Presentazione di Gonçalo Byrne - Università degli Studi di Sassari
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Presentazione di Gonçalo Byrne - Università degli Studi di Sassari
Aldo Lino Presentazione di Gonçalo Byrne, candidato alla Laurea honoris causa in Architettura presso l'Università degli Studi di Sassari Magnifico Rettore, Stimati Colleghi e Stimate Colleghe, Chiarissime Autorità, Cari Studenti, Gentilissime Signore e Gentili Signori, sono particolarmente lieto di presentare, a nome del Dipartimento di Architettura, Design e Urbanistica dell’Università degli Studi di Sassari, la proposta di conferimento della Laurea honoris causa in Architettura all’architetto Gonçalo Byrne. Gonçalo Byrne è un architetto portoghese di fama internazionale, insignito della Medaglia d’oro dall’Accademia degli architetti di Francia nel 2000, professore invitato in numerose scuole di Architettura europee e nordamericane. Anche noi, nella nostra Università, abbiamo avuto l’onore di ospitarlo per diversi anni come apprezzatissimo docente dei corsi di progettazione architettonica e urbana. E di lui, ricordiamo innanzitutto, nel cercare elementi da cui partire per progetto di architettura, la sua capacità di leggere i luoghi, i paesaggi naturali e gli insediamenti umani. Anche quelli appena conosciuti, a partire da alcuni segni significativi, segni del paesaggio e segni della storia. Oppure rubando letture e immagini a qualche intelligente visitatore. Con impareggiabile sensibilità, anche capace di restituire passione di conoscenza e rinnovata curiosità agli abituali frequentatori dei luoghi che descrive da occasionale ospite. E da questi segni dipanare poi uno straordinario racconto di meravigliose geografie, di segni della storia, di scritture della terra, che compongono lo spazio intorno a noi e la cui approfondita conoscenza ci consente di manipolarle, di trasformarle, di adattarle col progetto alle nuove esigenze che la vita delle comunità e dell’uomo pongono. Poiché l’opera di architettura, piuttosto che arbitraria invenzione del nuovo, ricercata singolarità e stucchevole eccezione, deve essere trasformazione e intelligente manipolazione di ciò che le sta intorno. Deve avere l’ambizione di conquistare il diritto a entrare nella storia accanto a momenti già esistenti. Un’architettura è bella e giusta anche perché ci è familiare: una bella e giusta architettura è come se ci fosse sempre stata, vicina a noi, quasi una naturale presenza, un discreto e silenzioso complice, e così durerà e potrà stare molto a lungo nei luoghi che la ospitano. L’opera più nota e certamente la più esemplare, è, da questo punto di vista, il Centro di coordinamento e controllo del traffico marittimo del porto di Lisbona, progettato e costruito a Belèm fra il 1997 e il 2001. Un edificio esemplare perché, nella sua eccezionale alterità, ci racconta quel luogo e il suo carattere, riassume in efficace sintesi le diverse “curiosità” culturali e intellettuali dell’indagine sul progetto di architettura di Gonçalo Byrne. 1. Che sono curiosità per i valori paesaggistici e ambientali, 2. che sono curiosità per i valori insediativi e urbani, 3. che sono curiosità per i valori storici e monumentali. Come un solitario menhir, un faro su un promontorio o un obelisco barocco, ponendosi come punto notevole di attrazione visiva, diventa ‘rovesciata cornice’ del luogo. Come un monumento al centro di una piazza, sottolinea ed esalta lo spazio intorno. In-scrivere piuttosto che circo-scrivere. Capace quindi di esaltare lo scenario ambientale e paesaggistico, dove gli elementi naturali dialogano fittamente con gli elementi artificiali, dove si fa serrato il rapporto fra il fiume Tago e la città di Lisbona, poco prima che il corso d’acqua si getti nel grande Oceano, sterminato eppure dominato. L’acqua in quel punto si unisce al cielo, divisa soltanto da una sottile ma nitida striscia di terra: orizzontale e verticale si coniugano e generano quella linea obliqua che diventa il carattere distintivo e formalmente più significativo dell’edificio. Anche perché per controllare bisogna sporgersi, allontanandosi un poco dall’appoggio: l’ascensione obliqua del volume diventa allegoria dell’equilibrio incerto di chi si sporge per controllare. (Le ragioni del simbolo sembrano prevalere sulle ragioni della struttura, che viene in qualche modo “ingannata”, e ci riportano al dubbio antico sulle ragioni dell’architettura, che molto spesso nella sua storia ha anteposto la rappresentazione ad altre necessità). Il controllo avviene dal coronamento che, senza soluzione di continuità nel profilo del volume sul tronco metallico, a sua volta appoggiato sulla base in pietra, con le trasparenze del vetro si fa attraversare dalla luce e manda luce come un grande occhio. Singolare terminale urbano e insieme esaltata metafora delle logge veneziane, come si ritrovano discretamente citate nella vicina torre cinquecentesca di Belèm, quel possente presidio (cui frequentemente si riferisce nei suoi progetti a Lisbona Gonçalo Byrne), eretto dai sovrani portoghesi a completamento del sistema difensivo della foce del fiume. E si legge qui un tributo alla cultura architettonica italiana, di quella cultura italiana che aveva scritto originali pagine di storia sia nel periodo fra le due guerre che nel secondo dopoguerra con importanti riflessioni che sono alla base della formazione di Byrne architetto. Perché in questo edificio ritroviamo analogie con il progetto della Torre per l’Arengario in piazza del Duomo a Milano di Ignazio Gardella. Dove il rapporto con la città è veicolato dall’aria che penetra nelle maglie aperte del telaio strutturale, attraversato in verticale dalla grande scala fino a conquistare un inusuale punto di vista, un osservatorio privilegiato della piazza, del Duomo e della città. Perché questo edificio sembra dover ospitare la celebrazione di un sacro rito, come un allegorico altare sacrificale, così come siamo abituati a leggere l’efficacia simbolica e formale della scalinata che porta alla grande terrazza sul Capo Masullo nella Villa Malaparte a Capri. Perché questo edificio sembra essere nato in un gioco di appunti e contrappunti con il Teatro del Mondo di Aldo Rossi. Dove questo, con i panni semplici dei volumi geometrici puri, si racconta e si rappresenta facendo immaginare una complessità interna, e quello invece, con il carattere singolare della sua forma, vive della sua presenza rispetto al suo intorno. Uno dice che l’Architettura è dentro di noi, l’altro dice che l’Architettura è ciò che ci sta intorno. Uno, dissimulandosi, cerca di confondersi fra i monumenti della città, incerto e instabile sulla chiatta come un turista occasionale, l’altro, vigorosamente attaccato a terra come naturale protuberanza, prua di nave cannoniera saldamente ancorata nelle tranquille acque del porto, vuole mettersi in prima fila dominando simbolicamente il luogo, ergendosi sull’orizzonte come corazzato baluardo della gloriosa storia della città. …………….. Gonçalo Byrne nasce ad Alcobaça, in Portogallo, il 17 gennaio del 1941. Si laurea in architettura nella Scuola Superiore di Belle Arti di Lisbona (ESBAL) nel 1968. Subito dopo la laurea partecipa a diversi gruppi di ricerca presso il laboratorio nazionale di ingegneria civile a Lisbona. Contemporaneamente intraprende l’attività professionale in collaborazione con altri studi, prima con Chorao Ramalho e poi con Nuno Teotònio Pereira e Nuno Portas. Lo stesso Nuno Portas così lo ricorda: “Quando, in questo primo periodo, le opportunità di lavoro erano minori, Gonçalo Byrne ha conosciuto una fase di formazione teorica sulle questioni metodologiche della progettazione e dell’architettura urbana o dell’urbanità dell’architettura, polarizzata tra i nuovi realismi milanesi/veneziani e i nuovi razionalismi britannici di Cambrige, che non lo ha visto però cercare riferimenti nelle forme superficiali, ma approfondire le questioni di struttura e significato che emergevano dalla ricerca meditata che, …, ha sempre praticato, pur senza ostentarlo”. Ed è appunto nello studio di Teotònio Pereira e di Nuno Portas che Gonçalo Byrne ha l’occasione di redigere il suo primo, importante progetto urbano: il complesso d’abitazione a Chelas, del 1972, noto come il “Gallaratese di Lisbona”. Un insediamento dall’impianto semplice e contemporaneamente articolato, geometricamente rigoroso, un pezzo di città con precise gerarchie spaziali, con una sua strada e una sua piazza definite da fronti edilizi e cellule abitative di sapore razionalista: una sorta di “new town” che, nella volontà di controllare compositivamente lo spazio pubblico, cerca di superare i limiti del “quartiere” di periferia urbana. Nel 1975 costituisce uno studio professionale in proprio e, grazie anche alla notorietà conquistata con il complesso residenziale di Chelas, viene incaricato di formare una “squadra di progetto” per la realizzazione di un importante intervento di edilizia popolare per il programma SAAL (programma varato in seguito alla “Rivoluzione di aprile” del 1974 e che prevedeva il coinvolgimento dei futuri abitanti nell’elaborazione progettuale e nelle diverse fasi costruttive). La felice stagione che l’architettura in Portogallo ha vissuto a partire da quella data, e successivamente con l’ingresso del paese nella Comunità europea, è dovuta soprattutto agli ambiziosi programmi che sono stati avviati dalle istituzione e dalle municipalità per dotare il paese delle infrastrutture e dei servizi adeguati agli standard correnti degli altri paesi europei. E Gonçalo Byrne ha saputo interpretare al meglio quella favorevole contingenza e gli incarichi che il suo studio acquisisce (spesso con la partecipazione a concorsi) sono sempre più importanti e numerosi. Ricordiamo fra i tanti il Centro per esposizioni e attività sportive a Braga del 1977, le Agenzie bancarie a Vidigueira e Arraiolos, il progetto di concorso per il Centro culturale di Belèm a Lisbona del 1988, il Complesso sportivo a Vila do Conde del 1991, la ristrutturazione del Teatro Dona Maria a Lisbona, la Facoltà di informatica ed elettrotecnica dell’Università di Coimbra del 1991, il Porto turistico a Marina di Lagos, il Rettorato del campus dell’Università di Aveiro del 1992… Nel 1993 fonda insieme con l’architetto Manuel Aires Mateus lo studio GBMM Arquitectos Associados. Fa parte della Direzione della Sezione Portoghese della U.I.A. (Union Internationale des Architectes) ed è delegato nelle assemblee mondiali e nei congressi di tale associazione. Professore invitato all’Ècole Polytechnique Fèdèrale di Losanna, presso il Dipartimento di architettura della facoltà di scienze e tecnologia dell’Università di Coimbra, all’università di Lovanio e nel 1995 presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. A partire dal 2007 e fino al 2009 viene chiamato a insegnare Progettazione Architettonica e Urbana presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli studi di Sassari sede di Alghero. Scrive opere e numerosi saggi pubblicati in volumi nazionali ed esteri. ……………. 1. Abbiamo detto prima dell’attenzione di Gonçalo Byrne ai valori ambientali e al contesto paesaggistico. Forse il progetto che descrive meglio questa sua sensibilità è il complesso per abitazioni Casal das Figuieras a Setùbal, città costiera a 50 chilometri a sud di Lisbona. Risale al 1975 ed è stato realizzato all’interno dell’operazione SAAL (quell’originale interpretazione di progettazione e costruzione partecipata, che vide impegnato anche Alvaro Siza con il suo intervento a Èvora, la famosa malha da Malagueira). Il programma prevedeva la costruzione di 300 alloggi di abitazioni popolari da inserire ai margini dell’abitato sulla collina antistante. Il progetto sfrutta la condizione topografica caratterizzata dall’incontro di due pendii e contemporaneamente la presenza di alcune preesistenze significative come elementi cardine della composizione. A partire dai resti di una strada romana vengono individuate le direzioni dominanti dell’impianto, mentre i mulini che punteggiano la sommità del colle diventano i punti di riferimento nella scelta dell’andamento delle stecche d’abitazione. Le schiere dell’edificato, disposte perpendicolarmente rispetto alle curve di livello, sono sviluppate a gradoni assecondando così l’accentuato declivio del terreno. Le stecche residenziali consolidano la grande linea orizzontale dell’edificato sulla cima del monte e insieme alle schiere più alte, disposte lungo la dorsale del terreno, disegnano segni molto forti nel territorio. Un’organizzazione dell’insediamento che sembra cercare un nuovo ordine, coerente con l’ordine esistente, sottolineando ed esaltando le tensioni della morfologia e della geografia del paesaggio. Efficaci le parole di Antonio Angelillo a commento di questo progetto: “… Un insieme di lineari corpi di fabbrica, costituiti da tipi edilizi semplici di uno o due piani, si appoggia sul limite del crinale della collina sottolineandone il profilo, mentre altre scendono perpendicolarmente alla foce del fiume con il quale instaurano un rapporto visivo, come avviene in certe strade della capitale portoghese… La conquista della sommità della collina a livello dei mulini … rappresenta un vero e proprio atto fondativo del paesaggio urbano, poiché segnala decisamente la conclusione della città…”. …………… 2. Un altro carattere significativo dell’opera di Gonçalo Byrne è costituito dalla sua attenzione ai valori urbani e al tessuto morfologico, inteso come lenta e intelligente costruzione nel tempo,, articolato e complesso edificio che la storia ci restituisce come città. Scoprire le regole con cui si è costruita la città e usarle come matrice del progetto, punti di riferimento da cui nascono linee che bisogna prolungare e rafforzare nell’ideazione del nuovo. Così si può leggere la sua proposta al concorso per il Centro Culturale di Belèm a Lisbona del 1988. Lasciandosi affascinare dalla struttura morfologica dell’area, analizza il contradditorio percorso di un sito in cui si è accumulata una forte carica di memoria storica legata al periodo aureo delle scoperte portoghesi, dove il tessuto urbano e l’equilibrio geografico sono stati ripetutamente stravolti provocando così momenti di discontinuità molto evidenti. A differenza di Vittorio Gregotti, autore di un progetto (vincitore e realizzato) che rende protagonista l’oggetto architettonico come singolare manufatto monumentale, la proposta progettuale di Gonçalo Byrne (memore forse della energia urbana che la settecentesca Lisbona del marchese di Pombal voleva esprimere per esorcizzare la catastrofe del terremoto) costruisce nuovi (o meglio antichi) assi viari, recupera rapporti visivi fra le emergenze monumentali, apre dialoghi fra questi ultimi e il tessuto residenziale, fra i valori ambientali e le sue manipolazioni più o meno intelligenti del passato prossimo e anche di quello remoto, coraggiosamente facendo proprie le ambiguità e le contraddizioni dello sviluppo storico e contemporaneo di quella parte di città. Il progetto è lo specchio della complessità urbana e la sua realizzazione deve essere dilazionata nel tempo, così che le diverse addizioni abbiano la possibilità di fare tesoro dell’esperienza maturata (chiamare il tempo a partecipare alla elaborazione del progetto) come appunto la città si è costruita e ha costruito, lentamente nel tempo, la sua immagine e la sua architettura. Legare inoltre gli edifici agli antichi nuclei urbani con elementi di architettura che facciano intuire una trama sapientemente disegnata. La città può, finalmente, ricominciare a crescere con le sue regole. Il tema del concorso e le dimensioni dell’intervento hanno dato luogo a un dibattito sullo sviluppo della città che ha coinvolto ogni scuola e tendenza e offerto importanti contributi alla discussione intorno al problema del progetto urbano. Le ipotesi progettuali formulate a scala urbana restituiscono allo studio Byrne un unanime riconoscimento sia da parte degli ambienti culturali che da parte degli ambienti istituzionali. Il concorso di idee per la realizzazione del centro culturale di Belèm suggella emblematicamente l’ingresso del Portogallo nella comunità europea e lo sviluppo economico che ne è conseguito, avviando nel contempo l’apertura all’esterno della cultura architettonica portoghese dandole ruolo di protagonismo sulla scena internazionale. …………. 3. La particolare sensibilità di Gonçalo Byrne rispetto ai valori monumentali la ritroviamo efficacemente dimostrata nell’intervento di riqualificazione dell’area circostante l’Abbazia di Santa Maria de Alcobaça del 1991. Privilegiando il ruolo dello spazio monumentale del chiostro come momento di incontro fra il complesso storico e la zona circostante, il progetto cerca di recuperare la relazione tra la città e l’abbazia, la loro interdipendenza e complementarietà. Una relazione che è ragione fondante dell’insediamento e che è quindi motivo principale della salvaguardia del complesso monumentale. Leggiamo nella scheda del volume che illustra la sua opera: “Le soluzioni progettuali adottate cercano sempre di privilegiare il carattere immanente della preesistenza rispetto al nuovo contenuto di programma, risolto in maniera discreta e dissimulando le nuove aree di servizio così come i sistemi e le reti dei percorsi necessari a garantire un funzionamento versatile ed efficiente. La luce è infatti la materia prima per eccellenza dell’architettura, ed è nella sua capacità rivelatrice epifanica che risiede il nesso principale dello spazio con la temporalità. È infatti essa soprattutto, che permette di introdurre nel costruito una sequenzialità, un’alternanza, una diacronia del tempo. La verità è che i segni lasciati da quest’ultimo hanno permesso di evidenziare, nel magnifico comprensorio abbaziale, alcune coerenze perdute e, al contempo, scoprire alcuni processi di intrusione che il sito ha subito nel corso dei secoli e che il progetto ha tentato di contrastare”. ………… Il Rettorato del campus dell’Università di Aveiro è indubbiamente l’opera che meglio racconta la capacità di Gonçalo Byrne di tradurre in costruzione un preciso programma funzionale facendolo diventare opera di architettura compiuta in ogni sua parte, come impianto, come struttura spaziale, come immagine rappresentativa. Programma funzionale considerato con molto realismo, tenuto sempre discretamente presente, in una proposta di esemplare chiarezza tipologica dove gli spazi maggiori sono strettamente intrecciati e compenetrati con gli spazi minori, in un disegno che nonostante le manipolazioni, gli ampliamenti, le ripetizioni non dimentica l’impianto di partenza e che si chiude con una figurazione compositivamente precisa, serena, elegante, e, certamente anche, monumentale. L’edificio del Rettorato costituisce il capitolo conclusivo dell’opera di costruzione dell’università di Aveiro. Oltre a rappresentare la Casa Mater di tutta l’università, rispecchia nella sua organizzazione interna le complesse attività della comunità accademica che accoglie. La sua struttura è una sorta di microcosmo che riflette la molteplicità delle funzioni ospitate attraverso una reinterpretazione in chiave contemporanea della tipologia conventuale. Sulla base di tali presupposti, Byrne ha scelto di fondere il corpo allungato e quello quadrangolare ad esso collegato, ottenendo, a partire da uno schema distributivo continuo piuttosto semplice, l’articolazione di una gamma di ambienti con caratteri e destinazioni d’uso differenti. Gli spazi di percorso sono alquanto estesi e instaurano una continuità con le aree esterne, così da ricavare un effetto urbano che rafforza la sensazione di trovarsi in una città in miniatura, dove imperano differenze di funzioni e atmosfere, familiarità e alterità, somiglianze e diversità, una scena multiforme ed eterogenea che simula appunto la scena urbana. ………….. Si accennava prima al carattere fondamentale dell'architettura portoghese che, così come in altre regioni europee, si pone come momento di recupero della modernità e della sua eredità, dei valori dell'esperienza del moderno dopo la crisi della seconda guerra mondiale e la stanca deriva dell’International Style. Crisi che aveva portato la cultura degli architetti europei in due direzioni di ricerca differenti: da una parte la necessità di un ritorno alla storia e dall’altra l’affermazione del primato della tecnologia. In Italia Ernesto Nathan Rogers assume la direzione di Casabella e la chiama Casabella Continuità, dichiarando così di voler proseguire l’esperienza del Movimento Moderno. In realtà pur proponendosi di proseguire la ricerca nel solco di quella straordinaria esperienza, è evidente il tentativo di trovare nuove strade per il progetto di architettura, che non poteva più fare affidamento sulle certezze dei decenni precedenti. E così si spiega il ritorno alla storia, quella storia che i maestri del moderno aveva spesso trascurato e talvolta rifiutato. La rivista diventa punto di riferimento per le istanze di rinnovamento e di riflessione critica, ospitando ed illustrando le nuove e diverse esperienze che si andavano maturando. Tra le tante basta ricordare quella di Albini con la sua Rinascente a Roma e dello stesso Rogers con la Torre Velasca a Milano. Opere che documentano in modo superbo l’originale contributo italiano al dibattito internazionale. L’architettura italiana con queste ed altre eccezionali individualità, vive negli anni Cinquanta una bellissima stagione e le pagine di Casabella ne dipanano l’affascinante racconto. Rogers raduna intanto nella redazione della rivista una agguerrita pattuglia di giovani architetti (tra gli altri Gregotti, Polesello, Canella, Tintori, Rossi, Grassi). Il ritorno alla storia approderà nel terreno, già dissodato da Saverio Muratori e dai suoi allievi, degli studi urbani. Inizia così una stagione di fertile dibattito e approfondimento sull’architettura e il suo territorio, sull’analisi dei fenomeni urbani, sul rapporto tra morfologia e tipologia, tra tessuto residenziale ed emergenze monumentali. Libri come “Il territorio dell’architettura” di Vittorio Gregotti, “L’architettura della Città” di Aldo Rossi, oltre alle ricerche portate avanti da Carlo Aymonino presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, costruiscono una rinnovata e importante attenzione alla città come soggetto primo del fare architettura. Su questo impianto di ragionamento e di costruzioni teoriche si formano negli anni a venire numerose generazioni di architetti. Ma in Italia oltre all’opera dei maestri, lo sforzo teorico non produce una pratica progettuale che riesca a imporsi sulla scena internazionale. L'Italia, maestra del pensare, dello scrivere e del dire, sembra incapace al fare e la stagione dei grandi studi teorici non produce poi grandi architetture. In altre situazioni, pur periferiche, il fare diventa la regola per dire. L’eredità culturale di questa “scuola italiana” viene raccolta altrove e altrove emergono presenze che guardano alle scuole di Milano e di Venezia con gli occhi degli allievi, riprendendo contemporaneamente, con grande determinazione, il ragionamento interrotto dell’architettura moderna. Protagonisti diventano i ticinesi (con Tita Carloni, Aurelio Galfetti, Luigi Snozzi, Mario Botta, Livio Vacchini), spagnoli e catalani (con Rafael Moneo, Ignasi de Solà-Morales, Carlos Ferrater, Alberto Campos Baeza, e su diverse sponde Eric Miralles), ed anche i portoghesi con Fernando Tàvora, Ålvaro Siza Vieira, Gonçalo Byrne, Joao Carrilho de Graça, Eduardo Souto de Moura e numerosi altri. Lo scenario culturale in cui si muove il dibattito sull’architettura in Portogallo, che cerca di capire il portato dell’eredità del moderno in regioni marginali e periferiche come quella lusitana, è caratterizzato da due realtà tra di loro in qualche modo contrapposte: da una parte la “Escola do Porto” con Fernando Tàvora e Ålvaro Siza, dall’altra la scuola di Lisbona. Minimalisti, creativi e neomoderni gli uni, universalisti, monumentalisti e postmoderni gli altri. Il progetto come risultato di una riflessione urbanistica, morfologica e paesaggistica da una parte, dall’altra la necessità di proporre oggetti architettonici come segni isolati e unici, alla ricerca di una rinnovata monumentalità e costruzione di una città rappresentativa di una orgogliosa contemporaneità. Gonçalo Byrne svolge un ruolo di mediazione fra queste due posizioni, riuscendo a restituire all’architettura il ruolo di costruzione razionale, obbediente al carattere del sito e alle necessità della domanda, e insieme un ruolo simbolico e rappresentativo. Capace di dissimulare le sue architetture nella macchina urbana e paesaggistica con volumi geometrici semplici e austeri, monumentali nella parsimonia delle loro bucature, rigorosamente rispettosi della lezione della storia e dei segni importanti dei luoghi. Riservando nel contempo meravigliose sorprese negli spazi interni (l’architettura è prima di tutto vuoto intestino, contenitore di vita, come la grande romanità ci ha insegnato), fra di loro in serrato dialogo e dove la luce viene sapientemente manipolata per rivelare ed arricchire la dimensione del nostro stare, del nostro andare, del nostro comunicare. Dice Nuno Portas nel suo appassionato saggio: “… Né le peculiarità dei diversi programmi funzionali, che egli svolge con particolare rigore, né le opportunità offerte dai luoghi in cui interviene sono di per sé sufficienti a spiegare ciascuna risposta architettonica: sono soltanto le estremità dei fili che tessono la maglia dei suoi progetti e dalle quali scaturiscono sia la loro coerenza che la loro serena rinuncia a qualsiasi effetto spettacolare”. E di rincalzo Ignasi de Solà Morales: “La presenza di Gonçalo Byrne è una presenza laconica, onesta nel silenzio, misurata nell’eloquio, Indifferente alla Babele comunicativa della città contemporanea”. ………………… Grazie al preside professor Giovanni Maciocco, innamorato fondatore di questa nostra ‘avventura architettonica’, Gonçalo Byrne è stato chiamato a insegnare negli anni accademici fra il 2007 e il 2009 presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli studi di Sassari, sede di Alghero, considerevolmente arricchendo un riconosciuto primato di notevole prestigio e qualità dell’offerta didattica della nostra Scuola. Di quella esperienza raccogliamo una testimonianza che ci restituisce l’architetto Giovanni Maria Filindeu, collaboratore alla didattica dei corsi di Progettazione architettonica e urbana tenuti da Gonçalo Byrne: “L’architettura raccontata da Byrne è materia seducente. Seducente nel senso letterale di qualcosa che conduce verso di sé, che affascina per coinvolgere. Un racconto capace di occuparsi delle strutture profonde della relazione tra gli uomini ed il proprio ambiente, confortato dalla conoscenza ed esperienza tecnica del fare concreto ma continuamente attraversato dal mistero che avvolge e rinnova i processi di trasformazione dello spazio di vita. Durante la sua prima lezione ad Alghero, Byrne descrive Bosa. Lo fa partendo da una bella fotografia di Gabriele Basilico. L’immagine, scattata dalla sponda settentrionale del Temo, si concentra sulle conce evidenziandone la sequenza spaziale. Il taglio esclude i due estremi della fila di costruzioni legittimandone la possibilità di una sua prosecuzione. Anche la stessa sponda nord non appare minimamente. In questo modo lo stesso fiume non ha più una dimensione certa. Gonçalo Byrne vede Bosa per la prima volta attraverso questa immagine, non sa se quello che ha davanti è un fronte di case affacciate sul mediterraneo o se fa parte di un margine periferico, resto di una più gloriosa città di mare. Non lo sa, ma se lo chiede. Sa però che tutti gli studenti che ha di fronte conoscono Bosa. E’ consapevole che loro hanno subito riconosciuto quello che hanno di fronte. Ma Byrne non vuole che gli studenti riconoscano Bosa, vuole che la dimentichino. Byrne indaga come Holmes cercando indizi tra gli intonaci delle conce, tra le trachiti e i basalti alle loro spalle, nella luce e nell’acqua coinvolgendo tutto il gruppo in questo sforzo nel quale, mentre il loro docente si avvicina a Bosa, essi cominciano ad allontanarsene. Cominciano le prime domande, quasi sempre le sue. Poche, per ora, quelle rivolte dagli studenti. Byrne chiede, si interroga, ricostruisce pezzo per pezzo Bosa attraverso i lotti gotici fino al castello e da lì al mare e di nuovo alle conce, aggiungendo e complicando il mosaico fino all’ultima tessera. Anzi no. Le ultime tessere le lascia lì sul tavolo. Il mosaico, per essere finito, non deve essere concluso. Gli studenti ora vedono Bosa. La vedono nella fotografia di Gabriele Basilico. La vedono, ancora immaginata, negli occhi di Gonçalo Byrne. La vedono, per la prima volta, attraverso il punto di vista della sua trasformazione. Scorgono già il progetto. Nelle lezioni e negli incontri successivi con gli studenti Byrne tornerà a parlare di Bosa e di architettura. Lo farà ora con maggiore consapevolezza rispetto al luogo, trattando spesso temi di grande complessità e concretezza relativi al progetto urbano ed architettonico, costruendo negli studenti il loro arsenale tecnico fondamentale per la futura professione. Ogni cosa va al suo posto, fino al dettaglio. Ogni studente si sente più sicuro rispetto alle proprie scelte di progetto ed al controllo dei processi di definizione spaziale che da esse dipendono. Byrne ha fornito a tutti loro un’ancora. Un riferimento sicuro che garantisce stabilità al loro progetto. Prima però, in quella prima lezione ad Alghero, si è preoccupato di fornire il più importante degli strumenti: la vela”. ………… Per quanto fin qui illustrato, in considerazione della produzione architettonica in qualità di progettista di chiara fama internazionale, del contributo didattico e scientifico offerto alla comunità, spaziando in competenze proprie delle discipline della Scuola di Architettura che interessano il progetto a tutte le scale, questo Dipartimento di Architettura, Urbanistica e Design dell'Università di Sassari, che ha sede ad Alghero, con delibera del Consiglio di Dipartimento del 9 del 24 luglio 2008 – approvata dal Senato Accademico del 20 gennaio 2009 e dal Ministero dell'Università e della Ricerca il 19 gennaio 2012 - , ha proposto la candidatura del professore architetto Gonçalo Byrne per il conferimento della Laurea Magistrale Honoris Causa in Architettura.
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