La rigenerazione urbana: il caso di Liverpool
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La rigenerazione urbana: il caso di Liverpool
Controsservatorio ambiente e territorio PATRIZIA DEL ROSSO Agribusiness Paesaggio & Ambiente -- Vol. XI (2007) n. 2, Marzo 2008 La rigenerazione urbana: il caso di Liverpool* Urban Regeneration: Liverpool Style. The purpose of the following article is to analyse how the theme of urban regeneration has evolved in England and how it moved from a logic linked to the mere redevelopment of individual portions of territory, to a concept aimed at the regeneration of the whole urban reality. The article, as a study case, focuses on the city of Liverpool, which has been particularly involved in the processes of regeneration in the last 30 years. There urban renewal has been embraced at the same time the economic, the social and the physical level, even for the English concept of regeneration. To identify the main characteristics and some issues related to the concept of regeneration, few urban transformation projects of the last decades are examined. La città è per sua natura un luogo in continua trasformazione. Come afferma G. Giovanelli (1997), infatti, “…il fenomeno della dismissione e del continuo adattamento e trasformazione dello PATRIZIA DEL ROSSO spazio urbano apparUniversità di Udine tengono a quel processo fisiologico che è insito nell’evoluzione degli usi e della forma della città stessa”. C’è da dire però che negli ultimi 30 anni molte città europee sono state coinvolte in processi di trasformazione con una tale rapidità al cambiamento e una complessità dei problemi da risolvere certamente maggiori rispetto a qualsiasi altro periodo della storia recente. Le principali cause di questa velocità sono da ritrovare essenzialmente in tre questioni (M. Dragotto, C. Gargiulo, 2003). 1. la radicale ristrutturazione economica a seguito della progressivo declino dell’attività produttiva, la ridefinizione delle attività economiche ed il forte sviluppo della terziarizzazione; 2. la riorganizzazione e l’innovazione dei sistemi operativi; 3. il processo di decentramento che ha spinto molte funzioni al di fuori delle aree centrali verso le periferie e le conurbazioni. Queste dinamiche hanno determinato l’abbandono di vaste aree ed edifici e, in taluni casi, difficoltà di ordine sociale ed economico. In questa sede mi propongo di analizzare l’esperienza inglese di rigenerazione urbana, in particolar modo, quella legata alla città di Liverpool. La Gran Bretagna è stata, infatti, sia uno dei primi paesi coinvolti nel processo di industrializzazione, così come uno dei primi stati che ha intrapreso delle politiche per contrastare il declino urbano, dando avvio ad azioni volte alla ristrutturazione. E tra le varie città * Ringrazio il Prof. Chris Couch dell’Università di Liverpool e il Prof. Sebastiano Cacciaguerra dell’Università di Udine per gli utili e preziosi suggerimenti. 142 La rigenerazione urbana: il caso di Liverpool inglesi (ed europee) Liverpool, con i suoi oltre 30 anni di attività, costituisce un esempio calzante di come si siano evolute le politiche in questo ambito nel tempo, di come cioè si sia tentato il passaggio da una concezione legata alla mera riqualificazione di singole porzioni di territorio, ad una volta alla rigenerazione dell’intera realtà urbana, al fine di ottenere un equilibrio fra aspetti sociali, economici e ambientali. L’obsolescenza del bacino portuale e delle sue strutture di servizio assieme all’introduzione della containerizzazione nel trasporto delle merci hanno determinato la chiusura definitiva del porto, all’inizio degli anni ’70. Negli anni successivi, Liverpool ha così perso circa un quarto della sua popolazione e più della metà delle sue industrie. Da quel momento è stata oggetto di una gran varietà di esperimenti ed iniziative nel campo della riconversione ed inoltre, la celebrazione degli 800 anni della città nel 2007 e la sua proclamazione a Capitale Europea della Cultura per il 2008, hanno di certo contribuito a intensificare quel processo di trasformazione che è in atto da più decenni. 1. La rigenerazione urbana Il termine “rigenerazione urbana” trae le sue origini nella pianificazione britannica della metà degli anni ‘70 ed indica quelle politiche e strumenti che permettono il riutilizzo di aree e edifici dismessi, obsoleti o sottoutilizzati, creando nel contempo nuovi posti di lavoro, un miglioramento dell’ambiente urbano e dell’apparato sociale (C. Couch et Al., 2003). Si cerca così di dare una risoluzione ad ampio spettro dei problemi funzionali della città, cercando di soddisfare contemporaneamente questioni sociali ed economiche e tentando di generare delle ricadute sulla qualità urbana complessiva (P. Roberts, 2000). Si può riconoscere un percorso evolutivo delle diverse generazioni di interventi di rigenerazione delle aree dismesse, percorso che può aiutare a capire anche i diversi stili delle azioni intraprese (A. Spaziante e A. Ciocchetti, 2006). Tre sono le generazioni o le stagioni che possono essere individuate a partire dalla fine degli anni ’70 e che hanno fatto scuola in tutta Europa. La prima generazione di strategie ha avuto luogo agli inizi degli anni ’80 soprattutto in Inghilterra e Francia, poco in Italia poiché qui non era ancora esploso il problema della dismissione. Gli interventi erano prospettati come occasione di rinnovo urbano innovativi e a scala vasta, considerati in grado di attrarre investitori esterni ma solo privati, localizzati nei pressi dei centri funzionali delle città e destinati ad accogliere uffici, centri espositivi, congressuali, commerciali o sportivi. Tali progetti, denominati flagship o prestige projects, si sono dimostrati poco orientati alla creazione di processi di rigenerazione urbana stabile, ma volti più che altro alla riqualificazione di pochi luoghi, in un’ottica prevalentemente immobiliare. Inoltre, questi interventi erano spesso “calati dall’alto”, e cioè erano direttamente guidati dal governo centrale attraverso sue specifiche agenzie (Urban development corporations), oppure potevano essere gestiti dai developers ai quali venivano dati opportuni finanziamenti; in ogni caso, si bypassava e si riduceva ad un ruolo marginale le autorità e le organizzazioni locali. Si è così trattato di progetti per parti, di interventi al di fuori dalla visione complessiva della città, in grado di concentrare i benefici solo su una parte delimitata di territorio. Ciò ha ovviamente contribuito a lasciare al processo di degrado spontaneo una serie di altre aree dismesse, meno appetibili per il mercato immobiliare. D’altro canto, oltre al fatto che hanno evitato il peggioramento delle condizioni di degrado ambientale prodottesi a seguito della dismissione, essi hanno per la prima volta puntato l’attenzione sul rinnovo dell’immagine della città, facendo in modo di voltare la pagina del declino post-industriale per aprire invece quella del consumo culturale ed economico. Si tratta quindi di opportunità mal utilizzate, soprattutto se si considera gli obiettivi ambizioni che si proponevano inizialmente. Esempi di questo tipo si possono trovare a Londra, con la riqualificazione del Canary Wharf (Docklands), a Birmingham con la costruzione del National Arena Indoor. Nei casi 143 Controsservatorio ambiente e territorio PATRIZIA DEL ROSSO citati, si tratta di prestige projects, che a differenza dei flagship projects (progetti bandiera) di scala più ridotta e limitata al contesto urbano - sono dei progetti indirizzati ad attrarre investimenti e potenziali visitatori da fuori, innalzando la città ad un livello di interesse nazionale o anche internazionale e in grado di generare benefici almeno su un contesto regionale (P. Loftman e B. Nevis, 1995). Gli anni ‘90 portano ad abbandonare i flagship/prestige projects a favore di azioni capaci di puntare alla rigenerazione delle aree urbane e non di singoli siti, coinvolgendo un maggior numero di soggetti - tra cui le comunità locali e proponendo obiettivi più ampi, non solo improntati ad una logica immobiliare. Si apre così la seconda generazione di strategie, caratterizzata da una visione più integrata e che punta a miglioramenti durevoli delle condizioni economiche, fisiche, sociali ed ambientali, a strategie urbane complessive, a benefici e costi sia pubblici che privati, ad una partecipazione allargata. Si fanno così spazio programmi come City Challenge (1991) e Single Regeneration Budget che permettono alle autorità locali di costituire e guidare partnership per ottenere fondi da parte del governo centrale al fine di realizzare programmi di rigenerazione (P. Roberts e H. Skyes, 2000). Nel 1994 il Single Regeneration Budget sostituisce il City Challenge, introducendo maggior flessibilità nel processo di finanziamento. Entrambi i programmi riconoscono la necessità di un maggior legame tra i bisogni della comunità locale e le previsione future (cosa che però nell’applicazione non sempre è avvenuta), incoraggiano il cambiamento a lungo termine e permettono di integrare il lavoro di diversi programmi ed agenzie. Alla fine del secondo millennio si afferma una nuova ottica che dà origine ad una terza generazione di interventi, definita dagli inglesi “urban renaissance”. Si introducono così alcuni temi nuovi quali la ricerca dell’equilibrio fra aspetti economici, sociali ed ambientali, in particolare quelli legati alla verifica dell’uso delle risorse nei confronti della equità fra generazioni ed all’interno di ogni generazione; la valorizzazione delle risorse locali; la ricerca di effetti di apprendimento sulle comunità coinvolte; la ricerca di una qualità architettonica e di un maggior dinamismo urbano (A. Spaziante et al. 2006). Uno tra i primi programmi con questi fini è il Millennium Communities, introdotto nel 1997 da English Partnerships1, per creare sette esempi di comunità sostenibile su brownfields sites2. Al termine degli anni ’90, la pianificazione urbana è fortemente influenzata dal documento elaborato dalla Urban Task Force Towards an urban renaissance (1999) e dal seguente Urban white paper (2000), i quali introducono le Urban regeneration companies, delle agenzie di sviluppo con il compito di coordinare e guidare la rigenerazione di specifiche aree. In una prima fase sono state lanciate tre agenzie pilota: Liverpool Vision (1999), New East a Manchester (1999) e Sheffield One (2000). Successivamente, è stato dato il via alla creazione di altre agenzie, in totale una trentina in tutta la Gran Bretagna. Le companies, società indipendenti, sono istituite attraverso una partnership tra l’autorità locali, l’ente di sviluppo regionale ed altri stakeholders (rappresentanti sia degli enti pubblici sia del mondo degli affari). Si cerca ora di capire come si sia evoluta la rigenerazione a Liverpool, ripercorrendo le tre diverse generazioni di strategie. Vari sono gli interventi che hanno interessato la città; in questa sede si è scelto di prendere in considerazione quelli che si trovano all’interno della inner city e che sono più significativi e rappresentativi delle diverse generazioni di interventi, e dunque: la riqualificazione dell’area portuale (Albert Dock) quale caso di prima generazione; il programma Liverpool City Challange East quale rappresentante delle azioni di seconda stagione; Liverpool Vision quale esempio di terza. 1) English Partnerships, introdotta nel 1993, è l’autorità del governo centrale che si occupa di rigenerazione. 2) Ex aree industriali da bonificare. 144 La rigenerazione urbana: il caso di Liverpool 2. Liverpool Anche la città di Liverpool è stata interessata da prestige projects come quello per la riqualificazione della zona portuale e soprattutto dell’Albert Dock, edificio simbolo del porto che si trova nelle immediate vicinanze al centro città. A tal fine, è stata istituita nel 1981 una apposita Urban development corporation, la Merseyside Development Corporation (MDC), un’agenzia del governo centrale con poteri e risorse tali da recuperare pezzi di città dismessa e restituirli a usi economici, con una struttura e uno stile più vicino ad una development company che ad un ente locale (M. Parkinson, 1988). L’agenzia aveva il potere di acquisire, gestire e vendere le aree, di portare avanti i lavori di riqualificazione e di provvedere alla realizzazione delle infrastrutture. Importante all’interno della riqualificazione della zona portuale è stato il recupero dell’Albert Dock, che ha contribuito a generare nuovi entusiasmi in una città drammaticamente segnata da fenomeni di declino urbano ed a localizzare nuovi luoghi attrattori per Liverpool. Il punto di svolta arriva nel settembre 1983 con la firma di un accordo tra il MDC e l’agenzia appositamente creata per lo sviluppo dell’omonimo bacino, l’Albert Dock Company. Nel 1988 il Dock apre ai visitatori e ospita il Marseyside Maritime Museum, il Museum of Liverpool, la Tate Gallery (terminata solo nel 1998), negozi, uffici, appartamenti di lusso, bar e ristoranti. Oggi ospita inoltre il Beatles Story Museum, lo Slavery Museum ed altre attrazioni turistiche. La MDC è stata molto criticata per la sua scarsa responsabilità locale, per la poca coordinazione con le agenzie ed enti locali e per l’uso di ingenti risorse pubbliche concentrate in un’unica area, non favorendo così lo sviluppo di altre zone svantaggiate. Basti pensare che mentre la MDC aveva a disposizione 30 milioni di sterline per la rigenerazione di 11 ettari, il Comune ne aveva a disposizione 37 milioni per la riqualificazione di quasi 95 .000 ettari di città (C. Couch, 2003). Altre critiche le sono poi state mosse in una fase successiva per avere improntato la sua azione in un’ottica di riqualificazione “di facciata”, volta soprat- tutto a recuperare fisicamente un pezzo di città per restituirlo al mercato, senza cioè andare a rigenerare la comunità nel suo complesso. Liverpool City Challenge Centre East, portato avanti da diversi partner pubblici e privati, è stato introdotto nel 1992. Il progetto si proponeva di dare una “visione” dell’area immediatamente a est del centro urbano, basata sulla rigenerazione fisica, sociale, economica. Prevedeva l’innalzamento della qualità di vita, l’introduzione di nuove attività nel campo delle arti (gallerie e laboratori) e della cultura, valorizzando e conservando nel contempo un’area costellata da magnifici edifici e architetture. Contemplava che le aree maggiormente degradate dovessero essere riqualificate e integrate alla tradizionale vita cittadina. La “visione” era poi seguita da una ampia gamme di obiettivi e questioni da affrontare nei 5 anni di durata del programma; tra gli obiettivi volti alla riqualificazione fisica si possono citare la riqualificazione di alcuni edifici, vie e piazze di alto valore storico o architettonico e la riprogettazione di alcuni luoghi con una architettura consona all’intorno. Gli interventi volti alla riqualificazione sociale erano legati all’incremento delle opportunità occupazionali per la popolazione locale ed al miglioramento della qualità di vita degli abitanti (migliorando l’ambiente residenziale e l’accesso alle strutture di servizio). Quelli indirizzati alla rigenerazione del settore delle attività economiche erano sostanzialmente orientati a generare specifiche misure per incoraggiare lo sviluppo di piccole imprese e ad aumentare le attività artigianali e culturali. Una delle critiche che viene mossa a questo programma è che solo in una fase successiva alla definizione della “visione” si sono analizzati i reali problemi dell’area, e ciò è stato fatto in maniera elementare e poco comprovata dalle analisi. Basti pensare che inizialmente il progetto prevedeva un nuovo collegamento stradale (tra Berry e Russel Street), ritenuto basilare per lo sviluppo dell’area, ma senza dare alcun elemento di prova a sostegno di tale richiesta. Il Governo ha così reputato opportuno bocciare l’intervento proposto, in quanto non necessario e poiché altre soluzioni meno 145 Controsservatorio ambiente e territorio PATRIZIA DEL ROSSO impattanti potevano essere possibili. L’iniziativa ha comunque ottenuto molto, almeno per quel che concerne la trasformazione fisica. Entro la fine del millennio il rinnovo di spazi pubblici è stato completato (Pembroke Place/London Road) anche con l’introduzione di una stazione per i bus, negozi e attività per il tempo libero (Queen Square), numerose proprietà sono state convertite o restituite agli usi residenziali (Mount Pleasant/Hope Street/ Canning Street), alcuni edifici storici e architettonicamente importanti sono stati recuperati e rinnovati (St. George Hall/ Philarmonic Hall), altri edifici sono stati riqualificati e adibiti ad ospitare attività sanitarie o scolastiche di pregio (Women’s Educational Centre all’interno di Blackburne House e il Liverpool Institute of Performing Arts nel Liverpool Art Institute). Sono stati inoltre ottenuti dei miglioramenti sull’ambiente percepito in termini di sicurezza e riduzione della criminalità. Il maggior indicatore di successo del Liverpool City Challenge è proprio quello di aver riportato in uso una gran quantità di edifici prestigiosi (vittoriani e georgiani), in disuso da più di 50 anni, che occupavano e tuttora occupano una posizione chiave sia all’interno che nelle immediate vicinanze del centro urbano. Sulla base del documento Towards an urban renaissance, nel 1999 viene istituita Liverpool Vision, una compagnia di rigenerazione urbana non a fini di lucro, per predisporre e realizzare sia progetti di riqualificazione del centro urbano di Liverpool, sia miglioramenti a livello trasportistico. Importante notare che alcuni interventi previsti sono tuttora in fase di realizzazione. La compagnia è fondata da English Partnerships (agenzia del governo), North West Development Agency (ente regionale), Liverpool City Council (istituzione locale). I membri del 3) Liverpool One (di cui Grosvenor è il developer nonché proprietario dell’area e collabora con il City Council) è un ingente progetto di riqualificazione – uno tra i più grandi attualmente in corso in Europa consiglio direttivo rappresentano anche gruppi privati. Il primo anno è stato utilizzato per redigere lo Strategic Regeneration Framework (SRF), documento che individua come il centro cittadino debba modificarsi nei successivi 10 anni. Gli obiettivi indicati nel citato strumento sono molto generici come ad esempio “incentivare un’economia da 21° secolo” oppure “trasformare Liverpool in una tra le destinazione nazionali per lo shopping”. Accanto a questi intenti, sono state identificate diverse aree d’azioni, aventi obiettivi più specifici e dove ciascuna delle quali risponde a specifiche esigenze. Esse sono: 1. Pier Head (quartiere di rappresentanza) 2. Commercial District (centro affari e delle attività economiche) 3. Castle Street (quartiere del lavoro) 4. Lime Street (quartiere culturale - musei, teatro - e stazione) 5. Retail Core (quartiere dei negozi e dello shopping) 6. Hope Street (quartiere culturale, spirituale ed educativo/universitario) 7. King’s Waterfront (quartiere ad uso misto residenziale, ricettivo, uffici, commercio al dettaglio, del tempo libero. Attualmente ospita anche le recentissime costruzioni, previste dal SFR, del Liverpool Arena e Centro Congressi) A queste si sono aggiunte Rope Walks, ereditata da precedenti programmi ancora in atto e di cui alcune aree rientrano del progetto per Liverpool One, Baltic Triangle (a sviluppo residenziale, ricettivo e a piccole attività economiche), University District (per l’aumento dell’offerta universitaria) e Liverpool One3. Le questioni principali che supportano la trasformazione delle aree indicate sono: la proclamazione della città a Capitale Europea della Cultura per il 2008, lo sviluppo di spazi pub- (17 ha) - e si sviluppa su Paradise Street, Hanover Street e S. John Street, utilizzando strade già esistenti. Esso sta trasformando il cuore del centro di Liverpool e sarà composto da usi misti (residenza, com- 146 mercio/vendita al dettaglio, uffici, parcheggi, strutture per il tempo libero e spazi verdi). In sostanza sarà un grandissimo centro commerciale con attività affiliate. Trenta sono i progettisti coinvolti. La rigenerazione urbana: il caso di Liverpool blici, il coinvolgimento e il rafforzamento della comunità, lo sviluppo di attività commerciali. Oltre che ad essere coinvolta nella gestione dei singoli progetti di trasformazione, Liverpool Vision ha soprattutto il compito di coordinare e facilitare il processo di rigenerazione secondo i dettami dello Strategic Regeneration Framework. E’ importante sottolineare quale sia il legame tra gli strumenti urbanistici locali e il SRF e quale sia il rapporto esistente tra l’agenzia e l’autorità locale. In primo luogo, il Liverpool City Council ha redatto lo strumento generale denominato Unitary Development Plan (UDP, 2001), attualmente oggetto della riforma urbanistica del 2004, che include progetti ed indirizzi anche per il centro città. Lo Strategic Regeneration Framework però non coincide esattamente con i dettami dell’UDP, tant’è che quest’ultimo strumento ne recepisce in toto i contenuti. In secondo luogo, nonostante gli sforzi del City Council per pianificare lo sviluppo del centro città in coerenza con il contesto urbano nel suo complesso e le sue parti, l’influenza degli investitori privati è stata maggiore ed i bisogni della cittadinanza sono stati subordinati a quelli necessari a stimolare l’intervento privato. Così è stata predisposta la pianificazione del centro città senza tenere molto in considerazione le reali necessità della comunità nel suo complesso. Anche se i rappresentanti delle autorità locali sono inclusi nel consiglio direttivo di Liverpool Vision, essi sono stati prevaricati numericamente da altri esponenti di interessi privati e settoriali. In questo modo, lo sviluppo della proprietà e l’innalzamento dei valori immobiliari nel centro città hanno costituito e costituiscono ancora oggi il principale motore di sviluppo del progetto; così, si è preso in considerazione solo successivamente la relazione tra il centro città e le altre parti e gli effetti su queste ricadenti. In ogni caso, l’intervento è riuscito a dare un nuovo aspetto a Liverpool e nuovi entusiasmi, introducendo elementi innovativi e competitivi con le altre realtà inglesi (es. Manchester). Essendo ancora in corso, bisognerà aspettare per capire se i risultati saranno effettivamente duraturi. 3. Questioni aperte In ultimo, vorrei porre l’attenzione su alcune questioni che emergono dal caso osservato: la prima riguarda il rapporto tra progettazione per parti e pianificazione urbana complessiva e quindi le ricadute a livello urbano che derivano dal fatto che la riqualificazione avviene per porzioni; la seconda, il rapporto che si crea tra l’interesse pubblico e l’interesse privato quando si va a trasformare una parte del territorio; la terza, il rapporto tra la trasformazione proposta e le funzioni che si prevede verranno insediate; infine, l’entità della soluzione di continuità rappresentata dal progetto tra il passato e il futuro. 1. A Liverpool (ma molti altri potrebbero essere gli esempi) numerosi sono stati gli interventi localizzati su porzioni di territorio comunale – dall’Albert Dock, al Liverpool City Challenge, per arrivare agli interventi di ultima generazione che interessano diverse parti del centro città ma che allo stesso tempo sono unificati da una logica e ottica condivisa (Commercial District, Cultural Quarter, Ratail Core, Live–Work District, Pier Head, King’s Doks, Hope Quarter), e in ultimo i progetti recentissimi e ancora in fieri di Liverpool One e Baltic Triangle (fig. 1). Tali interventi che esiti possono avere sull’intera realtà urbana? E più in generale, gli interventi a pelle di leopardo possono portare ad una rigenerazione urbana complessiva e duratura? Ed inoltre, i diversi progetti, uno assieme all’altro, possono dare una risultante che è maggiore o uguale alle sue parti costituenti? Attualmente una risposta univoca non può essere data proprio perché molti degli interventi citati sono ancora in corso e conseguentemente prevederne gli effetti a livello globale è prematuro. In ogni caso, le trasformazioni per parti generano degli effetti pronosticati ricadenti sulla realtà urbana nel suo complesso ed, essendo progetti parziali, possono dare solo una visione parziale, sebbene inserita in un contesto più ampio. Ovviamente, visti gli obiettivi che i progetti analizzati si danno, si può presupporre che alcune ricadute positive sul contesto urbano (ed anche regionale/nazionale) ci 147 Controsservatorio ambiente e territorio PATRIZIA DEL ROSSO siano; basti pensare ad alcuni elementi attrattori ora presenti in città come ad esempio i musei. Resta il fatto che spesso i progetti di trasformazione si “accavallano” uno sull’altro e ciò lascia presumere una scarsa durabilità dell’intervento (si veda per esempio la riqualificazione della zona portuale della Merseyside Development Corporation soppiantata dalla riqualificazione del King’s Dock prevista da Liverpool Vision), dovuta forse anche a presupposti non propriamente calzanti. La scarsa durabilità è anche acuita dall’attitudine tipicamente inglese al “trasformismo”, per cui il trasformare è considerato come un passaggio ineludibile e continuo, quasi ovvio, che porta innovazione e favorisce l’intervento e l’uso di risorse private. 2. Altra questione, legata alla precedente, è quella del rapporto tra l’interesse collettivo e quello privato. E cioè la visione complessiva della città e i bisogni della collettività sono sempre subordinati a quelli necessari a favorire l’intervento privato che assicura la trasformazione? Questo è successo, come si è già notato, per Liverpool Vision, dove l’autorità comunale, sebbene partner del progetto, non è stata in grado di portare avanti i bisogni della cittadinanza, e pure per Liverpool One sta succedendo la stessa cosa. Anche nei primi interventi (si veda l’Albert Dock) le autorità e le organizzazioni locali erano poco partecipi alla riconversione, ma con modalità differenti, in LIVER PO O L O N E ALBER T DO CK C ITY C H ALLEN G E BALTIC TR IAN G LE Fig. 1 Interventi di rigenerazione nel centro città di Liverpool dal 1980 ad oggi quanto la Urban development corporation era gestita direttamente dal governo centrale e volutamente non coinvolgeva le organizzazioni locali, anche per accelerare procedure e tempi. Come garantire quindi che l’interesse collettivo non venga esautorato dall’intervento privato? Si deve per forza rinunciare da una parte all’intervento privato - e quindi alla trasformazione - o dall’altra al riconoscimento dell’interesse collettivo, compromettendo la realizzazione dell’intervento e la sua sostenibilità? 3. La terza questione riguarda il rapporto tra il recupero del passato e la trasformazione, ossia le modalità con cui viene recuperato il “contenitore”. Di norma viene preferita la trasformazione alla conservazione dell’edificio, anche perché stimola maggiormente l’intervento privato e l’immobile può così prestarsi a diverse interpretazioni. Nel caso specifico di Liverpool, gli interventi di seconda stagione sono stati invece effettuati conservando e riqualificando gran parte del patrimonio edilizio esistente; infatti, come si è già potuto notare, l’obiettivo di progetti quali City Challange è stato proprio quello di riportare all’uso ingenti parti di patrimonio edilizio esistente, spesso architettonicamente e storicamente importante. Liverpool Vision prevede la conservazione di alcune aree ma allo stesso tempo la demolizione e ricostruzione di altre (ad es. parte del quartiere commerciale, parte di Lime Street). Tali interventi di trasformazione vengono operati sul territorio in maniera puntuale (nel documento di progetto infatti vi è una mappa con indicati i vari interventi da effettuare edificio per edificio). Liverpool One, invece, con i suoi 17 ettari di superficie nel cuore della città, ad un passo dall’Albert Dock, prevede la radicale trasformazione dell’area in cui si situa. Esso sarà costituito da più di 30 edifici ideati da architetti diversi e improntati su una logica definita dal progetto medesimo da “III millennio”. In tal modo, quindi, la città avrà un cuore totalmente nuovo soprattutto dal punto di vista fisico-estetico, destinato prettamente al commercio e ad attività affiliate. Attenzione deve venir posta però nella volontà di non ricercare altre identità che poco 148 La rigenerazione urbana: il caso di Liverpool Pier Head and Waterfront Retail Core Liverpool One Albert Dock Fig. 2 Liverpool dal fiume Mersey – trasformazioni in atto (ottobre 2007) interpretano il contesto e che possono portare ad una standardizzazione dell’immagine delle città, rendendo ciascun luogo simile all’altro (ad effetto della globalizzazione?). 4. Ultima questione che pongo in questa sede è quella che riguarda il rapporto tra la riconversione e le funzioni. Dai progetti/programmi analizzati si può desumere che gli interventi prediligono maggiormente funzioni volte al consumo culturale ed economico (musei, attività commerciali, turistiche, ricettive), molto probabilmente perché tali operazioni sono tra le più remunerative. Dobbiamo pertanto immaginarci delle ampie zone adibite a grandi centri commerciali, affiancati da funzioni terziarie, turistiche e culturali, come d’altronde sta succedendo non solo in Inghilterra (Liverpool e Manchester)? E la residenza? Quale futuro per il centro città? * Bibliografia C. Couch, C. Fraser e S. Percy (2003), Urban regeneration in Europe, Blackwell Publishing, Oxford (UK). C. Couch e A. Dennemann, (2000), Urban development and sustainable in Britain, in “Cities”, vol. 17 n. 2, 127-147, Ed. Elsevier Science. E. Dansero (1993), Dentro ai vuoti. Dismissione industriale e trasformazioni urbane a Torino, Collana di studi e ricerche del Dipartimento Interateneo Territorio di Torino, Edizioni Libreria Cortina, Torino. M. Dragotto, C. Gargiulo (2003), Aree dismesse e città: esperienze di metodo, effetti di qualità, FrancoAngeli, Milano. G. Giovanelli (1997), Oltre la dismissione: da spazio marginale a luogo urbano, in “Aree dismesse & riqualificazione”, Alinea Edizioni, Firenze. Liverpool City Council (2001), Liverpool Unitary Development Plan 2002-2016 - Paper issues. Liverpool Vision (2000), Strategic Regeneration Framework. P. Loftman e B. Nevis (1995), Prestige projects and Urban regeneration in the 1980’s and 1990s: a review of benefits and limitation, in “Planning and Practice research”, vol. 10, n. 34, Journals Oxford, Oxford (UK). M. Parkinson (1988), Urban regeneration and development corporations: Liverpool Style, in “Local economy”, vol. 3, n. 2, 109-118, Routledge, London (UK). P. Roberts e H. Sykes (2000), Urban Regeneration: a Handbook, Sage Publications, London (UK). A. Spaziante e A. Ciocchetti (2006), La riconversione delle aree dismesse: la valutazione, i risultati, FrancoAngeli, Milano. Urban Task Force (1999), Towards an urban renaissance, Landor Publishing, London (UK). 149
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