museo regionale della ceramica di deruta approfondimenti
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museo regionale della ceramica di deruta approfondimenti
MUSEO REGIONALE DELLA CERAMICA DI DERUTA APPROFONDIMENTI Il Museo Regionale della Ceramica di Deruta è il più antico museo italiano per la ceramica, conserva oltre 600 opere ed è ospitato nel trecentesco complesso conventuale di San Francesco, interamente restaurato, situato nel centro storico di Deruta, prospiciente il palazzo comunale. Il convento venne fatto costruire nel 1008 dai monaci benedettini, intorno alla metà del XIII secolo passò ai frati minori francescani, fino alla sua soppressione nel XIX secolo. Il museo fu fondato nel 1898 per volontà del notaio derutese Francesco Briganti, che ebbe l’idea di istituire un “museo artistico pei lavoranti in maiolica”, dunque un luogo che non fosse solo di conservazione e di cultura ma anche un modello espositivo utile alle maestranze. Il museo si richiamava ai Musei di Arti applicate che, dopo la nascita del South Kensington Museum, nel 1857 si diffusero rapidamente in tutta Europa. La maggior parte di opere presenti nel museo sono il frutto di donazioni e di depositi. Il percorso museale si sviluppa dal piano terra ai due piani superiori e descrive in periodi l’evoluzione della maiolica derutese, dalla produzione arcaica a quella del Novecento. L’esposizione museale viene introdotta da una sala didattica, dedicata alle tecniche di lavorazione della ceramica. La ceramica è un oggetto realizzato con diverse tipologie di argilla, consolidate attraverso specifici processi termici. La tipologia ceramica più diffusa a Deruta è la maiolica, ad impasto argilloso colorato, poroso, con rivestimento vetroso coprente, dato dal bianco dello smalto stannifero. I tipi di argille e gli impasti esposti in questa sala servono a mostrare le varie fasi di lavorazione della maiolica, dagli effetti decorativi del lustro o degli effetti metallici, alla ceramica ingobbiata e invetriata, alle varie tecniche di restauro, come l’integrazione, il consolidamento o il riassemblaggio. Tutti i materiali esposti nella sala didattica sono stati realizzati dall’Istituto Statale d’Arte “Alpinolo Magnini” di Deruta. Successivamente l’itinerario procede nella sezione archeologica che offre un significativo panorama dei principali tipi di vasellame prodotti in epoca antica e riunisce oggetti di ceramica greca, italiota, etrusca e romana. Proseguendo, troviamo una sala dedicata all’esposizione della maiolica arcaica. Si tratta della prima ceramica realizzata in Italia tra il 1350 e il 1450, rivestita di smalto stannifero bianco e decorata di soli due colori: bruno di manganese e verde di rame. Gli oggetti esposti sono di uso comune, con motivi decorativi geometrici o floreali. Nel Quattrocento la maiolica derutese raggiunge il massimo splendore, con uso di giallo, blu e arancio; i colori assumono funzione decorativa. La descrizione dell’evoluzione della maiolica derutese prosegue al piano superiore, con una sezione dedicata alla maiolica rinascimentale, fino ad arrivare all’esposizione di pezzi che appartengono al Settecento. Dallo stile severo alla maiolica rinascimentale vi è una tipologia di transizione definita “petal-back”, fatta di semplici decorazioni a forma di petali sul verso di piatti e coppe. Nel Rinascimento domina lo scenario del periodo la produzione di maiolica a lustro che renderà famose le fabbriche derutesi, gli ornati sono la corona di spine, i girali floreali, e i soggetti preferiti sono il ritratto di belle donne, scene allegoriche, mitologiche e sacre. Le forme rinascimentali più diffuse sono: il piatto da pompa, la coppa amatoria, il vaso a doppia ansa. Alla metà del Cinquecento risalgono le decorazioni “compendiarie” su maiolica di Faenza, che si diffonderanno poi in Italia e in Europa. Questo tipo di decorazione dal segno rapido e dalla semplicità dei colori usati, quali il giallo, il blu, l’arancio e il verde, avrà successo anche a Deruta. I compediari deutesi esposti nel museo sono dei piatti da parata della collezione Pecchioli, dei servizi da tavola con stemmi di famiglie aristocratiche e di prelati, con figure allegoriche sacre e profane, o di santi. Nella maiolica derutese del Rinascimento sono assai diffuse anche le decorazioni a grottesche. La definizione grottesca deriva proprio dalle grotte romane della “Domus aurea” neroniana, riscoperta nel XV secolo, dove si trovano queste decorazioni che sono composte di animali fantastici, cornucopie, busti, entro ornati floreali stilizzati, al quale si ispirano le decorazioni a grottesche utilizzate anche nella maiolica derutese. Le grottesche possono essere indicate anche con il termine di “raffaellesche”. Nel Seicento Deruta conoscerà un’ampia applicazione del decoro calligrafico, decorazione che, in monocromia turchina, imita quella animale e vegetale della maiolica olandese, che tende a ricoprire in fitte trame tutta la superficie del manufatto. Nel Settecento la ceramica derutese vivrà un periodo di crisi, superato dopo l’unità d’Italia. Al secondo piano del museo troviamo anche delle aree tematiche, come collezioni presentate integralmente: la collezione Leonardo Pecchioli e la collezione Milziade Magnini, di quest’ultima fa parte anche la ricostruzione di un’antica spezieria. La collezione Magnini si trovava fino a qualche anno fa nella fabbrica Grazia in Deruta, dove era collocata dall’inizio del secolo XX. La fabbrica aveva anche una funzione didattica, infatti all’interno vi era una collezione-museo dove erano conservati i modelli che dovevano servire agli artigiani foggiatori e decoratori della fabbrica. Si realizzava così una stretta relazione tra officina-scuola-museo, che significava produzioneformazione-memoria strettamente connessi. La collezione fu acquistata nel 1990 dal Comune di Deruta. Nela sezione dei pavimenti in maiolica è esposto il pavimento della chiesa di San Francesco in Deruta. Questo era collocato in origine presso la chiesa di Sant’Angelo, nel Settecento fu rimosso e trasferito in San Francesco dove vi rimase fino al suo ritrovamento, avvenuto nel 1902 sotto il pavimento della stessa chiesa. L’esecuzione risale al 1524 ed è attribuita ad un ceramista derutese ignoto, denominato “Maestro del Pavimento di San Francesco”. Le duecento piastrelle superstiti sono molte consumate per il calpestio avvenuto durante i vari secoli. I motivi iconografici che ricorrono sono ritratti di profeti, muse, sibille, busti di imperatori, profili femminili. Al secondo piano vi è anche la sezione delle targhe votive, infatti nel complesso panorama dell’uso sacro e devozionale della maiolica nelle varie regioni italiane, Deruta si distingue per aver prodotto dal XVI secolo una serie di soggetti con iconografia soprattutto dedicata alla Madonna ed altre legate a exvoto. La collocazione delle targhe, in rilievo o dipinte, avveniva soprattutto in pilastrini ed edicole lungo le strade, nelle facciate delle case o di chiese, o anche al loro interno. La peculiarità che rende unico il museo è la presenza di una torre metallica di quattro piani comunicante su tutti i livelli con l’edificio conventuale. É un’imponente struttura riservata ai depositi, dove si trova esposta la sezione contemporanea, costituita principalmente da opere provenienti dal Multiplo d’Artista in Maiolica e dal Premio Deruta. In realtà la sezione più consistente del museo è rappresentata dal Campionario Italiano Maioliche Artistiche (CIMA) che il comune di Deruta acquistò nel 1962 a seguito della procedura di liquidazione dell’azienda che fu tra i più importanti produttori nazionali fra le due guerre. Si tratta di uno straordinario corpus di circa 4500 ceramiche provenienti da Deruta, Perugia, Gualdo Tadino, Castelli d’Abruzzo, Ascoli Piceno, riunite dal Consorzio negli anni venti, che indirettamente documentano l’evoluzione della produzione dal gusto storicista ottocentesco verso le più moderne tendenze stilistiche e decorative che si riconoscevano prevalentemente, in quegli anni, nell’Art Dèco. In quegli anni contribuiscono al cambiamento sia le novità tecnologiche dei sistemi e tecniche di foggiatura che consentono il rinnovamento delle forme, che quelle provenienti dalla industria degli smalti e delle vernici che espandono la ristretta gamma di colori della ceramica. Nel mutato clima internazionale vi è una necessità di rinnovamento da parte dell’industria nazionale italiana, che tentava di arginare la forte concorrenza delle industrie straniere, che proponevano prodotti più raffinati e corrispondenti al gusto di un pubblico più esigente. Individuando tra le principali cause della crisi delle arti applicate italiane l’atteggiamento degli artisti che si tiene lontano dal mondo della produzione e propone un ritorno alla bottega come luogo di pratica artistica, si risponde con l’obbiettivo di creare uno “stile italiano”, attraverso un tipo di arte rustica regionalistica, con particolare riferimento ai mestieri, alle scene di vita quotidiana riferita ad un ambito domestico e rurale. Questo nuovo gusto si fa largo anche fra importanti artisti e scultori ceramisti. In Umbria dal 1932 si sviluppa una copiosa produzione di piccoli gruppi plastici con figurine di bambine e fanciulle, o con raffigurazioni caricaturali di personaggi e animali tratti dal mondo rurale, tra cui una fortunata serie di somarelli, dalla vita paesana e cittadina con un folto repertorio di motociclisti in sidecar, musicisti e bande musicali della marina, dei carabinieri e jazz band.
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