Il castello di Strassoldo - Castello di Strassoldo di Sotto
Transcript
Il castello di Strassoldo - Castello di Strassoldo di Sotto
Riccardo Strassoldo IL CASTELLO DI STRASSOLDO Le origini In una radura posta tra una antica via romana che da Aquileia conduceva alla Carinzia e un fiume di risorgiva che sboccava nell’Ausa e attraverso questo giungeva alla laguna, nella foresta acquitrinosa che nell’alto medioevo ricopriva tutta la bassa friulana, su di un terreno lievemente rialzato rispetto al resto della pianura, venne da un feudatario di origine germanica costruito circa mille anni fa un castello cui veniva affidato il compito di custodire il luogo di confluenza tra una via di terra e un percorso fluviale. Si trattava di un fortilizio destinato a controllare una strada ed il punto in cui il fiume, un tempo assai più ricco di acque di ora, cessava di essere percorribile con i natanti dell’epoca: in definitiva un castello sulla “strada”, sulla “Strasse” che rappresentava il più diretto collegamento tra la sede patriarcale di Aquileia e la Germania, costruito su di un’isola fluviale, una “Aue”, da cui “Strassaue”, o “Strassau”, o “Strassouwe”. Il nome viene citato per la prima volta in un documento del 1188, in cui appare come testimone ad un’investitura un Artuico de Straso (1). Nel 1190 un altro atto stilato a Gagliano di Cividale ricorda un Bernardus de Straso (2). Per un intero secolo, a partire da tale anno, il nome del castello oscilla tra varie forme, per stabilizzarsi solo verso la fine del Duecento nella sua forma attuale, sia friulana, Strassolt, sia latino-italiana, Strassoldo. 1 Il castello è infatti per tutto il secolo indicato come Strassouwe (1207), Strasso (1208), Strasho (1211), Strassau (1219, 1507), Strasov (1227), Strasoue (1251), Strasolth (1291) e in altro modo ancora. La variabilità è dovuta in gran parte alle incertezze grafiche dei redattori dei documenti, e talora anche dei loro trascrittori (3). Si è comunque molto discusso sull’origine di questo toponimo (4). Secondo il cronista cinquecentesco Soldoniero di Strassoldo, il nome sarebbe di origine latina e deriverebbe da extra solidum e cioè “assai solido”, mentre secondo lo storico seicentesco Giovanni Francesco Palladio degli Olivi esso sarebbe stato dato al castello dal mitico Rambaldo di Strassau, un condottiero originario dalla Franconia che avrebbe combattuto contro Attila alla testa degli eserciti dell’Imperatore Valentiniano. Posto che questo personaggio sia mai esistito, rimarrebbe il problema del nome, che secondo tale ipotesi doveva corrispondere al luogo di origine del supposto capostipite della famiglia, e quindi riferirsi a qualche località della Franconia, rimanendo ancora impregiudicata la questione del significato del toponimo. In effetti il nome ha un suono sicuramente germanico, il che si spiega con le origini della famiglia che ebbe il dominio fin dai tempi più antichi sulla località. La prima parte del nome, che rimane ferma in tutte le versioni tramandate dai documenti duecenteschi, è da ricondursi al tedesco Strasse, strada; la seconda parte, soggetta a maggiori variazioni, può ricondursi ad una delle seguenti radici, sempre germaniche: a) Aue, con il significato di “prato lungo un fiume”, “isola fluviale”, “prato paludoso”, che nell’antico tedesco assumeva proprio la forma di Ouwe; a questa radice si riconducono le forme di Strassouwe, Strassau, Strassoue, che pertanto assumono il significato di “prato o isola sulla strada”; b) Hau, da hauen, sboscare, da cui in particolare le forme di Strasho, e ancora Strassau; il toponimo aveva pertanto il significato di “terreno sboscato sulla strada”, “radura sulla strada”, in friulano ronc di strade (5); c) Hof, corte, come sembrerebbero indicare le forme in Strasov, Strasho; si trattarebbe pertanto di una antica “corte sulla strada”, di uno Strasshof di cui si hanno numerosi esempi nei paesi germanofoni, di una Cortenuova che si contrapporrebbe alla Cortevecchia o Curviera come si chiamava anticamente l’abitato circostante l’attuale chiesa parrocchiale di Castions delle Mura (6); d) Halt, con il significato di “fermata”, “sosta”, “tappa”, dal verbo halten che vuol dire “tenere”; Strassoldo pertanto poteva essere la “sosta sulla strada”, ma anche un “presidio della strada”. Alcuni linguisti peraltro ritengono che la forma originale fosse Strasshau o Strassau da cui si sarebbe passati a Strassoldo attraverso un passaggio fonetico del friulano parlato che può portare da -au ad -al e poi ad -ol, con aggiunta successiva di una -t.(7). In definitiva l’idea fondamentale era quella di una località posta sulla strada, mentre più sfumato appariva il secondo elemento di identificazione, oscillante tra l’idea di radura, di prato, di isola, di corte o infine di fortilizio posto su due linee di comunicazione di qualche importanza. Tutte e quattro le possibili varianti della seconda parte del nome corrispondono peraltro ad una specifica caratteristica della località, che si era sviluppata in zona di risorgiva (“prato molle”), ampiamente ricoperta da boschi planiziali che dovevano essere aperti al nuovo insediamento (“terreno sboscato”), in parte come complesso agricolo (“corte”) e senz’altro con funzioni difensive (”presidio”). Verso gli ultimi anni del Duecento sarebbe alla fine prevalsa la forma avente il significato di “castello a presidio della strada”, che d’altronde corrispondeva perfettamente alla sua funzione. Il primo documento in cui appare il nome di Strassoldo è quello già citato del 1188, mentre precedenti o contemporanei riferimenti ad uno Strasso de Strassi (1166) (8) o ad un Eccelo de Strasso (1189) (9), vassallo del Vescovo di Treviso, o più in generale alla famiglia Strasso indicata 2 anche come quella degli Strassoldi (1096) (10), non è chiaro se riguardino un possibile ramo trevigiano della famiglia o se siano il frutto di una mera omonimia. Rispetto a queste prime citazioni, appare probabile che il castello esistesse da tempo, facendo parte di un’antica linea difensiva della Bassa Friulana incentrata sui castelli di Saciletto, Strassoldo, Porpetto, Ariis, e Varmo, oltre che su minori apprestamenti difensivi, quali Torre di Zuino, Carisacco, Sterpo, Castelluto, Flambruzzo, Belgrado e su un certo numero di cortine, o di piccoli fortilizi, quali quelli di Castions di Smùrghin, di Castions di Strada e altri. Secondo una prima ipotesi, che si riallaccia anche a tradizioni orali tramandatesi di generazione in generazione nella famiglia e che hanno trovato un riflesso nelle versioni più o meno mitizzate dei cronisti del Cinquecento e del Seicento (11), Strassoldo sarebbe stato costruito in periodo ottoniano, quale elemento di quell’imponente linea di fortificazioni delle marche di frontiera la cui costruzione venne promossa dagli imperatori della casa di Sassonia per porre un freno alle scorrerie degli ungari. Tale ipotesi è avvalorata dalla posizione del castello, situato quasi all’imbocco della Stradalta la quale, correndo al di sopra della linea delle risorgive, rappresentava l’itinerario preferito dalle bande ungare dirette verso la marca trevigiana (la cosiddetta Strata Hungarorum). Una seconda ipotesi ricollegherebbe Strassoldo ad un più antico sistema difensivo dei confini meridionali del Ducato longobardo contro le minacce provenienti dalla laguna dominata dai bizantini. Tale ipotesi viene suggerita dall’allineamento dei punti fortificati della bassa pianura friulana, che non corre in direzione nord-sud contro i pericoli provenienti dall’oriente, né si snoda lungo la “Ongaresca”, ma si sviluppa in piena zona delle risorgive, che per il suo carattere acquitrinoso non veniva percorsa dalla cavalleria ungara, e lungo un asse approssimativamente parallelo alle coste lagunari, intersecante i principali fiumi di risorgiva quali l’Ausa, il Corno e lo Stella, intorno ai loro limiti di navigabilità. Si tratta di fortificazioni costruite allo scopo di garantire il controllo delle vie terrestri e fluviali che dalle coste portavano in direzione del medio e alto Friuli e che avevano importanza sia economica (sfruttamento delle risorse forestali della bassa pianura), sia commerciale e soprattutto militare. L’ipotesi può trovare conferma sia nella assodata presenza longobarda nell’area (si pensi ai ritrovamenti longobardi nella zona di Bagnaria), sia nell’ininterrotta appartenenza del castello ad una famiglia probabilmente di origine longobarda e che comunque intrattenne rapporti di parentela con famiglie che ancora nel XII secolo dichiaravano di “vivere secondo la legge longobarda”. La terza ipotesi sulla genesi degli apprestamenti difensivi della bassa pianura friulana si fonda sull’osservazione che quasi tutti i castelli della zona sorgono o sorgevano sui fiumi di risorgiva, intorno ai limiti di navigabilità degli stessi, vale a dire in luoghi dove dovevano avvenire le rotture di carico delle merci provenienti dal mare e trasportate per via fluviale prima e per via terrestre dopo il trasbordo dai natanti ai carri e viceversa, per l’imbarco dei beni provenienti dal nord o dai boschi della zona. Si trattava di punti particolarmente favoriti anche perché rendevano più agevole l’attraversamento con traghetti o ponti nei tratti divenuti più stretti dei corsi d’acqua, ai fini di una viabilità trasversale. Va peraltro considerato che le tre ipotesi non si escludono a vicenda, potendo tali fortilizi essere stati ampliati su preesistenti fortificazioni longobarde, e ricevere particolare sviluppo dalla riorganizzazione del territorio da parte del Patriarca Popone e dei suoi successori, dall’incremento dei traffici commerciali con la laguna e dalla intensificata azione di sfruttamento delle locali risorse forestali, nonché dalla messa a cultura di nuovi territori, come è dimostrato anche dalla diffusione di nuovi insediamenti anche nel cuore della “grande selva” che ricopriva l’intera bassa pianura friulana nell’epoca in cui sorgeva lo stato patriarchino. 3 Quale che sia l’ipotesi più attendibile sulle origini del castello, è certo che si tratta di un complesso fortificato eretto in un luogo non abitato, ad opera di una famiglia di sicura origine germanica, che utilizzò la propria lingua per dare un nome al sito posto sulla sponda o sull’isola formata all’incrocio di due corsi d’acqua, il Limburino, o Imburino (12)(ora Taglio) e il Milaca/Brenta (13) (ora Milleacque o Roggia del Mulino). La data di costruzione del castello non è nota, come avviene per tutti i castelli medievali di antica fondazione, data la scarsità di documenti disponibili con riferimento ad eventi svoltisi intorno all’inizio del secondo millennio. Come si è visto, la prima citazione del nome è del 1188 associata ad un eminente personaggio della feudalità friulana, quell’Artuico che avrà un ruolo importante nei successivi decenni nella storia dello stato patriachino. Per quanto non si citi ancora in modo esplicito l’esistenza del castello, appare improbabile che Artuico risiedesse in un’abitazione che non fosse fortificata. Un altro documento, che non si conosce nella forma originaria, ma solo sulla base di una serie di citazioni indirette, individuerebbe la data nell’anno 1035. Scrive infatti nel 1574 Joseffo di Strassoldo (14): “Strassoldo hebbe origine e il suo principio dalli Anni del Signore 1035, come dicono li nostri vecchi d’aver più fiate inteso dalli suoi maggiori di longa età ed ancora appariva in scritture una concessione del millesimo soprascripto fatta di mille longhe di terra boschiva fra l’acque a un messer Woldariche Strassu Boemo per sé e per i suoi eredi di poter fare edificio di sassi e piastre per sicurezza et habitatia su qualunque parte di quel terreno col compito di difendere quelle contrade e la strada che portava alla Santa Sede Aquileiese” (15). La data appare assai verosimile, collocandosi in un periodo di riorganizzazione del territorio aquileiese, e così anche le condizioni ambientali che vengono descritte e le funzioni per le quali venne ottenuta l’autorizzazione. Il documento citato era custodito da Nicolò Maria di Strassoldo e andò purtroppo perduto nell’incendio appiccato al castello dalle truppe imperiali nel 1513. Appare comunque certo che il fortilizio venne costruito in un luogo non abitato, altrimenti avrebbe conservato il nome friulano del villaggio ai cui margini esso sarebbe stato eretto, come avvenne per Porpetto, per Varmo e per i tanti castelli che furono realizzati da feudatari di origine tedesca in località in qualche modo già abitate e quindi identificate con un proprio nome. Le origini della famiglia che costruì il castello e gli dette il nome appaiono anch’esse assai controverse. Senza dubbio si trattò di una famiglia di origine tedesca, come appare dal nome del castello ma anche da una costante e coerente tradizione tramandatasi da generazione in generazione. La prima informazione sulle origini della famiglia è quella sopraccitata di Joseffo di Strassoldo, secondo il quale il castello sarebbe stato eretto da un Woldarico proveniente dalla Boemia. Di poco posteriore la descrizione riportata da Soldoniero di Strassoldo (16) in ordine alle ragioni per le quali i fondatori vennero in Friuli e procedettero alla costruzione in contemporanea dei due castelli di sopra e di sotto, dovuta a due fratelli provenienti ancora dalla Boemia, di cui uno portava proprio il nome di Wolrico. Le due narrazioni si differenziano per il periodo, che Soldoniero fa retrocedere poco verosimilmente all’epoca imperiale romana, e per la configurazione del fortilizio, che secondo lo scrittore già si distingue in un corpo superiore e uno inferiore. Successivamente Faustino Moisesso (1623)(17) cita come origine della famiglia la Pomerania, mentre il Palladio (1660) attribuisce l’origine di Rambaldo e di suo figlio Bernero, che avrebbe costruito il castello con i materiali ricavati da Aquileia, ad una località della Franconia (18). Tutte queste versioni non trovano conforto in documenti disponibili in originale o in trascrizioni sufficientemente attendibili. Lo stesso nome di Strassoldo appare, come si è visto, in epoca relativamente tarda, se si escludono le citazioni degli Strasso trevigiani (1096), di dubbio riferimento alla famiglia in oggetto, ma che comunque sarebbero compatibili con la datazione di Joseffo (1035). Appare comunque accertato documentariamente che la famiglia, o un ramo più importante o quanto meno più coinvolto in vicende che richiedevano una documentazione scritta, per almeno un secolo 4 portò un nome assai diverso, quello di un castello situato in una località più a nord, Lavariano, nota per essere stata sede di una fara longobarda e per aver legato il suo nome a quello del grammatico Paolino, cui nel 776 Carlo Magno attribuì i beni di Waldando figlio di Immone che aveva seguito il Duca Rotgaudo nell’infelice tentativo di riscossa longobarda contro i franchi (19). Il collegamento tra la famiglia dei Lavariano e quella degli Strassoldo è stata provato senza ombra di dubbio. Il già citato Bernardo de Straso del 1190 si firmava pochi anni prima come di Lavariano (1186). Lo stesso avviene per Artuico, e soprattutto per il fratello Ludovico che nell’agosto del 1210 appare ancora come di Lavariano e nel gennaio 1211 inizia a firmarsi come de Straso. Tale collegamento consente di risalire almeno agli inizi del 1100 (20). Una seconda linea di ricerca può svilupparsi lungo la ricostruzione di presenze familiari in territori che furono da tempo immemorabile dominio degli Strassoldo. Si tratta in particolare del territorio adiacente a Strassoldo, che un tempo era denominato Smùrghin (21) e che comprendeva le località di Castions, Curviera, Campolonghetto e forse altre minori. Risale al 1129 un atto di donazione di un manso situato a Bicinicco, di un altro manso a Cavenzano e della corte di Pre… (probabilmente Privano) ai monaci di Aquileia da parte di Azo de Azmurgen e della moglie Matilde (22). Un successivo documento del 1134 riguarda un Ubaldo figlio di Azo che dona beni siti in Castions all’Abbazia di Sesto al Reghena, e che appare particolarmente interessante perché il personaggio dichiara di “vivere secondo la legge longobarda” (23). Il collegamento tra i due personaggi non pare provato con assoluta sicurezza, giacché potrebbe trattarsi di un caso di doppia coincidenza, onomastica (Azo) e toponomastica (Castions, di Smùrghin o di Zoppola). Interessa comunque ricordare che tutte le località citate furono da tempo immemorabile giurisdizione dei Lavariano (Bicinicco) e poi degli Strassoldo, il che fa supporre che rami distinti della stessa famiglia o la stessa famiglia in tempi diversi avesse assunto il nome di Azmurgen, e rispettivamente di Lavariano e infine di Strassoldo. Come si è già accennato, il fatto che una località che attualmente è compresa in Castions portasse il nome friulano di Curviere, vale a dire “Cortevecchia”, fa supporre che successivamente a questa fosse stata nelle vicinanze aggiunta una (non documentata) Curgnove, o “Cortenuova”, che quasi certamente era la “Corte sulla Strada”, la germanica Strasshof, costruita da un ramo degli allora Azmurgen. L’origine germanica o fors’anche longobarda (24) della famiglia trova così nuove conferme. Nobiltà e potere La storia del castello è strettamente legata a quella della famiglia che ne tenne fin dalle origini il dominio e che ne fece il centro dei propri interessi e la base del proprio potere. La posizione geografica, particolarmente favorevole, della sede, tale da consentire il controllo di un importante snodo di vie di comunicazione, quali la Stradalta, la strada di Germania che da Aquileia portava alla Carinzia e il fiume di risorgiva che proprio a Strassoldo cessava di essere navigabile, l’accorta politica di equilibrio tra i potentati che nei secoli si disputarono il predominio della regione (Patriarchi, Trevigiani e Conti di Gorizia prima, Venezia e Casa d’Austria poi), ed una obiettiva presenza in seno alla famiglia di personaggi di rilievo contribuirono a fare dei Signori di Strassoldo una delle famiglie più importanti della Patria del Friuli, tale da occupare una posizione di primo piano sia nel periodo patriarcale, sia, successivamente, sotto la dominazione veneta e nell’ambito dell’Impero. L’antichità e l’importanza della famiglia è testimoniata dalla sua appartenenza alla classe dei feudatari “liberi”, che si distinguevano dai “ministeriali”e dagli “abitatori” per il loro arrivo in Friuli prima del consolidamento del potere temporale dei Patriarchi d’Aquileia, e quindi prima 5 dell’investitura imperiale del 1077: le investiture dei loro feudi derivavano originariamente in linea diretta dall’Imperatore. Tali investiture comportavano oltre all’obbligo della fedeltà all’alto signore e del servizio in guerra, la responsabilità di rendere giustizia sia in materia civile che penale, essendo ai feudi collegate le giurisdizioni “col mero e misto imperio” La giurisdizione dei Signori di Strassoldo si estendeva su numerosi borghi, villaggi e territori, alcuni dei quali situati nelle vicinanze del castello (Cisis, Cistigna, Molin di Ponte, Cerclaria, Curviera, Castions di Smurghin, Campolongo di Smurghin, Pradiziolo, Villafranca, Uttano), altri nella zona d’origine della famiglia (Lavariano, Chiasottis, Cuccana, Bicinicco), altri ancora nella zona dello Stella (Chiarmacis, Zompicchia, Muzzana), nel Goriziano (Farra, Villanova, Medea, Moraro, Quisca, Medana). Nel Trecento ottennero dai conti di Gorizia l’avvocazia di Mortegliano e numerosi territori del Collio, nel Cinquecento da Venezia il Capitaneato di Soffumbergo (Campeglio, Prestento, Volzana, Orsaria, Soffumbergo) e successivamente ulteriori giurisdizioni nella valle del Vipacco (Ranziano) (25). Numerosi castelli furono in proprietà o in possesso temporaneo della famiglia: oltre ai due castelli di Strassoldo, essi ebbero - nello stesso o in tempi diversi - i castelli di Lavariano, di Soffumbergo, di Aiello, la cortina di Mortegliano e altre cortine. Furono presenti nell’attuale Slovenia, con i castelli di Ranziano nella Valle del Vipacco, di S. Martino di Quisca sul Collio sloveno, di Gurkfeld (Krsko) sulla Sava e di Kingenfels (Klevevs) ancora sulla Sava. In Austria ebbero il castello di Aichelburg in Carinzia, e di Schwarzenau in Bassa Austria (26). Ebbero per un periodo più o meno lungo il possesso, a titolo di usufrutto o pegno, i castelli di Zuino, di Belgrado, di Castelnuovo, di Cormons, di Arispergo, di Sagrado (27). Tale posizione eminente nell’ambito della feudalità friulana dava loro il diritto di sedere nel Parlamento friulano all’ottavo posto e la possibilità di svolgere un ruolo di primo piano in tutte le vicende della Patria del Friuli. Scarse sono le notizie, come si è già notato, sul maniero e sui suoi signori fino agli inizi del Duecento. A partire dal primo decennio di tale secolo i documenti si fanno sempre più frequenti consentendo di ricostruire i tratti salienti della vicenda storica attraverso la quale è passato il castello. Il primo documento in cui è menzionato per la prima volta il nome del castello, stilato nel 1188, cita un eminente personaggio della feudalità friulana, quell’Artuico de Straso che nel 1219 fu tra i capi della fazione dei liberi contro buona parte dei feudatari ministeriali cui andavano le preferenze del potere patriarcale: la leggenda della bellissima Ginevra di Strassoldo (28), che il padre Artuico avrebbe dapprima promessa a Federico di Cuccagna, illustre esponente dei ministeriali, e poi data in sposa ad Odorico di Villalta della classe dei liberi, il che avrebbe dato inizio alle ostilità tra le due fazioni, non riesce a mascherare la realtà dei contrasti di interesse che opponevano i liberi, gelosi delle proprie prerogative e della propria autonomia, ai ministeriali appoggiati e favoriti in ogni modo dalla corte patriarcale, nel quadro di una politica di consolidamento e di centralizzazione delle strutture del principato ecclesiastico. Un giudizio arbitrale del Patriarca Bertoldo di Andechs (1218-1251), risoltosi a favore dei ministeriali, avrebbe spinto i liberi ad una aperta ribellione contro l’autorità patriarcale: nel 1219 dieci tra le più importanti famiglie libere, tra le quali i Caporiacco, i Villalta, i Fontanabona, i Castellerio, i Solimbergo e, appunto, gli Strassoldo, fecero lega con la città di Treviso, prendendone la cittadinanza, impegnandosi a costruirvi un palazzo, ed aprendo ad essa i propri castelli. I due anni che ne seguirono tra Treviso e i suoi collegati da una parte e il Patriarca e il Conte di Gorizia dall’altra, si tradussero in gravi devastazioni soprattutto nel Friuli Occidentale e nella Marca trevigiana. Alla fine, con un’abile politica di alleanze con Padova e Venezia, con l’intermediazione sia del Papa che dell’Imperatore Federico II, al cui servizio era 6 stato Artuico, il Patriarca riuscì a superare tale momento critico, rompendo il fronte dei suoi avversari interni, che nel 1221 con un solenne atto steso nel castello di Caporiacco ripudiarono l’alleanza con Treviso e accettarono l’investitura patriarcale. Malgrado la durezza della lotta e la gravità dei danni arrecati a centinaia di villaggi e castelli, non risulta che in tale conflitto Strassoldo rimanesse danneggiato. Dopo tale tentativo di rivolta feudale, gli Strassoldo condussero una politica di maggiore equilibrio tra i due potentati friulani, non tralasciando tuttavia di intervenire nelle principali vicende dei Patriarcato, e dimostrando comunque una maggiore propensione verso le aspirazioni espansionistiche dei conti di Gorizia, secondo un orientamento che troverà conferma nei secoli successivi anche nei riguardi della Casa d'Austria, destinata a succedere nella signoria goriziana. Nel 1272 gli Strassoldo furono a fianco del Vicedominio Federico di Pinzano durante la lunga e agitata vacanza della sede d'Aquileia che seguì alla morte del Patriarca Gregorio di Montelongo. Nel 1279 parteciparono con Cono di Strassoldo alle spedizioni in Lombardia promosse dal Patriarca Raimondo della Torre a sostegno degli interessi della propria famiglia nelle terre d'origine. A conferma dei rapporti di alleanza e di interesse tra la contea goriziana e i Signori di Strassoldo si può ricordare l'importante atto di investitura del 1291, riguardante numerosi beni situati nella Valle del Vipacco. Un ulteriore fondamentale atto di investitura proveniente dai conti di Gorizia è quello del 1312 con il quale tra l'altro si conferma alla famiglia la giurisdizione di Mortegliano. Sotto il Patriarca Pietro Gerra nel 1300 la famiglia viene ascritta alla nobiltà udinese. Nello stesso anno riceve dal Duca d'Austria l'investitura di alcune località del Friuli, con il diritto di subinvestirle. Gli Strassoldo tuttavia spesso si discostarono dalla politica dei conti di Gorizia. Ad esempio si rifiutarono di seguirli nei loro tentativi espansionistici durante il Patriarcato di Ottobono. Nel 1308 essi fecero lega con la comunità di Cividale e con altre famiglie libere e ministeriali per difendere il Patriarca contro i castellani ribelli alleati ai goriziani. In queste e in altre vicende in cui gli Strassoldo furono coinvolti e che si traducevano quasi sempre in duri scontri tra milizie feudali e in devastazioni di ampi territori, non risulta dai documenti finora resi disponibili che il castello avesse dovuto sostenere assedi e subire danni più o meno gravi. In un noto atto di divisione dei 1322, si indicano alcuni lavori di restauro da eseguire, tra cui la ricostruzione di un antico muro, senza che si precisi se tali esigenze nascessero dalla vetustà di alcune parti dei castello, o da danni subiti in qualche scontro militare. In un successivo documento del 1366 appare che otto membri della famiglia si accordano per procedere al restauro del maniero, senza che si indichino le cause di tale decisione. A partire dal primo decennio del Trecento la politica della famiglia sembra avvicinarsi maggiormente a quella dei Patriarchi, anche se in numerose occasioni vengono riconfermati i rapporti di alleanza con i conti di Gorizia, da cui si ottengono molteplici riconferme delle investiture. Da diversi atti sembra emergere come ogniqualvolta sia stato possibile, gli Strassoldo abbiano esercitato opera di mediazione tra i due potentati friulani, secondo una linea che d'altronde corrispondeva a loro specifici interessi, ove si consideri che sia i beni feudali e relative giurisdizioni, sia le proprietà allodiali della famiglia si trovavano nei territori di entrambi. La famiglia non segue in questo periodo i Goriziani nelle loro contese con i Patriarchi e nei loro ripetuti attacchi all'autorità patriarcale. In particolare rimangono fedeli a Bertrando di S. Genesio, trucidato sui prati della Richinvelda nel 1350, ad opera di un nutrito gruppo di castellani capeggiati dagli Spilimbergo. Da tale Patriarca nel 1342 Cono di Strassoldo aveva ricevuto l'investitura di alcuni feudi. Che gli Strassoldo fossero completamente estranei a tale congiura feudale è dimostrato dal fatto che la spietata repressione della rivolta messa in atto dal successore di Bertrando, Nicolò di Lussemburgo, non coinvolse alcun membro della famiglia, che anzi nel 1351 ebbe da Nicolò conferma degli antichi feudi della casa. Dopo la morte di Nicolò di Lussemburgo, venne eletto Vicedomino della Patria un energico rappresentante della famiglia, Odorico di Strassoldo, che nella 7 vacanza della sede aquileiese dovette fronteggiare numerose difficoltà create nel 1359 da Mainardo di Gorizia e dal Duca d'Austria. Nei conflitti che seguirono tra il nuovo Patriarca Ludovico della Torre da un lato e il Duca Rodolfo d'Austria sostenuto dagli Spilimbergo dall'altro, gli Strassoldo si schierarono con questi ultimi partecipando attivamente alle operazioni militari e conquistando l'Abbazia di Rosazzo, che venne restituita solo dopo il pagamento di un congruo riscatto da parte del Patriarca. Dal successivo Patriarca Marquardo di Randeck nel 1370 furono solennemente riconfermati nelle investiture dei feudi e delle giurisdizioni avute dalla Chiesa d'Aquileia. Un ruolo attivo venne svolto durante le discordie originate dalla cessione in commenda del Patriarcato al Cardinale Filippo d'Alençon. Gli Strassoldo si schierarono con il partito che rivendicava la dignità del potere patriarcale, guidato dalla comunità di Udine, contro il d'Alençon e i Cividalesi. In tali circostanze nel 1381, secondo alcuni storici, il castello di Strassoldo venne investito dalle milizie patriarcali e dato alle fiamme (29). Tre anni dopo Bernardo e Pietro di Strassoldo con i loro armati devastarono e saccheggiarono i territori intorno a Cividale, per vendicare i danni recati ai loro villaggi. L'esito favorevole della resistenza della lega, che costrinse alla fine il patriarca commendatario alla fuga ed alle dimissioni, non poté che tradursi in un miglioramento delle posizioni della famiglia. Gli Strassoldo nel decennio successivo consolidarono la loro posizione nell'ambito della comunità udinese, ottenendo ulteriori investiture e nuovi beni. Si opposero insieme agli Udinesi al nuovo Patriarca Giovanni di Moravia, fino al punto di partecipare, con un Bernardo di Strassoldo, alla sua uccisione, sulla soglia del castello di Udine, nel 1394. L’orientamento favorevole alle posizioni degli Udinesi venne riconfermato anche negli anni successivi, con il Patriarca Antonio Panciera, che invece suscitò l’ostilità dei Cividalesi. Ne è prova l'elezione a vescovo di Concordia di Enrico di Strassoldo nel 1409, promossa dai sostenitori dei Panciera per ostacolare le aspirazioni del precedente vescovo Antonio da Ponte. Nel quadro delle lotte tra Udinesi e Cividalesi rientrano gli attacchi portati da questi ultimi nel 1411 alla cortina di Mortegliano, che venne conquistata, messa a sacco ed incendiata. Nel 1413 ricevettero dall'imperatore Sigismondo re d'Ungheria il Castello di Zuino, confiscato ai Savorgnan, in cambio di un prestito concesso da Nicolò e Ludovico di Strassoldo. Nel 1418 gli Strassoldo insieme alla quasi totalità della feudalità e delle comunità friulane (unica eccezione Tristano di Savorgnan) sostennero il Patriarca Ludovico di Teck nella difesa della Patria del Friuli contro il definitivo attacco dei Veneziani che ormai avevano deciso di impadronirsi del Friuli. Per due anni le comunità e i castellani si difesero valorosamente contro le milizie venete comandate da Filippo Arcelli, da Taddeo d'Este e da Tristano di Savorgnan. Quando queste si avvicinarono al loro castello essi chiesero soccorso ai Cividalesi. Dopo l'abbandono della lotta da parte della Comunità di Cividale, gli Strassoldo continuarono a militare nel campo patriarcale, finché, il 19 maggio 1419, furono costretti a sottomettersi alla Serenissima rendendo omaggio in Cividale a Taddeo d'Este, e ottenendo conferma del pegno costituito dal Castello di Zuino, che successivamente ritornò comunque ai Savorgnan (30). Il periodo veneziano Gli ultimi decenni del Quattrocento furono dominati dalle preoccupazioni destate dalle invasioni turche. Nel 1469 si lavorava a Strassoldo per approfondire i fossati del castello e per migliorare la navigabilità dell'Imburino, necessaria per il trasporto dei materiali da costruzione. Nel 1472 i Turchi passarono fin sotto il castello, senza tuttavia fermarsi. Nel 1499 ritornarono investendo la cortina di Mortegliano, difesa valorosamente dagli abitanti di quella comunità. La necessità di migliorare le 8 difese indusse Ropretto di Strassoldo a chiedere un sopralluogo alle fortificazioni del castello. Nel giorno 11 giugno 1500 il condottiero della Serenissima Bartolomeo d'Alviano e il provveditore Pietro Marcello furono a Strassoldo per una ispezione alle difese dei luogo: a seguito di tale visita, il 14 giugno «fu cominzado a murar Strasoldo e fatto del muro con merli, la porta sul ponte che va in borgo nuovo e la porta del giron», come riferisce Nicolò Maria di Strassoldo (31) Il rafforzamento delle difese del castello non servì contro i Turchi, bensì contro le armate imperiali che nel 1509 attaccarono il Friuli veneto, forti dell'appoggio della lega di Cambrai promossa dal Papa Giulio Il e dall’Imperatore Massimiliano contro Venezia. Nella loro avanzata nel territorio aquileiese le milizie croate di Cristoforo Frangipane di Tersatto assalirono il castello e lo diedero alle fiamme (32) Non dovevano averlo completamente disarmato, se quattro anni dopo esso venne nuovamente investito e saccheggiato (33). Durante tale guerra eminenti personaggi della famiglia militarono sia in campo veneto che in quello imperiale. Dalla parte della Repubblica si pose Giovanni di Strassoldo, laureato in legge, del Castello di Sopra, che già in precedenza si era distinto nelle azioni contro i Turchi insieme allo zio Ropretto. In ricompensa dei servizi prestati ebbe da Venezia l'investitura del capitaneato di Soffumbergo, con il castello e i villaggi ad esso soggetti, dando inizio alla linea degli Strassoldo Soffumbergo, che avrà una propria rappresentanza in Parlamento (34). Sarà suo nipote quel Giovanni di Strassoldo (35) che è noto per aver armato una galera con la quale il Parlamento della Patria del Friuli volle contribuire alla battaglia di Lepanto (1571). Nel campo imperiale militavano altri esponenti della famiglia, tra i quali Federico e Giovanni, della linea Chiasottis-Chiarmacis (36), figli di quel Soldoniero che nel 1456 aveva ricevuto dal conte di Gorizia il castello di Aichelburg. In particolare Federico godette della fiducia dell'Imperatore Massimiliano, che gli affidò incarichi di particolare delicatezza presso le corti di Polonia, di Russia e del Sultano. La presenza di tali personaggi in campo imperiale non riuscì tuttavia a salvare il castello, che si trovava in territorio veneto. Gli Strassoldo furono coinvolti naturalmente in uno degli episodi più noti e rilevanti di quel periodo, il grande conflitto civile del cosiddetto “giovedì grasso” del 1511 che si intrecciò con una rivolta contadina e che oppose la nobiltà friulana filo-imperiale capeggiata dai Della Torre (il partito degli Strumieri), a quella filo-veneta che peraltro si riduceva alla potente famiglia dei Savorgnan ed ai loro sostenitori (il partito degli Zamberlani). L’orientamento generalmente filoimperiale, i numerosi legami di parentela con i Della Torre, la presenza nelle armate e nella corte imperiale di personaggi ragguardevoli, li portarono naturalmente a schierarsi con gli Strumieri, anche se non vi è sufficiente documentazione per affermare che le colonne contadine aizzate dal Savorgnan contro i castelli dei rivali si spingessero anche fino a Strassoldo, che peraltro era stato già fortemente colpito dall’attacco imperiale del 1509. Lo storico della rivolta, l’americano Muir, ritiene che il castello in qualche misura fosse stato coinvolto in tali vicende, adducendo anche una richiesta di intervento di milizie venete in questa zona. Tuttavia va considerato che mentre le distruzioni del 1509 e del 1513 ad opera degli imperiali sono ben presenti nelle memorie familiari e nelle cronache scritte, dei fatti del 1511 con riferimento al castello non vi è alcuna notizia. Anzi, si può considerare che vi sono due indizi che indicano il contrario: nelle travature del mastio di sotto è incisa la data del 1510, segno che almeno tale parte del castello non fosse stata data alle fiamme nel 1511; ed inoltre Joseffo Strassoldo cita il documento di fondazione del castello, che sarebbe andato perso in occasione dell’attacco imperiale del 1513, il che significa che quanto meno l’archivio non fu devastato, mentre erano proprio gli archivi con la documentazione sui livelli di indebitamento dei contadini nei confronti dei Signori il primo oggetto della furia dei rivoltosi (37). Da allora Strassoldo perse la sua funzione militare, anche perché ben diverse divenivano ormai le esigenze della difesa contro schieramenti offensivi in cui assumeva un ruolo determinante l'artiglieria. Manterrà comunque una funzione strategica importante se nel 1558 il luogotenente Pietro Sanudo proporrà di costruirvi una «fortezza inespugnabile per lo sito abundante de acque 9 resortive le qual non poleno essere tolte» (38), e se nel 1593 a poca distanza dalla località si inizierà la costruzione della fortezza di Palma. Il castello, rovinato, non verrà completamente abbandonato. Vi si continuerà ad amministrare la giustizia, come risulta dalle numerose sentenze pervenuteci (39), e ad ospitare le residenze di un ramo della famiglia degli Strassoldo di Sopra che nel Seicento assumerà il predicato di Graffemberg, e del ramo degli Strassoldo di Sotto della linea di Villanova e Farra (40). Diventa nel 1574 cappellano della località Joseffo di Strassoldo, noto nella storia della letteratura per i suoi versi in lingua friulana (41). Egli pose ordine nelle cose delle chiese di Strassoldo e diede inizio a tutta una serie di opere quali l'innalzamento del campanile della Chiesa di S. Nicolò nel Castello di Sopra, che non è chiaro se venne rialzato rispetto alla struttura preesistente (una torre di vedetta) o se venne costruito dalle fondamenta. A lui si deve anche l’impulso alla costruzione della Chiesa dedicata a S. Tommaso e a S. Marco Evangelista «nel Castel di Sotto appresso l'acqua del ziron zoso dal Ponte», l’attuale chiesetta del Castello di Sotto (42). Nel 1593 il castello è in grado di ospitare la numerosa delegazione inviata da Venezia per scegliere il luogo in cui costruire una nuova imprendibile fortezza, che potesse sostituire la perduta fortezza di Gradisca, e dei cui lavori è rimasta una circostanziata relazione di Leonardo Donato, che poi diverrà doge (43). Dopo numerosi sopralluoghi nei dintorni, il sito viene indicato in una zona a nord di Strassoldo, nei pressi del villaggio di Palmada. Ettore di Strassoldo annota che «questa deliberatione fu fatta in la mia Camera dalla Scala di Pietra» e la indica in data 14 ottobre 1593. Tale decisione non fu accolta con soverchio entusiasmo dalla famiglia, come appare dalle osservazioni di Soldoniero di Strassoldo sulla «ditta fortezza, la quale, per opinione mia, che lo Signor Iddio non voglia, dubito che sarà a qualche tempo la ruina di tutta questa Patria, che per opinione mia sarà una nova colonia di Venetia» (44). La costruzione di Palma sembra in un primo momento rivalutare la posizione strategica di Strassoldo, per cui devono passare le principali vie di comunicazione con il mare, e in particolare l'itinerario fluviale che si cerca di aprire con notevoli lavori di approfondimento e di correzione del corso dell'Imburino, che da allora prenderà il nome di Taglio. Malgrado l'arricchimento delle sue acque con deviazioni di rogge di risorgiva, la costruzione delle chiuse di Muscoli e di alcune anse artificiali per rallentare la corrente, tale via d'acqua sarà percorribile solo fino ad alcune centinaia di metri al di sopra del castello, e per brevi tratti di tempo. Sulla posizione di Strassoldo il Provveditore Alvise Priuli così si esprimeva nel 1600: «il Castello di Strassoldo dominato da castellani di quella casa ..., quando non si venga in resolutione di spianarlo, doverrà esser occupato da nostri prima che caschi in mano de nemici, quali quando fossero austriaci con molta facilità sarebbono introdotti per la dipendenza che hanno seco essi castellani, servendo con le proprie persone a quella Corte et questo perché esso Castello è posto in sito tale rispetto alle acque che con poco si potrà metter in honesta difesa et facilmente potrà impedire li soccorsi che apunto per quella via di mare possono capitare» (45). La guerra gradiscana (1615-1617) non sembra interessare in modo rilevante il castello, anche se coinvolse numerosi membri della famiglia. In particolare Rizzardo di Strassoldo, del ramo di Villanova e Farra, difese valorosamente la fortezza arciducale in qualità di comandante della piazzaforte, insieme ad alcuni familiari, mentre altri Strassoldo, e in particolare Italico e Carlo, parteciparono alle operazioni belliche, espugnando in particolare il fortino di Farra. In tutto il Seicento non vi sono avvenimenti di rilievo che meriti di ricordare riguardo al castello. I suoi Signori acquisiscono onori e posizioni di prestigio al servizio di Venezia, dei Granduchi di Toscana e soprattutto dell'Imperatore, che li premia elevandoli al rango baronale nel 1622 e a quello di conti dei Sacro Romano Impero nel 1641. Nel Settecento il castello passa interamente alla linea di Sopra, che verso la metà del secolo provvede ad effettuare notevoli lavori di restauro e di ristrutturazione. Nello sforzo di far assumere ai vetusti edifici l'aspetto di villa signorile, vengono 10 trasformate le facciate, costruite alcune barchesse, ristrutturata e ampliata la Chiesa di S. Nicolò che diventa Chiesa parrocchiale, restaurata la Chiesa di S. Marco, bonificati alcuni terreni paludosi circostanti e trasformati in parchi ricchi di peschiere, pozzi, fontane, statue. Strassoldo assume l'aspetto con il quale si presenta oggi al visitatore. Il periodo austriaco Malgrado i molteplici rapporti con la contea goriziana prima, e con lo stato arciducale e imperiale dopo, e le numerose relazioni con Gorizia, il castello rimase sempre sotto il governo veneto condividendone pertanto le vicende. Due rami della famiglia, pur mantenendo proprietà e rapporti con il castello, avevano trovato stabile dimora nei territori austriaci, a Gorizia, a Medea, a Farra, a Gradisca e cioè gli Strassoldo Graffemberg del primitivo ramo del Castello di Sopra, e gli Strassoldo Villanova, discendenti dagli Strassoldo di Sotto, mentre gli altri due rami avevano i principali interessi e le sedi nel Friuli veneto: gli Strassoldo Soffumbergo, discendenti da quel Giovanni che nel 1512 era riuscito ad ottenere il capitaneato di Soffumbergo e che appartiene al ramo del Castello di Sopra, avendo i principali interessi nel Cividalese, e gli Strassoldo Chiasottis che invece si riferiscono al Castello di Sotto e che si collegano alle proprietà disposte lungo il Tagliamento e intorno alla sede primitiva della famiglia, Lavariano. Solo a seguito del trattato di Campoformido, nel 1797, il castello viene formalmente compreso nell’ambito dell’Impero e in particolare nella principesca Contea di Gorizia e di Gradisca. Cambiano senza dubbio le leggi e i rapporti amministrativi, ma non certo quelli economici e culturali dato che già agli inizi del Settecento la proprietà dei due castelli si riunifica nell’unica linea dei Graffenberg, i quali mantengono la dimora a Gorizia, fino a quando non cedono il Palazzo del Grafenberg ai Coronini. Essi avevano comunque dimostrato un particolare interesse alla sede originaria della famiglia, come è dimostrato dagli ingenti investimenti effettuati nella prima metà del Settecento a Strassoldo. Il castello diventa un centro di rapporti intensi con il mondo austriaco, dovuto alla presenza delle guarnigioni di Palmanova, che quasi certamente favorisce il matrimonio del futuro Feldmaresciallo Radetzky con Francesca Romana di Strassoldo, e alla rilevanza di posizioni che alcuni Strassoldo assumono nell’amministrazione e nell’armata imperiale. Si pensi a Giulio Giuseppe di StrassoldoChiasottis, che fu capo della polizia austriaca a Milano e successivamente, nel 1818, Governatore della Lombardia, e più precisamente Presidente di quell’Imperial Regio Governo. Si può ricordare il Generale Giulio Cesare Strassoldo Graffemberg, che combattè vittoriosamente alla battaglia di Santa Lucia del 1848 agli ordini di Radetzky, e a Michele Strassoldo Graffemberg che fu vicerè della Lombardia prima dell’arciduca Massimiliano e poi Governatore della Stiria. La località attrae personaggi illustri, come il generale Francesco Kuhn von Kuhnenfeld che acquista la Villa e le proprietà degli Strassoldo Chiasottis (ora Vitas), ed altri. L’influenza che la famiglia aveva alla corte di Vienna fu di qualche importanza e forse ebbe per conseguenza che nel 1814 Strassoldo insieme a Muscoli, da sempre in territorio veneto, fu attribuito al Regno Illirico e quindi al goriziano. La scelta fu importante, perché ne conseguì che nel 1866, mentre tutto il Friuli già veneto veniva annesso al Regno d’Italia, tale leggera correzione del tracciato confinario fece sì che Strassoldo rimanesse legato a quella parte del Friuli orientale che mai aveva cessato di mantenere i suoi riferimenti con Gorizia e l’Impero. Nel periodo austriaco poche trasformazioni si introducono nel complesso castellano. I parchi che originariamente erano impiantati o almeno progettati all’italiana, si trasformano in parchi paesaggistici. La torre del Castello di Sopra, probabilmente a seguito dei pericoli corsi durante i 11 terremoti del 1873 e 1876, venne diminuita di un piano, e i parapetti in muratura del fiume vengono rimossi e sostituiti con pilastri in pietra e ringhiere in ferro (46) L’evoluzione delle strutture architettoniche Non esistono fonti iconografiche che ci possano informare sulle caratteristiche e sulla configurazione del castello negli anni della sua costruzione e del suo ampliamento. Le caratteristiche architettoniche del complesso fortificato e le varie fasi del suo sviluppo possono pertanto essere ricostruite solo sulla base di un esame della conformazione topografica del centro e dei manufatti medioevali che sono sopravvissuti alle molteplici distruzioni e trasformazioni avvenute nei secoli, cui può aggiungersi un'analisi delle poche e sommarie descrizioni contenute in documenti di varia epoca. È in ogni caso certo che il castello si sviluppò intorno a due torri costruite sulle sponde del fiume, a controllo ad un tempo della strada e del corso d'acqua. Non appare tuttavia chiaro se le due torri fossero coeve, e su questa ipotesi sono state costruite le versioni più o meno fantasiose riguardanti la fondazione realizzata da due fratelli, oppure se la prima torre fosse quella tuttora esistente del Castello di Sopra, intorno alla quale si sviluppò il nucleo originario del complesso che poi successivamente, secondo un processo di duplicazione assai diffuso in Friuli (si pensi ai due castelli di Varmo, di Tarcento, di Partistagno, ai castelli di Zucco e Cuccagna ed altri), dette origine alla seconda torre e al secondo castello. La torre posta verso la sponda meridionale del canale di congiunzione tra i due fiumi è ancora visibile nel Castello di Sopra. Si tratta di una robusta costruzione di tre piani, alta oltre 12 metri, abbassata nell'Ottocento per ragioni statiche (47). La seconda torre, collocata nel Castello di Sotto, non esiste più. Secondo taluni sorgeva in luogo dell'attuale Chiesa di S. Marco, che in effetti si innalza su fondazioni costituite da una base a scarpa, sormontata da una cordonata in cotto, parzialmente interrata allorché si trattò di costruire il retrostante mulino. Va tuttavia osservato che in un disegno della seconda metà dei Settecento, raffigurante il Castello di Sopra quale si presentava dopo i considerevoli lavori di riatto compiuti intorno alla metà del secolo, sulla sponda sinistra dell’Imburino appare una alta e massiccia torre merlata, ben distinta dal mastio, dalla chiesetta di San Marco e dalla casetta - tuttora esistente - addossata al muro di cinta. Evidenze cartografiche e di scavo hanno consentito di chiarire la situazione. Infatti una mappa custodita negli Archivi Provinciali di Gorizia, evidenziante l’impianto progettuale e forse anche di fatto dei parchi, fornisce la pianta della torre, che appare assai più grande di quella superiore, e che si dispone parallelamente alla casetta che si appoggia sul gironutto. Poiché sia il disegno, sia la mappa, a parte alcuni errori di dettaglio, appaiono assai fedeli, se ne può dedurre che la seconda torre sorgesse nell’attuale piazzetta compresa tra i due ponti sull’Imburino o Taglio (48). Alcuni ulteriori indizi sono stati offerti nel corso degli scavi realizzati per collocare le condutture nel sottosuolo, mentre va assolutamente scartata l’ipotesi che essa sorgesse in luogo dell’attuale Chiesa di San Marco: i più recenti interventi di restauro dell’edificio hanno evidenziato che i notevoli spessori della parete occidentale e la base a scarpa con relativa cordonata sono il risultato di un’opera di incamiciamento e di consolidamento delle fondazioni di una struttura che appariva notevolmente fuori piombo dal lato del fiume e che poteva far temere qualche cedimento (49). Intorno alle due torri venne a svilupparsi l'intero castello. In un primo momento vi sorsero abitazioni in legno, cinte probabilmente da una palizzata, poi sostituita da un muro in pietra. Dalla torre settentrionale si dipartiva quello che in numerosi documenti viene chiamato Girone o Zirone, racchiudente al suo interno la chiesa e numerosi edifici prima di legno e poi in muratura. Accanto 12 alla torre si apriva una prima porta o pusterla, attraverso la quale passava la strada che poi usciva a nord attraverso la porta Cistigna. All'interno del girone vi erano la loggia del comune, la chiesa, le abitazioni dei Signori, le casette del personale di servizio, l'abitazione del cappellano, l'osteria, alcune botteghe artigiane. Tale quadro emerge dall'atto di divisione del 1322, con il quale il Castello di Sopra viene ripartito in cinque parti tra gli eredi di Gabriele di Strassoldo (50): vi si parla di un battifredo in legno, di una porta o pusterla presso la torre, di cui si prevede la ricostruzione, dello spalto, delle scuderie, della canipa (51). La torre posta a sud del fossato di congiunzione tra i due fiumi rappresentò il nucleo originario del Castello di Sotto. Di fronte alla torre venne costruita la domus magna o palatium, oltre ad altri edifici minori, difesi da una cinta muraria di minori dimensioni, detto gironutto di cui rimane visibile solo un tratto. Intorno a tale nucleo venne con ogni probabilità scavato un fossato che congiungeva l'Imburino alla Roggia del Mulino attraverso le odierne peschiere che delimitano la prima parte del parco del Castello di Sotto. Sul gironutto si apriva una pusterla, che probabilmente coincide con il portale cui si accede al cortile esterno, tuttora esistente, che conduceva nella parte più recente del castello, il cosiddetto Borgo nuovo, attraverso il quale passava la strada per Cisis; le case sorte probabilmente nel Duecento al di là del gironutto vennero cinte da un altro giro di mura, protette da un ulteriore fossato che traeva le sue acque dall'Imburino a monte, per poi restituirle a valle. Su tale fossato si apriva la Porta Cisis, che nel citato disegno settecentesco appariva ancora munita dell'arco, successivamente crollato o demolito. Tale conformazione del Castello di Sotto emerge dalla lettura di un secondo atto di divisione, stilato nel 1360 (52): gli eredi di Enrico di Strassoldo procedono alla divisione del Borgo nuovo, lasciando indivisa la domus magna e il gironutto. Vi si parla del zirone, di una pusteria, di una loggia, di un battifredo, del borgo e del borgo nuovo, separati dal fiume. Sulla natura delle opere eseguite a partire dal 1366 e su quelle compiute dopo i danneggiamenti del 1381 non si hanno notizie precise. Alcune informazioni si hanno su alcuni interventi successivi: da un documento del 1393 si apprende che gli eredi di Pietro di Strassoldo si accordano con i figli di Giovanni di Strassoldo per la costruzione di una casa che si appoggi con dei modiglioni all'edificio di proprietà di questi ultimi: è in questo anno pertanto che si dà inizio ad un ampliamento del mastio del Castello di Sotto (53) . Successivamente, si possono ricordare i lavori eseguiti in vista delle temute invasioni dei Turchi, iniziati nel 1469 con lo scavo del fossato e l'approfondimento del fiume, a fini sia di difesa che di miglioramento della via fluviale per il trasporto dei materiali da costruzione a Strassoldo e del legname dei boschi circostanti a Venezia (54). In questo periodo vengono eseguite numerose altre opere: nel 1490 Ropretto di Strassoldo demolisce e ricostruisce la Chiesa di S. Nicolò; nel 1492 «fo facto fare lo ponte in cavo del Borgo verso la Chiesa de S. Maria in Vignis. Fo facto fare anco lo ponte a mezzo lo borgo», come annota Nicolò Maria di Strassoldo, il quale ricorda altresì che nel 1500 «havemo terminado murar e fortificar lo nostro logo di Strassoldo per una spesa di 160 ducati» (55). Un ciclo di lavori di restauro di non molto rilievo dovette seguire alle distruzioni del 1509-1513. Da un gruppo di sentenze criminali della Signoria di Strassoldo risulta che nei decenni successivi si continuava a rendere giustizia, e che il castello era dotato della cancelleria, delle carceri, di un porticato sotto il quale venivano pronunciate le sentenze e del luogo del supplizio (56). Opere di maggiore importanza vennero eseguite nell'ultimo quarto di secolo. Nel 1575 venne iniziata la costruzione di una nuova chiesa nel Castello di Sotto e venne innalzato il campanile della Chiesa di S. Nicolò nel Castello di Sopra, facendo uso anche di materiali recuperati da edifici o murature in rovina (57). Appartiene a questo ciclo di restauri il rifacimento del portale che si apre sul gironutto ed il restauro degli interni dei Castello di Sopra e del mastio del Castello di Sotto, ivi comprese le formelle decorate dei saloni. Il castello era in grado di ospitare nell’ottobre del 1593 la 13 delegazione inviata dal Senato veneto per compiere la scelta del sito in cui costruire quella che sarà la fortezza di Palmanova, che verrà sottoscritta “nella Sala dalla Scala di pietra”, come annota Ettore di Strassoldo. L'accresciuta importanza di Strassoldo e la migliorata disponibilità di spazi nel Seicento sembra dimostrata dalla decisione del governo veneto di localizzarvi gli archivi notarili di tutta la Bassa Friulana (58). Un ultimo importante complesso di lavori si sviluppò lungo tutta la prima metà dei Settecento. Anna Bionda di Strassoldo iniziò nel 1719 i lavori di ampliamento della Chiesa di S. Nicolò che verranno proseguiti e terminati nel 1736 dal figlio Giuseppe, al quale si deve il completo restauro del Castello di Sopra, terminato nel 1749 (59). Il fratello Nicolò provvide invece al restauro della Chiesa di S. Marco nel 1728 e ad opere di sistemazione del mastio e dei terreni circostanti, che vennero trasformati nell'attuale parco (60). Dopo il 1811 vennero effettuate ulteriori opere di edificazione. In particolare nel 1843 fu costruita la massiccia casa addossata alla Porta Cisis e furono realizzate o ampliate le due “pile” del castello rispettivamente di Sotto e di Sopra (61). Anche vicende più recenti hanno modificato ulteriormente l'antica originale struttura. Al visitatore dei nostri giorni resta l'immagine di un complesso architettonico una volta simbolo importante di potere ed oggi testimonianza di alcuni momenti rilevanti della vicenda storica attraverso la quale è venuto formandosi il popolo friulano. I castelli e i borghi Il complesso castellano di Strassoldo trova il suo nucleo fondamentale nei due castelli, che con il loro sviluppo hanno dato luogo ad un secolare processo di espansione edilizia che ha condotto all’attuale configurazione urbanistica e architettonica. Accanto a questi si sono sviluppati insediamenti rurali e artigianali ed hanno trovato sede anche residenze signorili poste al di fuori del perimetro originario delle mura. Ne è derivato un complesso urbanistico singolare che si compone del castello superiore, del castello inferiore, della cosiddetta villa e da un insieme di cinque borghi, non tutti oggi facilmente distinguibili ma che trovano precisi riferimenti storici ed anche urbanistici. Si tratta del Borgo Nuovo, del Borgo Viola, del Borgo Cistigna, del Borgo del Mulino o del Torat e del Borgo Natocco. Il Castello di Sopra E’ costituito dall’insieme di edifici di varia epoca che si raccolgono intorno alla antica chiesa castellana di San Nicolò, che non per niente è il santo protettore dalle inondazioni. (62) E’ caratterizzato dal torrione di tre piani (sino alla fine dell’Ottocento ve n’era uno di più), che recenti lavori di restauro hanno chiarito come anticamente fosse staccato dalla dimora feudale, e solo successivamente congiunta alla stessa da un ulteriore corpo di fabbrica. La scoperta della canna fumaria ha consentito di accertare come il torrione fosse destinato anche a residenza. La Chiesa è circondata da una sequenza continua di edifici, costruiti sulle fondazioni delle antiche mura del castello. Il primo è costituito da un alto e lungo edificio di pianta rettangolare che delimita l’area castellana dagli spazi verdi tenuti a orto e prato e delimitati dalla Roggia del Mulino (Milleacque, Milaca/Brenta) e da un ramo artificiale del Taglio (Imburino). Nella parte anteriore di questo edificio trovava posto la Cancelleria del Castello: ivi si teneva giustizia e si custodivano i documenti relativi. Che si trattasse di una parte destinata a funzioni di una certa importanza è 14 dimostrato dalla maggiore cura con la quale fu realizzato il vano al pianterreno, il cui solaio è sostenuto da mensole in pietra lavorata. Il resto dell’edificio fu destinato nel Seicento a sede degli archivi notarili di tutta la Bassa Friulana. Esso si innesta su un edificio di pari altezza che si sviluppa sul retro della chiesa e che fu certamente destinato a cantina al piano terra e a granaio o magazzino di derrate nei piani superiori e che ora è stato trasformato ad usi ricettivi e in particolare a casa per ferie. La quinta di edifici si conclude con due costruzioni più basse, la prima delle quali era destinata ad abitazione del personale di servizio e la seconda a scuderia e che ora sono state adibite a residenza. L’area castellana si conclude verso nord con un percorso delimitato ad est da un muro in pietra e ad ovest da una quinta costituita dalla Casa del Comune o della Vicinia, ora destinata a casa per vacanze, e da una serie di casette costituenti anticamente il Borgo Cistigna, che porta verso il Mulino e la Canonica attraverso un bel portale in pietra, ove sorgeva la porta settentrionale del castello, la Porta Cistigna, che doveva essere oltrepassata attraverso un ponte levatoio. Il fossato che difendeva le mura settentrionali e che collegava l’Imburino al Milaca/Brenta è stato imbonito probabilmente nel Seicento. Al corpo settentrionale del Palazzo è appoggiata una torretta munita di merli e di archibugiere, di costruzione relativamente tarda. Anche il passaggio che consente il collegamento diretto tra il castello e la chiesa è dotato di una bassa torretta cilindrica in cui si apre una serie di archibugiere e che permette l’accesso anche dall’esterno. Alcuni elementi importanti della storia del castello sono ricordati nelle lapidi. Sulla facciata della Cancelleria, sono murate, accanto ad alcuni reperti romani, due lapidi di cui la prima ricorda la destinazione dell’edificio a Cancelleria e Archivio, mentre la seconda fa menzione delle distruzioni del 1509 e degli importanti lavori di restauro completati nel 1749. Sul retro della Chiesa è murata una bella croce altomediovale in pietra. Sul muro che conduce alla porta Cistigna, dal lato delle casette, è murata una lapide con la quale si ricorda la sosta dell’Imperatore Federico IV nel 1489. Verso sud, sul fiume, si erge il Mulino del castello di sopra, utilizzato a pileria, ancora dotato di una ruota in ferro. Il castello di Sotto Superato il ponte sul canale che collegava l’Imburino al Milaca, si apre il cortile esterno del castello inferiore (63). Esso è delimitato ad est da una villa che è il risultato della trasformazione delle scuderie castellane in residenza e a nord-ovest da una casetta di servizio già esistente nella seconda metà del Settecento e da un muro merlato, ad andamento curvilineo, il cosiddetto Gironutto, su cui si apre un bel portale in cotto della fine del Cinquecento, la cosiddetta Pusterla, restaurata nel 1980 (64). Il lato sud è dominato dal complesso castellano che si alza su tre piani e che è di sicura costruzione medioevale, anche se notevolmente trasformato nel Settecento. Le finestrelle gotiche sono state sostituite da finestre settecentesche, incorniciate in pietra, mentre sono state mantenute soltanto all’ultimo piano della facciata occidentale, e riprese in epoca successiva su quella meridionale. Emergono da una attenta lettura le tracce di una finestra gotica al primo piano della facciata settentrionale, e di una a sesto ribassato, sempre al primo piano, in prossimità della chiesetta, nonché dell’apertura, ora tamponata, di una bertesca al secondo piano, in prossimità dell’angolo, e la cui esistenza è testimoniata all’interno dalla nicchia tuttora presente. Tracce di affreschi trequattrocenteschi con motivi a losanghe di colore giallo e rosso si riscontrano su tutti i lati del corpo principale: sulle facciate settentrionale e occidentale sono evidenti, su quella orientale emergono al di sotto degli intonaci settecenteschi, e su quella meridionale appaiono sullo spigolo al piano terra dove è stata riaperta una porticina di collegamento con la chiesetta, nonché all’ultimo piano. I 15 numerosi interventi di restauro negli interni hanno consentito di recuperare la sala medioevale al piano terra, con la scoperta di una feritoia che dava verso sud, di una porticina di collegamento col corpo successivamente addossato ad est e di robuste travature in rovere su una delle quali è stata trovata impressa la data del 1510: segno che già pochi mesi dopo le devastazioni e l’incendio appiccato dagli imperiali nel 1509 si provvedeva alla ricostruzione. Altri interventi hanno consentito di recuperare l’antica cucina e alcune sale con i solai in legno decorati con gli stemmi delle famiglie castellane friulane dipinti alla fine del Cinquecento o agli inizi del Seicento. Al di là del portone d’ingresso al parco dominato da due statue, si prolunga la lunga facciata orientale, fortemente modificata nel Settecento: si sono allargate e incorniciate le finestre, si sono realizzati un portoncino, con impressa la data di costruzione del 1800, un portone, e un balcone in pietra, si è cercato un effetto di simmetria che tuttavia non ha potuto piegare le specifiche caratteristiche dell’edificio medioevale alle esigenze proprie dell’architettura signorile del Settecento. Al Palazzo si innestano verso sud un primo edificio destinato al personale di servizio e a rimessa, e un secondo fabbricato destinato a stalla padronale al piano terra e a fienile al primo piano. Tale serie di edifici forma il lato settentrionale e orientale del cortile interno del castello, delimitato ad ovest dalla Chiesetta, dall’edificio che ospitava la liscivaia e il mulino, da un alto muro e da un edificio angolare che un tempo era anch’esso adibito a scuderia. Il cortile interno è interamente chiuso da edifici, fatta eccezione del lato meridionale che attualmente strapiomba sulla peschiera, un tempo fossato meridionale del castello. La facciata del Palazzo è adornata da alcuni stemmi in pietra. Il primo è di epoca barocca e presenta giustapposti gli stemmi degli Strassoldo Graffemberg e degli Zengraf (65). A sinistra sono murati due stemmi medioevali, apparentemente coevi, l’uno dei Conti di Gorizia e il secondo dei Signori di Strassoldo. Giacchè Strassoldo non fu mai dominio dei Conti di Gorizia, è probabile che essi provengano da qualche edificio di appartenenza goriziana di cui gli Strassoldo furono infeudati (probabilmente Mortegliano). Se si esce dal portale verso occidente, si incontra dietro l’angolo a sinistra la Chiesa di San Marco (66). Essa è l’unica delle quattro chiese di Strassoldo di cui si conosca con esattezza l’anno della costruzione, il 1575, che non corrisponde con quello indicato nella lapide murata all’interno, che indica il 1600. Una recente operazione di restauro delle coperture e degli intonaci esterni ha consentito di mettere luce su aspetti e momenti della vita della chiesa. Innanzitutto l’edificio sacro non venne costruito sulle fondazioni di una torre o recuperando alcune sue parti, dato che la base a scarpa e relativa cordonata, come si è già visto, non rappresentano una struttura monolitica, ma semplicemente un’opera di consolidamento e sostegno delle fondazioni di una muratura più sottile, posta fuori piombo e che doveva pertanto essere rinforzata. Lo stesso spessore considerevole delle murature laterali e soprattutto di quella prospettante sul fiume non era originale, bensì il risultato di un’opera di incamiciatura realizzata per celare la posizione fuori piombo del muro originario, che ad una ispezione tra il contrafforte e la cordonata da una parte e il muro originario dall’altra, appariva intonacato e tinteggiato. L’altro interrogativo riguardava l’epoca nella quale furono murate le cinque patere veneto-bizantine, di singolare importanza, sulla facciata a destra. L’ispezione degli intonaci ha consentito di stabilire che il loro inserimento è coevo alla costruzione della chiesa stessa. L’intervento ha anche potuto evidenziare alcuni altri aspetti di qualche importanza. Innanzitutto che vi fu un primo intervento di riforma della facciata tra il 1622 e il 1641, quando fu affisso lo stemma baronale della famiglia e realizzata la incorniciatura delle finestre e della porta d’ingresso in falso bugnato. Un intervento importante fu quello realizzato da Nicolò Francesco di Strassoldo nel 1728, ricordato nella citata lapide, quando vennero riformate le incorniciature, che assunsero l’aspetto attuale. Un terzo intervento, settecentesco, condusse all’apertura delle due finestre laterali ed alla realizzazione delle due false finestre superiori. Si noti che gli intonaci nei vari strati che vanno fino al Settecento sono stati realizzati in cocciopesto. 16 Il Borgo Nuovo Rappresenta il terzo complesso fortificato di Strassoldo (67). Esso si sviluppa ad occidente del Castello di Sotto: sulla strada che conduceva a Cisis e a Cerclaria (S. Gallo) nonché alla zona di Smùrghin (Castions delle Mura, Campolonghetto), immediatamente al di là del fossato e della porta interna del Castello di Sotto vennero costruite case in legno e in muratura per ospitare le abitazioni degli artigiani, degli uomini di masnada e delle altre famiglie che si ponevano in rapporto diretto con il castello e i suoi signori. Esso si contrapponeva ad un “Burgus vetus” o semplicemente “Burgus” che non è facilmente localizzabile: secondo alcuni coincideva con il Borgo Viola, ma è più probabile che si trattasse del Borgo che sorgeva nel Castello di Sopra in stretta prossimità con tale complesso fortificato, probabilmente compreso nella sua cinta esterna, quando non coincidente con il castello superiore stesso. Il Borgo Nuovo viene citato per la prima volta in un atto di divisione del 1322, ove si parla di una parte del Borgo individuata a partire da Porta Cisis, che tradizionalmente si identifica con l’attuale porta all’inizio della Via dei Castelli (68). Non si fa ancora menzione dell’elemento di novità costituito da questo Borgo, ma non sembra che questa circostanza abbia uno specifico significato. Il Borgo Nuovo viene citato espressamente nell’atto di divisione del 1360, ove si fa riferimento anche al Borgo, senza ulteriori qualificazioni, che rappresenta probabilmente il Castello di Sopra o l’annesso Borgo Cistigna. Nel Borgo Nuovo appare presente l’angulus muratus del battifredo e sono citati alcuni abitanti: vi è la casetta di Fosco di Privano, di Pidrussio, di Zanutto di Privano, di Blasutto di Sevegliano. Si noti che dalla già citata cronaca di Nicolò Maria di Strassoldo risulta che nel luglio del 1492 “fo facto fare lo ponte in cavo del Borgo verso la Chiesa de S. Maria de Vignis”: si tratta del ponte che conduce dall’attuale Via Gradisca alla Via San Marco, in prossimità dell’imbocco del Borgo Viola. La crescita dell’insediamento pose per tempo il problema della sua difesa, che venne risolto mediante la costruzione di un fossato semicircolare che prendeva l’acqua dell’Imburino a monte e lo restituiva a valle, all’altezza dell’ attuale Mulino del Castello inferiore, e da un battifredo in legno. Lungo il fossato venne costruito un giro di mura, con una porta che si apriva verso occidente e che ora viene chiamata Porta Cisis, da una citazione contenuta nel documento del 1322, che peraltro riguarda il Castello di Sopra. Addossato al muro del girone venne costruito nel 1478 il corpo di guardia, tuttora esistente. L’assetto trecentesco subì certamente consistenti trasformazioni. Verso la fine del Quattrocento vennero realizzati importanti lavori di rafforzamento delle strutture difensive. Le distruzioni del 1509 causate dalla guerra scatenata dall’Imperatore Massimiliano contro Venezia ridussero in gravi condizioni il Borgo Nuovo come il resto del castello, come si può constatare dalla “Descrizione dei beni feudali della Signoria di Strassoldo” del 1587: numerose le case “discoperte”, vale a dire senza tetto. E’ in tale circostanza che probabilmente venne demolita gran parte del giro di mura, di cui sopravvive solo la sezione che si appoggia sulla Porta Cisis e che costituisce una parete perimetrale dell’edificio che formava il Corpo di guardia. Numerosi lavori di riatto vennero eseguiti alla fine del secolo e agli inizi del Seicento, indotti dal ritrovato ruolo di Strassoldo conseguente alla costruzione della fortezza di Palmanova. L’attuale assetto risale a quegli anni: viene allargato il ramo occidentale del fiume, si realizzano due spianate a nord e a sud della strada che percorre il borgo, al fine di creare gli spazi necessari allo scarico delle merci dai natanti che provenivano dalla laguna e al caricamento sui carri, e ove si concludeva la strada dell’Alzana, che è segnata dai due importanti pilastri in laterizio che delimitano l’area (strade viere o vecje). Gli edifici che prospettano su tali spianate ricavate la palificazioni di cui sono state recentemente ritovate le tracce (batûts) vengono 17 in parte demoliti e in parte incorporati in due grandi magazzini contrapposti, che poi si trasformeranno in follatoi (foladôrs). Il meridionale è ancora esistente e in efficienza: durante una fase di restauro delle facciate sono emersi due archi in laterizio che fanno pensare che esso incorporasse altri edifici o fosse comunque il risultato di una ristrutturazione, mentre il solaio nel suo tratto iniziale presenta un pavimento a terrazzo sul quale appare impressa la data del 1788 (69). Sulla strada vengono costruite due cortine di case che sopravvivono fino ai nostri giorni. Di queste, quella posta al centro della quinta settentrionale presenta le tipiche aperture al piano terra che caratterizzano gli edifici adibiti ad attività commerciali. Si tratta di un edificio che sarà per un certo periodo di tempo adibito a sede del Comune di Strassoldo. Il Borgo Nuovo non subisce ulteriori trasformazioni, se non agli inizi dell’Ottocento, quando viene demolita una parte della Porta Cisis, di cui viene rimosso l’arco, rimanendo solo le imposte e le spalle merlate, e verso la metà dell’Ottocento quando sul fossato a nord della Porta viene costruita una grande casa che incorpora parte della Porta, detta Casa Deluisa, che appare costruita nel 1843, come risulta dalla data indicata sull’inferriata del portone principale. Le ultime trasformazioni risalgono agli anni Cinquanta, quando il Foladôr settentrionale viene alienato a privati che lo trasformano in abitazioni, con sopraelevazioni, aperture di finestre orizzontali e altri interventi incongrui. Per il resto il Borgo rimane intatto, subendo solo qualche modesta trasformazione. Viene restaurato il Foladôr meridionale, che è recuperato a sala per convegni e mostre. La sede del comune, dopo essere stata trasformata in abitazione, viene recuperata per riacquistare funzioni pubbliche, diventando sede della locale Proloco. Il batût meridionale, che già in parte era stato adibito ad orto, viene destinato a prato e giardino. Il corpo di guardia viene anch’esso restaurato e adibito a esposizione di pianoforti e a bottega di restauro. Il Borgo Viola Si tratta del Borgo che si è sviluppato intorno alla Chiesa di S. Maria in Vineis (70), di fondazione imprecisata, che rappresentava la chiesetta fuori delle mura, al servizio degli abitanti della Villa e del Borgo, mentre gli abitanti dei due borghi castellani si servivano probabilmente della chiesa castellana di San Nicolò sita nel castello superiore. Fu costruita in epoca imprecisata tra i vigneti che tuttora sorgono nei terreni posti a nord-ovest del complesso castellano, e da cui prese il nome sia la chiesa che la località, come appare da alcune citazioni contenute in documenti medioevali, ove si parla ad esempio di un “Benetus de Vineis”. E’ citata per la prima volta nel testamento di Bernardo di Strassoldo del 1334, con il quale il testatore destina in legato al sacerdote della Chiesa di Vineis un campo situato nella stessa Vineis: si tratta di una chiesa molto semplice, ad aula unica, con un’abside a catino e con campaniletto a vela. Contiene un importante ciclo di affreschi, alcuni duecenteschi, altri trecenteschi e quattrocenteschi dovuti alle scuole di Masolino da Panicale, di Tommaso da Modena e di Vitale da Bologna. Dedicata alla Madonna delle Vigne, aveva come contitolari San Cristoforo e Santa Maria Maddalena (altare a sinistra fatto costruire nel 1406 da Ancillotto di Strassoldo) e la Madonna Assunta (altare a destra, fatto costruire dagli Strassoldo Soffumbergo di Joannis nel 1660). Il Borgo Viola prende il nome da “Viola”, viuzza, toponimo assai diffuso in Friuli ed anche nelle vicinanze (nella vicina Alture vi è in mezzo ai campi un altro Borgo Viola)(71). Esso si sviluppa intorno ad un corpo centrale costituito dalla Chiesa con il suo antico cimitero (trasferito in epoca napoleonica all’esterno del centro abitato), cui si aggiunge un altro corpo che ora con il primo forma una insula, ma che un tempo rappresentava un’area coltivata ad orto, e che era fiancheggiata 18 ad est da una cortina di case che prospettavano con la facciata posteriore verso il fiume Imburino e che ora si affacciano sulla via costruita successivamente lungo il fiume, la Via San Marco. Era percorso da due viuzze: la “strada degli orti”, citata in numerosi documenti (testamento di Bernardo del 1334 ed altri) e che probabilmente conduceva sul retro della chiesa costeggiando l’area coltivata ad orto, e la “Viola” che penetrava il borgo ad ovest dell’area degli orti e della Chiesa e poi girando intorno alla Chiesa stessa si immetteva nella strada che conduceva a nord verso Sevegliano. Il Borgo aveva tre ingressi: quello meridionale verso il castello superiore, quello occidentale che alla fine della cortina conduceva verso l’antica via Julia Augusta, e quello orientale che immetteva nella strada che ancor oggi conduce verso nord costeggiando l’Imburino. Si noti che per procedere verso nord a partire dal Castello ci si doveva necessariamente immettere nella Viola, poiché l’attuale tratto di strada che parte dal Ponte di Via Gradisca e termina verso l’antico cimitero è stato realizzato in epoca posteriore, probabilmente nel Quattrocento, in occasione delle consistenti opere viarie realizzate nel 1469 da Nicolò Maria di Strassoldo e consorti, dato che nel “Zornale delle chiese di Strasoldo” redatto a partire dal 1574 è contenuta una citazione della Via Nova. Il Borgo quasi certamente era difeso da un giro di mura e sugli ingressi si aprivano delle porte (72). Esisteva quanto meno una torre in corrispondenza del tratto in cui la Viola in corrispondenza della Chiesa si immette nella Via San Marco, mentre una seconda torre esisteva sul vertice meridionale dell’insula in luogo della villa ora esistente. Lungo il lato orientale della centa sorse una cortina di case che sono tutt’ora esistenti e che sono comprese tra la Villa e la Casa delle Opere Parrocchiali. Sul lato occidentale si sviluppò l’attuale cortina di case che costeggia la Via di Santa Maria in Vineis, che sul lato orientale è delimitata da un bel muro in pietra che presenta due caratteristiche rientranze semicircolari destinate probabilmente alla sosta dei carri. Il Borgo ospitava la sede dell’antico comune rurale, la Vicinia, nell’edificio centrale recentemente ristrutturato, ove rimase dal Cinquecento al Settecento, ed era dotato della Canonica, di costruzione secentesca, posta a settentrione della Chiesa. Il Borgo si trova in discrete condizioni di conservazione e di integrità. La Chiesa è stata sottoposta a diversi cicli di restauro, l’ultimo dei quali risale alla seconda metà degli anni Ottanta, con la ricostruzione dell’antico muro di cinta in pietra, cui ha fatto seguito il recupero della Casa delle Opere Parrocchiali. La Villa è stata restaurata recentemente, e così la sede dell’antico Comune (casa Vrech). Anche le rimanenti case sono state recuperate, sia pure con qualche intervento talvolta incongruo. Borgo Cistigna Era costituito dal complesso di case che si sviluppavano in stretta adiacenza al castello superiore, comprese tra il castello vero e proprio e la strada che, a settentrione, dal Mulino portava al Ponte sull’Imburino verso il Borgo Viola (Puint de Vile), costruito nel 1492, secondo quanto riferisce Nicolò Maria di Strassoldo, mentre verso est era delimitato dalla strada che dalla Chiesa portava alla Porta Cistigna e verso ovest da un muro di cui ancora si avvertono le fondazioni e che degrada rapidamente sul piano del Parco che un tempo era probabilmente occupato dagli acquitrini. Il nome deriva dal fatto che conduceva verso un bosco e una roggia che si ponevano tra Strassoldo e Molin di Ponte, ad est del complesso fortificato (73). Il toponimo è di origine certamente slava, essendo legata al verbo cistiti=pulire, sboscare, ed assumeva quindi il significato di radura. E’ citato come fondo ed anche località di poche case, corrispondenti probabilmente a Molin di Ponte, come appare da alcune citazioni, come “Castigna cum mollendino Pontis in pertinentia dicti Castri et loci de Strasold”(1508), “Castigna penes Molin di Ponte” (1701), “Castanea vicino al mulino detto 19 del Ponte” (1762) (74). Successivamente i periti napoleonici lessero il toponimo come un riferimento all’albero e dettero al bosco, non più esistente, il nome di “Bosco del castagno”. Si tratta di un’area approssimativamente quadrangolare, compresa tra Via Gradisca, Via dei Castelli, il castello superiore e il fiume Taglio, e comprendeva la attuale canonica, l’orangerie settecentesca, la schiera di casette addossate al muro che costeggia Via dei Castelli, e l’edificio ad archi che ospitava nel medioevo la sede del Comune. Ad esso si accedeva mediante la strada che passava sotto la Porta Cistigna e che immetteva nel castello superiore, citata in numerosi documenti medioevali e che venne rifatta nel Seicento sotto forma di portone d’ingresso. La forma quadrangolare fa supporre che qui sorgesse l’antica Corte, la Corte Nuova contrapposta alla Corte Vetera (Curviera) di Castions, che si sviluppò nell’adiacente castello superiore, da cui poi si ebbe per gemmazione la costruzione del castello inferiore. Esso probabilmente coincide con il Burgus che viene tante volte distinto dal Burgus Novus. Il Borgo con il nome di Cistigna viene citato più volte. Si ricordi l’atto di divisione del 1322, riguardante il castello superiore, ove si fa una netta distinzione tra il Girone e il Borgo, che si estende in prossimità della Porta Cistigna, espressamente citata. Nel Borgo risultano essere comprese numerose abitazioni in muratura (domus) e in legno (bura), abitate sia da membri della famiglia signorile (Ancellotto), sia da soggetti di non meglio identificata condizione e attività (Ricius, Fidriucius, Mingulinus). Vi si cita un granaio (oreum Zanni), una mescita di vini (domus in qua Petrus de Budrio vendebat vinum), la casa del Comune. Nell’Atto di manomissione del 1351 si precisa: Actum Strasoldi sub logia domus comunis in Burgo Cistinae. Ora il Borgo Cistigna si riduce alla Canonica, eretta nel 1761 sul posto della “Casa delle Vedove” della famiglia Strassoldo, a sua volta costruita sull’antico fossato del borgo e del Castello di Sopra, alla teoria di casette appoggiate al muro che costeggia la Via dei Castelli, alla Porta Cistigna, e alla Casa del Comune (Vicinia). Il Borgo del Mulino Era rappresentato dal gruppo di case comprese tra l’Imburino (Taglio) e il Milaca o Roggia del Mulino (Milleaque) e tra la strada che da Porta Cistigna portava al Ponte della Villa (Puint de Vile) a sud e il canale di collegamento tra i due fiumi a nord. Comprendeva il Mulino, già citato nel 1275, e successivamente attestato nel 1460, e nel 1575 (75), che rappresentava con le sue cinque ruote uno dei mulini più grandi della Bassa Friulana ed era affiancato da uno minore che provvedeva alla pilatura del riso e dell’orzo, alimentato dalla Roggia Selvis, una casa cinquecentesca che prospettava sulla strada di fronte all’attuale canonica, una seconda casa a nord sul canale di collegamento tra i due fiumi e forse qualche abitazione minore non più esistente. Merita notare che l’attuale Via Gradisca un tempo partiva dal Puint de Vile e si immetteva nell’attuale via Torat per indirizzarsi verso Privano e che la direttrice verso il Natoc, la Cistigna, Molin di Ponte e Joannis veniva percorsa attraverso una strada che si dipartiva verso est dalla strada del Torat e superava la Roggia del Bosco (Milaca/Brenta) e la Roggia della Pila Vecchia a nord del Mulino (Roe Selvis). Solo con la costruzione del ponte a due campate a valle del Mulino fu possibile rettificare la strada e farla sboccare direttamente su via San Marco. Le condizioni di integrità del Borgo sono assai compromesse. Il Mulino è stato restaurato e reso visitabile. Vi si possono in particolare ammirare tutti i macchinari che servivano alle varie operazioni di macinazione (76). 20 Il Borgo Natocco Il luogo è citato già nel 1475 e trae la sua forma dallo slavo Otok=isola, che poi prese la forma di Latoc, Natoc (77). E’ costituito da un gruppo di fabbricati rurali di realizzazione relativamente antica, che si collocano all’ingresso dello stradone del fondo Natocco. Si tratta di un fondo che si allunga a partire dalla antica strada che da Strassoldo conduceva a Cistigna (Molin di Ponte), a Novacco e a Joannis attraverso il ponte del Gardiz, ora Via Gradisca, per raggiungere Muscoli e che è compreso a oriente e a occidente tra due corsi d’acqua, l’antico Imburino, ora Taglio, e la antica roggia Cistigna, ora roggia Natocco. Si tratta di un fondo asciutto, argilloso, ove si riscontrano le tracce di una antica fornace romana. Il fondo è percorso da uno stradone rettilineo, probabilmente realizzato nel Seicento, anche con intenti paesistici, in quanto doveva essere affiancato da due lunghi filari di ippocastani di cui rimangono ancora tre macchie, nel punto iniziale, in quello finale e in quello intermedio. Dalla conformazione catastale appare evidente come verso la sua parte orientale, in aperta campagna, ospitasse una o due case isolate, ora non più esistenti. Il nucleo è costituito da un gruppo di case rurali relativamente distanziate, per cui a rigore dovrebbe assumere la denominazione di Villa, piuttosto che quella di Borgo, che richiama l’idea di un agglomerato di case addossate l’una all’altra e facilmente difendibili con una centa. La prima casa, posta allo sbocco della strada del Natocco sull’attuale Via Gradisca, è la cosiddetta Casa Perusin, detta così dal nome di una antica famiglia strassoldina, citata già nel 1572 (78). Si tratta di una casa fortificata posta a difesa della strada verso oriente, come dimostra l’assenza di aperture verso la via e la presenza di alcune feritoie fortemente strombate all’interno, nella parte di edificio che sembra il più antico e che solo successivamente è stato adibito a stalla. Sulla destra della strada, dopo un rivolo che collegava la roggia Natocco con il Milaca e che solo in tempi relativamente recenti è stato parzialmente chiuso, sorge la Casa Peressin, disposta in direzione Est-Ovest. Segue la Casa Bergamasco, che trae il nome dall’ultima famiglia contadina che vi ebbe dimora. Si tratta di un edificio molto più antico di quello che il suo aspetto attuale farebbe ritenere, costruito in parte con materiale di recupero, derivante probabilmente dalla demolizione di qualche parte del castello. Anche in questo caso si tratta di una casa fortificata, e di costruzione probabilmente medioevale almeno nella sua parte settentrionale, considerata l’esistenza di una porticina a sesto ribassato attualmente murata, un camino pur sempre murato e una feritoia che guardava verso oriente. Più distanziate, sempre ad oriente dello stradone, la Casa Petenel, cui è addossata una stalla con fienile, la Casa Comar e la Casa Olivo (ora Didonè). La Casa Bergamasco, a parte l’orientamento diverso, assomiglia nella sua articolazione e conformazione alla Casa Olivo. Ciascuna delle cinque case costituenti il Borgo Natocco presenta comunque configurazioni e caratteristiche diverse, per quanto esse siano omogenee per caratteristiche funzionali. Tutte presentano alcuni elementi fortificati, il che dimostra l’antichità della loro costruzione e le esigenze di difesa imposte dalla loro posizione relativamente isolata rispetto al castello e dalla loro esposizione verso la campagna e in particolare verso il confine dei territori dominati dagli arciducali. Le evidenze catastali mostrano come le case già esistessero nel 1812, in quanto appaiono nel Catasto napoleonico di tale anno. Sia dai dati catastali, sia dalla lettura delle strutture edilizie appare certo come la Casa Peressin si collegasse alla Casa Bergamasco come dimostrano gli ammorsamenti ancora evidenti ed anche le fondazioni scoperte nel corso dei recenti lavori di recupero. La stalla Bergamasco appare con evidenza nel Catasto austriaco, con una dimensione che è maggiore di quello della casa, il che fa supporre che era dotata anche del porticato per il ricovero dei carri e degli attrezzi, ora non più esistente. E’ probabile che un saggio di scavo possa far emergere le fondamenta anche di questo corpo di fabbrica. La Casa Olivo era altresì fortificata, 21 come dimostrano le feritoie rivolte verso meridione, vale a dire verso la campagna aperta. Si tratta di una casa che ebbe una vicenda tormentata, come dimostrano le sopraelevazioni e gli ampliamenti di cui fu oggetto, e di cui si leggono tuttora le tracce. La Villa Per ragioni di completezza, pare utile dare qualche informazione anche su quella parte del centro storico che è costituita dalla cosiddetta Vile. Essa è compresa tra il Borgo Nuovo, e quindi all’uscita di Porta Cisis, al Borgo Viola, e che è costituita ad occidente dal Parco e dalla Villa Vitas e dai suoi rustici, e ad oriente dalla teoria di abitazioni che si dispongono lungo la via, fino al ponte sul Taglio, ivi compreso l’edificio settecentesco con rialzo un tempo a timpano che era collegato con un ponte al parco del Castello di Sopra. La zona viene chiamata Vi le non tanto perché è dominata dalla Villa Vitas, quanto perché rappresentava una zona ad insediamenti non contigui che in friulano sono tenuti distinti dai borghi. L’elemento più rilevante è costituito dalla Villa Strassoldo Chiasottis, di costruzione probabilmente seicentesca, come sembra indicare il portone bugnato che si apre sulla strada e la semplicità delle strutture. L’ultimo proprietario Strassoldo che la possedette fu proprio quel Giulio Giuseppe Strassoldo Chiasottis che ricoprì nella Restaurazione l’incarico di Capo della polizia di Milano e di Governatore austriaco della Lombardia (79). Gli succedette nella proprietà il Feldmaresciallo Francesco Kuhn von Kuhnenfeld (80), cui seguirono nel primo dopoguerra gli Haracopo ed altri proprietari finché fu acquistato dalla famiglia triestina dei Vitas. La villa è dotata di un bel parco e di un lungo e caratteristico viale alberato. I Parchi Le condizioni ambientali di grande interesse per la ricchezza delle acque che salgono dal sottosuolo e che vengono raccolte da una fitta rete di corsi d’acqua defluenti verso la laguna rappresentano, come si è visto, le ragioni che hanno favorito la costruzione e lo sviluppo del complesso castellano e che costituiscono un forte elemento di attrattività. Il sistema del verde costruito che fu realizzato nel Settecento e che circonda i castelli costituisce un elemento inconfondibile della realtà paesaggistica e territoriale del complesso fortificato (81). Non vi era castello nel medioevo che non fosse dotato nel chiuso dei suoi cortili di un giardino collocato in stretta prossimità con la zona residenziale, costruito intorno ad un pozzo o ad una fontana, sulla base di un sapiente gioco di erbe aromatiche, di fiori, di piante da frutto, tali da attrarre gli uccelli e da soddisfare, con i cromatismi, i profumi, i gusti, il canto, tutti i sensi dell’uomo. L’hortulus, l’hortus clausus, il giardino segreto furono altrettante espressioni del desiderio di raccogliere quanto di meglio la natura potesse offrire nel chiuso di un complesso architettonico realizzato a fini di difesa. Se gran parte degli spazi esterni era dedicata ad attività legate alla difesa del complesso o alla sua sopravvivenza economica, non mancava mai, soprattutto in prossimità delle abitazioni delle signore, un luogo protetto destinato alla serenità e allo svago. La facile degradabilità degli impianti vegetazionali e le notevoli trasformazioni subite nei secoli dagli assetti edilizi non consentono di individuare i siti in cui erano ospitati i giardini segreti, anche se è possibile formulare qualche ipotesi. Va tuttavia detto che l’esigenza si ripropone nei secoli e trova qualche manifestazione attuale. 22 Il sistema del verde di Strassoldo si fonda su quattro elementi di chiara evidenza. Il parco del Castello di Sotto, con il suo gioco di acque, il prato della Cancelleria, il parco del Castello di Sopra e il parco della Villa Strassoldo Chiasottis ora Vitas, con il suo lungo viale alberato. Il parco del Castello di Sotto è il risultato di una grande opera di sistemazione fondiaria che soprattutto ad opera di Nicolò Francesco Strassoldo determinò la trasformazione di un vasto terreno collocato a partire dal fossato meridionale del castello e fino alla confluenza dei due fiumi nella zona che ancora porta il nome di Cavanis, a ricordare lo specchio d’acqua dove i natanti veneziani manovravano e attraccavano all’epoca della costruzione di Palma. L’intervento consistette nella copertura delle numerose olle di risorgiva, nella realizzazione di una rete fognaria per il drenaggio delle acque, nello scavo di una grande peschiera rettangolare formante un’isola anch’essa rettangolare, nella realizzazione di ponti, pozzi e fontane, nella sistemazione di un certo numero di panchine in pietra e di statue a soggetto mitologico, nella costruzione di un certo numero di manufatti diretti a consolidare le sponde e a consentire il deflusso delle acque dalle peschiere, alimentate dalle sorgenti aperte sul fondo. Per questa impegnativa opera Nicolò Francesco manifesta tutta la sua soddisfazione in una lapide murata sulla facciata della casetta adiacente al Palazzo, che tradotta dal latino così recita: “Questo sito un tempo desolato a causa delle acque palustri e dei terreni sterili, ora trasformato in rigoglioso e fertile suolo e in pescoso e navigabile lago per l’attiva volontà di Nicolò Francesco dei Conti di Strassoldo, ammira e godi, o amico ospite”. Se è vero che la sistemazione definitiva si deve all’opera di Nicolò Francesco, è importante notare che importanti lavori di trasformazione vennero effettuati nella prima metà del Seicento, come appare da una lettera del maggio 1632 indirizzata da Gerolamo di Strassoldo allo zio Fabrizio di Colloredo allora residente in Firenze, nella quale si esprime la soddisfazione per l’amenità del luogo “trovando molte bonificationi , che sono state fatte qui atorno il Castello, essere purgato il loco assai più che non erra per il tempo adreto, correndo per tutto acque belle, et habbiamo stupende fontane” (82). L’impianto del parco era di tipo formale, secondo la moda e i gusti dell’epoca. Dal già citato disegno custodito negli Archivi Provinciali di Gorizia si conosce anche la planimetria del giardino, che era scandito da tre vialetti longitudinali e da due trasversali, cui si aggiungevano quelli perimetrali, in modo da formare nove aiuole, con le intersezioni a forma circolare. Sul bordo della peschiera ricavata dal fossato meridionale del castello correva un viale alberato che congiungeva i due portoni che collegavano il parco da un lato con il Borgo Nuovo e dall’altro con il Brolo, che poi si chiudeva verso la campagna – il Natocco – con un portone sormontato da due zucche in pietra. Intorno alla peschiera rettangolare correva una doppia serie di siepi modellate, la prima e più bassa in bosso e la seconda, più alta, formata da carpini, di cui rimangono ancora alcuni lacerti. La cosiddetta Isoletta, circondata da una siepe di bosso sul ciglio della peschiera e da un ingresso in carpini modellati quasi a protezione del ponticello in muratura, celava un ulteriore giardino (il giardino segreto?), ripartito in quattro aiule delimitate da un vialetto perimetrale e da altrettanti vialetti convergenti su di un’aiula centrale a forma circolare ospitante una gloriette: il giardino ricco di piante ornamentali, da fiore e da frutto, e soprattutto caratterizzato da alcune specie di rose antiche, la Chinensis, la Brunner, la Rox Burgi, si è conservato fino a tempi recenti in un impianto che probabilmente era quello originario. Nella parte di verde antistante al Palazzo l’impianto formale si era conservato fino al Novecento: è ancora caratterizzato da una fontana, ad anfiteatro, di acqua perenne, sgorgante da una testa di leone, assai antica a giudicare dal grado di consunzione e da un singolare pozzo sormontato da quattro elementi in pietra a forma di turbante. Dalla parte antistante si passa alla zona centrale del parco attraversando un bel portone in pietra sormontato da sei statue, di cui due di soggetto arcadico e le altre di tipo grottesco. 23 Il parco subì nel tempo profonde trasformazioni. Nei primi decenni dell’Ottocento prevalse l’impostazione paesaggistica, sia per ragioni economiche che di gusto e di moda, con alterne vicende successive. L’impianto rimane quello originario, con perdita del sistema di vialetti, di aiule, e di siepi modellate, ma con un’impostazione all’inglese. Le siepi di bosso che contornano l’isoletta, le statue di soggetto mitologico, i manufatti in muratura, la fontana e i pozzi richiamano l’antico impianto. Tali elementi, insieme alla grande ricchezza di specie vegetali, talune anche assai antiche (come i rosai), gli specchi d’acqua, i fiumi che lo contornano e i viali alberati che lo delimitano fanno di questo parco una realtà assai singolare e di sicuro interesse per il visitatore (83). Il Prato retrostante la cancelleria, disposto al confluire della Milaca e di un ramo del Taglio che divide i due castelli, rappresenta un elemento di notevole impatto, in quanto serve ad evidenziare la mole del Castello di Sopra. Anch’esso aveva una destinazione a giardino, come dimostra la già richiamata mappa degli Archivi Provinciali di Gorizia, che mostra una disposizione in aiuole rettangolari delimitate da tre vialetti centrali e due trasversali, oltre a quelli perimetrali, e come appare anche dall’esistenza di un pozzo circondato da un anello in pietra in prossimità del Taglio. Ad esso si accede attraverso un portone in pietra e da un parapetto in muratura aperto sui due lati. Il parco del Castello di Sopra si colloca nella parte retrostante al Palazzo e alla Casa della Vicinia. La sua realizzazione si deve a Giuseppe Strassoldo, che si occupò del restauro del Castello di Sopra mentre il fratello Nicolò Francesco si dedicò a quello di Sotto. L’antica impostazione barocca si riconosce nella grande orangerie che si dispone sul lato settentrionale del giardino, notevole per le sue grandi colonne in muratura. L’impianto anche di questo giardino era rigorosamente formale, come appare dalla mappa più volte citata degli Archivi Provinciali di Gorizia ed appare dal prospetto raffigurante i due castelli, custodito dalla Biblioteca Joppi di Udine. Questo pone in evidenza come la parte centrale dello spazio verde retrostante il Palazzo formasse un giardino formale a perimetro pentagonale, e si componesse di un sistema di vialetti e di aiule assai articolato e aggraziato. L’impianto modellato è fiancheggiato da due zone probabilmente tenute a prato. Di questa struttura poco resta nella trasformazione del giardino secondo canoni paesistici che hanno quasi ovunque predominato. Vi è un pozzo avanti all’ingresso al giardino, cui si scende da una scalinata in pietra. Vi sono residui di impianti a carpino che probabilmente formavano una siepe modellata sul perimetro del giardino, lungo il fiume, sul quale era gettato un ponte di collegamento con l’edificio settecentesco che sorge tuttora lungo la Via San Marco.Vi sono i resti di roseti di sicuro interesse. L’attuale configurazione si fonda su di un prato oblungo che si estende dall’orangerie alla Pila, e che verso il fiume è protetto da una quinta di magnolie, tigli, ippocastani, tassi, carpini e salici, oltre che da una macchia di bambù. L’altro grande parco che caratterizza Strassoldo è quello retrostante alla Villa Strassoldo Chiasottis ora Vitas. Di questo complesso non si dispone di una planimetria settecentesca come nei casi precedenti. Vista l’origine della villa, di costruzione quanto meno seicentesca, è facile supporre che esso abbia seguito le stesse vicende dei precedenti: un impianto formale, che forse è ancora segnalato dalla vasca centrale e dallo spiazzo da cui si diparte una serie di vialetti, con progressiva trasformazione in un parco all’inglese, di notevole bellezza, e soprattutto caratterizzato da un lungo viale alberato che era orientato sul campanile del vicino paese di Campolonghetto, e che probabilmente non fu mai completato, inoltrandosi in profondità nella campagna di San Gallo, senza raggiungere l’obiettivo. La costruzione della circonvallazione stradale e di due linee ferroviarie l’hanno purtroppo interrotto e mutilato. Si tratta comunque di una grande realizzazione, dovuta al generale barone Francesco Kuhn von Kuhnenfeld. 24 Le Leggende Non può mancare a conclusione di una descrizione riguardante un castello qualche riferimento alle credenze e leggende che ad esso si riferiscono. Le leggende contengono comunque un contenuto di verità, anche se il collegamento con il sito talvolta è incongruo o comunque risultato di trasposizioni di significati, di tempi e di luoghi, di raffigurazioni fantastiche di eventi e di circostanze realmente accadute, magari in altri contesti temporali o spaziali (84). Una prima leggenda che è evidentemente il risultato di ricordi e informazioni legate ad altri siti castellani, è quella dell’esistenza di un passaggio segreto sotterraneo che collegherebbe il Castello di Sopra a quello di Sotto. Tale credenza nasce probabilmente dall’aprirsi di un vuoto nel terreno prospiciente il ramo dell’Imburino che divide i due castelli o in qualche fabbricato che sia compreso in uno dei due complessi, causato da un compattamento del terreno o dall’erosione sotterranea provocata da una risorgiva. Che si tratti di una invenzione fantastica, o dalla confusione del castello di Strassoldo con un altro della alta pianura, della collina o della montagna è dimostrato dal fatto che il paese giace sulla linea delle risorgive: basta scavare pochi decimetri in profondità per veder sgorgare l’acqua. E poiché nel medioevo non risulta esistessero tecniche efficaci di impermeabilizzazione di condotte sotterranee, appare chiara la natura puramente leggendaria di questa versione. Una seconda leggenda riguarda la struttura della Chiesetta di San Marco, che sarebbe stata costruita su di un vano voltato sorretto da pilastri in pietra, per isolare il pavimento dall’acqua di risorgiva o del vicino fiume. Anche questo è il risultato di qualche trasposizione di dati riguardanti la battitura di palificazioni in terreno molto molle, il che forse si è realizzato nel caso specifico. Una leggenda ancora riguarderebbe il caso immancabile della scoperta di un tesoro. Secondo una notizia tramandata in famiglia, nell’Ottocento nel Castello di Sotto venne deciso di aprire una porta per porre in diverso collegamento due vani al piano terra, nell’area della cucina. Nel corso dei lavori, cui partecipava l’impresario e un muratore, improvvisamente si scoprirono nel muro i resti di uno scheletro umano. L’impresario sospese subito i lavori e poi li riprese da solo, in assenza di testimoni, liberando completamente l’apertura. Alcuni mesi dopo diede prova di un improvviso arricchimento: cominciò ad acquistare case e terreni, a dimostrare i segni di un treno di vita assolutamente superiore a quello che poteva permettersi con il suo lavoro. L’impresario aveva trovato insieme allo scheletro umano un vaso pieno di monete d’oro: evidentemente in un momento di pericolo un signore di Strassoldo alcuni secoli prima aveva fatto scavare l’apertura per nascondervi i tesoro e proteggerlo dai nemici, e per evitare che la notizia trapelasse, aveva ucciso l’esecutore e aveva provveduto a murarlo rialzando il muro con le sue mani. Una voce di famiglia ricorda ancora l’esistenza di un fantasma nel Castello di Sotto, che nelle sere d’inverno o durante le feste si esprimerebbe attraverso un soffio di vento freddo o con dei lamenti: si tratterebbe della Contessa Isabella, che visse nell’Ottocento, e che fu infelice perché non riuscì a dare al marito dei figli. E questi la ripagò incidendo sulla sua stele il riferimento alla sua sterilità. Per questo riappare periodicamente con tali manifestazioni di tristezza. Vi è infine la leggenda più nota e suggestiva, risalente al Duecento, quella del rapimento e della liberazione della bellissima Ginevra (85). Era figlia di uno dei più influenti personaggi della feudalità libera del Friuli, quell’Artuico de Straso di cui abbiamo una nutrita serie di informazioni. Bellissima e ricca, era stata promessa in sposa ad un personaggio autorevole della feudalità ministeriale, Federico di Cuccagna, già anziano ma che le politiche familiari consigliavano di legarsi agli Strassoldo. Ella accettò gli accordi presi dal padre, finché non incontrò un giovane castellano, molto più vicino per età, Odorico di Villalta. Se ne innamorò perdutamente, e dopo 25 molte insistenze riuscì a convincere il padre a rinnegare la promessa e ad accondiscendere alle nozze con il giovane Villalta. Il giorno del matrimonio, come conveniva allora, gli sposi si separarono e il marito corse al castello di Villalta per prepararle una degna accoglienza. Ginevra si avviò con il suo seguito e con una piccola scorta armata verso la nuova dimora, senonché lungo il tragitto il corteo venne assalito da una banda di armigeri, che uccise o pose in fuga la scorta, e trascinò Ginevra verso la pedemontana, per portarla lungo un ripido sentiero selciato fino al castello di Cuccagna. Qui venne rinchiusa nella torre, che ancora si erge alta sulla pianura. E quando arrivò Federico, che cercò di prenderla con la violenza, in uno sforzo spasmodico di resistenza al sopruso, si trasformò in una statua di marmo. Il rapimento provocò contrasti violenti tra la feudalità friulana, scatenando una guerra tra i ministeriali sostenitori dei Cuccagna e i liberi solidali con gli Strassoldo e i Villalta. Questi ultimi presero il sopravvento. Il castello di Cuccagna fu assalito ed espugnato, e quando Odorico entrò nella torre, trovò soltanto una splendida statua di marmo dalle fattezze della “bellissima”. Ma quando la baciò, essa si sciolse e riprese vita. La leggenda, di probabile importazione toscana, riveste interesse perché lega in un solo racconto tre castelli e cela un fatto storicamente accertato, quello della rivolta feudale del 1219. E forse qualche riscontro nella realtà può essere ritrovato. A Strassoldo, infatti, vi è ancora un luogo che si chiama Braide da Zenevre. Un fondo dove vi era un ginepro, o un prato dove la “bellissima” passeggiava? Note (1) Si veda PASCHINI, P., I Patriarchi di Aquileia nel secolo XII, in «Memorie Storiche Forogiuliesi», Vol. 10, 1914, p. 265. (2) Pubblicato in SWIDA, F., Documenti friulani e goriziani dal 1126 al 1300, p. 405. (3) Per le prime citazioni dei nomi, si veda PRAMPERO, di, Saggio di un glossario geografico friulano dal VI al XII secolo, Antonelli, Venezia 1892, Nuova edizione Comune di Tavagnacco, Tipografia Aura, Udine 2001. Il nome di Strassau appare il più persistente dopo la sua trasformazione nel friulano Strassolt, e fu portato in area tedesca da eminenti personaggi della famiglia al servizio della corte imperiale, come dimostrano i documenti e i sigilli di Federico di Strassoldo che nel 1507 in un documento firmato a Imst si sottoscrive Friedrich von Strassau (o Strassäu), come risulta da un documento dell’Archivio di Stato di Vienna pubblicato da BABINGER. (4) Per un’approfondita disamina della toponomastica riguardante Strassoldo e il suo territorio, si veda l’ampio saggio di MARCATO, C., La storia e l’ambiente attraverso i toponimi, in STRASSOLDO, M. (Ed.), Castello, comunità e giurisdizione di Strassoldo: ottocento anni di storia, Pro Loco, Strassoldo 1990, pp. 2543. (5) FRAU, G., I nomi dei castelli friulani, in «Studi linguistici Friulani», Vol. 1, Udine, 1969, p. 220. (6) MOR, C. G., Castelli e strade nella bassa palmarina, p. 150. Strasso de Strassi è citato da PALLADIO, G. F., Delle Historie del Friuli, p. 180, mentre Eccelo de Strasso è compreso in un elenco di vassalli dei Vescovo Corrado di Treviso, pubblicato da UGHELLI, F., Italia Sacra, Vol. V, Venezia 1720, p. 532. Sugli Strasso trevigiani, signori di Noventa e Levada, estintisi nel 1597, si veda CARRERI, F. C., Del luogo ove Sordello amò Otta di Strasso, in «Nuovo Archivio Veneto», Venezia, 1897. (7) Si veda in particolare MARCATO, C., op. cit., pp. 28-29. (8) Viene citato da PALLADIO DEGLI OLIVI, G. F., Delle Historie della Provincia del Friuli, Voll. 2, Udine 1660, p. 180. (9) Riportato in UGHELLI F., Italia Sacra, Venezia 1720, ove è pubblicato l’intero documento riguardante una riunione dei vassalli del Vescovo di Treviso Corrado, che convoca presso la Pieve di San Cassano di Quinto il generalem terminum & parlamentum suis vassallis. Eccelo de Strasso appare a p. 532. 26 (10) Si veda BONIFACCIO, Istoria di Trivigi, p. 153. Una sintesi della storia della famiglia è riportata in PESCE, L., Vita socio-culturale in diocesi di Treviso nel primo Quattrocento, Deputazione Editrice, Venezia 1983, pp. 254-255. Sui territori infeudati agli Strasso, si veda la nota di CARRERI, F. C., Del luogo ove Sordello amò Otta di Strasso, in «Nuovo Archivio Veneto», 1897, Tomo 13, Parte 1, pp. 4. (11) Rizzardo di Strassoldo, Palladio degli Olivi (che essendo imparentato agli Strassoldo poté attingere direttamente ai documenti della famiglia), Faustino Moisesso, L. Meutinger, ecc. Tale versione sarebbe avvalorata da Joseffo di Strassoldo in un'opera andata perduta e che in parte fu fortunatamente trascritta da Michele di Strassoldo S. J. alla fine dei Settecento. Cfr. PETRUZZI, S., La famiglia Strassoldo sino al sec. XIV, Parte prima, p. 24. (12) L’idronimo deriva probabilmente da una antica radice indoeuropea da cui la voce greca e latina bothros, “fossa”, che sta alla base anche del nome Buttrio, in friulano Buri, e di tanti altri toponimi. Cfr. MARCATO, C., op. cit. p. 39. (13) Il friulano parlato locale non conosce il nome di Milleacque, che chiama Roe dal Mulin, o Ledre, perché è alimentata oltre che dalle ricche risorgive locali, da una piccola diramazione del canale Ledra. E’ molto probabile che il fiume si chiamasse Milache, Milaghe, e che i periti napoleonici abbiano interpretato il nome come Milleacque. Si tratta di un idronimo di indubbia provenienza slava, dato che il fiume rappresentava la linea di demarcazione tra una zona che nel medioevo, al tempo del ripopolamento di ampie zone della pianura devastata dagli Ungari, era compattamente slava, e quella che partiva dalla sponda destra, compattamente romanza. Il termine si riconnette alla parola slava mlaca, che significa pozza, pozzanghera, come la fossa Malachia che rappresentava a dire del Provveditore di Palma Marcantonio Memmo una delle tre sorgenti che alimentavano la Castra. Si veda MARCATO, op. cit., p. 34. Appare chiaro che il fiume avesse due nomi: Milaca sulla sponda di sinistra abitata da coloni slavi. Recentemente da una attenta lettura del catasto austriaco è emerso il nome romanzo: Brenta di Joannis. (14) Joseffo di Strassoldo di Fantuzzo fu sacerdote e poeta in lingua friulana. Sulla sua opera si veda LORENZONI, G., Un poeta friulano nel Cinquecento, in “Rivista della Società Filologica Friulana”, Vol. 5, 1924, pp. 17-25; D'ARONCO G., Nuova Antologia della letteratura friulana, Aquileia, Udine, 1960, pp. 95-98; PELLEGRINI, R., Due sonetti inediti di Giuseppe Strassoldo, in AA. VV., Marian, Numero unico della Società Filologica Friulana, Mariano del Friuli 1986, pp. 175-181. (15) Ripreso da PETRUZZI, S., La famiglia Strassoldo sino al secolo XIV - Introduzione storica e documenti, Tesi di laurea, Trieste, 1974, p. 24. (16) La descrizione delle ragioni che spinsero i due fratelli a venire in Italia e in Friuli partendo dalla Boemia è riportata in STRASSOLDO, Soldoniero, Cronaca dal 1509 al 1603, publicata da DEGANI, E. (Ed.), Cronaca di Soldoniero di Strassoldo dal 1509 al 1603, Doretti, Udine, 1895, pp. 76-77. (17) Si veda MOISESSO. F., Historia dell’ultima guerra in Friuli, Venezia 1653, p. (18) Si veda PALLADIO DEGLI OLIVI, G. F., Delle Historie della Provincia del Friuli, Voll. 2, Udine 1660, p. 5. (19) Riportato in M. G. H., Diplomatum Carolinorum, 1, p. 158. (20) KINK, R. (Ed.), Codex Wangianus, in «Fontes Rerum Austriacarum», li, Wien 1852; JOPPI, V., Alcuni documenti antichi sulla nobile famiglia di Strassoldo, Udine, 1879. (21) Sulle origini del toponimo, si veda l’ampia analisi di Carla Marcato in MARCATO, C., Sull’origine del nome Smurghin, in “Alsa”, Vol. 6, 1993, pp. 24-29. (22) Il documento appare in GRION G., Leggenda e storia onomastica, pp. 115-116. In questo documento Azo viene detto di Azmurgen, ma in altro testo viene citato come Azo de Casteglono, ed è menzionato per le donazioni dei terreni di Bicinicco e di Cavenzano effettuate a favore dei monaci di Aquileia. Si veda SCALON, C. (Ed), Necrologium Aquileiense, Istituto Pio Paschini, Udine 1982, p. 175 e pp. 176-176 e p. 398. Il collegamento con Castions di Smùrghin appare indubitabile, come quello con località, quali Cavenzano e Bicinicco, che furono da sempre giurisdizione degli Strassoldo. 27 (23) Il documento non si conosce in originale, ma da una copia del Fontanini. E’ stato poi trascritto dallo Joppi e poi dalla Simonetti in SIMONETTI, M. I., Ricerche sulla famiglia Strassoldo, Tesi di laurea, Trieste 1961. (24) L’ipotesi della origine longobarda della famiglia appare in molte pagine di storia locale: si veda SPESSOT, DEGANI, SIMONETTI, PETRUZZI, GRION, ed altri. Vi sono peraltro solo indizi, ma per ora nessun elemento certo risulta dalla documentazione conosciuta. (25) Manca ancora una attenta e dettagliata ricostruzione della estensione delle giurisdizioni feudali della Signoria di Strassoldo e delle proprietà fedecomissarie e libere della famiglia. Alcuni tentativi sono stati realizzati nell’ambito di alcune tesi di laurea. Si veda in particolare SIMONETTI, M. L., Ricerche sulla famiglia Strassoldo; MARCHISIO RACCAMPO, R. M., La giurisdizione criminale della Signoria di Strassoldo nel secolo XVI, Tesi di laurea, Trieste 1973. (26) Anche sul complesso di castelli e di ville che furono per lungo o breve tempo degli Strassoldo manca una completa e circostanziata ricostruzione. Per i castelli si può consultare il lavoro STRASSOLDO, Giorgio, I castelli Strassoldo in Friuli e in Europa, in STRASSOLDO, Marzio (Ed.), Castello, comunità e giurisdizione di Strassoldo: ottocento anni di storia, Pro Loco, Strassoldo 1990, pp. 189-221. Per le Ville e i Palazzi si possono consultare alcune pagine e schede di ULMER, C., D’AFFARA, G., Ville friulane, Storia e Civiltà, Magnus, Udine 1993, BARTOLINI, E., BERGAMINI, G., SERENI, L., Raccontare Udine. Vicende di case e Palazzi, Istituto per l’Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, Udine 1983, BERGAMINI, G., D’AFFARA, G., Palazzi del Friuli-Venezia Giulia, Magnus, Udine 2001. Per l’insieme delle proprietà, si veda GEROMET, G., ALBERTI, R., Nobiltà della Contea. Palazzi, castelli e ville a Gorizia, in Friuli e in Slovenia, Edizioni della Laguna, Mariano del Friuli 1999, pp. 256-317. (27) Manca comunque una esauriente ricostruzione soprattutto dei titoli di proprietà e di possesso, che sarebbe importante per stabilire se soprattutto i castelli, ma anche alcuni palazzi fortificati, fossero stati detenuti a titolo di investitura feudale oppure rientrassero nella libera disponibilità in quanto beni allodiali, e in quest’ultimo caso quale fosse il titolo di acquisizione, se costruzione, acquisto o matrimonio. (28) Tale leggenda, probabilmente di importazione toscana, è narrata per la prima volta dal NICOLETTI, M. A., Vite dei Patriarchi d'Aquileia e ripresa dal DI MANZANO, dall'ANTONINI e da altri. Si veda la versione di DE MEDICI, C. H., Leggende friulane, Bottega d'Arte, Trieste, 1924, e di VIRGILI, D., Leggende della mia terra, in «Avanti cul Brun», Vol. 20, 1953, p. 122. (29) Notizia che si trova solo in LAZZARINI. (30) Formalmente non fu un atto di sottomissione, bensì un trattato di alleanza tra la Signoria di Strassoldo, che vantava antiche investiture imperiali, e la Repubblica di Venezia. Gli Strassoldo si fecero riconoscere i diritti su di un castello Savorgnan che era stato confiscato da Sigismondo e dato in pegno alla famiglia, in garanzia di un congruo prestito. Il castello in oggetto non era quello di Duino, come appare in alcuni testi a causa di una errata lettura del manoscritto di Rizzardo di Strassoldo, bensì il più modesto castello che sorgeva tra le paludi e i boschi di Zuino. (31) Così la cronaca di Nicolò Maria di Strassoldo, p. 22. (32) Sull’evento si veda ad esempio PALLADIO DEGLI OLIVI, G. F., Delle Historie della Provincia del Friuli, Voll. 2, Udine 1660, p. (33) Secondo il PALLADIO nel 1514. Secondo notizie provenienti dalla famiglia, la seconda conquista avvenne nel 1513: si veda ad esempio quanto scrive Joseffo di Strassoldo a proposito del documento che riguarderebbe la fondazione di Strassoldo nel 1035: «la scrittura era in mano et appresso messer Nicolò Maria qd. messer Alvise de Strassoldo qual si perse al tempo dell'incendio fatto dalli Todeschi in 1513 a Strassoldo», in Annales Strasoldi, p. 71. Tale data trova conferma nella lapide fatta murare nel 1736 dal conte Giuseppe di Strassoldo nella Chiesa di S. Nicolò. Sulla data e sulla entità dei danni è stata fatta luce con la nota di PERINI, S., Il saccheggio di Strassoldo del 1513, in “Alsa”, Vol. 6, 1993, pp. 43-44. Dal documento rintracciato dal Perini, risulta senza ombra di dubbio che l’attacco e il relativo saccheggio avvenne il 27 dicembre 1513. (34) Si veda la descrizione dell’evento in SANUTO, M., Descrizione della Patria del Friuli, pp. (35) Su questo Giovanni di Strassoldo, noto anche come poeta e studioso di matematica e di astronomia, si veda DE CESARE, G. B., Liriche di friulani dei Cinquecento in lode all’ Escorial. Si veda anche GRIGGIO, C., 28 Giovanni di Strassoldo: uomo di lettere?, in “Giornale storico della letteratura italiano”, Fasc. 588, Anno 2002, pp. 561-571. (36) Per una biografia di Federico di Strassoldo e del fratello Giovanni, appartenenti al ramo dei castellani di sotto, e quest’ultimo da non confondersi quindi con il Giovanni del ramo del castello superiore (in questo errore incorre l’autore), si veda BABINGER, F., Kaiser Maximilians I "geheime Praktiken" mit den Osmanen (15101511, pp. 201-236. (37) Su questo sanguinoso evento e sui suoi prodromi si veda l’accurata analisi dello storico americano Edward Muir, nell’opera MUIR, E., Mad Blood Stirring. Vendetta & Factions in Friuli during the Renaissance, The Johns Hopkins University Press, Baltimore-London 1993: sulla sorte del castello di Strassoldo in tale vicenda si veda quanto scritto a p. 178. Si veda anche BIANCO, F., 1511. La “crudel zobia grassa”. Rivolte contadine e faide nobiliari in Friuli tra ‘400 e ‘500, Biblioteca dell’Immagine, Pordenone 1995. (38) Si veda la relazione del Luogotenente della Patria del Friuli Pietro Sanudo che nel 1558 scriveva al Senato: “Nel luogo de Strassoldo alli confini de regij, in triangolo de Maran et de Monfalcon, se potria fare una fortezza inespugnabile per lo sito abundante de acque resortive le quali non poleno essere tolte” Cfr. TAGLIAFERRI, A., (Ed.), Relazioni dei Rettori Veneti in Terraferma - Patria del Friuli, Giuffrè, Milano, 1973, p. 63. (39) Cfr. MARCHISIO RACCAMPO, R. M., La giurisdizione criminale della Signoria di Strassoldo nel secolo XVI, Tesi di laurea, Trieste, 1973. (40) La suddivisione della famiglia in due rami avviene nel Duecento con i fratelli Gabriele (1285-1311) e Odorico (1288-1309). Gabriele darà origine al ramo degli Strassoldo di Sopra, mentre Odorico a quella dei di Sotto. Entrambi i rami si suddivideranno ulteriormente nel Cinquecento. I di Sopra si divideranno nelle linee rispettivamente di Graffemberg, che tuttora risiedono a Strassoldo e in Germania, e di Soffumbergo, mentre i di Sotto si ripartiranno negli Strassoldo-Chiasottis, con una sottolinea di Chiarmacis, e negli StrassoldoVillanova e Farra, con una sottolinea di Ranziano. Per quanto riguarda il predicato di Grafenberg, esso venne assunto quando Rizzardo di Strassoldo, il difensore della fortezza di Gradisca, acquistò dagli Zengraf il castello o palazzo fortificato che era stato costruito in una località della periferia di Gorizia, che poi passò al fratello Orfeo, e poi a Vito. Il nome oscilla tra diverse forme: Graffemberch, Grafenberg, Graffenberg, Graffemberg, ed infine l’italianizzato Graffembergo. Va peraltro sottolineato come in tutte le lapidi settecentesche esistenti a Strassoldo il predicato assume costantemente la forma di Graffemberg. Soffumbergo proviene dal tedesco medioevale Scharfenberg, e che poi diventerà Soffumbergo, e per il ramo residente a Joannis, in Friuli austriaco, Soffumberg. (41) Sull'opera di Joseffo, si veda la nota (14). (42) JOSEFFO di STRASSOLDO. Zornale delle nostre Chiese di Strassoldo, manoscritto dell'Archivio Parrocchiale, p. 10. In questo periodo il Cancelliere dei Consorti di Strassoldo Bithinio Bevilacqua così descriveva il castello: E diviso in duo castella, l'uno situato dalla parte di sopra, che vien nomato castello Superiore, et l'altro nella parte di sotto, che prende il nome di castello Inferiore; et che questo e quello siano nobilissimi et antichissimi, ci fanno fede, oltra gl'infinite scritture che tutto dì si leggono, due altissime torri, una per castello fabbricate». (43) Si veda la relazione del provveditore Leonardo Donato, stampata in BAROZZI, N., Viaggio nella Patria dei Friuli 1593 di Leonardo Donato», Tipografia Castion, Portogruaro 1864. Leonardo Donato oltretutto sottolineava l’importanza strategica di Strassoldo, in quanto si interponeva tra la fortezza e il mare, ritenendo necessario che “si debba tener buon conto di questo luogo di Strassoldo, perché è situato in luogo di riponervi un soccorso per la fortezza nelle occasioni, e potrebbe servire come d’un magazzino, ovvero depositi di molte cose: E perché è intorniato d’acque ogni poco numero d’uomini lo potrìa custodire”, op. cit., p. 39. (44) Cfr. DEGANI, E. (Ed.), Cronaca di Soldoniero di Strassoldo, p. 64. (45) Cfr. TAGLIAFERRI, A. (Ed.), Relazioni dei Rettori Veneti in Terraferma - Provveditorato Generale di Palma(nova), Giuffrè, Milano, 1979, p. 90. (46) Tali trasformazioni sono documentate attraverso il confronto tra alcune foto della seconda metà dell’Ottocento pubblicate in STRASSOLDO, Giorgio, Il castello di Strassoldo nell’Ottocento: quattro fotografie inedite, in “Alsa”, Vol. 8, pp. 44-46 Palmanova 1995, pp. 44-46 scattate intorno al 1870, e il disegno realizzato intorno al 29 1890, pubblicato in CAPRIN, G., Pianure friulane, Trieste 1892, Ristampa Grafiche Erredici, Padova 1970, p. 235. Dalle prime si riscontra come i ponti fossero dotati di parapetti in muratura. Dalla seconda si rileva un completo ridisegno di tale aspetto dell’arredo urbano. (47) Le dimensioni e l’aspetto della torre prima della demolizione dell’ultimo piano si possono apprezzare considerando la miniatura riportato in un album riguardante Michele di Strassoldo e custodito nel castello di Sopra. (48) Si tratta di una mappa a colori custodita negli Archivi Provinciali di Gorizia, di notevole interesse, sia perché presenta l’impianto dei tre parchi che dovevano adornare i due castelli, sia perché individua con notevole precisione la pianta della torre del Castello di Sotto. Essa sorgeva al centro della piazzetta e doveva essere assai più grande di quella del Castello di Sopra. Da una descrizione dei beni feudali posseduti dagli Strassoldo, del 1587, emerge con chiarezza che tale torre, detta “torrazzo”, rappresentava una torre di abitazione di possesso comune dei giurisdicenti. Essa era già allora senza tetto ed era detta anche la “casa matta”, chiamata così non nel senso tecnico che tale termine assume nel lessico delle fortificazioni, ma come edificio rovinato. Infatti si dice che spetta ad uno dei componenti la famiglia “la giurisdizione che per nostro Caratto ne tocca del castello inferiore, co il Torrazzo detto già palazzo comune fra noi consorti di sotto”. Più oltre si precisa che si tratta della “torre discoperta posta nel ziron del castello di sotto detta la casa matta”. Queste evidenze documentarie, unite ai dati della mappa e del disegno settecentesco, pongono in discussione l’individuazione del mastio o della “Domus Magna seu palatium” che nell’atto del 1366 rimane indivisa, nell’attuale “Casa grande” del Castello di Sotto, e che invece va identificata nella grande torre di abitazione a pianta rettangolare che nella seconda metà del Settecento crollò o che fu demolita, consentendo il recupero di materiale che venne utilizzato per la costruzione di tre case coloniche, secondo una tradizione di famiglia. Il documento è riportato in FORAMITTI, V., TONDAT, N., I castelli e il borgo di Strassoldo: proposta per un restauro, Tesi di Laurea, Istituto Universitario di Architettura di Venezia, 1990, pp. 28-31. (49) Tali informazioni sono riportate con dettaglio di particolari nell’articolo riguardante l’ultimo intervento di restauro: STRASSOLDO, Riccardo, Il restauro della Chiesa di San Marco a Strassoldo, in “Alsa”, Vol. 13, Palmanova 2002, pp. 15-22. (50) Ad esempio SIMONETTI, M. L., Ricerche sulla famiglia Strassoldo, p. 22. Pubblicato per la prima volta dal GRION, op. cit., va detto che la trascrizione più accurata è quella riportata dalla PETRUZZI, Parte 21, p. 32. Esso è stato accuratamente analizzato in DE STEINKÜHL, N., Storia ed arte a Strassoldo dalle origini ai nostri giorni, Tesi di laurea, Trieste 1981, in FORAMITTI, V., TONDAT, N., I castelli e il borgo di Strassoldo: proposta per un restauro, Tesi di Laurea, Istituto Universitario di Architettura di Venezia, 1990, e in DELUISA, L., Strassoldo nell’agro di Aquileia, Tipografia Miani, Udine 1992. (51) Il battifredo o belfredo era una torre di vedetta, per lo più, come nel nostro caso, in legno; lo spalto era il terrapieno tra mura e fossato, mentre la canipa era il deposito di prodotti agricoli: vino e olio al pianoterra, granaglie al piano superiore. (52) Il testo è presentato in PETRUZZI, S., Parte 2, p. 167. (53) Si veda PETRUZZI, S., Parte 28, pp. 304-307. (54) Sul ruolo delle vie fluviali si veda FANFANI, T., I castelli di porto nella loro funzione storico-economica, in MIOTTI, T., Castelli dei Friuli, Vol. V, Del Bianco, Udine, 1981, pp. 273-287. Sulle basi economiche della Signoria di Strassoldo e sugli scambi commerciali da essa alimentati, spesso attraverso la via fluviale, si confronti: BENES, P., Un urbario della famiglia Strassoldo; BRAIDA, I., Il più antico urbario della famiglia Strassoldo 1390-1395; si veda anche CAMMAROSANO, P., Strutture d'insediamento e società nel Friuli dell'età patriarchina, in «Metodi e Ricerche», Anno 1, genn.-apr. 1980, pp. 5-22. (55) In STRASSOLDO, Nicolò Maria, Cronaca – Anni 1469-1509, pubblicato da JOPPI, V. (Ed), Cronaca di Niccolò Maria di Strassoldo - Anni 1469-1509, Seitz, Udine, 1876. (56) Si veda il lavoro MARCHISIO RACCAMPO, R. M., La giurisdizione criminale della Signoria di Strassoldo nel secolo XVI, Tesi di laurea, Trieste 1973. (57) Tali opere sono ricordate in STRASSOLDO, Joseffo, Zornale delle nostre Chiese de Strasoldo, Manoscritto in Archivio Parrocchiale di Strassoldo. 30 (58) Il Luogotenente della Patria del Friuli Domenico Ruzini promuove la costruzione di archivi notarili che vengono localizzati nella Destra Tagliamento a Valvasone Porcia, Spilimbergo e Maniago, mentre al di qua dell’acqua sono localizzati a Tarcento, Gemona, Fagagna e Strasssoldo, oltre che a Udine. La relazione porta la data del 1624. Cfr. TAGLIAFERRI, A., (Ed.), Relazioni dei Rettori Veneti in Terraferma - Patria del Friuli, Giuffrè, Milano, 1973, 154. (59) Tale data è ricavata dalla lapide fatta murare sulla facciata della Cancelleria e da quella murata all’interno della Chiesa di San Nicolò. (60) Si veda a tal proposito la lapide collocata sulla facciata della casa addossata al Castello di Sotto. (61) Si veda la mappa del catasto napoleonico dei 1811, nella quale non appaiono ancora tali edifici. (62) L’assetto attuale del castello è praticamente quello che appare nel disegno settecentesco della Biblioteca Joppi, almeno per quanto riguarda il lato occidentale. (63) Non sono note rappresentazioni iconografiche che riguardino specificatamente il Castello di Sotto. Ci si può riferire al citato disegno settecentesco della Biblioteca Joppi, ove il castello inferiore è rappresentato in scala lievemente ridotta, ma in forma fedele: vi appare il Palazzo, con le due finestre gotiche all’ultimo piano, mentre le altre sono già state ampliate secondo i dettami architettonici settecenteschi, la Chiesetta di San Marco, con le sue tre finestre al primo piano e il campaniletto, la casetta della piazzetta, e l’alta torre diruta, di notevoli dimensioni e in cattive condizioni di conservazione, con il coronamento delle merlature ben visibili e apparentemente in buone condizioni, con tre finestre all’ultimo piano del lato settentrionale e due minori all’ultimo piano e a quello immediatamente inferiore del lato occidentale. Non vi appare il gironutto, che probabilmente è nascosto da una casa del Borgo Nuovo. (64) Sulla pusterla si veda VISINTINI, C., La pusterla dei Castello di Strassoldo di Sotto. Intervento di restauro di un importante elemento della cinta fortificata interna, in «La Panarie», n. 49-50, 1980, pp. 44-48. (65) Sul Grafenberg e la famiglia Zengraf, si veda ad esempio AA.VV., Il Parco Coronini, Edizioni della Laguna, Mariano del Friuli, 1992. Si veda anche COSSAR, R. M., Storia dell’arte e dell’artigianato in Gorizia, Cosarini, Pordenone 1948, pp. 73-74, nonché GEROMET, G., ALBERTI, R., Nobiltà della Contea. Palazzi, castelli e ville a Gorizia, in Friuli e in Slovenia, Edizioni della Laguna, Mariano del Friuli 1999, pp. 272-275. Il Palazzo o Castello venne fatto costruire da Carlo Zengraf, stiriano, che fu segretario della camera arciducale di Graz e commissario all’esazione dei tributi feudali nella contea goriziana. Ottenuta l’ammissione al patriziato goriziano nel 1591, ottenne la giurisdizione di un territorio che comprendeva la zona della Piazzutta, del Grafenberg e di Straccis, l’area compresa tra l’Isonzo e il Corno. Nel 1593 procedette alla costruzione di un palazzo fortificato, spesso detto castello, che prese il nome di Grafenberg. Rimasto lo Zengraf senza discendenza maschile, il Palazzo con connessa giurisdizione venne venduto nel 1614 a Rizzardo di Strassoldo, il valoroso difensore della fortezza di Gradisca, che poi lo passò al fratello Orfeo. Da questi passò a Vito di Strassoldo. Con questo predicato nacque la linea degli Strassoldo Graffemberg, che lo tennero con Leopoldo, il padre di Francesca Romana che sposò Radetzky, fino al 1820, quando fu venduta all’asta e acquistato dal conte Michele Coronini. (66) La prima fonte iconografica sulla chiesetta è costituita dal citato disegno settecentesco della Biblioteca Joppi, ove appare l’edificio sacro nelle sue fondamentali caratteristiche attuali, almeno per la parte che vi è rappresentata. La seconda fonte è costituita dal particolare dipinto sulla pala dell’altare principale della chiesetta, da attribuirsi probabilmente alla seconda metà dell’Ottocento: l’edificio presenta tutte le caratteristiche attuali. Sulla chiesetta e l’intervento di restauro del 2001, si veda STRASSOLDO, Riccardo, Il restauro della Chiesa di San Marco a Strassoldo, in “Alsa”, Vol. 13, Palmanova 2002, pp. 15-22. Sulle preziose patere veneto-bizantine che vi appaiono murate sulla facciata, si veda RIZZI, A., Patere e formelle veneto-bizantine a Strassoldo, Estratto da «Sot la Nape», Vol. 28, n. 4,1976, pp. 8. (67) Le fonti iconografiche riguardanti il Borgo Nuovo riportano ancora una volta al disegno della Biblioteca Joppi. Da esso risulta che il fossato è già ricoperto, che la cosiddetta Porta Cisis è munita del suo arco a tutto sesto e del coronamento merlato, con merli che sembrano essere di tipo quadrato e non a coda di rondine, che il ponte levatoio è stato rimosso e sostituito da un ponte in muratura senza parapetti e che a nord della porta vi sono due casette, in luogo dell’attuale Casa Deluisa. La successiva fonte iconografica disponibile è un dipinto degli inizi dell’Ottocento, pubblicato dal Deluisa, dove la Porta è già priva dell’arco e della facciata esterna, non esiste ancora la Casa Deluisa addossata alla Porta, le merlature sono di tipo ghibellino, il ponte è munito da entrambi i lati di parapetti (di cui quello meridionale esiste ancora) e la strada sembra essere rivolta interamente verso 31 settentrione, mentre non pare diramarsi anche verso sud, e cioè in direzione di Cisis e San Gallo: da ciò si può dedurre che era ancora attiva la strada dell’Alzana che conduceva, costeggiando il Taglio, verso Cisis. Il corpo di guardia del Borgo appare aprirsi verso l’attuale Via dei Castelli con una porticina ad arco, sormontata da una finestrella. Si veda DELUISA, L., Strassoldo nell’agro di Aquileia, Tipografia Miani, Udine 1992, p. 28. (68) Tale attribuzione non è pacifica. Poteva trattarsi anche della porta meridionale, contrapposta a quella settentrionale della Cistigna, del Castello di Sopra, come sembra potersi dedurre dal fatto che Porta Cisis è citata per la prima volta nell’atto di divisione del 1322, che sembra riguardare esclusivamente il Borgo e il Castello di Sopra. Poteva anche trattarsi di una seconda porta del girone del Borgo Nuovo in vicinanza del fiume, e dell’attuale Strade viere, che portava direttamente a Cisis, mentre l’attuale porta occidentale, che portava a San Gallo di Cerclaria e a Castions o a Campolongo di Smurghin, e a nord verso Sevegliano e Palmata, poteva portare il nome di Porta Cerclaria o Porta di Smurghin o di Porta Zevean. (69) Sulla configurazione originaria della parte orientale del Borgo Nuovo vi è una questione che è stata sollevata dall’esame del catasto napoleonico del 1811. Sulla mappa appaiono i due foladôrs, che insistono su due particelle distinte, ma tra le stesse vi è un’altra particella che sembra sopportare un corpo di collegamento tra i due fabbricati, quasi questi fossero uniti e la strada passasse sotto un’androna e tra questa e la Porta Cisis si aprisse una piazzetta. Successivamente tale corpo di fabbrica sarebbe stato rimosso e per i due foladôrs sarebbero state riformate le facciate, con il portone in pietra e le quattro finestrelle, anch’esse incorniciate in pietra, per ciascun fabbricato. Solo uno scavo potrebbe chiarire se si sia trattato di una inesattezza della mappa catastale, oppure se fosse realmente esistito questo corpo di collegamento. (70) Sulla chiesetta di Santa Maria in Vineis si possono ricavare notizie in FEDRI, E., La chiesetta di S. Maria in Vineis, Pro Loco, Strassoldo, 1971, in TOSO, G., La Chiesa di S. Maria in Vineis a Strassoldo, Tesi di laurea, Trieste, 1968 e in DELUISA, A. e L., Le chiese di Strassoldo e altre notizie, Pro Loco, Strassoldo 1985, oltre che in altre pubblicazioni riguardanti il centro di Strassoldo. Altre notizie si possono ricavare da DELUISA, L., Strassoldo nell’agro di Aquileia, Tipografia Miani, Udine 1992. (71) Sull’origine del nome si veda MARCATO, C., La storia e l’ambiente attraverso i toponimi, in STRASSOLDO, Marzio (Ed.), Castello, comunità e giurisdizione di Strassoldo: ottocento anni di storia, Pro Loco, Strassoldo 1990, pp. (72) Che il Borgo Viola fosse fortificato non è provato da documenti e finora nemmeno da evidenze archeologiche. Le informazioni provengono da Deluisa, da tradizioni popolari e dall’esame dell’impianto topografico. (73) Per l’origine del nome e numerose citazioni documentarie, si veda MARCATO, C., La storia e l’ambiente attraverso i toponimi, op. cit., pp. 30-31. (74) Altre citazioni si devono a DELUISA, L., Strassoldo nell’agro di Aquileia, op. cit., pp. 41-42. (75) Sui mulini di Strassoldo e dintorni si veda DELUISA, I., Vecchi mulini dei cervignanese, Pro Loco, Strassoldo 1972. Sul Borgo si può consultare DELUISA, L., Strassoldo nell’agro di Aquileia, p. 47. (76) Oggi è forse impropriamente denominato Mulino del Bosco. Secondo Deluisa il mulino con tale nome era situato a monte dell’attuale, ed era detto anche Mulin Brusât, Mulin dal Bosc, mentre quello in oggetto era il Mulino del Castello di Sopra. (77) Per la storia del nome si veda MARCATO, C., La storia e l’ambiente attraverso i toponimi, op. cit., p. 34. (78) Documentata in DELUISA, L., Vecchie case della Bassa Friulana, Cartotecnica Isontina, Gorizia 1993. Seconda edizione, p. 39. (79) Sulla figura di Giulio Giuseppe si veda WURZBACH, von, C., Biographisches Lexikon des Kaiserthums Oesterreich, K. und K. Hof -und Staatsdruckerei, Wien 1879, pp. 291-292. (80) Sul generale Francesco Kuhn von Kuhnenfeld si veda FEDRI, E., Strassoldo - Cenni storici, Doretti, Udine, 1965, pp. 48-51. (81) Sui giardini storici del Friuli e della Venezia Giulia si veda la fondamentale opera: VENUTO, F., Giardini del Friuli-Venezia-Giulia, Geap, Pordenone 1988. Sui giardini che sono legati ai complessi castellani si veda PERON, M. (Ed.), Giardini nei castelli, Consorzio per la Salvaguardia dei Castelli Storici del Friuli Venezia 32 Giulia, Udine 2001. Sui parchi del Friuli orientale si veda anche TOMASELLA, P., BONASSI, P., Giardini di una terra di confine, Federico Motta Editore, Milano 2003. (82) La lettera è custodita nell’Archivio Colloredo di S. Maria la Longa. Busta Lettere 1631, 1632. E’ citata per la prima volta in STRASSOLDO, Giorgio, I castelli Strassoldo in Friuli e in Europa, in STRASSOLDO, Marzio (Ed.), Castello, comunità e giurisdizione di Strassoldo: ottocento anni di storia, Pro Loco, Strassoldo 1990, pp. 189-221 e ripresa in TOMASELLA, P., BONASSI, P., Giardini di una terra di confine, Federico Motta Editore, Milano 2003. (83) Sull’opera di recupero di questo parco nel corso degli ultimi decenni si può consultare il volumetto di Raimondo Strassoldo, nel quale viene presentata una circostanziata descrizione dei problemi posti dalle esigenze di manutenzione straordinaria del verde circostante o annesso al Castello di Sotto. Si veda STRASSOLDO, Raimondo, Dendrophilia. Un’esperienza di lavoro con la natura, Lithostampa, Pasian di Prato 2003. (84) Sul ricco corpo di leggende legate ai castelli friulani si veda CANTARUTTI, N., Le leggende nei castelli, in MIOTTI, T. (ed.), La vita nei castelli friulani, Vol. VI della Serie Castelli del Friuli, Del Bianco, Udine 1981, pp. 321-348. (85) Tra le varie versioni si possono citare quelle di DE’ MEDICI, C. H., Leggende friulane, Bottega d’Arte, Trieste 1924, e di VIRGILI, D., Leggende della mia terra, in “Avanti cul,Brun”, Vol. 20, 1953, p. 122, ripresa in ZUCCHIATTI, V., Castello di Villalta, Consorzio Castelli, Forum, Udine 2004, pp. 133-143. La leggenda è di probabile importazione toscana e venne riportata per la prima volta in NICOLETTI, M.A., Vite dei patriarchi d’Aquileia. Bibliografia BABINGER, F., Kaiser Maximilians I "geheime Praktiken" mit den Osmanen (1510-11), in «SüdOst-Forschungen», Band 15, 1956, pp. 201-236. BAROZZI, N. (Ed.), Viaggio nella Patria del Friuli nel 1593 di Leonardo Donato, Tipografia Castion, Portogruaro 1864. BENES, P., Un urbario della famiglia Strassoldo - Anni 1448-1454, Tesi di laurea, Trieste, 1979. BERTOSSI, S., Case friulane. Architettura spontanea della Bassa, Regione Friuli Venezia Giulia, Doretti 1977. BEVILACQUA, B., Il castello di Strassoldo, Manoscritto 1580, in Archivio Provinciale di Gorizia. BIANCO, F., 1511. La “crudel zobia grassa”. Rivolte contadine e faide nobiliari in Friuli tra ‘400 e ‘500, Biblioteca dell’Immagine, Pordenone 1995. Nuova edizione Biblioteca del Messaggero Veneto, Udine 2004. BRAIDA, I., Il più antico urbario della famiglia Strassoldo, 1390-1395, Tesi di laurea, Trieste 1979. CAMMAROSANO, P., Struttura d'insediarnento e società nel Friuli dell'età patriarchina, in «Metodi e Ricerche», Vol. 1, n. 1, 1980, pp. 5-22. CARRERI, F. C., Del luogo ove Sordello amò Otta di Strasso, in «Nuovo Archivio Veneto», 1897, Tomo 13, Parte 1, pp. 4. CORGNALI, G. B., Curiosità cartografiche. Palma e dintorni», in «Ce Fastu?», Voi. 18, 1938, pp. 195-206; ristampato in AA.VV., Palme, Società Filologica Friulana, Udine 1976, pp. 40-49. CZOERNIG, C., Il territorio di Gorizia e Gradisca, Cassa di Risparmio, Gorizia, 1973. D'ATTEMS, E., Cenni ed appunti sulla famiglia dei conti di Strassoldo, Del Bianco, Udine, 1909. CUSTOZA, G.V., GRATTONI D’ARCANO, M. (Ed.) Castella. Centodue opere fortificate del Friuli Venezia Giulia, Consorzio per la Salvaguardia dei Castelli Storici del Friuli Venezia Giulia, Campanotto, Udine 1995. 33 DE BENVENUTI, A., Il castello e i conti di Strassoldo, in «Sot la Nape», Aprile-Giugno 1958, pp. 34-35. DE BENVENUTI, A., I castelli friulani, Camera di Commercio, Udine, 1950. DE CESARE, G. B., Liriche di friulani del Cinquecento in lode dell'Escorial, in «Ateneo Veneto», Vol. 8, n. 1-2, 1970, pp. 81-92. DELUISA, I., Un'opera di Bissone a Strassoldo?, in «Studi Goriziani», 1964, pp. 25-40. DEGANI, E., Documenti storici delle famiglie comitali Strassoldo e Della Torre, Venezia, 1863. DELUISA, I., Un'opera di Bissone a Strassoldo?, in «Studi Goriziani», 1964, pp. 25-40. DELUISA, L., Vecchie case della Bassa Friulana, Arti Grafiche Friulane, Udine, 1968. Prima edizione DELUISA, I., Vecchi mulini dei cervignanese, Pro Loco, Strassoldo, 1972. DELUISA, A. e L., Le chiese di Strassoldo e altre notizie, Pro Loco, Strassoldo 1985. DELUISA, L., Vecchie case della Bassa Friulana, Cartotecnica Isontina, Gorizia 1993. Seconda edizione. DELUISA, L., Strassoldo nell’agro di Aquileia, Tipografia Miani, Udine 1992. DE' MEDICI, C. H., Leggende friulane, Bottega d'Arte, Trieste 1924. DE STEINKÜHL, N., Storia ed arte a Strassoldo dalle origini ai nostri giorni, Tesi di laurea, Trieste, 1981. DEGRASSI, D., Un castello di pianura. Strassoldo, in DEGRASSI, D., Storie di case, castelli, città nel Friuli Venezia Giulia, Leg, Gorizia 2002, pp. 65-67. FANFANI, T., I castelli di porto nella loro funzione storico-economica, in MIOTTI, T., Castelli del Friuli, Vol. V, Del Bianco, Udine 1981, pp. 273-287. FEDRI, E., Strassoldo - Cenni storici, Doretti, Udine, 1965. FEDRI, E., La chiesetta di S. Maria in Vineis, Pro Loco, Strassoldo 1971. FORAMITTI, V., TONDAT, N., I castelli e il borgo di Strassoldo: proposta per un restauro, Tesi di Laurea, Istituto Universitario di Architettura, Venezia 1990. FORZA, V, Epistolae sex quas annis 1639- 1643. Ricciardo de Strasoldo et Ciro Equiti de Pers Utino ille dedit, Manoscritto, Biblioteca della Marciana. FRAU, G., PELLEGRINI, G.B., I nomi dei castelli friulani, in “Studi Linguistici Friulani”, Vol, 1, 1969, pp. 257-315. GEROMET, G., ALBERTI, R., Nobiltà della Contea. Palazzi, castelli e ville a Gorizia, in Friuli e in Slovenia, Edizioni della Laguna, Mariano del Friuli 1999. GRION, G., Leggenda e storia onomastica, in «Pagine Friulane», Anno 26, n. 8, 1904, pp. 113-117. JOPPI, V., Documenti goriziani dei secoli XII e III, in «Archeografo Triestino», Vol. 12, Fase. 3 e 4, 1885-1886. JOPPI, V., Documenti goriziani del secolo XIV, in «Archeografo Triestino», Voll. 12-16, 18861891. JOPPI, V., Documenti goriziani del secolo XV, in «Archeografo Triestino», Vol. 18, 1892, pp., 536. JOPPI, V., Alcuni documenti antichi sulla nobile famiglia di Strassoldo, Udine 1879 LEICHT, P. S., Regesti friulani 568-1200, in «Pagine Friulane», Vol. 17, 1905-1906. LORENZONI, G., Un poeta friulano nel Cinquecento. Joseffo Strassoldo», in «Rivista della Società Filologica Friulana», Vol. 5, 1924, pp. 37. MANCINI LAPENNA, F., Storico viaggio nel 1593. Per dare a Venezia la Fortezza di Palma, in “Iniziativa Isontina”, Vol 11, aprile giugno 1969, pp. 48-54. MANCINI LAPENNA, F., Strassoldo - Guida storico artistica, Pro Loco Strassoldo 1982. MARCATO, C., Sull’origine del nome Smurghin, in “Alsa”, Vol. 6, 1993, pp. 24-29. MARCATO, C., La storia e l’ambiente attraverso i toponimi, in STRASSOLDO, Marzio (Ed.), Castello, comunità e giurisdizione di Strassoldo: ottocento anni di storia, Pro Loco, Strassoldo 1990, pp. 25-43. 34 MARCHISIO RACCAMPO, R. M., La giurisdizione criminale della Signoria di Strassoldo nel secolo XVI, Tesi di laurea, Trieste 1973. MARTINELLI, A., PICOTTI, L., Il castello di Sopra di Strassoldo: un centro culturale, Tesi di Laurea, Istituto Universitario di Architettura, Venezia 1998. MENEGAZZI, A., Il castello di Strassoldo, in «Pagine Friulane», 1888, pp. 80. MEUTINGER, L., S. J., Nobilitas virtute elevata sive gloriosi illustris prosapiae de Strassoldo heroes, Graz 1697. MILOCCO, G., DELUISA, C., Strassoldo. Il paese dei campanelli, Officine Grafiche Stanmoda, Bagnaria Arsa 2000. MIOTTI, T., Castelli dei Friuli - Gastaldie e giurisdizioni del Friuli Centrale, Del Bianco, Udine 1978. MOISESSO. F., Historia dell’ultima guerra in Friuli, Venezia 1653. MOR, C. G., Castelli e strade della bassa palmarina, in «Ce Fastu?», Vol. 52, dicembre-gennaio. 1976, pp. 147-153. MOR, C. G., Palma e la Bassa Friulana, in AA.VV. Palme, Società Filologica Friulana, Udine 1976, pp. 11-20. MUIR, E., Mad Blood Stirring. Vendetta & Factions in Friuli during the Renaissance, The Johns Hopkins University Press, Baltimore-London 1993. PALLADIO DEGLI OLIVI, G. F., Delle Historie della Provincia del Friuli, Voll. 2, Udine 1660. PASCHINI, P., Un nobile friulano ai servigi di Paolo III: Panfilo Strassoldo, in «Memorie Storiche Forogiuliesi», 1928, pp. 109-114. PELLIS, U., Index instrumentorum di Casa Strassoldo, in «Rivista della Società Filologica Friulana», Voll. 3-4. , 1922-1923, pp. 194-201; pp. 1-9. PELLIS, U., Nomi di luogo e di persona alla fine dei '300 nella Bassa friulana orientale, in «Ce Fastu?», Vol. 5, 1929, pp. 31. PERINI, S., Il saccheggio di Strassoldo del 1513, in “Alsa”, Vol. 6, 1993, pp. 43-44. PERON, M. (Ed.), Giardini nei castelli, Consorzio per la Salvaguardia dei Castelli Storici del Friuli Venezia Giulia, Udine 2001. PETRUZZI, S., La famiglia Strassoldo sino al secolo XIV - Introduzione storica e documenti, Tesi di laurea, Trieste 1974. RIZZI, A., Patere e formelle veneto-bizantine a Strassoldo, Estratto da «Sot la Nape», Voi. 28, n. 4,1976, pp. 8. RUFFINI, G. B., Nobili conti Strassoldo contro i componenti la Commissione fabbricaria della Chiesa di Mortegliano. Indennizzo per arbitraria demolizione di antica torre, Venezia 1884. SEGALLA, E., Sangue blu del Friuli, Editrice Sve, Udine 1994. SIMONETTI, M. I., Ricerche sulla famiglia Strassoldo, Tesi di laurea, Trieste, 1961. SPESSOT, F., Libri, manoscritti e pergamene degli Strassoldo a Gorizia, in «Studi Goriziani», Vol. 10, 1934, pp. 75-130. SPESSOT, F., Il boia al castello di Gradisca, in «Sot la Nape», Voi. 3, n. 4-5, 1951, pp. 18-28. SPESSOT, F., Riccardo Conte Strassoldo Barone di Villanova, in «Studi Goriziani», Vol. 20, 1956, Estratto, pp. 27. STRASSOLDO, Joseffo, Zornale delle nostre Chiese de Strasoldo, Manoscritto in Archivio Parrocchiale di Strassoldo. STRASSOLDO, Conte di, Annales Strasoldi, Manoscritto in Archivio Provinciale di Gorizia. STRASSOLDO, Giorgio, Il castello di Strassoldo nell’Ottocento: quattro fotografie inedite, in “Alsa”, Vol. 8, Palmanova 1995, pp. 44-46. STRASSOLDO, Giorgio, I castelli Strassoldo in Friuli e in Europa, in STRASSOLDO, Marzio (Ed.), Castello, comunità e giurisdizione di Strassoldo: ottocento anni di storia, Pro Loco, Strassoldo 1990, pp. 189-221. STRASSOLDO, Marzio, Castello di Strassoldo, Consorzio per la Salvaguardia dei Castelli Storici, Cassacco 1982. Prima edizione. 35 STRASSOLDO, Marzio (Ed.), Castello, comunità e giurisdizione di Strassoldo: ottocento anni di storia, Pro Loco, Strassoldo 1990. STRASSOLDO, Marzio, Lineamenti di vita economica, in STRASSOLDO, M. (Ed.), Castello, comunità e giurisdizione di Strassoldo: ottocento anni di storia, Pro Loco, Strassoldo 1990. STRASSOLDO, Marzio, Il Natocco. Nota su di un toponimo prediale friulano, in “Alsa”, Vol. 1/2011, pp. 7-10. STRASSOLDO, Marzio, Il porto di Cervignano e la navigazione fluviale dall’alto medioevo, in AA.AA., Sarvignan, Società Filologica Friulana, Agraf, Udine 2012, pp. 125-142. STRASSOLDO, M., Lineamenti per una storia dei porti del Friuli, in “Alsa”, Vol. 4/2012, pp. 518. STRASSOLDO, Michele, S. J., Albero Strassoldo documentato, Manoscritto in «Archivio Provinciale di Gorizia». STRASSOLDO, Nicolò Maria, Cronaca – Anni 1469-1509, pubblicato da JOPPI, V. (Ed), Cronaca di Niccolò Maria di Strassoldo - Anni 1469-1509, Seitz, Udine, 1876. STRASSOLDO, Raimondo, Dendrophilia. Un’esperienza di lavoro con la natura, Lithostampa, Pasian di Prato 2003. STRASSOLDO, Riccardo, Motivi traforati nei fienili della pianura friulana, in “Alsa”, Vol. 12, pp. 36-41. STRASSOLDO, Riccardo, Il restauro della Chiesa di San Marco a Strassoldo, in “Alsa”, Vol. 13, pp. 15-22. STRASSOLDO, Riccardo, Le fortificazioni di Cervignano e del suo territorio, in AA.AA., Sarvignan, Società Filologica Friulana, Agraf, Udine pp. 143-154. STRASSOLDO, Rizzardo, Raccolta et regolatione, fatta da me conte Ricciardo Strassoldo, di scritture autentiche attinenti all'antiqua nostra Casa di Strassoldo, in Seminario di Gorizia. STRASSOLDO, Soldoniero, Cronaca dal 1509 al 1603, publicata a cura di DEGANI, E. (Ed.), Cronaca di Soldoniero di Strassoldo dal 1509 al 1603, Doretti, Udine, 1895. SWIDA, F., Documenti friulani e goriziani dal 1126 al 1300, in «Archeografo Triestino», vol. 14, 1888, pp. 399-425. SWIDA, F., Regesti di documenti conservati nel Museo Provinciale di Gorizia, in «Archeografo Triestino», Voll. 15-17, 1889-1891. TOMASELLA, P., BONASSI, P., Giardini di una terra di confine, Federico Motta Editore, Milano 2003. TONINI, I., Due castelli, due dame, due giardini: i castelli d’acqua di Strassoldo, in TONINI, I., Le Signore dei giardini, Novilunio, Francavilla al Mare 2002, pp. 43-47. TOSCANO, A., Pergamene inedite degli archivi goriziani, in «Studi Goriziani», Voi. 21 1957, pp. 91-122. TOSCANO, A., Un gruppo di pergamene inedite degli archivi goriziani, Tesi di laurea, Trieste 1955. TOSO, G., La Chiesa di S. Maria in Vineisa a Strassoldo, Tesi di laurea, Trieste 1968. TAGLIAFERRI, A. (Ed.), Relazioni dei Rettori Veneti in Terraferma - Provveditorato Generale di Palma(nova), Giuffrè, Milano 1979. TAGLIAFERRI, A., (Ed.), Relazioni dei Rettori Veneti in Terraferma - Patria del Friuli, Giuffrè, Milano 1973. TURUS, E., Regesto delle pergamene goriziane fino al 1388, in «Forum Julii, Voll. 1-5, 1910 -1914. ULMER, C., Castelli friulani, storia e civiltà, Magnus, Udine 1997. VENUTO, F., Giardini del Friuli-Venezia-Giulia, Geap, Pordenone 1988. VISINTINI, C., La pusterla dei Castello di Strassoldo di Sotto. Intervento di restauro di un importante elemento della cinta fortificata interna, in «La Panarie», n. 49-50, 1980, pp. 4448. 36 WURZBACH, von, C., Biographisches Lexikon des Kaiserthums Oesterreich, K. und K. Hof -und Staatsdruckerei, Wien 1879, pp. 282-296. ZAHN, VON, J., I castelli tedeschi in Friuli, Udine 1884, Nuova edizione Societât Filologiche Furlane, Udine 2000. 37 Indice Le origini Nobiltà e potere Il periodo veneziano Il periodo austriaco L’evoluzione delle strutture architettoniche I borghi Concusioni Note Bibliografia Elenco delle illustrazioni 38