Il rischio clinico in Ortopedia
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Il rischio clinico in Ortopedia
G. TAGLIALAVORO Il rischio clinico in Ortopedia Università degli Studi di Padova Clinica Ortopedica Direttore: R. Aldegheri Lentiai 1910 : visita domiciliare Si definisce rischio clinico l’eventualità per un paziente di subire un danno come conseguenza di un errore. z Si definisce errore l’incapacità di completare un’azione pianificata; oppure l’adozione di procedure non adatte allo scopo. z – Gli errori possono dipendere da due aree di inefficienza: La pianificazione dell’attività z L’esecuzione delle attività z z I luoghi a maggior rischio sono – – – – z le sale operatorie (32%), i reparti di degenza (28%), i dipartimenti d'urgenza (22%) gli ambulatorii (18%). Le quattro specializzazioni più a rischio sono – – – – ortopedia e traumatologia (16,5%), oncologia (13%), ostetricia e ginecologia (10,8%) chirurgia generale (10,6%). z La sala operatoria ortopedica è di fatto il luogo più a rischio in assoluto. z Perché? z 1° L’ortopedico oggi di fatto è un tuttologo – Per legge è chirurgo della spalla, della mano, dell’anca, del ginocchio e del piede, nonchè del rachide e dello scheletro appendicolare – Il suo campo di azione si estende dall’età neonatale e pediatrica , a quella geriatrica, passando per l’età adulta, e il tutto va moltiplicato per due perché per legge è anche un traumatologo. – Deve inoltre saper manipolare lo scheletro e confezionare apparecchi gessati, essere un artroscopista , sapere eseguire interventi a cielo chiuso e a cielo aperto. Per fortuna nella realtà clinica di ogni giorno l’ortopedico non fa tutto questo, ma la legge attuale gli riconosce queste competenze e le pretende nel momento in cui agisce professionalmente, in assenza però di scuole specifiche in cui istituzionalmente ci si prepara e di realtà assistenziali adeguatamente organizzate. z Complessità? Molto di più: CAOS z z z z Un esempio per tutti: Oggi sono poche le realtà assistenziali in Italia in cui vi sia una netta separazione tra i percorsi imboccati dal paziente traumatico, da quelli imboccati dal cosiddetto paziente di elezione. Qualsiasi tentativo di razionalizzare la coesistenza di questi due momenti assistenziali, si traduce prima o poi nel prevalere della traumatologia sulla ortopedia, e da questa interferenza nascono ritardi nella esecuzione di interventi programmati, interventi cancellati, riprogrammati più volte e mai eseguiti, scambi di persona, ansia nel dovere far presto e veloce perché deve entrare in sala un traumatizzato, arti sani operati al posto di quelli ammalati, scambi di strumentario, mancanza di ferri sterili, scambio di operatori, e quant’altro può succedere ogni qualvolta la pianificazione dell’attività risulti sconvolta da un evento imprevisto, quale è la traumatologia nel suo insieme. 2° L’Ortopedia e la Traumatologia nella sua specificità mostra di essere l’unica specialità che pur non rivestendo caratteristiche terapeutiche con finalità estetiche viene percepita come tale nel risultato atteso, ancor più perché ciò che facciamo si vede e inesorabilmente resta documentato dall’esame radiografico 3° Ciò che oggi facciamo è è il frutto di una rapida quanto intensa tecnicizzazione della nostra professione, che nel giro di pochi anni, l’ha portata dalla “Calma e gesso” al navigatore computerizzato tridimensionale intraoperatorio. Vero è che lo sviluppo tecnologico e scientifico, in ambito ortopedico, sono riusciti ad ottenere nella stragrande percentuale dei casi un miglioramento della qualità dei risultati, ma hanno reso anche molto più complesse le procedure, non sempre poste sotto il diretto controllo del medico, e la dove vi è complessità, maggiore è il rischio di sbagliare. z z 4° L’ortopedia e la traumatologia intervengono sull’apparto locomotore e ciò ha risvolti funzionali talora invalidanti, che producono diminuzione dell’integrità fisica ovvero della capacità lavorativa, e ciò, comunque, aumenta la conflittualità medico legale. Si sbaglia dunque per diversi motivi e a sbagliare si può essere in tanti ma ad essere chiamati in causa siamo sempre noi: i primi della classifica. z Caso n° 1 Ovvero: quando i percorsi diagnostico-terapeutici non sono condivisi Il Fatto z z z z Durante una gara, a seguito di un impatto con il terreno di gioco, un calciatore professionista inizia ad accusare dolore in corrispondenza della MF1 dx. A distanza di pochi giorni, pur essendo rimasto a riposo, per il persistere della sintomatologia dolorosa, la società calcistica affida il suo campione a un importante ospedale del nord Italia. Senza alcun accertamento preliminare il giocatore viene sottoposto a terapia infiltrativa locale (anestetico associato a cortisone) e non viene più convocato. A tre mesi dall’esordio della sintomatologia, persistendo invariato il quadro clinico, il professionista finalmente viene sottoposto ad accertamento radiografico. A 3 mesi dal trauma SX DX Frattura da stress Provvedimenti terapeutici Ê Ê Ê Ê Ê Ê Riposo assoluto dall’attività agonistica Tutore con scarico sull’avampiede Campi elettromagnetici pulsati Nuoto, Cyclette FANS al bisogno A 160 gg dal trauma viene eseguita una nuova radiografia: Ritardo di consolidazione Provvedimenti terapeutici Ê Ê Ê Riposo dall’attività agonistica Plantare Litotritore (due sedute a distanza di una settimana l’una dall’altra). 15gg dopo viene eseguito un nuovo esame radiografico, e la diagnosi radiografica risulta essere PSEUDOARTROSI Persistendo invariata la sintomatologia dolorosa a 175 gg. dal trauma è consigliato intervento chirurgico ASPORTAZIONE DEL PICCOLO FRAMMENTO LATERALE DEL SESAMOIDE MEDIALE A 2 mesi dall’intervento il paziente è giudicato clinicamente guarito e in grado di riprendere gli allenamenti e le gare. Colpo di scena zLa società calcistica, ritiene di potere risolvere il contratto che lo lega al professionista per non essere, egli, riuscito a gareggiare, per motivi di salute, in maniera continuativa, per più di sei mesi (Art. 19 accordo collettivo per la disciplina dei rapporti tra le società facenti parte degli Enti federali organizzativi dell'attività professionale ed i calciatori professionisti.) Contro colpo di scena Il Brillante professionista rimanda alla società la responsabilità della sua prolungata assenza dai campi di calcio, essendosi egli affidato per le cure, in tutto e per tutto, al medico della società, e, quindi….. si finisce in TRIBUNALE La frattura dei sesamoidi dell’alluce è una lesione rara, ma non negli sportivi z Acuta (evenienza rara) Ê Da stress ( microtraumi ripetuti) Frattura Acuta Ê Trauma diretto, (schiacciamento) Ê Trauma indiretto (avulsione) Ê Azione combinata Quadro clinico z z z z tumefazione locale ecchimosi (più o meno evidente) vivo dolore localizzato sulla superficie volare della I MTF impotenza funzionale Frattura da stress Quadro clinico Ê Ê Ê Ê Esordio insidioso Dolore incostante, più o meno intenso dopo attività Limitazione funzionale tanto più accentuata quanto più intenso è il dolore Decorso è lento Esami strumentali Ê Rx (AP, LL, Walter-Muller) Ê Scintigrafia Ossea Ê TAC Ê RMN SX Diagnosi differenziale Ê Ê Ê Ê Ê Ê Metatarsalgia Borsite Sesamoidite Sesamoide bipartito Osteite Osteocondrite Trattamento z Picetti G. z z DuVries H. 1959 z Regnauld B. 1986 Risoluzione della sintomatologia dolorosa Rinaldi F. 1966 z Biedert R. 1995 e della limitazione funzionale. Furlanetto S. 1968 z Karasick D. 1998 z Klenerman L.1976 z Campbell G. 1999 z Jahss H. z Scapinelli R. 2000 z 1954 z 1984 Incruento Orava S. 1985 Cruento Ê Trattamento incruento Apparecchio gessato o tutore in scarico per non più di 4-8 settimane. Trattamento cruento Ê Asportazione del frammento mobile Ê Rimozione del sesamoide Ê Apposizione di innesti ossei autoplastici (per la terapia delle pseudoartrosi) z z Chi ha ragione ? Al di la della disputa appare evidente che il percorso diagnostico terapeutico imboccato dal calciatore fu quanto meno tortuoso e improprio. Percorso diagnostico terapeutico Tempo 0 Infortunio calcistico Nessun trattamento 3 gg. dal trauma Dolore Infiltazione e riposo 10 gg dal trauma Dolore Infiltazione e riposo 90 gg dal trauma RX: Fr. Da stress Tr. Conservativo 160 gg dal trauma RX: ritardo di consolidazione Tr. Conservativo 175 gg dal trauma RX: pseudoartrosi Intervento chirurgico GUARIGIONE z 7 mesi e 20 giorni dall’esordio clinico della malattia • RITARDO DIAGNOSTICO (la diagnosi è certa solo a tre mesi dal trauma) z TRATTAMENTO CONSERVATIVO PROLUNGATO – Furono disattesi percorsi diagnostico - terapeutici condivisi – E trascurati gli interessi dell’atleta Entrambi gli elementi sono emendabili In generale z ogni medico deve sapere che il perdurare di uno stato di malattia rende più problematico il recupero funzionale Nel caso specifico z Chi ha competenze in ambito sportivo deve sapere che le fratture dei sesamoidi, sia acute che da stress, evolvono il più delle volte in pseudoartrosi, vanificando gli effetti del trattamento conservativo (Orava S. 1988) z Il trattamento chirurgico va intrapreso al persistere della sintomatologia dolorosa per evitare l’instaurarsi di un quadro cronico assai invalidante, difficile da risolvere. Caso N° 2 Ovvero: quando viene meno il rapporto di fiducia tra medico e paziente z z F.C. anni 4 : a seguito di caduta accidentale sul palmo della mano a gomito esteso, riporta frattura sovracondiloidea al gomito sx, ingranata, senza spostamento. Nell’immediatezza del trauma, in assenza di deficit vasculo nervosi periferici, il gomito non è deformato ma tumido. z I sanitari del PS confezionano valva di posizione e dispongono il ricovero del bambino, a titolo precauzionale, per controllare le condizioni locali, vascolari e nervose z z Trascorse 24 ore dal trauma, in assenza di complicanze, sulla base delle caratteristiche cliniche e radiografiche della frattura e dell’età del paziente, l’ortopedico decide di optare per un trattamento conservativo, non manipolativo della frattura, rendendo edotta la madre della scelta terapeutica e delle possibili complicanze legate al tipo di frattura. z Seguono due controlli ambulatoriali, clinici e radiografici, dai quali emerge un decorso del tutto normale, privo di complicanze: – la bambina tollera bene l’apparecchio gessato – la frattura non mostra segni di instabilità, risultando l’esame radiografico del tutto sovrapponibile a quello iniziale. z A questo punto inspiegabilmente si interrompe il percorso terapeutico e la bambina non viene più vista. Avrebbe dovuto presentarsi ad un terzo controllo, a 4 settimane dal trauma, per rimuovere l’apparecchio gessato ed eseguire un controllo radiografico per definire l’avvenuta guarigione, ma non si presenta. z z A distanza di 1 anno dal trauma l’ortopedico che aveva in cura la bambina viene chiamato a rispondere del suo operato ritenuto inadeguato, tant’ è che la frattura è esitata in cubito varo con limitazione dell’estensione. Dice il perito di parte: – l’ortopedico avrebbe dovuto manipolare la frattura ed eventualmente ricorrere all’intervento chirurgico stabilizzante. z Premessa – Le fratture sovra condiloidee di gomito, sono lesioni tipiche dell’età pediatrica (80 %) – Si determinano per caduta sul palmo della mano a gomito esteso o flesso. – Possono essere Composte, senza dislocazione dei frammenti z Il trattamento è conservativo z – Scomposte z In passato,( ma ancora oggi) per prevenire la comparsa di temibili complicanze quale la S di Volkmann il trattamento prevedeva l’ imposizione di un lungo periodo di trazione e quindi la manipolazione della frattura e il confezionamento di un toraco barchiale. Sindrome di Volkmann – Scomposte z z Oggi il trattamento è estemporaneo, entro sei ore dal trauma In anestesia generale, con caute e adeguate manovre, si riduce la frattura e la si stabilizza con mezzi di sintesi minimi. z dovendosi imporre un gesso comprendente il braccio, l’avambraccio e il polso, assai più ben tollerato e privo di qualsiasi pericolosità. z Per queste lesioni talora l’esame radiografico non consente una precisa definizione morfologica, soprattutto quando la rima di frattura ha un decorso assai distale e non vi è stata una evidente dislocazione dei frammenti. z Possono coesistere piccole linee di frattura a decorso obliquo, quasi verticale, coinvolgenti la cartilagine di coniugazione tali da fare assumere alla lesione le caratteristiche di un vero e proprio distacco epifisario, lesione a prognosi potenzialmente negativa, capace di dare origine a disturbi asimmetrici dell'accrescimento scheletrico ( cubito varo o valgo) indipendentemente dal tipo di trattamento adottato. z Comunque in questi casi la frattura è di fatto composta e non necessita di essere ulteriormente indagata essendo il trattamento indiscutibilmente conservativo. z Nel caso in oggetto non vi era indicazione nè al trattamento manipolativo, nè tantomeno al trattamento chirurgico stabilizzante. z Ciò che si è venuto a determinare a distanza di tempo è una possibile complicanza prevedibile ma non prevenibile tardiva delle fratture sovraintercondiloidee misconosciute e non è riconducibile alla scelta terapeutica, bensì alle caratteristiche della lesione. Perché la famiglia aveva interrotto inspiegabilmente il rapporto medico-paziente, non presentandosi al controllo programmato? z La mamma era stata testimone diretta di una disputa tra due medici in ambulatorio in occasione del secondo controllo. z Colui che aveva seguito tutto l’iter terapeutico della bambina si era trovato in disaccordo con un collega in relazione al trattamento eseguito, e per quanto “ le cose stavano andando bene”, aveva sostenuto il collega, meglio sarebbe stato se alla bambina fosse stato imposto un toraco brachiale. z Ciò fece scattare nel genitore il sospetto che i medici avessero sbagliato e pertanto si era rivolto ad un altro ortopedico. z Da qui la storia che vi ho raccontato z z Caso n° 3 ovvero: quando a sbagliare e il perito z z B. B a 26: affetto da Grave Piede Piatto Valgo Pronato bilaterale, con associato alluce valgo bilaterale. Su sua richiesta, al fine di migliorare la funzione deambulatoria, si sottopone a trattamento chirurgico correttivo. z Ad essere operato per primo è il piede sx: – osteotomia a mettere del calcagno per la correzione del valgismo calcaneale – plastica dell’articolazione talo scafoidea per il piattismo plantare – riequilibrio funzionale sec Pisani per la correzione dell’alluce valgo. z Dopo 5 mesi viene operato il piede dx. : – osteotomia a mettere del calcagno per la correzione del valgismo calcaneale (cosi come era stato eseguito a sx); – artroplastica sec Keller associata a plastica di rinforzo del tendine del tibiale posteriore e ad osteotomia del primo metatarsale solidarizzata con vite, per la correzione dell’alluce valgo. (tecnica diversa esicuramnente più invasiva rispetto a quella usata a sx) z A 15 mesi dall’inizio del trattamento è rioperato su entrambi i piedi: – A dx per rimozione della vite a suo tempo impiantata, – A sx per eseguire l’osteotomia di addizione del primo metatarsale e la resezione della base della prima falange, (cioè quanto era stato fatto in occasione del secondo intervento a dx ) z z z z A due anni dall’ultimo intervento il paziente cita gli operatori in giudizio. Perché? Da quando è stato operato cammina peggio e con dolore. Dice il perito di parte: – Gli interventi eseguiti sono stati troppi ed erano comunque inadeguati a correggere le deformità. Sarebbe bastato eseguire un unico intervento, l’intervento di GRICE e il tutto si sarebbe risolto con un accettabile risultato. Invece il paziente ha dovuto subire ripetute operazioni senza beneficio, anzi con peggioramento del quadro clinico iniziale,tanto da doversi sottoporre ad un ulteriore intervento. I quesiti posti al CTU z Descriva il CTU le lesioni corporee del ricorrente interessate dagli interventi chirurgici. z Evidenzi le lamentate menomazioni peggiorative presenti, eventualmente riconducibili agli interventi sopra richiamati z Rilevi la presenza di eventuali elementi di responsabilità professionale nell’opera svolta dai Sanitari z Anamnesi: – A due ani dall’intervento il paziente lamenta dolore persistente alle caviglie, comparso dopo gli interventi subiti, che gli impone una deambulazione precaria. – Avrebbe comunque camminato sempre male, in relazione alle deformità dei piedi ma senza dolore – Non riferisce patologie pregresse degne di nota. z Esame obiettivo – – – – – – – – – Rachide sostanzialmente in asse Bacino antiverso con iperlordosi lombare Anche lievemente addotte e intraruotate Ginocchia valghe e intraruotate di lieve entità I piedi mostrano i segni cicatriziali dei pregressi interventi e la loro obbiettività è sostanzialmente sovrapponibile: Nel loro insieme consentono un buon appoggio plantigrado con retropiede funzionalmente in asse con la gamba. Gli alluci sono allineati con i raggi metatarsali e mostrano un certo grado di valgismo, sostanzialmente fisiologico. La marcia si sviluppa irregolarmente in un insieme di tipo atassico spastico La motilità delle anche e delle ginocchia è ridotta, così pure quella della tibio tarsica, della sotto astragalica e della metatarso falangea, bilateralmente. Sulla scorta degli elementi clinico anamnestici, il paziente risulta affetto da: Esiti dolorosi di pregressi interventi chirurgici correttivi per Piede Piatto Valgo Pronato con associato Alluce valgo bilaterale, di natura Neurologica. z z z Premessa – Le deformità scheletriche di natura neurologica sono al contempo espressione morfologica del danno neuromotorio e compenso funzionale della neuropatia stessa, e peggiorano nel tempo di pari passo alla evoluzione della neuropatia. – Le disabilità motorie indotte da questo tipo di deformità, non sempre risultano quantificabili, nel senso che non è possibile differenziare quella percentuale di disabilità che risulta essere legata alla deformità, da quella prodotta dalla neuropatia. – Il chirurgo che intenda correggere la deformità che sottende ad una neuropatia motoria in età adulta, deve tenere conto della eventualità che l’atto correttivo possa alterare i compensi funzionali che il paziente nel tempo ha sviluppato, risultando tale pregiudizio talora assai vincolante, imponendosi, nei casi estremi, per il bene del paziente, l’astensione da qualsivoglia gesto correttivo. Per migliorare il disturbo deambulatorio, il primo obiettivo è il ripristino di una morfologia podalica il più vicino possibile alla norma. La stretta correlazione tra neuropatia e deformità non assicura comunque un risultato stabile nel tempo, a meno che non si esegua una artrodesi, un intervento intrinsicamente radicale, che abolisce in maniera definitiva e irreversibile la funzione articolare, ma che impedisce al paziente neuroleso, l’acquisizione graduale di nuovi compensi funzionali TALE OBIETTIVO DEVE ESSERE RAGGIUNTO PER GRADI, EVITANDO L’ESECUZIONE DI GESTI CAPACI DI PRECLUDERE ULTERIORI INTERVENTI. z Deduzioni – La strategia chirurgia adottata è conforme al razionale che sottende alla chirurgia delle deformità neurologiche in età adulta. – L’insieme degli interventi eseguiti sono l’espressione di reale difficoltà ad operare le deformità neurologiche – Le tecniche adottate, hanno mostrato di essere adeguate alle finalità dell’intervento, anche perché z z improntate alla massima cautela (avrebbero consentito al paziente la possibilità di porre in essere gli aggiustamenti funzionali secondari al nuovo riassetto morfologico) non inreversibilmente definitive ( in caso di recidiva o di aggravamento del quadro clinico neurologico il paziente può essere ancora sottoposto a triplice artrodesi, ultima ratio a cui affidarsi nella speranza di risolvere le problematiche cliniche emergenti). La correzione della sola deformità retropodalica, con l’intervento di Grice ipotizzato da CT di parte ricorrente risulta invece improponibile trovando tale scelta operatoria indicazione ad essere eseguita esclusivamente in età infanto giovanile, tra i 4 e gli 8 anni. Dall’EMC: “ L'opération de Grice c'est une arthrodèse extra-articulaire de la sousastragalienne que l'on peut taire chez le j'eune enfant (de 4 a 8 ans) sans retentissement sur la croissance de l'arrière-pied. Elle est surtout indiquée dans le maintien du pied valgus réductible (paralytique, spastique ou mème statique). – In età infanto giovanile infatti l’avampiede potrebbe modificare ancora spontaneamente il suo assetto in funzione della correzione del retropiede, grazie ai modificazioni morfologiche che il piede in toto, ancora in evoluzione, potrebbe porre in essere – In età adulta tali modificazioni non sono ottenibili perché il piede ha raggiunto la sua definitiva morfologia, sia essa normale o patologica. z I disturbi lamentati dal paziente (rigidità delle metatarso falangea e delle tibio tarsiche) non sono da considerare menomazioni peggiorative indotte da un intervento male eseguito o inadeguato, ma sono l’espressione clinica di due diversi fattori: – la rigidità delle metatarso falangea, sono conseguenza del gesto chirurgico eseguito a tale livello e come tale espressione del risultato clinico ricercato con l’intervento stesso; – la rigidità delle tibio tarsiche e la sintomatologia dolorosa si correlano invece al deterioramento naturale, inevitabile delle strutture anatomiche coinvolte nell’ambito del quadro malformativo sostenuto dalla neuropatia. z Afferma il perito di parte alla pagina 9 , rigo 13 della sua relazione, a proposito dei disturbi lamentati dal paziente: “ ….. comunque sarebbero residuati anche se il paziente fosse stato trattato correttamente”. z Caso N°4 Ovvero: quando il rischio è elevato, ma a sbagliare è l’avvocato z T.O., a. 70. portatore di malattia di Dupuytren alla mano sinistra di grado 3 sec. Islen con prevalente coinvolgimento del 4° dito, accetta di essere sottoposto ad intervento correttivo finalizzato alla estensione del 4° dito, per migliorare la funzionalità della mano. z Le tappe del percorso terapeutico imboccato dal paziente sono così riassumibili: – Intervento chirurgico di aponevrectomia palmare e digitale con plastica a zete multiple della cute digitale. – In terza giornata inizia FKT (mobilizzazione attiva) – In quarta giornata viene seguita la medicazione a piatto della mano e prosegue la mobilizzazione attiva della mano – In diciottesima giornata sono rimossi punti di sutura. – A 44 giorni dall’intervento esegue controllo ambulatoriale, che pone in evidenza la rigidità in flessione del 4° dito (cioè del dito operato) e del 3°, non coinvolto nell'intervento. – Viene richiesta consulenza fisiastrica, prontamente eseguita e il giorno successivo il paziente è avviato al trattamento riabilitativo. – A quasi tre mesi dall'interevento il paziente esegue un nuovo controllo ambulatoriale: persiste la deformità in flessione del 3° e del 4° dito, ed è comparsa cicatrice retraente, che induce il curante a consigliare un secondo intervento chirurgico, plastica della cicatrice, che viene eseguito da un secondo operatore. – A questo punto il paziente interrompe il rapporto con il medico che fino a quel momento lo aveva avuto in cura.e si rivolge ad un altro ortopedico che lo riopera: z z una prima volta a distanza di cinque mesi dall’ultimo intervento (terzo intervento) una seconda volta a distanza di 13 mesi (quarto intervento). Riassumendo: 4 interventi chirurgici eseguiti da tre diversi operatori. z z Alla fine del travagliato percorso diagnostico terapeutico il paziente lamenta rigidità del terzo, quarto e quinto dito della mano sinistra e un deficit complessivo della funzionalità della mano che non gli consente più di eseguire le sue normali occupazioni. z z Il paziente cita in sede penale il primo e il secondo operatore. Quesito z “Dicano i periti se l’intervento chirurgico (il secondo in ordine di tempo) sia da collegarsi causalmente all’intervento chirurgico eseguito in precedenza in base alla miglior scienza ed esperienza medica e chirurgica, ossia se il predetto intervento sia stato effettuato a causa di un’errata esecuzione dell’intervento precedente. In altre parole se l’intervento effettuato(il primo) sia stato eseguito secondo le migliori regolare chirurgiche e mediche ed, in caso negativo se il corretto intervento avrebbe evitato il reintervento e il prolungamento dell’iter clinico con elevato grado di probabilità logico razionale, secondo la miglior scienza ed esperienza medico-chirurgica. z z z z z z All’esame obbiettivo si evidenzino due cicatrici: una in regione palmare a decorso longitudinale che dalla piega del polso si estende sino allo spazio interdigitale del terzo raggio; e un’altra in corrispondenza della plica flessoria della mano. Il primo dito, non mostra alterazioni anatomo-funzionali. Il Secondo e Il Terzo dito: mostrano in maniera sovrapponibile un deficit flessorio di 15° a carico delle interfalangee e delle le metacarpo-falangee; l’estensione è completa; Il Quarto dito è rigido e deformato a collo di cigno inverso, iperesteso sull’IFP e leggermente flesso sulla IFD, mentre la metacarpo-falangea, mobile in flessione (a 90°), mostra un deficit estensorio di 30°. Il Quinto dito è rigido in corrispondenza dell’IFP ed IFD , mentre è mobile la Metacarpo Falangea Nel suo insieme la funzionalità della mano è gravemente compromessa e la chiusura a pugno avviene a grande arco del III° IV° e V° dito. Premessa – La malattia di Dupuytren, o fibromatosi palmare, è una lesione fibroproliferativa cronica e progressiva della aponeurosi palmare superficiale clinicamente espressa con la flessione di uno o più dita della mano. – La malattia coinvolge anche la cute (scomparsa delle papille dermiche, fibrosi del chorion, intrappolamento dei vasi, delle ghiandole sudoripare e delle terminazioni nervose) che può andare incontro ad una vera e propria retrazione patologica con riduzione dell'estensione del mantello cutaneo,risultando, essa stessa, causa oltre che conseguenza della malattia (J.Glicenstain et C.Leclercq). – L’etiologia della malattia è sconosciuta, mentre sono ben noti i suoi tratti anatomo clinici e ben definite le linee terapeutiche da adottare. – La chirurgia costituisce l'unico trattamento efficace nella malattia di Dupuytren. – Obiettivo della chirurgia è restituire funzione alla mano e non curare la malattia, che può recidivare. – Il chirurgo deve rivolgere la sua attenzione alla limitazione funzionale in quel paziente, per cui nessun caso è uguale all'altro, ma ognuno dovrà essere valutato singolarmente – I criteri principali nel determinare la necessità di sottoporsi all'intervento sono: z z z z z l'età del paziente, la presenza di eventuali condizioni morbose, il grado di fastidio e l'invalidità personale, le aspettative del paziente, la volontà del paziente ad eseguire un programma di riabilitazione post-chirurgica. z Deduzioni – 1° Il primo 'intervento e tutto il percorso terapeutico che ne è seguito, è da considerarsi corretto, cioè eseguito secondo le migliori regole chirurgiche e mediche. Infatti: z z z z la tecnica chirurgica adottata (Aponevrectomia palmare e digitale estesa al 4° dito), la sutura della cute (eseguita dopo incisioni a Z della cute digitale), la medicazione della ferita chirurgica ( a Piatto), il trattamento post operatorio immediato (mobilizzazione attiva, intrapresa fin dalla 3^ giornata), sono perfettamente adeguati a quanto la letteratura riferisce in proposito. – 2° E' da ritenersi che chi ha eseguito il reintervento sia stato chiamato a porre rimedico ad una complicanza tipica della Malattia di Dupuytren, la formazione di una cicatrice retraente insorta in un contesto clinico di recidiva Della malattia. e non ad una cattiva esecuzione del primo intervento, Infatti: z z a- La malattia di Dupuytren coinvolge anche la cute, b- La rigidità in flessione si era estesa anche al terzo dito che in alcun modo era stato coinvolto nell'intervento precedente. I medici furono ritenuti assolutamente non colpevoli. z Al paziente è rimasta una mano inservibile. z z Caso N° 5: ovvero quando le cose non possono che essere complesse. z B:F.donna di anni 79. – A seguito di caduta accidentale riporta frattura scomposta dell’epifisi prossimale dell’omero destro. – Viene prontamente ricoverata in un reparto ortopedico e il giorno successivo esegue Tac spalla: frattura pluriframmentata della testa omerale di destra con sublussazione della stessa ed interessamento del trochite e dell’estremo prossimale della diafisi. – Lo stesso giorno viene sottoposta ad intervento chirurgico di asportazione dei frammenti e applicazione di endoprotesi omerale L’intervento ed il decorso postoperatorio risultano privi di complicazioni e l’esame radiografico di controllo, effettuato subito dopo l’intervento evidenzia il corretto posizionamento dell’endoprotesi A 10 giorni dall’intervento inizia FKT. z A due settimane dal trauma viene dimessa con la prescrizione di indossare tutore in abduzione per altri 30 giorni e di effettuare la mobilizzazione passiva ed assistita dell’arto. z z z z A un mese dalle dimissioni esegue la prima visita di controllo ambulatoriale, e dopo esecuzione di esame radiografico, si riscontra la lussazione anteriore sottoglenoidea della testa omerale protesizzata. E’ ricoverata d’urgenza, e il giorno successivo viene sottoposta ad intervento di sostituzione della testa protesica con altra di maggior diametro. 4 giorni dopo è dimessa con tutore in abduzione da portare per altri 25 giorni e prescrizione di effettuare la mobilizzazione passiva dell’arto. Al controllo successivo la protesi risulta nuovamente lussata. Ricoverata viene sottoposta, il giorno dopo a riduzione incruenta della lussazione in sedazione e viene applicata ortesi toraco-brachiale in abduzione. Dovrà eseguire esame elettromiografico dell’arto superiore destro per valutazione neuromotoria dell’emicingolo scapolare destro e tornare in ambulatorio a distanza di 30 giorni. z Al successivo controllo si evidenziava ancora la lussazione inferiore della testa omerale protesica. Nuovamente ricoverata, viene effettuata l’elettromiografia che evidenzia i segni di una denervazione parziale al muscolo deltoide destro conseguente ad interessamento del nervo circonflesso e quindi è sottoposta ad intervento chirurgico di rimozione definitiva della protesi e affidata ai Fisiatri. z A due anni dal trauma gli operatori sono chiamati a rispondere del loro operato. z Contestazione: – 1° La frattura andava trattata in maniera conservativa o con una sintesi interna. – 2° L’ impianto protesico andava differito a fronte di un insuccesso del trattamento conservativo e di sintesi. – 3° La cattiva esecuzione dell’intervento ha prodotto la paralisi del nervo circonflesso e quindi la lussabbilità della protesi. z Le fratture pluriframmentarie sono certamente le lesioni più gravi dell’estremo prossimale dell’omero: – alterano in maniera irreversibile la congruità della articolazione gleno omerale – presentano la più elevata probabilità di interrompere gran parte dell’apporto ematico alla porzione prossimale dell’omero (ovvero, il ramo anteriore dell’arteria circonflessa omerale anteriore) con conseguente osteonecrosi. Queste lesioni dopo valutazione radiografica e TC possono essere trattate in maniera incruenta o cruenta a cielo chiuso o a cielo aperto, con sintesi interna o con un impianto protesico. z z La scelta del trattamento è guidata: – dallo schema di frattura – dall’età del paziente – dalla comorbilità – dalla qualità ossea Il trattamento incruento, conservativo, è da riservare a pazienti non in grado di affrontare un intervento per motivi medici (condizioni patologiche concomitanti a carico del sistema cardiaco, polmonare, renale o altro). z Il trattamento cruento trova indicazione in tutti gli altri casi z z Schematicamente: – L’osteosintesi a cielo chiuso è indicato per le fratture a un uno o due frammenti – L’osteosintesi a cielo aperto è proponibile per le fratture a tre frammenti, nei pazienti relativamente più “giovani” – La sostituzione protesica va riservata alle fratture a quattro o più frammenti, nei pazienti più “anziani” con intrinseca deficienza della struttura ossea , nei quali l’osteosintesi andrebbe incontro a fallimento per l’elevato rischio di perdita di riduzione o per necrosi avascolare della testa dell’omero. L’ impianto protesico nelle fratture acute a più frammenti, deve essere eseguito il più precocemente possibile: z – per non incorrere negli esiti di tali fratture – per essere la ricostruzione tardiva, dettata da viziosa consolidazione, tecnicamente molto impegnativa e gravata da retrazioni capsulari, ligamentose, tendinee e da contrattura dei tessuti molli, elementi in grado di compromettere un miglioramento della motilità. – per ridurre la percentuale di complicanze. z La tecnica d’impianto risulta particolarmente difficoltosa e necessita l’acquisizione da parte dell’operatore di una esperienza specifica z Tra le possibili complicanze secondarie all’impianto di una protesi di spalla vano ricordate: – La lussazione della protesi. z z a favorirla, le modificazioni parafisiologiche della spalla tipiche dell’età senile (lassità capsulare, retrazioni ligamentose, degenerazione o possibile rottura postraumatica della cuffia dei rotatori, eventuale conflitto coraco-acromiale) a cui si pone rimedico impiantando una componente cefalica di maggior diametro e/o il venir meno dell’indispensabile funzione di stabilizzazione della meccanica articolare del muscolo deltoide, a cui però non si può porre rimedio. – Infezione – Danni neurologici z Deduzioni – Sulla scorta dei dati della letteratura nel caso in esame, in una paziente anziana con frattura pluriframmentaria della testa omerale, l’artroprotesi sostitutiva primaria rappresentava il trattamento di elezione – Non vi erano le indicazioni per un trattamento chirurgico conservativo o di sintesi ne tanto meno ad un impianto protesico differito. In riferimento alla presunta cattiva esecuzione dell’intervento da cui sarebbe derivata la lesione del nervo circonflesso e quindi la lussazione ripetuta della protesi e la sua rimozione parziale, va detto che: z – L’EMG registrava una attività a riposo spontanea di denervazione del muscolo deltoide di tipo acuto – L’EMG non consentiva di ricondurre tale lesione, ad un preciso periodo temporale. – La lesione del nervo circonflesso, può essere avvenuta al momento del trauma – Gli stessi frammenti ossei prodottisi in seguito alla frattura possono essere stati i responsabili, ed essere la lesione nervosa non rilevabile per l’ oggettiva difficoltà a valutare la funzionalità del muscolo deltoide in un contesto traumatico e per non aver potuto fornire alcuna indicazione l’EMG stessa, anche se fosse stata eseguita nell’immediatezza del trauma, dato che si positivizza dopo almeno tre settimane dalla lesione nervosa. Le lesioni nervose, rappresentano comunque una delle possibili complicanze che possono realizzarsi in interventi consimili. z – La spalla, si presenta tumefatta, edematosa, ed il campo operatorio diventa di difficile gestione per la presenza di ematomi, di infarcimenti emorragici dei tessuti molli, di eventuali lacerazioni ligamentose, tendinee e muscolari che rendono più laboriosa l’esposizione del focolaio di frattura ed il reperimento dei normali punti di riferimento anatomici. – La rimozione dei frammenti può risultare complessa e costringere l’operatore ad eseguire una delicata manovra di retrazione e rotazione dell’arto che può danneggiare il fascio neurovascolare viciniore Con l’accesso chirurgico effettuato (via deltoideo pettorale) è tecnicamente impossibile provocare la lesione diretta del nervo circonflesso La lesione nervosa quindi può risultare una complicanza prevedibile ma non prevenibile, ancorché non necessariamente legata ad errore tecnico dell’operatore, al quale, considerata le condizioni generali della paziente e della spalla, stabile e non dolorosa, non restava altro che rimuovere non tanto l’intera protesi ma la componente modulare “testa”, lasciando aperta la strada alla possibilità di convertire, in futuro, la protesi parziale in protesi totale applicando la componente protesica sulla glenoide. z z Caso N° 6: quando le cose da complesse diventano semplice e così non sbaglia nessuno. z Padova, 1980. G.T. a 45, Maschio. Professionista di successo. Sano. Fuma. Beve solo nel fine settimana, “Social Drink”. A tutto sa rinunciare tranne che alla partitina di Tennis, la domenica mattina: lo aiuta e sentirsi in forma e a smaltire i bagordi del sabato sera. z E’ uno “sportivo della domenica”, cioè il prototipo di chi è destinato, per una pratica sportiva saltuaria, tanto temeraria quanto incongrua, a rompersi il tendine di Achille. z Cosa che puntualmente si verifica ,un bel giorno, in pieno benessere, mentre sta vincendo, la sua partitina a tennis. Mòsender H., Klatnek N.-Neue nahttechnick der subkutanen Achillessehnen ruptur. Arch. Orthop. Unfall Chirg. 67: 1-8. 1969 •Jòzsa L., Kvist M – A clinical, pathoanatomical and sociological study of 292 cases. Am. J. Sports Med., 17: 338-343. 1989 z z Corsa disperata in ospedale, ancora in tenuta sportiva, coda infinita in PS, visita specialistica e finalmente la sentenza: Rottura sottocutanea del tendine di Achille. z “Se vuole riprendere a giocare”, dice l’ortopedico “deve operarsi ! “ z Accetta e il giorno dopo è già sul tavolo operatorio. Il chirurgo eseguirà una Plastica sec. Silversckiold, una delle tecniche più diffuse e sperimentate in quegli anni. z z Prevede una ampia e sinuosa incisione cutanea che dal centro della sura si porta fino alla regione calcaneale. Sutura termino terminale z Ribaltamento di un lembo di aponeurosi surale fino alla tuberosità calcaneale, a riforzo della sutura z z z z z z z z z All’intervento farà seguito l’imposizione di una ginocchiera gessata con il piede in equinismo L’intervento è perfettamente riuscito Il decorso post operatorio è privo di complicanze. Il paziente viene dimesso dopo sette giorni. Non dovrà caricare e per spostarsi potrà usare le stampelle. Porterà il gesso per 6 settimane. Poi si passerà a un gambaletto che dovrà portare per altre 4 settimane: gli lascerà libero il ginocchio e potrà caricare sull’arto operato, aiutandosi con le stampelle. Infine raggiungerà la guarigione e potrà riprendere le normali occupazioni a 3 mesi dall’intervento, e con cautela, anche l’attività sportiva. z Salvo complicazioni! “Dimenticavo “ dice il medico curante inseguendolo per i corridoi: “dovrà assumere questo farmaco fino a quando porterà il gesso. Mi raccomando” Ciliegina sulla torta!!! z Frastornato, rientra a casa, riprende in mano il foglio del consenso informato e va a rileggere le possibili complicanze cui può andare incontro G.Pavanini, G.Pavanini, A.Cescati, A.Cescati, C.Gigante, C.Gigante, Chir. Del Piede, 1986, 10; 293293-302 1960 – 1985: paz. operati 94; rivisti 57; F-up: 1-24 aa z z z z z z z z z Complicanze Ematomi sottocutanei Deiscenze della ferita Sepsi Recidive Cicatrice inestetiche Aderenze del tendine Aumento di volume del tendine Conflitto con la calzatura Aree di anestesia % 4,2 3,15 2,10 1,05 14,0 8,8 93,0 1,75 3,5 Flebotrombosi profonda Embolia Morte z z Disperato si mette nelle mani di Dio e aspetta che gli eventi lo travolgano. Fa anche un voto: zSe guarisce non giocherà più a tennis! Era il prezzo che si doveva pagare per ottenere una buona guarigione. Il frutto di un dibattito serrato che per anni aveva visto contrapposti i sostenitori del trattamento conservativo ai fautori del trattamento chirurgico. Conservativo Gillies et al. Lea e Smith Nistor Rinonapoli et al. Richter et al. Cetti Wallace et al (1970) (1972) (1981) (1985) (1994) (1993) (2004) Chirurgico Arner et al. (1959) Inglis (1976) Jacobs (1978) Beskin (1987) Wong J et al (2002) A favore del trattamento conservativo: z Sono risultati soddisfacenti del tutto sovrapponibili a quelli ottenuti con la chirurgia,in assenza di complicanze, A favore del trattamento chirurgico: z minore incidenza di ri-rotture,(2-3% versus 10-30%), z maggior potenza muscolare z Molte più probabilità di riprendere gli stili di vita antecedenti alla lesione. – Apparecchio gessato per 60- 80 giorni e un lungo periodo di riabilitazione senza la certezza di guarire. – o sutura chirurgica e quindi buone probabilità di riacquistare la funzionalità del piede, anche a costo di accollarsi qualche rischio in più ? Oggi la maggioranza degli ortopedici preferisce il trattamento chirurgico al trattamento conservativo, perchè l’unico in grado di: z Ricostruire la lunghezza del tendine z Consentire l’affrontamento dei monconi z Garantire una cicatrizzazione solida, capace di permettere la ripresa delle attività normali e sportive. z La vittoria del “fare” sull’ ”astenersi” sostenuta da innovazioni scientifiche e tecnologiche ma che inevitabilmente conducono alla complessità e quindi all’aumento del rischio. z Quanti di noi averebbero sostenuto le ragioni di chi avrebbe imposto al nostro giovane professionista un trattamento conservativo per la RSTA? z Quanto di noi se la sentirebbe di considerare emendabile la condotta di un ortopedico finalizzata alla ricostruzione del tendine di achille, sol perché all’intervento ha fatto seguito una cicatrice inestetica o aderenze tendinee, o la flebotrombiosi profonda ? z Quante sono le controversie medico legali che questa scelta terapeutica ha prodotto? z Indipendentemente dalle responsabilità, resta un problema irrisolto: le complicanze della chirurgia aperta nella terapia del RSTA sono elevate. L’incisione cutanea è a rischio di necrosi e quindi di deiscenze e infezioni; z La sutura cutanea può produrre cicatrici anelastiche e inestetiche da cui traggono origine conflitti con la calzatura z L’immobilizzazione prolungata espone al rischio di TVP ed ritarda il recupero funzionale. z z Come contenere le complicanze della chirurgia incisionale e della immobilizzazione post operatoria nella terapia delle RSTA? CHIRURGIA APERTA VERSUS PERCUTANEA z Un dibattito che si è aperto qualche anno fa e che oggi sembra abbia dato dei risultati concreti, grazie alle recentissime acquisizioni in tema di riparazione tendinea e alla concreta possibilità di disporre di biomateriali capaci di sostituirsi all’apparecchio gessato. z Un tendine per ben guarire deve risultare: – ben irrorato – e adeguatamente stimolato risultando presupposto fondamentale, per la guarigione – l’ integrità del paratenonio, l’unica struttura in grado di garantire la necessaria vascolarizzazione per l’avvio e lo svolgersi del normale processo di cicatrizzazione – e la rapida ripresa dell’attività funzionale In altre parole per avere una metodica terapeutica efficace, affrancata dalle complicanze della chirurgia incisionale e della immobilizzazione gessata, non si deve aprire il focolaio lesionale e si deve disporre di un materiale di sintesi tenace e resistente, in grado di sostituirsi all’apparecchio gessato. z E cosi è. Oggi è possibile riparare un tendine di achille con tecniche mini invasive e porre in essere procedure fortemente esemplificate, prive di complicanze. La sutura per cutanea di Ma e Griffit, Elimina completamente l’incisione cutanea, ma impone l’utilizzo della immobilizzazione gessata z Sutura percutanea con Tenolig Aprile 2006 z Riepilogando: – – – – Percorsi diagnostici condivi Rapporto medico-paziente Rapporto medico- collega Comportamenti professionali di chi è chiamato a sostenere le ragioni nelle dispute – Esemplificazione delle procedure z Si può fare ancora dell’ altro ? z Separare la Traumatologia dalla Ortopedia, se non proprio per renderle due diverse specialità, affinché non condividano gli stessi spazi operativi e che siano gestite da personale diverso e dedicato. z Dare dignità specialistica a quelle che oggi vengono definite sub specialità. – L’ ortopedia pediatrica sarebbe già pronta e così pure quella geriatrica. z Creare apicalità con specifiche competenze, restringendo le maglie larghe del reclutamento, con forti sottolineature dei profili professionali che si intendono ricoprire, finalizzandoli a una pianificazione e programmazione attenta dell’assistenza saniaria in quel determinato territorio. z Organizzare nella loro interezza i reparti tenendo conto delle specificità assistenziali. CONCLUSIONI z z z L’INTERVENTO CHIRURGICO EFFETTUATO IL ……. È IN RAPPORTO CAUSALE CON L’INTERVENTO CHIRURGICO ESEGUITO SUCCESSIVAMENTE IL PRIMO INTERVENTO ESEGUITO IL …………..È STATO ESEGUITO SECONDO LE MIGLIORI REGOLE CHIRURGICHE. IL SECONDO INTERVENTO CHIRURGICO SI È RESO NECESSARIO PER CONTRASTARE UNA COMPLICANZA PREVEDIBILE MA NON PREVENIBILE, CORRELATA ALLA PATOLOGIA ( M. DI DUPUYTREN) DA CUI ERA AFFETTO IL PAZIENTE PER LA QUALE SI ERA RESO NECESSARIO IL PRECEDENTE ATTO OPERATORIO. zConclusione z z z z z In base al tipo di frattura riportato dalla paziente , corretta fu la scelta terapeutica di intervento di artroplastica protesica primaria; L’intervento venne correttamente eseguito in acuto, il giorno successivo al trauma, in una situazione di urgenza traumatologica. Corretta fu anche la scelta di effettuare un intervento di revisione con sostituzione della testa protesica nel tentativo di risolvere l’instabilità di spalla; La lussazione della spalla protesizzata e la lesione del nervo circonflesso sono complicanze piuttosto frequenti che si manifestano in seguito al trattamento protesico di fratture pluriframmentarie acute. Si tratta di complicanze prevedibili ma non prevenibili e non necessariamente legate ad errori tecnici dell’operatore; A seguito del riscontro all’EMG di denervazione del muscolo deltoide, principale causa dell’instabilità articolare della spalla, corretta fu la scelta di eseguire l’intervento di rimozione dell’artroprotesi, indicato in questi casi per la risoluzione del dolore vista l’impossibilità, a causa del danno nervoso e muscolare, di migliorare la funzione dell’articolazione. z Premessa – Le fratture dell’omero prossimale rappresentano dal 4 al 7% di tutte le fratture e sono relativamente frequenti soprattutto nell’anziano in relazione all’aumentare dell’età della popolazione ed alla osteoporosi. – Il 75% circa di queste fratture si verifica in persone con più di 50 anni e le donne sono interessate in rapporto 3 a 1. – Il meccanismo di danno di riscontro più comune è la semplice caduta sulla mano estesa o direttamente sulla spalla. – Circa l’85% delle fratture dell’estremo prossimale dell’omero sono minimamente scomposte e si possono efficacemente trattare in maniera incruenta. – Il restante 15 % comprende le fratture scomposte a uno o più frammenti: il frammento articolare, la grande tuberosità che può essere fratturata a sua volta in numerosi frammenti, la piccola tuberosità, la diafisi prossimale dell’omero – Un’ via di accesso (la deltoideo-pettorale) ampia, che partendo al di sotto della clavicola si estenda in direzione dell’inserzione omerale del deltoide, in maniera da evitare il distacco dell’origine del deltoide, che viene preservato, e consentire una adeguata esposizione dell’omero. – l’identificazione e l’isolamento delle due tuberosità o di quanto resta a seguito della frattura. – l’asportazione della testa omerale insieme ai frammenti ossei più piccoli. – la valutazione dell’integrità della cuffia dei rotatori e dell’inserzione dei suoi tendini nelle tuberosità. – l’esposizione e la regolarizzazione dell’estremo prossimale della diafisi omerale per effettuare l’impianto dello stelo protesico. – il posizionamento della protesi (testa e stelo con impianto press-fit); – la sintesi delle tuberosità, quando risulti possibile)per mezzo dei fili transossei. – l’immobilizzazione dell’arto in abduzione (a 30-45°) per le prime 4-5 settimane, finché il processo alla consolidazione delle tuberosità non appare in fase avanzata.
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