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NUMERO 53 - NOVEMBRE 2012 SISE SOCIETÀ ITALIANA DEGLI STORICI ECONOMICI r e t t e l s w e n GIORNATA DI STUDI SISE “LA STORIA ECONOMICA TRA ABILITAZIONI SCIENTIFICHE NAZIONALI E VALUTAZIONE DELLA RICERCA” ROMA, 9 FEBBRAIO 2013 Si terrà a Roma il 9 febbraio 2013, presso l’Aula Magna del Rettorato dell’Università di Roma Tre, in via Ostiense 159, la Giornata di Studio SISE su “La Storia Economica tra abilitazione scientifiche nazionali e valutazione della ricerca”, organizzata dall’Università di Roma Tre, da CROMA e dal Dipartimento di Scienze Giuridiche, Storiche, Economiche e Sociali dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro. I lavori avranno inizio alle ore 10 con i saluti e la relazione di ANTONIO DI VITTORIO (Presidente della S ISE), La Storia economica tra abilitazioni scientifiche nazionali e valutazione della ricerca. Seguirà la discussione. Alle ore 11 avrà inizio l’Assemblea della SISE con il seguente ordine del giorno: relazione del Presidente, approvazione delle nuove iscrizioni, relazione del Tesoriere, relazione dei Revisori dei Conti sul bilancio del 2012, approvazione del bilancio 2012, varie ed eventuali. Le operazioni di voto per il rinnovo delle cariche sociali della SISE si svolgeranno in un aula attigua a quella in cui avrà luogo l’Assemblea dalle ore 11 alle ore 13. La Segreteria SISE sarà aperta dalle ore 9 sino alla chiusura del seggio elettorale per la regolarizzazione della quota d’iscrizione che dà diritto al voto. Per il rinnovo delle cariche sociali sono state presentate le seguenti candidature: per la Presidenza: ANTONIO DI VITTORIO. per il Consiglio Direttivo: F RANCO A MATORI, M ARCO BELFANTI, GIUSEPPE DI TARANTO, PAOLO FRASCANI , ANDREA L EONARDI , G IAMPIERO N IGRO , M ARIO T ACCOLINI , C ARLO TRAVAGLINI. per il Collegio dei Revisori dei conti: ANGELO MOIOLI, GIAN LUCA PODESTÀ, MARIA STELLA ROLLANDI. CONVEGNO DI STUDI SISE “DALLE CRISI ALLE ETÀ DI CRISI. UN DISCORSO DI ECONOMIA COMPARATA” PIACENZA, 19-20 OTTOBRE 2012 Si è tenuto a Piacenza il 19 e 20 ottobre 2012 il Convegno di Studi SISE “Dalle crisi alle età di crisi. Un discorso di economia comparata”, che chiude il ciclo quadriennale di attività della SISE aperto con il Convegno di Ancona del novembre 2009. L’iniziativa si è avvalsa dell’apporto della Banca di Piacenza, che ha ospitato i lavori nella sua prestigiosa sede di Palazzo Galli, e ha avuto il sostegno della Regione Emilia Romagna, della Città e della Provincia di Piacenza ed il contributo del Dipartimento di Scienze Economiche e Metodi Matematici - Area di Storia Economica dell’Università di Bari. I lavori del Convegno sono stati aperti dai saluti delle autorità per proseguire con l’introduzione di GIACOMO VACIAGO (Università Cattolica, Milano) su Crisi globale ed economia italiana. La crisi attuale, nella sua triplice declinazione di crisi dell’economia globale, dell’euro e dell’economia italiana a parere del relatore era prevedibile, anzi è stata prevista da alcuni economisti, che già prima del crollo dei mercati avevano rilevato numerosi e gravi Buone Feste [segue a p. 2, 1a col.] PAG. 1 Attività SISE PAG. 6 Conferenze e convegni PAG. 20 Visto? PAG. 30 Eventi PAG. 30 Call for papers tter SISE e l s new Commissione per l’abilitazione scientifica nazionale nel settore concorsuale 13/C1 Storia Economica È stata nominata con Decreto Direttoriale n. 583 del 30 novembre 2012 la commissione per l’abilitazione scientifica nazionale alla prima e seconda fascia dei professori universitari nel settore concorsuale 13/C1 - Storia Economica. La commissione è costituita dai professori: GIULIO FENICIA (Università di Bari), ANTONI JOSEP FURIÒ DIEGO (Università di Valencia), RENATO GIANNETTI (Università di Firenze), PAOLA PIERUCCI (Università di Chieti - Pescara), GIAN LUCA PODESTÀ (Università di Parma). [segue da p. 1, 2° col.] errori nel comportamento degli operatori economici. Scelte di investimento o di spesa azzardate da parte di aziende e di Stati erano state giustificate sulla base di teorie economiche la cui applicabilità a situazioni reali era sottoposta a condizioni tanto stringenti da essere praticamente impossibili da soddisfare. Ci si è comportati, ha proseguito VACIAGO, come se i mercati fossero improvvisamente diventati perfetti, alimentando l’illusione che il mondo della finanza e l’intero sistema economico funzionasse in un modo del tutto diverso dalla realtà. In un paese come gli Stati Uniti, in cui la disponibilità di aree edificabili è quasi illimitata, i prezzi delle case sono raddoppiati nel corso di un decennio, alimentando una crescita dei consumi finanziata quasi esclusivamente con il ricorso al credito. In queste condizioni era inevitabile che la bolla dovesse scoppiare. In Europa il sogno dell’euro si è trasformato in un incubo perché ogni paese, dalla Grecia alla Spagna all’Italia per giungere alla Germania, invece di sviluppare specializzazioni complementari ed eliminare le inefficienze ha scelto di difendere le sue aziende e banche meno concorrenziali, salvandole dall’inesorabile fallimento. La situazione di crisi della moneta unica è resa manifesta dal livello raggiunto dagli spread, che, nel caso dei paesi mediterranei, sono tornati ai valori sui quali si trovavano, alla metà degli anni Novanta, quando ancora esistevano le diverse valute nazionali. In questo contesto i processi di riallineamento, che in precedenza avvenivano attraverso svalutazioni, richiedono l’adozione di politiche economiche fortemente restrittive, con l’effetto di provocare un forte aumento della disoccupazione, destinata a rimanere su li- 2 velli elevati per un lungo periodo di tempo. Ma già prima che l’aumento dello spread ponesse le aziende italiane in una condizione di svantaggio nella competizione con i loro concorrenti nordici all’interno del mercato europeo, l’Italia si era rivelata incapace di creare un contesto favorevole all’innovazione, all’imprenditorialità, al miglioramento del capitale umano. Aveva così rinunciato a crescere in un mondo in continuo movimento, nel quale stare fermi significa arretrare. L’attività convegnistica è proseguita sotto la presidenza di ANGELO MOIOLI (Università Cattolica, Milano), Con la relazione di GIUSEPPE DE LUCA (Università di Milano - Statale) su La crisi in età preindustriale, focalizzata sulla crisi del Seicento, uno dei temi più trattati e discussi nel dibattito sulla storia economica dell’età moderna. Nel secondo dopoguerra la storiografia inglese, soprattutto quella di matrice marxiana, ha individuato nella crisi del Seicento una fase cruciale nella transizione dal feudalesimo al capitalismo. Hobsbawm ha fatto risalire proprio a questo periodo storico le origini di quel processo di divergenza che ha indirizzato le aree nord-occidentali del continente sulla via dello sviluppo capitalistico, avviando invece il Mediterraneo e l’Europa orientale verso un destino di stagnazione, se non di decadenza. Una lettura d’insieme della storia del vecchio mondo, all’interno della quale la storiografia marxista anglosassone attribuiva agli aspetti economici della “crisi generale” del Seicento un peso maggiore rispetto a quello assegnato ai pure importanti eventi politici del secolo. Una tesi ripresa, sia pure da prospettive diverse, da chi ha collocato nel Seicento, e non più nel tardo Rinascimento o nel primo periodo delle dominazioni straniere, le origini del declino italiano e della perdita del primato. Ruggero Romano ha individuato negli anni 1619-1622 una catastrofica crisi malthusiana, mentre Rosario Villari ha descritto il Seicento come il secolo della rifeudalizzazione e della comparsa dell’arretratezza nel Meridione. Negli anni Settanta il mutamento delle tendenze storiografiche, con il moltiplicarsi di voci critiche nei confronti di una visione troppo anglocentrica della modernità, ha aperto la strada a nuovi approcci – dalla protoindustria al neoistituzionalismo – che hanno consentito di portare alla luce fenomeni di dinamismo e crescita in età preindustriale sino ad allora ignorati. La crisi ha cominciato a non apparire più un fenomeno generalizzato, pressochè universale, ma ha assunto caratteri e forme diverse a seconda dei contesti nazionali e regionali. Vennero così rivalutati aspetti di continuità e processi di trasfor- 3 mazione, come quelli colti da Sella e De Maddalena nella Lombardia del Seicento. Più di recente Malanima, con un approccio di tipo neoclassico, ha rilevato come l’aumento del prodotto pro capite nel corso del Seicento abbia posto le premesse per una fase di crescita che a sua volta ha costituito la base sulla quale sono andate ad innestarsi le dinamiche settecentesche. Una revisione è in corso anche per il paese che più di altri ha finito per rappresentare, su scala europea, il modello in negativo della crisi seicentesca, la Spagna asburgica. Non più caratterizzato in modo univoco come secolo di crisi, il Seicento si scompone dunque in una serie di fasi di difficoltà distribuite nel tempo, diverse l’una dall’altra per cause e natura, ed intervallate da periodi di stagnazione o ripresa. Gli studi puntuali sulla crisi del 1590 hanno contribuito a mettere in luce le relazioni tra variabili economiche e scelte politiche, facendo emergere il ruolo dello Stato, al centro dei lavori del seminario organizzato a Bari sul tema della finanza pubblica in età di crisi. Lo studio del versante finanziario delle crisi ha sollevato notevole interesse. Studi recenti hanno dimostrato come le famose bancarotte spagnole siano in realtà dei consolidamenti del debito pubblico. Nel caso italiano si è delineata una precoce financial revolution cinquecentesca, mentre le crisi che colpiscono i centri finanziari della penisola possono essere in qualche misura interpretate come delle sfide cui si risponde con formule innovative, quali la creazione di banche pubbliche, un’istituzione destinata ad essere imitata in Olanda e in Inghilterra nel secolo successivo. Concludendo la sua trattazione il relatore ha voluto mettere sull’avviso contro un abuso della categoria della crisi, che induce lo studioso a vedere il patologico anche dove non v’è che la normalità. Per questo bisogna definire con rigore i criteri in base ai quali individuare le crisi e non inflazionare l’impiego del termine. GIOVANNI PAVANELLI (Università di Torino) ha aperto il suo intervento Crisi e teorie del ciclo ricordando come le scienze economiche abbiano preso a prestito l’idea di ciclo dalle scienze naturali derivando da esse anche la convinzione che i sistemi soggetti a perturbazioni cicliche siano dotati di una tendenza intrinseca a tornare in condizioni di equilibrio. In generale i classici riservarono poca attenzione al tema dei cicli economici e restarono fedeli alla legge degli sbocchi di Say, che portava ad escludere fenomeni di sovraproduzione. Non mancarono comunque studiosi che già nell’Ottocento si interessarono allo stu- tter SISE e l s new dio dei cicli economici, come Jevons, che nel 1875 presentò la sua teoria che attribuiva le oscillazioni delle variabili economiche alla periodicità delle macchie solari. Gli studi sui cicli e sulle crisi si moltiplicarono negli anni Venti del Novecento in risposta all’esigenza di comprendere le cause che stavano alla base della forte instabilità dell’economia del primo dopoguerra. È in questo periodo che nascono gli istituti per lo studio dell’andamento dell’economia e della congiuntura, vengono raccolti grandi quantità di dati statistici ed elaborati i primi modelli previsionali, i barometri economici. La spiegazione prevalente circa l’esistenza dei cicli e delle crisi collega questi fenomeni con fattori di carattere monetario, un approccio fatto proprio anche da Mises e von Hayek. Keynes nella Teoria generale sviluppò un sistema del tutto nuovo, che comportò l’abbandono della legge di Say. In generale si contrappongono due concezioni: una di impronta classica e neoclassica, che descrive l’economia come un sistema intrinsecamente tendente alla stabilità e al pieno utilizzo delle risorse e in cui la ciclicità deriva dall’impatto di shock esogeni, diffusi e amplificati da distorsioni strutturali; una seconda, eterodossa, che vede l’economia come un sistema intrinsecamente instabile e attribuisce un ruolo determinante per la crescita a forme di governo dei processi di un mercato, di per sè incapaci di autoregolarsi. Si colloca al di fuori di questo dualismo la teoria di Schumpeter, secondo il quale le fluttuazioni cicliche non vanno interpretate come perturbazioni rispetto al normale funzionamento del sistema economico, ma costituiscono l’essenza stessa del capitalismo perchè attraverso un processo di distruzione creativa eliminano il conservatorismo, l’arretratezza, le inefficienze e la routine. L’intervento di PAOLO MALANIMA (ISSM-CNR, Napoli), Le crisi agrarie tradizionali in Inghilterra e Italia 1600-1900, si è concentrato sullo studio delle crisi di breve periodo in età preindustriale e sui loro effetti sull’andamento delle variabili demografiche. Riprendendo le tematiche affrontate da Wrigley e Schofield per il caso dell’Inghilterra, dove a partire dalla metà del Settecento si osserva una tendenza alla attenuazione delle crisi demografiche e al calo della mortalità, il relatore si è posto il problema se sia possibile condurre una ricerca simile per l’Italia. Attraverso la definizione di un paniere di beni e utilizzando i risultati degli studi su prezzi e salari già svolti dal relatore nel corso degli anni Novanta è stato possibile calcolare i salari reali tra diciassettesimo e diciannovesimo secolo. Ne risulta una lunga fase di stagnazione dei salari che variano di poco nel corso del periodo osservato. Dal raf- tter SISE e l s new fronto tra l’andamento dei salari reali con quello delle variabili demografiche si ricava che i primi, e quindi indirettamente i prezzi, nel breve termine avevano un forte effetto diretto su natalità e nuzialità, ed uno inverso, ma più moderato, sulla mortalità. Non è invece stato possibile riscontrare una correlazione statisticamente significativa tra l’andamento del clima e quello dei prezzi e delle dinamiche demografiche di breve periodo, probabilmente perchè i fattori in grado di influenzare la buona riuscita dei raccolti erano molteplici e interagivano in modo complesso. Allargando lo sguardo sul lungo periodo il confronto tra salari e variabili demografiche dimostra, secondo il relatore, che l’Italia resta a lungo all’interno di un sistema economico e demografico di tipo tradizionale. Le crisi di mortalità, divenute meno frequenti ed accentuate in Inghilterra già nel corso del Settecento, in Italia proseguono sino all’Unità ed oltre, per scomparire solo dopo il 1880, quando il paese si approssima all’avvio della crescita economica moderna. Alle relazioni è seguita la discussione. In serata si è svolta la cena sociale SISE. I lavori del Convegno sono ripresi sabato 20 ottobre sotto la presidenza di FRANCO AMATORI (Università Bocconi, Milano) con la relazione di PIETRO CAFARO (Università Cattolica, Milano) su Le crisi bancarie tra Otto e Novecento. Il relatore ha aperto il suo intervento affrontando alcuni nodi di carattere metodologico, relativi alla definizione di crisi bancaria: se si volesse identificare la crisi bancaria con fenomeni di fallimento “a grappolo” degli intermediari finanziari, allora bisognerebbe concludere che nel periodo compreso tra l’entrata in vigore della legge bancaria del 1936 e gli anni Ottanta in Italia non vi furono situazioni critiche. Inoltre vi sono casi di fallimenti bancari che si presentano come “fulmini a ciel sereno”, episodi a sè stanti, privi di legami con crisi finanziarie di portata più generale o con situazioni di stress prolongato in grado di creare difficoltà acute anche all’interno di un quadro fortemente controllato e amministrato come quello vigente in Italia a partire dagli anni Trenta. Una ulteriore problema nel giungere ad un’interpretazione complessiva del fenomeno delle crisi bancarie è costituita dalla complessità e disomogeneità del settore bancario e finanziario italiano del tardo Ottocento, una mescolanza di banchieri privati spesso attivi anche come mercanti-imprenditori, di casse di risparmio, di banche popolari, di casse rurali, molto spesso soggette ad un’esistenza precaria e travagliata. Una realtà in origine poco integrata a livello nazionale e con scarsi collegamenti con il più vasto scenario europeo. 4 Le cause e le dinamiche delle crisi ottocentesche e del primo Novecento sono ben note, così come sono state approfonditamente studiate quelle che dall’immediato dopoguerra portarono, quasi senza soluzione di continuità, alla grande crisi mondiale degli anni Trenta. Il periodo precedente alla legge bancaria vide numerosi fallimenti, anche in periodi “normali”, mentre dopo il 1936 le crisi vennero risolte dall’intervento della Banca d’Italia, che orchestrò fusioni e incorporazioni, limitò la concorrenza e, col tempo, finì per trasformare il sistema bancario italiano nella “foresta pietrificata” bersaglio di feroci critiche a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso. Se da un lato va riconosciuto che sotto la protezione della mano pubblica il nostro sistema bancario è riuscito ad evitare gravi crisi, è chiaro che oggi una situazione del genere non è più adeguata, nè praticabile. Ma se le crisi bancarie presentano molti caratteri simili tra loro, allora va attentamente considerato quanto scriveva Pantaleoni a proposito della crisi del Credito Mobiliare, sostenendo che gli istituti di credito rispecchiano i pregi ed i difetti del paese, della sua economia, della sua classe dirigente e della sua società nel complesso. PIERANGELO TONINELLI (Università di Milano - Bicocca) nella sua relazione su Le conseguenze della “Grande Crisi” (1929-1939) ha raggruppato le numerose interpretazioni elaborate per spiegare la crisi degli anni Trenta in quattro diverse categorie generali. Tra i modelli teorici si possono distinguere quelli che attribuiscono la responsabilità della crisi a fattori reali: a partire dall’offerta, attraverso una sovraespansione, quali le interpretazioni marxiane, o a partire dalla domanda, quali l’approccio keynesiano e le teorie della stagnazione. Tra queste ultime quella che fa dipendere il calo della domanda di beni dalla crescente diseguaglianza nella distribuzione del reddito ha conosciuto notevole fortuna negli anni del New Deal e di recente è tornata ad essere argomento di discussione in seguito all’evoluzione dei patrimoni e dei redditi negli Stati Uniti dell’ultimo ventennio. Numerosi ed influenti sono i sostenitori delle cause finanziarie della crisi, spiegazione fatta propria, tra gli altri, da Fischer, Friedman e, più di recente, da Bernanke. Sono infine da ricordare gli approcci eterodossi, nella maggioranza dei casi di tipo istituzionalista, come quello di Hayek, e la peculiare analisi ciclica di Schumpeter. I modelli di historical economics identificano le cause della crisi secondo i casi nella assenza di un prestatore di ultima istanza, nel ritorno ad un gold standard non più in grado di assicurare la correzione degli squilibri finanziari o nello shock 5 indotto dal forte aumento della produttività agricola. In passato Galbraith aveva indicato più cause concomitanti della crisi: la sperequazione dei redditi, la struttura monopolistica dell’economia, la scarsa regolazione finanziaria, l’eccesso di indebitamento scarsamente garantito, l’impreparazione della scienza e della politica economica nel rispondere ad un evoluzione dei mercati del tutto imprevista. Molti di questi aspetti sono richiamati anche per spiegare la crisi attuale. Le conseguenze di breve periodo della crisi, aggravata dall’adozione di politiche economiche restrittive e dal tentativo di mantenere il legame delle monete con l’oro, sono ben note: diffusione del protezionismo, quando non di politiche orientate al raggiungimento dell’autarchia, crescita dei movimenti nazionalisti, disgregazione del sistema degli scambi internazionali. Nel medio periodo si affermano invece politiche di intervento pubblico mirate a ridurre gli effetti della crisi attraverso politiche monetarie espansive, l’aumento della spesa statale, investimenti infrastrutturali ed un rafforzamento del welfare state. Alla crisi bancaria si risponde con una più stretta regolamentazione dei mercati finanziari attraverso provvedimenti quali l’istituzione negli Stati Uniti della SEC e il Glass-Steagall Act. GIUSEPPE CONTI (Università di Pisa) ha aperto la sua relazione su Mercati e crisi finanziaria tra XX e XXI secolo notando che vi è un generale consenso tra storici ed economisti sul fatto che le crisi finanziarie si possano evitare. Le crisi sono state variamente attribuite ad inerzie, errori, alla insipienza individuale e collettiva. In alcuni degli instant book usciti di recente sulla crisi attuale si parla del fallimento del mercato. Sul versante opposto, non mancano interpretazioni che attribuiscono all’intervento del governo e della banca centrale statunitense la responsabilità di aver alimentato e rafforzato la bolla speculativa. Su posizioni intermedie si collocano numerosi altri autori, da Stiglitz a Roubini solo per citare i più noti, che in varia misura imputano la crisi sia al comportamento dei mercati che a quello delle istituzioni. In molti casi si rileva una volontà di contrapporre, in un dualismo manicheo, stato e mercato, che in realtà costituiscono i due poli imprescindibili per il funzionamento dei sistemi economici moderni, e a stabilire una connessione diretta e necessaria tra i processi di liberalizzazione avviati negli anni Ottanta e la recente crisi globale. Si tratta di ricostruzioni non del tutto prive di riscontri, ma comunque parziali nel non tenere conto di altri fattori concomitanti, come ad esempio della crescita dei paesi emergenti o dalla diffusione di nuove tecnologie dal- tter SISE e l s new le ricadute produttive rivoluzionarie. Le vicende degli ultimi anni vanno però inserite nell’evoluzione dei sistemi finanziari nell’ultima fase del sistema di Bretton Woods e nel corso degli anni Settanta, con lo sviluppo degli euromercati ed il passaggio ad un regime di cambi flessibili, sviluppi che hanno portato già prima dell’avvento della Tatcher e di Reagan ad una perdita di efficacia delle forme di regolamentazione concepite negli anni Trenta ed attuate nel secondo dopoguerra. In questa prospettiva si avverte l’esigenza di approfondire le ricerche sugli anni Settanta, una fase relativamente poco conosciuta dell’evoluzione delle economie e dei sistemi finanziari occidentali. Gli accordi di Bretton Woods hanno stabilizzato a lungo non solo il corso delle monete, ma pure l’andamento dei prezzi. Il suo venir meno nel corso degli anni Settanta ha portato ad un forte aumento dell’instabilità dei prezzi, che comunque si è mantenuta su livelli inferiori rispetto a quella verificatasi negli ultimi anni. Un relativo assestamento cominciò a profilarsi con la nomina di Volcker alla guida della FED e con la fondazione in Europa dello SME. PAOLO FRASCANI (Università di Napoli - L’Orientale) affrontando il tema La lezione dalle crisi ha posto la questione del rapporto tra Storia Economica, Economia e Storia, sottolineando come fosse emerso anche nel corso della discussione delle relazioni della prima giornata del Convegno la ritrosia degli storici di fronte alla possibilità di ricavare “lezioni” dalla storia. L’economista invece ricava dal passato dei modelli e delle proposte. Negli anni Sessanta il dibattito sulla crisi del Seicento costituì un’occasione fruttuosa di incontro e di confronto tra discipline diverse all’interno del quale la Storia economica svolse un ruolo centrale. In quella occasione si dimostrò come, pur mantenendo le sue specificità, l’apertura della disciplina agli stimoli, suggestioni e dibattiti provenienti dall’esterno dovesse essere a tutto campo. Dalla crisi degli anni Trenta si esce con un approccio teorico nuovo, l’economia dello sviluppo, che ha segnato in modo profondo l’evoluzione della Storia economica nel secondo dopoguerra, da Rostow e Gerschenkron in poi. Gli anni Settanta, con la riaffermazione della teoria neoclassica, segnano un discrimine che gli eventi recenti sembrano mettere in discussione. La crisi attuale deve indurre ad aprire nuove prospettive. In questa età di crisi, di cambiamenti strutturali, abbiamo tutti ben presente le difficoltà incontrate dalla politica nell’intervenire sull’economia. L’economia detta l’agenda alla politica e questo rimette in discussione il ruolo della storia contemporanea, tter SISE e l s new aprendo interessanti possibilità di dialogo e di arricchimento reciproco col contronto con le discipline storico-sociali, oggi in evidente difficoltà nel comprendere la crisi e le sue molteplici implicazioni. Infine il rapporto tra economia e mentalità, oggi come nel passato, va approfondito perchè costituisce una dimensione essenziale di cui tenere conto per analizzare l’effettivo funzionamento delle istituzioni. Terminata la discussione GIOVANNI FEDERICO (Università di Pisa), membro del gruppo di lavoro libri e riviste scientifiche dell’area 13 nominato dall’ANVUR nell’ambito della procedura di abilitazione scientifica nazionale, ha illustrato i criteri e le procedure seguiti nell’individuare i periodici di classe A da utilizzare per il calcolo della terza mediana nei macrosettori concorsuali dell’area economica. Nel corso della discussione è stata ribadita l’esigenza di un’adeguato riconoscimento delle specificità della Storia Economica e dei suoi stretti rapporti anche con l’area delle discipline storiche attestata dai numerosi ed importanti contributi pubblicati da molti esponenti del nostro macrosettore in periodici inclusi tra le riviste di classe A dell’area storica. CONFERENZE E CONVEGNI Seminario Internazionale: The History of European Infrastructure Finance, Milano, 22-23 giugno 2012. Il 22 e il 23 giugno 2012, presso la Sala di rappresentanza dell’Università degli Studi di Milano, sono stati presentati i risultati intermedi del progetto europeo ‘The History of European Infrastructure Finance’, finanziato grazie ad un bando triennale (2010-13) EIBURS (European Investment Bank University Research Sponsorship). Il Seminario si è articolato in quattro sessioni e in una tavola rotonda conclusiva; la prima sessione è stata dedicata ad un key-note speech che ha offerto un quadro di riferimento generale, mentre le altre tre hanno raccolto i risultati delle quattro unità di ricerca coinvolte nel progetto, vale a dire quella dell’Università di Milano (principal investigator G. De Luca), quella della LudwigMaximillians Universität, München (principal investigator N. Grove), quella della Bauhaus-Universität Weimar (principal investigator H.W. Alfen), e quella dell’Universidad de Cantabria (principal investigator D. Diaz Fuentes). 6 Introdotto da MASSIMO FLORIO (Università di Milano Statale), e da HUGH GOLDSMITH (Head of Division Water & Waste Management, EIB), che ha illustrato lo scopo del progetto, il Seminario si è quindi aperto con la lecture di YOUSSEF CASSIS (Istituto Universitario Europeo, Firenze) su Infrastructure investments and the shaping of modern finance, che ha messo in luce diacronicamente le correlazioni tra le grandi opere infrastrutturali e la formazione della nuova finanza moderna che si definisce nel corso dell’Ottocento grazie ad una lunga serie di strumenti e istituzioni finanziarie innovative. GIUSEPPE BOGNETTI (Università di Milano) e LUCIANO SEGRETO (Università di Firenze) hanno discusso e arricchito la relazione di CASSIS, il primo mettendo l’accento sulle importanti ripercussioni che il finanziamento delle infrastrutture induce sul sistema e sulla struttura della finanza pubblica, il secondo richiamando le importanti innovazioni che nel corso della prima metà del Novecento questo settore ha contribuito a diffondere. Nella seconda sessione sono state esposte le analisi condotte dal gruppo dell’Università di Milano, a cominciare da quella di GIUSEPPE DE LUCA e MARCELLA LORENZINI su A taxonomy of European infrastructure finance in the long run (XIIth-XVIIIth cc.) che ha esaminato, in una prospettiva di lungo periodo, la nascita e l’evoluzione delle diverse tipologie di finanziamento delle infrastrutture in alcuni tra i più importanti paesi del Continente; partendo da un’analisi delle modalità di finanziamento di alcune infrastrutture – per lo più strade, ponti e canali – questo studio si propone di superare la comune distorsione teleologica diretta a proiettare sul passato le soluzioni vincenti del paese leader del momento, e di mettere in evidenza al contrario quanto fosse articolato il quadro dell’approvvigionamento e finanziamento delle infrastrutture nelle società passate in termini di preferenze sociali, strutture economiche, avanzamento tecnologico e regimi politici. L’ipotesi è che l’efficacia del sistema di finanziamento delle infrastrutture sia correlato ad una serie di variabili che comprende fattori appartenenti tanto alla domanda che all’offerta, la cui interazione segue un meccanismo di path-dependence. Il contributo, che si basa su un database compilato sia attingendo a fonti d’archivio sia alla letteratura, delinea quindi una tassonomia dei finanziamenti alle infrastrutture europee partendo con alcuni cenni alle società antiche e arrivando fino all’età dei lumi, per fornire alcune considerazioni preliminari. Innanzitutto l’emergere e il radicamento di tipologie di sistemi di finanziamento furono altamente influenzate da fattori che vanno dalle caratteristiche geomorfologiche di un territorio, fino ad elementi più specificamente istituzionali e giuridici; alla fine dell’impero romano i princìpi stabiliti dal codice giustinianeo – secondo cui coloro che beneficiavano dell’utilizzo di una tipo di infrastruttura (ponti, strade, ecc.) dovevano prendersi l’incarico di man- 7 tenerla e di ripararla – aprirono la strada verso due forme principali di finanziamento: nei paesi in cui vigeva il diritto romano, ebbero una grande diffusione le prestazioni obbligatorie, le quali vennero in seguito sostituite da tasse di scopo e dai trasferimenti centrali; nei paesi invece in cui vigeva il diritto comune, come pure nelle aree di transito, divenne predominante il sistema dei pedaggi, gestiti inizialmente dalle autorità centrali e passati successivamente in mano a privati e a consorzi. Nonostante le differenze dei modelli, le soluzioni finanziarie si propagarono e circolarono; ogni ondata di innovazione o miglioramento dei finanziamenti alle infrastrutture si basava su sistemi che perfezionavano strumenti e tecniche preesistenti. Tuttavia lo stesso sistema di finanziamento poteva risultare efficace in un paese, ma fallire in altri, o addirittura in altre parti dello stesso dominio (vedi appalto dei pedaggi, che fu un successo nella Lombardia austriaca e un disastro nei territori ereditari degli Asburgo; vedi pure la diversa evoluzione delle joint stock companies per i canali in Francia e in Inghilterra). A parte le specificità contestuali, alcune soluzioni adottate nella finanza delle infrastrutture si sono però rivelate pionieristiche ed innovative nel lungo periodo (ad esempio, le joint stock companies per i canali durante la restrizione del Bubble Act). Dopo questa ‘panoramica’, la seconda sessione ha visto interventi più specifici che hanno offerto approfondimenti compresi tra l’età moderna e quella contemporanea. CHRISTOF JEGGLE (Otto-Friedrich University, Bamberg), con la sua relazione su Financing the infrastructure of early modern transalpine commercial traffic, ha evidenziato le diverse forme di finanziamento delle strade commerciali alpine sottolineando il progressivo passaggio dai pedaggi, affitti feudali e lavori obbligatori, alla centralizzazione tardo settecentesca nell’organizzazione dei transiti e degli investimenti. O LIVIER C RESPI R EGHIZZI (Centre International de Recherche sur l’Environment et le Développement, Paris) ha esaminato il settore della distribuzione dell’acqua nell’Ottocento parigino e milanese, mettendo in luce le importanti conseguenze che ebbe nella capitale transalpina la scelta di investire in acquedotti gravitari. ENRICO BERBENNI (Università Cattolica, Milano) ha incentrato la sua analisi sul caso delle società pubblico/private per il finanziamento dei primi tratti di autostrade italiane, mostrando come gli investimenti nella viabilità attrassero significativi capitali durante il periodo tra le due guerre, mentre nel momento in cui il pubblico monopolizzò la costruzione e la manutenzione delle condizioni delle strade, i privati si mossero verso progetti più rischiosi; l’autore ha poi gettato luce sull’approccio fascista ai lavori pubblici, le cui ragioni economiche erano strettamente legate a quelle politiche. SIMONE FARI (Universidad de Granada) ha esposto il sistema di finanziamento della telegrafia dal 1850 al 1900 concentrandosi in particolare sul caso inglese, dove i più influenti gruppi finanziari in- tter SISE e l s new vestirono direttamente nelle più importanti società telegrafiche marine, mentre gli stessi gruppi tentarono di influenzare le decisioni del governo per uno sviluppo delle reti telegrafiche nazionali (che erano appunto pubbliche). MATTEO LANDONI (Università di Milano - Statale) ha presentato i primi risultati della sua tesi di dottorato su Public Commitment and Private R&D: the case of the Italian satellite infrastructure Italsat, sottolineando il carattere di ricerca joint-venture tra un’istituzione scientifica nazionale e una società privata, in cui le risorse finanziarie furono fornite essenzialmente dal governo per l’acquisto finale, ma dove gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo provennero essenzialmente dai privati. In conclusione HUGH GOLDSMITH ha discusso i diversi papers rilevando soprattutto il carattere multiforme che assume il ruolo delle Stato nelle diverse esperienze affrontate, sia nel finanziare direttamente le infrastrutture sia nel concedere concessioni a vario titolo. La terza sessione ha presentato gli esiti delle ricerche delle due unità tedesche di Monaco e di Weimar, che hanno sviluppato un approccio ‘politico’ al tema. NICO GROVE (Ludwig-Maximillians Universität, München) ha analizzato il settore delle infrastrutture da un punto di vista politico mostrando come oggi siamo abituati ad avere un accesso pubblico ad infrastrutture come strade, ferrovie e scuole mentre in passato le infrastrutture ‘pubbliche’ erano originariamente ‘private’ ed indirizzate al pubblico solo per motivi specifici. Insieme ai driver finanziari, intesi ad ottenere profitti per uno o pochi individui, esistono modelli istituzionali e regimi politici che realizzano progetti non convenienti sotto il profilo economico per il privato; sulla scia di queste considerazioni, lo studio di GROVE si è indirizzato ad identificare le condizioni e le spinte che hanno condotto le infrastrutture private a diventare pubbliche e viceversa. Il contributo di B JÖRN W ÜNDSCH (BauhausUniversität, Weimar) su From local to trans-regional to trans-national infrastructure networks. Historical impacts on drafting a political agenda for European infrastructure finance, si è invece concentrato sulla pianificazione delle infrastrutture di trasporto nell’agenda politica e sulle relative funzioni delle infrastrutture (produttive, integrative, di consumi, ecc.) per valutare, ad esempio, il loro ruolo nello sviluppo della rete ferroviaria in alcuni paesi europei (Belgio, Gran Bretagna e Germania). D AMIR A GIC (Bauhaus-Universität Weimar) ha trattato specificamente il Role of the state in infrastructure provisioning: telecommunications infrastructure in Europe in the XIXth and XXth centuries, concentrandosi sul periodo 1880-1945 e analizzando comparativamente sia la funzione regolatrice dell’autorità pubblica sia l’evoluzione verso un’industria di proprietà dello stato dopo la fine della prima guerra mondiale. DANIEL SORIC (Ludwig-Maximillians Universität, München), che ha dedicato il proprio studio al settore delle infrastrutture stradali nel Settecento, ha analizzato la tter SISE e l s new funzione dello stato nell’Elettorato di Treviri, nelle regioni controllate dagli Asburgo e in Ungheria; in queste aree l’estensione della rete di comunicazioni fu sollecitata da diverse motivazioni, quali ragioni di propaganda, questioni militari e interessi commerciali, e l’emergere di nuove tecniche di pavimentazione costituì una nuova sfida per le autorità centrali che si sostituirono all’intervento locale. Il caso dell’Austria-Ungheria è esemplare per la coesistenza, all’interno dello stesso regno, di approcci paralleli ai finanziamenti delle strade e per l’insorgere di forti tensioni tra le popolazioni urbane e rurali, che avevano sempre avuto l’obbligo di occuparsi della rete stradale. La sessione si chiude con le stimolanti osservazioni dei due discussant, CHIARA DEL BO (Università di Milano - Statale) e di PIER ANGELO TONINELLI (Università di Milano Bicocca); in particolare quest’ultimo, prendendo spunto da alcuni dettagli del ciclo degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena, mostra come la cura delle strade abbia costituito un tratto genetico cruciale nella formazione dello Stato medievale e nelle responsabilità del Buon Governo e come secondo “Renaissance economists the State exists because of the systemic effects in an economy, effects which also the early Adam Smith glorifies”. Con la quarta sessione, destinata a raccogliere i contributi dell’unità dell’Universidad de Cantrabria (formata per lo più da economisti), il focus si sposta sulla seconda metà del Novecento ed assume una prospettiva econometrica. In due densi contributi, Towards a political economy of infrastructure finance: the European Investment Bank and European Integration e The long-run effects of infrastructure finance on economic growth: a panel data analysis for EU-15 countries, M. ALONSO, J. CLIFTON, D. DIAZ FUENTES, M. FERNÁNDEZ GUTIÉRREZ, e J. REVUELTA prendono in considerazione i finanziamenti alle infrastrutture dei paesi europei erogati dalla World Bank, dal Piano Marshall, dalla European Investment Bank e da altre istituzioni internazionali per valutare i loro effetti sulla crescita economica e sul processo di integrazione economica continentale; grazie alla costruzione di un ponderoso dataset, che raccoglie i dati IBRD, OEEC-OECD, e EIB, gli autori intendono valutare non solo la correlazione con la crescita ma anche mettere in luce quale logica abbia agito nei finanziamenti alle infrastrutture. Sotto il primo profilo, prendendo in considerazione per ora i soli finanziamenti erogati dalla EIB ai trasporti e all’energia in quindici paesi europei dal 1960 al 2004 è possibile evidenziare come questi abbiano avuto un effetto, seppure modesto, sulla crescita economica complessiva dei singoli paesi. Sotto il secondo profilo, i primi risultati della ricerca mettono in luce innanzitutto che la EIB ha mantenuto una certa autonomia nei processi decisionali e di finanziamento, da un lato seguendo una via prettamente politica, volta a perseguire l’ampliamento dell’unione, dall’altro lato seguendo invece una logica 8 economica, finalizzata a valutare l’efficienza dell’investimento. Logica politica ed economica si sono a volte sovrapposte, mentre altre volte sono state in competizione. Hanno chiuso la sessione le riflessioni del discussant MATEU TURRÓ (Universitat Politècnica de Catalunya), che sulla base della propria esperienza personale (capo divisione presso la EIB) invita ad una certa cautela nello stabilire delle correlazioni solo sulla base dei dati ufficiali della EIB, non sempre attendibili. La tavola rotonda finale, animata da Y. CASSIS, M. FLORIO, H. GOLDSMITH, A. MASSARUTTO (Università di Udine), L. SEGRETO, P.A. TONINELLI e M. TURRÓ, ha sottolineato, tra le molte conclusioni su un tema complessivamente poco frequentato e che non presenta ancora un lavoro di sintesi di lungo periodo, il fertile dialogo avviato tra storici economici ed economisti che convengono sulla conclusione che non esiste una “best solution that fits all” e che ogni intervento e tipologia di finanziamento deve avere ben presente le specificità contestuali ed istituzionali dei territori coinvolti. Giornata di Studi: (Econo)metrics: From Political Arithmetic to the Probabilistic Revolution, Roma, 7 Settembre 2012. Si è svolto il 7 settembre 2012 nella sede di Piazza Navona dell’Ecole Française de Rome (EFR) un incontro di studio dedicato alla storia dell’econometria “Dall’aritmetica politica alla rivoluzione probabilista”, organizzato congiuntamente dall’istituzione ospitante e dal Collegio Carlo Alberto di Moncalieri sotto la responsabilità scientifica di FRANCESCO CASSATA (Università di Genova) e di GIOVANNI FAVERO (Università di Venezia - Ca’ Foscari). L’evento ha segnato l’incontro tra diversi progetti di lungo periodo delle due istituzioni. Nel 2010 e nel 2011, infatti, il Collegio Carlo Alberto ha ospitato due precedenti edizioni del workshop Revisiting the Boundaries of Economics: A Historical Perspective, in cui sono stati discussi problemi centrali per la teoria economica in una prospettiva multidisciplinare, allo scopo di promuovere il dialogo tra economisti e scienziati, altri scienziati sociali e storici, mostrando le potenzialità di un approccio non riduzionista all’economia politica. La terza edizione ha appunto concentrato l’attenzione sulle metafore e sui modelli presi a prestito da altri ambiti disciplinari per misurare la realtà economica. L’Ecole Française de Rome con questa iniziativa congiunta ha dato avvio a un nuovo programma di ricerca su Les savoirs quantitatifs et les pratiques organisationnelles, che prevede in futuro altri incontri dedicati alle scienze sociali e della gestione economica. L’obiettivo di questo programma di ricerca è quello di indagare il rapporto tra le procedure di quantificazione e il loro impatto sulla pratica, non solo come un caso particolare del rapporto tra sapere e potere, ma anche per comprendere come le teorie 9 si trasformano all’atto della loro verifica nella pratica. L’incontro del 2012, concentrando l’attenzione sull’emergere di un approccio probabilistico alla misurazione dei fenomeni economici, ha collegato tra loro le due prospettive, quella interdisciplinare e quella che si potrebbe definire “pragmatista”. Dopo il benvenuto dato da FRANÇOIS DUMASY, nuovo Direttore della Sezione di storia moderna e contemporanea e scienze sociali dell’EFR, e da ROBERTO MARCHIONATTI (Università di Torino) per il Collegio Carlo Alberto, ha avuto inizio la sessione della mattinata, dedicata all’econometria prima dell’econometria, coordinata da GIOVANNI FAVERO. E RIC BRIAN (École des Hautes Etudes en Sciences Sociales, Parigi) ha aperto la sessione con un intervento sullo stato della scienza della popolazione nel 1790 a Parigi secondo lo scienziato Marie-Marc-Antoine Baras, i cui scritti poco conosciuti potrebbero rappresentare l’anello di congiunzione tra l’aritmetica politica settecentesca e la teoria statistica ottocentesca. A seguire, è stato letto l’intervento in cui A LAIN DESROSIÈRES (INSEE – Institut National de la Statistique et des Etudes Economiques), malauguratamente infortunato, ha proposto una prospettiva storica e comparativa sugli approcci alla quantificazione adottati dalle diverse scienze sociali, dalla storia alla sociologia e alle scienze politiche e dall’economia alla psicologia, mettendo in evidenza come il concetto stesso di quantificazione sia diverso da quello di misura (si tratta in effetti di esprimere in forma numerica ciò che viene detto a parole). ALBERTO BAFFIGI (Banca d’Italia) ha quindi presentato un intervento dedicato alla semiologia economica nell’Italia liberale, esempio di un approccio alla ricerca economica empirica di notevole successo a livello internazionale, la cui istituzionalizzazione in Italia è tuttavia fallita. BAFFIGI ha sottolineato la necessità per la storia della statistica di abbandonare una prospettiva “costruttivista” che ha portato talora la critica delle procedure di misura dei fatti sociali ad allontanarsi dall’interesse ultimo per quegli stessi fatti. ERIC CHANCELLIER (Université de Lorraine, Metz) ha infine presentato una storia dei primi anni del Bureau of Agricultural Economics degli Stati Uniti (1922-1930), all’interno del quale vennero elaborati i primi modelli utili per stimare le funzioni di produzione sulla base di diverse variabili che interagiscono fra loro (il tempo meteorologico e le decisioni dei coltivatori), ponendo le basi per i successivi sviluppi della ricerca econometrica. La discussione, introdotta da un commento critico di HARRO MAAS (Utrecht University), ha posto in evidenza come, rispetto alle esperienze qui descritte, il progetto di costruzione di una scienza econometrica, dopo aver preso le mosse da una critica alla “misura senza teoria”, abbia finito per costruire una “teoria senza misura” che concentra l’attenzione sulle procedure di elaborazione e controllo tter SISE e l s new interno della coerenza rispetto al modello dei dati, evitando la questione della loro origine e costruzione. La necessità di fare finalmente dell’economia una scienza davvero empirica, in grado di assumersi la responsabilità di giustificare i dati che usa, viene oggi paradossalmente posta da due discipline situate ai due estremi opposti dell’usuale classificazione del sapere economico: la storia economica e l’economia sperimentale. ÿÿ Nel pomeriggio ha avuto inizio la seconda sessione, dedicata all’econometria nel ventesimo secolo e al processo di costruzione dei modelli, coordinata da F RANCESCO CASSATA. MICHEL ARMATTE (Université Paris Dauphine e Centro A. Koyré dell’EHESS) ha aperto i lavori del pomeriggio con un intervento dedicato al ruolo attribuito all’alea nell’econometria da Cournot (1843) ad Haavelmo (1944), sottolineando le difficoltà e le ambiguità dei tentativi di costruire una econometria su base probabilistica negli anni del secondo dopoguerra, ambiguità che si ritrovano nella mancata distinzione tra la probabilità dell’errore nella stima e quella intrinseca alla variabilità stessa dei fenomeni, superata soltanto negli anni settanta con gli approcci alternativi all’econometria classica. Di seguito, ARIANE DUPONT-KIEFFER (Université ParisEst, I FSTTAR – Institut Française des Sciences et Technologies des Transports, de l’Aménagement et des Réseaux) ha proposto una rilettura dei presupposti a partire dai quali Ragnar Frisch ha fondato l’econometria. L’esigenza psicologica di individuare regolarità utili per l’azione costituisce per Frisch la giustificazione dell’uso esclusivo della matematica come strumento di indagine, del primato delle operazioni di misura nella riflessione scientifica e della necessità di articolare fra loro, attraverso la modellizzazione, la “misura teorica” derivata dall’economia neoclassica e la “misura empirica” così come si riflette nei dati statistici: arriva così a definire un nuovo metodo “sperimentale” fondato sulla manipolazione e l’aggiustamento dei modelli economici. FRANCISCO LOUÇA (UECE – Research Unit on Complexity and Economics, ISEG – Instituto Superior de Economia e Gestão, Universidade Técnica de Lisboa) ha infine presentato un intervento dedicato alle “oscillazioni della teoria economica a proposito delle oscillazioni dell’economia”, ricostruendo a partire dalla corrispondenza e da interventi pubblici le discussioni fra Léon Walras e Joseph Schumpeter e fra lo stesso Schumpeter e Frisch sul carattere esogeno piuttosto che endogeno degli shock tecnologici, nonché la contrapposizione tra ciclo delle aspettative e ciclo reale nella concezione di Robert Lucas della teoria economica come algoritmo di simulazione. Nella discussione, J OHN A LDRICH (University of Southampton) ha sottolineato che in realtà l’econometria non ha mai portato alle estreme conseguenze i presupposti probabilistici da cui era partita, utilizzando piuttosto tter SISE e l s new l’approccio probabilistico in maniera strumentale per colmare la distanza tra i modelli teorici e la realtà empirica: il successo di questa impostazione va piuttosto fatto risalire alle dinamiche sociali e politiche in cui va collocato il dibattito economico fra gli anni trenta e gli anni cinquanta. Roberto Marchionatti ha a sua volta segnalato la vistosa assenza dalle ricostruzioni presentate nel corso dell’incontro di John Maynard Keynes, la cui concezione della probabilità appare invece anche a uno sguardo retrospettivo tutt’altro che strumentale. Una presentazione dell’incontro è disponibile sul sito del workshop Revisiting the Boundaries of Economics: http://boundaries-of-economics.blogspot.it/p/rbe-iiiworkshop.html; per gli abstract degli interventi presentati si veda: http://boundaries-of-economics.blogspot.it/2012/ 09/econometrics-from-political-arithmetic_3.html XXIV Seminario di Storia Economica e Sociale. International Scientific Coordination Network (GDRi) “Crises and Changes in the European Countryside in the long run” (CRiCEC): Divenire più ricchi o più poveri attraverso il debito. Credito privato e cambiamenti sociali nel mondo rurale, Girona, 27-29 settembre 2012. Il Seminario, coordinato da GERARD BÉAUR, ROSA CONGOST e PERE ORTI, rientrava nella programmazione di due progetti in fase di sviluppo finanziati dal governo spagnolo in collaborazione con il Centro per la Ricerca di Storia rurale: HAR2011-25077: “Processo di impoverimento e di arricchimento delle società rurali. Un modo per analizzare la dinamica della storia sociale”; HAR2011-27121: “Mercato finanziario e le piccole città nel nord-est della Catalogna nei secoli XIV e XV”. L’iniziativa partiva dall’idea di analizzare la presenza e il ruolo del credito privato nelle società rurali di tempi diversi e in diverse aree geografiche. Molte ricerche storiche ed economiche hanno individuato nelle aree rurali un elevato numero di debitori, appartenenti a diverse classi sociali. Uno degli obiettivi dell’incontro era quello di comprendere fino a quale punto l’accesso al credito e il ricorso ad esso avesse influenzato lo sviluppo economico delle diverse società, incrementando o riducendo le differenze sociali. Il confronto tra i diversi casi nazionali e regionali ha consentito, a questo proposito, di analizzare differenze ed analogie tra i sistemi di credito e di compararne l’evoluzione nel lungo periodo. I diversi interventi hanno mirato a porre in luce quali fossero le caratteristiche e specificità dei vari istituti di credito e come diversi membri e gruppi della popolazione furono collegati tra loro attraverso queste istituzioni. All’organizzazione del seminario hanno partecipato anche le seguenti istituzioni: Centre National de la Recherche Scientifique (Cnrs), Universidad de Castilla – La Mancha; École des Hautes Études en Sciences Sociales (Ehess) Universidade Nova de Lisboa (Unl); Université Rennes 2 Fundaçao Para 10 a Ciência E A Tecnologia (Fct); Westfälische Wilhelms Universität Münster (Wwu) Università degli Studi di Padova; Katholieke Universiteit Te Leuven (K.U. Leuven) Lund University; Fonds Wetenschappelijk Onderzoek – Vlaanderen (Fwo). I lavori si sono aperti con gli interventi di Gilles Postel-Vinay (INRA, EHESS) che si è soffermato sull’effetto del credito sulla ricchezza e la povertà delle popolazioni, con un’attenzione particolare per la Francia fra Sette e Novecento, mentre Mathieu Arnoux (Universitat París-7, EHESS) ha analizzato l’importanza del credito rurale per la Francia medievale. Antoni Furió (Universitat de València), invece, ha concentrato la sua relazione sul credito nel mondo rurale di Valencia nel medioevo, mentre Pere Ortí (UdG) e Lluís Sales (UdG) Origine e distribuzione del credito a lungo termine nelle piccole città e nelle zone rurali della Catalogna medievale. Gerard Béaur (CNRS-EHESS) si è soffermato sui livelli di vita e credito in Brie nel diciassettesimo e diciottesimo secolo mentre Thomas Brennan (Acadèmia Naval dels Estats Units) ha analizzato il ruolo del credito nella regione della Champagne del diciottesimo secolo. I lavori sono proseguiti con le relazioni di Laurent Herment (EHESS) sulla fortuna e sfortuna di Elisabeth Lambert (1733-1803), mentre Tim Le Goff (Universitat de York, Toronto) ha sottolineato le strategie d’investimento del Hôpital Général di Dijon nel settecento, mentre Carmen Hernández López (Universitat de Castella-la Manxa) si è soffermato sul credito rurale nella terra a Munera fra 1751-1761. La quarta e ultima sessione, discussa da Pablo F. Luna (Universitat París 4-Sorbona) ha ospitato gli interventi di Laurence Fontaine (CNRS, Centre Maurice Halbwachs) sul credito nelle strategie di sopravvivenza dei poveri operando un confronto fra l’Europe moderna e l’India contemporanea, mentre Rosa Congost (UdG) si è soffermato sull’impatto della riduzione degli interessi fra le varie classi sociali fra metà Settecento e metà Ottocento. Sullo stesso tema ha proseguito Núria Sala i Vila (UdG) affrontando il problema dei censi consignativi nelle Ande, mentre Matts Olson e Patrick Svensson (Universitat de Lund)˜ hanno affrontato il problema del credito e delle enclosures nel sud della Svezia fra fine Settecento e metà Ottocento. Gli interventi sono poi proseguiti con Johannes Bracht (WWU) che ha affrontato il tema della crescita e del declino nelle società rurali affrontando il caso di studio sulla Germania dell’Ottocento. Nadine Vivier (Universitat de Maine) ha analizzato il problema del credito nella Francia rurale nel 1866, mentre Ricard García Orallo (UdG) si è soffermato sui mutui dei ricchi e sull’indebitamento verso il basso e la mobilità sociale delle élite nelle zone rurali in Catalogna la fine dell’Ottocento. Ángel Pascual Martínez Soto e Susana Martínez Rodriguez (Universitat de Múrcia) hanno presentato una relazione micro-finanza nelle zone rurali della Spagna di primo Novecento; Elisabetta Novello (Università di Padova): sul credito e le opera di bonifica 11 nel Veneto contemporaneo mentre Catherine Brégianni (Acadèmia d’Atenes) ha chiuso i lavori con una relazione su credito agricolo e strategie politico-economiche in Grecia durante il periodo tra le due guerre mondiali. Convegno Internazionale: Company Towns in the World. Origins, Evolution and Rehabilitation (16th 20th centuries), Padova, 3-5 ottobre 2012. Il Convegno Company Towns in the World. Origins, Evolution and Rehabilitation (16th - 20th centuries), promosso dal Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità dell’Università di Padova e articolato nell’arco di tre giornate, è rientrato nelle attività di diffusione dei risultati dell’omonimo Progetto di Eccellenza Cariparo, coordinato da GIOVANNI LUIGI FONTANA con una rete di collaboratori operanti a livello mondiale. Dopo un primo appuntamento sul tema svoltosi a giugno, che aveva già visto la presenza di relatori internazionali ma si era concentrato principalmente su casi italiani, queste tre giornate di studio hanno rappresentato pienamente la portata mondiale del fenomeno e della ricerca effettuata, approfondendo, nelle diverse giornate, il quadro europeo, americano, africano e asiatico, in un confronto tra relatori di tutti i continenti, presenti in loco o in collegamento via web. La ricerca si è proposta infatti di indagare alla scala globale un fenomeno, come quello delle company towns, che accompagna e sintetizza le problematiche dell’industrializzazione in tutte le fasi del suo sviluppo fino alle epoche attuali, dedicando particolare attenzione alle aree del mondo finora trascurate o poco trattate dalla letteratura specialistica. Lo studio, eminentemente interdi-sciplinare, si è proposto pertanto di diffondere un’adeguata percezione del fenomeno, attraverso un censimento delle sue esperienze più significative dal XVIII al XX secolo e attraverso una ricognizione sistematica della bibliografia e della letteratura in materia, allo scopo di delineare un quadro generale di riferimento e un modello di valutazione delle diverse tipologie ed esperienze di habitat operai e di company town realizzati da imprenditori e società industriali lungo tutto il precesso dell’industrializzazione moderna e contemporanea. L’apporto di collaboratori da ogni parte del mondo che hanno schedato centinaia di case studies ha permesso la creazione di tter SISE e l s new un database georeferenziato il quale, pubblicato su un portale web appositamente creato, si configura sempre più come un vero e proprio atlante mondiale virtuale. Dopo gli interventi di apertura del Rettore dell’Università di Padova, GIUSEPPE ZACCARIA, e del Prorettore alle Relazioni Internazionali, ALESSANDRO MARTIN, il coordinatore del progetto, GIOVANNI LUIGI FONTANA, ha illustrato le finalità e gli sviluppi del progetto, sottolineando come il convegno volesse rappresentare un momento di sintesi sia delle ricerche portate avanti all’interno del progetto di eccellenza, sia dello stato dell’arte globale su questo tema. Sono perciò stati invitati i più importanti studiosi del settore per avviare assieme una riflessione e una discussione a partire dall’inquadramento generale del fenomeno da un punto di vista concettuale (interventi della mattinata di apertura, mercoledì 3 ottobre), per poi proseguire in una presentazione di case studies che, attraverso una metodologia comparativa, hanno permesso di verificare la periodizzazione canonizzata dagli studi di taglio storiografico e tecnico, di quantificare la dimensione del fenomeno in relazione alle differenti aree continentali e alle diverse fasi di sviluppo industriale, la circolazione di modelli sociali, urbanistici, architettonici e delle ideologie ad essi sottese. Sono intervenuti: FOSCARA PORCHIA, LORENZO Z ANETTI (Università di Padova), The Virtual Atlas Company Towns in the World; G RACIA D OREL -F ERRÉ (Association pour le Patrimoine Industriel de ChampagneArdenne, Université de Savoie), Logement ouvrier et nouvelle société; CARLO FUMIAN (Università di Padova), The historical problem of company towns: definitions and interpretations; MASSIMO PREITE (Università di Firenze), Les company towns dans la Liste du patrimoine mondial UNESCO. Il pomeriggio del mercoledì ha visto la presentazione del fenomeno nell’Europa centro-occidentale (Gran Bretagna, Francia, Belgio, Germania) per concludersi con una panoramica sull’Italia con la descrizione più dettagliata di esempi riferiti ai diversi contesti regionali . sono intervenuti: M ARK WATSON (Historic Scotland), Textile company towns in the UK: why so few?; MARIE PATOU (Bassin Minier Uni, Nord-Pas de Calais), Villes et quartiers miniers dans le Bassin minier du Nord-Pas de Calais; KARIMA HAOUDY (Ecomusée of Bois-du-Luc), La genèse des villages ouvriers en Wallonie. Arrêts sur les sites du Grand-Hornu et du Bois-du-Luc; PAHL B URKHARD e C HRISTIAN HOYME (Universität Leipzig), Typological aspects and development of Company Towns in Germany; M AXIMILIANE R IEDER (Gesellschaft fur Unternehmensgeschichte), Company Towns tessili in Baviera nell’Ottocento; ELENA KROPANEVA (Ural State Academy of Architecture and Arts), Water as the essential component of the Ural metallurgical industry and urbanism: three centuries ago and nowadays; ANA MELGAREJO (Universidad de Alicante), Industria maderera, patronazgo empresarial e innovación arquitectónica. Kotka tter SISE e l s new y Varkaus (Finlandia), Alvar Aalto; A UGUSTO CIUFFETTI (Università Politecnica delle Marche), Fasi, modelli e interpretazioni delle company towns in Italia; BARBARA GALLI (Politecnico di Milano), Il sogno di Cristoforo Benigno Crespi; M ANUEL RAMELLO (Politecnico di Torino), Le Company Towns in Piemonte; S ARA DE M AESTRI (Università di Genova), Villaggi e case nella Liguria industriale. La mattinata del secondo giorno è stata dedicata ai Paesi del Mediterraneo e dell’Europa Orientale, con relatori che hanno esposto casi spagnoli, portoghesi, greci e russi. Sono intervenuti: F OSCARA P ORCHIA (Università di Padova), Le Company towns del Veneto e il caso di Porto Marghera; S ARA R USTICO (A IPAI Friuli Venezia Giulia), Torre di Zuino - Torviscosa: un nuovo paesaggio, una nuova città; A NTONIO M ONTE (I BAM -C NR , Lecce), Due esempi di villaggi operai in Puglia: storia e recupero; M IGUEL A NGEL S AEZ , MAURICIO B ALLESTEROS (Universidad de Alicante), Desarrollo urbano y patrimonio minero-siderúrgico: el Puerto de Sagunto (19002012); J OAQUÍN M ELGAREJO (Universidad de Alicante), Industria petrolera y poblamiento. La Company Town R E P E S A – Escombreras; J U L I Á N S O B R I N O S I M A L (Universidad de Sevilla), Mapping the invisible industry. History of three industrial villages in the same territory: Munigua, Villanueva del Río y Minas y El Carbonal (Sevilla); A N A C A R D O S O D E M A T O S (Universidade de Évora), Company towns in Portugal in 19th and 20th centuries: an overview; R AFFAELLA M ADDALUNO (Universidade Técnica de Lisboa), Il patrimonio costruito dei Quartieri operai in Portogallo (1870-1930): modelli di iniziativa privata nella città di Lisbona e nella valle del Tejo; D IANA D IMITRA B ABALIS (Università di Firenze), The “Kyprianos” Company Town in the mining district of Lavrio (Athens). Nel pomeriggio si è proseguito con la situazione nell’America centro-settentrionale, con le company towns degli Stati Uniti, del Messico e di Cuba. Sono intervenuti: GABRIELA CAMPAGNOL (Texas A&M University), Company towns of sugar in the USA; SERGIO NICCOLAI (Universidad Nacional Autónoma de México), Pueblos y ciudades obreras em México; H UMBERT O M ORENO M ORALES (Benemérita Universidad Autónoma de Puebla), La ex fábrica textil de La Constancia Mexicana. The first project of Company Town in Latin America: 1835-1991; NILSON ACOSTA REYES (Consejo Nacional de Patrimonio Cultural, Ministerio de Cultura, Cuba), Poblados azucareros y su valor patrimonial; TANIA GUTIÉRREZ RODRÍGUEZ (Instituto Superior Politécnico José Antonio Echeverría - CUJAE), Poblados azucareros y potencialidades para su nuevo desarrollo; M ARÍA V ICTORIA ZARDOYA LOUREDA (Instituto Superior Politécnico José Antonio Echeverría – CUJAE), Repartos para trabajadores de industrias urbanas en La Habana. Antecedentes; DANIA GONZÁLEZ COURET (Instituto 12 Superior Politécnico José Antonio Echeverría – CUJAE), Repartos para trabajadores de industrias urbanas en La Habana. Casos de estudios; M ARÍA D E L C A R M E N VILLARDEFRANCOS ÁLVAREZ (Universidad de La Habana), Importancia de la investigación documental para la conservación del patrimonio. Venerdì 5 ottobre è stato analizzato il fenomeno nell’America del Sud (Brasile, Uruguay e Argentina), in Asia e Africa. Hanno presentato i contributi: CAROLINA ROSA (Università di Padova) Labor and life in Brazilian company towns (1850-1930); F ABIO M ARTINS DE L IMA (Universidade Federal de Juiz de Fora), Company Towns in Minas Gerais: a study of Monlevade created by the Steel Company Belgo Mineira in 1934; CLAUDIA MARUN (Università degli Studi di Verona), The “vilas operárias” of the Mascarenhas group; M ACLOVIA C ORRÊA DA S ILVA (Universidade Tecnológica Federal do Paraná), ALESSANDRO CASAGRANDE (Universidade Federal do Paraná), Les villages ouvriers du Paraná, Brésil; MARÍA MARTA LUPANO (Universidad de Buenos Aires), Las company towns de la región Rioplatense; A LICIA V ILLAFAÑE (Universidad de Olavarría), Company towns en Argentina, algunos estudios de caso; TOSHITAKA MATSUURA (World Heritage Registration Promotion Division Gunma Prefectural Government), The first factory in Japan: the beginning of the Company Town?; LI GUO (Juraj Misak Architecture Studio), The way to “prosperity”: rehabilitation of company towns in China; ERIKA BOSSUM (Università degli Studi di Verona), The case study of Mengniu dairy company town: a symbol of modern industrialization in Inner Mongolia; M OHAMMED R AHMOUN (Université Abou Bekr BelkaidUniversité Paris 1 Pantheon Sorbonne), Les company towns de l’Algérie: un patrimoine en péril; L ÉONCE KI (Maison du Masque – ASAMA, Burkina Faso), Les villages ouvriers de l’Afrique de l’Ouest. Le giornate si sono concluse venerdì pomeriggio con una tavola rotonda di discussione, che oltre a tirare le fila dalla ricchezza di suggestioni sicuramente suscitate dai vari interventi, ha affrontato il tema del recupero e della riabilitazione del patrimonio rappresentato dalle company towns in tutta la varietà dei modelli presentati. Si è inteso così avviare nuovi temi e filoni di ricerca che proseguiranno in un grande cantiere di lavoro aperto ad ulteriori collaborazioni che ha trovato in questo evento, nel sito dedicato alla ricerca e nella amplissima rete di collaborazioni un punto di riferimento internazionale qualificato ed innovativo. Il convegno è stato anche l’occasione per dare inaugurare il terzo semestre del master internazionale Erasmus Mundus TPTI e e per presentare gli atti del primo Workshop Internazionale HERITECHS 2011 Los bienes culturales y su aportacion al desarollo sostenible, pubblicato a cura di C ARLOS B ARCIELA , M ARIA I NMACULADA L ÓPEZ e J OAQUIN MELGAREJO dall’Università di Alicante. 13 Giornata di Studi: La risicoltura nel Veneto tra età moderna e contemporanea (secc. XVI-XX), Grantortino di Gazzo (PD), 12 ottobre 2012. Si è tenuto il 12 ottobre 2012 presso l’azienda agricola “Villa de Tacchi” di Grantortino di Gazzo Padovano (PD), la giornata di studi promossa dalla Biblioteca Internazionale “La Vigna” di Vicenza su “La risicoltura nel Veneto tra età moderna e contemporanea”, a seguito della presentazione – avvenuta il 22 settembre a Isola della Scala – del volume di BRUNO CHIAPPA, La risicoltura veronese (XVIXX sec.). Questo appuntamento, come hanno ribadito nell’introduzione GIOVANNI LUIGI FONTANA (Università di Padova), Presidente del Consiglio Scientifico della Biblioteca Internazionale “La Vigna” e EDOARDO DEMO (Università di Verona), membro del Consiglio Scientifico de “La Vigna”, si colloca sulla scia di altre iniziative volte a ridare nuova linfa agli studi sul settore primario e in primis sul mondo agricolo. Dopo il boom di studi condotti sulle campagne venete tra gli anni ’50 e ’70 del secolo scorso, la storia dell’agricoltura ha risentito del maggiore interesse per il settore secondario e terziario, quindi dello studio della manifattura e del commercio. Ciò non ha significato un abbandono totale di lavori sul settore primario che, però, hanno riscontrato un minore interesse da parte degli studiosi. Questi incontri promossi dalla Biblioteca “La Vigna” hanno dunque lo scopo di riportare in primo piano una tematica per nulla esaurita, che anzi è tornata prepotentemente alla ribalta con le problematiche poste dall’evolversi del mondo contemporaneo, dato soprattutto il cospicuo aumento demografico che si prospetta nell’immediato futuro. Rappresentando una fonte di sostentamento essenziale per milioni di persone nel mondo, il riso riveste in questo senso un’importanza fondamentale. Per le campagne venete – soprattutto veronesi e vicentine – esso è stato a lungo una redditizia forma di diversificazione delle colture, un terreno di applicazione di nuove tecniche agricole e di irrigazione, nonché elemento di distinzione sociale. I lavori si sono aperti con l’intervento di DAVID CELETTI (Università di Padova), La risicoltura nel vicentino, incentrato soprattutto sul caso-studio di Grumolo delle Abadesse, particolarmente rappresentativo della produzione risicola della provincia. Partendo dagli investimenti fatti dalle monache del monastero di San Pietro di Vicenza, la relazione ha ricostruito la parabola della risicoltura inizialmente a Grumolo delle Abadesse, ma presente anche in altre aree del vicentino ad opera di elementi di spicco della nobiltà locale e veneziana. Nonostante l’alto costo iniziale di messa a coltura, infatti, questo cereale si diffuse ben presto nella dieta di gran parte della popolazione, dai nobili ai contadini, fino ai soldati impegnati nel levante veneziano. Questa circostanza portò ad un rapido incremento produttivo che stimolò l’in- tter SISE e l s new tervento delle autorità venete alla fine del XVI secolo. La conversione di terreni cerealicoli in risaie, infatti, avrebbe comportato uno squilibrio della produzione agricola con evidenti conseguenze sul piano della disponibilità di granaglie a scopo alimentare. Se nel Seicento, quindi, anche a causa della crisi generale del comparto agricolo, gli investimenti in risaie subirono una battuta di arresto anche nel vicentino – con la diminuzione anzi dei terreni adibiti a tal scopo – la produzione riprese velocemente nel corso del Settecento, divenendo sempre una coltura “capitalista” nel corso dell’Ottocento. La metà del secolo fu tuttavia il momento di crisi maggiore del settore, con la concorrenza di mercati extraeuropei (è di quegli anni la costruzione del Canale di Suez) che segnò la produzione veneta e in particolare vicentina quasi fino alla metà del secolo scorso, quando le politiche pubbliche e private di rilancio di questo prodotto ne fecero riscoprire la qualità e le peculiarità. BRUNO CHIAPPA (Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona), nel suo intervento La risicoltura veronese (XVI-XX sec.), ha ripercorso con chiarezza le tappe dell’introduzione e dell’espansione della coltivazione del riso nelle campagne soprattutto della Bassa Veronese, evidenziando i cambiamenti intercorsi nelle tecniche di canalizzazione delle acque, di semina e più in generale del peso rivestito da questa particolare coltura nel panorama agricolo nell’arco di quattro secoli. Il percorso è iniziato con le Guerre d’Italia, che oltre agli eserciti portarono nel Veronese anche le tecniche di coltivazione e di irrigazione delle risaie, per poi continuare nei secoli seguenti con la fioritura di questa coltura e del suo commercio, ambito di investimento di una nobiltà cittadina affinata negli affari dall’esperienza acquisita in ambito manifatturiero. Il successo della produzione risicola veronese si sarebbe protratto – con un parallelo incremento della vastità degli appezzamenti e della quantità di prodotto – fino almeno alla metà dell’800, quando anche l’area veronese risentì dei problemi espressi in precedenza per il Vicentino. Anche in questo caso, solo a partire dagli anni ’30 del secolo scorso la riscoperta di questo prodotto e la sua valorizzazione sul piano della tipicità hanno ridato vigore alla sua produzione. In seguito l’intervento di MARIA LUISA FERRARI (Università di Verona), Piccole ma redditizie. Le risaie dei Dionisi tra XVII e XIX sec. si è concentrato sulla fase di massima espansione della risicoltura veronese, mostrandone la diffusione nelle aree agricole della nobiltà locale. La scarsa estensione dei terreni coltivati a riso di proprietà dei Dionisi non ne inficiò il peso economico rivestito nel bilancio complessivo della produzione agricola. Gli stessi libri contabili lo testimoniano: oltre a rappresentare fonte di grande reddito, il riso stesso (ovviamente quello di minore qualità) era utilizzato come pagamento ai lavoranti dei Dionisi stessi. tter SISE e l s new L’importanza economica si affianca in questo caso ad una evidente valenza di status, che emerge con chiarezza dal coinvolgimento emotivo e dagli sforzi fatti da Gabriele Dionisi, in un momento di particolare difficoltà della famiglia, al fine di “difendere” le proprie risaie grazie a decennali vertenze giudiziarie con i confinanti in merito soprattutto all’utilizzo delle acque di irrigazione. Il ruolo fondamentale svolto dall’acqua nella coltivazione del riso è stato il fulcro dell’intervento di MAURO PITTERI (Università di Verona), La coltura del riso e la gestione delle acque nel veronese e nel mantovano nel XVIII sec. Il problema della disponibilità di acque per irrigare le risaie e dei conflitti per la distribuzione del prezioso bene assume nell’intervento di Pitteri un carattere internazionale, in grado di muovere capi di Stato e provocare vere e proprie invasioni di armati oltre confine. Le vertenze che seguirono al Trattato di Ostiglia (1752-1756) tra la Repubblica di Venezia e la Casa d’Austria per la spartizione delle acque del Tartaro tra risaie mantovane e veronesi sono emblematiche. In primo luogo vi è l’importanza dell’acqua nella risicoltura; in secondo luogo lo stesso Stato diviene un elemento attivo in questo ambito, al fine di tutelare i propri possidenti, sia con un’accorta politica estera, sia con importanti investimenti economici per lo scavo di canali per l’irreggimentazione delle acque. Solo quando i mantovani accettarono nel 1765 di scavare la Fossa di Pozzolo, un canale di derivazione dal Mincio, così da aumentare la quantità di acqua fruibile dalle risaie, si pose fine all’annosa questione e alle continue prove di forza da parte austriaca, limitando quindi le controversie alle “normali” dinamiche confinarie. Per giungere a questo si dovette però ricorrere all’attivo e tenace intervento di Andrea Tron, a dimostrazione di come l’importanza e il valore di questa coltura fosse riconosciuto non solo dalla nobiltà locale, direttamente interessata per gli investimenti fatti, ma anche dallo stesso Stato: basti pensare che nel corso della controversia saranno gli stessi soldati mantovani ad intervenire in più occasioni per sbloccare il flusso d’acqua dalle chiuse veronesi, compiendo quelle che possono considerarsi delle vere e proprie invasioni. La giornata si è conclusa con l’intervento di GIULIANO MOSCA (Università di Padova), Una cultura strettamente legata al territorio. La sua relazione ha completato il quadro emerso nel corso del pomeriggio, riportando al centro l’elemento attorno a cui è stato realizzato questo incontro: il riso. MOSCA si è concentrato sulle diverse varietà del prodotto, sulla sua conformazione fisica e sul processo di semina, crescita e raccolta. Tutti gli elementi emersi in precedenza (costi iniziali di coltivazione, l’importanza dell’acqua e le innovazioni tecnologiche) sono ritornati con forza nel suo intervento, all’interno di un discorso a prima vista strettamente agronomico ma che infine ha rivelato compiutamente l’importanza del legame uomo-coltura-ter- 14 ritorio, tramite anche esempi di diverse tecniche di coltivazione in varie aree del globo, dovute alle caratteristiche peculiari del suolo e alle differenti tradizioni agricole. Questi elementi, come sottolineato a più riprese dallo stesso MOSCA, sono fondamentali per garantire la qualità del raccolto e la sua valenza alimentare. Di qui il valore assunto dal riso veneto, la cui particolarità e tipicità lo rende un prodotto apprezzato e di grande rilievo nel panorama della produzione agricola passata, presente e, si auspica, futura. La varietà degli interventi – per ambito, cronologia e competenze specifiche dei relatori – ha permesso di esplorare a tutto tondo quella che stata la risicoltura veneta, dal punto di vista storico, tecnico e agronomico. L’alta redditività e la diffusione alimentare di questa coltura, associata però ad un’altrettanto elevata “delicatezza” per le condizioni di irrigazione e di manutenzione degli appezzamenti necessarie allo sviluppo delle sementi, hanno fatto per secoli del riso uno degli ambiti di investimento agricolo più redditizi della nobiltà veneta e non solo, la cui importanza era riconosciuta anche a livello statale. La competizione internazionale dell’ultimo secolo, se da una parte ha messo alla prova il comparto, dall’altra ha anche dimostrato come la secolare tradizione veneta in questo settore ne abbia affinato le capacità tecniche e di selezione del prodotto, che ora può considerarsi a pieno titolo una delle componenti distintive del settore primario soprattutto veronese e vicentino, grazie alla sua tipicità e unicità. Seminario Internazionale: Denaro, strumenti di credito e società nell’Europa dell’Età Moderna, Roma, 8 novembre 2012. Ospitato nella prestigiosa sede dell’Istituto Nazionale di Studi Romani e patrocinato dalla SISE, l’8 novembre 2012 si è tenuto il Seminario Internazionale “Denaro, strumenti di credito e società nell’Europa dell’Età Moderna”, organizzato da un gruppo di studiosi (GIUSEPPE DE LUCA, ELENA GARCÍA GUERRA, GAETANO SABATINI e DONATELLA STRANGIO) che da tempo lavorano su questi temi partecipando a diverse reti di ricerca nazionali e sovranazionali (CIRSFI, Red Arca Comunis, Red Columnaria). Al centro dell’incontro è stata posta l’analisi dell’evoluzione della moneta e del credito dal punto di vista della loro percezione e delle loro pratiche in alcune realtà dell’Europa d’antico regime. L’intento specifico è stato infatti sia di proporre una lettura olistica che superasse la consueta partizione teoria-usi, sia di mostrare come la diffusione della misura monetaria generalizzasse nuovi modi di percepire e conoscere la realtà. Dopo il saluto iniziale di PAOLO SOMMELLA e l’introduzione di DONATELLA STRANGIO, DAVID CARVAJAL DE LA VEGA nella sua relazione su “Que haya credito entre los hombres”: Uso y expansion social del credito en Castilla a inicios del siglo XVI ha illustrato la straordinaria crescita che le atti- 15 vità creditizie ebbero in quel secolo innestandosi in tutti gli strati sociali, favorendo la tenuta dell’economia, la crescita dei consumi e il collegamento tra i circuiti finanziari regionali e i flussi dei metalli preziosi provenienti dal Nuovo Mondo. BENEDETTA CRIVELLI ha invece posto il focus del suo studio su Commercio e credito: il ruolo dei banchieri milanesi nella Carreira da India nella seconda meta del XVI secolo; grazie alla possibilità di utilizzare la corrispondenza commerciale privata tra alcuni banchieri di origine milanese, coinvolti nel commercio del pepe e delle spezie, e le comunità di banchieri portoghesi e stranieri attivi nella penisola iberica, la giovane ricercatrice ha messo in evidenza come fiducia e reputazione diventino concetti chiave per comprendere il ruolo e l’attività degli operatori ambrosiani nel commercio con l’India e in generale per valutare la coesione delle nazioni mercantili coinvolte. ELENA GARCÍA GUERRA ha poi chiuso le analisi dedicate ai domini della Monarchia spagnola, presentando un esame comparativo del debito pubblico, credito privato e politica fiscale in Italia e Castiglia tra XVI e XVII secolo; mentre in alcune realtà della nostra penisola si crea tra questi fattori un legame funzionale da cui le economie e le società regionali traggono notevole vantaggi (e in cui non è improprio parlare di financial revolution), l’antico regno spagnolo sembra alieno a simili effetti positivi, anche se gli studi più recenti e quelli ora avviati stanno rivedendo questo giudizio. Con la relazione di RENATA SABENE su La Fabbrica di San Pietro e i suoi depositari l’attenzione passa così ai territori italiani non controllati dagli Austrias; la studiosa romana ha messo in luce come la Fabbrica di San Pietro fu istituita nel 1506 da Giulio II al fine di sovrintendere alla ricostruzione della Basilica vaticana, e come la scelta di un istituto giuridico capace di accogliere finanziamenti e gestirli fosse funzionale alle intenzioni del Pontefice che intendeva sottrarre la conduzione del cantiere basilicale a qualunque interferenza sottoponendola alla sua sola potestà. Allo stesso tempo il Papa assegnò una serie di privilegi e benefici alla Fabbrica affinché potesse approvvigionarsi delle risorse economiche necessarie; ciò creò le condizioni che permisero all’Istituto di agire in totale autonomia nel sistema finanziario internazionale per la rimessa dei proventi derivanti dalle indulgenze predicate nell’Orbe cristiano. Contrariamente all’immagine, piuttosto diffusa, di un Istituto lento e opulento, l’analisi delle vicende economiche della Fabbrica di San Pietro nell’Età moderna fanno emerge una sorprendente capacità di adeguamento ai meccanismi della finanza internazionale. MARCO DOTTI in ‘Abbracciare l’incontro’. Pratiche creditizie a Brescia in antico regime, ha poi esaminato l’attività feneratizia della Congrega Apostolica di Brescia, principale creditore della città, col tentativo di addentrarsi nelle articolazioni delle pratiche finanziarie. Partendo dalle concatenazioni concrete dei rapporti di credito, DOTTI ha evidenziato da un lato la performatività sociale del tter SISE e l s new credito, attraverso la cui leva la confraternita presidiava e plasmava il ‘vertice sostanziale’ della società locale (corroborando selettivamente l’integrazione dei ceti emergenti ed assecondando le necessità dell’aristocrazia locale), dall’altro la molteplicità e la sovrapposizione degli idiomi connessi al credito. EMANUELE COLOMBO, con il suo contributo su La vita sociale del credito. Torino, Compagnia S. Paolo, XVIII-XIX secolo inteso a restituire una sorta di prosopografia dei censi concessi o pervenuti all’istituzione sabauda, ha completato le relazioni, che sono state seguite da una tavola rotonda conclusiva. X Seminario CIRSFI (Centro Interuniversitario di Ricerca per la Storia Finanziaria Italiana), Banche locali e territorio in Italia dall’Unità ad oggi, Cassino, 16-17 novembre 2012. Il consueto Seminario autunnale di Cassino, il decimo dell’era CIRSFI, è stato dedicato quest’anno a “Banche locali e territorio in Italia dall’Unità ad oggi”. L’incontro – svoltosi il 16 e 17 novembre presso la nuova sede della Banca Popolare del Cassinate con il sostegno del Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell’Universita degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale e con il patrocinio della Societa Italiana degli Storici Economici – ha voluto indagare le radici e i tratti evolutivi di uno dei segmenti bancari che, nella prolungata contrazione economica attuale, ha dimostrato la maggiore tenuta e ha rappresentato il più importante sostegno ai sistemi territoriali. Dopo i saluti di ANGELO MOIOLI, a nome della SISE, e il benvenuto di PIA TOSCANO, portato per conto degli organizzatori, ENNIO DE SIMONE ha avviato i lavori e introdotto la relazione di PIETRO CAFARO su Credito popolare e mediocredito: due esempi di vocazione bancaria territoriale nell’Italia del Nord. Nella sua esposizione, lo specialista di cooperazione bancaria ha tratteggiato le matrici teoriche, i processi di ibridazione e le diverse fasi dei modelli di credito popolare fino alla creazione dei mediocrediti, concentrandosi soprattutto sulla massimizzazione dell’efficienza a favore delle economie locali che molte di queste istituzioni hanno realizzato pur perseguendo principi solidaristici. Di seguito GIUSEPPE CONTI ha spostato il focus su Banche locali ‘ben temperate’ nell’esperienza di alcune regioni del centro Italia, mostrando, grazie ad un’analisi molto accurata delle variabili aggregate, le caratteristiche dimensionali e funzionali di questo comparto creditizio. Il terzo intervento, presentato da FRANCESCO BALLETTA su Le banche locali nel Mezzogiorno, ha concluso l’apporto degli storici, evidenziando gli elementi di forza e quelli di debolezza che quest’esperienza ha rivestito nei territori del Sud Italia. V INCENZO FORMISANO ha infine portato il punto di vista di un economista affrontando il tema Le banche locali nello sviluppo sostenibile del territorio: il caso della Banca Popolare del Cassinate. In particolare ha messo in luce il ruolo che tter SISE e l s new questo istituto, fondato nel 1955 dal Senatore Piercarlo Restagno con un manipolo di giovani imprenditori, tra cui l’attuale presidente Donato Formisano, ha avuto sia nella ricostruzione post bellica sia nello sviluppo industriale degli anni ’70. Oggi la B PC rappresenta un insostituibile punto di riferimento per tutti gli imprenditori della Provincia di Frosinone, volano tanto di sviluppo economico quanto di iniziative socio culturali, mentre il modello di banca che la governance ha inteso attuare rappresenta un innovativo network sociale di mutualità basato sulla relazione socio-cliente-territorio. Il successo di tale modello è decretato dalle performances economiche e patrimoniali conseguite, che hanno permesso alla B PC di raggiungere l’undicesimo posto nella graduatoria di tutte le banche della Regione Lazio ed il primo posto nella Provincia di Frosinone, territorio in cui sono ubicate le sue 25 filiali. La mattinata della seconda giornata è stata dedicata, come consuetudine, alla presentazione, svoltasi sotto la guida di FAUSTO PIOLA CASELLI, di progetti di ricerca avviati, soprattutto da giovani studiosi, nell’ambito della storia finanziaria italiana. In questo ambito, LUCIA BORRIELLO ha esposto il suo progetto su Il regno delle due Sicilie e Malta: relazioni diplomatiche, flussi commerciali e monetari (17981860), mentre ENRICO BERBENNI ha presentato le sue ipotesi di lavoro su La distribuzione del reddito nel Lodigiano tra le due guerre mondiali: un caso-studio, e GIAMPAOLO CONTE la sua ricerca su La crescita economica della Siria tra stabilità e instabilità politica: 1946-2000. Spazi e diritti collettivi. Giornata di studio in ricordo di Joyce Lussu nel centenario della nascita, Fermo, 24 novembre 2012. Sabato 24 novembre si è tenuto nella Sala dei ritratti del Comune di Fermo il convegno dedicato a “Spazi e diritti collettivi”, organizzato dalla Provincia e dal Comune della cittadina marchigiana, dalla rivista “Proposte e ricerche”, dal Centro studi Joyce Lussu e dalla Società di mutuo soccorso di Porto San Giorgio. L’iniziativa, inserita nella rassegna di manifestazioni collegate al premio letterario nazionale “Paolo Volponi”, ha celebrato il centenario della nascita di Joyce Lussu, affrontando uno dei temi, quello dei beni comuni e dei diritti collettivi, che spesso è stato al centro della poliedrica riflessione della scrittrice, oltre che poetessa, traduttrice, partigiana, politica e medaglia d’argento al valor militare della Resistenza. La giornata ha preso le mosse dall’analisi della posizione occupata dai concetti relativi agli spazi e ai diritti collettivi nel pensiero della Lussu, sia dal punto di vista storiografico, filosofico e letterario, nella presentazione di FABIO BETTONI (Università di Perugia), sia sotto il profilo della riflessione antropologica dell’autrice, con l’intervento di ILEANA CHIRASSI COLOMBO (Università di Trieste). A tali contributi ha fatto inoltre riscontro un’ampia ricostru- 16 zione di LUIGI ROSSI (Proposte e ricerche), dedicata agli antenati di Joyce e alla loro storia di famiglia tra collettivo e privato. Nelle sue sezioni successive l’incontro ha poi abbandonato le tematiche rievocative per concentrarsi sul problema storiografico dei beni comuni e dei diritti collettivi nella vicenda economica e sociale italiana tra prima età moderna ed età contemporanea, con particolare riferimento all’Italia centrale. Rassegne sulla letteratura e sulle tematiche al riguardo sono state presentate da OLIMPIA GOBBI (Proposte e ricerche) per le Marche, NATASCIA RIDOLFI (Università di Chieti-Pescara) per l’Abruzzo, MARINA CAFFIERO (Università di Roma - “La Sapienza”) e CLAUDIO CANONICI (Università della Tuscia) per il Lazio e AUGUSTO CIUFFETTI (Università Politecnica delle Marche, Ancona) per l’Umbria. Su questo quadro d’insieme si sono poi innestate le riflessioni a più vasto carattere nazionale di PIETRO NERVI (Università di Trento, Centro studi sui demani civici e le proprietà collettive), che ha parlato degli assetti fondiari collettivi e delle strategie di governo dei territori, e di ROBERTA BIASILLO (Università di Bari), che ha ripercorso la vicenda dei demani e degli usi civici nell’Italia liberale. LUCA MOCARELLI (Università di Milano - Bicocca) ha infine concluso i lavori tracciando una comparazione tra la vicenda e le dinamiche degli spazi e dei diritti collettivi nell’ambiente appenninico e i caratteri e l’evoluzione che essi assumono nel contesto alpino. Nella pubblicazione degli atti della giornata, prevista per la primavera del 2013 nella rivista “Proposte e ricerche”, saranno pure inseriti gli interventi di GABRIELLA CORONA (ISSM-CNR di Napoli) e di ALBERTO MELELLI (Università di Perugia), che si sono trovati nell’impossibilità di raggiungere la sede del convegno, ma che hanno fatto pervenire i loro contributi dedicati, rispettivamente, ad una riflessione complessiva sui Commons in Italia e ad un’analisi di questa tematica dal punto di vista delle scienze geografiche. L’obiettivo di fare il punto su una serie di questioni (terre comuni e usi civici, istituzioni, diritti e vincoli comunitari, regole e forme d’uso delle risorse collettive, proprietà e diversi modi di possedere) è stato pienamente centrato. La prospettiva è ora quella di intraprendere un progetto di ricerca organico, attento alle questioni di nomenclatura e alle vicende di storia istituzionale, in grado di evidenziare i caratteri di lungo periodo della gestione delle terre comuni e degli usi civici, in uno spazio economico e sociale, come quello appenninico, da leggere in chiave comparativa con altri luoghi italiani, in particolare la catena alpina. Convegno Nazionale di Studi: Welfare in Italia nel secondo dopoguerra. L’assistenza, (1945-1968), Milano, 27-28 novembre 2012. Il 27 e il 28 novembre il Dipartimento di Studi Storici dell’Università di Milano e il Dipartimento di Storia del- 17 l’Economia, della Società e di Scienze del Territorio “Mario Romani” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano hanno organizzato due giornate di studio dedicate alle politiche del welfare adottate in Italia, con particolare riferimento al settore dell’assistenzialismo, dal momento della nascita della Repubblica fino alla fine degli anni Sessanta. Nel complesso i lavori sono stati suddivisi in quattro sessioni tematiche. La prima giornata, tenutasi presso la Sala Napoleonica di Palazzo Greppi, ha affrontato le prime due sedute di ricerca. Nella sessione iniziale, presieduta da MAURIZIO PUNZO (Università di Milano - Statale), l’attenzione si è focalizzata sull’intervento parlamentare nelle problematiche nel mondo dell’assistenza italiano nel secondo dopoguerra. Sono intervenuti ALBERTO COVA (Università Cattolica, Milano), MICHELA MINESSO e MASSIMILIANO PANIGA (Università di Milano - Statale). ALBERTO COVA ha fatto emergere l’importanza della figura di Ludovico Montini, quale uno dei principali protagonisti della storia dell’assistenza nel Paese fin dai primi anni della ricostruzione, soprattutto dal punto di vista della concettualizzazione stessa dell’assistenzialismo. MICHELA MINESSO si è concentrata sul ruolo svolto nella sfera legislativa dell’assistenza dalle parlamentari donne dell’epoca, essenzialmente impegnate nel dibattito sul lavoro femminile, sulla famiglia, sulla maternità e sulla tutela del mondo dell’infanzia. MASSIMILIANO PANIGA ha, in seguito, puntualizzato i valori e gli ideali promossi e supportati dai parlamentari socialisti del secondo dopoguerra in materia di welfare. La sessione pomeridiana, sotto la presidenza di LIVIO ANTONIELLI (Università di Milano - Statale), si è invece soffermata sull’analisi dell’azione imprenditoriale nel settore dell’assistenza. Hanno preso parola GIAN LUIGI TREZZI (Università di Milano - Bicocca), SILVIA CONCA (Università di Milano - Statale), VALERIO VARINI (Università di Milano Bicocca) e NICOLA MARTINELLI (Università Cattolica, Milano). GIAN LUIGI TREZZI ha evidenziato, attraverso l’esame delle inchieste di Confindustria degli anni Cinquanta, le molteplici tipologie di intervento delle aziende nelle opere sociali, cioè la casa e le strutture ricreative, l’assistenza all’infanzia, la scuola e la formazione professionale, la sanità e l’igiene pubblico, la previdenza integrativa, le mense e gli spacci aziendali. SILVIA CONCA ha quindi individuato, in termini comparativi con altre esperienze europee, gli elementi caratteristici che hanno distinto il welfare delle imprese nello scenario economico italiano della ricostruzione. Da un lato, sono emersi i diversi obiettivi delle aziende, che vanno dal ‘paternalismo aziendale’, ai tentativi di integrazione e di aggregazione delle comunità locali, alla riduzione della conflittualità operaia, all’elevazione sociale della classe operaia e, non ultimo,all’adesione ai valori promossi dall’azienda. Dall’altro, è stata registrata la resistenza delle imprese ad istituzionalizzare le opere sociali. VALERIO VARINI, soffermandosi sulle human relations al- tter SISE e l s new l’interno dell’impresa, ha riscontrato la trasformazione che ha investito l’assistenzialismo aziendale nel corso del tempo; un mutamento che ha condotto ad un sensibile sforzo volto ad introdurre nuove figure, gli assistenti sociali, nelle modalità di erogazione dell’assistenza d’impresa. Infine NICOLA MARTINELLI, presentando il caso della Mutua della Dalmine, ha vagliato a fondo una delle modalità dell’intervento aziendale in ambito sanitario, quella delle mutue, dalle origini fino agli anni Sessanta. La seconda giornata di lavori, che ha accolto le ultime due sezioni di ricerca, ha avuto come sede la Cripta dell’Aula Magna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. La mattinata si è aperta con la terza sessione del Convegno, diretta da MARIA BOCCI (Università Cattolica, Milano). In questa parte si è voluto esaminare il rapporto fra assistenza e alcuni ambiti della società civile. Hanno partecipato ROBERTO VIOLI (Università di Cassino e del Lazio Meridionale), GIANPIERO FUMI (Università Cattolica, Milano), MONICA FIORAVANZO (Università degli Studi di Padova), VANESSA POLLASTRO e MAURIZIO ROMANO (Università Cattolica, Milano). ROBERTO VIOLI ha indagato sulla Pontificia opera di assistenza intrapresa nelle regioni del meridione. GIANPIERO FUMI si è occupato di stabilire i termini del legame che unisce le opere assistenziali e i disabili, specialmente in materia di occupazione. MONICA FIORAVANZO ha riportato l’attenzione sulle donne, focalizzandosi sulle organizzazioni femminili e sulle vicende dell’UDI. VANESSA POLLASTRO ha, diversamente, indagato il ruolo della Cariplo nell’assistenza e nel sostegno alla società civile. MAURIZIO ROMANO ha messo in luce la relazione tra assistenza sociale e apostolato sacerdotale nel mondo del lavoro. La quarta sezione, presieduta da ALDO CARERA (Università Cattolica, Milano), ha inteso portare in evidenza alcuni significativi episodi di welfare locale. Sono intervenuti E DOARDO B RESSAN (Università di Macerata), S TEFANO MAGAGNOLI (Università di Parma), ANDREA MARIA LOCATELLI (Università Cattolica, Milano) e FRANCA COSMAI (Università di Milano - Statale). EDOARDO BRESSAN ha proposto il caso, tra intervento pubblico e opere private, del laboratorio ambrosiano. STEFANO MAGAGNOLI, discutendo dell’‘isola che non c’è’, si è concentrato sul modello emiliano di welfare. ANDREA MARIA LOCATELLI ha rilevato che, negli anni Cinquanta e Sessanta, le spese e gli investimenti della Provincia di Milano in assistenzialismo si sono, essenzialmente, direzionati verso il superamento del ‘disagio sociale’. FRANCA COSMAI, infine, si è preoccupata di indagare le politiche sociali degli enti locali nel Veneto cattolico, precisamente nelle città di Venezia e Padova. Convegno di Studi: Consumi, benessere e legittimazione politica in Italia negli anni SessantaNovanta, Bologna, 29-30 novembre 2012. Il Convegno ha presentato i risultati finali del progetto PRIN 2008 coordinato da EMANUELA SCARPELLINI (Univer- tter SISE e l s new sità di Milano - Statale) che ha avuto lo scopo di analizzare lo sviluppo e le articolazioni della società dei consumi in Italia, un tema ancora poco studiato dalla storiografia nazionale, ma che risulta sempre più significativo alla luce della situazione attuale. In particolare, esso ha inteso muoversi lungo una precisa ipotesi storiografica, e cioè che nel periodo considerato (che parte dagli anni Sessanta agli anni Novanta circa) si sia formato un modello di consumi in grado di strutturare con forza il Paese – tramite canali quali i media, gli scambi interpersonali, le pratiche e i nuovi luoghi del consumo, le istituzioni economiche, ecc. – al quale le istituzioni politiche e le agenzie culturali tradizionali non hanno saputo, o voluto, dare un’efficace risposta diretta, almeno nel breve periodo. Tutto ciò ha avuto conseguenze di lungo periodo, sia sul piano politico ed economico sia su quello culturale, che la presente ricerca ha inteso mettere in luce, fornendo utili indicazioni anche sulla situazione presente. Il convegno ha presentato i risultati principali ottenuti dalle quattro unità di ricerca coordinate da EMANUELA SCARPELLINI e guidate come responsabili scientifici da FRANCESCA ANANIA (Università della Tuscia, Viterbo), CORRADO BENASSI (Università di Bologna), STEFANO CAVAZZA (Università di Bologna), EMANUELA SCARPELLINI. Una specificità di questa ricerca è stata il suo carattere fortemente interdisciplinare, riunendo studiosi di storia politica, economisti, ricercatori di storia culturale, esperti di mass media, storici economici, al fine di costruire una “mappa” completa dei vari aspetti dei consumi nel secondo dopoguerra in Italia, con frequenti riferimenti ad altri contesti internazionali. Il primo gruppo di ricerca si è focalizzato sui consumi e gli oggetti della vita quotidiana che hanno scandito le tappe del secondo Novecento. EMANUELA SCARPELLINI, nel suo intervento Alimentazione e cucina: tra cultura e industrializzazione si è occupata di cibo e cucina; MARIA CANELLA (Università di Milano - Statale) dell’evoluzione dell’abbigliamento con la relazione Le origini della moda italiana: dall’alta moda allo “chic naturale”; ENRICA ASQUER (Università di Milano - Statale) dei mutamenti nella casa con una relazione dal titolo Domesticità italiane: una nazionalizzazione conflittuale. All’analisi dei consumi di base si è aggiunta quella di due nuovi consumi: la motorizzazione, con la relazione di SILVIA CASSAMAGNAGHI (Università di Milano - Statale), La scoperta della mobilità. Storia dell’utilitaria Fiat 500, e le comunicazioni, con la relazione di CHIARA OTTAVIANO (Università del Piemonte Orientale): Tutti connessi. Tra aspirazioni e costrizione: le conquiste del telefono. Infine GIOVANNI MORETTO (Università di Milano - Statale) ha trattato del tema inusuale dei consumi legati alla religione, per valutare i mutamenti degli oggetti che circondano le pratiche devozionali: Plastica della trascendenza. Oggetti devozionali nell’Italia repubblicana. Il secondo gruppo di ricerca ha presentato i risultati di 18 ricerche riguardanti i consumi e il ruolo fondamentale giocato dal welfare nelle politiche italiane. A partire da un relazione sulla percezione mediatica del welfare di ROBERTA BARTOLETTI e LAURA GEMINI (Università di Urbino), La realtà del consumo di welfare: semantica e rappresentazioni nella fiction italiana, si è passati a discutere del Dibattito economico sul welfare con MATTEO TROILO (Università di Bologna) e del Welfare aziendale in Italia con GIULIO MELLINATO e VALERIO VARINI (Università Milano - Bicocca). Quindi PATRIZIA BATTILANI e FRANCESCA FAURI (Università di Bologna) hanno presentato i risultati di un’indagine locale sul campo sul tema Il welfare territoriale negli anni cinquanta e sessanta: Bologna e Verona a confronto), e CORRADO BENASSI e MAURIZIO MUSSONI (Università di Bologna) hanno discusso su una complessa analisi riguardante Efficienza, qualità ed equità dei sistemi di welfare regionali: un confronto tra i modelli di governance pubblica e privata. Un ulteriore contributo, presentato in forma scritta da GIANLUIGI PELLONI, IRINA KNYAZEVA e MARINA KNYAZEVAA: (Università di Bologna), ha riguardato i riflessi sul welfare dell’evoluzione demografica. Il terzo gruppo di ricerca ha avuto come tema i rapporti tra lo sviluppo dei consumi e la risposta del mondo politico. STEFANO CAVAZZA (Università di Bologna) ha presentato una panoramica di tali rapporti nella sua relazione Politica e consumi nell’Italia repubblicana, mentre ELISABETTA BINI (Università di Roma - Tor Vergata) ha esaminato la posizione di teorici e manager dell’impresa pubblica in Imprese pubbliche e consumi di massa: il caso dell’ENI, 1953-1973. Le successive relazioni hanno analizzato le diverse posizioni assunte dalle due principali forze politiche: MICHELE MARCHI (Università di Bologna) ha parlato di Sguardi cattolici sulla nascente società dei consumi e RICCARDO BRIZZI (Università di Bologna) del PCI e il ‘piccolo schermo’ nella società dei consumi (1954-73). Infine GIUSEPPE MAIONE (Università di Bologna) ha svolto un interessante raffronto internazionale, sul piano politico ed economico, dei decenni più recenti: La rivoluzione dei consumi: un confronto tra Italia, Europa e Stati Uniti (1980-2010). Il quarto gruppo infine ha trattato dei rapporti dei consumi con i mass media. La relazione di FRANCESCA ANANIA (Università di Viterbo), in forma scritta, ha riguardato Il consumo dei media dagli anni cinquanta ai novanta. Un percorso anomalo, con particolare riferimento a televisione e cinema; RAFFAELLO DORO (Università di Viterbo) ha presentato uno studio quantitativo e qualitativo su La radio dalla stagione delle radio libere agli anni Novanta: sviluppo e consumo culturale nella società italiana; infine GIOVANNI FIORENTINO (Università di Viterbo) ha presentato un affresco delle immagini fotografiche negli anni Cinquanta: Il mosaico delle immagini. La vivace discussione è stata animata da un gruppo di discussant formato da JONATHAN MORRIS (University of Hertfordshire), ALDO CARERA (Università Cattolica, Mila- 19 no), CHRISTIAN JANSEN (Universität Münster), DAVID ELLWOOD (Johns Hopkins University) e dai partecipanti. I risultati della ricerca si condenseranno in quattro volumi pubblicati dal Mulino previsti in uscita per l’estate 2013. Giornata di Studi: Quello che i numeri non dicono. L’Italia nel commercio internazionale tra ‘800 e ‘900: istituzioni, luoghi, tecniche e protagonisti, Napoli, 30 novembre 2012. La Giornata di Studi, organizzata da GIUSEPPE MORICOLA (Università di Napoli - “l’Orientale”), ha inteso aprire una riflessione su metodi, temi e prospettive di studio sull’Italia nel commercio internazionale tra Otto e Novecento, a partire dalla presa d’atto dell’indubbia rilevanza che il tema riveste nella storia economica italiana e, di contro, della relativa esiguità di ricerche che mettano a fuoco, al di là della dimensione quantitativa dei flussi commerciali, il ruolo di istituzioni, attori e sistemi di intermediazione nella concreta configurazione dell’“Italia esportatrice”. Il tentativo di esplorare questi aspetti meno noti, rimasti sullo sfondo delle prevalenti letture macroeconomiche del rapporto tra commercio estero e sviluppo, o dell’inesauribile filone di analisi sugli effetti delle politiche commerciali sull’affermazione dell’Italia industriale, appare oggi tanto più opportuno alla luce del fatto che il quadro quantitativo del commercio estero italiano risulta pressoché del tutto sviscerato alla luce dei dati disponibili. Gli studiosi che hanno partecipato ai lavori, di conseguenza, hanno proposto temi e spunti di analisi che recuperassero il tema della faticosa costruzione di un ruolo attivo dell’Italia nel mercato internazionale, ad una dimensione interpretativa più ampia e sfaccettata, dal ruolo di informazione e promozione commerciale, alle modalità di costruzione dei vantaggi competitivi nella prospettiva dei singoli attori imprenditoriali, alla differenziazione regionale, agli aspetti meno esplorati delle stesse politiche centrali. Nella prima sessione, presieduta da PAOLO FRASCANI (Università di Napoli - “l’Orientale”), ALIDA CLEMENTE (Università delle Scienze Umane Niccolò Cusano) ha aperto il Convegno tracciando un bilancio storiografico degli studi sul commercio estero italiano in età liberale, e, alla luce dei più recenti sviluppi della ricerca quantitativa, si è soffermata sul significato ed il valore delle statistiche commerciali nell’analisi della letteratura coeva, concludendo sulla necessità di affiancare alle rilevazioni quantitative, analisi di tipo qualitativo che recuperino la dimensione del mercato come costruzione sociale, fondata sull’intreccio complesso di istituzioni, culture e network. In una prospettiva istituzionalista, ad esempio, l’informazione è un elemento imprescindibile di questo processo di costruzione del mercato: informazione e promozione attiva del commercio estero furono obbiettivi variamente ma costante- tter SISE e l s new mente perseguiti dal M AIC , come ha mostrato S IMONE COLAFRANCESCHI (Università di Roma Tre) soffermandosi sul ruolo dei musei commerciali e sulla molteplicità di strumenti di promozione del commercio, ivi compresa la creazione di un immaginario collettivo in cui l’Italia veniva rappresentata come un “immenso molo” proiettato verso il Mediterraneo e l’Oriente. Non si può dire che lo stesso ruolo di sostegno all’export provenisse invece dal mondo creditizio e bancario, come ha rilevato S IMONE S ELVA (German Historical Institute, Washington DC) definendo “lente ed incerte” le politiche monetarie e creditizie italiane nell’età del gold standard. FABRIZIO BIENTINESI (Università di Pisa) ha spostato la prospettiva sull’analisi della politica commerciale tra le due guerre, contestando la definizione di liberismo della politica economica del primo fascismo, e analizzando il ruolo degli equilibri politici internazionali nelle decisioni di politica commerciale. ANDREA COLLI (Università Bocconi) ha ripercorso la biografia di Enrico Dell’Acqua, il “principe mercante” della narrazione einaudiana, simbolo, per l’illustre economista, della pacifica colonizzazione commerciale che l’Italia avrebbe potuto attuare seguendo le traiettorie dei suoi flussi di emigrazione. Dalla microstoria dell’imprenditore cotoniero, emergono dettagli e spunti di riflessione storiografica sulla globalizzazione fine ottocentesca, sulle istituzioni e i network, sul ruolo delle comunità migranti, sulle possibilità di sviluppo dei vantaggi competitivi nel contatto con i mercati esteri. Ancora sul ruolo della migrazione nella promozione dell’export italiano si è soffermato criticamente GIUSEPPE MORICOLA, rilevando la necessità di una analisi meno superficiale della correlazione tra flussi migratori e flussi commerciali, a partire dalla contraddizione tra la figura dell’emigrante risparmiatore e l’affermazione di un ruolo determinante della domanda di prodotti nazionali da parte delle comunità emigrate, dove, in particolare negli USA, molto spesso era il “made for italians”, i prodotti realizzati in loco dagli italiani per gli italiani, a soddisfarne il bisogno di identità. La seconda sessione, coordinata da PAOLA PIERUCCI (Università di Chieti) si è aperta con l’intervento di DANIELA CICCOLELLA e WALTER PALMIERI (CNR-ISSM, Napoli), che, spostando l’attenzione sul periodo preunitario, hanno affrontato nella prospettiva del Regno delle Due Sicilie una problematica di lunga durata della storia economica italiana: la carenza di materie prime. I due ricercatori del CNR hanno proposto una lettura del protezionismo borbonico non come difesa dalla importazione di manufatti ma come tentativo di sostituzione delle importazioni di materie prime, sostenuta dall’azione di promozione delle Società economiche sullo sviluppo produttivo di materie sostitutive. Ancora in tema di politiche commerciali, NATASCIA RIDOLFI (Università di Chieti) ha descritto i trattati commerciali stipulati con i Paesi extraeuropei nell’età della tter SISE e l s new Destra storica, delineando una mappa delle prospettive perseguite, ma non sempre conseguite, di espansione commerciale della “giovane Italia”, sulle quali PAOLA NARDONE (Università di Chieti) ha aggiunto numerosi dettagli, proponendo una analisi dei flussi commerciali tra l’Italia e i suoi distretti consolari attraverso i dati dell’inchiesta industriale del 1874. Ma l’integrazione nel commercio internazionale produce anche effetti differenziati a seconda dei territori e della articolazione concreta dei circuiti: EZIO R ITROVATO (Università di Bari) ha analizzato il ruolo dell’intermediazione straniera nel commercio estero in Puglia, a fronte delle scarse capabilities dei mediatori locali; SERENA POTITO (Università Parthenope, Napoli) ha sottolineato il ruolo delle infrastrutture nel sostegno al commercio estero, analizzando il caso controverso dei Magazzini generali a Napoli; e ALESSANDRA BULGARELLI LUKACS (Università Federico II, Napoli) ha chiuso la giornata con una riflessione di lunga durata sull’impatto che l’integrazione internazionale ha avuto sui processi di specializzazione produttiva in una regione apparentemente marginale come l’Abruzzo. VISTO? ANDREA BONOLDI, ANDREA LEONARDI, KATIA OCCHI (a cura di), Interessi e regole. Operatori e istituzioni nel commercio transalpino in età moderna (secoli XVIXIX), Bologna, il Mulino, 2012, 350 p. - (Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento. Quaderni; 87). Il volume, costituito da dieci saggi di autori provenienti da Italia, Germania, Austria e Slovenia, si pone l’obiettivo di mettere a confronto recenti ricerche sull’attività mercantile nell’area delle Alpi centro-orientali in età moderna, caratterizzate dalla particolare attenzione riservata al ruolo giocato dalle istituzioni nel favorire le attività di scambio. Ciò a partire da un’idea che oramai costituisce un dato acquisito degli studi storico-economici, per la quale nel contesto complesso e rischioso del commercio internazionale la presenza di istituzioni che favoriscano la circolazione delle informazioni relative a prezzi, merci e affidabilità degli operatori e che garantiscano l’esecutività dei contratti costituisce un fattore cruciale per lo sviluppo delle attività mercantili in particolare e dei sistemi economici nel loro complesso. In questo senso, la natura delle istituzioni presenti in una determinata realtà e i tempi e i modi con cui queste agiscono e si modificano in base alle spinte provenienti anche dall’ambiente in cui operano, può costituire sul lungo periodo un importante fattore di diversificazione nei percorsi storici dei diversi territori. 20 L’area geografica su cui insistono i lavori presentati nel testo – che va dal Tirolo storico all’attuale Slovenia e da Venezia a Klagenfurt – era segnata in età moderna da strutture statuali differenti e articolate. Seppur riconducibili infatti ai due grandi poli della Serenissima Repubblica e dell’Impero asburgico, i territori che gravitavano attorno all’arco alpino centro-orientale restavano caratterizzati da costituzioni politiche in cui le realtà locali mantennero a lungo significative peculiarità. Le conoscenze sulle caratteristiche economiche di questo territorio in età moderna sono cresciute notevolmente in anni recenti, mettendo in luce quanto variegata e ramificata fosse l’attività commerciale. Il territorio alpino e perialpino non costituiva infatti soltanto un’importante area di transito per i grandi flussi commerciali tra Mediterraneo ed Europa centro-settentrionale – che davano luogo a numerose di attività di intermediazione e trasporto – ma era segnato anche dalla presenza di consistenti correnti di scambio tra le aree di pianura e quelle di montagna e all’interno della montagna stessa. Il quadro generale che emerge dai saggi raccolti nel volume mette in luce un ricco tessuto di transazioni a più livelli in cui erano coinvolti attori differenti, dalla proprietà terriera ai grandi mercanti operanti su lunghe distanze, ai dettaglianti, ai detentori di capitale finanziario, alle autorità politiche (gli interessi). A ciò corrispondeva una pluralità di strategie perseguite al fine di ridurre i rischi impliciti nell’attività di scambio. Tali strategie erano definite all’interno di una cornice segnata da norme, formali e informali, di diversa natura, che influivano sulla circolazione delle informazioni essenziali per l’attività economica e sull’esecutività dei contratti (le regole). Le ricerche raccolte nel volume si basano sull’ampio utilizzo di fonti primarie, in particolare notarili e di istituzioni di regolazione dell’attività commerciale. La ricostruzione biografica della vicenda di uno dei primi esponenti del Magistrato mercantile della fiera di Bolzano, istituito nel 1633, condotta sulla base del notarile veneziano, ha portato Katia Occhi (Da Venezia a Bolzano: le reti d’affari di Tomaso di Vettor Tasca, magistrato di fiera (1642-1649)) a indagare il complesso intreccio di relazioni tra il mondo mercantile e finanziario lagunare, la Camera dell’Alta 21 Austria di Innsbruck e le élite trentino-tirolesi. Ne emerge il ruolo attivo della finanza veneziana sia nelle fiere di Bolzano che alla corte di Innsbruck, dove pare riproporsi il modello già documentato per quella arciducale di Graz. Gli scambi tra Hall, Venezia e Vicenza sono rintracciati da Francesco Vianello (Mercanti di pianura e consumi di montagna. Aspetti del commercio tra la Terraferma veneta e l’area trentino-tirolese nel XVI secolo) nei protocolli del notarile vicentino. Attraverso la vicenda di un mercante originario del lago di Como insediato a Vicenza egli coglie i problemi e i condizionamenti che lo stato delle tecniche e delle pratiche mercantili, le forme delle relazioni sociali e di parentela e la presenza di specializzazioni professionali ben definite ponevano all’iniziativa dei mercanti e al loro coinvolgimento nell’attività di distribuzione al dettaglio dei beni. L’esame dei network mercantili e delle correnti di migrazione artigianale offre inoltre la possibilità di rilevare la modalità di circolazione di competenze all’interno della sfera parentale o nell’ambito della comunità e dei suoi emigranti. Uno sguardo al confine orientale dell’arco alpino alla fine del Cinquecento è offerto dal saggio di Claudio Lorenzini (Di Paolo Biancone e degli altri. Mercanti, reti commerciali e risorse tra Valcanale e Canale del ferro tra la fine del Cinquecento e il primo Seicento) sui traffici di legname e ferro lungo il Canale del Ferro/Valcanale, sull’asse che congiungeva Vienna con Venezia. L’incrocio tra diverse fonti e la documentazione notarile di Udine permette all’autore di abbozzare la vicenda di un mercante di Venzone mostrando come la diversificazione degli interessi e la possibilità di gestire più comparti produttivi sia stata alla base delle fortune di un gruppo di immigrati lombardi e toscani che fino agli inizi del Seicento vivacizzò l’economia della Patria del Friuli gestendo i rapporti economici e politici fra i territori tedeschi e italiani. Due contributi analizzano l’intreccio tra trasformazioni politiche e dinamiche economiche nella parte più orientale dell’area studiata. Aleksander Panjek (Politiche e pratiche commerciali tra Gorizia e Carinzia: gli insuccessi della diplomazia del vino nel Seicento) illustra nel suo contributo come il gioco incrociato dei diversi interessi rappresentati nelle Province austriache orientali abbia pesantemente condizionato il commercio del vino nell’area. Gli Stati provinciali goriziani, in cui i proprietari terrieri erano fortemente presenti, riuscirono a contrastare efficacemente, grazie a una serie di provvedimenti limitativi del commercio e infine anche a un atteggiamento consenziente di Vienna, l’esigenza della Carinzia di poter accedere senza limitazioni alle produzioni venete, con un evidente danno per i consumatori. Werner Drobesch invece (Verso nuovi lidi. Commercio e mercanti nell’area delle alpi sud-orientali fra riforme daziarie teresiano-giuseppine e “bloccocontinentale”), con uno sguardo d’insieme rivolto ai territori nell’antica unione dell’Austria Interna (Stiria, tter SISE e l s new Carinzia, Carniola, Gorizia e Gradisca, litorale Adriatico con Trieste e Istria), ricostruisce le misure di modernizzazione che l’assolutismo illuminato promosse negli anni sessanta del Settecento nell’ambito delle strutture agrarie, mercantili e della protoindustria. L’autore mostra chiaramente che la regolamentazione in ambito doganale, l’impulso alla creazione di nuovi percorsi viari e il consolidamento del porto di Trieste favorirono la crescita di un folto gruppo di operatori mercantili immigrati dai diversi Länder della monarchia per promuovere la produzione e il commercio dei principali prodotti della regione. Il volume raccoglie inoltre i primi risultati di un progetto di ricerca dal titolo “Endogenous Institutions in Trade Networks: Some Lessons from History”, che ha visto la collaborazione di studiosi facenti capo a differenti discipline, dalla macroeconomia all’economia comportamentale, dalla storia economica alla storia del diritto. Asse portante del progetto è stata la costruzione di un database relativo ai circa 900 processi discussi di fronte al Magistrato mercantile di Bolzano in due quinquenni campione (16331638 e 1697-1701). Stefano Barbacetto (L’olio lucchese dell’abate Tucci. Intorno alla giurisdizione del Magistrato mercantile di Bolzano) propone una ricostruzione del funzionamento dell’istituzione, basata sull’edizione dei privilegi claudiani del 1635, descrivendone le modalità di elezione, le materie di competenza, i soggetti e l’arco temporale in cui esercitava le sue prerogative e le modalità di autofinanziamento del tribunale. Nella seconda parte del contributo mette a confronto le informazioni istituzionali con un processo sui generis rinvenuto tra i giudizi schedati nell’archivio del Magistrato. Partendo dall’esperienza del Magistrato, Luciano Andreozzi, Marco Faillo ed Edoardo Gaffeo (La magistratura mercantile della fiera di Bolzano (1635-1851): un’analisi economica), sviluppano alcune considerazioni di natura teorica in merito al rapporto tra architetture istituzionali, comportamento degli agenti economici e funzionamento dei mercati, inserendosi in un dibattito attualmente piuttosto vivace a livello internazionale. Andrea Bonoldi (Mercanti a processo: la risoluzione delle controversie fra operatori alle fiere di Bolzano (secc. XVII-XVIII)) presenta invece lo stato dell’arte della ricerca sulla giustizia mercantile in ambito giuridico e storico– economico, per poi illustrare alcuni primi risultati derivanti dall’analisi del materiale documentario raccolto, che forniscono nuove indicazioni sulla struttura del commercio di fiera bolzanino. Markus Denzel (I sensali alle fiere di Bolzano nel Settecento), approfondendo alcuni atti processuali, mette in luce una categoria professionale finora poco indagata nella storia del commercio, ma che aveva una funzione importante nelle principali piazze mercantili, ossia i sensali. Questi operatori favorivano l’incontro tra domanda e of- tter SISE e l s new ferta, contribuendo, grazie alle loro conoscenze, a superare i problemi connessi alle asimmetrie informative presenti sui mercati. Cinzia Lorandini (Informazioni e istituzioni: le basi della costruzione della fiducia nel commercio della seta trentino-tirolese tra Sei e Settecento) infine ha analizzato le diverse modalità di costruzione di relazioni fiduciarie, indispensabili in un contesto operativo in cui le prestazioni dei contratti raramente erano simultanee, in un mercato di grande rilevanza quale quello serico. Partendo dalla documentazione del Magistrato mercantile, nel saggio è stata ricostruita la struttura di fondo di alcuni di questi network, che consentivano, attraverso una continua circolazione di informazioni e il consolidamento nel tempo di rapporti di natura personale, di ridurre notevolmente l’incertezza insita in questo tipo di attività. Grazie anche ai differenti approcci adottati dagli autori, pur all’interno di una cornice di riferimento comune, i saggi raccolti in questo volume contribuiscono a mettere in luce quanto significativa sia la correlazione tra assetti istituzionali, strategie degli operatori e attività commerciali, fornendo utili indicazioni per una migliore comprensione delle dinamiche economiche nell’area alpina e perialpina centro-orientale in età moderna. BRUNO CHIAPPA, La risicoltura veronese, Verona, Editrice La Grafica, 2012, pp. 206. Il volume ricostruisce le tappe dell’introduzione e dell’espansione della coltivazione del riso nelle campagne venete in una prospettiva di lungo periodo a partire dalla metà del Cinquecento. A partire dalla contemporanea crescita demografica, infatti, il riso si pose al centro di quell’ampio ventaglio di nuovi prodotti che occuparono un sempre maggior ruolo nel contesto dell’agricoltura europea. Nella prima parte, la più lunga e dettagliata, l’Autore evidenzia in particolare i cambiamenti che si sono susseguiti nell’arco dei secoli nelle tecniche di canalizzazione delle acque, di semina e più in generale nel peso rivestito dalla coltura nel panorama agricolo. In particolare esso diventò un ambito di investimento privilegiato di una nobiltà cittadina che guardava non solo al consumo locale, ma anche ai profitti sui mercati internazionali. La seconda parte è invece com- 22 posta da varie schede che trattano delle diverse fasi di lavoro a cui deve essere sottoposto il riso prima di essere immesso sul mercato, grazie ad una disamina delle principali figure di lavoratori e lavoratrici coinvolte. La terza parte costituisce un’appendice dei documenti più significativi utilizzati dall’Autore nella stesura del volume. Il successo della produzione risicola veronese si sarebbe così protratto – con un parallelo incremento della vastità degli appezzamenti e della quantità di prodotto – fino alla metà dell’800. Solo a partire dagli anni ’30 del secolo scorso la riscoperta di questo prodotto e la sua valorizzazione sul piano della tipicità ridiedero vigore alla sua produzione. INNOCENZO CIPOLLETTA, Banchieri, politici e militari, Passato e futuro delle crisi globali, Roma-Bari, Laterza, 2010, pp. 138. “L’ultima recessione è sempre la peggiore”: così l’Autore inizia il suo studio, riferendosi alla crisi globale iniziata nel 2008 e sostenendo che non è proprio così e che le analogie con altre situazioni del passato possono dirci molto su cosa fare, come uscirne e soprattutto evitare che una nuova crisi si riproponga a breve. Questo perché, mentre in passato le crisi erano distanziate nel tempo, oggi tendono ad avvicinarsi l’una all’altra. Se le recessioni si producono in seguito a marcati squilibri, occorre analizzare i fattori che hanno provocato quella finanziaria globale che stiamo ancora vivendo, dagli squilibri nei pagamenti internazionali (con la Cina che accomulava riserve e gli Stati Uniti con debiti internazionale crescenti) ai Paesi produttori di petrolio che ingrassavano i loro patrimoni, mentre i Paesi importatori soffrivano per la bilancia energetica. A questi se ne aggiungevano altri e squilibri si registravano anche all’interno dei Paesi – vedi il massiccio indebitamento delle famiglie americane – e nei mercati (delle case e delle costruzioni, della borsa e finanziari, delle materie prime e dell’energia). Tutto ciò ha giocato un ruolo decisivo nel provocare l’attuale crisi, ma lo stesso era avvenuto, osserva Cipolletta, seppure con modalità differenti, alcuni anni fa, con lo schock petrolifero del 1973. Certo le due recessioni sono molto lontane fra loro e sono originate da circostanze assai diverse, ma numerosi sono gli elementi comuni. In particolare, in entrambi i casi, gli USA avevano sostenuto forti impegni militari con effetti sulle politiche economiche e conseguenze sul resto del pianeta. Così, se è impossibile comprendere la prima crisi petrolifera senza occuparci della guerra del Vietnam e delle tensioni in Medio Oriente, allo stesso modo la lotta al terrorismo internazionale, la guerra in Iraq e Afghanistan hanno inciso pesantemente sulle politiche di bilancio e sui conti pubblici degli Stati Uniti. Insomma, “guerre, debiti e crisi globali sono una sequenza già vista (…) e “banchieri, politici e militari sono 23 gli attori di questi eventi. E rischiano di esserlo anche nei prossimi anni”. AUGUSTO CIUFFETTI, ROBERTO PARISI (a cura di), L’archeologia industriale in Italia. Storie e storiografia (1978-2008), Milano, Franco Angeli, 2012, pp. 368. L’industrializzazione come modello di organizzazione territoriale basato sulla centralità della fabbrica non sembra più appartenere alla cultura del nostro paese. Ritenuta sufficientemente raggiunta la distanza temporale per discutere sulla reale o presunta fine dell’età industriale, il rinnovato dibattito contemporaneo sui limiti dello sviluppo, sulla necessità di un ritorno non ideologico alla storia e all’archeologia del lavoro e sull’ipotesi di una civiltà postindustriale fondata sulla decrescita, rende maggiormente evidenti i presupposti teorici per riproporre, in una più concreta prospettiva comparativa, lo studio della società industriale italiana, a partire dai suoi physical remains e quindi il riposizionamento epistemologico dell’archeologia industriale. Esito di un convegno nazionale (Termoli, 5-6 dicembre 2008) promosso dall’Università del Molise, con il patrocinio dell’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale e dell’Associazione Italiana di Storia Urbana, questo libro propone una pausa di riflessione critica sull’archeologia industriale a circa trent’anni dalla piena affermazione della disciplina in Italia. Nella prima parte del volume, L’archeologia industriale in Italia. Un bilancio storiografico, esperti del settore affrontano la “questione” del passaggio dall’archeologia industriale alla storia del patrimonio industriale, ricostruendo i percorsi storiografici, le linee del dibattito e i nodi tematici sviluppati in Italia dagli anni Settanta in poi, sulla base delle suggestioni provenienti dagli altri paesi europei e in modo particolare dalla Gran Bretagna. Sul piano della ricerca storica, infatti, è ancora da verificare il contributo che autonome e consolidate metodologie hanno dato allo sviluppo dell’archeologia industriale, ma nello stesso tempo è da evidenziare anche il contributo che quest’ultima ha offerto ad altri ambiti disciplinari più tradizionali, come la storia dell’industria, la storia dell’architettura e dell’arte, la storia del paesaggio. Nella seconda parte del volume, Lo spazio della produzione: architetture e città, studiosi di diversa formazione si sono confrontati sul terreno del modello della città industriale, ponendo le basi per un ampliamento dei confini dell’archeologia industriale verso altri ambiti disciplinari, come la storia urbana e la storia ambientale, oppure verso altre suggestioni, come la lettura dei siti industriali attraverso la memoria, la letteratura e la storia del lavoro. In questa parte del libro, che si pone come obiettivo finale l’individuazione di nuovi spazi di studio e di ricerca, si sottolinea la necessità e l’importanza, nella lettura del processo di industrializzazione delle città, di riferirsi alle forme visibili (fabbriche, case e quartieri operai, stra- tter SISE e l s new de e linee ferroviarie), partendo proprio dall’architettura come prodotto edilizio, piuttosto che come prodotto artistico. È in tal senso che le architetture del lavoro, cioè le fabbriche, e quelle residenziali, diventano fondamentali documenti di interesse storico, economico e sociale. All’interno dei processi di industrializzazione questi spazi diventano i luoghi dell’innovazione, dello sviluppo dei processi produttivi, della comunicazione e della promozione imprenditoriale, ma anche della conquista di diritti politici e sindacali da parte dei lavoratori. Nel complesso, queste sono le tematiche sulle quali gli autori del volume sono stati chiamati a riflettere in una prospettiva fortemente interdisciplinare. Se l’interesse degli studiosi si è progressivamente spostato dalla dimensione archeologica a quella del patrimonio, in quanto la prima non può rappresentare l’unica via alla conoscenza dei processi di sviluppo industriale nelle varie configurazioni che essi assumono nel passato, con tutte le implicazioni in termini di rapporti con le scienze economiche, sociali e tecniche, nello stesso tempo, al centro delle analisi è stato collocato anche ciò che la fabbrica contiene nella sua realtà di involucro, cioè le macchine, gli strumenti dei processi produttivi, ma anche gli archivi e ciò che la fabbrica rappresenta sotto il profilo della memoria, come segno tangibile dei caratteri immateriali di un luogo, come la cultura, le tradizioni, le identità, i saperi dei lavoratori. Del resto, molto spesso, sono proprio le macchine a modellare le architetture delle fabbriche. Alcuni interventi hanno rimodulato l’impostazione di fondo di questi temi, sollecitando nuovi o differenti approcci critici alla materia di studio; altri, invece, hanno preferito rimettere in gioco punti di vista già collaudati o casi-studio già indagati in settori disciplinari consolidati, ma sempre sollecitando nuovi percorsi di lettura. Ciò che emerge dagli studi degli ultimi decenni, dunque, è il tentativo, certamente riuscito, di ampliare l’oggetto dell’archeologia o della storia del patrimonio industriale, attraverso una visione “totalizzante” in grado di restituire tutti i caratteri della civiltà delle industrie. Ampliare gli orizzonti significa aprirsi alle “contaminazioni”, mettere in discussione metodi e processi, valutare nuove prospettive, individuare nuovi terreni comuni di confronto, ridiscutere criticamente le acquisizioni assunte come delle certezze. I saggi raccolti nel volume evidenziano come tale percorso sia maturato nell’ambito di un approc- tter SISE e l s new cio “territoriale” al sito produttivo, il quale, facendo proprio un concetto di paesaggio industriale inteso come costruzione artificiale dell’uomo, contempla, inevitabilmente, anche le comunità che a più livelli e con diversi gradi di identificazione con la fabbrica vivono e si organizzano intorno a quest’ultima. Il volume si apre con la Premessa. L’archeologia industriale in Italia: una pausa di riflessione di Roberto Parisi, seguito da una parte introduttiva formata dai saggi di Roberto Parisi, “L’Italia, società industriale” e i suoi physical remains. Archeologie, storie, patrimoni; Augusto Ciuffetti, Tra fabbrica e città: suggestioni, percorsi, ipotesi di lettura. La parte prima raccoglie interventi di Francesco Chiapparino, Dall’archeologia al patrimonio industriale. Le linee di un dibattito; Renato Covino, Un trentennio di archeologia industriale in Italia. Tra innovazione culturale e impegno civile; Aldo Castellano, L’archeologia industriale come disciplina di frontiera? Bilanci e prospettive; Massimo Negri, Alle origini dell’archeologia industriale italiana; Diego Moreno, Anna Maria Stagno, Laura Rossi, Archeologia industriale e le altre. Note per una storia della disciplina in Italia; Franco Mancuso, L’archeologia industriale nella cultura urbanistica italiana; Gregorio E. Rubino, Archeologia industriale e mondializzazione; Giovanni Luigi Fontana, Patrimonio industriale ed economia. Territori, paesaggi, sistemi. La parte seconda si articola nei saggi di Guido Zucconi, Città e industria: sviluppi in parallelo di una sensibilità storica; Simone Neri Serneri, Industria, città e ambiente. Note storiografiche; Patrizia Chierici, All’origine del sistema di fabbrica in Piemonte tra storia e memoria; Sergio Pace, Basiliche operaie. L’Officina dei calderai e il Fabbricato per il montaggio locomotive alle officine ferroviarie di Torino; Carla Giovannini, Spazi del lavoro, spazi della modernità: le trasformazioni urbane delle città igieniche; Valerio Varini, Comunità e imprese. Le company towns in Italia dalle origini al declino; Augusto Ciuffetti, Abitare nella città industriale. Luoghi e politiche per la casa tra welfare aziendale e stato sociale; Roberto Parisi, La fabbrica extra-moenia. Per una storia della periferia urbano-industriale in Italia; Massimiliano Savorra, L’immagine dell’industria. Architetture pubblicitarie e allestimenti fieristici come strumento di comunicazione: il caso Breda; Augusto Ciuffetti, Alida Clemente, Fabbrica e letteratura; Rossano Astarita, Architettura, città e organizzazione scientifica del lavoro in Italia. Il caso Olivetti; Ilaria Zilli, Prove d’industria. La Fiat e il nucleo industriale di Termoli, 1970-2008; Egidio Dansero, Cristina Scarpocchi, Patrimoni industriali e sviluppo locale: un approccio geografico. GIULIO FENICIA, Mercato ittico e amministrazione civica a Taranto tra ’800 e ’900, Bari, Cacucci Editore, 2011, pp. 222. La storia del mercato ittico tarantino, ricostruita grazie ad un’inedita documentazione d’archivio, è il punto di 24 partenza per una più ampia indagine di storia economica urbana che affronta questioni relative ai mercati, all’igiene e alla sanità, alla finanza comunale, affrontando così i complessi aspetti legati alla gestione della cosa pubblica. Il mercato diviene un punto di vista privilegiato per ripercorrere un secolo di problemi, scelte e comportamenti di governo di una città meridionale che è stata, ed è tutt’ora, teatro di importanti trasformazioni economico-sociali. Il volume è strutturato in tre parti. La prima, Dalla “spianata” alla Pescheria, ricostruisce le tappe di organizzazione del mercato ittico: dai primi tentativi di metà ‘800, a seguito dell’ormai riconosciuto degrado all’interno della città, all’iniziale assetto della Pescheria durante gli anni ottanta; la seconda, Mercati e sanità pubblica, si concentra invece nella prima metà del Novecento durante i quali, nonostante alcuni tentativi di innovazione, i problemi legati alla situazione igienicosanitaria rimanevano insoluti, rappresentando poi il mercato ittico all’ingrosso aperto negli anni Trenta un provvedimento tampone insufficiente. Sarà solo nel secondo dopoguerra, Il mercato ittico all’ingrosso, che la Municipalità diede avvio ad un frenetico quanto disordinato processo di adeguamento infrastrutturale, grazie anche alle agevolazioni messe a disposizioni dallo Stato e dal Piano Marshall. Questo lungo percorso fra Otto e Novecento mette in luce alcuni aspetti generali – e in un certo senso peculiari – dell’amministrazione e dell’economia urbana. Il primo punto è la frammentazione nella gestione della cosa pubblica, evidenza che si manifesta anche nel periodo fascista, laddove si sarebbe potuta verificare una maggiore continuità. Tale discontinuità si presenta come espressione della fragilità culturale e della scarsa maturità della classe dirigente locale, con un influsso forte sulle capacità e volontà delle amministrazioni di risolvere i problemi di stringente attualità o di avviare soluzioni di medio-lungo periodo. All’interno di questo aspetto, poi, si verificò una tendenza privatistica nella gestione della cosa pubblica, elemento quest’ultimo reso evidente anche dall’intricato sistema pilotato d’appalti. Questa frammentazione si legava alla negativa o comunque stagnante economia ottocentesca, con condizionamenti evidenti nella limitata iniziativa dei pescatori locali e nelle relative scelte imprenditoriali. A corollario, poi, vi era una ridotta capacità della finanza locale di sostenere, se non attraverso l’aumento di 25 imposizioni locali e la contrazione di mutui, il cambiamento infrastrutturale richiesto dalle trasformazioni socio-economiche e dall’emergere di una realtà sempre più industriale e meccanizzata. Attraverso questo processo, quindi, la città vedeva acuirsi i propri problemi finanziari, accumulando un progressivo ritardo in termini di infrastrutture e servizi. Il lavoro mette così in luce le costanti incertezze del governo municipale che non è riuscito ad affrancarsi da una sottomissione delle scelte imposte dall’esterno e che ancora oggi sembrano segnarlo. V ITTORIA F ERRANDINO , Banche ed emigranti nel Molise. Credito e rimesse ad Agnone fra Ottocento e Novecento, Milano, FrancoAngeli, 2011, pp. 216. Il volume affronta il ruolo svolto dalle rimesse degli emigrati italiani fra Otto e Novecento presso due banche molisane (Banca Popolare Cooperativa di Agnone ‘La Sannitica’ e Banca Operaia Cooperativa di Agnone) per l’economia locale, soffermandosi in particolare sulla ricostruzione della rete di rapporti fra gli enti e la società, le istituzioni, il sistema politico e gli ambienti internazionali. Le banche cosiddette “locali” hanno avuto una notevole importanza nella storia del nostro paese, potendo contemperare una composizione delle risorse a breve con una politica che lasciava ampio margine ad operazioni a media e talvolta a lunga scadenza, svolgendo non di meno un ruolo centrale nel sostegno dato al sistema agricolo e industriale dalle piccole e medie casse rurali, dalle banche popolari o dalle casse di risparmio. Nello specifico, poi, queste storie si intrecciano con uno degli aspetti rilevanti lo sviluppo economico italiano, ovvero l’emigrazione di fine Ottocento e inizio Novecento, mettendo in luce non solo le politiche eseguite, ma anche il nesso fra queste ultime e le caratteristiche del territorio in cui le banche svolgevano la loro attività. Grazie ad un’ampia documentazione amministrativa e contabile delle due banche in oggetto, lo studio si focalizza soprattutto sulla vita dell’azienda, osservando le scelte degli amministratori e degli istituti, individuando l’impatto della loro attività sul sistema economico locale, verificando la politica del credito realmente praticata. Ne emerge quindi una ricostruzione dell’attività degli istituti che si sostenne in particolare grazie alle rimesse degli emigrati. Queste ultime, tuttavia, non furono sufficienti per superare la grave crisi degli anni Trenta, essendo le banche troppo esposte a causa del legame con alcune aziende. Concludono il volume due ampie appendici con la pubblicazione dello Statuto degli istituti, le Cariche sociali e i dati di bilancio. SANDRO GERBI, Mattioli e Cuccia. Due banchieri del Novecento, Torino, Einaudi, 2011, pp. 213. Benedetto Croce disse di Mattioli: “parla di molti libri e ne parla con senno. Fin qui, niente di strano. Lo straor- tter SISE e l s new dinario è che li ha letti”. Basta questo per introdurci al primo dei due personaggi – personalmente conosciuti dall’autore – il cui mondo era fatto di stile e riservatezza, derivanti dal sentirsi anzitutto custodi rigorosi e fidati, dei segreti della finanza. Per Mattioli la passione per l’arte e la letteratura era parte del suo impegno civile e culturale, della sua visione di banchiere a trecentosessanta gradi: il credito era parte dello sviluppo del sistema economico, imprenditoriale, dei cittadini, in sintesi del Paese nel suo complesso. Anche Enrico Cuccia era animato da un’analoga tensione morale, ma concepiva il suo ruolo (e quello di Mediobanca) in modo molto diverso, come del resto ben mette in luce questo doppio profilo biografico, tracciato con un ampio uso di fonti d’archivio e documenti inediti. Anche se Cuccia era più giovane di soli dodici anni, i due appartenevano a due differenti generazioni, con la prima guerra mondiale come spartiacque. Colpito dalle sue doti e dalle sue esperienze in Africa, dove era stato mandato dalla Comit per porre fine a operazioni a dir poco oscure nell’erogazione della valuta, Mattioli volle coinvolgerlo nel progetto di dar vita a un istituto di credito mobiliare che, nel difficile periodo postbellico, finanziasse il sistema produttivo e il suo sviluppo. Nacque così nel 1946 Mediobanca, affidata da subito a Cuccia. Dopo un decennio circa di grande sintonia, cominciarono le divergenze proprio riguardo alle finalità dell’istituto di via Filodrammatici. Per Mattioli, l’interesse dello Stato era prioritario e doveva essere salvaguardata la funzione di pubblica utilità nell’esercizio del credito, mentre Mediobanca si andava trasformando in una “banca d’affari”, con eccessive partecipazioni nei più importanti gruppi industriali italiani. Per Cuccia, invece, essa doveva essere libera di operare come riteneva, per assicurare, con tutti gli strumenti di ingegneria finanziaria possibili, i capitali necessari ad una classe imprenditoriale verso la quale nutriva, in fondo, un radicato pessimismo, per espandersi, ma anche per sopravvivere. Egli divenne così un deciso sostenitore del capitalismo personal-familiare e dei suoi limiti, destinati ad emergere all’indomani della nazionalizzazione dell’industria elettrica, come peraltro Mattioli aveva preconizzato. Egli accusò Cuccia – come mostrano alcune lettere reperite da Gerbi – di agire per ragioni di potere, ma la diatriba non fu mai resa pubblica, a parte qualche riferimento in scritti ufficiali. SOFIA G NOLI , Moda. Dalla nascita della haute couture a oggi, Roma, Carocci, 2012, pp. 367. Il volume ripercorre i momenti principali della storia della moda, a partire dalla seconda metà del XIX secolo fino ai mostri giorni. Fu con Charles Frederick Worth – un borghese nato in Inghilterra nella prima metà dell’Ottocento e trasferitosi giovanissimo a Parigi – che nacque la figura del sarto, visto non più come semplice artigiano, ma come creatore di fogge, al punto da diventare il fornitore tter SISE e l s new ufficiale dell’imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III. Worth fu il primo a organizzare “sfilate”, e mettere sui capi etichette con il proprio nome, a proporre e “imporre” nuovi modelli. A differenza di alcuni lavori che in questi ultimi anni hanno affrontato il fenomeno moda in una prospettiva transeuropea (come quello di Marco Belfanti), l’autrice punta l’attenzione sul nostro Paese, sul quale esiste a questo riguardo un ricco e promettente filone di studi. Dopo essersi soffermata sulla moda nei suoi principali aspetti sociali e culturali, Gnoli esamina il passaggio dalla haute couture al prêt-à-porter, fino ai cambiamenti legati alla globalizzazione e alla fast fashion che hanno caratterizzato i primi dieci anni del nuovo millennio. In particolare si sofferma su alcuni protagonisti che hanno impresso un segno nello stile della propria epoca, da Paul Poiret a Madame Vionnet, da Coco Chanel a Dior fino a Valentino e Armani. Se è in Francia che nasce la moda moderna, nel secondo dopoguerra l’Italia saprà farsi conoscere e apprezzare a livello internazionale, grazie alla abilità dei nostri stilisti – vedi le Sorelle Fontana, Roberto Capucci, Emilio Pucci – e negli anni Sessanta Milano, città dell’industria e del design, diventerà la capitale della nostra nascente “moda pronta”. L’ultima parte del volume, infine, è dedicata agli stilisti italiani contemporanei e per ciascuno di essi ripercorre l’evoluzione dello stile e i personaggi famosi che hanno scelto i loro vestiti, come Madonna che nel film Evita indossò una bellissima pelliccia di visone di Fendi. FEDELE LAMPERTICO, Carteggi e diari, 1842-1906, volume III, M - R, a cura di Renato Camurri e Giovanni Luigi Fontana, Venezia, Marsilio, 2011, pp. LXIV - 813. Il terzo volume dell’edizione dei carteggi di Fedele Lampertico presenta al lettore una raccolta di 613 lettere inviate da 126 corrispondenti allo statista vicentino del secondo Ottocento, risultato di una scelta operata dai curatori su una base documentaria costituita da 16.746 missive di 2.703 diversi autori. Per ciascun carteggio incluso nella selezione è stato riportato un profilo biografico del mittente, mentre al termine del volume è stato inserito, oltre all’indice dei nomi, anche l’elenco completo dei corrispondenti di Lampertico compresi tra la lettera M e la lettera R. La lunga carriera politica del personaggio, svolta per decenni nelle aule del Senato, che videro lo lo statista vicentino a più riprese impegnato nei lavori di commissione e spesso relatore di importanti progetti di legge, come pure l’ampiezza dei suoi enciclopedici interessi culturali rendono il carteggio di Fedele Lampertico un punto di osservazione privilegiato sul panorama politico ed amministrativo del paese e sul mondo della cultura, dalle lettere classiche e moderne alle scienze passando per l’economia, tanto in Italia quanto in Europa. Scorrendo le pagine del corposo volume si incontrano personaggi di rilievo nella 26 vita politica del paese, da Marco Minghetti a Pasquale Stanislao Mancini, da Valentino Pasini a Ubaldino Peruzzi, affiancati a diplomatici, giuristi e magistrati, alti funzionari dello stato, scrittori, eruditi, scienziati ed economisti. Tra questi ultimi, da segnalare la presenza di Georg von Mayr, Carl Menger, Maffeo Pantaleoni, Nicolaas Gerard Pierson, Giuseppe Ricca Salerno, Wilhelm Roscher, che affiancano figure importanti nel panorama delle nascenti scienze statistiche europee e italiane quali Adolphe Quetelet e Angelo Messedaglia. Ma come rilevato nel saggio introduttivo da Giovanni Luigi Fontana, all’interno della corrispondenza del Lampertico spicca per continuità e consistenza – oltre milleduecento lettere e biglietti inviati nell’arco di un quarantennio – la voce di un altro vicentino a lungo protagonista del dibattito politico ed economico nell’Italia postunitaria, l’industriale scledense Alessandro Rossi. Un dialogo fitto e denso, quello tra il politico e l’industriale, non privo di divergenze sia su questioni di carattere generale che su scelte specifiche, ma che rende espliciti con singolare chiarezza alcuni dei nodi fondamentali del processo di industrializzazione italiana, quali il problema della formazione della manodopera e del rapporto tra istruzione tecnica ed industria. ANDREA LEONARDI, CINZIA LORANDINI, Una banca per lo sviluppo regionale. Mezzo secolo di attività del Mediocredito Trentino-Alto Adige, Roma-Bari, Laterza, 2012, pp. IX-528. Nella seconda metà del Novecento il Trentino-Alto Adige è stato teatro di una serie di trasformazioni economiche e sociali che hanno portato l’area in questione a raggiungere il livello medio di sviluppo del Centro-Nord, sfiorando i vertici della classifica nazionale per prodotto pro capite. Un ruolo sicuramente di rilievo è stato svolto dal Mediocredito Trentino-Alto Adige, istituto di rilievo nel finanziamento a medio-lungo termine di piccole e medie imprese della regione. Il volume affronta l’attività dell’Istituto, che si inserisce da un lato all’interno del rapporto fra credito e sviluppo economico in un’area di montagna, dall’altro nel delicato rapporto fra Settentrione italiano ed area mitteleuropea. Un’analisi complessa, che ricostruisce non solo le dinamiche gestionali dell’Istituto propriamente detto, ma anche 27 dell’annessa Sezione autonoma per il credito agrario di miglioramento, all’interno di un quadro che tiene conto dei mutamenti avvenuti in ambito regionale e nazionale e in prospettiva europea. L’esame del contesto diviene centrale per comprendere il ruolo svolto dall’Istituto: in questo senso si inseriscono le vicende economiche e di politica economica susseguitesi nella seconda metà del XX secolo nel contesto trentino e sudtirolese, che pongono la regione al centro di ampi processi di trasformazione dell’organizzazione produttiva e della struttura istituzionale. All’interno di questa lettura si colgono anche i rapporti fra l’Istituto e gli intermediari creditizi presenti sul territorio, nonché le reti relazionali e le divisioni dei compiti nelle scelte operative. Il lavoro è strutturato il tre parti. La prima parte, Lo scenario economico, è dedicata al contesto e prende in esame le vicende economiche e bancarie nazionali e locali. In primo luogo è presentato lo scenario economico nazionale (in particolare il Piano Marshall) e regionale del Trentino Alto Adige (con la relativa lentezza rispetto al ‘miracolo economico’ e il peso del terziario nel sistema regionale) all’interno del quale s’inserì l’attività dell’Istituto dopo la seconda guerra mondiale. La seconda parte, Un nuovo ruolo per il credito, affronta il quadro complessivo del sistema creditizio italiano, in particolar modo con la riforma bancaria del 1936, e il nuovo ruolo assunto dai Mediocrediti regionali e del Mediocredito centrale. Al centro dell’indagine vi sono i rapporti fra istituzioni centrali, gli organi di governo autonomistici e gli organismi di intermediazione creditizia. La terza parte, Le dinamiche operative del Mediocredito Trentino-Alto Adige, affronta le vicende gestionali dell’Istituto, con un’attenzione particolare alla genesi, ai protagonisti, al radicamento nel territorio e all’azione di sostegno svolta nel corso della seconda metà del Novecento. Il lavoro si basa su un’ampia documentazione inedita conservata presso l’Archivio storico della Banca d’Italia a Roma, nonché presso le sedi archivistiche di Trento e Bolzano. La parte maggiore è stata reperita presso l’archivio dello stesso Mediocredito Trentino-Alto Adige. Ruolo importante hanno i libri verbali degli organi dell’istituto, le relazioni al bilancio e le pratiche istruttorie relative alla concessione dei finanziamenti, conservate presso l’archivio aziendale. ROSSELLA MASPOLI e AGATA SPAZIANTE (a cura di), Fabbriche, borghi e memorie. Processi di dismissione e riusco post-industriale a Torino Nord, Torino, Alinea Editrice, 2011, pp. 168. Il libro affronta il tema della dismissione e degli esiti di quasi trent’anni di trasformazione, fra conservazione e ricostruzione, dalla scala territoriale alla microurbana, alle architetture e alle tecnologie costruttive e di intervento. La prima parte apre a confronti sui temi della costruzione tter SISE e l s new e della riqualificazione e riplasmazione, affrontando i problemi dell’abitare e delle tecnologie. La seconda parte pone l’attenzione sul ruolo della comunicazione, sulle potenzialità di reti web e data base storico-scientifici. La terza parte analizza il ruolo e le prospettive del patrimonio industriale, i sistemi costruttivi, l’identità del paesaggio industriale, tra mantenimento e cambiamento. La quarta parte riguarda la parte urbana oggetto di specifica indagine – il territorio di Torino Nord – approfondendo la ricostruzione della formazione del territorio industriale e la trasformazione delle fabbriche a oggi, costituendo un repertorio di schedatura, sviluppato da Rossella Maspoli, Manuel Ramello, Alessandro Depaoli. Questo l’indice del volume: Agata Spaziante e Rossella Maspoli, La struttura del volume; Renato Covino, Introduzione. La diffusione della cultura industriale; Giovanni Luigi Fontana, Prefazione. Il ruolo dell’interdisciplinarietà. Parte prima: ‘Città industriale fra XIX e XXI secolo’: Enrico Confienza, Urbanesimo e trasformazione nell’età industriale; Agata Spaziante, Il difficile significato urbano del riuso del patrimonio industriale dismesso; Rossella Maspoli, La memoria e la potenzialità dei siti. Deindustrializzazione/terziarizzazione e residenzialità. Parte seconda: Rossella Maspoli, Le prospettive di comunicazione del patrimonio industriale, fra storia e progetto; Elena Romagnolo, Luciano Gallino, Web e multimedia per la conoscenza della storia industriale del territorio. Il progetto Storiaindustria.it; Elena Masala, La visualizzazione storica degli edifici industriali. Parte terza: Fabbriche e memorie. Pratiche, opportunità e risorse. Daniela Biancolini, Il ruolo della tutela e le prospettive del patrimonio industriale; Manuel Ramello, Le tipologie e i sistemi costruttivi industriali dei siti. Analisi e progetto; Armando Baietto, Il recuperare i siti industriali a Torino; Manuel Ramello e Alessandro Depaoli, Classificazione ed identità del paesaggio industriale. Il caso di Borgo Rossini a Torino; Alessandro Depaoli, La costruzione del territorio. Le infrastrutture e lo sviluppo industriale dal ’600 al ’900 attraverso la cartografia storica. Parte quarta: Torino Nord. Il territorio, l’architettura e l’industria (a cura di Rossella Maspoli, Manuel Ramello e Alessandro Depaoli). ANGELO NESTI, La siderurgia a Piomino. Impianti, politiche industriali e territorio dall’Unità alla seconda guerra mondiale nel contesto della siderurgia italiana, Terni, Crace, 2012, pp. 283. Angelo Nesti approfondisce le ricerche sulla storia dell’industria del ferro e dell’acciaio a Piombino con l’intento di gettare luce su periodi e episodi poco conosciuti nella storia di uno dei principali poli siderurgici del paese. Area di antica e radicata tradizione nella lavorazione dei metalli, la Toscana del secondo Ottocento attirò numerosi imprenditori e tecnici innovatori, che nella regione cercarono la localizzazione produttiva più adatta per fondare o tter SISE e l s new rilevare stabilimenti nei quali vennero introdotti per la prima volta in Italia i processi produttivi sviluppati nell’Europa settentrionale per la lavorazione del ferro e dell’acciaio, dai forni di pudellaggio ai convertitori Bessemer ai forni Martin-Siemens. Le ricerche degli ultimi quarant’anni hanno però evidenziano quanto il successo di queste iniziative fosse condizionato, in una situazione di limitate dimensioni del mercato interno, dalla possibilità di accedere alle commesse pubbliche, in primo luogo a quelle relative alle forniture militari. Il volume si concentra sugli anni compresi tra l’Unità e la prima guerra mondiale, un periodo rimasto sino ad ora relativamente in ombra nella storia del polo industriale, principalmente a causa della scarsa disponibilità di fonti aziendali. Ricorrendo ad una documentazione molto eterogenea, dagli archivi comunali alla corrispondenza di Vilfredo Pareto, all’epoca direttore di un’azienda concorrente, l’Autore riesce a supplire alla completa perdita degli archivi aziendali per tracciare la vicenda di uno degli stabilimenti che svolsero un ruolo da protagonista nel primo sviluppo industriale della siderurgia a Piombino, la Perseveranza di Jacopo Bozza. Passa poi a prendere in esame i rapporti esistenti tra l’impresa piombinese, che aveva mutato ragione sociale in Stabilimento Metallurgico di Piombino, ed il Credito Mobiliare, per affrontare quindi la questione della introduzione del forno Martin-Siemens in Italia. Il volume si chiude ripercorrendo, sulla base dei verbali del Consiglio di amministrazione, l’avventura della famiglia Bondi alla guida degli Altiforni ed Acciaierie di Piombino, con la realizzazione della prima acciaieria a ciclo integrale italiana, la grande espansione della produzione in periodo bellico, senza trascurare i rapporti molto spesso conflittuali tra la proprietà dell’azienda e il cartello della siderurgia organizzato sotto l’egida dell’Ilva, giungendo a proporre una rilettura dello scontro tra una delle figure più emblematiche del capitalismo italiano di questo periodo, Max Bondi, ed Attilio Odero. SARA NOCENTINI, Utilizzo integrale del vapore. Per una storia della geotermia in Toscana (1818-1966), Firenze, Fondazione Spadolini – Nuova Antologia – Le Monnier, 2012, pp. 123 (Centro di Studi sulla Civiltà Toscana fra ‘800 e ‘900, n. 60). Nel panorama degli Stati italiani nella prima metà dell’Ottocento, la Toscana era caratterizzata da un persistente liberoscambismo, in linea con la sua vocazione mercantile e con la sua agricoltura sostanzialmente statica a conduzione mezzadrile, alle quali si univano alcune attività finanziario-speculative e manifatturiere in diversi comparti su base soprattutto artigianale. Una cultura essenzialmente da rentier dominò, quindi, la regione, a conferma del moderatismo della sua classe dirigente, pronta poi a salire sul carro del liberalismo, come ha sottolineato la storiografia, ma restia ad affrontare sfi- 28 de imprenditoriali più avanzate, in settori dove la concorrenza internazionale era forte. A questa cultura moderata, conservatrice e, in ultima analisi, antindustrialista non mancarono alcune significative eccezioni. Una di queste è costituita dalla figura di François de Larderel, tecnico esperto, abile uomo d’affari, imprenditore shumpeteriano, che nel 1818 fondò l’impresa omonima nel comune pisano di Pomarance per produrre e commercializzare l’acido borico. Con la diffusione dell’energia elettrica alla fine del secolo si aprì un altro filone: lo sfruttamento dei soffioni per la produzione geotermoelettrica, legato a Piero Ginori Conti, giunto nel 1904 alla guida della Larderello e, dal 1922 affiancato da figlio Giovanni. L’Autrice racconta questa vicenda industriale dagli anni immediatamente successivi al Congresso di Vienna agli anni Sessanta del Novecento, una storia delle attività chimico-minerarie, oltre che energetiche di una società fortemente innovativa, avvalendosi di fonti di prima mano: l’Archivio Storico della Larderello, conservato presso l’Archivio ENEL di Napoli. Queste le hanno consentito di sottolineare, ad esempio, come l’arrivo di Ginori Conti – sostenitore di una moltiplicazione degli ambiti di intervento della sua impresa (vedi, ad esempio, le sperimentazioni agricole) e dell’“utilizzazione integrale del vapore”– abbia portato un consistente e rinnovato slancio alla produzione chimica, con interventi nello studio, nella ricerca, nonché nell’investimento e nella promozione. GRAZIA PAGNOTTA, Dentro Roma. Storia del trasporto pubblico nella capitale (1900-1945), Roma, Donzelli, 2012, pp. X-404. Grazie ad un ampio materiale archivistico in larga parte inedito, il volume ricostruisce le vicende relative alla nascita e sviluppo del trasporto pubblico di Roma nella prima metà del Novecento, facendo così luce su di un elemento chiave all’interno delle vicende economiche e urbane di una delle più importanti metropoli italiane ed europee. La storia della mobilità nella capitale, infatti, è un fattore ineludibile tanto per la conoscenza del passato, quanto per l’interpretazione del presente. Il trasporto pubblico sostenne l’espansione urbana e la trasformazione in metropoli, venendo incontro al fabbisogno di manodopera per le industrie e alla presenza di consumatori per il commercio cittadino, ma anche alla vasta tipologia di professioni ‘borghesi’ e alle attività destinate al tempo libero. Influendo sull’uso della città e modificandone le funzioni, il trasporto pubblico ha reso possibile il cambiamento del volto e delle funzioni urbane, attraverso un processo di lungo periodo e attraverso progressi tecnologici e scientifici. Per quanto riguarda la capitale, all’interno del libro sono affrontate le principali tappe nella costruzione del trasporto pubblico romano dall’inizio del Novecento alla fine della seconda guerra mondiale, ricordando le soluzio- 29 ni di volta in volta proposte e adottate nel corso degli anni per fronteggiare il delicato e difficile problema della mobilità in una città in continua espansione. Gli anni dieci del Novecento rappresentarono il momento di inizio della configurazione della fisionomia del trasporto pubblico romano. Le scelte non furono tuttavia lungimiranti, soprattutto a causa della mancata progettazione della rete metropolitana fino alla metà del secolo, con l’affermazione dell’autobus come mezzo di trasporto privilegiato. Questo fatto ebbe diverse conseguenze negative: da un lato sulla qualità dell’aria in città e sulle condizioni del traffico, dall’altro per il ruolo sempre più importante giocato dai mezzi pubblici nell’anticipare il successivo sviluppo dell’automobile privata negli anni successivi del secondo dopoguerra, con il boom economico e la motorizzazione di massa. Nell’ottica di una storia aziendale, infine, il volume ricostruisce la storia dell’Atac, azienda pubblica creata nel 1911 dopo il dibattito sull’opportunità di municipalizzare i servizi della capitale. La storia di questa azienda, e in particolare i suoi rapporti con l’amministrazione capitolina, è funzionale a ripercorrere alcuni snodi centrali legati alle capacità organizzative, alle efficienze e inefficienze delle scelte tecnologiche e dirigenziali, ma anche della storia del movimento operaio romano. Si tratta di uno studio articolato di storia urbana, d’impresa e anche storia ambientale, che mette in luce le difficoltà e le implicazioni di una delle componenti centrali della costruzione di Roma contemporanea e della sua trasformazione economico e sociale di inizio Novecento. ROBERTO PARISI e ILARIA ZILLI (a cura di), Il patrimonio industriale in Molise. Itinerari di un censimento in corso, Narni, Crace, 2012, pp. XI - 240. Affrontare il tema dell’archeologia industriale in una regione “ruralissima” come il Molise, interessata solo tardivamente e in aree limitate dallo stanziamento della grande industria, è la sfida raccolta dai curatori del volume, Roberto Parisi ed Ilaria Zilli. La ricognizione vasta e approfondita condotta dagli autori dei diversi saggi restituisce un quadro ricco e dettagliato della storia delle manifatture molisane e delle testimonianze materiali ad essa legate. Si tratta molto spesso di aziende ed impianti che si dedicavano alla trasformazione dei prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento locale – mulini da cereali, frantoi, oleifici, fornaci, pastifici, lanifici – e delle infrastrutture – strade, ponti, porti e caricatori – che sia pure con molte difficoltà dovute alla conformazione del territorio e delle coste consentivano l’accesso ad un mercato sovralocale. Realtà quindi apparentemente minori e spesso arretrate dal punto di vista tecnico, ma profondamente radicate nelle strutture dell’economia regionale e capaci di dimostrare una straordinaria resistenza alle congiunture difficili, come sottolinea Ilaria Zilli nel suo saggio dedicato all’attività tter SISE e l s new molitoria. Il ricco corredo fotografco del volume documenta la conservazione di impianti e macchinari, lascito di una situazione di arretratezza relativa protrattasi sino a tempi a noi vicini e che rappresentano altrettante emergenze da studiare e valorizzare. Aperto da una presentazione di Renato Covino e da un saggio introduttivo dei curatori dal titolo Itinerari di un censimento in corso, il volume si articola in tre parti. La prima, Storie, è formata dai saggi di Ilaria Zilli, Industria e manifatture in Molise; Rossano Pazzagli, L’industria in campagna. Per un itinerario del patrimonio industriale nelle aree rurali; Roberto Parisi, Le fabbriche del Molise. Uomini, luoghi e paesaggi del lavoro. La seconda parte, Itinerari, raccoglie gli interventi di Ilaria Zilli, Mulini; Giovanna Pretella, Fonderie e Ramiere; Marinangela Bellomo, Frantoi e oleifici; Patrizia Trivisonno, Fornaci; Maddalena Chimisso, Pastifici; Virginia Di Vito, Lanifici; Roberto Parisi, Centrali idroelettriche; Maria Iarossi, Strade e ferrovie; Ezio Ritrovato, Porti e caricatoi; Ilaria Zilli, Infrastrutture e nuclei industriali. La parte terza accoglie il contributo di Giorgio Palmieri, Infrastrutture e attività proto industriali in due centri molisani. Annotazioni bibliografiche su Riccia e Sepino. ROSA VACCARO, I comuni nell’Italia liberale tra debito e progresso sociale, Padova, Cedam, 2012, pp. 334. Il volume si inserisce all’interno degli studi sull’ordinamento amministrativo dello Stato italiano che, sin dall’Unificazione, hanno alimentato un intenso dibattito, ancor oggi vivo e condizionante la vita politica del paese. Al centro dell’interesse vi è stato soprattutto quel processo di “piemontesizzazione” della penisola, con le amministrazioni degli enti territoriali sempre più svuotate di processi e tradizioni locali sedimentatisi attraverso i secoli e ricoperte di nuove funzioni provenienti dal centro. Rispetto a questo quadro storiografico generale, il volume analizza uno degli effetti di quel processo, ovvero il dissesto finanziario comunale e le sue conseguenze sulle economie e sulle società regionali. Fin dai primi anni post-unitari, le politiche di governo favorirono infatti il raggiungimento dell’obiettivo prioritario, ovvero il consolidamento dell’Unificazione tramite il drenaggio di cespiti verso l’erario e il dirottamento di spese verso gli enti locali. Ciò provocò un continuo impoverimento delle finanze locali, con un continuo tter SISE e l s new indebitamento cronico che ebbe gravi conseguenze sulle condizioni delle infrastrutture, sulle pessime condizioni igieniche e sulla persistenza dell’analfabetismo, con un squilibrio che non era più solo finanziario, ma anche e soprattutto sociale. Questo quadro emerge ancor di più grazie all’utilizzo di un largo spettro di fonti statistiche aggregate e soprattutto dai bilanci comunali che furono pubblicati, anche se in misura non sistematica, sin dopo l’Unificazione. Il contesto generale fu dunque condizionato da un difetto originario che rese difficile costruire un ordinamento amministrativo dotato della necessaria flessibilità al fine di rispondere ai bisogni del nuovo regno. Le risorse comunali non furono mai sufficienti a coprire le spese obbligatorie, mentre ne seguì un grave squilibrio strutturale nei bilanci dei municipi dell’Italia liberale, destinato a peggiorare nel corso degli anni. Un problema dunque ‘storico’, ma importante soprattutto alla luce delle contingenze attuali anche perché invita a riflettere sulle difficoltà nell’attuazione di politiche di trasferimento e sugli elevati costi di una politica autarchica delle finanze locali in un contesto di dualismo economico. In questo senso, se il sistema perequativo non riuscirà a rispondere alle complesse dinamiche della realtà del paese, un’eventuale politica ispirata ai principi del federalismo fiscale rischia di aumentare le esistenti divergenze in termini economico e sociali. EVENTI Convegno di Studi Internazionale: Antonio Genovesi: Economic and Civil Perspective 300 Years Later, Napoli, 9 marzo 2013. Tra i principali protagonisti dell’Illuminismo napoletano, l’abate Antonio Genovesi nacque a Castiglione (SA), nel novembre del 1713. A tre secoli da questa data, la figura e l’opera del primo cattedratico di Economia in Italia (è del 1754 il suo corso di Commercio e Meccanica presso l’Università partenopea), vengono celebrate anche attraverso un Incontro di Studio Internazionale che si terrà a Napoli il 9 marzo 2013, presso la Sala delle Assemblee del Banco di Napoli, in via Toledo, 177. A promuovere il Convegno “Antonio Genovesi: Economic and Civil Perspective 300 Years Later”, sono l’Istituto Luigi Sturzo di Roma, l’Università di Milano-Bicocca e l’Istituto Universitario Sophia (Loppiano-Firenze), mentre fanno parte del Comitato Scientifico A. Brugnoli (Università di Bergamo e Éupolis Lombardia), L. Bruni (LUMSA e IU Sophia), M. Magatti (Università Cattolica di Milano), P.L. Porta (Università di Milano - Bicocca), R. Ruffini (Università Carlo Cattaneo - LIUC), S. Zamagni (Università di Bologna). Dopo 30 i saluti dei presidenti dell’Istituto Sturzo, R. Mazzotta, e del Banco di Napoli, M. Baracco, seguiranno le relazioni di S. Zamagni, How to make sense of the recent rebirth of the civil economy perspective; L. Bruni, Antonio Genovesi: Felicità pubblica; F. Di Battista (Università di Bari), La tradizione genovesiana di pensiero economico; P.L. Porta, Italian Enlightenment and Classical Political Economy: the contribution of Antonio Genovesi; R. Ajello (Università di Napoli), Dalla scepsi alla socialità: Rousseau e Genovesi; J.L. Cardoso (Università di Lisbona), Genovesi and the Development of Enlightened Political Economy; P. Bridel (Università di Losanna, Centro Walras-Pareto), Genovesi and the debate on the origin of money; J. Astigarraga (Università di Saragozza), Spagna e l’opera economica di Antonio Genovesi. Spetterà a F. Dal Degan e a L. Bruni il compito di trarre le conclusioni dei lavori. CALL FOR PAPERS 17 th European Business History Association Congress ‘Innovation and growth’, Uppsala Centre for Business History (UCBH), Uppsala, 22-24 agosto 2013. È disponibile all’indirizzo http://www.ebha.org/files/ conferences/callforpapersebha2013rev.pdf il call for paper per il 17th congresso della European Business History Association il cui tema sarà ‘Innovation and growth’ e che si terrà presso l’Uppsala Centre for Business History (UCBH), a Uppsala nei giorni 22-24 agosto 2013. Le innovazioni (tecniche, finanziarie e organizzative) sono stati fattori importanti della crescita. Da un punto di vista globale, l’interazione tra le imprese, l’innovazione e la crescita è stata centrale nel processo di crescita economica nel corso di tre rivoluzioni industriali. Esperienze storiche europee ci danno così spunti su queste complesse relazioni in prospettiva nazionale, regionale e locale. Per esempio, nell’economia svedese l’innovazione è stata fondamentale per i cambiamenti economici strutturali oltre che per lo sviluppo del paese verso una nazione altamente industrializzata. L’innovazione scientifica e la sua attuazione sono stati anche, e lo sono ancora, una parte importante dello sviluppo economico locale a Uppsala. L’innovazione è centrale per lo sviluppo e la crescita sostenibile, ma come ha osservato Schumpeter, le innovazioni così come gli imprenditori assumono forme diverse. Come il suo tema principale, questo Congresso vuole identificare le interrelazioni tra crescita e l’innovazione. È ovvio che innovazioni possono causare la crescita economica. Tuttavia, poiché le innovazioni portano spesso a cambiare le strutture economiche e sociali, esse possono avere un effetto destabilizzante, almeno nel breve termine. È importante dunque, come storici d’impresa, analizzare non solo i presupposti per la crescita e innovazione, ma anche i processi da una prospettiva di lun- 31 go periodo. Innovazioni tecniche, finanziarie e organizzative sono state spesso collegate tra loro – ma in che modo? È un tipo di innovazione condizione preliminare per un altro? Lo sviluppo tecnico è una parte importante di innovazione, e con, per esempio, l’aiuto di patenti e statistiche sui brevetti è stato possibile di identificare gruppi di società e le attività regionali per l’innovazione. Questi gruppi hanno anche a volte fornito il quadro per la crescita economica. Ma ciò vale anche per le innovazioni finanziarie e organizzative? Questi sono dunque i temi suggeriti per le proposte di sessione: come possiamo comprendere l’interazione tra l’innovazione e la crescita? Le attività innovative sono più frequenti durante i periodi di boom economico o durante i periodi di crisi economica? Come possiamo oggi definire l’innovazione rispetto a 150 anni fa? Quali sono le forze trainanti le attività innovative? Quali fattori causano differenze tra le innovazioni in diversi paesi o regioni e nel tempo? Come le strutture istituzionali hanno favorito e / o ostacolato l’innovazione? Che ruolo ha lo Stato svolgere nello sviluppo di innovazione? Qual è il ruolo di imprenditori e innovazioni nello sviluppo delle imprese? Quale ruolo giocano le attività innovative per i paesi industriali ritardatari? Come sono legate alla crescita le innovazioni finanziarie? Sono requisiti indispensabili o sono il risultato di innovazioni tecniche e/o organizzative? Le proposte di comunicazioni e/o sessioni relative al tema della conferenza sono particolarmente benvenute, anche se sarà possibile considerare proposte non direttamente legate al tema. Si prega di inviare un titolo e abstract di non più di 400 parole insieme ad un curriculum vitae di una pagina all’indirizzo [email protected]. Le proposte di sessione dovrebbero includere un breve riassunto della sessione con una pagina di astratto e una pagina di CV per ogni partecipante. Il termine ultimo per tutte le proposte è il 1 febbraio 2013. Institutions: History Lab Annual Conference 2013, Institute of Historical Research, Londra, 12-13 giugno 2013. Le istituzioni sono sempre state una parte integrante della società umana e sono state tradizionalmente intese come strumenti di controllo sociale, burocratico e amministrativo. Tuttavia, recenti eventi come la crisi della zona euro hanno portato a un crollo di fiducia nella politica e all’ascesa di movimenti attivisti come Avaaz. Questi cambiamenti globali hanno messo in discussione le definizioni tradizionali di istituzioni. ‘Istituzione’ ha anche un significato metaforico, dall’istituzione del matrimonio a un insieme di comportamenti con regole ben precise. Che cosa è un’istituzione’? Chi fa le ‘istituzioni’? Come operano? Che cosa comporta il processo di ‘istituzionalizzazione’? A partire da queste domande, la History Lab Conference 2013 si propone di indagare le relazioni tra tter SISE e l s new istituzioni, società e degli individui attraverso l’analisi storica. Giovani ricercatori sono in particolare invitati a presentare proposte di relazioni (venti minuti), o panels di tre contributi ciascuno, su temi specifici che esplorino le istituzioni anche dal punto di vista metodologico. I contributi possono coprire ogni regione e periodo storico, esplorando le istituzioni nei diversi ambiti, tra cui, ma non solo: religione e morale; attivismo, protesta e resistenza sociale; istituzioni governative, non governative e assistenziali; medicina e istituzioni mediche; amministrazione e burocrazia; industria e commercio; famiglia, educazione e welfare; produzione e pratiche culturali; lavoro, impresa e relazioni industriali; polizia, legalità e incarcerazione. Per presentare una proposta si prega di inviare il titolo insieme a 250 parole di abstract, indicando l’ente di appartenenza a [email protected] entro il 28 Febbraio 2013. 12th International Conference on Urban History ‘Cities in Europe, cities in the world’, Lisbona, 3-6 settembre 2014. È aperto l’invito a partecipare alla 12th International Conference on Urban History ‘Cities in Europe, cities in the world’, che si terrà a Lisbona dal 3 al 6 settembre 2014. Proposte di sessioni tematiche sono benvenute dal 1 dicembre 2012 al 1 marzo 2013. È possibile sottomettere sessioni direttamente presso il sito web http:// www.eauh2014.fcsh.unl.pt. Nell’aprile 2013 gli organizzatori di sessione saranno informati se la loro sessione è accettata. L’European Association for Urban History incoraggia ricerche di storia urbana che abbiano un carattere interdisciplinari e internazionali. Quindi l’Associazione invita a sottomettere sessioni che abbiano un carattere il più possibile comparativo e interdisciplinare. Inoltre, sarà data priorità alle sessioni che sono organizzate e co-organizzate da studiosi provenienti da differenti paesi/università. Per ulteriori informazioni è possibile inoltre inviare una email all’indirizzo: [email protected] Per ogni proposta di sessione si consiglia di inserire un titolo con un abstract di 200-400 parole su un argomento coerente e mirato, proponendo attraverso alcuni temi chiave, la rilevanza scientifica della sessione nel contesto della storiografia recente, gli obiettivi che la sessione si propone da raggiungere e un elenco di potenziali temi. Le sessioni che cercheranno di fare un confronto comparativo più paesi e ampliare il punto di vista con il contesto extra-europeo sono particolarmente incoraggiate. Nella sessione si dovrà indicare il nome, l’appartenenza, l’indirizzo postale e l’indirizzo e-mail dell’organizzatore della sessione. Ogni sessione dovrebbe avere almeno due organizzatori. Sarà data priorità alle sessioni co-organizzate da parte di studiosi di diverse università/paesi. tter SISE e l s new 32 A LUCIANO SEGRETO IL PREMIO SISSCO Il Direttivo della SISSCO (Società italiana per lo studio della Storia contemporanea) ha assegnato al volume di Luciano Segreto sulla dinastia dei Feltrinelli il suo Premio annuale riservato alle opere di sintesi. Riportiamo di seguito la motivazione del Premio: “Il volume di Luciano Segreto, I Feltrinelli. Storia di una dinastia imprenditoriale (1854-1942), Milano, Feltrinelli, 2011, colma una lacuna entro il panorama di studi inerente la storia dell’impresa e dell’industria italiane e internazionali. Le tre generazioni della dinastia Feltrinelli, le cui vicende sono approfondite da questo volume, frutto di lunghe ricerche condotte in oltre trenta archivi e biblioteche di vari paesi europei, furono popolate da figure note a chiunque conosca la parabola economica nazionale fra XIX e XX secolo; nomi a fronte dei quali fino a oggi lo studioso era costretto a ricorrere a bibliografia circoscritta e frammentaria, non infrequentemente inficiata da pregiudizi e imprecisioni. I Feltrinelli è il primo lavoro monografico dedicato a questa famiglia protagonista dello sviluppo economico italiano che ne esplori a fondo l’amplissimo archivio familiare. Il lavoro di ricerca dell’autore ha il merito, tra l’altro, di richiamare l’at- tenzione degli studi di storia economica sul valore del legname, la cui importazione dall’area austriaca e ungherese è stato il punto di partenza della vicenda imprenditoriale dei Feltrinelli, legname che ha costituito una delle commodities più importanti della storia dello sviluppo moderno, sovente trascurata dagli studiosi, alla base di un’imprenditoria a spiccata vocazione internazionale. Collocata su questo sfondo storico (e teorico) la storia economica della prima generazione dei Feltrinelli trascende l’ambito del legname per assumere, secondo Segreto, valore di paradigma interpretativo generale dello sviluppo industriale-finanziario ottocentesco. Uno sviluppo descritto a partire dai fattori che in questo libro disegnano il quadro coerente di un’accumulazione di asset materiali e immateriali che portò l’Italia dalla periferia al centro del capitalismo mondiale di età contemporanea. I Feltrinelli consolida e rilancia la produzione di business history italiana entro i migliori standard internazionali, tracciando al contempo prospettive di ricerca che potrebbero essere utilmente sviluppate entro differenti rami della storiografia sull’età contemporanea”. Consiglio direttivo della SISE Prof. Antonio Di Vittorio, Presidente. Ordinario di Storia Economica presso l’Università di Bari Prof.ssa Paola Massa Piergiovanni, Vice-presidente. Ordinario di Storia Economica presso l’Università di Genova Prof. Andrea Leonardi, Vice-presidente. Ordinario di Storia Economica presso l’Università di Trento Prof. Nicola Ostuni, Segretario. Ordinario di Storia Economica presso l’Università di Catanzaro Prof. Carlo Marco Belfanti, Tesoriere. Ordinario di Storia Economica presso l’Università di Brescia Prof. Giovanni Luigi Fontana, Consigliere. Ordinario di Storia Economica presso l’Università di Padova Prof. Paolo Frascani, Consigliere. Ordinario di Storia Economica presso l’Università di Napoli “L’Orientale” Prof. Angelo Moioli, Consigliere. Ordinario di Storia Economica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Prof. Giampiero Nigro, Consigliere. Ordinario di Storia Economica presso l’Università di Firenze Comitato di redazione Giovanni Luigi Fontana, Maurizio Gangemi, Renato Giannetti, Carlo Maria Travaglini Collegio dei Revisori dei Conti Prof. Luciano Palermo. Ordinario di Storia Economica presso l’Università della Tuscia di Viterbo Prof.ssa Paola Pierucci. Ordinario di Storia Economica presso l’Università di Chieti, sede di Pescara Prof. Mario Taccolini, Ordinario di Storia Economica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia Presidenza Università di Bari, Dipartimento di Scienze Economiche e Metodi Matematici - Sezione di Storia Economica, via Camillo Rosalba 53, 70124 Bari; tel. 080 504 92 26; fax 080 504 92 27 Coordinatore Giovanni Luigi Fontana Redazione Università di Padova, Dipartimento di Storia, Via del Vescovado 30, 35141 Padova; tel. 049 827 85 01 / 85 59; fax 049 827 85 02 / 85 42 Segreteria di redazione: Andrea Caracausi, Francesco Vianello Hanno contribuito a questo numero: Andrea Bonoldi, Francesco Cassata, Augusto Ciuffetti, Giuseppe De Luca, Giovanni Favero, Paolo Frascani, Marcella Lorenzini, Daniela Manetti, Giuseppe Moricola, Elisabetta Novello, Giulio Ongaro, Foscara Porchia, Emanuela Scarpellini, Ilaria Suffia, Gian Luigi Trezzi, Valerio Varini. SISE Newsletter è pubblicata ogni 4 mesi: marzo, luglio e novembre. Tutti i soci della SISE la ricevono gratuitamente in formato elettronico. È inoltre disponibile sul sito internet della società: http://www.sisenet.it Pubblicazione quadrimestrale della Società Italiana degli Storici Economici Direttore Responsabile: Giovanni Luigi Fontana Autorizzazione del Tribunale di Padova n. 2226 Tip.: CLEUP sc, via G. Belzoni 118/3, Padova. Tel. 049 65 02 61