spunti teorici all`approccio logopedico del disturbo semantico
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spunti teorici all`approccio logopedico del disturbo semantico
GIUSEPPA DEODATO* SPUNTI TEORICI ALL’APPROCCIO LOGOPEDICO DEL DISTURBO SEMANTICO-LESSICALE RIASSUNTO L’autrice indaga nella letteratura la correlazione tra gesto, lessico e semantica del linguaggio; e delinea secondo questa correlazione i profili del Disturbo Specifico del Linguaggio, della Sordità, della Sindrome Down, della Sindrome di Williams, dei disturbi dello Spettro Autistico considerando lo stile comunicativo del bambino e l’approccio logopedico per individuare le parole nel suo eloquio spontaneo, anche quando esso risulta limitato nella sua intellegibilità. Vengono esaminati anche i prerequisiti dello sviluppo del linguaggio e si riconosce importanza primaria al rapporto duale madre-bambino, all’attenzione condivisa sull’oggetto e ai performativi tra cui il sorriso sociale, l’intenzionalità comunicativa e l’indicazione richiestiva e dichiarativa. SUMMARY The author investigates in the literature the correlation between gesture, lexicon and semantics of language; and according to this correlation she outlines the contours of the Specific Disorder of Language, Deafness, Down Syndrome, Williams Syndrome and Autism Spectrum Disorders, considering the communication style of the child and the speech therapy approach to locate the words in his spontaneous speech even when it is limited in its intelligibility. The author also examines the prerequisites for the development of language and recognizes the primary importance to the dual motherchild relationship, to shared attention on the object, and to the performatives including social smile, intentional communication, request indication and declarative indication. Logopedista ASS 6 "Friuli Occidentale" UOS NPI di Maniago. Laurea Specialistica in Scienze delle Professioni Sanitarie della Riabilitazione. * 47 Formazione Psichiatrica n.1 Gennaio-Giugno 2014 Introduzione Le competenze linguistiche sono svariate e vedono coinvolte meccanismi di recezione, selezione e combinazione che presuppongono l’integrità delle funzioni esecutive e prassiche, e una sana relazione affettiva con sviluppo della reciprocità e dell’attenzione condivisa su un oggetto esterno alla relazione duale madre-bambino. Tra i prerequisiti necessari vi è l’acquisizione dei performativi tra i quali il sorriso sociale e lo scambio comunicativo che si realizza durante il babbling e che rafforza il gioco ludico-articolatorio del bambino. Il linguaggio è il mezzo più economico di comunicazione, di scambio, e di organizzazione del pensiero concreto e poi simbolico con sviluppo della capacità di pianificare tante azioni aventi unico scopo, di problem solving e di progettualità. E’ la presa di coscienza dell’individuo che man mano che cresce si afferma dicendo “io” e “mio”, “mamma” e “papà”, “no” “voglio” e così esprime desideri, bisogni, necessità, dolore, gioia,…. fino ad autodeterminarsi prendendosi il carico e il rischio della propria vita nell’avventura che è la vita nel mondo sociale e civile. Il primo sviluppo del linguaggio Secondo Volterra ed Erting (1994) e Abrahamsen (2000) fin dai primi stadi dello sviluppo il repertorio comunicativo dei bambini non si limita agli elementi vocali del parlato, ma comprende anche molti elementi gestuali. L’inizio della comunicazione gestuale tra i 9 e i 13 mesi è contrassegnato dalla comparsa di una serie di gesti (richiesta ritualizzata, mostrare, indicare) che sembrano precedere la comparsa delle prime parole. Questi gesti definiti inizialmente performativi, e negli studi più recenti deittici, vengono usati per riferirsi ad oggetti, eventi esterni ed esprimono soltanto l’intenzione comunicativa del bambino. Il referente di questi gesti è dato interamente dal contesto extralinguistico in cui la comunicazione ha luogo (Bates et al. 1975; 1979). Il gesto di indicare viene utilizzato dai bambini con due diversi intenti comunicativi: per richiedere un oggetto o un’azione desiderati (intenzione richiestiva) e per condividere con l’interlocutore l’interesse o attenzione su un evento esterno (intenzione dichiarativa). Fra i 12 e i 18 mesi cominciano i gesti referenziali detti anche rappresentativi; attraverso essi il bambino nomina, racconta o chiede qualcosa (Caselli 1983; Acredolo e Goodwyn 1988). La frequenza di uso del gesto di indicare aumenta tra la fine del primo anno di vita 48 Deodato G. Spunti teorici all'approccio logopedico... e la metà del secondo anno, momento in cui tale frequenza inizia a diminuire (Lock 1980). A 20 mesi il sistema gestuale subisce una riorganizzazione. La produzione complessiva di gesti diminuisce e i bambini smettono di aggiungere nuovi gesti al loro repertorio, i nuovi concetti da esprimere verranno d’ora in poi codificati nella forma vocale (Iverson, Capirci e Caselli 1994). Fin dai 16 mesi i bambini iniziano a combinare due elementi comunicativi e tali combinazioni sono nella maggior parte dei casi cross-modali (gesto di indicazione e parola). Secondo Capirci (1996) a 20 mesi le combinazioni di due parole divengono molto più frequenti. E’ importante sottolineare che le combinazioni cross-modali possono essere classificate equivalenti quando i due elementi hanno un significato analogo e l’uno rinforza l’altro; complementari se uno dei due (l’indicazione) specifica o disambigua l’elemento particolare a cui la parola si riferisce; supplementare se i due elementi hanno significati diversi e quindi l’uno aggiunge informazione rispetto all’altro. Quando il bambino comincia ad usare combinazioni cross-modali di tipo supplementare, poco dopo produce anche combinazioni di due parole che esprimono anche relazioni semantiche (possesso, non esistenza, agente-azione) espresse prima attraverso l’uso del gesto (M.C. Caselli e V. Volterra 2002). Il lessico e la semantica Le competenze lessicali consentono di apprendere e di distinguere singole parole nell’archivio strutturato di un vocabolario. Le competenze semantiche consentono di collegare il sistema linguistico con l’enciclopedia dei concetti rappresentazionali e operazionali. Nell’approccio ad un bambino pertanto il logopedista dovrà appurare il vocabolario presente in comprensione e in produzione. I parametri da considerare sono: la tipologia dello scarto tra produzione e comprensione verbale; la variabilità nella scelta delle parole nelle produzioni spontanee e nell’uso selettivo delle parole comprese; il ventaglio e la tipologia delle anomie e delle gergolalie, l’ampiezza e la differenziazione delle aree semantico lessicali; la tipologia dei giri di parole e, successivamente, le competenze metaforiche mature o devianti (Gabriel Levi 2010). Il disturbo in questo versante linguistico compromette inevitabilmente il successivo strutturarsi del messaggio verbale in comprensione e produzione nella frase e poi nel racconto. Il logopedista quindi spesso appurerà che un bambino a una certa età continua a non capire e non ascoltare quanto gli viene detto con possibili e compresenti disturbi di comportamento inevitabili. 49 Formazione Psichiatrica n.1 Gennaio-Giugno 2014 Nell’approccio al bambino si rileva inevitabilmente una anomala lunghezza media dell’enunciato; lo scarto tra gli enunciati compresi e quelli prodotti; lo scarto tra gli enunciati realizzati in prove di ripetizione e quelli prodotti spontaneamente. Nella maggior parte dei casi nei DSL (Disturbo specifico di linguaggio), esistono dei ritardi di sviluppo per una o più competenze linguistiche, questi singoli ritardi anche quando settoriali, tendono a determinare delle eterocronie nello sviluppo delle altre competenze linguistiche convergenti. Quando le eterocronie superano una certa soglia critica, tendono a verificarsi delle vere e proprie dissociazioni funzionali. Eterocronie e dissociazioni funzionali, tra competenze linguistiche e nell’uso delle stesse, determinano delle vere e proprie atipie linguistiche che si organizzano stabilmente e si cronicizzano rendendo atipica l’integrazione tra processi linguistici, comunicativi e cognitivi (Gabriel Levi 2010). Con lo sviluppo del linguaggio il bambino: 1. acquisisce un sistema di funzioni conative con cui impara a differenziare le sue intenzioni nella relazione interpersonale e altrettanto come linguaggio interno; 2. acquisisce un sistema di funzioni referenziali con cui impara ad applicare alcune operazioni logico-linguistiche alla realtà, su cui predica e che categorizza e denomina; 3. acquisisce un sistema di funzioni meta-comunicative con cui precisa la consapevolezza e la sofisticazione delle sue espressioni esteriori ed interiori; 4. attiva e potenzia le funzioni poietiche mediante cui collegare processi cognitivi, pensiero e linguaggio fino a consentire al linguaggio generatività, autonomia di sviluppo e creatività (ibidem). In questa cornice risulta cruciale la definizione dei sistemi semantici come mediatori essenziali tra sistemi lessico-grammaticali, sistemi fonologici, e contesto (differenziato come categorie di situazioni sociali). Le prime integrazioni semantiche operano in parallelo sul controllo del comportamento e sulla differenziazione del sistema linguistico. I bambini imparano a comprendere e produrre linguaggio mentre stanno interagendo e comunicando con la realtà e nella realtà. La grande nuova scoperta del bambino è che esiste il linguaggio; che esistono la parola e la lingua; che esiste la possibilità di impacchettare pezzi di realtà (oggetti, eventi, azioni, attributi) con pezzi di linguaggio. Con un paradosso euristico: il bambino costruisce prima le frasi (azioni + parole), poi le parole (parole senza azioni) e poi i fonemi (unità di una struttura). L’integrazione tra meccanismi di produzione delle prime parole e produzione delle prime frasi, nei bambini che non presentano un DSL, è 50 Deodato G. Spunti teorici all'approccio logopedico... documentata da un fenomeno importante anche se transitorio. Le prime combinazioni di parole sono molto spesso combinazioni di due lemmi, senza flessioni morfologiche e senza la presenza di un verbo. Mettendo insieme le prime coppie di parole, per produrre delle predicazioni, i bambini diventano rapidamente consapevoli dell’enorme potenzialità linguistica: questa scoperta accompagna per un certo tempo un’enorme attenzione sulla comprensione linguistica e una diversificazione di uso delle funzioni linguistiche. Avendo scoperto le prime risorse dello strumento linguistico, il bambino si trova davanti alla necessità di apprendere e padroneggiare tutte le diverse competenze linguistiche nel contesto delle sue reali comunicazioni, adottando strategie di apprendimento differenziate ma convergenti. Da una parte il bambino seleziona e produce pacchetti linguistici esplorativi, perché ben collegati con le sue intenzioni, ma molto imprecisi rispetto al comportamento fonologico-lessicale, a quello lessicale-semantico, e a quello fonologicosintattico. Dall’altra parte il bambino usa gli incidenti comunicativi e il problema costante di essere comprensibile, per perfezionare ogni singola competenza linguistica al fine di risolvere le ambiguità delle altre competenze linguistiche (Gabriel Levi 2010). La competenza semantica La semantica è lo studio del significato del linguaggio (Crystal 1985). Un bambino sviluppa gradualmente la capacità di dare un significato alle parole, affinando i suoi concetti sull’ambiente e sulle cose che sperimenta. Le prime parole sono eccessivamente generalizzate, man mano che il bambino fa esperienze e sviluppa concetti sul mondo, si forma un vocabolario sempre più complesso. Se egli non è in grado di organizzare le informazioni per formarsi in questo modo nuove idee, il suo sviluppo semantico risulterà anomalo. Normalmente il bambino si costruisce un vocabolario sviluppando e perfezionando la sua conoscenza del mondo attorno a sé, in risposta ai suoi bisogni quotidiani di comunicazione. In seguito nella vita del bambino questo accumulo di vocaboli ha un effetto sul modo in cui le parole vengono interpretate. Se una parola viene acquisita per ripetizione meccanica invece che attraverso lo sviluppo della comprensione del mondo reale attorno a sé, il bambino può trovare complicato accettare che le parole varino di significato a secondo della presenza di altre parole nella frase o del contesto in cui vengono 51 Formazione Psichiatrica n.1 Gennaio-Giugno 2014 utilizzate. Sarà anche difficile per il bambino capire ulteriori significati non letterali delle parole e delle frasi (C. Firth e K. Venkatesh 2002). Nel sistema semantico le rappresentazioni sono organizzate sulla base di categorie concettuali. Si ipotizza che all’interno di ogni categoria il significato di uno stimolo sia costituito da un insieme di tratti semantici (per esempio, la rappresentazione semantica della parola “gatto” è costituita dai seguenti tratti: animale, domestico, mammifero, a quattro zampe, che miagola….) Questa caratteristica della rappresentazione semantica determina una relazione categoriale tra gli stimoli. Le parole che appartengono alla stessa categoria (per esempio, “gatto” e “cane”) condividono più tratti semantici delle parole che appartengono a categorie differenti (per esempio “gatto” e “tavolo”). Se vi è un danno (o un disturbo) del livello semantico, ci si deve aspettare una prestazione deficitaria sia nei compiti che richiedono la comprensione sia in quelli di produzione delle parole con errori simili in tutti i compiti. Un danno del lessico al contrario non ostacola la capacità del soggetto a comprendere il significato delle parole, ma può determinare anomia. (P. Marangolo 2012). Nei lessici le parole sono organizzate sulla base della loro classe grammaticale di appartenenza (sostantivi, verbi, aggettivi), da ciò la necessità di appurare con gli opportuni strumenti testali se vi è un danno o un disturbo della componente semantica o della componente lessicale e quali categorie concettuali o lessicali sono compromesse. La rappresentazione semantica Normalmente per estensione di una parola si intende l’insieme di entità reali che quella parola può servire a denominare. Per intensione di una parola si intende invece l’insieme dei prerequisiti che un’entità reale deve avere per essere denominabile da quella parola. Più una parola è generica, maggiore sarà la sua estensione, ovvero più grande sarà l’insieme di entità denominabili con quella parola. D’altro canto più una parola è generica e meno numerosi sono i requisiti che un’entità reale deve rispettare perché io possa attribuirle legittimamente la parola in questione. Perciò l’estensione e l’intensione di un termine sono inversamente proporzionali, poiché più sono i requisiti da rispettare per fare parte di una classe e meno numerosa sarà detta classe. I requisiti richiesti dalla rappresentazione semantica di un concetto dovrebbero configurarsi idealmente come delle liste finite di tratti necessari. I tratti presenti nelle rappresentazioni semantiche dei concetti si collocano in una scala di 52 Deodato G. Spunti teorici all'approccio logopedico... necessità lungo un continuum avente ad un’estremità i tratti più attesi, all’altra i tratti più inattesi e al centro quelli semplicemente possibili (G. D. Zannino 2003). I concetti sono immagini mentali e risultato dell’attività di aree proiettive, non di una sola di esse bensì di tutte quante insieme. Quando nella mente del bambino si formano i concetti, gli associazionisti argomentavano che ciò avviene attraverso la reiterata esperienza di singoli esemplari di quel concetto. Tale esperienza è mediata dai sensi ed ha come risultato il formarsi nelle rispettive aree associative di una serie di immagini mentali, modalità specifiche relative all’attività dell’area proiettiva (uditiva, visiva, tattile,…) che ha elaborato lo stimolo sensoriale. Anche le aree proiettive motorie, attive durante la manipolazione di un oggetto, formeranno nelle rispettive aree associative tracce di un’attività che andrà a far parte del corrispondente concetto. Siccome l’esperienza di un oggetto tende a consistere in un’attivazione sensorimotoria simultanea su più canali, le singole immagini modalità specifiche tendono ad associarsi tra loro così che, una volta acquisito un concetto, l’esposizione ad un esemplare di esso anche attraverso una sola modalità, richiamerà alla coscienza tutte le immagini sensorimotorie di cui si compone. Tale concezione è stata criticata con l’avvento dei modelli distribuiti dove “distribuito” va inteso come “non topograficamente organizzato” e l’aggettivo va riferito ai tratti di cui si compongono le rappresentazioni semantiche, i quali non occupano porzioni specializzate del sistema nervoso né in accordo al tipo di informazione sensorimotoria che implementano (come è nella teoria del percettivo vs funzionale) né in accordo al dominio di appartenenza dei concetti di cui entrano a far parte (come è nella categoria dell’organizzazione categoriale primaria). Nei modelli distribuiti lo status dei tratti che costituiscono le rappresentazioni semantiche dei singoli concetti varia lungo due dimensioni fondamentali. La prima legata al concetto di distintività, riguarda il maggiore o minore contributo che ciascun tratto fornisce al fine di discriminare tra concetti affini. La seconda legata al concetto di frequenza di produzione e livello di correlazione, riguarda il livello di resistenza che ciascun tratto può opporre al danno neurologico. Infatti gli insiemi di tratti che formano le diverse rappresentazioni semantiche non sono combinazioni completamente casuali di elementi. Se conosciamo alcuni tratti presenti nella rappresentazione semantica di un dato concetto, possiamo prevedere con una certa probabilità di successo la presenza di determinati altri tratti in quella stessa rappresentazione. Infatti alcune coppie di tratti tendono ad occorrere in associazione, ovvero ad 53 Formazione Psichiatrica n.1 Gennaio-Giugno 2014 essere o entrambi presenti o entrambi assenti nei diversi concetti. Ad esempio, la coppia “dotato di ali” e “vola” è frequente, da ciò la presenza di uno dei due tratti in un dato concetto pur non implicando la presenza dell’altro, aumenta però la possibilità che ciò accada; in altre parole la probabilità che una cosa x “voli” è più elevata se sappiamo che questa “ha le ali”. Due tratti che si comportano come “ha le ali” e “vola” sono correlati e la presenza di una correlazione aumenta la resistenza di un tratto (G. D. Zannino 2003). Lo stile comunicativo del bambino Conoscere le abilità comunicative del bambino Parlatore Tardivo nella fase in cui il suo linguaggio sta emergendo rappresenta un punto essenziale della valutazione. E’ fondamentale identificare se la difficoltà nel linguaggio espressivo è accompagnata anche da una inadeguatezza o da un deficit più pervasivo nella comunicazione e nell’uso del linguaggio, che possono esprimersi con un’incapacità o una tendenza a non rispondere in molti scambi conversazionali che necessitano invece di una varietà di atti comunicativi diversi per forma e funzione. Secondo Fey (1986) i bambini che non sono ancora in grado di usare il linguaggio per comunicare, ma che si sforzano di farlo con chi li circonda, dimostrano di avere buone potenzialità comunicative che possono supportare la crescita del linguaggio funzionale. Invece, i bambini che mostrano una scarsa varietà di atti comunicativi e formulano poche intenzioni possono incontrare più problemi nell’acquisire il linguaggio, perché da una parte offrono ai loro interlocutori meno occasioni di farsi coinvolgere nella conversazione, di conseguenza si presentano poco o per nulla attivi nell’interazione, e dall’altra non si sforzano di scambiare messaggi per continuare il dialogo quando sono già agganciati. In presenza di un bambino Parlatore Tardivo con scarse capacità comunicative, sarà opportuno indagare, per prima cosa, se il suo interlocutore o il genitore lo mette nelle condizioni di poter esprimere al meglio le sue potenzialità comunicative e in secondo luogo, valutare se effettivamente il bambino esibisce uno stile comunicativo immaturo o poco adeguato (S. Bonifacio e L. Hvastja Stefani 2010). Il primo passo che si deve fare quando si analizza un’interazione tra un adulto e un bambino durante un’attività è l’individuazione dei comportamenti comunicativi caratterizzati da intenzionalità. Secondo Paul (2001) il comportamento del bambino è comunicativo se vengono rispettati i seguenti criteri: a) il bambino deve indirizzare il suo comportamento all’adulto; b) l’atto 54 Deodato G. Spunti teorici all'approccio logopedico... comunicativo, e l’intento che ne sta alla base, devono provocare un effetto o influenzare il comportamento dell’adulto, modificare il suo centro di attenzione, o il suo stato di conoscenza. In questo caso potremmo rilevare che l’adulto si attiva con un comportamento comunicativo se la sua attenzione è centrata sul bambino sottolineando così che l’intenzione è andata a buon fine; c) il bambino deve essere persistente nello sforzo di trasmettere il messaggio anche quando l’adulto non risponde, o risponde in un modo che non corrisponde a quanto il bambino intendeva. In ciò occorre non dimenticare che in molti genitori di bambini con ritardo o disturbo di linguaggio sono evidenti comportamenti comunicativi deboli dal punto di vista della tutorialità e quindi lo sforzo del bambino del persistere nel comunicare potrebbe venire meno proprio perché non trova un aggancio efficace (ibidem). Fey (1986) delinea quattro profili conversazionali basati sulla dimensione di assertività e responsività. Per assertività si intende la capacità di far valere, di esporre le proprie affermazioni. Gli atti asseritivi usati frequentemente dal bambino sono: l’apertura della conversazione con la proposta dell’argomento; l’essere in grado di mantenere o continuare a manifestare interesse per l’argomento fornendo anche specifiche informazioni sotto forma di un certo numero di commenti; il prendere il proprio turno; il persistere nello sforzo di esprimere l’intenzione comunicativa quando non va a buon fine; il formulare richieste di aiuto di azione, di attenzione relative ad un oggetto o ad un evento, per esempio richiedere di denominare indicando le figure di un libro e/o formulare domande. Con il termine responsività ci si riferisce a quei comportamenti che costituiscono delle risposte alle richieste formulate e sollecitate dall’interlocutore riguardanti aspetti inerenti all’argomento di conversazione, quali il rispondere a domande chiuse, a domande aperte, a richieste di imitare, eseguire o completare azioni, parole; l’esprimere disaccordo o accordo circa l’asserzione dell’interlocutore o l’evento proposto. Fey definisce un bambino conversatore attivo se è in grado di iniziare la conversazione e di rispondere alle iniziative del suo interlocutore indipendentemente dal suo livello di sviluppo linguistico, cioè se è in grado di riconoscere la necessità di reciprocità dell’interazione conversazionale nonostante che il suo messaggio espressivo presenti gravi limitazioni. Tipicamente l’efficacia comunicativa del bambino dipende anche dall’impegno che il suo interlocutore mette in atto per mantenere aperta la conversazione premiando così il suo intento comunicativo. Quindi il bambino conversatore 55 Formazione Psichiatrica n.1 Gennaio-Giugno 2014 attivo esibisce atti asseritivi e responsivi ben bilanciati per quantità e qualità. Questi atti segnalano la capacità non solo di iniziare una conversazione ma anche di prefigurare ciò che l’interlocutore deve rispondere al fine di rispettare le regole sociali. I bambini conversatori passivi presentano più frequentemente e in maggior misura degli atti di tipo responsivo e un basso livello di assertività; sono caratterizzati da atti che sono semplici risposte che hanno la funzione di tenere aperto il canale della conversazione e ci segnalano che il bambino è in grado di prendere il suo turno, ma non è capace di contribuire alla conversazione con nuove informazioni o iniziative. Questo aspetto rafforza il ruolo che gli è proprio di “colui che risponde”, e non il ruolo di “colui che dimostra iniziativa”, di conseguenza il consolidamento del ruolo responsivo gli offre poche opportunità di esercitare le sue risorse per comunicare informazioni; queste sono invece selezionate dal suo interlocutore, soprattutto quando quest’ultimo è poco sensibile nel considerarlo un partner conversazionale. I bambini conversatori inattivi hanno un basso livello di comportamenti assertivi e responsivi, producono pochi atti comunicativi conversazionali, nonostante possano essere in grado di farlo. In genere si presentano come bambini socialmente isolati pur non presentando gravi problemi relazionali, sembrano non essere troppo interessati alla conversazione anche con persone del loro ambiente familiare e spesso le loro risposte sono brevi e semplici, sebbene le loro capacità di produzione siano avanzate. Il bambino verbale non comunicatore è altamente assertivo ma non responsivo, cioè la sua comunicazione non è contingente alle richieste del suo interlocutore; presta poca attenzione e interesse all’ascolto di ciò che gli viene comunicato ed è difficilmente agganciabile E’ un bambino che si potrebbe definire socialmente poco adeguato, usa il suo linguaggio più per attirare l’attenzione del proprio interlocutore piuttosto che per scambiare messaggi. (S. Bonifacio e L. Hvastja Stefani 2010). Come identificare le parole nel linguaggio spontaneo La valutazione delle capacità comunicative in un bambino che presenta ritardo di linguaggio è fondamentale per capire se il ritardo è limitato solamente all’ambito linguistico, oppure comprende difficoltà nell’esprimere intenzioni, iniziative e motivazione nel comunicare. Potremo così scoprire che, 56 Deodato G. Spunti teorici all'approccio logopedico... nonostante le capacità linguistiche espressive limitate nel bambino, egli dimostra un livello più avanzato nelle abilità conversazionali ed è socialmente adeguato. Secondo Vihman e McCune (1994) l’approccio metodologico utilizzato per identificare le vocalizzazioni come parole si basa fondamentalmente su due criteri, il primo basato sulla somiglianza della forma fonetica con la parola adulta nel confronto segmento per segmento, il secondo sulla funzione ricavata dalla coerenza d’uso nel contesto. Questi criteri assumono una importanza fondamentale, e sono di grande utilità, quando è necessario attribuire lo status di parola alle vocalizzazioni dei bambini Parlatori Tardivi che sono nella fase in cui il linguaggio sta emergendo, oppure nella fase in cui il linguaggio si sta sviluppando, dove la variabilità delle forme fonetiche e spesso la scarsa intellegibilità delle produzioni rendono difficile l’identificazione. In alcuni soggetti per identificare le parole si deve fare ricorso di più al contesto di uso, per altri ai criteri basati sul confronto complesso, cioè sull’insieme dei criteri basati sulla forma delle vocalizzazioni e sulla relazione con le altre vocalizzazioni. (ibidem) L’uso della vocalizzazione avviene in un contesto che suggerisce fortemente quella parola e non altre. L’identificazione da parte della madre non richiede un atto esplicito, ma si individua dal riconoscimento che la madre fa di una particolare vocalizzazione come parola che le permette di continuare la conversazione. Il bambino inoltre spesso usa più volte la parola all’interno di uno stesso episodio, cioè fa un uso sistematico e insistente di una forma idiosincratica il cui significato è spesso condiviso dai familiari. In base alla forma delle vocalizzazioni si può accreditare una vocalizzazione come parola se il bambino, almeno in un caso, non omette, né aggiunge, né sostituisce segmenti in relazione al modello; le differenze di sonorità vengono trascurate. Vi può essere ancora una corrispondenza della forma della vocalizzazione del bambino con almeno due foni della forma adulta o esservi una corrispondenza prosodica nell’intonazione con il target adulto, o in più ripetizioni della stessa forma c’è un’intonazione caratteristica che si adatta al significato della parola e che ricorre in tutte le ripetizioni in questione. In base alla relazione con le altre vocalizzazioni si considera una vocalizzazione come parola se è prodotta su imitazione con evidente comprensione del significato, o se viene prodotta sempre con la stessa forma fonetica secondo i criteri di corrispondenza parziale o esatta, oppure l’uso di una forma ricorre in contesti che suggeriscono in modo plausibile la stessa parola (ibidem). 57 Formazione Psichiatrica n.1 Gennaio-Giugno 2014 Peculiarità di alcuni profili clinici linguistici La sordità L’input gestuale offerto ai bambini di 16 mesi non è significativamente diverso, né per tipi né per frequenza, da quello offerto ai bambini a 20 mesi e che è composto da tre tipi di gesti: deittici, rappresentativi ed enfatici (Iverson et al. 1999). Le madri sembrano utilizzare con i loro bambini soprattutto gesti deittici e rappresentativi e solo molto raramente i gesti enfatici. Inoltre le madri usano i gesti (soprattutto l’indicazione) con minore frequenza rispetto ai loro bambini, e in una forma ridondante rispetto al parlato: le combinazione gesto/parola più frequenti sono infatti quelle di tipo equivalente usate per rafforzare il messaggio espresso con le parole. A circa un anno di età esiste nei bambini una sorta di equipotenzialità tra la modalità vocale e quella gestuale: tutti usano diversi tipi di gesti, sia deittici per riferirsi direttamente al contesto, che rappresentativi, e spesso li combinano con le parole. Nella fase successiva però quando divengono capaci di combinare due elementi rappresentativi, scelgono la modalità vocale; i gesti continuano ad essere utilizzati soprattutto in accompagnamento al parlato, come rinforzo, sostituzione o aggiunta. Esiste inoltre la possibilità che una (o la sola) lingua utilizzata nell’ambiente sia una lingua che si realizza nella modalità visivo-gestuale piuttosto che acusticovocale. E’ il caso dei genitori sordi che utilizzano con i propri figli una lingua dei segni. I bambini udenti o sordi vengono così esposti ad un vero e proprio “input linguistico gestuale”, dal momento che le lingue dei segni sono lingue a tutti gli effetti con un lessico, una grammatica e una sintassi. Confrontando attentamente i risultati di diversi autori Volterra e Iverson (1995) e più recentemente Abrahamsen (2000) hanno dimostrato che, applicando gli stessi criteri per definire le produzioni vocali e gestuali, molte differenze scompaiono, confermando che tra i 12 e i 14 mesi il numero di gesti (o gesti + segni) e di parole prodotti è molto simile sia nei bambini esposti solo alla lingua vocale sia in quelli esposti alla lingua dei segni o ad “un input gestuale arricchito”. L’influenza dell’input linguistico nella modalità segnica è invece evidente a livello di combinatoria. Infatti i bambini non esposti ad una lingua dei segni, combinano gesti e parole e più raramente gesti deittici. Questi bambini non combinano mai due gesti rappresentativi. Al contrario, i bambini esposti alla lingua dei segni combinano due segni alla stessa età in cui gli altri combinano due o più parole (Caselli e Volterra 1994). I bambini che nascono sordi da 58 Deodato G. Spunti teorici all'approccio logopedico... genitori udenti non sono esposti, a causa del loro deficit, alla lingua parlata nell’ambiente, né possono acquisire la lingua dei segni poiché questa non è usata in famiglia. Le ricerche di Goldin-Meadow e Mylander (1984); GoldinMeadow e Morford (1985); Volterra, Beronesi e Massoni (1994) hanno mostrato che nonostante le condizioni di apprendimento linguistico impoverite e svantaggiate, i bambini sordi sviluppano ed usano un sistema gestuale che esprime molte delle funzioni comunicative, semantiche e pragmatiche, tipicamente presenti nel linguaggio di bambini esposti ad una lingua, in condizioni normali. Le strutture linguistiche utilizzate in forma gestuale da questi bambini sono più complesse rispetto a quelle usate (sempre gestualmente) da bambini udenti non segnanti, ma più semplici se confrontate ai segni di bambini sordi e alle parole di bambini udenti rispettivamente esposti ad una lingua dei segni o ad una lingua parlata. Inoltre i bambini sordi non esposti ad un input in segni sono in grado di combinare tra loro due o più gesti rappresentativi (contrariamente a quanto avviene nei bambini udenti), ma questa abilità compare quando la loro età cronologica è molto più avanzata rispetto a quella in cui i bambini esposti ad una lingua a tutti gli effetti producono le prime combinazioni di segni e parole (M. C. Caselli e V. Volterra 2002). Nonostante la complessità della questione ad oggi i sostenitori del metodo orale affermano che il sistema comunicativo di riferimento per l’educazione del bambino sordo deve essere quello della lingua orale, e che si possono utilizzare anche strategie visive quali la labiolettura, la lettura e la scrittura precoci. Secondo questo approccio, gesti e segni sono superflui, se non addirittura di ostacolo per lo sviluppo del linguaggio. In accordo con le più recenti teorie, i gesti sono parte integrante del linguaggio e il “linguaggio è un sistema integrato gesto-parola” (McNeill 2005). Gli atti del parlare e del fare gesti sono collegati e le due modalità operano come unità inseparabili riflettendo differenti aspetti semiotici della struttura cognitiva sottostante ad entrambi (Kendon 2004; McNeill 2005). Recenti studi neurofisiologici e comportamentali hanno dimostrato una forte integrazione del sistema linguistico con quello motorio e messo in evidenza il valore cognitivo e comunicativo di azioni e gesti (Gallese et al. 1996; Rizzolatti e Sinigaglia 2006). Il sistema dei neuroni a specchio sarebbe alla base di uno stretto legame tra rappresentazione motoria, derivante da azioni, gesti e segni osservati, imitati e prodotti, e rappresentazione semantica. I bambini sordi, anche quando non sono esposti sistematicamente ad un input in lingua dei segni, usano i gesti con 59 Formazione Psichiatrica n.1 Gennaio-Giugno 2014 frequenza e varietà maggiori rispetto ai bambini udenti: tali gesti compaiono isolati o in combinazione con altri gesti e/o con parole o enunciati di più parole dando origine a frequenti fenomeni di bimodalità (Goldin Meadow 2003). I gesti sono parte integrante del linguaggio e sono funzionali al suo sviluppo, soprattutto nei casi in cui siano presenti difficoltà o atipie. Un loro uso sistematico nel contesto logopedico può dunque sostenere l’apprendimento della lingua parlata e l’espressione delle conoscenze da parte del bambino (M. C. Caselli 2010). La sindrome Down Numerosi autori hanno evidenziato nelle persone con Sindrome di Down (da ora SD) una comprensione verbale generalmente coerente con il livello cognitivo generale e, al contrario, specifiche difficoltà sul versante della produzione con una maggiore compromissione degli aspetti morfosintattici ed un relativo risparmio delle competenze lessicali (Chapman 1995; Vicari, Caselli e Tonucci 2000). Analizzando le prime fasi di sviluppo del linguaggio in bambini con SD, Miller (1988) suggerisce l’esistenza di due profili linguistici connessi all’età dei bambini esaminati: al di sotto dei 18 mesi le competenze linguistiche sembrano coerenti con abilità cognitive generali; al di sopra dei 18 mesi, si evidenzia uno sviluppo asincrono tra produzione verbale e comprensione: la produzione verbale inizia ad essere particolarmente deficitaria sia rispetto all’età di sviluppo sia rispetto al livello di comprensione raggiunto. Il divario fra comprensione e produzione linguistica appare sempre più evidente al crescere dell’età cronologica. Le ricerche sulla comunicazione gestuale dei bambini con SD si sono focalizzate spesso sull’uso del gesto di indicazione. In particolare lo studio di Mundy e collaboratori (1989) ha mostrato come i bambini con SD siano in grado di produrre l’indicazione con funzione dichiarativa, mentre presentano difficoltà nella produzione di indicazioni con funzione richiestiva. Caselli, Longobardi e Pisaneschi (1997) hanno evidenziato che a parità di numero di parole e gesti conosciuti (repertorio), i bambini con SD usano meno frequentemente parole rispetto ai bambini di controllo e usano più sovente gesti comunicativi. Sempre Caselli e collaboratori (1998) hanno evidenziato che il ritardo globale nello sviluppo delle abilità comunicativo-linguistiche dei bambini con SD è in parte caratterizzato da un andamento evolutivo rallentato e in parte atipico rispetto allo sviluppo dei bambini normali. Nei bambini con SD esaminati è emersa 60 Deodato G. Spunti teorici all'approccio logopedico... un’asincronia fra produzione e comprensione verbale e, al contrario, una stretta relazione fra comprensione di parole e produzione di gesti. I bambini con SD mostrano un repertorio gestuale significativamente superiore a quello dei bambini con sviluppo tipico. Tale repertorio comprende azioni simboliche (“far finta di”) che implicano un livello di rappresentazione avanzato. Si conferma dunque una sorta di dissociazione fra livello di sviluppo cognitivo generale e produzione lessicale, e invece una buona capacità simbolica a livello non verbale. Dunque i bambini con SD sembrano supplire alla carenza nella modalità espressivo-vocale con una ricca gestualità comunicativa che comprende un numero consistente di gesti rappresentativi e di gesti di indicazione (M. C. Caselli e V. Volterra 2002). In base alle ricerche recenti sembra evidente che una diversificazione nei tempi e nei modi della crescita comporti necessariamente una differenza qualitativa dello sviluppo stesso anche in termini di relazione con l’ambiente. Ad esempio il sorriso sociale nel bambino con SD può comparire anche con 2 mesi di ritardo rispetto agli altri bambini. I sorrisi possono essere più brevi e meno frequenti e si osservano più sovente in risposta a quello materno. Il pianto può comparire meno frequentemente, e sappiamo quanto il pianto svolga, soprattutto per la madre, una funzione comunicativa insostituibile nel primo anno di vita: serve da richiamo, per esprimere un bisogno (fame) o manifestare un disagio (malessere) (Gunn, Berry e Andrews, 1982). Un’altra atipia è il minore utilizzo dello sguardo referenziale quale primitiva struttura richiestiva (triangolazione visiva madre-oggetto-madre) (Jones 1984). Tale difficoltà nella formazione del contatto oculare può condizionare l’acquisizione della reciprocità e della capacità di turnazione all’interno sia del contatto visivo, che della vocalizzazione. Si è osservata, infatti, una differenza qualitativa del turn-talking nella coppia madre-bambino con SD, in quanto le madri non effettuano un decremento della loro vocalizzazione rispetto a quella dei propri figli, con un conseguente aumento della sovrapposizione all’interno delle protoconversazioni e dei turni simultanei (Berger e Cunningham, 1986). I gesti comunicativi si sviluppano con le stesse modalità dei bambini normali, anche se la loro comparsa ritarda. Alcune ricerche evidenziano addirittura un maggiore uso dei gesti deittici rispetto ai bambini normali confrontati per età mentale. Tale uso però più che anticipare e sostenere la produzione verbale, sembra quasi sostituirsi ad essa per un periodo molto prolungato. Tali gesti risultano infatti essere usati più frequentemente delle parole o delle onomatopee rispetto a ciò che accade nei bambini normali (Sabbadini e Ossella 61 Formazione Psichiatrica n.1 Gennaio-Giugno 2014 1994). Inoltre si osserva la permanenza di gesti nella fase dell’attività combinatoriale per un periodo molto lungo (Caselli, Marchetti e Vicari, 1994) (S. Mazzotti 2010). La Sindrome di Williams La Sindrome di Williams (da ora SW) è una sindrome genetica che comporta, come nel caso della Sindrome di Down, un ritardo cognitivo generale con profili di sviluppo specifici. Diversamente dai bambini con SD, i bambini con SW vengono spesso descritti come molto fluenti sul piano dell’espressione verbale ma con capacità prassiche e visuo-spaziali piuttosto compromesse. Singer e collaboratori (1997) hanno confrontato le prime fasi di sviluppo del linguaggio in bambini con SD e in bambini con SW e non hanno rilevato differenze significative né nella comprensione di parole né nella produzione di parole (M. C. Caselli e V. Volterra 2002). Il bambino con SW presenta un ritardo nello sviluppo del linguaggio: le prime espressioni verbali compaiono infatti solo dopo i 2 anni. Tale ritardo viene però dopo recuperato, per ciò che concerne l’espressione verbale, manifestando soprattutto un esplosione del vocabolario: questi bambini infatti imparano parole nuove ad un ritmo molto veloce. Volterra et al. (1996), Sabbadini, Capirci e Vicari (2002) hanno evidenziato che in tali soggetti il livello di sviluppo del linguaggio è correlabile all’età mentale, e che inoltre la loro competenza non solo non rispecchia la loro età cronologica, ma presenta alcune peculiarità. Le capacità espressive verbali, una volta acquisite, rimangono carenti e soprattutto poco adeguate al contesto o agli argomenti che si stanno trattando; è spesso evidenziabile una marcata anomia, e l’ambito morfologico è particolarmente compromesso; inoltre, se non trattati specificatamente, questi soggetti tendono a mostrare deficit semanticopragmatico, soprattutto nelle funzioni conversazionali e discorsive-narrative. Sono tuttavia dei gran parlatori, anche se nel loro linguaggio compaiono frasi di convenienza e frasi fatte, imparate come etichette verbali (O. Bartalucci e A. Ciarabellini 2010). I Disturbi dello Spettro Autistico Gli attuali criteri diagnostici che identificano l’autismo si basano sul riconoscimento di gravi disturbi in diverse aree: integrazione sociale reciproca, 62 Deodato G. Spunti teorici all'approccio logopedico... comunicazione verbale e non verbale, attività immaginativa e limitato repertorio di attività e di interesse. Gli studi che si sono occupati di indagare lo sviluppo comunicativo gestuale dei bambini con autismo hanno mostrato che questi bambini sanno esprimere richieste relativamente ad oggetti, azioni e routine sociali attraverso i gesti come l’indicare, il dare e le azioni ritualizzate. Questi stessi gesti non vengono però usati con intenzione dichiarativa, anche se come Baron-Cohen ha mostrato (1989; 1991) i bambini sono in grado di comprendere la direzione dello sguardo dell’adulto. Alcuni studi hanno evidenziato una stretta relazione tra gesti e parole anche in bambini con autismo: quelli che in età prescolare hanno acquisito alcune capacità comunicative non verbali, come l’uso dello sguardo e dei gesti comunicativi, sviluppano un linguaggio più avanzato, rispetto ai bambini che presentano maggiori difficoltà comunicative non verbali (Mundy, Sigman e Kasary 1994; M.C. Caselli e V. Volterra 2002). Nei disturbi dello spettro autistico il linguaggio e le capacità comunicative sono estremamente variabili: infatti, troviamo descritti sia bambini che presentano semplici atipie del linguaggio e delle modalità comunicative, sia bambini con linguaggio assente o comunque in ritardo per l’età cronologica. La presenza di un problema cognitivo influisce sull’età di osservazione dei sintomi, sulla sintomatologia e sulla prognosi. Dal punto di vista della comunicazione: a) gli scambi interattivi scarsi e inefficaci rendono il bambino non consapevole sia del ruolo potenziale dell’altro come agente per il soddisfacimento dei suoi desideri, sia degli effetti dei suoi segnali sulle intenzioni dell’altro; b) l’atipia comunicativa, già evidente in fase presimbolica, si manifesta con alterata intenzionalità, e mancato adeguamento agli aspetti di convenzionalità e al contesto pragmatico; c) nel passaggio alla comunicazione referenziale, solo i bambini ad alto funzionamento possono attivare gesti con caratteristiche di ecoprassia riferiti ad azioni o eventi particolari, ma non gesti referenziali riferiti ad un significato simbolico più generale; d) il passaggio alla comunicazione verbale in questi bambini avviene, quasi sempre, con un ritardo significativo, tramite una modalità ecolalica e con una grave dissociazione tra produzione e comprensione verbale. Di conseguenza la funzione linguistica a causa della dissociazione prassico-simbolica prima e prassico-linguistica dopo, non supportata dalla capacità di condivisione, appare sganciata dalla comunicazione ed evidenzia sin dall’inizio una difficoltà sia nell’emergenza, sia nell’uso della comprensione verbale e una difficoltà di comunicazione sia verbale che non verbale. La comparsa dell’ecolalia, che rappresenta una 63 Formazione Psichiatrica n.1 Gennaio-Giugno 2014 modalità di apprendimento del linguaggio, inizialmente è costituita da parole con significato poco condiviso, perché non supportate dall’azione e apparentemente prive di contenuto affettivo (L. Diomede et al. 2010). Il bambino può anche ricordare delle parole senza averle realmente comprese. Paul (1987) afferma che i bambini autistici spesso sviluppano un ampio vocabolario e alcuni di loro hanno un interesse ossessivo per le parole e per il loro significato. Il bambino autistico può dare significato a certe parole in maniera particolare. Per esempio può indispettirsi se qualcuno gli dice che la “pesca” è anche un frutto, quando lui aveva precedentemente scoperto che “pesca” è una parola relativa ai pesci e al mare; oppure che quando si dice “su” ci si può riferire ad un piano verticale (per esempio, un orologio può essere sul muro) quando invece gli è stato insegnato “su” in senso orizzontale. Questa mancanza di flessibilità può stare a significare che il bambino trova difficile accettare i molteplici significati delle parole. Le abilità del linguaggio si formano a poco a poco rispettando certe regole; per esempio le parole sono correlate le une con le altre e sono classificate in una certa maniera. Anche lo sviluppo grammaticale ha un sistema basato su delle regole. Se il bambino non produce il linguaggio utilizzando questi sistemi, ma piuttosto ha memorizzato frasi intere o parti di esse, il suo linguaggio non è altro che un residuo dell’ecolalia. Sarà quindi difficile per lui riconoscere le singole parole in quanto potrebbero “essere nascoste” all’interno di una frase appresa (C. Firth e K. Venkatesh 2002). Conclusioni Il linguaggio non è semplicemente “dare etichette”. Alle parole corrisponde una immagine mentale con dei tratti distintivi non solo fonologici ma anche concettuali che sono connessi tra loro come in una rete. Tanto più il linguaggio è comunicazione, cioè scambio di informazioni su una realtà comunque agita, quanto più il linguaggio è complesso perché la mappa concettuale è ricca di informazioni. Il lessico e la semantica sono essenziali alla comprensione e produzione del messaggio verbale e all’organizzazione sempre più fine del pensiero operativo concreto, formale e astratto. Il lessico e la semantica sono organizzati al loro interno in categorie sì che di parla di fluenza fonologico-lessicale e di fluenza semantico-lessicale secondo che l’accesso al lessico sia fonologico o semantico. Il tutto ha una forte interfaccia cognitiva che poi ha ricadute anche sugli apprendimenti e sull’acquisizione delle abilità 64 Deodato G. Spunti teorici all'approccio logopedico... strumentali di lettura, scrittura e calcolo e in generale sull’autonomia e qualità di vita. BIBLIOGRAFIA Bartalucci O. & Ciarabellini A. (2010). L’intervento terapeutico nei bambini con Sindrome di Williams in età prescolare in E. Mariani, L. Marotta, M. Pieretti (a cura di) Presa in carico e intervento nei disturbi dello sviluppo. Guide per l’educazione speciale. Erickson. Bonifacio S. & Stefani L.H. (2010). L’intervento precoce nel ritardo di linguaggio. Il modello INTERACT per il bambino Parlatore Tardivo. Franco Angeli. Caselli M.C. (2010). Sviluppo del linguaggio nei bambini sordi e scelte educative: evidenze e riflessioni” in E. Mariani, L. Marotta, M. Pieretti (a cura di) Presa in carico e intervento nei disturbi dello sviluppo. Guide per l’educazione speciale.Erickson. Caselli M.C. & Volterra V. (2002) Gesti, parole e prime combinazioni in bambini con sviluppo tipico e atipico in S. Vicari e M. C. Caselli (a cura di) I disturbi dello sviluppo. Neuropsicologia clinica e ipotesi riabilitative. Il Mulino. Diomede L., Melogno S., D’Ardia C., Mazzoncini B. (2010). L’intervento riabilitativo: dalle prime parole alla metafora in E. Mariani, L. Marotta, M. Pieretti (a cura di) Presa in carico e intervento nei disturbi dello sviluppo. Guide per l’educazione speciale. Erickson. Firth C. & Venkatesh K. (2002). Disturbo semantico-pragmatico del linguaggio. Diagnosi e intervento. Erickson. Levi G. (2010). Disturbi Specifici di linguaggio: nosografia vs cluster neurolinguistici in E. Mariani, L. Marotta, M. Pieretti (a cura di) Presa in carico e intervento nei disturbi dello sviluppo. Guide per l’educazione speciale. Erickson. Marangolo P. (2012). Riabilitazione dei deficit semantico-lessicali” in A. Mazzucchi (a cura di) La riabilitazione neuropsicologica. Premesse teoriche e applicazioni cliniche. Terza edizione. Erickson. Mazzotti S. (2010). Pianificazione dell’intervento sul bambino con sindrome di Down in età prescolare in E. Mariani, L. Marotta, M. Pieretti (a cura di)“Presa in carico e intervento nei disturbi dello sviluppo. Guide per l’educazione speciale. Erickson. Zannino G.D. (2003). Il disturbo semantico. Inquadramento teorico, valutazione e trattamento. Springer. 65
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