Il rischio clinico in Ortopedia

Transcript

Il rischio clinico in Ortopedia
G. TAGLIALAVORO
Il rischio clinico in Ortopedia
Università degli Studi di Padova
Clinica Ortopedica
Direttore: R. Aldegheri
Lentiai 1910 : visita domiciliare
Si definisce rischio clinico l’eventualità per un
paziente di subire un danno come conseguenza
di un errore.
z Si definisce errore l’incapacità di completare
un’azione pianificata; oppure l’adozione di
procedure non adatte allo scopo.
z
– Gli errori possono dipendere da due aree di
inefficienza:
La pianificazione dell’attività
z L’esecuzione delle attività
z
z
I luoghi a maggior rischio sono
–
–
–
–
z
le sale operatorie (32%),
i reparti di degenza (28%),
i dipartimenti d'urgenza (22%)
gli ambulatorii (18%).
Le quattro specializzazioni più a rischio sono
–
–
–
–
ortopedia e traumatologia (16,5%),
oncologia (13%),
ostetricia e ginecologia (10,8%)
chirurgia generale (10,6%).
z
La sala operatoria ortopedica è di fatto il luogo
più a rischio in assoluto.
z Perché?
z
1° L’ortopedico oggi di fatto è un tuttologo
– Per legge è chirurgo della spalla, della mano, dell’anca, del
ginocchio e del piede, nonchè del rachide e dello scheletro
appendicolare
– Il suo campo di azione si estende dall’età neonatale e
pediatrica , a quella geriatrica, passando per l’età adulta, e
il tutto va moltiplicato per due perché per legge è anche un
traumatologo.
– Deve inoltre saper manipolare lo scheletro e confezionare
apparecchi gessati, essere un artroscopista , sapere eseguire
interventi a cielo chiuso e a cielo aperto.
Per fortuna nella realtà clinica di ogni giorno
l’ortopedico non fa tutto questo, ma la legge
attuale gli riconosce queste competenze e le
pretende nel momento in cui agisce
professionalmente, in assenza però di scuole
specifiche in cui istituzionalmente ci si prepara
e di realtà assistenziali adeguatamente
organizzate.
z
Complessità?
Molto di più:
CAOS
z
z
z
z
Un esempio per tutti:
Oggi sono poche le realtà assistenziali in Italia in cui vi sia una
netta separazione tra i percorsi imboccati dal paziente
traumatico, da quelli imboccati dal cosiddetto paziente di
elezione.
Qualsiasi tentativo di razionalizzare la coesistenza di questi
due momenti assistenziali, si traduce prima o poi nel prevalere
della traumatologia sulla ortopedia, e da questa interferenza
nascono ritardi nella esecuzione di interventi programmati,
interventi cancellati, riprogrammati più volte e mai eseguiti,
scambi di persona, ansia nel dovere far presto e veloce perché
deve entrare in sala un traumatizzato, arti sani operati al posto
di quelli ammalati, scambi di strumentario, mancanza di ferri
sterili, scambio di operatori, e quant’altro può succedere ogni
qualvolta la pianificazione dell’attività risulti sconvolta da un
evento imprevisto, quale è la traumatologia nel suo insieme.
2° L’Ortopedia e la Traumatologia nella sua
specificità mostra di essere l’unica specialità che pur
non rivestendo caratteristiche terapeutiche con finalità
estetiche viene percepita come tale nel risultato
atteso, ancor più perché ciò che facciamo si vede e
inesorabilmente resta documentato dall’esame
radiografico
3° Ciò che oggi facciamo è è il frutto di una rapida
quanto intensa tecnicizzazione della nostra
professione, che nel giro di pochi anni, l’ha portata
dalla “Calma e gesso” al navigatore computerizzato
tridimensionale intraoperatorio.
Vero è che lo sviluppo tecnologico e
scientifico, in ambito ortopedico, sono riusciti
ad ottenere nella stragrande percentuale dei
casi un miglioramento della qualità dei
risultati, ma hanno reso anche molto più
complesse le procedure, non sempre poste
sotto il diretto controllo del medico, e la dove
vi è complessità, maggiore è il rischio di
sbagliare.
z
z
4° L’ortopedia e la traumatologia intervengono
sull’apparto locomotore e ciò ha risvolti funzionali
talora invalidanti, che producono diminuzione
dell’integrità fisica ovvero della capacità lavorativa, e
ciò, comunque, aumenta la conflittualità medico
legale.
Si sbaglia dunque per diversi motivi e a sbagliare si può
essere in tanti ma ad essere chiamati in causa siamo
sempre noi:
i primi della classifica.
z Caso
n° 1
Ovvero: quando i percorsi
diagnostico-terapeutici non sono
condivisi
Il Fatto
z
z
z
z
Durante una gara, a seguito di un impatto con il
terreno di gioco, un calciatore professionista inizia ad
accusare dolore in corrispondenza della MF1 dx.
A distanza di pochi giorni, pur essendo rimasto a
riposo, per il persistere della sintomatologia dolorosa,
la società calcistica affida il suo campione a un
importante ospedale del nord Italia.
Senza alcun accertamento preliminare il giocatore
viene sottoposto a terapia infiltrativa locale
(anestetico associato a cortisone) e non viene più
convocato.
A tre mesi dall’esordio della sintomatologia,
persistendo invariato il quadro clinico, il
professionista finalmente viene sottoposto ad
accertamento radiografico.
A 3 mesi dal trauma
SX
DX
Frattura da stress
Provvedimenti terapeutici
Ê
Ê
Ê
Ê
Ê
Ê
Riposo assoluto dall’attività agonistica
Tutore con scarico sull’avampiede
Campi elettromagnetici pulsati
Nuoto,
Cyclette
FANS al bisogno
A 160 gg dal trauma viene eseguita una nuova
radiografia:
Ritardo di consolidazione
Provvedimenti terapeutici
Ê
Ê
Ê
Riposo dall’attività agonistica
Plantare
Litotritore (due sedute a
distanza di una settimana l’una
dall’altra).
15gg dopo viene eseguito un nuovo esame
radiografico, e la diagnosi radiografica risulta essere
PSEUDOARTROSI
Persistendo invariata la sintomatologia dolorosa a 175
gg. dal trauma è consigliato intervento chirurgico
ASPORTAZIONE DEL PICCOLO
FRAMMENTO LATERALE
DEL SESAMOIDE MEDIALE
A 2 mesi dall’intervento il paziente è
giudicato clinicamente guarito e in grado di
riprendere gli allenamenti e le gare.
Colpo di scena
zLa
società calcistica, ritiene di potere risolvere il
contratto che lo lega al professionista per non essere, egli,
riuscito a gareggiare, per motivi di salute, in maniera
continuativa, per più di sei mesi (Art. 19 accordo collettivo
per la disciplina dei rapporti tra le società facenti parte
degli Enti federali organizzativi dell'attività professionale
ed i calciatori professionisti.)
Contro colpo di scena
Il Brillante professionista rimanda alla società la
responsabilità della sua prolungata assenza dai campi di
calcio, essendosi egli affidato per le cure, in tutto e per
tutto, al medico della società, e, quindi….. si finisce in
TRIBUNALE
La frattura dei sesamoidi dell’alluce
è una lesione rara,
ma non negli sportivi
z Acuta (evenienza rara)
Ê Da
stress ( microtraumi ripetuti)
Frattura Acuta
Ê
Trauma diretto,
(schiacciamento)
Ê
Trauma indiretto
(avulsione)
Ê
Azione combinata
Quadro clinico
z
z
z
z
tumefazione locale
ecchimosi (più o meno
evidente)
vivo dolore localizzato sulla
superficie volare della I
MTF
impotenza funzionale
Frattura da stress
Quadro clinico
Ê
Ê
Ê
Ê
Esordio insidioso
Dolore incostante, più o
meno intenso dopo
attività
Limitazione funzionale
tanto più accentuata
quanto più intenso è il
dolore
Decorso è lento
Esami strumentali
Ê
Rx (AP, LL, Walter-Muller)
Ê Scintigrafia Ossea
Ê TAC
Ê RMN
SX
Diagnosi differenziale
Ê
Ê
Ê
Ê
Ê
Ê
Metatarsalgia
Borsite
Sesamoidite
Sesamoide bipartito
Osteite
Osteocondrite
Trattamento
z
Picetti G.
z
z
DuVries H. 1959
z Regnauld B. 1986
Risoluzione della sintomatologia dolorosa
Rinaldi F. 1966
z Biedert R.
1995
e della limitazione funzionale.
Furlanetto S. 1968
z Karasick D. 1998
z
Klenerman L.1976
z
Campbell G. 1999
z
Jahss H.
z
Scapinelli R. 2000
z
1954
z
1984
Incruento
Orava S.
1985
Cruento
Ê
Trattamento incruento
Apparecchio gessato o
tutore in scarico per
non più di 4-8
settimane.
Trattamento cruento
Ê
Asportazione del frammento
mobile
Ê
Rimozione del sesamoide
Ê
Apposizione di innesti ossei
autoplastici (per la terapia
delle pseudoartrosi)
z
z
Chi ha ragione ?
Al di la della disputa appare evidente che il
percorso diagnostico terapeutico imboccato dal
calciatore fu quanto meno tortuoso e
improprio.
Percorso diagnostico terapeutico
Tempo 0
Infortunio calcistico
Nessun trattamento
3 gg. dal trauma
Dolore
Infiltazione e riposo
10 gg dal trauma
Dolore
Infiltazione e riposo
90 gg dal trauma
RX: Fr. Da stress
Tr. Conservativo
160 gg dal trauma
RX: ritardo di consolidazione
Tr. Conservativo
175 gg dal trauma
RX: pseudoartrosi
Intervento chirurgico
GUARIGIONE
z
7 mesi e 20 giorni
dall’esordio clinico
della malattia
• RITARDO DIAGNOSTICO
(la diagnosi è certa solo a tre mesi dal trauma)
z TRATTAMENTO CONSERVATIVO
PROLUNGATO
– Furono disattesi percorsi diagnostico - terapeutici condivisi
– E trascurati gli interessi dell’atleta
Entrambi gli elementi sono emendabili
In generale
z
ogni medico deve sapere che il perdurare di uno stato di
malattia rende più problematico il recupero funzionale
Nel caso specifico
z
Chi ha competenze in ambito sportivo deve sapere che le fratture
dei sesamoidi, sia acute che da stress, evolvono il più delle volte
in pseudoartrosi, vanificando gli effetti del trattamento
conservativo (Orava S. 1988)
z
Il trattamento chirurgico va intrapreso al persistere della
sintomatologia dolorosa per evitare l’instaurarsi di un quadro
cronico assai invalidante, difficile da risolvere.
Caso N° 2
Ovvero: quando viene meno il
rapporto di fiducia tra medico e paziente
z
z
F.C. anni 4 : a seguito
di caduta accidentale sul
palmo della mano a
gomito esteso, riporta
frattura sovracondiloidea
al gomito sx, ingranata,
senza spostamento.
Nell’immediatezza del trauma, in assenza di
deficit vasculo nervosi periferici, il gomito non
è deformato ma tumido.
z I sanitari del PS confezionano valva di
posizione e dispongono il ricovero del
bambino, a titolo precauzionale, per
controllare le condizioni locali, vascolari e
nervose
z
z
Trascorse 24 ore dal trauma, in assenza di
complicanze, sulla base delle caratteristiche cliniche e
radiografiche della frattura e dell’età del paziente,
l’ortopedico decide di optare per un trattamento
conservativo, non manipolativo della frattura,
rendendo edotta la madre della scelta terapeutica e
delle possibili complicanze legate al tipo di frattura.
z
Seguono due controlli ambulatoriali, clinici e
radiografici, dai quali emerge un decorso del tutto
normale, privo di complicanze:
– la bambina tollera bene l’apparecchio gessato
– la frattura non mostra segni di instabilità, risultando
l’esame radiografico del tutto sovrapponibile a quello
iniziale.
z
A questo punto inspiegabilmente si interrompe il
percorso terapeutico e la bambina non viene più vista.
Avrebbe dovuto presentarsi ad un terzo controllo, a 4
settimane dal trauma, per rimuovere l’apparecchio
gessato ed eseguire un controllo radiografico per
definire l’avvenuta guarigione, ma non si presenta.
z
z
A distanza di 1 anno dal trauma l’ortopedico che
aveva in cura la bambina viene chiamato a rispondere
del suo operato ritenuto inadeguato, tant’ è che la
frattura è esitata in cubito varo con limitazione
dell’estensione.
Dice il perito di parte:
– l’ortopedico avrebbe dovuto manipolare la frattura ed
eventualmente ricorrere all’intervento chirurgico
stabilizzante.
z
Premessa
– Le fratture sovra
condiloidee di gomito,
sono lesioni tipiche
dell’età pediatrica (80
%)
– Si determinano per
caduta sul palmo della
mano a gomito esteso o
flesso.
– Possono essere
Composte, senza
dislocazione dei
frammenti
z Il trattamento è
conservativo
z
– Scomposte
z
In passato,( ma ancora oggi)
per prevenire la comparsa di
temibili complicanze quale
la S di Volkmann il
trattamento prevedeva l’
imposizione di un lungo
periodo di trazione e quindi
la manipolazione della
frattura e il
confezionamento di un
toraco barchiale.
Sindrome di Volkmann
– Scomposte
z
z
Oggi il trattamento è
estemporaneo, entro sei
ore dal trauma
In anestesia generale, con caute e
adeguate manovre, si riduce la
frattura e la si stabilizza con mezzi di
sintesi minimi.
z
dovendosi imporre un
gesso comprendente il
braccio, l’avambraccio e
il polso, assai più ben
tollerato e privo di
qualsiasi pericolosità.
z
Per queste lesioni talora l’esame radiografico non consente una
precisa definizione morfologica, soprattutto quando la rima di
frattura ha un decorso assai distale e non vi è stata una
evidente dislocazione dei frammenti.
z
Possono coesistere piccole linee di frattura a decorso obliquo,
quasi verticale, coinvolgenti la cartilagine di coniugazione tali
da fare assumere alla lesione le caratteristiche di un vero e
proprio distacco epifisario, lesione a prognosi potenzialmente
negativa, capace di dare origine a disturbi asimmetrici
dell'accrescimento scheletrico ( cubito varo o valgo)
indipendentemente dal tipo di trattamento adottato.
z
Comunque in questi casi la frattura è di fatto composta e non
necessita di essere ulteriormente indagata essendo il
trattamento indiscutibilmente conservativo.
z
Nel caso in oggetto non vi era indicazione nè al
trattamento manipolativo, nè tantomeno al
trattamento chirurgico stabilizzante.
z
Ciò che si è venuto a determinare a distanza di tempo
è una possibile complicanza prevedibile ma non
prevenibile tardiva delle fratture
sovraintercondiloidee misconosciute e non è
riconducibile alla scelta terapeutica, bensì alle
caratteristiche della lesione.
Perché la famiglia aveva interrotto inspiegabilmente il
rapporto medico-paziente, non presentandosi al controllo
programmato?
z La mamma era stata testimone diretta di una disputa tra due
medici in ambulatorio in occasione del secondo controllo.
z Colui che aveva seguito tutto l’iter terapeutico della bambina
si era trovato in disaccordo con un collega in relazione al
trattamento eseguito, e per quanto “ le cose stavano andando
bene”, aveva sostenuto il collega, meglio sarebbe stato se alla
bambina fosse stato imposto un toraco brachiale.
z Ciò fece scattare nel genitore il sospetto che i medici avessero
sbagliato e pertanto si era rivolto ad un altro ortopedico.
z Da qui la storia che vi ho raccontato
z
z Caso
n° 3
ovvero: quando a sbagliare e il
perito
z
z
B. B a 26: affetto da
Grave Piede Piatto
Valgo Pronato bilaterale,
con associato alluce
valgo bilaterale.
Su sua richiesta, al fine
di migliorare la funzione
deambulatoria, si
sottopone a trattamento
chirurgico correttivo.
z
Ad essere operato per primo è il piede sx:
– osteotomia a mettere del calcagno per la correzione del valgismo
calcaneale
– plastica dell’articolazione talo scafoidea per il piattismo plantare
– riequilibrio funzionale sec Pisani per la correzione dell’alluce valgo.
z
Dopo 5 mesi viene operato il piede dx. :
– osteotomia a mettere del calcagno per la correzione del valgismo
calcaneale (cosi come era stato eseguito a sx);
– artroplastica sec Keller associata a plastica di rinforzo del tendine del
tibiale posteriore e ad osteotomia del primo metatarsale solidarizzata
con vite, per la correzione dell’alluce valgo. (tecnica diversa
esicuramnente più invasiva rispetto a quella usata a sx)
z
A 15 mesi dall’inizio del trattamento è rioperato su entrambi i
piedi:
– A dx per rimozione della vite a suo tempo impiantata,
– A sx per eseguire l’osteotomia di addizione del primo metatarsale e la
resezione della base della prima falange, (cioè quanto era stato fatto in
occasione del secondo intervento a dx )
z
z
z
z
A due anni dall’ultimo intervento il paziente cita gli
operatori in giudizio.
Perché?
Da quando è stato operato cammina peggio e con
dolore.
Dice il perito di parte:
– Gli interventi eseguiti sono stati troppi ed erano comunque
inadeguati a correggere le deformità. Sarebbe bastato
eseguire un unico intervento, l’intervento di GRICE e il
tutto si sarebbe risolto con un accettabile risultato. Invece
il paziente ha dovuto subire ripetute operazioni senza
beneficio, anzi con peggioramento del quadro clinico
iniziale,tanto da doversi sottoporre ad un ulteriore
intervento.
I quesiti posti al CTU
z
Descriva il CTU le lesioni corporee del ricorrente interessate
dagli interventi chirurgici.
z
Evidenzi le lamentate menomazioni peggiorative presenti,
eventualmente riconducibili agli interventi sopra richiamati
z
Rilevi la presenza di eventuali elementi di responsabilità
professionale nell’opera svolta dai Sanitari
z
Anamnesi:
– A due ani dall’intervento il paziente lamenta
dolore persistente alle caviglie, comparso dopo gli
interventi subiti, che gli impone una
deambulazione precaria.
– Avrebbe comunque camminato sempre male, in
relazione alle deformità dei piedi ma senza dolore
– Non riferisce patologie pregresse degne di nota.
z
Esame obiettivo
–
–
–
–
–
–
–
–
–
Rachide sostanzialmente in asse
Bacino antiverso con iperlordosi lombare
Anche lievemente addotte e intraruotate
Ginocchia valghe e intraruotate di lieve entità
I piedi mostrano i segni cicatriziali dei pregressi interventi
e la loro obbiettività è sostanzialmente sovrapponibile:
Nel loro insieme consentono un buon appoggio plantigrado
con retropiede funzionalmente in asse con la gamba.
Gli alluci sono allineati con i raggi metatarsali e mostrano
un certo grado di valgismo, sostanzialmente fisiologico.
La marcia si sviluppa irregolarmente in un insieme di tipo
atassico spastico
La motilità delle anche e delle ginocchia è ridotta, così pure
quella della tibio tarsica, della sotto astragalica e della
metatarso falangea, bilateralmente.
Sulla scorta degli elementi clinico
anamnestici, il paziente risulta affetto da:
Esiti dolorosi di pregressi interventi chirurgici
correttivi per Piede Piatto Valgo Pronato con
associato Alluce valgo bilaterale, di natura
Neurologica.
z
z
z
Premessa
– Le deformità scheletriche di natura neurologica sono al
contempo espressione morfologica del danno neuromotorio
e compenso funzionale della neuropatia stessa, e
peggiorano nel tempo di pari passo alla evoluzione della
neuropatia.
– Le disabilità motorie indotte da questo tipo di deformità,
non sempre risultano quantificabili, nel senso che non è
possibile differenziare quella percentuale di disabilità che
risulta essere legata alla deformità, da quella prodotta
dalla neuropatia.
– Il chirurgo che intenda
correggere la deformità che
sottende ad una neuropatia
motoria in età adulta, deve
tenere conto della eventualità
che l’atto correttivo possa
alterare i compensi
funzionali che il paziente nel
tempo ha sviluppato,
risultando tale pregiudizio
talora assai vincolante,
imponendosi, nei casi
estremi, per il bene del
paziente, l’astensione da
qualsivoglia gesto correttivo.
Per migliorare il disturbo deambulatorio, il primo obiettivo è
il ripristino di una morfologia
podalica il più vicino possibile alla norma.
La stretta correlazione tra neuropatia e deformità non
assicura comunque un risultato stabile nel tempo, a meno
che non si esegua una artrodesi, un intervento
intrinsicamente radicale, che abolisce in maniera definitiva
e irreversibile la funzione articolare, ma che impedisce al
paziente neuroleso, l’acquisizione graduale di nuovi
compensi funzionali
TALE OBIETTIVO DEVE ESSERE RAGGIUNTO PER
GRADI, EVITANDO L’ESECUZIONE DI GESTI CAPACI
DI PRECLUDERE ULTERIORI INTERVENTI.
z Deduzioni
– La strategia chirurgia adottata è conforme al razionale che
sottende alla chirurgia delle deformità neurologiche in età
adulta.
– L’insieme degli interventi eseguiti sono l’espressione di
reale difficoltà ad operare le deformità neurologiche
– Le tecniche adottate, hanno mostrato di essere adeguate
alle finalità dell’intervento, anche perché
z
z
improntate alla massima cautela (avrebbero consentito al paziente
la possibilità di porre in essere gli aggiustamenti funzionali
secondari al nuovo riassetto morfologico)
non inreversibilmente definitive ( in caso di recidiva o di
aggravamento del quadro clinico neurologico il paziente può
essere ancora sottoposto a triplice artrodesi, ultima ratio a cui
affidarsi nella speranza di risolvere le problematiche cliniche
emergenti).
La correzione della sola deformità retropodalica,
con l’intervento di Grice ipotizzato da CT di parte ricorrente
risulta invece improponibile trovando tale scelta operatoria
indicazione ad essere eseguita esclusivamente in età infanto
giovanile, tra i 4 e gli 8 anni.
Dall’EMC: “ L'opération de Grice c'est une
arthrodèse extra-articulaire de la sousastragalienne que l'on peut taire chez le j'eune
enfant (de 4 a 8 ans) sans retentissement sur la
croissance de l'arrière-pied. Elle est surtout
indiquée dans le maintien du pied valgus
réductible (paralytique, spastique ou mème
statique).
– In età infanto giovanile infatti l’avampiede potrebbe
modificare ancora spontaneamente il suo assetto in
funzione della correzione del retropiede, grazie ai
modificazioni morfologiche che il piede in toto, ancora in
evoluzione, potrebbe porre in essere
– In età adulta tali modificazioni non sono ottenibili perché il
piede ha raggiunto la sua definitiva morfologia, sia essa
normale o patologica.
z
I disturbi lamentati dal paziente (rigidità delle metatarso
falangea e delle tibio tarsiche) non sono da considerare
menomazioni peggiorative indotte da un intervento male
eseguito o inadeguato, ma sono l’espressione clinica di due
diversi fattori:
– la rigidità delle metatarso falangea, sono conseguenza del gesto
chirurgico eseguito a tale livello e come tale espressione del risultato
clinico ricercato con l’intervento stesso;
– la rigidità delle tibio tarsiche e la sintomatologia dolorosa si correlano
invece al deterioramento naturale, inevitabile delle strutture
anatomiche coinvolte nell’ambito del quadro malformativo sostenuto
dalla neuropatia.
z
Afferma il perito di parte alla pagina 9 , rigo
13 della sua relazione, a proposito dei disturbi
lamentati dal paziente:
“ ….. comunque sarebbero residuati anche se il
paziente fosse stato trattato correttamente”.
z Caso
N°4
Ovvero: quando il rischio è elevato, ma
a sbagliare è l’avvocato
z
T.O., a. 70. portatore di
malattia di Dupuytren alla
mano sinistra di grado 3 sec.
Islen con prevalente
coinvolgimento del 4° dito,
accetta di essere sottoposto ad
intervento correttivo
finalizzato alla estensione del
4° dito, per migliorare la
funzionalità della mano.
z
Le tappe del percorso terapeutico imboccato dal
paziente sono così riassumibili:
– Intervento chirurgico di aponevrectomia palmare e digitale
con plastica a zete multiple della cute digitale.
– In terza giornata inizia FKT (mobilizzazione attiva)
– In quarta giornata viene seguita la medicazione a piatto
della mano e prosegue la mobilizzazione attiva della mano
– In diciottesima giornata sono rimossi punti di sutura.
– A 44 giorni dall’intervento esegue controllo ambulatoriale,
che pone in evidenza la rigidità in flessione del 4° dito
(cioè del dito operato) e del 3°, non coinvolto
nell'intervento.
– Viene richiesta consulenza fisiastrica, prontamente
eseguita e il giorno successivo il paziente è avviato al
trattamento riabilitativo.
– A quasi tre mesi dall'interevento il paziente esegue un
nuovo controllo ambulatoriale: persiste la deformità in
flessione del 3° e del 4° dito, ed è comparsa cicatrice
retraente, che induce il curante a consigliare un secondo
intervento chirurgico, plastica della cicatrice, che viene
eseguito da un secondo operatore.
– A questo punto il paziente interrompe il rapporto con il
medico che fino a quel momento lo aveva avuto in cura.e si
rivolge ad un altro ortopedico che lo riopera:
z
z
una prima volta a distanza di cinque mesi dall’ultimo intervento
(terzo intervento)
una seconda volta a distanza di 13 mesi (quarto intervento).
Riassumendo:
4 interventi chirurgici eseguiti da tre diversi operatori.
z
z
Alla fine del travagliato percorso diagnostico
terapeutico il paziente lamenta
rigidità del terzo, quarto e quinto dito della mano
sinistra e un deficit complessivo della funzionalità
della mano
che non gli consente più di eseguire
le sue normali occupazioni.
z
z
Il paziente cita in sede penale il primo e il
secondo operatore.
Quesito
z
“Dicano i periti se l’intervento chirurgico (il secondo in ordine
di tempo) sia da collegarsi causalmente all’intervento
chirurgico eseguito in precedenza in base alla miglior scienza
ed esperienza medica e chirurgica, ossia se il predetto
intervento sia stato effettuato a causa di un’errata esecuzione
dell’intervento precedente. In altre parole se l’intervento
effettuato(il primo) sia stato eseguito secondo le migliori
regolare chirurgiche e mediche ed, in caso negativo se il
corretto intervento avrebbe evitato il reintervento e il
prolungamento dell’iter clinico con elevato grado di
probabilità logico razionale, secondo la miglior scienza ed
esperienza medico-chirurgica.
z
z
z
z
z
z
All’esame obbiettivo si evidenzino due cicatrici: una in
regione palmare a decorso longitudinale che dalla piega del
polso si estende sino allo spazio interdigitale del terzo raggio;
e un’altra in corrispondenza della plica flessoria della mano.
Il primo dito, non mostra alterazioni anatomo-funzionali.
Il Secondo e Il Terzo dito: mostrano in maniera
sovrapponibile un deficit flessorio di 15° a carico delle
interfalangee e delle le metacarpo-falangee; l’estensione è
completa;
Il Quarto dito è rigido e deformato a collo di cigno inverso,
iperesteso sull’IFP e leggermente flesso sulla IFD, mentre la
metacarpo-falangea, mobile in flessione (a 90°), mostra un
deficit estensorio di 30°.
Il Quinto dito è rigido in corrispondenza dell’IFP ed IFD ,
mentre è mobile la Metacarpo Falangea
Nel suo insieme la funzionalità della mano è gravemente
compromessa e la chiusura a pugno avviene a grande arco
del III° IV° e V° dito.
Premessa
– La malattia di Dupuytren, o fibromatosi palmare, è una
lesione fibroproliferativa cronica e progressiva della
aponeurosi palmare superficiale clinicamente espressa con
la flessione di uno o più dita della mano.
– La malattia coinvolge anche la cute (scomparsa delle
papille dermiche, fibrosi del chorion, intrappolamento dei
vasi, delle ghiandole sudoripare e delle terminazioni
nervose) che può andare incontro ad una vera e propria
retrazione patologica con riduzione dell'estensione del
mantello cutaneo,risultando, essa stessa, causa oltre che
conseguenza della malattia (J.Glicenstain et C.Leclercq).
– L’etiologia della malattia è sconosciuta, mentre sono ben
noti i suoi tratti anatomo clinici e ben definite le linee
terapeutiche da adottare.
– La chirurgia costituisce l'unico trattamento efficace nella
malattia di Dupuytren.
– Obiettivo della chirurgia è restituire funzione alla mano e
non curare la malattia, che può recidivare.
– Il chirurgo deve rivolgere la sua attenzione alla limitazione
funzionale in quel paziente, per cui nessun caso è uguale
all'altro, ma ognuno dovrà essere valutato singolarmente
– I criteri principali nel determinare la necessità di sottoporsi
all'intervento sono:
z
z
z
z
z
l'età del paziente,
la presenza di eventuali condizioni morbose,
il grado di fastidio e l'invalidità personale,
le aspettative del paziente,
la volontà del paziente ad eseguire un programma di riabilitazione
post-chirurgica.
z
Deduzioni
– 1° Il primo 'intervento e tutto il percorso terapeutico che ne
è seguito, è da considerarsi corretto, cioè eseguito secondo
le migliori regole chirurgiche e mediche. Infatti:
z
z
z
z
la tecnica chirurgica adottata (Aponevrectomia palmare e digitale
estesa al 4° dito),
la sutura della cute (eseguita dopo incisioni a Z della cute
digitale),
la medicazione della ferita chirurgica ( a Piatto),
il trattamento post operatorio immediato (mobilizzazione attiva,
intrapresa fin dalla 3^ giornata),
sono perfettamente adeguati a quanto
la letteratura riferisce in proposito.
– 2° E' da ritenersi che chi ha eseguito il reintervento
sia stato chiamato a porre rimedico ad una complicanza
tipica della Malattia di Dupuytren, la formazione di una
cicatrice retraente insorta in un contesto clinico di recidiva
Della malattia. e non ad una cattiva esecuzione del primo
intervento, Infatti:
z
z
a- La malattia di Dupuytren coinvolge anche la cute,
b- La rigidità in flessione si era estesa anche al terzo dito che in
alcun modo era stato coinvolto nell'intervento precedente.
I medici furono ritenuti assolutamente non
colpevoli.
z Al paziente è rimasta una mano inservibile.
z
z Caso
N° 5: ovvero quando le cose non
possono che essere complesse.
z B:F.donna di anni 79.
– A seguito di caduta
accidentale riporta frattura
scomposta dell’epifisi
prossimale dell’omero
destro.
– Viene prontamente ricoverata in un reparto
ortopedico e il giorno successivo esegue
Tac spalla:
frattura pluriframmentata della testa omerale
di destra con sublussazione della stessa ed
interessamento del trochite e dell’estremo
prossimale della diafisi.
– Lo stesso giorno
viene sottoposta ad
intervento chirurgico
di asportazione dei
frammenti e
applicazione di
endoprotesi omerale
L’intervento ed il decorso postoperatorio risultano
privi di complicazioni e l’esame radiografico di
controllo, effettuato subito dopo l’intervento
evidenzia il corretto posizionamento
dell’endoprotesi
A 10 giorni dall’intervento inizia FKT.
z A due settimane dal trauma viene dimessa con
la prescrizione di indossare tutore in abduzione
per altri 30 giorni e di effettuare la
mobilizzazione passiva ed assistita dell’arto.
z
z
z
z
A un mese dalle dimissioni esegue la prima visita di
controllo ambulatoriale, e dopo esecuzione di esame
radiografico, si riscontra la lussazione anteriore sottoglenoidea della testa omerale protesizzata. E’
ricoverata d’urgenza, e il giorno successivo viene
sottoposta ad intervento di sostituzione della testa
protesica con altra di maggior diametro.
4 giorni dopo è dimessa con tutore in abduzione da
portare per altri 25 giorni e prescrizione di effettuare
la mobilizzazione passiva dell’arto.
Al controllo successivo la protesi risulta
nuovamente lussata. Ricoverata viene
sottoposta, il giorno dopo a riduzione
incruenta della lussazione in sedazione e viene
applicata ortesi toraco-brachiale in abduzione.
Dovrà eseguire esame elettromiografico
dell’arto superiore destro per valutazione
neuromotoria dell’emicingolo scapolare destro
e tornare in ambulatorio a distanza di 30
giorni.
z
Al successivo controllo si evidenziava ancora
la lussazione inferiore della testa omerale
protesica. Nuovamente ricoverata, viene
effettuata l’elettromiografia che evidenzia i
segni di una denervazione parziale al muscolo
deltoide destro conseguente ad interessamento
del nervo circonflesso e quindi è sottoposta ad
intervento chirurgico di rimozione definitiva
della protesi e affidata ai Fisiatri.
z
A due anni dal trauma gli operatori sono
chiamati a rispondere del loro operato.
z
Contestazione:
– 1° La frattura andava trattata in maniera
conservativa o con una sintesi interna.
– 2° L’ impianto protesico andava differito a fronte
di un insuccesso del trattamento conservativo e di
sintesi.
– 3° La cattiva esecuzione dell’intervento ha
prodotto la paralisi del nervo circonflesso e quindi
la lussabbilità della protesi.
z
Le fratture pluriframmentarie sono certamente
le lesioni più gravi dell’estremo prossimale
dell’omero:
– alterano in maniera irreversibile la congruità della
articolazione gleno omerale
– presentano la più elevata probabilità di
interrompere gran parte dell’apporto ematico alla
porzione prossimale dell’omero (ovvero, il ramo
anteriore dell’arteria circonflessa omerale
anteriore) con conseguente osteonecrosi.
Queste lesioni dopo valutazione radiografica e TC
possono essere trattate in maniera incruenta o cruenta
a cielo chiuso o a cielo aperto, con sintesi interna o
con un impianto protesico.
z
z
La scelta del trattamento è guidata:
– dallo schema di frattura
– dall’età del paziente
– dalla comorbilità
– dalla qualità ossea
Il trattamento incruento, conservativo, è da
riservare a pazienti non in grado di affrontare
un intervento per motivi medici (condizioni
patologiche concomitanti a carico del sistema
cardiaco, polmonare, renale o altro).
z Il trattamento cruento trova indicazione in tutti
gli altri casi
z
z
Schematicamente:
– L’osteosintesi a cielo chiuso è indicato per le fratture a un
uno o due frammenti
– L’osteosintesi a cielo aperto è proponibile per le fratture a
tre frammenti, nei pazienti relativamente più “giovani”
– La sostituzione protesica va riservata alle fratture a quattro
o più frammenti, nei pazienti più “anziani” con intrinseca
deficienza della struttura ossea , nei quali l’osteosintesi
andrebbe incontro a fallimento per l’elevato rischio di
perdita di riduzione o per necrosi avascolare della testa
dell’omero.
L’ impianto protesico nelle fratture acute a più
frammenti, deve essere eseguito il più precocemente
possibile:
z
– per non incorrere negli esiti di tali fratture
– per essere la ricostruzione tardiva, dettata da viziosa
consolidazione, tecnicamente molto impegnativa e gravata
da retrazioni capsulari, ligamentose, tendinee e da
contrattura dei tessuti molli, elementi in grado di
compromettere un miglioramento della motilità.
– per ridurre la percentuale di complicanze.
z
La tecnica d’impianto risulta particolarmente
difficoltosa e necessita l’acquisizione da parte
dell’operatore di una esperienza specifica
z
Tra le possibili complicanze secondarie all’impianto
di una protesi di spalla vano ricordate:
– La lussazione della protesi.
z
z
a favorirla, le modificazioni parafisiologiche della spalla tipiche
dell’età senile (lassità capsulare, retrazioni ligamentose,
degenerazione o possibile rottura postraumatica della cuffia dei
rotatori, eventuale conflitto coraco-acromiale) a cui si pone
rimedico impiantando una componente cefalica di maggior
diametro
e/o il venir meno dell’indispensabile funzione di stabilizzazione
della meccanica articolare del muscolo deltoide, a cui però non si
può porre rimedio.
– Infezione
– Danni neurologici
z
Deduzioni
– Sulla scorta dei dati della letteratura nel caso in
esame, in una paziente anziana con frattura
pluriframmentaria della testa omerale,
l’artroprotesi sostitutiva primaria rappresentava il
trattamento di elezione
– Non vi erano le indicazioni per un trattamento
chirurgico conservativo o di sintesi ne tanto meno
ad un impianto protesico differito.
In riferimento alla presunta cattiva esecuzione
dell’intervento da cui sarebbe derivata la lesione del
nervo circonflesso e quindi la lussazione ripetuta
della protesi e la sua rimozione parziale, va detto che:
z
– L’EMG registrava una attività a riposo spontanea di
denervazione del muscolo deltoide di tipo acuto
– L’EMG non consentiva di ricondurre tale lesione, ad un
preciso periodo temporale.
– La lesione del nervo circonflesso, può essere avvenuta al
momento del trauma
– Gli stessi frammenti ossei prodottisi in seguito alla frattura
possono essere stati i responsabili, ed essere la lesione
nervosa non rilevabile per l’ oggettiva difficoltà a valutare
la funzionalità del muscolo deltoide in un contesto
traumatico e per non aver potuto fornire alcuna indicazione
l’EMG stessa, anche se fosse stata eseguita
nell’immediatezza del trauma, dato che si positivizza dopo
almeno tre settimane dalla lesione nervosa.
Le lesioni nervose, rappresentano comunque una
delle possibili complicanze che possono realizzarsi in
interventi consimili.
z
– La spalla, si presenta tumefatta, edematosa, ed il campo
operatorio diventa di difficile gestione per la presenza di
ematomi, di infarcimenti emorragici dei tessuti molli, di
eventuali lacerazioni ligamentose, tendinee e muscolari che
rendono più laboriosa l’esposizione del focolaio di frattura
ed il reperimento dei normali punti di riferimento
anatomici.
– La rimozione dei frammenti può risultare complessa e
costringere l’operatore ad eseguire una delicata manovra di
retrazione e rotazione dell’arto che può danneggiare il
fascio neurovascolare viciniore
Con l’accesso chirurgico effettuato (via deltoideo
pettorale) è tecnicamente impossibile provocare
la lesione diretta del nervo circonflesso
La lesione nervosa quindi può risultare una
complicanza prevedibile ma non prevenibile,
ancorché non necessariamente legata ad errore
tecnico dell’operatore, al quale, considerata le
condizioni generali della paziente e della spalla,
stabile e non dolorosa, non restava altro che
rimuovere non tanto l’intera protesi ma la
componente modulare “testa”, lasciando aperta la
strada alla possibilità di convertire, in futuro, la
protesi parziale in protesi totale applicando la
componente protesica sulla glenoide.
z
z
Caso N° 6: quando le cose da
complesse diventano semplice e così
non sbaglia nessuno.
z
Padova, 1980. G.T. a 45, Maschio. Professionista di
successo. Sano. Fuma. Beve solo nel fine settimana,
“Social Drink”. A tutto sa rinunciare tranne che alla
partitina di Tennis, la domenica mattina: lo aiuta e
sentirsi in forma e a smaltire i bagordi del sabato
sera.
z
E’ uno “sportivo della domenica”, cioè il prototipo di
chi è destinato, per una pratica sportiva saltuaria,
tanto temeraria quanto incongrua, a rompersi il
tendine di Achille.
z
Cosa che puntualmente si verifica ,un bel giorno, in
pieno benessere, mentre sta vincendo, la sua partitina
a tennis.
Mòsender H., Klatnek N.-Neue nahttechnick der subkutanen
Achillessehnen ruptur. Arch. Orthop. Unfall Chirg. 67: 1-8. 1969
•Jòzsa L., Kvist M – A clinical, pathoanatomical and sociological study of
292 cases. Am. J. Sports Med., 17: 338-343. 1989
z
z
Corsa disperata in ospedale, ancora in tenuta sportiva,
coda infinita in PS, visita specialistica e finalmente la
sentenza:
Rottura sottocutanea del tendine di Achille.
z
“Se vuole riprendere a giocare”, dice l’ortopedico
“deve operarsi ! “
z
Accetta e il giorno dopo è già sul tavolo operatorio.
Il chirurgo eseguirà una Plastica sec. Silversckiold,
una delle tecniche più diffuse e sperimentate in quegli
anni.
z
z
Prevede una ampia e
sinuosa incisione
cutanea che dal centro
della sura si porta fino
alla regione calcaneale.
Sutura termino
terminale
z Ribaltamento di un
lembo di aponeurosi
surale fino alla
tuberosità calcaneale, a
riforzo della sutura
z
z
z
z
z
z
z
z
z
All’intervento farà seguito l’imposizione
di una ginocchiera gessata con il piede
in equinismo
L’intervento è perfettamente riuscito
Il decorso post operatorio è privo di complicanze.
Il paziente viene dimesso dopo sette giorni.
Non dovrà caricare e per spostarsi potrà usare le stampelle.
Porterà il gesso per 6 settimane.
Poi si passerà a un gambaletto che dovrà portare per altre
4 settimane: gli lascerà libero il ginocchio e potrà caricare
sull’arto operato, aiutandosi con le stampelle.
Infine raggiungerà la guarigione e potrà riprendere le
normali occupazioni a 3 mesi dall’intervento, e con
cautela, anche l’attività sportiva.
z Salvo complicazioni!
“Dimenticavo “
dice il medico curante inseguendolo per i corridoi:
“dovrà assumere questo farmaco fino a quando porterà
il gesso. Mi raccomando”
Ciliegina sulla torta!!!
z
Frastornato, rientra a casa,
riprende in mano il foglio del consenso informato
e va a rileggere le possibili complicanze cui può
andare incontro
G.Pavanini,
G.Pavanini, A.Cescati,
A.Cescati, C.Gigante,
C.Gigante, Chir. Del Piede, 1986, 10; 293293-302
1960 – 1985: paz. operati 94; rivisti 57; F-up: 1-24 aa
z
z
z
z
z
z
z
z
z
Complicanze
Ematomi sottocutanei
Deiscenze della ferita
Sepsi
Recidive
Cicatrice inestetiche
Aderenze del tendine
Aumento di volume del tendine
Conflitto con la calzatura
Aree di anestesia
%
4,2
3,15
2,10
1,05
14,0
8,8
93,0
1,75
3,5
Flebotrombosi profonda
Embolia
Morte
z
z
Disperato si mette nelle mani di Dio e aspetta che gli
eventi lo travolgano.
Fa anche un voto:
zSe
guarisce non giocherà più a tennis!
Era il prezzo che si doveva pagare per
ottenere una buona guarigione.
Il frutto di un dibattito serrato che
per anni aveva visto contrapposti i
sostenitori del trattamento
conservativo ai fautori del
trattamento chirurgico.
Conservativo
Gillies et al.
Lea e Smith
Nistor
Rinonapoli et al.
Richter et al.
Cetti
Wallace et al
(1970)
(1972)
(1981)
(1985)
(1994)
(1993)
(2004)
Chirurgico
Arner et al.
(1959)
Inglis
(1976)
Jacobs
(1978)
Beskin
(1987)
Wong J et al (2002)
A favore del trattamento conservativo:
z Sono risultati soddisfacenti del tutto
sovrapponibili a quelli ottenuti con la
chirurgia,in assenza di complicanze,
A favore del trattamento chirurgico:
z minore incidenza di ri-rotture,(2-3%
versus 10-30%),
z maggior potenza muscolare
z Molte più probabilità di riprendere
gli stili di vita antecedenti alla
lesione.
– Apparecchio gessato per 60- 80 giorni e un
lungo periodo di riabilitazione senza la certezza
di guarire.
– o sutura chirurgica e quindi buone probabilità
di riacquistare la funzionalità del piede, anche a
costo di accollarsi qualche rischio in più ?
Oggi la maggioranza degli ortopedici
preferisce il trattamento chirurgico al
trattamento conservativo,
perchè l’unico in grado di:
z Ricostruire la lunghezza del tendine
z Consentire l’affrontamento dei monconi
z Garantire una cicatrizzazione solida,
capace di permettere la ripresa delle attività
normali e sportive.
z
La vittoria del “fare” sull’ ”astenersi”
sostenuta da innovazioni scientifiche e
tecnologiche ma che inevitabilmente
conducono alla complessità e quindi
all’aumento del rischio.
z
Quanti di noi averebbero sostenuto le ragioni di chi
avrebbe imposto al nostro giovane professionista un
trattamento conservativo per la RSTA?
z
Quanto di noi se la sentirebbe di considerare emendabile la
condotta di un ortopedico finalizzata alla ricostruzione del
tendine di achille, sol perché all’intervento ha fatto seguito
una cicatrice inestetica o aderenze tendinee, o la
flebotrombiosi profonda ?
z
Quante sono le controversie medico legali che questa
scelta terapeutica ha prodotto?
z
Indipendentemente dalle responsabilità, resta
un problema irrisolto:
le complicanze della chirurgia aperta nella
terapia del RSTA sono elevate.
L’incisione cutanea è a rischio di necrosi e
quindi di deiscenze e infezioni;
z La sutura cutanea può produrre cicatrici
anelastiche e inestetiche da cui traggono
origine conflitti con la calzatura
z L’immobilizzazione prolungata espone al
rischio di TVP ed ritarda il recupero
funzionale.
z
z
Come contenere le complicanze della chirurgia
incisionale e della immobilizzazione post
operatoria nella terapia delle RSTA?
CHIRURGIA
APERTA VERSUS PERCUTANEA
z
Un dibattito che si è aperto qualche anno fa e
che oggi sembra abbia dato dei risultati
concreti, grazie alle recentissime acquisizioni
in tema di riparazione tendinea e alla concreta
possibilità di disporre di biomateriali capaci di
sostituirsi all’apparecchio gessato.
z
Un tendine per ben guarire deve risultare:
– ben irrorato
– e adeguatamente stimolato
risultando presupposto fondamentale,
per la guarigione
– l’ integrità del paratenonio, l’unica struttura in
grado di garantire la necessaria
vascolarizzazione per l’avvio e lo svolgersi del
normale processo di cicatrizzazione
– e la rapida ripresa dell’attività funzionale
In altre parole per avere una metodica
terapeutica efficace,
affrancata dalle complicanze della chirurgia
incisionale e della immobilizzazione
gessata, non si deve aprire il focolaio
lesionale e si deve disporre di un materiale
di sintesi tenace e resistente,
in grado di sostituirsi all’apparecchio gessato.
z
E cosi è. Oggi è possibile riparare un tendine di
achille con tecniche mini invasive e porre in essere
procedure fortemente esemplificate, prive di
complicanze.
La sutura per cutanea di Ma e Griffit,
Elimina completamente l’incisione cutanea,
ma impone l’utilizzo della immobilizzazione
gessata
z
Sutura percutanea con Tenolig
Aprile 2006
z
Riepilogando:
–
–
–
–
Percorsi diagnostici condivi
Rapporto medico-paziente
Rapporto medico- collega
Comportamenti professionali di chi è chiamato a
sostenere le ragioni nelle dispute
– Esemplificazione delle procedure
z
Si può fare ancora dell’ altro ?
z
Separare la Traumatologia dalla Ortopedia, se non proprio
per renderle due diverse specialità, affinché non condividano
gli stessi spazi operativi e che siano gestite da personale
diverso e dedicato.
z
Dare dignità specialistica a quelle che oggi vengono definite
sub specialità.
– L’ ortopedia pediatrica sarebbe già pronta e così pure
quella geriatrica.
z
Creare apicalità con specifiche competenze, restringendo le
maglie larghe del reclutamento, con forti sottolineature dei
profili professionali che si intendono ricoprire, finalizzandoli
a una pianificazione e programmazione attenta dell’assistenza
saniaria in quel determinato territorio.
z
Organizzare nella loro interezza i reparti tenendo conto delle
specificità assistenziali.
CONCLUSIONI
z
z
z
L’INTERVENTO CHIRURGICO EFFETTUATO IL ……. È
IN RAPPORTO CAUSALE CON L’INTERVENTO
CHIRURGICO ESEGUITO SUCCESSIVAMENTE
IL PRIMO INTERVENTO ESEGUITO IL …………..È
STATO ESEGUITO SECONDO LE MIGLIORI REGOLE
CHIRURGICHE.
IL SECONDO INTERVENTO CHIRURGICO SI È RESO
NECESSARIO PER CONTRASTARE UNA
COMPLICANZA PREVEDIBILE MA NON PREVENIBILE,
CORRELATA ALLA PATOLOGIA ( M. DI DUPUYTREN)
DA CUI ERA AFFETTO IL PAZIENTE PER LA QUALE SI
ERA RESO NECESSARIO IL PRECEDENTE ATTO
OPERATORIO.
zConclusione
z
z
z
z
z
In base al tipo di frattura riportato dalla paziente , corretta fu la scelta
terapeutica di intervento di artroplastica protesica primaria;
L’intervento venne correttamente eseguito in acuto, il giorno successivo al
trauma, in una situazione di urgenza traumatologica.
Corretta fu anche la scelta di effettuare un intervento di revisione con
sostituzione della testa protesica nel tentativo di risolvere l’instabilità di
spalla;
La lussazione della spalla protesizzata e la lesione del nervo circonflesso
sono complicanze piuttosto frequenti che si manifestano in seguito al
trattamento protesico di fratture pluriframmentarie acute. Si tratta di
complicanze prevedibili ma non prevenibili e non necessariamente legate
ad errori tecnici dell’operatore;
A seguito del riscontro all’EMG di denervazione del muscolo deltoide,
principale causa dell’instabilità articolare della spalla, corretta fu la scelta
di eseguire l’intervento di rimozione dell’artroprotesi, indicato in questi
casi per la risoluzione del dolore vista l’impossibilità, a causa del danno
nervoso e muscolare, di migliorare la funzione dell’articolazione.
z
Premessa
– Le fratture dell’omero prossimale rappresentano dal 4 al
7% di tutte le fratture e sono relativamente frequenti
soprattutto nell’anziano in relazione all’aumentare dell’età
della popolazione ed alla osteoporosi.
– Il 75% circa di queste fratture si verifica in persone con più
di 50 anni e le donne sono interessate in rapporto 3 a 1.
– Il meccanismo di danno di riscontro più comune è la
semplice caduta sulla mano estesa o direttamente sulla
spalla.
– Circa l’85% delle fratture dell’estremo prossimale
dell’omero sono minimamente scomposte e si possono
efficacemente trattare in maniera incruenta.
– Il restante 15 % comprende le fratture scomposte a uno o
più frammenti: il frammento articolare, la grande tuberosità
che può essere fratturata a sua volta in numerosi frammenti,
la piccola tuberosità, la diafisi prossimale dell’omero
– Un’ via di accesso (la deltoideo-pettorale) ampia, che partendo al di sotto della
clavicola si estenda in direzione dell’inserzione omerale del deltoide, in
maniera da evitare il distacco dell’origine del deltoide, che viene preservato, e
consentire una adeguata esposizione dell’omero.
– l’identificazione e l’isolamento delle due tuberosità o di quanto resta a seguito
della frattura.
– l’asportazione della testa omerale insieme ai frammenti ossei più piccoli.
– la valutazione dell’integrità della cuffia dei rotatori e dell’inserzione dei suoi
tendini nelle tuberosità.
– l’esposizione e la regolarizzazione dell’estremo prossimale della diafisi
omerale per effettuare l’impianto dello stelo protesico.
– il posizionamento della protesi (testa e stelo con impianto press-fit);
– la sintesi delle tuberosità, quando risulti possibile)per mezzo dei fili transossei.
– l’immobilizzazione dell’arto in abduzione (a 30-45°) per le prime 4-5
settimane, finché il processo alla consolidazione delle tuberosità non appare in
fase avanzata.

Documenti analoghi

CAP. 18 - chirurgia della mano

CAP. 18 - chirurgia della mano non viene applicata alcuna immobilizzazione e viene invitato a mobilizzare senza restrizioni le dita nell’immediato postoperatorio. Il primo controllo clinico e radiografico viene effettuato dopo u...

Dettagli