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ROCCO E I SUOI FRATELLI Regia: Luchino Visconti – soggetto: dai racconti “Il ponte della Ghisolfa” di Giovanni Testori e “Giuseppe venduto dai fratelli” di Thomas Mann – sceneggiatura: Luchino Visconti, Suso Cecchi D’Amico, Vasco Pratolini, Pasquale Festa Campanile, Enrico Medioli, Massimo Franciosa – fotografia: Giuseppe Rotunno – montaggio: Mario Serandrei – scenografia: Mario Garbuglia – costumi: Piero Tosi – musiche: Nino Rota. Interpreti: Renato Salvatori (Simone), Alain Delon (Rocco), Annie Girardot (Nadia), Paolo Stoppa (l’impresario pugilistico), Claudia Cardinale (Ginetta), Katina Paxinou (Rosaria Parondi). Produzione: Goffredo Lombardo per la Titanus B/N – Italia – 1960 Rosaria Parondi, vedova, arriva a Milano dalla Lucania con i quattro figli, Simone, Rocco, Ciro e Luca. Un quinto Vincenzo, è già da tempo nella città, ha trovato una buona occupazione e sta per sposarsi. La famiglia va ad abitare in una cantina disabitata di un quartiere popolare. Qui Simone conosce Nadia, una ragazza di vita di cui s’innamora. Spinto ad intraprendere la carriera pugilistica, Simone inizia trionfalmente il suo apprendistato, ma presto l’amore e la gelosia per Nadia gli fanno trascurare gli allenamenti. Finisce in prigione per un furto, e intanto Rocco, che ha conosciuto Nadia, viene persuaso a sostituirlo sul ring, diventando in breve tempo un campione conosciuto in tutt’Europa. All’uscita di prigione Simone sorprende Rocco con Nadia: violenta la donna e picchia il fratello. Rocco lascia la donna al fratello, ma un giorno, durante una festa per l’ennesima vittoria del pugile, compare Simone disperato: ha ucciso Nadia. Nel finale, Luca, appena assunto all’Alfa Romeo come operaio, racconta a Luca, il fratello ancora adolescente, le vicende familiari. Si potrebbe interpretare Rocco e i suoi fratelli come una parte seconda di La terra trema. La sconfitta dei Valastro prelude inevitabilmente all’emigrazione, cioè alla fine della società meridionale legata alla terra o ai mestieri tradizionali. Non a caso, la sceneggiatura originale prevedeva un prologo – mai girato – ambientato in Basilicata, in cui si sarebbe dovuto vedere il funerale del marito di Rosaria e la sepoltura in mare, secondo il rito marinaresco di quei luoghi. L’esordio “in medias res”, con l’arrivo nella metropoli segna altresì – fin dalle prime sequenze – la definitiva integrazione nella modernità: traumatica nelle vicende tragiche di Rocco, Simone e Nadia; sostanzialmente positiva nella testimonianza finale di Ciro, operaio, dunque portatore di una nuova utopia per i “vinti”. Il didascalico socio-politico – in linea con le diverse e contraddittorie analisi del boom economico – non è comunque la traccia principale del film. Ovvero, è riduttivo interpretarlo in questa chiave, tanto più che Visconti si era lasciato alle spalle il realismo classico e documentario dal 1948, cioè proprio da La terra trema. In realtà, ciò che colpisce nel film è invece, l’inserire i temi d’attualità – la fine del mondo meridionale, l’emigrazione, la dissoluzione della famiglia patriarcale – entro una serie di riferimenti colti: non solo i Mann e Testori citati nei titoli di testa, ma il teatro di Miller (Uno sguardo dal ponte), Dostoievski (per il personaggio di Rocco, il puro, cioè L’idiota del romanziere russo), e soprattutto la tragedia classica, utilizzata dal regista attraverso una sovrascrittura quasi operistica. Non a caso, l’uccisione finale di Nadia è una vera e propria citazione della Carmen di Bizet. Insomma la grandezza del film, la sua durata storica, è proprio in questa commistione tra diagramma sociologico e coscienza estetica: anche il mondo contemporaneo si può leggere attraverso i classici.
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Rocco e i suoi fratelli
Regia: Luchino Visconti; Sogg.: L. Visconti,
Vasco Pratolini e Suso Cecchi D’Amico (da Il
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Scenegg.: L. Visconti, S. Cecchi D’Amico,
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