reference to the concept of ‘terroir’, probably for the first time
ever in the world of Italian wines. He adds, “The subsoil is very sandy
in all areas and very porous. The roots of the vine are therefore not
restricted and can grow freely. It is grey in colour with some areas
that are slightly yellow and it has excellent drainage characteristics.”
And once again the concept of terroir appears in a short essay by
Professior Tito Poggi published in 1884 (written in 1879), with the
war against the Phylloxera parasite as its subject. “Thankfully for us,
many parts of Secchia and Panaro rivers have sandy shores, along
which vines grow in many of the flood beds, producing grapes that are
both abundant and of exquisite quality”.
And so there is a wonderful bond between the sands that are the true
protagonists of this terroir, and the rivers that are its beating heart.
In his celebrated essay on the Lambrusco from Modena, Francesco
Agazzotti also speaks of this bond. “The plains are the Lambrusco
grape’s true territory and it is of excellent quality. There are the flood
beds on the right of the Secchia river, near to the Villa di Sorbara.
These flooded territories with sandy soils that are light and porous
have two advantages: first, that the water does not stagnate too much
around the vine’s roots and second, that the roots can benefit from
constant aeration, universally considered to be so important to the
cultivation of these vines that it has inspired a proverb – the roots of
the vine should hear the sound of the church bells”.
Today the terroir remains the same and the DOC legislation dictates
that those municipalities producing the Lambrusco di Sorbara wine
in the Modena province must take advantage of the looser soil that
is preferred by the vine. These include the entire municipalities of
Bastiglia, Bomporto, Nonantola, Ravarino and San Prospero and a
part of the municipalities of Campogalliano, Camposanto, Carpi,
Castelfranco Emilia, Modena, Soliera and San Cesario sul Panaro.
THE SUN, ROMAGNA ALBANA
T
By Giorgio Melandri
B
«
«The sun is a card signifying truth, clarity, succcess, youth and life. It is also a card which rem
minds us of man and his masculinity, in the same
w
way as the unexpected tannins of this unique white
g
grape do. Romagna Albana is a wine with an exttremely strong identity, vibrant and full of energy,
a
accompanied by a wonderful acidity. It demands
a truthful interpretation of its identity in order to
express its ability to age with dignity whilst at the same time demonstrating its strength and vitality.»
Albana is a white, autochthonous grape from the Romagna area, already mentioned at the beginning of the 1300s by Pietro De Crescenzi
(born in 1304), a Bolognese jurist turned horticulturalist and agriculturist. The grape has been a part of the oenological history of the Romagna hills that begin in Dozza and end in Bertinoro, evolving over
time and adjusting itself to form a total of five different biotypes that
have perfectly adapted to the various areas of cultivation.
For the farmers of the Romagna area Albana was a wine that was
able to survive the long, hot summers. Consequently, it became a
wine that was culturally and practically very important in their homes.
Historically, the Albana grape spread throughout the northern part
of Romagna to Bertinoro. It demonstrates an extraordinary ability to
accumulate sugar without relinquishing its crispness and it also possesses a level of acidity that is second to none. It is a generous grape
that grows in long, golden clusters and can reach a sugar content
inconceivable for other Italian grape types.
To this very positive characteristic, we can add others: a skin rich in
tannins and polyphenols, which, conversely, can complicate matters
during the production process in the wine cellar. It is a grape that is
different from any other – marrying power with a vulnerability to oxidisation. It is rich in aromas and full-bodied, while also angular in the
mouth. Farmers have been safeguarding their Albana vines for centuries, however, the grapes vinified during the eighties and nineties
made banal wines that were overly simplified due to the intervention
of oenologists who were unable to interpret its true nature. Fortunately, in recent years and thanks to the dedication of many small
wine producers, Albana has once again been able to express itself
in its own true language, capable of indulging in a kind of diversity
that makes it one of the wines in Italy with the highest potential for
personal expression.
We can describe the Albana’s reclaimed identity as multi-faceted and
complex, courageous even. The same could be said for the Albana
Passito. Producers have, in recent years, stopped ageing it in oak
barrels with the aim of once again embracing the wine’s complexity,
which is inextricably linked to its natural tannins and angular acidity. These are wines which encompass aromas from those of dried
fruits – figs, apricots and passion fruit - to those of herbs, capers and
citrus-fruits, while still maintaining a distinct tannic presence. The
aroma emanates from the glass to form an enveloping voluptuousness in the nose, while in the mouth the wine is dry and ‘old’ in the
nicest sense of the word.
With this new generation of wine producers and their territorial and
autochthonous wines, we are finally able to read the identity of each
terroir expressed by the different terrains and altitudes. There are the
Albana wines made in the hills of the Faenza (Brisighella and Modigliana) that have a significant mineral presence and are both austere
and edgy in the mouth, and then there are the Albanas produced in
the lower hills (Dozza, Imola, La Serra, Santa Lucia, Oriolo dei Fichi,
Marzeno, Forlì, Bertinoro).
The wines from the various terrroirs can be divided into two large
families: those which are more reminiscent of flowers and those that
have a higher expression of fruit. This was a division created by the
agronomist and oenologist Marisa Fontana who mentioned it for the
first time at a convention in Bertinoro in 2011. I would like to quote
her directly: “The terrain of Imola, of the Senio Valley and of the Serra,
all of which boast decarbonated soil, is less alkaline and features a
significant amount of chalk. These characteristics create a wine with
distinct fruity notes – in particular apricot - while the soils in the areas of Faenza and Forlì which are, in general, richer in limestone and
feature sand residues, make wines that are more floral in aroma, with
distinct hints of sage. The hints of fruit re-emerge in Bertinoro, but in
a more timid manner”.
“This is an interesting way of reading the different terroirs which go
hand in hand with the three Albana biotypes present in Romagna”.
Francesco Bordini, agronomist and wine maker echoes Marisa Fontana’s thoughts on the matter. “The average-sized Albana from Gaiana di Dozza and Castel San Pietro makes a wine that has distinct
fruity hints, while the Albana grape which grows in long, forked clusters and which is typical of the Faenza area (Serra and Compadrona)
is richer in floral and herbal aromas. The Albana Gentile from Bertinoro grows in short clusters and is suitable to low-growing vines in
that territory”. This is a valuable overall interpretation, from which
we can begin investigating into the true identity of this grape that truly
represents an accurate expression of its territory.
JJUDGEMENT,
BRISIGHELLA EXTRA VIRGIN OLIVE OIL
B
By Giorgio Melandri
B
«
«Judgement is the card indicating the knowledge
o
of things, people and situations. It is this knowledg
ge that allows divine justice to make accurate
jjudgements. The three figures who are shown
cclimbing out of the tombs on the universal day of
jjudgement generally depicted on the card, for us
rrepresent the three hills of Brisighella – the Venetian fortress, the Watch Tower and the Monticino Sanctuary.
These, in turn, represent our territory. The olive oil of Brisighella
was, in fact, conceived thanks to the profound relationship between man and his environment, and his ability to understand and
interpret the local olive trees of Brisighella – trees from which no
secrets can be hidden.»
Travelling along the state road 302, connecting Faenza to Florence
and crossing the Lamone Valley, we can enjoy a unique landmark in
Emilia-Romagna: the olive tree terraces. There are 100,000 trees officially registered providing the olives for Italy’s first PDO (Protected
Designation of Origin) extra virgin olive oil, known as ‘PDO Brisighella’. This tiny area producing the certified oil is the only one remaining of the extensive olive groves that could once be found all over the
Romagna Apennines. The Bolognese Hills were also prolific producers of oil and there are several sources and various place names that
testify to this. It was probably during one of the coldest periods of the
Little Ice Age (1300 – 1900), also known as the “Maunder Minimum”
(ca. from 1645 to 1715), that the olive trees disappeared from the Apennine landscapes, leaving only small clusters of trees that survived
in tiny areas with a special microclimate.
Probably thanks to the combined influences of the low-lying Apennine saddle of the Colla Pass and the air currents blowing from the
Tyrrhenean sea, this was not the case for the olive trees located in
Brisighella Modigliana. An additional factor was surely the presence
of the Vena del Gesso ridge that runs along the whole area protecting
it from harsher weather and creating an exceptional microclimate.
It is also certain that the local olive trees from Brisighella and Ghiacciola were able to survive extreme winter conditions due to their
unique vegetative cycle. They resisted centuries of cold weather and
were consequently able to offer this small area in Romagna one of the
most revered examples of extra virgin olive oil of Northern Italy.
With its grassy and zesty notes and hints of herbs and artichoke, the
extra virgin olive oil of Brisighella is unmistakeable. It is both elegant
and bitter in the mouth and does not feature the peppery flavours typical of the oils of Rufina and the Chianti Classico. The production of
olive oil in the Lamone Valley goes back many centuries, as can be
demonstrated by the discovery of a rudimental olive press dating back
to the second century A.C, unearthed during excavations carried out
during the 1950s in Pieve del Tho.
There are three notary deeds which mention olive groves in the
Lamone Valley in the ‘Schedario Rossini’, a collection of material
documenting historical facts and figures relating to Faenza and its
surrounding area compiled by Giuseppe Rossini (1877–1963) and
preserved in the Biblioteca Comunale in Faenza (the council library).
These are dated 24th May 1479, 2nd September 1499 and 29th September 1499. In 1594, Monsignor Andrea Giovanni Calegari, Bishop of
Bertinoro (1527-1613), talks of the beauty and fertility of the Lamone
Valley in a letter addressed to the Doctor of the Grandduke of Toscana
Hieronimo Mercuriale of Forlì, and, in particular, the abundance and
the large size of the olives which made an excellent impression on
whoever ventured from Florence to Faenza , “….the air, the water, the
wines, the oil – and oh, the fruit that grows here is so delicious that
the people of Romagna have to envy no other regions in Italy….”
The historian Francesco Maria Saletti from Brisighella (1596-1674)
also exalts the beauty of the Lamone Valley in various parts of his
work “A Commentary on the Amone Valley”, which still remains
unpublished to this day. The work brings to light how oil and wine
were two typical and outstanding local products of the area. There
are further documents preserved in the historical notary archives
in Brisighella which mention the olive groves from the 1500s to the
end of the 1800s. Even Antonio Metelli (1807-1877) in his ‘History of
Brisighella and the Amone Valley’ speaks of the hills protecting the
olive trees and the “mild climate producing olives so perfect as to be
able to extract the finest oil”.
The left side of the Lamone Valley, therefore, today as in the past, is
the heart of this extraordinary PDO product and perhaps it would be
right to indicate Rontana as its true centre. For it is here that there is a
profound interconnection between the limestone terrain and the olive
groves, creating a geographical point of reference that represents the
product’s genuine identity. The ‘cru’ oils that were used to make this
iconic olive oil that revolutionised the history of PDO products were
listed in the historic sketches of Brisighella where the concept of the
product’s geographical point of reference and its true identity has also
been depicted.
“Nerio Raccagni, patron of the restaurant La Grotta di Brisighella, inspired us to produce a bottle of oil where the whole supply chain was
carefully detailed. It was 1975 and the CAB (Agricultural Cooperative
of Brisighella), started to bottle the oil that had, until then, been sold
in demi-johns. We thought of numbering the bottles, with each one
featuring a certificate of origin signed in the presence of the Notary
Baruzzi. This was how the extra virgin olive oil from Brisighella that
Nerio Raccagni so passionately promoted among the finest restaurants in Italy was born. He was also one of the founders of AIS (the
Italian Association of Sommeliers) and was able to meet many of
the country’s most famous restaurateurs through his restaurant La
Grotta.
It is Franco Spada the long-standing president of the CAB and the
historical memory behind the oil of Brisighella who tells the story. In
1972 the cooperative encountered an important turning point. Teo
Tredosi and Floriano Venturi convinced the associates to invest in an
avant-garde oil press. And so the famous ‘Sinolea’ arrived - an innovative press for its time. From then on, the separation of all the
‘crus’ and the subsequent possibility to taste each and every pressing
in order to make the final selection of oil became the production rituals that made the name Brisighella great.
“In 1995, the oil was the very first to be certified PDO in Italy and it
was then that we understood that there was no point in us certifying
our own product as there was a law and prestigious certification body
that did it on our behalf”, continues Franco Spada. “However years of
experience of producing olive oil allowed us to profoundly understand
and interpret our territory. And the old ‘crus’, to be honest, never betrayed us”.
Producing extraordinary oils from the local grapes at his farm the Tenuta Pennita in Brisighella, is Gianluca Tumidei, one of today’s most
important producers of oil from Romagna. He agrees with Franco
Spada, “The old farmers never got it wrong. I manage the historic cru
from Valdoleto, located between Fognano and Zattaglia and when I
press the olives my adrenalin levels hit the stars. The aromas which
emanate from the freshly pressed olives is incredibly pure and of an
intensity without comparison. It is a lively oil, clean and bright. And it
is this oil that I bottle separately”.
The Lamone Valley is full of age-old trees, especially those dedicated
to the production of the PDO oil of Brisighella. It is this queen of oils
that must contain a minimum of 90% locally grown and pressed olives, as specified by the PDO disciplinary regulations. “Ours belong
to the Adriatic family of olives such as the ‘Ascolana Tenera’ or the
‘Istriana Bianchera’ and are light in colour, while the ‘Ghiacciola’ olive
is more intense in colour and I believe that it originates from Tuscany.
The significant presence of Ghiacciola olive trees in the Modigliano
Valley, which had always been a part of the Great Duchy of Tuscany,
is testimony to its origins, I believe. There you can find olive trees that
are extremely old, in particular in the towns of Ovie or Tossino. In
Modigliana, the presence of olive groves decreases and they become
more and more sporadic the more one moves away from limestone
terrain, up until one reaches the small enclave Dovadola in the Monte
Valley”.
Gianluca Tumidei confirms this observation: “In Castrocaro, a few kilometres away from Dovadola, there is an olive grove cultivation locally
known as ‘Quarantoleto’, which is, in effect, a Ghiacciola type of olive”.
THE WORLD, THE TORTELLINO
T
by Giorgio Melandri
b
«
«The World is a Tarot card designating succes. It
rrefers to the outside world as well as the people
cclose to our hearts. It also represents our hidden
tthoughts, feelings and ultimately our innate spirit.
T
The Tortellino hides its filling and the various int
terpretations
of it in the same way as the ‘Vesica
P
Piscis’
(an ancient symbol of religious and spirit unity), and it is these different parts creating a
tual
perfect whole that represent The World in this context.»
When reading the banquet menus of the 1500s and 1600s, one could
think that the city of Bologna had still to invent its various pasta specialities, the Tortellino in particular. Mortadella was mentioned frequently and at that time it was considered a luxury food, even though
pork and the mortar were products that had been available for centuries. Alberto Guenzi, the historian, states that while the poor had to
make do with bread, wine, pulses and cured meats, the rich, on the
other hand, were served with every type of wonderful food that could
be found, from vegetables from the rich’s gardens to pork, veal, goat
and offal. And then there was chicken, quail, pigeon, pheasant, thrush
and every type of game as well as pike, sturgeon from the Po river,
trout, chub, tench, the revered eels from Ferrara, lamprey, turtle, frog
and crayfish. Surprisingly, fish, but not only the freshwater variety,
played a very important role in the wealthy Bolognese’s eating habits.
There are also many references to oysters, anchovies, sole, turbot and
umbrines.
At that time, the Tortellino had already been invented, as can be deduced from a quote from 1550 found in a diary belonging to the Bologna Senate which speaks of a ‘minestra de torteleti’ (a filled pasta
possibly served in broth) that was served to 16 magistrates for lunch.
However, there are also other references, such as one by Cristoforo
Messisbugo, steward of the House of Este in Ferrara and Italian cook
of the Renaissance, who, in his book ‘Banchetti, Composizioni di Vivande ed Apparecchio Generale’ (Banquets, Food Composition and
Serving Indications), mentions various types of ‘fatty tortellini’. The
text was published in Ferrara in 1549, one year after the death of the
author.
In 1570, the great Bartolomeo Scappi (the most important chef of
the Renaissance period and personal chef to Pope Pius V), writes of
two different Tortellini recipes in his monumental cookbook ‘The Art
of Cooking’. The first recipe refers to a type of Tortellino filled with
chopped capon which, interestingly, is sweet and rich in spices. There
seems to be an abundant use of sugar, both in the filling and when
served, as well as spices. He mentions rosewater being used for the
pastry and then cloves, pepper, cinnamon, saffron, nutmeg, herbs
and currants for the filling.
In the other recipe, which was probably more popular, pork belly or
even boar were used as a filling. Either way, the way in which a Tortellino ‘should’ be made was already being analysed and defined: a
pastry made of eggs and flour, made into small shapes, filled with
meat and cheese and then cooked in broth. Bartolomeo Scappi states
that this ‘preparation’ or dish could be conserved during the winter
months for up to thirty days before being cooked, and this was surely
due to the abundant use of spices.
The historian Massimo Montanari, on the other hand, speaks of filled
pasta as a perishable food and therefore a ceremonial dish whose
preparation was restricted to religious festivals. If Tortellini in broth
were conceived to use up left-overs or as a rich and prized dish, what
is certain is that they gained increasing fame over the centuries, only
to become the symbol of Bologna’s gastronomic identity. The reason
for this is due to their sophisticated complexity: dough that is rolled
out very thinly, a filling that is full of flavour and the perfect proportion
of filling to pastry. The Tortellino can therefore be considered a tiny
work of art - the result of a manual dexterity that has been handed
down over generations.
When we speak of filled pasta, we not only refer to Tortellini. Travelling along the Via Emilia, the essence of the Tortellino changes,
bearing witness to the gradual variations within Emilia Romagna’s
food culture. In Romagna, for example, where ‘Tortellini’ are usually
eaten at Christmas, they are better known as Cappelletti and they are
generally slightly larger in size. Pellegrino Artusi, author of the cookbook ‘The Science of Cooking and the Art of Fine Dining (pub. 1891)
specifies in his recipes that the pastry round used to make Cappelletti
would be around 6cm in diameter, while that of the Tortellino would
be only 4cm. Cappelletti are filled with meat and cheese in the Rimini
and Cesena areas, while in Ravenna they are only filled with cheese.
Travelling north along the Via Emilia from Modena to Piacenza, the
filled pasta slowly increases in size: from the Tortelli filled with beet
tops in Parma to the Tortelli with a ‘Tail’ (referring to their shape) in
Piacenza, while in Ferrara and the surrounding areas, the Tortelli
were – and still are – filled with pumpkin. This is a transformation that
tells the story of the people, their nutritional habits and the production
method of this iconic pasta.
We have to consider with some ridicule, therefore, the fact there is
in existence a document that has been registered with the Bologna
Chamber of Commerce, standardising the recipe and characteristics
of the Tortellino*. We should nevertheless underline the fact that on
a historical level it could be considered a document of considerable
importance.
The people of Bologna, despite the existence of a ‘standardised’ official version, are able to discuss the ‘true’ essence of the Tortellino for
hours – from who prefers a raw filling, to who respects the tradition of
a boiled or overcooked filling. And, if we are to take into consideration
the concept of tradition, we must also mention the fact that bonemarrow, which was once one of the most important ingredients of the
filling, has altogether disappeared from almost every recipe.
The truth is, that a single, definitive Tortellino does not really exist,
but rather many different Tortellini – perhaps even one per family.
Throughout Italian history, the people have always tollerated eachother’s gastronomic differences, until these actually became an asset
and a part of the country’s gastronomic heritage. Also, let’s not forget
that the concept of tradition is one that takes a long time to establish
itself and is open to interpretation.
*The recipe of the filling for ‘definitive’ Tortellino was officially registered by the Bologna Delegation of the Accademia Italiana della
Cucina and the ‘Learned Brotherhood of the Tortellino’. The deed was
deposited in the presence of a Notary on 7th December 1974 at the
Bologna Chamber of Commerce. The recipe of what a classic ‘Bolognese Tortellino’ consists of, ie. how it is made, was sanctioned on
19th February by the ‘Learned Brotherhood of the Tortellino’ and registered officially at the Bologna Chamber of Commerce in the Palazzo
della Mercanzia in the presence of a Notary on 15th April 2008.
THE FOOL, THE PIADA
by Giorgio Melandri
«The fool is the card that represents one’s guiding instinct, folly and the absence of reason. It
may, however, also have another meaning: that of
“God’s lunatic”, more commonly referred to as a
saint. The line between sainthood and folly is, in
fact, very fine and a consequence of extreme behaviour and often inexplicable occurrences. We have
played on this double meaning to recount the story
of the Piada, which can and cannot be considered a bread. It is a
tribute to the instinct (and actions) of the poorest peasant women
who had to survive without wheat flour, which, during the 1900s,
became a venerated symbol of identity ».
The Piada, also known as the Piadina, is the poor man’s bread of Romagna’s peasant communities, and probably the descendant of the
‘inferior’ grains which did not rise (spelt, millet, sorghum, rye) and
which were therefore unsuitable for making bread, as well as grasspeas, chick-peas, chestnuts, corn, acorns and wheat husks. In 1801,
the doctor Michele Rosa from Rimini advised peasants to make Piadine (an improvised poor man’s bread) with corn meal and ground
acorns.
In 1899, a health survey on the peasant diet was carried out by the
Rimini Health Authority. The published survey stated that the peasant
diet typically consisted of “…polenta in the form of piadine, cooked
on a stove with a little animal fodder and pressed corn meal. These
were cooked badly on a baking stone, browning them on the outside
without cooking them on the inside”. This is probably the origin of the
piada, a poor man’s alternative to bread, which was, however, made in
all households, as the presence of wood ovens even in the humblest
homes testifies.
The historian Piero Meldini tells us that the first reference made to a
food called ‘piada’ is found in the ‘Descriptio Romandiole’, a census
that was compiled in 1371 for fiscal reasons by the Cardinal Angelic
Grimoard de Grisac, brother of Pope Urbano V. Every year, a tax corresponding to two piade was imposed on the entire community of
Modigliana. It is probable that the piade referred to during that time
had nothing to do with the modern day versions, but more than likely
belonged to the family of leavened breads known as ‘spianate’ in the
central Italian regions and as ‘spianèdi’ in Romagna.
So, the very first references to the piada, as cited by Meldini, appear in
1572 when the doctor Costanzo Felici from Rimini wrote about it in a
letter to Ulisse Adrovandi. What is certain, is that the Piê or Pjìda has
an identity which is anything but standardised, and which changes
according to daily nutritional habits and availability of ingredients of
the various communities of Romagna.
As Graziano Pozzetto, gastronome and author of the book ‘The Traditional Piadina Romagnola’, claims, it is pure folly to try and stand-
ardise the piada with one single or definitive recipe that represents all
the different variations. The Piada represents a journey that begins in
Rimini – it probably has its origins here - first going south and arriving
on the border with the Marche, and then going north towards Ravenna, where the ‘contaminating’ influences from Emilia offer a product
that is higher, often leavened and fried in pig fat, in the same way as
the Emilian ‘gnocco fritto’.
Passing over the Apennines in the direction of Umbria, the Piada
becomes even higher, as a consequence of it being leavened, until
it transforms into the Umbran crescia. In Montefeltro, on the other
hand, crostoli are produced with exactly the same ingredients obtained from a ‘greasy’ Piada, rolled and smoothed out an additional
time. These are very slight variations where the precise differences
are unclear, as is always the case in a gastronomic context.
Piero Meldini writes: “The extreme scarcity of historical sources regarding this ‘bread’ leads us to believe that until a little more than a
century ago, the Piada, even though it existed, played a role of minor
importance in the nutritional habits of the people of Romagna. As a
result, it was absolutely insignificant as a part of their collective consciousness”. Taking this as a point of reflection, we can therefore say
that it is during the 20th century that the Piada takes on the symbolic
identity that it has today.
Perhaps it was Pascoli who created the inextricable link between the
Piada and its territory; in 1909 he defined the Piada as the ‘national
bread of Romagna’, perhaps with an emphasis that could be considered a little excessive. The fact remains that from this point on, the
Piada becomes the gastronomic icon of Romagna that we know today.
At that time then, the product that must have been celebrated by that
same Pascoli and Aldo Spallicci – was an unleavened bread made
by mixing together flour, water, lard and salt, rolled out into a large,
thin disc and cooked on ‘è test’ – a classic earthenware disc traditionally used for cooking piade, which every person in Romagna jealously
guards in his home to this day.
Obviously, the Piada can also be cooked on an iron or metal hotplate,
however custom dictates that this wonderful earthenware disc is
used. In Romagna there is only one remaining producer of earthenware discs located in Montetiffi in the Uso Valley. It is worth visiting
this producer if only to understand with how much know-how he collects and matures the clay in order to guarantee the continuation of
these iconic discs, which represent a true link with the product’s historic roots. The earthenware disc is an old, traditional object, obtained
by mixing together two different types of clay and a local ground stone
that guarantees its resistance to heat.
To end, I would like to mention two of the most interesting dishes
among many, which feature the Piada as a protagonist. The first sees
the Piada as an accompaniment to the ‘rustida’, the traditional ‘poor
man’s fish’ barbeque, mainly made up of ‘little sardines’ or anchovies,
typically caught off the coastal areas between Rimini and Cattolica.
The ‘rustida’ is not just a dish, but also a wonderful tradition which
involves the fisherman gathering around the barbeque – a rudimental
brazier which was used for all sorts of cooking methods – to cook
the fish.
The second dish, more of a ‘turf’ rather than ‘surf’ dish, consists of
mixed leaves which are ‘cooked’ in coarse salt and mixed together
with garlic and extra virgin olive oil and subsequently used as a filling for ‘cassoni’. These are, in fact, piade which are filled and folded over into a half-moon shape and then cooked. The mixed leaves
mentioned by Giovanni Pascoli are probably bitter herbs such as wild
chicory, poppy plants, and barberry.
THE BLANK CARD, THE ADRIATIC
by Giorgio Melandri
«The Blank Card is found in many Tarot decks
and is almost always left in the box, seeing as it
rarely used. However, we are aware of its presence. Some people believe that when used during the
act of divination, this card means that the future is
in the hands of the Tarot Reader. We would like to
dedicate this card to Prince Francesco Antelminelli Castracani Fibbia, the inventor of the Tarot
and to the Adriatic Sea, which is one of the most important exponents of Romagna’s identity.»
The Adriatic Sea, the principal element identifying the Romagna area,
has no PDO or PGI products listed in the catalogue of regional food
specialities of which it can boast. However, the foods that come from
these waters play a very important role.
Let’s start at the beginning: the initial protagonist of The Blank Card
is Prince Francesco Antelminelli Castracani Fibbia who, according to
the historical documentation available, was the true inventor of the
Ludus Triumphorum, probably better known as the Ludus Tarochorum - a name which was given some time later - but now commonly
known as the Tarot.
The historian and Tarot expert, Andrea Vitali, writes, “The Prince was
a descendant of Castruccio Castracani, one of the most famous ‘condottieri’ or warlords of Italian history as well as Duke of Lucca. He
was born into the ‘Ghibellino’ party and was not a supporter of the
Pope, his great adversary, as he led the ‘Guelphs Black Party. As a
result, Castruccio considered the Pope a ‘Prince of Darkness’. Francesco belonged to the same race as his ancestors.” He invented the
Tarot, a deck of cards which initially consisted of fourteen Triumphs,
but which, over time, became twenty-two.
Vitali continues, “The Visconti-Sforza Tarot is an example of the original deck of fourteen cards, as the other cards were created by a different person some decades later. This was also the case for other
decks of Tarot cards that were created during the same period. Here
we are dealing with the consolidated theory of 5 x 14, that is to say 14
cards for each suit of Spades, Sticks, Cups and Coins, plus a fifth suit,
also consisting of 14 Arcana Triumphs that were used as a trump.
Towards the end of the 1400s the deck of Arcana cards reached a numerous 22 cards, a number that has a profound meaning with regard
to man’s relationship with God”.
The Prince, quite simply, is represented by the octopus that is depicted on the card together with his noble coat of arms. It is a painting
that represents the Tyrrhenean Sea (the Prince was from Tuscany)
and its intelligence. The inhabitants of Romagna’s Adriatic Sea are
also shown surrounding the octopus saying, as the local fisherman
do, “I can live nowhere else in the same way as I can live here”. And if
we were to take into consideration the prices of the famous fish auction in Cesenatico, they would be more than right.
Let’s try and list the inhabitants of the Adriatic sea – or rather the typical sand dwellers of this coastline. First of all, the clam, also known
as ‘la poveraccia’ or ‘the poor one’, which, from Cesenatico to Cattolica, has one of the most unique flavours in the world. Excellent Tagliolini can be prepared with these clams, typically served with a white
condiment along the northern part of the Romagna coastline, and
with tomato further south towards Cattolica. Then there is Sole, which
is abundant in these waters and has a beautifully delicate taste and
texture. It is the Sole that is the protagonist of the ‘rustida’, the fish
barbeque that gathers together the fishermen around a fire called
a “fuocone”. And then there are the Mantis Shrimps which can be
found in huge clusters after the tide has gone out and destroyed their
burrows and last, but not least, the Shrimps, which we can probably
consider to be the most noble crustaceans of these waters.
The Adriatic also has several seasonal fish: Turbot, which swim close
to the shores when the cold winter weather begins to take its toll on
the sea temperatures and Mullet which are rife from the end of August to the end of Spring.
There are two varieties of Mullet typical of this region: the smaller
variety, locally known as ‘agostinelle’, usually served pan-fried, and
the larger variety that is delicious grilled. Squid is also rife - and let’s
not forget to mention the ‘Seppioline del Redentore’ or ‘Redeemer’s
Squid’ (the Venetian Festival celebrated on the Saturday preceding the
third Sunday in July), which are cooked black and whole – a tradition
typical of the coastal areas of Ferrara. Last, we have the Seabream,
a smaller fish that is very much revered in Rimini’s food culture. This
Seabream is fished in late Spring until the end of June and is usually
served grilled.
We can close this medley of products with one that is truly extraordinary: ‘Sale di Cervia’ or Cervia Salt. It is different from most other
types of salt as it is sweet. The history of the Cervia saltworks is, in
fact, linked to the concept of multiple-harvesting, a technique that is
normally suitable to colder climates where the water concentrates
in increasingly smaller basins until only the sodium chloride precipitates. Some salt in the water precipitates in smaller concentrations
and some is eliminated with the water that is disposed of at the end
of the production cycle. In this way, the salt is free of the bitter taste
typical of other salts, especially those with a high concentration of
magnesium. The Cervia Saltworks were originally divided into approximately 200 hundred smaller saltworks, each one run and managed by a family until 1959 when the extraction or production process
changed. Only one was preserved, the Camillone Saltworks, which
still produces the typical salt of Cervia.
Today, the Camillone saltworks are managed by an active association of saltworkers who have succeeded in preserving an important
patrimony both of the language and instruments that were typical of
the local culture.
Alla Rocca Sforzesca di Dozza
la mostra permanente
dei vini dell’Emilia-Romagna
Qui sono raccolte, e disponibili
all’acquisto, oltre 1000 etichette di 260
produttori della regione selezionate da
una speciale commissione tecnica;
sommelier professionisti sono a
disposizione per consigli, suggerimenti
e per condurre i visitatori alla scoperta
del patrimonio vinicolo di questa terra;
nel wine bar di Enoteca Regionale
sono poi organizzati lungo tutto l’arco
dell’anno banchi d’assaggio tematici,
corsi e numerose iniziative.
ORARI DI APERTURA
Lunedì chiuso
Dal martedì al venerdì 09.30-13.00 / 14.30-18.00
Sabato 10.00-13.00 / 14.30-18.00
Domenica 10.00-13.00 / 15.00-18.30
CONTATTI
Enoteca Regionale Emilia Romagna
Rocca Sforzesca 40060 Dozza (BO) Italia
Tel. 0542 678089 - Fax 0542 678073
[email protected]
www.enotecaemiliaromagna.it
Cantine
ROMAGNA
Ancarani
Via S. Biagio Antico, 14
48018 Faenza (Ra)
Tel. 333 83 14 188 - 335 57 20 690
[email protected]
www.viniancarani.it
Responsabile/i
Claudio e Rita Ancarani
Anno di fondazione
1934
Enologo
Claudio Ancarani
Ettari vitati
16
Produzione annua
40.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Albana, Sangiovese, Centesimino,
Famoso, Trebbiano
Agricoltura sostenibile (lotta integrata)
Vino 1
Romagna Albana Secco DOCG
Santa Lusa 2013
Vino 2
Romagna Sangiovese Oriolo DOC 2013
Vino 3
Ravenna Famoso IGT 2014
Vino 4
Ravenna Centesimino IGT 2013
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
176
EMILIA
Boni Luigi
Via San Rocco, 1195
41028 Serramazzoni (MO)
Tel. 348 5501488
[email protected]
www.boniluigisrl.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1:
Vino 2:
Vino 3:
Vino 4:
Luigi Boni
2002
Franco Calini
4,70
25.000 bottiglie
Malbo Gentile, Chardonnay, Pinot Nero,
Lambrusco Grasparossa, Cabernet,
Merlot, Uva Tosca, Trebbiano
Apice Rosso 2011
Bucamante 2011
Belmount 2011
Esterosa 2007
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
177
ROMAGNA
Soc. Agr. Bulzaga s.s.
Via Firenze, 479
48018 Faenza (RA)
Zona di produzione:
Via Pideura, 19 - Brisighella (RA)
Tel. 0546 43174 - 335 1375120 (Alessandro)
[email protected]
www.cantinabulzaga.com
Responsabile/i
Alessandro Bulzaga
Anno di fondazione
2009
Enologo
Sergio Ragazzini
Ettari vitati
6
Vino 1:
Stramonio Sangiovese Superiore
Riserva DOP 2012
Vino 2:
Botrichio Ciliegiolo Ravenna IGP 2014
Vino 3:
Doronico Famoso Ravenna IGP 2014
Vino 4:
Coronilla Albana Secco Romagna
DOCG 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
178
ROMAGNA
Ca’ di Sopra
Via Feligara, 15
48013 Marzeno (RA)
Tel. 328 4927073
[email protected]
www.cadisopra.com
Responsabile /i
Giacomo e Camillo Montanari
Anno di fondazione
2006
Enologo
Giacomo Montanari
Ettari vitati
26
Produzione annua
24.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Sangiovese, Albana, Merlot, Cabernet
Sauvignon, Chardonnay, Pinot Bianco
Fondata nel 1967, l’ azienda ha sempre avuto una forte connotazione viticola, segnata
prevalentemente da terreni di matrice calcarea e argillosa. I vigneti sono improntati in prevalenza
sul vitigno Sangiovese, che in questo territorio trova una naturale e personale espressione.
Da oltre 40 anni la famiglia Montanari, proprietaria dell’azienda, si dedica con passione alla
coltivazione della vite e nel 2006 i fratelli Camillo e Giacomo decidono di tradurre il grande
potenziale enologico di queste terre in vino. Oggi, dai migliori vigneti di Ca’ di Sopra si ottiene una
piccola produzione, di grande qualità, vinificata nella piccola cantina della tenuta.
Vino 1
Crepe Romagna DOC Sangiovese Sup. 2014
Vino 2
Cadisopra Romagna DOC Sangiovese
Marzeno Riserva 2011
Vino 3
Remel Rosso Ravenna IGT 2012
Vino 4
Roncodispaci’ Merlot Ravenna IGT 2011
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
179
EMILIA
ROMAGNA
CAB S. C. Agricola
Terra di Brisighella
Via Strada, 2
48013 - Brisighella (RA)
Tel. 0546 81103
[email protected]
www.brisighello.net
Responsabile /i
Presidente Sergio Spada
Anno di fondazione
1962
Enologo
Franco Calini
Produzione annua
40.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Sangiovese, Trebbiano, Albana, Chardonnay
Vino 1
L’Impronta dei Gessi Romagna DOP
Sangiovese Riserva 2012
Vino 2
L’impronta dei Gessi Albana secco DOCG 2012
I vini proposti in degustazione sono in vendita
Produzione annua olio di oliva 120 ettolitri
Cultivar presenti in azienda Nostrana di Brisighella, Ghiacciola, Orfana
Olio 1
Brisighella DOP Brisighello 2013
Olio 2
Nobildrupa 2014
NOTE
180
ROMAGNA
Calonga
Via Castel Leone 8
47121 Forlì (FC)
Tel. 0543 753044 - 349 2860443
[email protected]
www.calonga.it
Responsabile/i
Maurizio Baravelli
Anno di fondazione
1977
Enologo
Fabrizio Moltard
Ettari vitati
8
Produzione annua
40.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Sangiovese, Cabernet Sauvignon,
Bombino Bianco, Albana
Vino 1
Michelangiolo Romagna Sangiovese DOC
Vino 2
Castellione Forlì IGT
Superiore Riserva 2011
Cabernet Sauvignon 2011
Vino 3
Leggiolo Romagna Sangiovese DOC
Vino 4
Ordelaffo Forlì IGT Sangiovese 2014
Superiore 2013
NOTE
181
EMILIA
Cantina Albinea Canali
Via A. Tassoni, 213 - Canali (RE)
Tel. 0522 569505
[email protected]
www.albineacanali.it
Responsabile/i
Stefano Colli
Anno di fondazione
1936
Enologo
Franco Roccatello
Ettari vitati
127
Produzione annua
300.000 bottiglie
Agli inizi del ‘900 la viticoltura aveva già un ruolo rilevante nelle terre collinari a sud di Reggio
Emilia; questo fu lo stimolo per i piccoli produttori ad aggregarsi e realizzare una nuova cantina
a Canali. Era il 1936. Il successo fu tale che nei decenni successivi si arrivarono a contare
centosettanta conferenti. Per anni rinomata per l’elevata qualità dei vini sfusi, oggi la Cantina
Albinea Canali si ripropone con una gamma di prodotti di pregio destinati in esclusiva al canale
tradizionale. La struttura della cantina, nata già nella mente dei fondatori come un progetto
all’avanguardia, è stata sottoposta ad un intervento di restauro conservativo, in cui si sono fusi
elementi d’epoca con soluzioni assai moderne per incorporare i più avanzati impianti tecnologici.
Vino 1
Vino 2
Ottocentonero Lambrusco dell’Emilia IGT
FB Lambrusco dell’Emilia IGT
Metodo Ancestrale
Vino 3
Codarossa Lambrusco Grasparossa Colli
di Scandiano e Canossa DOC Amabile
Vino 4
Foglie Rosse Reggiano Lambrusco DOC
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
182
ROMAGNA
Cantina Bartolini
Via Fermi, 7
47025 Mercato Saraceno (FC)
Tel. 348 91 67 751
[email protected]
www.cantinabartolini.it
Responsabile/i
Davide Bartolini
Anno di fondazione
1925
Enologo
Giovanni Brighi
Ettari vitati
16
Produzione annua
100.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Sangiovese, Trebbiano, Albana,
Cabernet Sauvignon,Chardonnay
L’azienda, situata sulle prime colline dell’Appennino tosco-romagnolo è una delle cantine più
antiche di tutta la Romagna e può contare sulla tradizione e l’esperienza che da quasi un secolo è
sapientemente tramandata di padre in figlio. Da quattro generazioni infatti la famiglia Bartolini opera
nel borgo antico di S. Damiano a Mercato Saraceno, famoso per le sue origini romane e per l’eccellente
uva dei suoi colli ammostata con perizia fin dal Medioevo ed è produttrice di un Sangiovese gagliardo
che in epoca napoleonica raggiungeva in barili contrade lontane e che già nel 1926, come scriveva il
cesenate Ludovichi, era tra i vini più rinomati in Romagna. Sono diversi anni che la filosofia dell’Azienda
è rivolta verso la ricerca della massima qualità e per questo è stato avviato un importante programma
di rinnovamento che prevede un monitoraggio totale che abbraccia la scelta dell’impianto, la riduzione
delle rese e la raccolta selezionata fatta rigorosamente a mano.
Vino 1
Ada Romagna DOCG Albana Secco 2014
Vino 2
Oro Romagna DOC
Sangiovese Superiore 2013
Vino 3
Montesorbo Rubicone IGT Rosso 2012
Vino 4
Rocca Saracena Romagna DOC
Sangiovese Superiore Riserva 2011
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
183
ROMAGNA
Cantina Braschi
Via Roma, 37
47025 Mercato Saraceno (FC)
Tel. 0547 91061
328 8132869 (Vincenzo Vernocchi)
333 2216357 (Davide Castagnoli)
[email protected]
www.cantinabraschi.com
Responsabile/i
Vincenzo Vernocchi, Davide Castagnoli
Anno di fondazione
1949
Enologo
Vincenzo Vernocchi
Ettari vitati
11,5
Produzione annua
120.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Sangiovese, Cabernet Sauvignon,
Albana, Pagadebit
Cantina Braschi produce da vigneti in Bertinoro e Mercato Saraceno e aderisce al progetto di
filiera vitivinicola di ENOICA.
Vino 1
Romagna Sangiovese DOC Bertinoro
Riserva cru Il Costone 2012
Vino 2
Romagna Sangiovese DOC superiore cru
Il Costone 2013
Vino 3
Romagna Sangiovese DOC San Vicinio
Monte Sasso 2013
Vino 4
Romagna Albana DOCG secco
Campo Mamante 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
184
EMILIA
Cantina della Volta
di Christian Bellei & C. S.p.A.
Via per Modena, 82
41030 Bomporto (MO)
Tel. 059 7473312 - Fax 059 7473313
[email protected]
www.cantinadellavolta.com
Responsabile/i
Angela Sini, Christian Bellei
Anno di fondazione
2010
Enologo
Christian Bellei
Ettari vitati
14
Produzione annua
120.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Pinot Nero, Chardonnay
Vino 1
Lambrusco di Modena Spumante DOC
Metodo Classico 2010
Vino 2
Lambrusco Rosè di Modena Spumante
Vino 3
Rimosso Lambrusco di Sorbara DOC 2014
Vino 4
Il Mattaglio Brut Vino Spumante di Qualità
DOC Metodo Classico 2010
Metodo Classico s.a.
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
185
EMILIA
Cantina di
Carpi e Sorbara
Via Cavata, 14
41012 Carpi (MO)
Tel. 059 643071
[email protected]
www.cantinadicarpiesorbara.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
NOTE
186
Legale rappresentante Fausto Emilio Rossi
1903
2.500 (di proprietà dei soci)
2.300.000 bottiglie / 400.000 hl
Lambrusco di Sorbara, Salamino di
S.Croce, Ancellotta, Marini, Maestri,
Groppello Ruberti, Cabernet, Pignoletto
Lambrusco di Sorbara DOP Omaggio a Gino
Friedmann fermentazione in bottiglia 2014
Lambrusco Salamino di S.Croce DOP 1903
2014
Lambrusco di Sorbara DOP Omaggio a
Gino Friedmann metodo Charmat 2014
Pignoletto Colli Bolognesi DOCG 928 2014
ROMAGNA
Cantina Forlì Predappio Sac.
Via Due Ponti, 13
47122 Forlì (FC)
Tel. 0543 477231
[email protected]
www.cantinaforlipredappio.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Direttore Dott. Monti Roberto
1908
Maurizio Ortali, Bruno Ranieri
3.500
200.000 bottiglie
Trebbiano, Sangiovese, Albana,
Chardonnay, Cabernet
Abbiamo scelto di produrre vino perché per noi il legame con la terra è vita, e perché ogni giorno
vediamo concretizzare i nostri sogni. Il nostro territorio è fortemente vocato alla viticultura , e
ci consente di ottenere vini non omologati e con un carattere deciso. Amiamo inoltre coniugare
la tradizione e la tecnologia per produrre vini che rispettino il territorio ed i vitigni e che diano
piacevolezza al loro assaggio. L’azienda in una parola: LA TRADIZIONE CONTINUA.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Romagna DOC Sangiovese Superiore
Volo D’aquila 2013
Vino Spumante Extra Dry Misvago s.a.
Romagna Albana Spumante DOC
Tratti D’oro 2014
Romagna Albana DOCG secco
Tratti d’Autore 2014
NOTE
187
EMILIA
Cantina
Formigine Pedemontana
Via Radici In Piano, 228
41043 Corlo di Formigine (MO)
Tel. 059 55 81 22
[email protected]
www.lambruscodoc.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
NOTE
188
Matteo Torelli
1920
Iacopo Michele Giannotti
500
1.200.000
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro
DOC, Pignoletto DOC, Ancelotta,
Malbo Gentile, Trebbiano, Trebbiano di
Spagna, Lambrusco Salamino,
Lambrusco di Sorbara, Lambrusco
Marani…
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro
DOC Rosso Secco Rosso Fosco 2015
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro
DOC Rosso Amabile Rosso Fosco 2015
Spumante Pignoletto DOC Brut
In Principio 2015
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro
DOC Rosso Secco biologico Passione 2015
ROMAGNA
Cantina San Biagio Vecchio
Via Gaetano Salvemini, 55
48018 Faenza (RA)
Zona di produzione:
Via Salita di Oriolo 13, 48018 Faenza (RA)
Tel. 339 3523168 (Andrea Balducci)
349 0553598 (Lucia Ziniti)
[email protected]
www.cantinasanbiagiovecchio.com
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Andrea Balducci
2005
Andrea Balducci
5 in produzione
14.000 bottiglie
Albana, Sangiovese, Centesimino,
Malvasia aromatica di Candia, Trebbiano
della fiamma
Una piccola cantina per 5 ettari di vigne sulla splendida collina di San Biagio Vecchio.
Un’attenzione esclusiva ai vitigni autoctoni e al frumento antico Gentil Rosso. Un amore
smisurato e incondizionato per l’Albana di Romagna
Vino 1
SabbiaGialla IGT Ravenna Bianco 2014
Vino 2
Romagna DOC Sangiovese Oriolo 2013
NOTE
189
EMILIA
Cantina Settecani
Castelvetro Soc. Agr. Coop.
Via Modena, 184
41014 Settecani di Castelvetro (MO)
Tel. 059 702505
[email protected]
www.cantinasettecani.it
Responsabile/i
Fabrizio Amorotti
Anno di fondazione
1923
Ettari vitati
360
Produzione annua
1.000.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOP,
Pignoletto, Trebbiano
Vino 1
DiVino Lambrusco Grasparossa di
Vino 2
Vini del Re Lambrusco Grasparossa di
Castelvetro DOP 2014
Castelvetro DOP 2014
Vino 3
Pignoletto Modena DOC 2014
Vino 4
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro
DOP 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
190
EMILIA
Cantina Sociale di
Puianello e Coviolo s.c.a.
Via C. Marx 19/A - 42020 Puianello (RE)
Tel. 0522 889120
[email protected]
www.cantinapuianello.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Presidente Vittorio Azzimondi
1938
Matteo Vingione
240
1.100.000 bottiglie
Lambrusco Grasparossa, L. Montericco,
L. Barghi, L. Salamino, L. Maestri,
L. Marani, Malvasia, Spergola
Cantina Puianello ha scelto da tempo di puntare sulla selezione delle uve conferite dai 240 Soci,
valorizzandone le diversità e privilegiando la tipicità delle stesse. Essendo i terreni vitati in prevalenza
nella fascia collinare che da Scandiano sale fino a Canossa, è possibile contare su condizioni di terreno
e microclimatiche di favore, in grado di segnare maggiormente la base dei nostri vini. Fondata nel 1938
a Puianello di Quattro Castella, la cantina è rimasta negli oltre settanta anni di attività nella stessa Sede,
divenendo una sorta di “Casa del Lambrusco”, un punto di riferimento per il territorio anche grazie ai
continui investimenti in cantina. Dunque, anzitutto attenzione alle uve e garanzia della loro provenienza,
pur facendo seguire la volontà di incidere su di esse dalla campagna alla cantina, grazie anche alla
doppia Laurea in Agronomia ed Enologia dell’Enologo - Matteo Vingione. L’esperienza nella vinificazione
di vini frizzanti ha così permesso di valorizzare varietà autoctone come il Lambrusco Montericco e il
Lambrusco Barghi, sempre alla ricerca delle “giuste” sensazioni da offrire al proprio pubblico:
piacevolezza, una buona beva e la sensazione di assaporare una varietà lambrusca ogni volta diversa,
continuando con L. Grasparossa, L. Salamino, per citarne alcuni. Negli anni sono poi stati compiuti
sforzi importanti con le uve di Malvasia di Candia Aromatica, Spergola e non solo, a dimostrazione che
Cantina Puianello può offrire un percorso enologico davvero ampio.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Rocca Bianello Colli di Scandiano e di
Canossa DOC Spergola 2014
Contrada Monticelli Colli di Scandiano e di
Canossa DOC Lambrusco Grasparossa 2014
Contrada Borgoleto Reggiano DOC
Lambrusco 2014
L’incontro Reggiano DOC
Lambrusco Barghi 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
191
EMILIA
Cantina Sociale di
San Martino in Rio s.c.a.
Via Roma, 123
42018 San Martino in Rio (RE)
Tel. 0522 69 81 17 - 0522 69 53 42
[email protected]
www.cantinesanmartino.com
Responsabile/i
Roberto Baccarani
Anno di fondazione
1907
Enologo
Fabrizio Bocedi
Ettari vitati
1.000
Produzione annua
100.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Lambrusco Salamino, Sorbara, Grasparossa,
Marani, Maestri, Ancellotta
Vino 1
Lambrusco di Sorbara DOP Rocca
Estense 2014
Vino 2
Lambrusco Salamino S. Croce DOP
Vino 3
Reggiano Lambrusco DOP Nero Di Corte
Rocca Estense 2014
2014
Vino 4
Reggiano Lambrusco DOP Rosato
Spumante Rosa di Corte 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
192
EMILIA
Cantine Ceci
Via Provinciale 99/99 A
43056 Torrile (PR)
Tel. 0521 810252
339 73 26 240 (Elisa Maghenzani)
336 64 57 061 (Luca Bignardi)
[email protected]
www.lambrusco.it
Responsabile/i
Famiglia Ceci
Anno di fondazione
1938
Enologo
Alessandro Ceci
Produzione annua
2.500.000 bottiglie
Vino 1
Otello 1813 Nero di Lambrusco 2014
Vino 2
Otello 1813 Malvasia 2014
Vino 3
Terre Verdiane 1813 Lambrusco 2014
Vino 4
Spumante Tre di Terre Verdiane 2014
NOTE
193
ROMAGNA
Cantine Intesa
Agrintesa Soc. Coop. Agr
Via G. Galilei, 15 - 48018 Faenza (RA)
Zona di produzione:
Via Provinciale Faentina, 46
47015 Modigliana (FC)
Tel. 0546 619111
[email protected]
www.cantineintesa.it
Responsabile/i
Muccinelli Elisa
Anno di fondazione
1999
Ettari vitati
44
Produzione annua
350.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Sangiovese, Albana, Chardonnay,
Cabernet Sauvignon, Trebbiano, Merlot
Vino 1
Poderi delle Rose Romagna DOC
Sangiovese 2014
Vino 2
I Calanchi Romagna DOC Sangiovese
Superiore 2011
Vino 3
Loveria Romagna DOCG Albana Passito
2012
NOTE
194
EMILIA
Cantine Lombardini srl
Via Cavour 15
42017 Novellara (RE)
Tel. 0522 654224
[email protected]
www.lombardinivini.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Produzione annua
Marco Lombardini
1925
Marco Lombardini
800.000 bottiglie
Vino 1
Reggiano DOC Lambrusco Rosso Secco
Nubilaia 2014
Vino 2
Reggiano DOC Lambrusco Rosso Secco
Campanone Rosso 2014
Vino 3
Reggiano DOC Lambrusco Rosato Secco
Campanone Rosato 2014
Vino 4
Reggiano DOC Lambrusco Rosso Secco
Il Signor Campanone 2014
NOTE
195
EMILIA
Casali Viticultori S.r.l.
Via delle Scuole, 7 - Loc. Pratissolo
42019 Scandiano (RE)
Tel. 0522 855441
347 4564662 (Biolzi Romano)
[email protected]
[email protected]
www.casalivini.it
Responsabile/i
Gavioli Dr. Gian Paolo
Anno di fondazione
1900
Enologo
Fabio Pizzi
Ettari vitati
50
Produzione annua
700.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Spergola, Sauvignon, Malvasia dell’Emilia
(tot. 3.5 ha)
Fare vino oggi. Un impegno costante, una grande attenzione per i dettagli, un coinvolgimento
profondo che a volte sembra non lasciare spazio a nient’altro. In Casali noi viticultori abbiamo la
sensazione di fare vino da sempre, affidandoci a un sapere antico e più che mai attuale. Siamo
curiosi, e sappiamo che il confronto è il sale della vita, perché fa nascere idee nuove e belle. Forse
è proprio questa disponibilità a metterci in gioco che alimenta l’eclettismo con cui oggi viviamo il
mondo del vino. Ma ciò che resta fondamentale è il fatto di poter contare su una tradizione secolare,
un territorio vocato e alcune preziose varietà autoctone. Tutto il resto sembra venire da sé.
Vino 1
Campo delle More Colli di Scandiano e di
Canossa DOP Malbo Gentile Frizzante Dolce 2014
Vino 2
Pra di Bosso Reggiano DOP Lambrusco
Vino 3
Albore Secco Colli di Scandiano e di Canossa
Secco 2014
DOP Spergola Frizzante Secco 2014
Vino 4
Ca’ Besina Colli di Scandiano e di Canossa DOP
Spergola Spumante Metodo Classico 2007
NOTE
196
ROMAGNA
Castelluccio
Soc. Agr. srl
Via Tramonto, 15
47015 Modigliana (FC)
Tel. 0546 942486
[email protected]
www. ronchidicastelluccio.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Commerciale Italia Roberto Fiore
1981
Vittorio Fiore
14
85.000 bottiglie
Sangiovese ha 12,00, Sauvignon Blanc
ha 1,50, Cabernet Sauvignon ha 0,50
Romagna DOC Sangiovese Superiore
Le More 2014
Vino 2
IGT di Forlì Sangiovese
Ronco dei Ciliegi 2009
Vino 3
IGT di Forlì rosso Massicone 2009
Vino 4
IGT di Forlì Sauvignon blanc Lunaria 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
197
EMILIA
Cavaliera
Via Cavalliera 1/B
Castelvetro di Modena
41014 Modena
Tel. 059799835 - Cell. 335 5479028
[email protected]
www.cavaliera.it
Responsabile/i
Simoni Lorenzo
Anno di fondazione
1996
Enologo
Enzo Mattarei
Ettari vitati
5,5
Produzione annua
20.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Lambrusco Grasparossa, Pignoletto,
Vino 1
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro
Trebbiano, Malbo
DOP bio 2014
Vino 2
Lambrusco Grasparossa Rosato di
Castelvetro DOP bio 2014
Vino 3
Pignoletto di Modena DOP bio 2014
Vino 4
Rosso Cavaliera 2011
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
198
EMILIA
Cavicchioli U. & Figli
Via Canaletto, 52
41030 San Prospero (MO)
Tel. 059 812412
[email protected]
www.cavicchioli.it
Responsabile/i
Sandro Cavicchioli
Anno di fondazione
1928
Enologo
Sandro Cavicchioli
Ettari vitati
90
Produzione annua
10.000.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Lambrusco Sorbara,
Lambrusco Salamino,
Lambrusco Grasparossa, Pignoletto
La storia delle Cantine Cavicchioli comincia nel secolo scorso. Da allora, di padre in figlio,
l’esperienza e la passione si sono tramandate negli anni. L’obiettivo resta quello di valorizzare il
Lambrusco di qualità: quello genuino e frizzante delle origini.
Vino 1
Rosé del Cristo Lambrusco di Sorbara
Vino 2
Vigna del Cristo Lambrusco di Sorbara
Vino 3
Col Sassoso Lambrusco Grasparossa di
DOC Brut metodo classico 2011
DOC 2014
Castelvetro DOC 2014
Vino 4
Pignoletto Spumante Modena DOC Brut
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
199
ROMAGNA
Caviro
Soc. Coop. Agricola
Via Convertite 12
48018 Faenza (Ra)
Tel. 0546 629111 - 629397
Fax 0546 629319
[email protected]
www.caviro.it
Responsabile/i
Dir. Generale Sergio Dagnino
Anno di fondazione
1996
Enologo
Giordano Zinzani
Ettari vitati
non coltivati direttamente
Produzione annua
180 milioni di litri
vinificati dalle cantine associate
Caviro, Cooperativa Agricola fra le prime 10 aziende vinicole mondiali, è sinonimo di qualità: merito,
da un alto, dell’impegno di oltre 12.000 viticoltori che fanno capo a 32 cantine sociali in 8 regioni
italiane e che producono attraverso una filiera certificata unica per profondità, dimensioni e presidio.
E, dall’altro, della capacità di coniugare grandi volumi e produzioni di qualità; una lunga tradizione,
una profonda esperienza enologica e una costante spinta all’innovazione e al dinamismo nel
diversificare la gamma e nell’esplorare nuovi mercati nel mondo.
Vino 1
Romagna DOC Sangiovese Superiore
Riserva TerraGens 2012
Vino 2
Romagna DOC Sangiovese Superiore
Romio 2013
Vino 3
Pignoletto Frizzante DOC Romio 2014
Vino 4
Romagna Albana DOCG Secco Romio 2014
NOTE
200
ROMAGNA
Celli snc
Azienda Agricola di Sirri & Casadei
Viale Carducci, 5
47032 Bertinoro (FC)
Tel. 0543 445183
[email protected]
www.celli-vini.com
Responsabile/i
Mauro Sirri, Emanuele Casadei
Anno di fondazione
1965
Enologo
Emanuele Casadei
Ettari vitati
29
Produzione annua
290.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Sangiovese 15 Ha, Albana 7 Ha, Pagadebit,
Trebbiano, Cabernet Sauvignon,
Chardonnay, Cagnina
L’azienda Celli è di proprietà delle famiglie Sirri & Casadei (Bron & Rusèval) dal 1965. Sin da allora
le accurate selezioni delle uve, provenienti dalle aree più vocate del comune di Bertinoro, danno
dei risultati eccellenti dal punto di vista qualitativo. Una ricerca costante e meticolosa di qualità,
la tipicità dei vini prodotti e l’espressione del territorio sono alla base della filosofia aziendale.
L’Azienda Celli è un esempio di continuità generazionale nella tradizione vitivinicola di Bertinoro.
Vino 1
Bron & Rusèval Romagna DOC
Vino 2
Bron & Rusèval Sangiovese-Cabernet IGT
Sangiovese Riserva Bertinoro 2012
Forlì 2013
Vino 3
Bron & Rusèval Chardonnay IGT Forlì 2014
Vino 4
I Croppi Romagna DOCG Albana Secco 2014
NOTE
201
EMILIA
Cleto Chiarli
Tenute Agricole
Via D. Manin, 15 - 41122 Modena (MO)
Zona di produzione:
Via Belvedere, 8 - 41014 Castelvetro (MO)
Tel. 059 3163311
[email protected]
www.chiarli.it
Responsabile/i
Roberto Saletta
Anno di fondazione
2001
Enologo
Franco De Biasio
Ettari vitati
100 circa
Produzione annua
900.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Lambrusco Grasparossa,
Lambrusco Sorbara, Pignoletto
Vino 1
Premium Mention Honorable
Vino 2
Vigneto Cialdini Lambrusco Grasparossa
Lambrusco Sorbara DOC 2014
di Castelvetro DOC 2014
Vino 3
Rose’ Brut de Noir da uve Grasparossa
V.S. 2014
Vino 4
Lambrusco del Fondatore Sorbara DOC
fermentato in bottiglia 2014
NOTE
202
ROMAGNA
Colombarda
Via Rio dell’Acqua,140
47023 San Vittore di Cesena (FC)
Tel. 335 18 91 992
[email protected]
www.colombarda.it
Responsabile/i
Fabio Magnani
Anno di fondazione
1860
Enologo
Giuseppe Meglioli
Ettari vitati
30
Produzione annua
40.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Sangiovese, Albana, Bombino Bianco,
Merlot, Cabernet
Vinificazioni in acciaio e in purezza dei vitigni autoctoni.
Vino 1
Romagna Sangiovese DOC 2013
Vino 2
Romagna Albana DOCG 2014
Vino 3
Romagna Pagadebit DOC Bertinoro 2014
Vino 4
Rubicone IGT Rosato Spumante Brut
Sixty-nine 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
203
ROMAGNA
Condè
Azienda Vitivinicola
Via Lucchina, 27
47016 Fiumana di Predappio (FC)
Tel. 0543 940860
[email protected]
www.conde.it
Responsabile/i
Francesco Condello
Anno di fondazione
2001
Enologo
Federico Staderini
Ettari vitati
77
Produzione annua
200.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Sangiovese 73 ha, Merlot 4 ha
Condé Sangiovese Rosato Forlì IGT 2014
Condé Sangiovese DOC 2010
Condé Sangiovese DOC Superiore 2010
Condé Sangiovese DOC Superiore
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Riserva 2010
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
204
ROMAGNA
Consorzio Vini Tipici
di San Marino Scarl
Strada Serrabolino, 89
Borgo Maggiore - Repubblica di San Marino
Tel. 0549 903124 - 342 5183450 (Paul Andolina)
[email protected]
[email protected]
www.consorziovini.sm
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Commerciale: Paul Andolina
Produzione: Michele Margotti
1979
Federico Curtaz, Aroldo Bellelli,
Michele Margotti, Juan Carlos Pasquali
120
Produzione annua
600.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Sangiovese 45 ha, Merlot 7 ha, Cabernet
Sauvignon 5 ha, Montepulciano 1,5 ha,
Biancale 17 ha, Moscato 11 ha,
Chardonnay 7 ha, Ribolla di San Marino 4 ha
Riserva Titano vino Spumante Brut 2014
Biancale di San Marino 2014
Sangiovese Superiore di San Marino 2013
Sterpeto 2011
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
205
ROMAGNA
Costa Archi
Via Rinfosco, 1690
48014 Castel Bolognese (RA)
Tel. 338 4818346
[email protected]
www.costaarchi.wordpress.com
Responsabile/i
Gabriele Succi
Anno di fondazione
1960
Ettari vitati
13
Produzione annua
15.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Sangiovese, Merlot, Albana, Montuni,
Trebbiano, Ancellotta
Assiolo Romagna DOC Sangiovese
Serra 2013
Monte Brullo Sangiovese di Romagna
DOC Riserva 2010
GS Ravenna IGT Sangiovese 2012
Il Beneficio Ravenna IGT Rosso 2013
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
206
EMILIA
Dalfiume Nobilvini Srl
Villa Poggiolo
Via Madonnina, 3041
40024 Castel San Pietro Terme (BO)
Tel. 051 941618
info@dalfiumenobilvini.it
www.dalfiumenobilvini.it
www.villapoggiolo.it
Responsabile/i
Davide Dalfiume
Anno di fondazione
1949
Enologo
pool di enologi
Ettari vitati
60
Produzione annua
900.000 bottiglie di cui a marchio Villa
Vitigni presenti in azienda
Sangiovese 15 ha, Albana 5 ha,
Trebbiano 6 ha, Pignoletto 15 ha,
Chardonnay 9 ha, Cabernet Sauvignon 4 ha,
Barbera 6 ha
Scrigno Villa Poggiolo Pignoletto
dell’Emilia IGP Spumante Extra Dry 2014
Franco Romagna DOP Sangiovese
Superiore 2014
Colli d’Imola DOP Cabernet Sauvignon
2013
Pignoletto DOP Frizzante Colli d’Imola
2014
Poggiolo 120.000 bottiglie
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
207
EMILIA
Emilia Wine
Via 11 Settembre 2001, 3
42019 Arceto di Scandiano (RE)
Tel. 0522 989107
www.emiliawine.eu
[email protected]
Responsabile/i
Davide Frascari
Anno di fondazione
2014
Enologo
Luca Tognoli
Ettari vitati
2.000
Produzione annua
800.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Lambruschi: Marani, Salamino, Grasparossa,
Maestri, Montericco, Oliva, Malbo Gentile,
Malvasia, Sauvignon, Cabernet, Spergola,
Marzemino
Vino 1
Migliolungo IGP Frizzante
Lambrusco dell’Emilia IGP 2014
Vino 2
Vino 3
Rosaspino Rosè Lambrusco DOP 2014
Colle Ventoso Spergola Bianco Frizzante
DOP Colli di Scandiano e di Canossa 2014
Vino 4:
Rossospino Colli di Scandiano e di
Canossa DOP Lambrusco 2014
NOTE
208
ROMAGNA
Enio Ottaviani
Via Panoramica, 199
47842 San Giovanni in Marignano (RN)
Zona di produzione:
Via Pian di Vaglia, 17
47832 San Clemente (RN)
Tel. 0541 952608
[email protected]
www.enioottaviani.it
Responsabile/i
Massimo Lorenzi
Anno di fondazione
1966
Enologo
Enrico Bartolini
Ettari vitati
12
Produzione annua
130.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Sangiovese, Trebbiano, Pagadebit,
Chardonnay, Riesling, Merlot, Cabernet,
Montepulciano
Romagna Sangiovese Superiore Riserva
DOC 2012
Rosso Rubicone IGT 2013
Romagna Sangiovese Superiore 2014
Bianco Rubicone IGT 2014
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
209
ROMAGNA
Fattoria
Monticino Rosso
Via Montecatone, 10
40026 Imola (BO)
Tel./Fax 0542 42687
335 7057217 (Gianni) - 335 329076 (Luciano)
[email protected]
www.fattoriamonticinorosso.it
Responsabile/i
Gianni e Luciano Zeoli
Anno di fondazione
1962
Enologo
Giancarlo Soverchia
Ettari vitati
23
Produzione annua
120.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Albana, Pignoletto, Malvasia, Sangiovese,
Cabernet Sauvignon, Barbera
Vino 1
Codronchio Romagna DOCG Albana secco
Vino 2
A Romagna Albana DOCG Secco 2014
Vino 3
Le Morine Romagna DOC Sangiovese
Vino 4
Pradello Riserva Colli d’Imola DOC
2013
Superiore 2011
Cabernet Sauvignon Riserva 2008
NOTE
210
EMILIA
Fattoria Moretto
Via Tiberia, 13/B
41014 Castelvetro di Modena (MO)
Tel. 059 790183 - 393 9626594
Fax 059 790183
[email protected]
www.fattoriamoretto.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Fausto e Fabio Altariva
1991
Fausto Altariva
10
60.000 bottiglie
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro
Pignoletto dell’Emilia
Fattoria Moretto è una piccola realtà a conduzione familiare, nella quale si produce Lambrusco
Grasparossa di Castelvetro da tre generazioni e dal 1991 anche in bottiglia. È sita nel cuore del
territorio del Lambrusco Grasparossa, a circa 200 metri di altitudine, dove Fausto e Fabio Altariva
coltivano con passione le proprie terre. Il podere, condotto interamente con metodo biologico, si
estende in appezzamenti non contigui sulle colline di Castelvetro di Modena. I vigneti di Lambrusco
Grasparossa sono allevati a cordone speronato e guyot, con esposizioni a sud/sud-est, su terreni
limo-argillosi. La zona gode di ottima ventilazione, che stempera la calura estiva e preserva le
piante da malattie. Le vinificazioni sono in linea con i metodi tradizionali, con tempi molto lunghi di
contatto con i lieviti, per regalare al bicchiere maggiore complessità.
I vini, tutti in purezza, esprimono con personalità il territorio del Lambrusco Grasparossa.
Vino 1
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro
Secco DOP Monovitigno 2014
Vino 2
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro
Vino 3
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro
Secco DOP Canova 2014
Secco DOP Tasso 2014
Vino 4
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro
Amabile DOP Semprebon 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
211
ROMAGNA
Fattoria Nicolucci
di Nicolucci Alessandro
Via Umberto Primo, 21
47016 Predappio Alta (FC)
Zona di produzione: Predappio
Tel. 0543 922361
[email protected]
www.vini-nicolucci.it
Responsabile/i
Alessandro Nicolucci
Anno di fondazione
1885
Enologo
Alessandro Nicolucci
Ettari vitati
10
Produzione annua
70.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
90% Sangiovese, 10% Merlot e Refosco
Vino 1
Romagna Sangiovese DOC Riserva
Predappio di Predappio - Vigna del
Generale 2012
Vino 2
Rosso Forli IGT Nero di Predappio 2013
Vino 3
Romagna Sangiovese DOC Superiore
Tre Rocche 2014
Vino 4
Romagna Sangiovese DOC Superiore
I Mandorli 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
212
ROMAGNA
Fattoria Paradiso
Via Palmeggiana, 285
47032 Bertinoro (FC)
Tel. 0543 445044
[email protected]
www.fattoriaparadiso.com
Responsabile/i
Graziella Pezzi
Anno di fondazione
1950
Ettari vitati
50
Produzione annua
110.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Barbarossa, Albana, Sangiovese,
Pagadebit, Cagnina, Cabernet, Syrah
Vino 1
Romagna DOC Sangiovese Superiore
Vigna del Molino 2014
Vino 2
Romagna DOC Sangiovese Superiore
Riserva Vigna delle Lepri 2009
Vino 3
Forlì IGT Rosso Barbarossa Vigna del
Dosso 2009
Vino 4
Forlì IGT Rosso Mito 2010
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
213
ROMAGNA
Fattoria Zerbina
Via Vicchio, 11
48018 Marzeno - Faenza (RA)
Tel. 0546 40022
[email protected]
www.zerbina.com
Responsabile/i
Henry-David Polacco, Maria Cristina Geminiani
Anno di fondazione
1966
Enologo
Cristina Geminiani
Ettari vitati
30
Produzione annua
200.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Albana, Trebbiano, Sangiovese,
Cabernet Sauvignon, Syrah
Vino 1
Romagna DOCG Albana Secco
Bianco di Ceparano 2014
Vino 2
Romagna DOC Sangiovese Superiore
Riserva Pietramora 2011
Vino 3
Ravenna Rosso IGT Marzieno 2009
Vino 4
Romagna DOCG Albana Passito
Arrocco 2011
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
214
ROMAGNA
Ferrucci
Via Casolana, 3045/2
48014 Castel Bolognese (RA)
Tel. 0546 651068
[email protected]
www.stefanoferrucci.it
Responsabile/i
Ilaria e Serena Ferrucci
Anno di fondazione
1932
Enologo
Giotto Consulting
Ettari vitati
16
Produzione annua
100.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Sangiovese, Albana, Trebbiano,
Bianchino Faentino, Chardonnay
Vino 1
Sangiovese di Romagna DOC Superiore
Vino 2
Romagna DOC Sangiovese Superiore
Riserva Domus Caia 2012
Centurione 2014
Vino 3
Colli di Faenza DOP Bianco Chiaro della
Serra 2014
Vino 4
Romagna DOCG Albana Passito
Domus Aurea 2012
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
215
EMILIA
Francesco Bellei & C. srl
Via Nazionale, 130/132
Cristo di Sorbara
41030 Bomporto (MO)
Tel. 059 902009
Fax 059 8070147
[email protected]
www.francescobellei.it
Responsabile/i
Sandro Cavicchioli
Anno di fondazione
1920
Enologo
Sandro Cavicchioli
Ettari vitati
100
Produzione annua
70.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Pignoletto, Lambrusco di Sorbara
Bellei Brut Metodo Classico S.A.
Bellei Brut Rosè 2011 Metodo Classico
Bellei Brut Rosso 2013 Metodo Classico
Modena DOC Lambrusco a
rifermentazione Ancestrale 2014
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
216
EMILIA
Gaetano Righi
Via Brodolini,24
42040 Campegine (RE)
Tel. 0522 905711
[email protected]
www.vinirighi.com
Responsabile/i
Corrado Casoli
Produzione annua
300.000 bottiglie
Gaetano Righi, pioniere del mondo vitivinicolo e primo presidente del Consorzio Interprovinciale
Vini di Modena,”firma” i vini della classica tradizione modenese, elaborati con le tecnologie
più moderne, che garantiscono alta qualità e assoluta genuinità. Ottenuti da uve selezionate
nei vigneti più vocati del Modenese, coltivati nel pieno rispetto dell’ambiente, sono vini frizzanti
naturali che esprimono nettamente le grandi potenzialità del territorio.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Pignoletto DOC Vino Spumante Brut
Lambrusco di Modena DOC Spumante
Rosato Extra Dry
L’oscuro Lambrusco Emilia IGT
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro
DOC Secco
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
217
COLLI BOLOGNESI
Az. Agr. Gaggioli
Maria Letizia
Via Francesco Raibolini, 55
40069 Zola Predosa (BO)
Tel. 051 753489 - 051 750534
[email protected]
www.gaggiolivini.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Maria Letizia Gaggioli
1972
Giovanni Fraulini
21
160.000 bottiglie
Pignoletto, Sauvignon Blanc, Pinot
Bianco, Riesling Italico, Barbera,
Cabernet Sauvignon, Merlot, Shiraz
L’azienda Gaggioli nasce nel 1972 quando Carlo Gaggioli acquista il Podere “Bagazzana”. Nel 1990 la figlia
Maria Letizia, dopo diversi anni di affiancamento al padre, passa al timone dell’azienda e costruisce la
nuova cantina, impianta nuovi vigneti e nel 2007 inaugura l’Agriturismo Borgo delle Vigne. I vigneti, ad
eccezione di un ettaro e mezzo, sono tutti ad alta densità e sono stati rinnovati negli ultimi 10 anni. Da
oltre 20 anni si pratica la “Lotta Integrata Avanzata” con uso esclusivo di presidi non nocivi. Preserviamo
un ambiente sano per avere un’uva sana, dalla quale far nascere quel vino “amico“ che non tradisce il
consumatore perché naturale, genuino e buono. La varietà più coltivata nei nostri vigneti è il Pignoletto. I
vini sono realizzati con una netta predominanza di una sola uva; sono quindi Vini in purezza. La vinificazione
è sempre seguita con molta attenzione e scrupolosità: - per i vini bianchi pressatura soffice, pulizia dei
mosti mediante flottazione, fermentazione termocontrollata con lieviti selezionati - per i vini rossi diraspapigiatura, fermentazione termocontrollata con lieviti selezionati, frequenti rimontaggi e delestage fino
al momento della svinatura. Finita la fase della fermentazione tutti i vini vengono travasati evitando il
contatto con l’aria e vengono filtrati una sola volta utilizzando il filtro tangenziale capace di mantenere
inalterate tutte le caratteristiche organolettiche del vino profumi compresi. La politica aziendale è quella
di un utilizzo molto moderato di solfiti ed infatti tutti i nostri vini in bottiglia presentano una quantità di
solforosa inferiore alla metà di quanto permesso dalla legge.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Colli Bolognesi Pignoletto Frizzante
DOCG 2014
Colli Bolognesi Pignoletto Superiore
DOCG 2014
Colli Bolognesi DOC Rosso Bologna Riserva
Il Francia Rosso 2010
Colli Bolognesi Pignoletto Classico
Superiore DOCG 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
218
ROMAGNA
Galassi Maria
Az. Agr. Biologica
Via Casetta, 688
47522 Paderno di Cesena (FC)
Tel. 338 7230288 - 335 8412002
[email protected]
www.galassimaria.it
Responsabile/i
Maria Galassi
Anno di fondazione
Enologo
1994
Francesco Bordini
Ettari vitati
18
Produzione annua
45.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda
Sangiovese 16 ha, Chardonnay,
Rebola 1 ha, Merlot 0,5 ha, Cabernet 0,5 ha
NatoRe Romagna Sangiovese DOC
Superiore Bio 2013
NatoRe Romagna DOC Sangiovese
Bertinoro Riserva 2011
Smembar Senza Solfiti aggiunti
Romagna Sangiovese DOC Superiore
Bio 2012
Paternus Romagna Sangiovese DOC
Superiore Bio 2013
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
219
ROMAGNA
Gallegati
Via Lugo, 182 - 48018 Faenza (RA)
Zona di produzione:
Via Monte Coralli - 48013 Brisighella (RA)
Tel. 0546 621149
348 8700715 - 339 8455419
[email protected]
www.aziendaagricolagallegati.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Antonio e Cesare Gallegati
1996
Cesare Gallegati
6
15.000 bottiglie
Sangiovese 2.5 ha , Albana 0.7 ha,
Chardonnay, Pignoletto, Merlot,
Cabernet Sauvigon, Trebbiano
Siamo un’azienda agricola a conduzione familiare in provincia di Ravenna nel cuore della Romagna.
L’azienda ha una superficie totale di circa 20 Ha ed è divisa in due unità poderali. Una unità di circa 10
Ha si estende nella pianura di Faenza ed è ad indirizzo frutticolo, l’altra unità di circa 10 Ha si trova
nelle colline di Brisighella ed è piantata a vite e olivo. Le vigne si trovano sulle pendici di Monte Coralli
a circa 200 m sul livello del mare, su terreni prevalentemente argillosi, in un ambiente suggestivo ricco
di essenze spontanee e fauna selvatica. I principali vitigni coltivati sono quelli tipici della Romagna,
il Sangiovese e l’Albana, ma sono presenti anche altre tipologie come il Pignoletto, il Cabernet
Sauvignon, il Merlot, lo Chardonnay. Produciamo vini di alta qualità DOC e DOCG dotati di grande
personalità, eleganza e complessità e per far ciò ci avvaliamo delle migliori tecniche di vinificazione.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Sangiovese di Romagna DOC Superiore
Riserva 2009 Corallo Nero
Romagna DOC Sangiovese Brisighella
2013 Corallo Rosso
Colli di Faenza DOC Bianco 2014
Corallo Bianco
Albana di Romagna DOCG Passito 2010
Regina di Cuori
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
220
EMILIA
Garuti Vini
Via per Solara, 6
41030 Sorbara di Bomporto (MO)
Tel. 059 902021
[email protected]
www.garutivini.it
Anno di fondazione
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
1920
30
130.000 bottiglie
Lambrusco di Sorbara,
Lambrusco Salamino, Pignoletto
I lambruschi Garuti nascono dalla lungimiranza di Dante che fondò la cantina intorno al 1920 in un
lembo di terra tra i più felici per questo vitigno.
Figli, nipoti e pronipoti hanno accolto e cresciuto il patrimonio di saperi, innovando e costruendo un
progetto di vita e di impresa che coinvolge e unisce tutta la famiglia. I lambruschi più pregiati nascono da
terroir ad altissima vocazione, presso Sorbara, nella bassa pianura modenese, in un’area complessiva
di 30 ettari, all’interno della zona di denominazione d’origine del Lambrusco di Sorbara.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Lambrusco di Sorbara DOP
Podere Ca Bianca Secco 2014
Lambrusco di Sorbara DOP Rosà
Rosato Secco 2014
Lambrusco di Sorbara DOP
Rifermentato in bottiglia 2014
Pignoletto DOP L’una Secco 2014
NOTE
221
EMILIA
Gavioli Antica Cantina srl
Via Carlo Sigonio, 50
41124 Modena (MO)
Zona di produzione:
Via Provinciale Ovest, 55
41015 Nonantola (MO)
Tel. 059 545462 - 059 222014
[email protected]
www.gaviolivini.com
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Antonio Giacobazzi
1794
Fabio Bigolin
70
40.000 bottiglie circa
Lambrusco di Sorbara DOC, Lambrusco
Salamino di Santa Croce DOC,
Lambrusco di Castelvetro DOC, Pignoletto
Lambrusco Spumante IGP Brut Metodo
Classico 30 Mesi
Lambrusco Spumante IGP Pas Dosè
Metodo Classico
Lambrusco di Sorbara DOC
Rifermentazione Ancestrale
Lambrusco di Sorbara DOC
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
222
ROMAGNA
Az. Agr. Giovanna Madonia
Via Cappuccini, 130
47032 Bertinoro (FC)
Zona di produzione: Bertinoro
Tel. 333 4310441 - 346 9552666
[email protected]
www.giovannamadonia.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Giovanna Madonia
1992
Attilio Pagli e Leonardo Conti
14
60.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda Sangiovese 10 ha, Merlot 1,5 ha,
Albana 2 ha, Cabernet 0,50 ha
Vino 1
Neblina Romagna DOCG Albana
Secco 2014
Vino 2
Fermavento Romagna DOC Sangiovese
Superiore 2013
Vino 3
Ombroso Romagna DOC Sangiovese
Riserva Bertinoro 2011
Vino 4
Sterpigno Forlì Merlot IGT 2007
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
223
ROMAGNA
Giovannini
Via Punta, 82
40026 Imola (BO)
Zona di produzione: colline imolesi
Tel. 338 9763854
[email protected]
www.vinigiovannini.com
Responsabile/i
Anno di fondazione
Ettari vitati
Produzione annua
Jacopo Giovannini
1965
15
70.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda Albana di Romagna, Sangiovese di
Romagna, Trebbiano di Romagna,
Cabernet Sauvignon
Cantina Biologica.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Giogio’ Romagna Sangiovese DOC
Superiore 2013
Gioja Romagna Albana di Romagna
DOCG Bio 2014
Giocondo Cabernet Sauvignon DOC
Colli di Imola 2009
Aboccaperta Trebbiano Frizzante IGP
BIO 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
224
COLLI BOLOGNESI
Il Monticino
Vigne e vini
dei Colli Bolognesi
Via Predosa, 72
40069 Zola Predosa (Bo)
Tel. 051 755260 - 051 755260
338 8580238
[email protected]
www.ilmonticino.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Ruggero e Sandra Morandi
2000
Giovanni Fraulini
6
40.000 bottiglie
Pignoletto, DOC Bologna Bianco,
Malvasia Aromatica di Candia, Barbera,
DOC Bologna Rosso, Cabernet Sauvignon
Nell’anno 2000, riprendendo una tradizione secolare del luogo, la Famiglia Morandi ha ripristinato vecchi
vigneti e ripiantato nuovi vitigni Doc su terreni collinari particolarmente vocati a questa coltivazione. La
Cantina è situata sulla collina di Zola Predosa ed offre ai visitatori l’opportunità di ammirare gli impianti
dei vigneti in produzione, nonché il suggestivo panorama della città di Bologna e zone limitrofe. Si
sviluppa su una superficie di 12 ettari. L’impegno costante della Famiglia Morandi, personale qualificato,
moderne tecnologie, l’importante professionalità dell’agronomo e dell’enologo, sono elementi essenziali
per offrire risposte adeguate a persone sempre più esigenti sulla qualità dei vini.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Bolognino Bologna DOC Spumante Brut
2014
Pignoletto Frizzante Del Monticino
Colli Bolognesi DOCG 2014
Barbera Riserva del Monticino
Colli Bolognesi DOC 2011
Bolognino Colli Bolognesi DOC
Bologna Rosso 2014
NOTE
225
ROMAGNA
Il Pratello
Az. Agr. Biologica
Via Morana, 14
47015 Modiglana (FC)
Zona di produzione: Modigliana
Tel. 0546 942038 - 335 1358728
[email protected]
www.ilpratello.net
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Emilio Placci
1993
Emilio Placci
6
15/20.000 bottiglie
Sangiovese, Cabernet, Merlot,
Pinot Nero, Malbo, Centesimino,
Chardonnay, Sauvignon blanc
Azienda agricola biologica in Modigliana, ad un’altitudine di quasi 600 metri, a contendere
alla natura il terreno per la vigna, tra bosco e castagneto, cinghiali e caprioli ,in una posizione
unica e incontaminata, si trova Il Pratello. I terreni marnoso arenacei, la scarsa profondità, la
bella escursione termica e la gestione biologica conferiscono ai vini un impronta territoriale
particolarmente decisa e interessante che si esprime in grande equilibrio, freschezza e notevole
longevità. L’idea è un vino naturale e tradizionale sia come conduzione dei vigneti, quindi biologico,
sia nell’evoluzione, senza forzature, rispettando i tempi che la natura detta .
Nel gusto del vino tutto il respiro del territorio , l’assenza di chimica e di invadenti tecnicismi,
rende giustizia al tempo e alla pazienza.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Mantignano Sangiovese Forlì IGP 2009
Badia Raustignolo Sangiovese Forlì IGP
2007
Le Campore Sauvignon Chardonnay
Forlì IGP 2013
Calenzone Merlot Cabernet Forlì IGP
2004
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
226
ROMAGNA
Il Teatro
Via Anconetano, 10
48018 Faenza (RA)
Zona di produzione:
Via Monte Trebbio 17,
47015 Modigliana (FC)
Tel. 335 1358688
[email protected]
www.facebook.com/ilteatrolaboratoriodivino
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati:
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Luca Monduzzi
2012
Marco Gallegati
2,5
3.000 bottiglie
Sangiovese, Albana, Trebbiano
L’Azienda Agricola “IL TEATRO” nasce come rappresentazione plastica della passione per i vitigni
autoctoni romagnoli, finalizzata a dare la propria chiave di lettura della vite in Romagna. L’azienda si
svolge in più aree territoriali: l’albana (ATTOI) viene coltivata in un piccolo ronco a 230 mt nei pressi di
Fognano di Brisighella, il sangiovese ATTO II invece è frutto della gestione di una vigna a 180 mt presso
“Strada Casale” di Brisighella. Dalla vendemmia 2014 l’azienda gestisce i poderi di “Monte Violano” e
“Risanoî”sul Monte Trebbio di Modigliana. Le vigne (dai 350 ai 430 mt) producono il Trebbiano Metodo
Classico “RISANO” e produrranno un sangiovese d’altura di prossima uscita.
Vino 1
Vino 2
Ravenna Sangiovese IGT Atto II 2014
Ravenna Trebbiano IGT Risano 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
227
ROMAGNA
La Pandolfa
Via Pandolfa, 35
47016 Fiumana di Predappio (FC)
Tel. 0543 940073
Fax 0543 940909
[email protected]
www.pandolfa.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
NOTE
228
Marco Cirese
1941
Francesco Bordini
40
216.000 bottiglie
Sangiovese, Chardonnay
Pandolfo Riserva Romagna Sangiovese
DOC Predappio Riserva 2011
Pandolfo Romagna Sangiovese
Predappio DOC 2014
Federico Sangiovese Superiore
Romagna DOC 2014
Battista Chardonnay Rubicone IGT 2014
ROMAGNA
La Sabbiona
Via di Oriolo, 10
48018 Faenza (RA)
Tel. 0546 642142
[email protected]
www.lasabbiona.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Mauro Altini
1970
Ivano Emiliani
15
50.000 bottiglie
Trebbiano, Albana, Malvasia, Famoso,
Sangiovese, Centesimino, Syrah
L’Azienda vitivinicola e Agrituristica La Sabbiona è situata in posizione panoramica sulle splendide
colline che circondano l’antica Torre di Oriolo dei Fichi, nel cuore della Romagna, a pochi chilometri
da Faenza. L’azienda dispone di 28 ettari di terreno, 15 sono destinati ai vigneti. In questo territorio
ricco di arte e di storia,la famiglia Altini desidera conservare gli antichi sapori e tradizioni , offrendo
ospitalità in un’antica dimora rurale, ristrutturata in armonia con il passato e i confort del presente.
L’amore per il vino ci ha portato a sviluppare l’attività vitivinicola, ricercando la genuinità e la qualità
del prodotto. Con la selezione manuale delle uve alla raccolta, si ottengono vini di prima qualità
D.O.C. e I.G.T. tipici della Romagna. La nostra attenzione è rivolta alla salvaguardia di antiche varietà
di vigneti autoctoni come il vitigno rosso “Centesimino” e il vitigno bianco ”Famoso”.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Alba della Torre Romagna DOCG
Albana Secco 2013
Rosso della Torre Romagna DOC
Sangiovese Superiore 2013
VIP Ravenna IGT Famoso 2014
Centesimino Ravenna IGT Centesimino
2013
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
229
COLLI PIACENTINI
La Stoppa
Loc. Ancarano
29029 Rivergaro (PC)
Tel. 0523 958159
[email protected]
www.lastoppa.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Elena Pantaleoni
1973
Giulio Armani
30
150.000 bottiglie
Barbera, Bonarda,
Malvasia di Candia Aromatica, Ortrugo,
Trebbiano
IGT Emilia Rosso Trebbiolo Rosso 2014
IGT Emilia Rosso Macchiona 2007
IGT Emilia Bianco Ageno 2011
IGT Emilia Malvasia passito Vigna del
Volta 2008
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
230
COLLI DI PARMA
Az. Agr. Lamoretti
Strada della Nave, 6
43013 Langhirano (PR)
Tel. 0521 863590
340 3897689 (Giovanni Lamoretti)
[email protected]
www.lamoretti.eu
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Giovanni Lamoretti
1930
Giovanni e Isidoro Lamoretti
20
100.000 bottiglie
Malvasia di Candia Aromatica 6 ha,
Lambrusco Maestri 1 ha, Moscato
bianco di Canelli 1,5 ha, Sauvignon
Blanc 2,5 ha, Cabernet Sauvignon,
Merlot, Barbera, Bonarda
L’azienda vinifica esclusivamente le proprie uve, ottenute seguendo il protocollo della LOTTA
INTEGRATA, e raccolte a mano. L’obiettivo è produrre vini legati al territorio – la Food Valley -,
caratterizzati per piacevolezza e fragranza del frutto ma nel contempo salubri e rispettosi
dell’ambiente, dal bassissimo contenuto in solforosa grazie alla filiera produttiva cortissima.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Colli di Parma DOC Malvasia Frizzante 2014
Colli di Parma DOC Lambrusco Frizzante
2014
Colli di Parma DOC Sauvignon 2014
Vinnalunga ‘71 2007
I vini p
proposti
p
in degustazione
g
sono in vendita
NOTE
231
ROMAGNA
Le Rocche Malatestiane
Via Emilia, 104 - 47921 Rimini (RN)
Zona di produzione:
c/o Cantina dei Colli Romagnoli
via Cella, 7, Coriano (RN)
Tel. 0543 782683
[email protected]
www.lerocchemalatestiane.com
Responsabile/i
Gianluca Salini (commerciale)
Elena Piva (comunicazione e relazioni esterne)
Anno di fondazione
1959
Enologo
Enrico Salvatori, Francesco Bordini
Ettari vitati
800
Produzione annua
800.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Merlot, Cabernet
Sauvignon, Rebola, Chardonnay,
Pagadebit
Dal 1959 i vini de Le Rocche Malatestiane sono prodotti da 500 viticoltori che coltivano direttamente 800 ettari
di vigneto distribuiti sulle colline della Provincia di Rimini, dall’alta Val Marecchia fino all’entroterra di Cattolica.
Il rilancio del marchio Le Rocche Malatestiane arriva nel 2011 e riparte dall’identità del nostro vino che è
popolare e territoriale e dalla valorizzazione del vitigno sangiovese che maggiormente ci contraddistingue
poiché rappresenta oltre il 70% delle nostre produzioni totali. Nasce così il progetto “Territori del Sangiovese
riminese” con l’idea di dar voce alle tre zone di produzione identificate per omogeneità, progetto che
modifica anche l’approccio in vigna ed in cantina verso un’interpretazione del Sangiovese più rispettosa
delle caratteristiche del vitigno e del territorio di provenienza. Alla produzione di Sangiovese si affiancano
produzioni da vitigni autoctoni come Rebola, Pagadebit e Biancame e da vitigni internazionali come Merlot,
Cabernet Sauvignon e Chardonnay che hanno trovato nel territorio riminese una loro positiva espressione.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
NOTE
232
I Diavoli Romagna DOC Sangiovese
Superiore 2014
Tre Miracoli Romagna DOC Sangiovese
Superiore 2014
Mons Jovis Colli di Rimini DOC
Sangiovese 2013
Isotta dei Malatesti Rubicone IGT
Sangiovese da Uve Stramature 2013
ROMAGNA
Leone Conti
Soc. Agr.
Via Pozzo, 1
48018 Faenza (RA)
Tel. 0546 642149
[email protected]
www.leoneconti.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Gianfrancesco Conti
1954
Giancarlo Soverchia
23
70.000 bottiglie
Albana, Famoso, Ruggine,
Sauvignon blanc, Sangiovese,
Centesimino, Syrah
Azienda in conversione bio dal 2014
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Romagna Albana DOCG Secco
Progetto 1 2014
Ravenna Famoso IGT LeOne 2012
Romagna Sangiovese DOC Superiore
Le Betulle 2012
Ravenna Rosso IGT Arcolaio da uve
centesimino 2011
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
233
EMILIA
Lini 910
Via Vecchia Canolo, 7
42015 Correggio (RE)
Tel. 0522 690162
Fax 0522 690208
[email protected]
www.lini910.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Famiglia Lini
1910
Fabio Lini, Massimo Lini
25
400.000 bottiglie
Lambrusco Salamino
Metodo Classico Bianco Millesimato
Brut 2010
Metodo Classico Rose’ Millesimato Brut
2009
Gran Cuvee di Lambrusco 2012
Metodo Classico Bianco Pas Dose’ 2009
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
234
EMILIA
Lodi Corazza
Via Risorgimento, 223
40069 Zola Predosa (BO)
Tel. 051 756805
[email protected]
www.lodicorazza.com
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Silvia e Cesare Corazza
1997
Dr. Sergio Parmeggiani
15
40.000 bottiglie
Pignoletto 5 ha, Sauvignon 1 ha,
Barbera 3 ha, Merlot 3ha , Riesling I. 1 ha,
Bianco (albana) 2 ha
Colli Bolognesi Pignoletto Frizzante
DOCG 2014
Colli Bolognesi Pignoletto Superiore
DOCG 2014
Colli Bolognesi Merlot Corrado DOC 2010
Colli Bolognesi Barbera Castelzola DOC 2010
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
235
EMILIA
Lusvardi
Via Canale per Reggio, 2
Zona di produzione:
Loc. Molino di Gazzata
42018 San Martino in Rio (RE)
Tel. 335 8149599
[email protected]
www.lusvardi.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Rita Covezzi
2008
3,5
35.000 bottiglie
Lambrusco Salamino,
Lambrusco Grasparossa
CERTIFICAZIONE BIOLOGICA ICEA IT BIO 006 - H2594.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Lusvardi Brut Lambrusco dell’Emilia
IGP Vino Rosso Spumante 2014
Lusvardi Rose’ Lambrusco Reggiano
DOP Vino Rosato Spumante 2014
Senzafondo Lambrusco dell’Emilia IGP
Vino Rosso Spumante 2014
Grato Lambrusco Emilia IGP Vino Rosso
Frizzante Col Fondo 2013
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
236
COLLI BOLOGNESI
Manaresi
Via Bertoloni, 14
Loc. Podere Bella Vista
40069 Zola Predosa (BO)
Tel. 051 751491
335 8032189
[email protected]
www.manaresi.net
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Donatella Agostoni, Fabio Bottonelli
2009
Emiliano Falsini
12
40.000 bottiglie
Grechetto gentile 4,5 ha, Sauvignon,
Chardonnay, Merlot, Barbera, Cabernet
Sauvignon
La cantina Manaresi domina dall’alto i suoi vigneti, radialmente disposti, con vista su Bologna e tutta
la pianura, fino a Modena e alle Alpi nei giorni limpidi. I suoli sono tipicamente ‘rossi’, argillosi con
vene ghiaiose, e vantano una documentata vocazione millenaria per la viticoltura. L’azienda è dedicata
a Paolo Manaresi (1908-1991), pittore e incisore del Novecento, nonno materno di Donatella Agostoni,
che la conduce personalmente con Fabio Bottonelli nel rispetto del terroir e con la ricerca costante di
equilibrio ed eleganza: “Fare vino per noi è fare (buona) agricoltura: ci mettiamo la faccia e le mani”. La
cantina, dotata di tecnologie di ultima generazione che rispettano l’uva, è interrata sotto una casa rurale
ristrutturata, con una parte originaria del primo novecento conservata inalterata. I vini sono prodotti
esclusivamente con uve di proprietà raccolte a mano in cassetta con una filosofia agricola rigidamente
a basso impatto e un approccio enologico attento, ma non invasivo.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Colli Bolognesi DOCG Pignoletto
Frizzante 2014
Colli Bolognesi DOCG Pignoletto
Classico Superiore 2014
Colli Bolognesi DOC Merlot 2014
Colli Bolognesi DOC Bianco Bologna
Duesettanta 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
237
EMILIA
Az. Agr. Manicardi
Via Massaroni 1
41014 Castelvetro (MO)
Tel. 059 799000
[email protected]
www.manicardi.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Maria Livia Manicardi
1980
Dott. Valerio Macchioni
20
100.000 bottiglie
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro 14 ha,
Pignoletto 2 ha, Trebbiano 4 ha
La nostra azienda nasce nel 1980 con Enzo padre di Maria Livia, attuale proprietaria, che decide di
portare avanti una passione personale per il mondo del vino che si trasforma, nel corso degli anni, in
una ricerca sempre più approfondita della qualità di produzione. Dai primi pochi ettari inziali, siamo
arrivati ad un’azienda strutturata su 35 ettari, ma che conserva ancora oggi un carattere tradizionale
ed un forte legame con quella che si può, a ben ragione, definire una realtà familiare. La Manicardi,
oggi, si estende sulle prime colline modenesi, su un’altitudine media tra i 250 ed i 300 metri, con un
terreno ad impasto medio con presenza di argilla. Il clima si caratterizza per avere buone escursioni
termiche in periodo vendemmiale. Il corpo aziendale è caratterizzato da diverse singole vigne, tra cui
spicca il cru Vigna del Fiore. Pur mantenendo un forte legame con la tradizione produttiva della zona
e della tipologia Lambrusco, cerchiamo di stare sempre attenti all’innovazione con l’obiettivo di avere
vini di qualità. Ci piace anche sottolineare la nostra produzione di aceto balsamico tradizionale che
realizziamo nella tipologia affinato ed extravecchio.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4:
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro
DOC Vigna Ca’ del Fiore 2014
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro
DOC Secco 2014
Spumante Rosè Brut Fabula 2014
Pignoletto dell’Emilia 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
238
BOSCO ELICEO
Mattarelli Vini
Via Rondona 23/B
44018 Vigarano Pieve (FE)
Tel. 0532 43123
[email protected]
www.mattarelli-vini.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Produzione annua
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Emanuele Mattarelli
1964
250.000 bottiglie
Rosa X Emy Spumante Rosato 2014
Bosco Eliceo Fortana Frizzante
DOC 2014
Baba Fortana Emilia IGT 2013
Palina Bosco Eliceo Sauvignon 2013
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
239
EMILIA
Medici Ermete & Figli
Via Isaac Newton 13/A - Loc. Gaida
42124 Reggio Emilia (RE)
Tel. 0522 942135
[email protected]
www.medici.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
NOTE
240
Giorgio Medici
1961
75
800.000 bottiglie
Ancellotta, Lambrusco Marani,
Lambrusco Salamino, Malbo Gentile,
Malvasia di Candia
Reggiano DOC Lambrusco secco
Concerto 100% Lambrusco Salamino
2014
Spumante Brut Rosso Metodo Classico
Granconcerto 100% Lambrusco
Salamino 2012
Spumante Brut Rosé Metodo Classico
Unique 100% Lambrusco Marani 2012
Malvasia DOC Colli di Scandiano
e di Canossa secco Daphne 100% Malvasia
Aromatica di Candia 2014
ROMAGNA
Merlotta
Via Merlotta, 1
Imola (Bo)
Tel. 0542 41740
[email protected]
www.merlotta.com
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Raffaele Minzolini
1962
Minzolini Fabio
45
450.000 bottiglie
Pignoletto, Albana, Trebbiano, Malvasia,
Chardonnay, Pinot Bianco, Sangiovese,
Barbera, Cabernet S., Cabernet F.,
Merlot, Pinot Nero
La Merlotta ha raggiunto da pochi anni l’importante traguardo del mezzo secolo d’attività. Oggi come allora,
la proprietà è animata dalla stessa passione e dagli stessi ideali di genuinità contadina. Per segnare questa
importante ricorrenza è nato il progetto di due vini di grande classe e struttura, tipicamente autoctoni, dedicati
ai Fondatori. Oggi queste selezioni di Albana e di Sangiovese sono i vini che meglio rispettano le tradizioni del
nostro territorio e trasmettono la passione con cui abili mani, della stessa famiglia, li lavorano da generazioni.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Fondatori GP Romagna Albana DOCG
Secco 2014
Fondatori PG Romagna DOC
Sangiovese Superiore Riserva 2012
Opus Aureum Chardonnay DOC Colli
d’Imola Maturato in Rovere 2014
Opus Rubens Cabernet Sauvignon DOC
Colli d’Imola 2013
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
241
ROMAGNA
Noelia Ricci
Via Pandolfa, 35
47016 Fiumana di Predappio
Tel. 0543 940073
Fax 0543 940909
[email protected]
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
NOTE
242
Marco Cirese
1941
Francesco Bordini
7
45.000 bottiglie
Sangiovese, Trebbiano
Il Sangiovese Sangiovese Superiore
Romagna 2014
Godenza Sangiovese Superiore Romagna
Cru 2013
Bro’ Bianco Forlì IGT 2014
COLLI BOLOGNESI
Nugareto
Soc. Agr. Vinicola
Via Ubaldo Poli, 4
40069 Zola Predosa (BO)
Zona di produzione:
Via Nugareto, 6 - 40037 Sasso Marconi (BO)
Tel. 051 3515111
[email protected]
www.nugareto.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Mauro Masi
2011
Salvatore Maule
15
50.000 bottiglie
Pignoletto 5,50 ha, Sauvignon Blanc
2,60 ha, Cabernet Franc 0,80 ha,
Cabernet Sauvignon 1,20 ha, Pinot
Bianco 0,80 ha, Merlot 0,80 ha,
Chardonnay 0,70 ha
Giullare Colli Bolognesi DOC
Pignoletto Frizzante 2014
Canto Colli Bolognesi DOC Bianco
Bologna 2014
Monello Colli Bolognesi DOC Rosso
Bologna 2014
Petroniano Colli Bolognesi DOC
Spumante Bologna 2014
NOTE
243
EMILIA
Paltrinieri Gianfranco
Via Cristo, 49
41030 Sorbara (MO)
Tel. 059 902047
Fax 059 902047
[email protected]
www.cantinapaltrinieri.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Alberto Paltrinieri
1926
Attilio Pagli e Leonardo Conti
15
90.000 bottiglie
Lambrusco di Sorbara,
Lambrusco Salamino
Leclisse Lambrusco di Sorbara DOC
Metodo Charmat 2014
Radice Lambrusco di Sorbara DOC
rifermentato in bottiglia 2014
Grosso Lambrusco di Modena DOC
Metodo Classico 2011
Solco Lambrusco dell’Emilia IGT
Metodo Charmat 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
244
EMILIA
Az. Agr. Pezzuoli
Via Vignola 136
41053 Maranello (MO)
Tel. 0536 948800
[email protected]
www.pezzuoli.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Dott. Alberto Pezzuoli
1932
120
300.000 bottiglie
Lambrusco Grasparossa di
Castelvetro 60 ha, Lambrusco di
Sorbara 10 ha, Lambrusco Salamino di
Santacroce 16 ha, Pignoletto 15 ha
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro
DOP Pietrascura 2014
Lambrusco di Sorbara DOP
Pietrarossa 2014
Pignoletto di Modena DOP
Pietragialla 2014
Lambrusco di Sorbara Rosè DOP
Pietrarossa 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
245
ROMAGNA
Podere La Berta
Via Berta, 13
48013 Brisighella (RA)
Tel. 0546 84998
[email protected]
www.poderelaberta.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Giovanni, Nicolò e Domenico Poggiali
2009
Dr. Franco Bernabei
15
65.000 bottiglie
Sangiovese, Trebbiano, Albana,
Bombino Bianco
Albana Romagna Albana DOCG 2014
Sangiovese Romagna Sangiovese DOC
2014
Solano Romagna Sangiovese Superiore
DOC 2013
Olmatello Romagna Sangiovese
Superiore Riserva DOC 2011
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
246
COLLI BOLOGNESI
Podere Riosto
Via di Riosto, 12
40065 Pianoro (BO)
Tel. 051 777109
[email protected]
www.podereriosto.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Cristiana Galletti
1950
Mariano Pancot
16
80.000 bottiglie
Pignoletto 5,41 ha, Sauvignon 2,06 ha,
Chardonnay 0,96 ha, Barbera 2,72 ha,
Cabernet 2,70 ha, Merlot 1,34 ha,
Vite Fantini 0,66 ha
Pignoletto Frizzante DOCG Colli
Bolognesi 2014
Pignoletto Superiore DOCG Colli
Bolognesi 2014
Spumante Rosè For You Vite del
Fantini 2014
Grifone Cabernet Sauvignon DOC Colli
Bolognesi Selezione 2007
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
247
ROMAGNA
Podere Vecciano
Via Vecciano, 23
47853 Coriano (RN)
Tel. 0541 658388 - 335 256039
[email protected]
www.poderevecciano.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Davide Bigucci
1990
Francesco Bordini
15
100.000 bottiglie
Sangiovese 8 ha, Rebola 1,5 ha,
Pagadebit 1,5 ha, Chardonnay 1 ha,
Cabernet S., Merlot, Famoso, Montepulciano
Vignadellerose Romagna Pagadebit
DOC 2014
Vignalaginestra Colli di Rimini Rebola
DOC 2014
Vignalavolta Rubicone IGP Rosso 2012
D’enio Romagna Sangiovese DOC
Superiore Riserva 2011
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
248
ROMAGNA
Poderi dal Nespoli
Villa Rossi, 50 - Nespoli
47012 Civitella di Romagna (FC)
Tel. 0543 989911
[email protected]
[email protected]
www.poderidalnespoli.com
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Fabio Ravaioli
1929
Scipione Giuliani
130
900.000 bottiglie
Albana, Sangiovese, Bombino,
Cabernet, Merlot, Pinot Bianco,
Chardonnay
Romagna DOC Sangiovese Superiore
Riserva Il Nespoli 2012
Romagna DOC Sangiovese Superiore
Prugneto 2014
Rubicone IGT Pinot Bianco Dogheria
2014
Romagna DOC Pagadebit 2014
NOTE
249
ROMAGNA
Poderi Morini
Az. Agr. Alessandro Morini
Via Gesuita 4/B
48018 Faenza (RA)
Tel. 0546 638172
[email protected]
www.poderimorini.com
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Alessandro Morini, Daniela Zolli
1998
Maurizio Castelli
25
100.000 bottiglie
Sangiovese, Albana, Centesimino,
Longanesi
Morale Romagna Sangiovese DOC
Superiore 2014
Sette Note Romagna Albana DOCG
Secco 2013
Nonno Rico Romagna Sangiovese DOC
Riserva Oriolo 2011
Savignone Ravenna Centesimino IGT
2013
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
250
EMILIA
Quintopasso
Metodo Classico
Via D. Manin, 15
41122 Modena
Vigneti e produzione:
Via Canale, 267
41019 Sozzigalli di Soliera (MO)
Tel. 059 3163311
[email protected]
www.quintopasso.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Roberto Saletta
2010
Franco De Biasio
12 circa
40.000 bottiglie
Sorbara
QuintoPasso Rosé
Brut Modena DOC 2012
QuintoPasso Cuvée Paradiso
Brut 2012
NOTE
251
ROMAGNA
Randi
Via San Savino, 113
48034 Fusignano (RA)
Tel. 349 4684011
[email protected]
www.randivini.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Randi Massimo
1951
Sergio Ragazzini
40
60.000 bottiglie
Famoso, Longanesi, Malbo Gentile,
Chardonnay, Trebbiano
Burson Etichetta nera 2009
Rambela 2015
Burson Rosato Brut 2014
Rambela Brut 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
252
ROMAGNA
San Patrignano
Via San Patrignano, 53
47853 Coriano (RN)
Tel. 0541 362111
[email protected]
www.spaziosanpa.com
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
1978
Riccardo Cotarella
110
500.000 bottiglie
Sangiovese Merlot, Cabernet
Sauvignon, Chardonnay, Sauvignon
Blanc
Avenir Vino Spumante di Qualità Brut
Metodo Tradizionale Classico 2011
Aulente Bianco Rubicone IGT Bianco
2014
Aulente Rosso Rubicone IGT Rosso
2014
Ora Sangiovese di Romagna DOC
Superiore 2014
NOTE
253
ROMAGNA
Spinetta Az. Agr.
di Monti e Altri s.s.
Via Pozzo, 26 - Loc. Santa Lucia
48018 Faenza (RA)
Tel. 0546 642037
338 2277013 - 340 5363293
[email protected]
www.spinetta.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Luciano Monti
1992
Sergio Ragazzini
23
50.000 bottiglie
Sangiovese, Centesimino, Uva
Longanesi, Cagnina, Cabernet
Sauvignon, Trebbiano, Albana,
Chardonnay, ecc...
Regina Spumante di Qualità Extra Dry
da Uva Famoso
Donna Matilde Bianco da Uve
Stramature
Burson Ravenna IGP Uva Longanesi
2009
Bacchicus Romagna Sangiovese DOP
Superiore Riserva 2010
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
254
COLLI BOLOGNESI
Tenuta Bonzara
Via San Chierlo 37/A
40050 Monte San Pietro (BO)
Tel. 051 6768324
335 8110018 - 328 0815765
[email protected]
www.bonzara.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Angelo Lambertini, Silvia Lambertini
1963
Walter Iannini
15
70.000 bottiglie
Pignoletto, Sauvignon Blanc, Merlot,
Cabernet Sauvignon
Disponiamo di una sala eventi per ospitare matrimoni e feste, un agriturismo e un ristorante.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Bonzarone Cabernet Sauvignon Colli
Bolognesi DOC 2011
Vigna Antica Pignoletto Classico Colli
Bolognesi DOCG 2014
Il Rosso Bologna Colli Bolognesi DOC
2014
Bonzarino Bianco Pignoletto Frizzante
Colli Bolognesi DOCG 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
255
ROMAGNA
Tenuta de’ Stefenelli
Viale Bolognesi 19, Forlì
Zona di produzione:
Via Fratta km 1,800 - Fratta Terme
47032 Bertinoro (FC)
Tel. 0543 35029 - 333 2182466
[email protected]
www.destefenelli.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Sergio Stefenelli
2006
10
15.000 bottiglie
Sangiovese, Merlot, Cabernet Franc,
Bombino Bianco, Chardonnay, Riesling
Renano, Pinot Bianco
Tenuta de’Stefenelli è una azienda agricola posta sulle prime colline dell’entroterra forlivese, nella zona
vinicola di Bertinoro. Produce vini bianchi e rossi d’eccellenza utilizzando esclusivamente le uve dei propri
vigneti e seguendo un naturale processo integrato per la trasformazione: “dal grappolo … alla bottiglia”.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Rondo’ Sangiovese di Romagna
Superiore DOC 2014
Preludio Sangiovese di Romagna
Superiore DOC 2013
Swing Colli Romagna Centrale Bianco
DOC 2014
Opera 5 Colli Romagna Centrale Bianco
DOC 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
256
COLLI BOLOGNESI
Tenuta Folesano
Via San Silvestro, 17
40043 Marzabotto (BO)
Tel. 338 8952014
[email protected]
www.folesano.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Andrea Berti
1959
Andrea Berti
7,5
30.000 bottiglie
Albana, Sangiovese, Barbera, Merlot
Guidesco Colli Bolognesi DOC Merlot
2011
Folesano Emilia IGP Sangiovese 2013
Gariete Emilia IGP Albana 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
257
ROMAGNA
Tenuta La Viola
Via Colombarone, 888
47032 Bertinoro (FC)
Tel. 0543 445496
[email protected]
www.tenutalaviola.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Stefano Gabellini
1998
Giuseppe Caviola
11
47.000 bottiglie
Sangiovese, Merlot,
Cabernet Sauvignon, Albana
Oddone Sangiovese Superiore DOC
2014
Colombarone Sangiovese Superiore
DOC 2012
P.Honorii Sangiovese Superiore Riserva
DOC 2011
Venticinque Forlì IGT Rosso 2012
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
258
ROMAGNA
Tenuta
Biodinamica Mara
Via Cà Bacchino, 1665
San Clemente (RN)
Tel. 0541 988870
[email protected]
www.tenutamara.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Leonardo Pironi
2007
Leonardo Pironi (agronomo)
Ettari vitati
6,5
Produzione annua
20.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda Sangiovese
Dalla passione per il vino di Giordano Emendatori, nel 2010, dopo cinque lunghi anni di attesa, sulle colline
dell’entroterra romagnolo,a San Clemente, Rimini, nasce ‘MaraMia’, il primo vino Biodinamico prodotto in
Provincia di Rimini. L’Agricoltura Biodinamica è un modo di pensare e di coltivare la terra,eticamente rispettosa
dell’ambiente e del lavoro, capace di produrre cibi che nutrono tutto l’essere umano, non solo la sua componente
fisica, il tutto senza utilizzo di alcuna sostanza chimica, concimi, diserbanti, fitofarmaci comunemente usati nella
viticultura convenzionale. Alla Tenuta Mara si produce solo un vino, il Sangiovese, che è il vitigno tipico della zona.
Assaporandolo si sente solo il sapore dell’uva trasformata in vino. La Tenuta Biodinamica Mara è una distesa di
sette ettari di vitigno su un terreno in pendenza ed esposto al dolce sole della Romagna; è stata improntata ai
principi della biodinamica, che si sono voluti abbracciare e fare propri integralmente, a partire dalla scelta del
giusto orientamento per la messa a dimora delle viti. Infine, alla Tenuta Mara si utilizza la pratica agronomica
del sovescio consistente nell’interramento di apposite colture allo scopo di mantenere ed aumentare la fertilità
del terreno: si introducono nel campo piante in grado di curare la terra ed aumentare la biodiversità; si semina
per produrre nel terreno, oltre ad un’azione energetica, anche un’azione fisica, meccanica da parte delle piante
seminate.Ma non è tutto… Alla Tenuta Biodinamica Mara le viti crescono accompagnate dalla musica classica:
archi, fiati e accordi musicali si diffondono nell’aria e abbracciano le piante che prosperano tra le armonie di
Mozart, come in una sconfinata sala da concerto. Le armonie seguono il processo di trasformazione dell’uva
in vino fino alla cantina, dove risuonano i canti gregoriani, in un’atmosfera di assoluta pace e meditazione.
Passeggiando per la Tenuta l’orecchio è coccolato anche dal canto di numerosi uccelli che rivestono un ruolo
fondamentale per preservare l’equilibrio biologico dell’ecosistema agrario. In più la loro nidificazione è un valido
indicatore della salute e della biodiversità dell’habitat. Per questo sono state posizionate 400 cassette nido per
uccelli, 46 cassette rifugio per i pipistrelli e 5 pareti nido per gli insetti. Un bel modo di fare pace col pianeta. Un
motivo in più per visitare la Tenuta Biodinamica Mara e intrattenersi con i suoi meravigliosi abitanti…
Vino 1
Sangiovese Rubicone IGP MaraMia 2013
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
259
ROMAGNA
Tenuta Masselina
Via Pozze, 1030
48014 Castelbolognese (RA)
Tel. 338 6314075
[email protected]
www.masselina.it
Responsabile/i
Andrea Celletti (enologo)
Elena Piva (comunicazione e relazioni esterne)
Anno di fondazione
2007
Enologo
Andrea Celletti
Ettari vitati
17
Produzione annua
25.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Albana, Trebbiano,
Chardonnay, Pignoletto,
Cabernet Sauvignon
Vino 1
DOCG Romagna Albana Secco 2014
Vino 2
Romagna DOC Sangiovese Superiore
138 2014
Vino 3
Romagna DOC Sangiovese Riserva
2010
Vino 4
Spumante Brut Metodo Classico 2010
NOTE
260
ROMAGNA
Tenuta Nero del Bufalo
Via Canalazzo, 1
48020 S. Agata sul Santerno (RA)
Tel. 0545 45341 - 348 3368674
[email protected]
www.nerodelbufalo.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Turi Giuseppe
1996
Francesco Bordini
5
6.000 bottiglie circa
Merlot, Chardonnay, Trebbiano,
Cabernet
Nero del bufalo Ravenna IGT Rosso
2013
Bolle del bufalo 2013
Bufalo bianco Ravenna IGT Bianco 2013
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
261
ROMAGNA
Tenuta Palazzona di Maggio
Via Panzacchi, 16
40064 San Pietro di Ozzano Emilia (BO)
Tel. 051 798982 - 335 397030
[email protected]
www.palazzonadimaggio.it
Responsabile/i
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Antonella Perdisa
Aroldo Belelli, Federico Curtaz
15,50
40.000 bottiglie
Merlot, Cabernet Franc, Sangiovese di
Romagna ,Chardonnay
Dracone Colli di Imola DOC Rosso 2009
Dracone Riserva Colli di Imola DOC
Rosso 2008
Ulziano Romagna DOC Sangiovese
Superiore 2012
Maleto Colli di Imola DOC
Chardonnay 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
262
ROMAGNA
Tenuta Pertinello Soc. Agr.
Via Arpineto, 2 - Loc. Pertinello
47010 Galeata (FC)
Tel. 0543 983156
[email protected]
www.tenutapertinello.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Mancini Moreno
2000
Moltard Fabrizio
12
70.000 bottiglie
Sangiovese, Albana, Pinot Nero
Con i suoi 55 ettari la Tenuta Pertinello si estende sulle colline dell’Alto Bidente tra la Romagna e la
Toscana. È una vera oasi, circondata da boschi di querce e carpino nero. Le sue vigne crescono ad
una altitudine di 350m su un terreno sassoso, calcareo e argilloso, esposte a pieno sole a sud/sudest, costantemente ventilate in un clima caratterizzato da forti escursioni termiche e scarsa piovosità.
In questo ambiente ideale si coltivano uve di Sangiovese, Albana e Pinot Nero per una produzione
vinicola quantitativamente limitata di alta qualità.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Colli Romagna Centrale DOC
Sangiovese Riserva Il Sasso 2009
Colli Romagna Centrale DOC
Sangiovese Superiore Il Pertinello 2012
Colli Romagna Centrale DOC
Sangiovese Il Bosco 2014
Vino Spumante di Qualità Extra Brut
Metodo Classico di Pertinello
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
263
ROMAGNA
Tenuta Piccolo-Brunelli
Strada San Zeno, 1
47010 Galeata (FC)
Zona di produzione: Predappio
Tel. 346 8020206
[email protected]
www.piccolobrunelli.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Ettari vitati
Produzione annua
Pietro Piccolo Brunelli
1931
20
20.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Merlot,
Cabernet Sauvignon, Syrah
Vino 1
Pietro 1904 Forlì IGT Rosso 2009
Vino 2
Cesco 1938 Romagna DOC Sangiovese
Superiore 2010
Vino 3
Il Conte Pietro Romagna DOC
Sangiovese Superiore 2012
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
264
ROMAGNA
Tenuta Saiano
L’oasi di Montebello
Via del Carpino, 8
47822 Santarcangelo di Romagna (RN)
Via Casone, 35
47825 Montebello di Poggio Torriana (RN)
Tel. 0541 628605 - 366 7862921
[email protected]
www.tenutasaiano.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Jenny Castellani
2003
Francesco Bordini
10
10.000 bottiglie
Sangiovese, Merlot, Cabernet, Rebola,
Gianciotto Romagna DOC Sangiovese
2014
Saiano Rubicone IGT Rosso 2014
Rosanita Spumante Brut Rosè
Rubicone IGT 2014
Gianciotto Romagna DOC Sangiovese
2013
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
265
COLLI BOLOGNESI
Tenuta Santa Cecilia Croara
Via Croara, 7/H
Loc. Croara
40068 San Lazzaro di Savena (BO)
Tel. 051 6251905
[email protected]
www.tenutasantaceciliacroara.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Nicoletta Madrigali
2007
Dott. Enzo Mattarei
5,5
10.000 bottiglie
Pignoletto 2,2 ha, Riesling Italico 1,0 ha,
Merlot 0,6 ha, Cabernet Sauvignon 0,8 ha,
Barbera 0,9 ha
Vini biologici certificati.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Tenuta Santa Cecilia Pignoletto Frizzante
Colli Bolognesi DOCG Biologico 2014
Tenuta Santa Cecilia Pignoletto
Superiore Colli Bolognesi DOCG
Biologico Fermentazione Naturale 2014
Tenuta Santa Cecilia Pignoletto Spumante
Colli Bolognesi DOCG Biologico 2014
Tenuta Santa Cecilia Merlot Colli
Bolognesi DOC Biologico 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
266
COLLI BOLOGNESI
Tenuta Santa Croce
Via Abè, 33
40050 Monteveglio (BO)
Tel. 051 6702069 - 340 8957468
[email protected]
www.tenutasantacroce.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Giorgio Chiarli
1986
Dott. Giovanni Fraulini
30
200.000 bottiglie
Pignoletto 22 ha, Cabernet 3 ha,
Sauvignon 1.5 ha, Merlot 1 ha,
Barbera 1 ha, Riesling 1.5 ha
Sit a Montuì Colli Bolognesi Classico
Pignoletto DOCG 2013
Sur lie Colli Bolognesi Classico
Pignoletto DOCG 2014
Sermedo Colli Bolognesi Cabernet
Sauvignon Riserva 2010
Cuvée Nettuno Colli Bolognesi DOC
Pignoletto Spumante 2014
NOTE
267
ROMAGNA
Tenuta Santa Lucia
Via Giardino 1400
47025 Mercato Saraceno (FC)
Tel. 0547 90441
331 5072098 (Paride)
[email protected]
www.santaluciavinery.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Dott. Paride Benedetti
2009
Dott. Giancarlo Soverchia,
Dott. David Soverchia, Dott. Paride Benedetti
Ettari vitati
16
Produzione annua
90.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Albana, Famoso,
Centesimino
Vino 1
Sassignolo Romagna Sangiovese
Superiore Riserva DOC 2011
Vino 2
Albarara Cru Artigianale Romagna
Albana DOCG Secco 2011
Vino 3
Famous Rubicone Famoso IGT 2010
Vino 4
Santa Lucia Metodo Classico Spumante
Brut di Qualità
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
268
ROMAGNA
Tenuta Santini
Via G. Brodolini, 2
47853 Coriano (RN)
Zona di produzione:
Via Campo, 33
Coriano (RN)
Tel. 0541 656527 - 338 1149085
[email protected]
www.tenutasantini.com
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Sandro Santini
1960
L. Landi
22
50.000 bottiglie
Sangiovese 18 ha, Cabernet
Sauvignon 1 ha, Cabernet Franc. 1 ha,
Sirah 1 ha, Merlot 1 ha
Beato Enrico Romagna Sangiovese
DOC 2014
Cornelianum Romagna Sangiovese
Riserva 2013
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
269
ROMAGNA
Tenuta Uccellina
Via IV Novembre, 14
Via Aldo Moro 23/1
48026 Russi (RA)
Tel./Fax 0544 580144
[email protected]
www.tenutauccellina.com
Responsabile/i
Hermes Rusticali
Antonietta Anna Amoroso
Anno di fondazione
1985
Enologo
Sergio Ragazzini
Ettari vitati
4
Produzione annua
6.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda Uva Longanesi, Famoso, Canena,
Lanzesa, Sangiovese, Albana, Pinot Nero
L’azienda si specializza sempre di più nella trasformazione dei vitigni autoctoni come Uva Longanesi
Famoso Lanzesa Uva d’Oro senza abbandonare quelli più tradizionali come Sangiovese, Albana,
Trebbiano .
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Burson Uva Longanesi 2009
Rambela Uva Famoso Extra Dry 2014
Hermes Ravenna IGT Bianco Uva
Trebbiano Vendemmia Tardiva 2013
Burson Uva Longanesi Selezionato 2008
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
270
ROMAGNA
Tenuta Villa Trentola
di Prugnoli Federica
Via Cantamiglio, 30
47034 Forlimpopoli (FC)
Zona di produzione:
Via Molino Bratti, 1305
Bertinoro (FC)
Tel. 0543 741389 - 333 7868577
[email protected]
www.villatrentola.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Dott.ssa Federica Prugnoli
2002
Fabrizio Moltard
20
50.000 bottiglie
Trebbiano, Sangiovese, Merlot
Ultimo Atto Romagna DOC
Sangiovese Superiore 2014
Prugnolo Romagna DOC
Sangiovese Superiore 2013
Moro Romagna DOC
Sangiovese Superiore Riserva 2009
NOTE
271
EMILIA
Terraquilia
di Mattioli Romano
Via Caldana
41052 Guiglia (MO)
Tel. 059 931023
[email protected]
www.terraquilia.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Romano Mattioli
2004
6
35.000/40.000 bottiglie
Lambrusco Grasparossa, Sangiovese,
Malbo Gentile, Pignoletto, Trebbiano R.
La Cantina TERRAQUILIA e le sue vigne si trovano nel comune di Guiglia (MO), inserite in un contesto naturale
incontaminato. A quasi 500 metri sul livello del mare, le vigne e la cantina sono curate nel rispetto della tradizione e
le escursioni termiche, favorite dalle brezze della valle del fiume Panaro, influenzano la maturazione delle uve e ci
permettono di ottenere prodotti vivi, ricchi caratterizzati da acidità e sapidità marcate, dai profumi intensi e con un
profilo organolettico complesso. La bassa produzione per ettaro, circa 70 qli, è volta a privilegiare la qualità delle uve
rispetto alla quantità prodotta. Vinifichiamo con il nostro METODO ANCESTRALE che ha radici antiche e, con l’utilizzo
di tini refrigerati, blocchiamo la fermentazione, per ottenere una RIFERMENTAZIONE NATURALE IN BOTTIGLIA
senza aggiunte di lieviti o zuccheri e senza filtraggi, esaltando così le naturali caratteristiche del vitigno. Al termine
della rifermentazione, i residui di lieviti danno luogo ad una naturale sedimentazione che esprime in modo tangibile
il legame dei vini TERRAQUILIA con la tradizione del nostro territorio. Nei nostri vini frizzanti denominati “Zero”, dopo
diversi mesi di maturazione sui lieviti, il sedimento viene eliminato con una sboccatura à la volèe, eseguita senza
ghiacciare grazie ad una macchina appositamente studiata. Produciamo i nostri vini in regime BIOLOGICO, ma non ci
siamo comunque fermati al mero rispetto di un disciplinare: per questo uno dei punti di forza della nostra produzione
di vini è il BASSISSIMO CONTENUTO DI SOLFITI al di sotto di 40mg/l.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Falcorubens Lambrusco
Grasparossa Emilia IGT 2014
Terrebianche col Fondo Pignoletto
dell’Emilia IGT 2014
Spumante Terrebianche
Metodo Classico 2013
Re Malbone Malbo Gentile e
Cabernet Sauvignon Emilia IGT 2012
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
272
ROMAGNA
Terre Contese
Via Goffredo Mameli 6
Zona di produzione:
Via Giovanni Mengozzi, 18
47011 Terra del Sole (FC)
Tel. 338 7786208
[email protected]
www.terrecontese.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Emanuele Coveri
2005
Rossano Abbona
9
30.000 bottiglie
Sangiovese, Syrah, Alicante, Merlot,
Montepulciano, Albana, Sauvignon,
Trebbiano
Le uve utilizzate per la produzione del Dogana 21 e del Terre Contese
provengono da agricoltura biologica
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Dogana 21 Forlì IGP Rosso 2011
Terre Contese Sangiovese di
Romagna DOP Superiore 2012
Estremo Confine Sangiovese di
Romagna DOP 2013
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
273
ROMAGNA
Terre di Fiume
Azienda Biologica Certificata
Via Montescudo 4
Zona di produzione:
Via Friano
47853 Coriano (RN)
Tel. 347 3642996 - 348 8276102
terredifi[email protected]
www.terredifiume.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Pompea Pivi
2000
Francesco Bordini
10
12.000/15.000 bottiglie
Sangiovese, Rebola, Montepulciano,
Chardonnay, Sirah, Merlot, Cabernet
Azienda Biologica Certificata CCPB. In corso la pratica di iscrizione al Consorzio Vini di Romagna (CVR)
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Sangiovese di Romagna Superiore DOP
Fafnir 2013
Colli di Rimini Rebola DOP Ferianus 2013
Colli di Rimini Rebola DOP Ferianus 2014
Sangiovese Rubicone IGT 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
274
COLLI BOLOGNESI
Tizzano Soc. Agr.
Via Marescalchi, 13
40033 Casalecchio di Reno (BO)
Tel. 051 571208 - 051 577665
[email protected]
www.tizzano.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Luca Visconti di Modrone
1961
Nicola Grando
35
150.000 bottiglie
Pignoletto 12 ha, Cabernet Sauvignon 7 ha,
Merlot, Barbera, Sauvignon,
Riesling Italico
Colli Bolognesi Pignoletto Frizzante
DOCG 2014
Colli Bolognesi Pignoletto Superiore
DOCG 2014
Colli Bolognesi Pignoletto Spumante
DOCG 2014
Colli Bolognesi Barbera DOC 2013
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
275
COLLI PIACENTINI
Torre Fornello Az. Agr.
di Enrico Sgorbati
Località Fornello
29010 Ziano (PC)
Tel. 0523 86101
[email protected]
www.torrefornello.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Ettari vitati
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Enrico Sgorbati
1998
60
Barbera, Bonarda, Malvasia Aromatica
di Candia, Ortrugo, Cabernet Sauvignon,
Chardonnay, Sauvignon, Marsanne,
Syrah, Pinot Grigio
Donna Luigia Malvasia DOC Colli
Piacentini 2013
Ottavo Giorno Vino da uve stramature
2011
Diacono Gerardo 1028 Gutturnio
Riserva DOC Colli Piacentini 2007
Enrico Primo Vino Spumante di Qualità
Brut Metodo Classico 2010
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
276
ROMAGNA
Torre San Martino
Piazza Mattei, 17
00186 Roma
Zona di produzione:
San Martino in Monte, Loc. Casone
47015 Modigliana (FC)
Tel. 06 89786312 - 0044 74 77949230
[email protected]
[email protected]
www.torre1922.co
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Iman Jouali
2001
Francesco Bordini
10
50.000 bottiglie
Sangiovese, Albana, Cabernet
Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot
Chardonnay, Sauvignon Blanc
Vigna 1922 Romagna Sangiovese
Superiore Riserva DOC 2012
Gemme Romagna Sangiovese
Superiore DOC 2014
Vigna della Signora Colli di Faenza
Bianco DOC 2014
Vigna Claudia Colli di Faenza Riserva
DOC 2012
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
277
ROMAGNA
Trerè
Via Casale, 19
48018 Faenza (RA)
Tel. 0546 47034 (ufficio)
348 2685356 (Morena)
348 8089108 (Massimiliano)
[email protected]
www.trere.com
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Morena Trerè, Massimiliano Fabbri
1960
Emiliano Falsini
35
150.000 bottiglie
Sangiovese, Albana, Pagadebit,
Pignoletto, Famoso, Cabernet
Sauvignon, Merlot, Chardonnay,
Sauvignon Blanc
Renero Colli di Faenza DOC
Sangiovese 2013
Amarcord Romagna DOC Sangiovese
Riserva 2012
Compadrona Romagna DOCG
Albana 2014
Viola Spumante Extra Dry
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
278
EMILIA
Venturini Baldini
Via F. Turati, 42
42020 Roncolo di Quattro Castella (RE)
Tel. 0522 249011 - 344 2227146
[email protected]
www.venturinibaldini.it
Responsabile/i
Enologo
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Nicola Verrini
Carlo Ferrini
122.000 bottiglie circa
Malvasia, Candia Aromatica,
Lambrusco Grasparossa,
Lambrusco Salamino, Malbo Gentile,
Marani, Croatina
Colli di Scandiano e Canossa Malvasia
DOP 2014
Reggiano Lambrusco DOP 2014
Mater Rubino del Cerro 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
279
ROMAGNA
Viabizzuno agricola
Via Bizzuno 15/2
48022 Bizzuno
Lugo (RA)
Zona di produzione:
Via Baccagnano, 36
48013 Brisighella (RA)
Tel. 335 5428811 - 338 5690400
vendite@ viabizzunoagricola.com
www.viabizzunoagricola.com
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Cristina Manaresi
2005
Francesco Bordini
5
5.000 bottiglie
Sangiovese 1 ha, Cabernet 1 ha,
Trebbiano 1 ha, Chardonnay 2 ha
Vigneto in Brisighella. Forma di allevamento a cordone speronato.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Bagliori notturni 2012
Rosso per lui 2012
Nube alta 2013
E’ mi vecc 2011
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
280
COLLI DI PARMA
Vigna Cunial
Azienda Elena
Via Valtermina, 52/A
43029 Traversetolo (PR)
Tel. 0521 342297 - 348 2891900
[email protected]
www.vignacunial.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Gianmaria Cunial
2003
15
20.000 bottiglie
Malvasia Aromatica di Candia, Barbera,
Sauvignon, Cabernet, Mrlot, Pinot nero,
Pinot bianco, Syrah
Monteroma Spumante Brut Malvasia di
Candia Aromatica 2013
Valle di Sivizzano Spumante Brut
Sauvignon Blanc 2014
Primorosso Barbera 2011
Riserva Syrah 2013
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
281
EMILIA
Villa di Corlo
Strada Cavezzo, 200
Baggiovara (MO)
Tel. 059 510736 - 338 2878501
[email protected]
www.villadicorlo.com
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Maria Antonietta Munari
1998
Fabrizio Moltard
25
85.000 bottiglie
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro,
Lambrusco di Sorbara, Chardonnay,
Cabernet Sauvignon
L’azienda dal 1998 si sviluppa su due diverse tenute. Nel modenese dimorano i vigneti dei Lambruschi
mentre nelle colline reggiane ha piantato i vitigni internazionali, Chardonnay e Cabernet Sauvignon.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Corleto Lambrusco Grasparossa di
Castelvetro DOC 2014
Primevo Lambrusco di Sorbara DOC
2014
Rosanto Spumante Rosè di Lambrusco
Grasparossa 2014
Giaco Cabernet Merlot Barricato IGT
Emilia 2012
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
282
ROMAGNA
Villa Papiano
Via Ibola, 24
47015 Modigliana (FC)
Tel. 0546 941790
[email protected]
www.villapapiano.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Francesco Bordini
2000
Francesco Bordini
10
50.000 bottiglie
Sangiovese, Albana,
Sauvignon Bianco, Centesimino,
Le Papesse di Papiano Romagna
Sangiovese DOC 2014
I Probi di Papiano Romagna Sangiovese
Modigliana Riserva 2012
Terra IGT Sillaro Albana 2014
Tregenda Riserva Albana da
vendemmia tardiva 2013
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
283
ROMAGNA
Villa Venti
Via Doccia, 1442
47020 Roncofreddo (FC)
Tel. 0541 949532 - 333 4645911
[email protected]
www.villaventi.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Mauro Giardini
2002
Francesco Bordini
7
25.000 bottiglie
Sangiovese, Centesimino, Famoso,
Cabernet Franc, Merlot
Primo Segno Romagna DOC
Sangiovese 2012
Serenaro IGT Forli’ Bianco 2014
Riserva Romagna DOC Sangiovese
Longiano Riserva 2011
A Vino Rosso
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
284
EMILIA
Zanasi Az. Agr.
Via Settecani Cavidole, 53
41051 Castelnuovo Rangone (MO)
Tel. 059 537052
[email protected]
[email protected]
www.zanasi.net
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Marco Uccellari
2001
Giovanni Fraulini
35
280.000 bottiglie
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro,
Malbo gentile, Pignoletto, Trebbiano
Graspaoro Lambrusco Grasparossa di
Castelvetro DOP Frizzante rosso secco 2014
Intrigante Lambrusco Grasparossa
di Castelvetro DOP Spumante Rosè Brut 2014
Pignoletto DOP Frizzante bianco secco 2014
Before Pignoletto DOP Spumante
Bianco Secco 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
285
ROMAGNA
Zanetti Protonotari Campi
Via Villa I Raggi, 40
47016 Fraz. Colmano Predappio (FC)
Tel. 0543 922390
[email protected]
www.villairaggi.com
Responsabile/i
Gian Paolo e Francesco Zanetti
Protonotari Campi
Anno di fondazione
1880 circa
Enologo
Giorgio Balducci
Ettari vitati
18
Produzione annua
10.000 bottiglie
Vitigni presenti in azienda Sangiovese, Chardonnay, Trebbiano,
Albana, Cabernet Sauvignon
L’Azienda si dispiega attorno a Villa I Raggi nella frazione Colmano a 8 km da Predappio (Romagna) e dista
16 Km da Forlì, 100 Km da Firenze, 50 Km da Ravenna e 80 Km da Bologna. Il Conte Giuseppe Campi, uomo
di vasta cultura e membro attivo dell’Accademia dei Georgofili in Firenze, fondò la Cantina nella seconda
metà del XIX secolo: nel 1889, il suo Sangiovese venne premiato all’Esposizione Universale di Parigi. La
famiglia Zanetti Protonotari Campi ha continuato la viticoltura attraverso il ‘900 e la cantina è stata migliorata
secondo le più recenti tecniche enologiche. Gian Paolo e Francesco allevano vitigni autoctoni come
Sangiovese, Trebbiano e Albana e vitigni internazionali come Chardonnay e Cabernet Sauvignon su poco
meno di 18 Ha ad una altitudine compresa tra i 250 e i 300 m.s.l.m. Il terreno dell’azienda è di medio impasto
e tendente al sabbioso e conferisce al Sangiovese un particolare aroma con un fondo pieno e leggermente
amaro, il profumo ricorda la rosa e vagamente la viola, infine la struttura è elegante. La cantina si trova sotto
la villa al centro di un bosco di querce secolari.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
Villa I Raggi Romagna DOC Sangiovese
Predappio Riserva 2012
Colmano Romagna DOC Sangiovese
Predappio 2013
Le Vigne Forlì IGT Chardonnay 2014
Il Garibaldino Forlì IGT Sangiovese 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
286
EMILIA
Soc. Agr. Zucchi
Via Viazza, 64
Tel. 059 908934 - 339 8679017
[email protected]
www.vinizucchi.it
Responsabile/i
Anno di fondazione
Enologo
Ettari vitati
Produzione annua
Vitigni presenti in azienda
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Silvia Zucchi
1950
Davide e Silvia Zucchi
9,5
100.000 bottiglie
Lambrusco di Sorbara
Lambrusco Salamino
Lambrusco di Sorbara DOC
Etichetta Bianca 2014
Lambrusco di Sorbara DOC Rito 2014
Lambrusco di Sorbara DOC
Rifermentato In Bottiglia 2014
I vini proposti in degustazione sono in vendita
NOTE
287
Catalogo di
NOTE