bollettino dei musei istituti biologici

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bollettino dei musei istituti biologici
BOLLETTINO DEI MUSEI
E DEGLI
ISTITUTI BIOLOGICI
DELL’UNIVERSITÀ DI GENOVA
PUBLISHED SINCE 1889
EDITORIAL BOARD
GIANCARLO ALBERTELLI
RICCARDO CATTANEO VIETTI
MAURO GIORGIO MARIOTTI
MARIA ANGELA MASINI
LIDIA ORSI RELINI
MARIO PESTARINO
ROBERTO PRONZATO
SILVIO SPANÒ
MIRCA ZOTTI
VOLUME 75 – 2013
PUBLISHED ON LINE – www.bmib.it
DIRETTORE RESPONSABILE
LORIS GALLI
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Registrato al Tribunale di Genova al n. 257 in data 26 marzo 1953
ISSN 0373-4110
XXXIX Congresso della
SOCIETA’ ITALIANA DI BIOGEOGRAFIA
“Liguria: dagli Appennini alle Alpi..….passando per il mare”
Rapallo, 29-31 maggio 2013
RIASSUNTI
COMITATO ORGANIZZATORE
Roberto Pronzato, Andrea Balduzzi, Giuseppina Barberis, Giorgio
Bavestrello, Carlo Nike Bianchi, Giuliano Doria, Loris Galli, Giulio
Gardini, Mauro Giorgio Mariotti, Luigi Minuto, Carla Morri, Maurizio
Pansini, Roberto Poggi, Sebastiano Salvidio, Giorgio Troiano.
COMITATO SCIENTIFICO
Valerio Sbordoni, Marco Bologna, Bruno Massa, Lorenzo Peruzzi,
Francesco Spada, Augusto Vigna Taglianti, Marina Cobolli.
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
Antonio Sarà, Marco Bertolino, Marzia Bo, Matteo Capurro, Gabriele
Casazza, Valentina Giussani, Fabio Ledda, Erica Perino.
INDICE
Contributo alla biogeografia da banche dati e reti per il
monitoraggio della biodiversità
1
JACOMINI C. - “Contributo alla biogeografia da banche dati e
reti per il monitoraggio della biodiversità”
MARTELLOS S., DE FELICI S., ATTORRE F., FORTUNATO C.,
SBORDONI V. – “Il Network Nazionale della Biodiversità:
accesso e condivisione dei dati in rete”
MARIOTTI M.G., CASAZZA G., VENANZONI R., ASSINI S.,
MINUTO L. - “Banche dati e reti di monitoraggio della flora e
della vegetazione: esperienze italiane e transfrontaliere”
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Alpi-Appennini: vicarianza o dispersione?
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WHITTAKER R. – “Conservation Biogeography and extinction
debts”
FACCINI F. – “Geodiversità e paesaggio geologico del
territorio ligure al passaggio Alpi-Appennini”
MINUTO L., BARBERIS G., ZAPPA E., CASAZZA G., MARIOTTI
M.G. - “Recent biogeographical studies about Maritime and
Ligurian Alps”
POPONESSI S., MARIOTTI M.G., VENANZONI R., ALEFFI M. –
“Considerazioni biogeografiche sulla flora briologica d’Italia:
l’esempio della Liguria”
FONTANETO D. – “Geography, climate, and patterns of genetic
diversity in a bdelloid rotifer”
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OTTONELLO D., ONETO F., BARONI D., GRIECO C., SINDACO
R. – “Odonati dell’Appennino Ligure-Piemontese (Insecta:
Odonata)”
BARONI D., SAVOLDELLI P., SINDACO R. – “Gli Ortotteri
(Insecta: Orthoptera) della Liguria”
ZAPPAROLI M., BAINI F., BONATO L., MINELLI S. - “Le attuali
conoscenze sui Chilopodi italiani: aspetti faunistici e
zoogeografici”
LODOVICI O., VALLE M. – “La tricotterofauna ligure”
ALLEGRUCCI G., RAMPINI M., DI RUSSO C., COCCHI S.,
SBORDONI V. – “Filogeografia e sistematica delle
Dolichopoda nord-occidentali (Orthoptera, Rhaphidophoridae)”
GRATTON P., TRASATTI A., RICCARDUCCI G., TRUCCHI E.,
MARTA S., ALLEGRUCCI G., CESARONI D., SBORDONI V. –
“The Erebia tyndarus species complex in the Alps and
Appennines: new genetic data on a biogeographic riddle”
BIANCO P.G., SOTO E. – “Le emergenze faunistiche dei
distretti ittiogeografici italiani”
MANCONI R., CADEDDU B., PRONZATO R. – “Spugne d’acqua
dolce di Liguria”
STOCCHINO G., MANCONI R., CADEDDU B., PALA M. –
“Freshwater triclads from Liguria”
BORGO E., DORIA G. – “L’Istrice (Hystrix cristata Linnaeus,
1758) in Liguria”
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Wallace, Wallacea…..e i liguri
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SBORDONI V. - “Wallace, le farfalle e la biogeografia”
FOCHER F. – “Alfred Russel Wallace: selezione naturale... e
oltre”
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POGGI R. – “Wallacea... a Genova. Naturalisti legati al Museo
di Genova nelle terre di Wallace”
GALLI L., CAPURRO M., SARÀ S. – “Protura distribution riding
the Wallacea”
Biogeografia del Mediterraneo: dinamica e cambiamento
MIGLIORE J., BAUMEL A., POUGET M., DIADEMA K., NOBLE
V., LERICHE A., MÉDAIL F. - “Plant biogeography in the
Western Mediterranean Basin: new insights from
phylogeographical studies”
DANOVARO R. – “Deep-sea biogeography: testing for
latitudinal, longitudinal, bathymetric and energetic gradients
driving deep-sea biodiversity”
BO M., BAVESTRELLO G. – “Distribuzione, ecologia e
conservazione dei coralli neri (Anthozoa, Antipatharia) del
Mediterraneo”
NOTARBARTOLO DI SCIARA G. – “I cetacei del Mediterraneo:
aspetti biogeografici”
AZZURRO E. – “Monitoring the changing mediterranean fish
diversity: the promise of community-based actions”
CADEDDU B., MELIS P., PRONZATO R., MANCONI R. –
“Checklist of cave-dwelling Porifera from the Ligurian Sea”
BIANCHI C.N., BOUDOURESQUE C.F., FRANCOUR P., MORRI
C., PARRAVICINI V., TEMPLADO J., ZENETOS A. – “The
changing biogeography of the Mediterranean Sea: from the old
frontiers to the new gradients”
BERTOLINO M., PANSINI M., BAVESTRELLO G. –
“Distribuzione geografica delle principali specie di spugne
presenti nel coralligeno del Mar Mediterraneo”
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MELIS P., CADEDDU B., LEDDA F.D., RICCI S., MANCONI R. –
“Petrobiona massiliana (Porifera, Calcarea): distribuzione e
analisi morfometrica di alcune popolazioni del Mar
Mediterraneo”
BETTI F., BAVESTRELLO G., CATTANEO-VIETTI R., BAVA S. –
“Gli Antozoi (Cnidaria: Anthozoa) dell’AMP Isola di
Bergeggi (SV)”
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CONTRIBUTO ALLA BIOGEOGRAFIA DA BANCHE
DATI E RETI PER IL MONITORAGGIO DELLA
BIODIVERSITA’
XXXIX Congresso della
SOCIETA’ ITALIANA DI BIOGEOGRAFIA
“Liguria: dagli Appennini alle Alpi..….passando per il mare”
Rapallo, 29-31 maggio 2013
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CONTRIBUTO ALLA BIOGEOGRAFIA DA BANCHE DATI E
RETI PER IL MONITORAGGIO DELLA BIODIVERSITÀ
BIOGEOGRAPHY CONTRIBUTION FROM BIODIVERSITY
DATABASES AND MONITORING NETWORKS
CARLO JACOMINI*
Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – Dip.
Difesa della Natura, Servizio Tutela della Biodiversità (ISPRA NATBIO), Responsabile del Settore Bioindicatori ed ecotossicologia, Via V.
Brancati 60, 00144, Roma
*Corresponding author. Email: [email protected]
Nello studio della biodiversità, un ruolo rilevante e di
fondamentale importanza per la corretta valutazione delle informazioni
ambientali è rappresentato dallo studio delle distribuzioni geografiche
delle popolazioni naturali. In particolare, l'analisi delle loro fluttuazioni
o modifiche permette di coniugare le esigenze di sostenibilità delle
attività antropiche con la conservazione.
Inoltre, la biogeografia può aiutare a elaborare informazioni
sulla possibilità che una specie esotica o comunque alloctona possa
stabilirsi in un nuovo areale.
In questo contesto, quale ruolo svolgono gli inventari auspicati
sulle popolazioni naturali, quelli promossi e finanziati dai ministeri
preposti, e quelli in via di realizzazione da decenni nelle più diverse
istituzioni pubbliche?
La Convenzione internazionale per la Diversità Biologica esige
che ciascuno Stato Membro organizzi i propri dati sulla biodiversità
all’interno di un sistema di interscambio denominato Clearing-House
Mechanism (CHM).
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In Italia, l’istituzione di governo dell’ambiente, il MATTM,
funge da organo di raccordo con le Amministrazioni Regionali e le
Province Autonome, nonché con le realtà locali di studio e ricerca.
Abbiamo poi le piattaforme informative in materia di natura e
biodiversità e i progetti legati al National Network per la Biodiversità
(NNB), per mettere in piedi un sistema organico (e omogeneo con i
sistemi internazionali) di raccolta e condivisione delle informazioni.
Infine, l’Osservatorio Nazionale per la Biodiversità, dove si
stanno realizzando le prime analisi sugli indicatori disponibili (e non
ancora su quelli necessari!) per monitorare la varietà e lo stato delle
forme di vita in natura.
Per quanto riguarda lo stato del territorio e del mare protetto
sotto l’egida delle direttive europee Uccelli e Habitat, vantiamo un 21%
della superficie nazionale incluso in Zone a Protezione Speciale (ZPS)
per l’avifauna e in Siti di Importanza Comunitaria (SIC) per le specie e
habitat incluse negli allegati della Direttiva 92/43/CEE del Consiglio del
21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e
seminaturali e della flora e della fauna selvatiche. Tali aree dovranno
portare in un breve futuro a Zone Speciali di Conservazione, tuttavia
dobbiamo evidenziare la solita contraddizione tra realtà e proposta
normativa: a fronte delle cifre esposte e degli sforzi fatti finora da parte
di singoli professionisti, associazioni ed enti pubblici e privati, manca
ancora un’organica e completa raccolta di informazioni anche solo sulla
situazione di tali aree.
A livello nazionale, disponiamo di una carta dei suoli che
identifica 34 Regioni Pedologiche, un dedalo che da’ vita alla maggiore
biodiversità europea: oltre 6.700 piante vascolari, 1.100 briofite
identificate, oltre 20.000 specie di macromiceti, 2.300 licheni e 58.000
specie di animali compongono un patrimonio ancora largamente da
scoprire e valorizzare. Tuttavia, il fatto che in molti gruppi non protetti
(ad esempio, la fauna del suolo) il tasso di endemismo sia superiore al
50% delle specie identificate, dovrebbe fare ragionare sulla necessità di
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superare la logica finora portata avanti in base alla quale si protegge
solo ciò che l’Europa ci impone. Se una specie è presente solo sul nostro
territorio, il suo valore come patrimonio naturale è enorme e va
valorizzato con studi non invasivi e progetti di conservazione efficaci.
Come realizzare un approccio più ecocompatibile ai nostri passi
futuri? Innanzitutto, valorizzare quanto fatto finora. Poi, investire per
ottenere ciò che non c’è ancora, ma si può ottenere ed è necessario.
ISPRA, in collaborazione tra gli altri con l'Associazione
Micologica Bresadola e il Centro comune di ricerca della Commissione
europea, ha contribuito a realizzare nel 2010 un EUReport disponibile
sulla rete in inglese e in italiano), elaborando oltre 300.000 record sulla
presenza degli elementi chimici in oltre 10.000 campioni di funghi. Tale
raccolta risulta essere la prima banca dati stabile al mondo di
informazioni di questo tipo, consentendo di analizzare anche gli areali
delle specie più rilevanti sul territorio nazionale, tramite l’analisi di altri
database (ammontando a quasi 200.000 altri dati di campo). Queste
analisi stanno portando alla realizzazione del primo manuale
sull’abbinamento delle specie micologiche italiane agli habitat naturali.
Solo un’analisi omnicomprensiva dei sistemi naturali permette
di valorizzare la realtà e di valutarne complessivamente i servizi
ecosistemici o la qualità ambientale, prendendo in considerazione la
morfologia, il genotipo e il fenotipo degli organismi considerati, la loro
impronta biochimica, il potenziale fisiologico e riproduttivo, la loro
auto- e sin-ecologia, la loro nicchia potenziale ed effettiva, ma
soprattutto considerando la coerenza di tutti questi fattori, utile a
disegnarne l’ipervolume. Un’indagine di questo tipo non sembrerebbe
essere realizzabile con i mezzi e i fondi adesso disponibili, tuttavia va
valutato che, anche solo dieci anni fa, non sarebbe stato ipotizzabile
pensare di raccogliere un volume di informazioni pari a quelle di cui
oggi possiamo disporre.
Al momento attuale, lo sviluppo dei sistemi regionali ha
consentito di disporre di informazioni di maggior dettaglio, sebbene
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spesso poco omogenee sul territorio nazionale. Un’indagine conoscitiva
sui sistemi di monitoraggio della biodiversità dei suoli italiani è adesso
in via di sviluppo grazie all’avvio in ISPRA di un tavolo tecnico su
biodiversità e degrado dei suoli, volto a progettare una rete nazionale di
monitoraggio omogenea e il più completa possibile su queste tematiche
fondamentali per la sostenibilità ambientale.
Il suolo, infatti, è il collettore di tutte le attività e i fenomeni
impattanti sul territorio. Inoltre, da esso si innescano gran parte dei
problemi (erosione, contaminazione, perdita di sostanza organica e di
biodiversità) che poi finiscono inevitabilmente per colpire direttamente
e indirettamente anche le altre matrici ambientali (aria, acqua) e umane
(cibo e foraggio).
A tal fine, è stato redatto dal tavolo tecnico un rapporto di
prefattibilità e di inquadramento delle problematiche legate alla
realizzazione di una rete nazionale di monitoraggio della biodiversità e
del degrado dei suoli. Una specifica scheda di adesione e censimento per
raccogliere informazioni utili sulle attività svolte è stata predisposta su
<http://www.questionari.sinanet.isprambiente.it/index.php?sid=96916>.
L’augurio è che questo nuovo decennio, così denso di impegni e
sfide utili alla conservazione della natura e della nostra specie (elemento
auto - esposto al maggior rischio di sopravvivenza), veda
un’integrazione vera delle fonti informative e un’utile applicazione dei
dati raccolti, così da suggerire le giuste correzioni a tutte le attività che
stiamo conducendo sventatamente a danno della biodiversità.
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IL NETWORK NAZIONALE DELLA BIODIVERSITÀ: ACCESSO E
CONDIVISIONE DEI DATI IN RETE
STEFANO MARTELLOS*1, STEFANO DE FELICI2, FABIO ATTORRE3,
CARLO FORTUNATO4, VALERIO SBORDONI2
1. Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste,
Via L.Giorgieri 10, 34127, Trieste; 2. Dipartimento di Biologia,
Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Via della Ricerca
Scientifica, 00133 Roma; 3. Dipartimento di Biologia Ambientale,
Università La Sapienza, P.le A. Moro 5, 00185, Roma; 4. Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Via Cristoforo
Colombo 44, 00154 Roma
*Corresponding author. Email: [email protected]
L’aggregazione dei dati di biodiversità in grandi database
federati è una delle priorità della ricerca nel campo della Informatica
della Biodiversità (Biodiversity Informatics). Questa branca della
Biologia si è evoluta in modo particolare negli ultimi 15 anni,
specialmente in seguito alla nascita del Global Biodiversity Information
Facility (GBIF) e del Biodiversity Collections Access Service for
Europe (BioCASE). Questi due grandi aggregatori di dati primari di
biodiversità veicolano ad oggi quasi 400 milioni di record, sui circa 2,5
miliardi che si stima esistano nel mondo.
L’Italia è uno tra i paesi più ricchi al mondo di collezioni
scientifiche, distribuite in numerosi Musei di Storia Naturale, presenti
anche in città di medie e piccole dimensioni, nelle Università e in altri
Centri di Ricerca. Questa situazione frammentata ha reso indispensabile
cercare di aggregare tutti i dati, al fine di renderli fruibili per attività di
ricerca e di conservazione.
Per questo motivo, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare (MATTM) ha avviato nel 2005 il progetto
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“Sistema Ambiente 2010”, che, successivamente, si è trasformato in un
vero e proprio programma, tuttora in corso, articolato in diversi progetti
di innovazione tecnologica e scientifica integrati tra loro, inseriti nella
Strategia Nazionale per la Biodiversità 2010-2020 (Convenzione delle
Nazioni Unite sulla Diversità Biologica - CBD) e nell’Agenda Digitale
Italiana (Agenda Digitale Europea - Strategia Europa 2020), in coerenza
con le politiche internazionali, comunitarie e nazionali in tema di ricerca
e innovazione. Uno dei risultati di questo programma è stato
l’istituzione del “Network Nazionale della Biodiversità” (NNB),
accessibile in rete tramite il portale “Natura Italia” (un altro dei risultati
di “Sistema Ambiente 2010”) all’indirizzo http://www.naturaitalia.it.
Il Network, oltre a rendere disponibile documentazione sulla
biodiversità e sulla sua tutela nella forma, richiesta dalla CBD e dalla
Ue, di un Clearing House Mechanism (CHM), aggrega ed organizza, in
due diversi database federati, realizzati, laddove possibile, secondo la
Direttiva comunitaria 2007/2/EC (Infrastructure for Spatial Information
Information in the European Community - INSPIRE):
a)
dati primari di biodiversità, ovvero record di
osservazioni floristiche e faunistiche, e dati di campioni delle
collezioni di storia naturale,
b)
dati legati alle specie, ovvero tutte le informazioni che
non fanno parte della precedente categoria (dati ecologici,
morfologici, sequenze di DNA, ecc.).
I database federati, pur essendo difficili da mantenere e gestire,
hanno l’indubbio vantaggio di consentire a ciascun data-provider di
mantenere l’assoluto controllo e la proprietà dei dati. Nessuno, a parte il
proprietario, infatti, può modificarli o spostarli dal server d’origine.
Il database federato di dati primari utilizza il protocollo
BioCASE ed Access Biological Collection Data (ABCD) come Concept
Mapping File (CMF).
BioCASE è stato scelto per la semplicità di installazione e
configurazione, e per la sua indipendenza dal GBIF, richiesta da
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“Sistema Ambiente 2010”. ABCD consente di veicolare dati anche
complessi, come quelli associati ai campioni presenti nelle collezioni di
Storia Naturale. Questa scelta non preclude la possibilità di una
aggregazione dei dati nel network GBIF. Infatti, il network BioCASE è
a sua volta un data provider del GBIF.
La ricerca viene eseguita mediante un’ interfaccia di
interrogazione, che restituisce l’elenco dei record disponibili organizzati
per database di origine. In presenza di dati georeferenziati, questi
possono essere visualizzati sul sistema di WebGIS integrato nel portale
“Natura Italia”, che è reso disponibile dal “Geoportale Nazionale”
(INSPIRE) del MATTM.
Il secondo database federato, che organizza dati legati alle
specie, non utilizza protocolli e CMF preesistenti, ed è stato sviluppato
interamente nell’ambito del programma “Sistema Ambiente 2010”. Il
database si basa su un approccio pragmatico, che mette al centro le
cosiddette “taxon page”. Ogni database di dati di biodiversità,
normalmente, organizza le informazioni per taxon. Quando un utente
ricerca delle informazioni, lo fa normalmente immettendo il nome di un
taxon, ed il risultato è una scheda a questo dedicata, che riporta le
informazioni disponibili nel database. Sfruttando questa caratteristica, il
sistema permette di ricercare i metadati delle taxon page presenti in tutti
i database federati tramite un’unica interfaccia di interrogazione, ed
organizza i risultati per categorie di organismi e di contenuti. Per ogni
risultato della ricerca sono riportati i crediti del data provider e degli
autori. I nodi federati del sistema sono interrogati direttamente solo
quando l’utente decide di accedere alla singola taxon page.
Il “Network Nazionale della Biodiversità”, istituito formalmente
nel 2012 ed entrato a regime all’inizio del 2013, organizza, ad oggi, più
di un milione di record di dati primari, grazie all’aggregazione di 41
banche dati di diversi data-provider, e circa 250.000 taxon page di dati
legati alle specie. Si tratta evidentemente di un risultato rilevante, anche
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considerato che a questo scopo sono stati utilizzati finora
esclusivamente i database posseduti dai partner del primo progetto di
“Sistema Ambiente 2010”, dedicato alla sperimentazione degli apparati
tecnologici. Oggi, il NNB deve trasformarsi da sistema sperimentale a
concreto strumento a disposizione della comunità scientifica, politicoamministrativa e generalista italiana e internazionale, che potrà attingere
alle risorse in esso contenute e contribuire attivamente alla sua crescita.
Nonostante il sistema sia perfettamente a regime, il suo
massimo potenziale è ancora ben lungi dall’essere raggiunto. Infatti, le
performance in aggregazione dei dati e nella produzione dei risultati, già
di buon livello, potranno essere ottimizzate con il perfezionamento di
alcuni aspetti tecnologici del sistema, quali, ad esempio:
1. la realizzazione di un sistema di caching per ridurre i tempi di
search/retrival e ovviare ai (momentanei) disservizi dei nodi della
rete;
2. il miglioramento del portale di ricerca, che consenta – al pari del
portale principale del progetto BioCASE – l’interrogazione tramite
un numero di campi molto maggiore dell’attuale.
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BANCHE DATI E RETI DI MONITORAGGIO DELLA FLORA E
DELLA VEGETAZIONE: ESPERIENZE ITALIANE E
TRANSFRONTALIERE
MAURO GIORGIO MARIOTTI1*, GABRIELE CASAZZA1, LUIGI MINUTO1,
SILVIA ASSINI2, ROBERTO VENANZONI3
1
DISTAV, Università di Genova, Corso Dogali 1m, 16136 Genova; 2 DSTA
Università di Pavia, Via S. Epifanio 14, 27100 Pavia; 3 Dipartimento di
Biologia Applicata, Università di Perugia, Borgo XX Giugno 74, 06121
Perugia - *Corresponding author. Email: [email protected]
Le banche dati rappresentano sempre più una base fondamentale
per la maggior parte delle ricerche scientifiche. Più sono ricche di dati
attendibili, facilmente confrontabili, interpretabili e implementabili tanto
maggiore è il loro contributo per il raggiungimento degli obiettivi
perseguiti nelle diverse discipline. La standardizzazione dei protocolli di
acquisizione e archiviazione di una ingente mole di dati su aree sempre
più estese rappresenta una garanzia per la possibilità di impiegare
strumenti di analisi e trattamento dei dati stessi con metodi sempre più
sofisticati che consentono nuove interpretazioni sempre più attendibili.
Mai in passato fu possibile archiviare in forma organizzata e trattare
statisticamente tali quantità di dati e questo si accentuerà probabilmente,
anche in futuro grazie alle nuove tecnologie informatiche, sia hardware
sia software. Si è persa ormai la memoria dei tempi in cui i dati dei
rilevamenti fitosociologici - raramente oltre il centinaio - venivano
ordinati, ritagliando e accostando strisce di carta su ognuna delle quali
era stato riportato (a mano o con la macchina da scrivere) ciascun
rilevamento. Eppure in diversi centri di ricerca questo avveniva ancora
una ventina di anni fa. I risvolti applicativi delle banche dati
“naturalistiche” sono principalmente nel campo della gestione/conservazione dei valori ambientali. In Italia, una pietra miliare tra le
banche dati di carattere botanico è rappresentata dal progetto “open
source” AnArchive for Botanical Data, un web geodatabase predisposto
per archiviare, elaborare e analizzare dati relativi a campioni di erbario,
flora e vegetazione. Avviato nel 2000, AnArchive è stato sviluppato nel
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corso di un decennio in forma collaborativa da un gruppo di ricercatori
delle Università di Perugia, Camerino e Siena (Venanzoni et al., 2012;
Gigante et al., 2012). Agli enti fondatori se ne sono aggiunti altri e il
progetto è ora supportato da oltre quindici Università italiane coordinate
da quella di Perugia. La banca dati accoglie inoltre informazioni
riversate da altri partecipanti al progetto, pubblici e privati.
Complessivamente la banca dati è ora popolata da circa 130.000 record
relativi ai campioni d’erbario e 31.000 rilevamenti fitosociologici.
Molto importanti sono inoltre le diverse banche dati regionali e
provinciali di carattere floristico. È anche grazie a queste banche dati
che è possibile a) individuare più rapidamente novità per la flora
nazionale e per quelle regionali e delle singole province; b) orientare le
attività di ricerca verso gruppi critici e territori poco esplorati; c)
verificare la presenza di piante per le quali è necessaria conferma. Per
quelle dell’Italia settentrionale, nel corso di un workshop recentemente
organizzato dalla Società Italiana di Scienza della Vegetazione a Pavia
sono state presentate alcune informazioni sui rispettivi livelli di
informazione. In particolare, a titolo di esempio, la banca dati floristica
dell’Emilia Romagna riguarda quasi 4.200 taxa e accoglie 419.000
record (taxon-località) (Alessandrini, 2013); quella della Provincia di
Trento accoglie circa 935.000 record georeferenziati e quella della
Provincia di Verona oltre 179.000 (Prosser, 2013); quella del Piemonte
833.000 record di cui circa 67% originali (Selvaggi et al, 2013); quella
della Valle d’Aosta oltre 100.000 record (Vanacore Falco, 2013); quella
della Regione Veneto 14.500 record georiferiti (Vendrame et al., 2013);
quella della Regione Liguria, focalizzata solo sulle specie patrimoniali,
circa 7.000 record. Diverse sono inoltre le banche dati delle Regioni e
delle Province Autonome relative agli habitat per lo più comprendenti
cartografie tematiche a differenti scale dei siti della rete Natura 2000.
Risvolti metodologici particolari, relativi sia a strutture e processi
informatici sia a modalità di raccolta, trattamento e valutazione dei dati,
caratterizzano alcuni progetti transfrontalieri relativi a banche dati
georeferenziate dedicate alla flora e ad habitat/vegetazione. Fra questi si
possono citare quelli italo-francesi: INTERREG II “Flora”; INTERREG
III “Flora e Habitat”; ALCOTRA “AdM Natura 2000” (2008-2010);
strategico Marittimo “COREM”, sottoprogetto C; ALCOTRA
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“BIODIVAM” 2013-2014, in corso di realizzazione. In particolare gli
ultimi tre progetti, mediante appositi applicativi, selezionano le
informazioni e le rendono disponibili in rete estraendole da banche dati
già esistenti, senza la necessità di costruirne di nuove. Ciò ha
contemplato, nelle fasi iniziali, un confronto dettagliato fra le diverse
banche dati, che implica conoscenze aggiornate sulla nomenclatura e,
più in generale sulla interpretazione di singoli taxa e sintaxa.
BIBLIOGRAFIA
Alessandrini A, 2013. La banca dati della flora dell’Emilia-Romagna. In: 1°
workshop sulla Banca Dati della vegetazione italiana VegItaly “Le banche
dati del Centro-Nord: metodologie e finalità a confronto” 7-8 febbraio 2013.
Pavia.
Alloisio A., Casazza G., Dente F., Mariotti M., Minuto L., Pavarino M., Salvidio S.
& Zanella S., 2010. Biodiversità senza frontiere. Progetto ALCOTRA 016
Natura 2000 A.d.M. Rapporto finale. Il contributo italiano. 46 pp.
Gigante D., Acosta A.T.R., Agrillo E., Attorre F., Cambria V.E., Casavecchia S.,
Chiarucci A., Del Vico E., Sanctis M. De, Facioni L., Geri F., Guarino R.,
Landi S., Landucci F., Lucarini D., Panfili E., Pesaresi S., Prisco I., Rosati
L., Spada F. & Venanzoni R., 2012. VegItaly: Technical features, crucial
issues and some solutions. Plant Sociology 49: 71-79.
Prosser F., Bertolli A., Festi F. & Perazza G., 2013. La banca dati della cartografia
floristica delle province di Trento e di Verona. In: 1° workshop sulla Banca
Dati della vegetazione italiana VegItaly “Le banche dati del Centro-Nord:
metodologie e finalità a confronto” 7-8 febbraio 2013. Pavia.
Selvaggi A., Meirano P., Gallino B., Siniscalco C., Barni E. & Bouvet D., 2013. Le
banche dati di vegetazione e flora in Piemonte: metodi ed esempi
applicativi. In: 1° workshop sulla Banca Dati della vegetazione italiana
VegItaly “Le banche dati del Centro-Nord: metodologie e finalità a
confronto” 7-8 febbraio 2013. Pavia.
Vanacore Falco I., 2013. L’Osservatorio regionale della Biodiversità della Valle
d’Aosta: il progetto e le azioni. In: 1° workshop sulla Banca Dati della
vegetazione italiana VegItaly “Le banche dati del Centro-Nord: metodologie
e finalità a confronto” 7-8 febbraio 2013. Pavia.
Venanzoni R., Landucci F., Panfili E. & Gigante D., 2012. Toward an Italian
national vegetation database: VegItaly. In: Dengler J. et al. (Eds.):
Vegetation databases for the 21st century. Biodiversity & Ecology 4: 185–
190.
Vendrame M., Salogni G. & Buffa G., 2013. Esperienze di raccolta dati nella
Regione del Veneto. In: 1° workshop sulla Banca Dati della vegetazione
italiana VegItaly “Le banche dati del Centro-Nord: metodologie e finalità a
confronto” 7-8 febbraio 2013. Pavia.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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ALPI-APPENNINI:
VICARIANZA O DISPERSIONE?
XXXIX Congresso della
SOCIETA’ ITALIANA DI BIOGEOGRAFIA
“Liguria: dagli Appennini alle Alpi..….passando per il mare”
Rapallo, 29-31 maggio 2013
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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CONSERVATION BIOGEOGRAPHY AND EXTINCTION DEBTS
ROBERT J. WHITTAKER
Conservation Biogeography & Macroecology Programme, Oxford
University Centre for the Environment, Oxford, UK
& Centre for Macroecology, Evolution & Climate,
University of Copenhagen; [email protected]
Conservation biogeography is the science that places
biogeography at the service of conservation, i.e. it refers to the
application of biogeographical principles, theories, and approaches (i.e.
those concerned with the distributional dynamics of taxa individually
and collectively) to problems concerning the conservation of
biodiversity.
I briefly review the scope of conservation biogeography before
turning to review a specific theme, the extinction estimate shortfall.
Despite long standing concerns of an impending mass extinction event
we have surprisingly poor resolution on contemporary rates of species
extinction owing to fundamental limitations of data (so called Linnean
and Wallacean shortfalls) and theory.
In this presentation I focus on the problem of estimating
extinction as a result of habitat loss and fragmentation. Lag effects mean
that the full consequences of these processes may take generations to
take effect, generating extinction debts. I discuss a protocol for
estimating extinction debt, illustrated by a case study system.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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GEODIVERSITÀ E PAESAGGIO GEOLOGICO DEL TERRITORIO
LIGURE AL PASSAGGIO ALPI-APPENNINI
FRANCESCO FACCINI
Università degli Studi di Genova, DISTAV, Corso Europa 26, 16132
Genova - Email: [email protected]
Con la Legge Regionale n. 39/2009 la Liguria traguarda un
importante obiettivo in tema di valorizzazione della geodiversità, intesa
come varietà o specificità del substrato roccioso, delle forme e dei
processi in ambito geologico, geomorfologico, idrogeologico e
pedologico; poiché questi aspetti influenzano le caratteristiche ecologiche
di una zona, ne consegue che la geodiversità è strettamente legata alla
biodiversità e, insieme a quest’ultima, costituisce la diversità naturale di
un territorio e del suo paesaggio.
La Liguria presenta, come noto, una geodiversità riconosciuta a
livello internazionale, in quanto è stata da sempre considerata un’area di
transizione tra la catena Alpina, a ponente, e quella Appenninica, a
levante. La zona di confine tra i due settori è conosciuta in letteratura
come “Linea Sestri Voltaggio”.
Oggi la comunità scientifica è orientata ad evitare l’attribuzione
di limiti precisi tra catene che hanno giocato ruoli complementari e
vicarianti in un’evoluzione orogenetica continua; resta comunque
oggettivo che la Liguria presenta unità tettoniche alpine, unità tettoniche
appenniniche e unità coinvolte dapprima nell’evoluzione alpina e
successivamente in deformazioni di pertinenza appenninica.
Nell’ambito di questo articolato quadro geologico in Liguria è
possibile individuare tre grandi unità tettoniche: la prima è quella di
pertinenza Paleoeuropea, comprendente i domini Delfinese-Provenzale
(calcari, calcari marnosi ed arenacei tra Ventimiglia, il confine di Stato e
le pendici del M. Saccarello), Brianzonese (calcari, dolomie e calcari
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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dolomitici, metaconglomerati, quarziti, ignimbriti, metapeliti, filladi, ortoe paragneiss, metabasiti, micascisti e anfiboliti tra Loano, Celle Ligure e il
M. Galero) e Piemontese (calcari, quarziti, metaconglomerati,
argilloscisti, dolomie e calcari dolomitici tra Borghetto Santo Spirito e
Ponte di Nava in alta Val Tanaro, tra Sestri Ponente e Isoverde in alta Val
Polcevera).
Figura 1. Le unità geologiche della Liguria (Fonte: Giammarino et al., 2002)
La seconda unità, di pertinenza Oceanica, è articolata in domini
Metaofiolitici e relative coperture sedimentarie (calcescisti, quarzoscisti,
metagabbri, metabasiti, serpentiniti, lherzoliti e filladi tra Varazze, Sestri
Ponente, il Passo della Bocchetta e il Colle del Giovo), unità Flyschoidi
della Liguria occidentale (flysch marnoso arenacei, arenarie torbiditiche e
argilliti tra Bordighera, Capo Mele e il M. Saccarello), Unità Liguri
interne (argilliti, flysch calcareo marnosi, torbiditi arenaceo-pelitiche,
calcari, diaspri, brecce ofiolitiche, basalti, gabbri e lherzoliti tra il ponente
genovese, Punta Mesco, La Spezia e il M. Antola) e Unità Liguri esterne
(torbiditi calcaree, brecce ofiolitiche, arenarie torbiditiche con blocchi di
ofioliti, brecce monogeniche e olistoliti di granito tra Borzonasca, il T.
Trebbia e il M. Maggiorasca e in alta e media Val di Vara).
La terza unità tettonica regionale è quella Adria, caratterizzata dal
dominio Toscano (arenarie quarzoso-feldspatiche, argilliti e siltiti,
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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calcilutiti, marne e calcari marnosi, calcari nodulari, calcari e calcari
dolomitici, quarziti, filladi e marmi alle Cinque Terre, sui promontori di
Portovenere e di Monte Marcello e in Val di Magra) e dal dominio
Subligure (arenarie, calcareniti, torbiditi calcareo-marnose, argilliti con
calcari tra Riomaggiore e Leccio e in Val di Magra).
A queste grandi unità regionali si devono poi aggiungere i
depositi tardo e post-orogeni del bacino Terziario del Piemonte (i
conglomerati, le arenarie e le marne dell’alta Val Bormida, i conglomerati
dell’alta Valle Scrivia, di Celle Ligure e del Monte di Portofino), le
successioni marine neogeniche (i Calcari di Finale Ligure, i conglomerati
e le marne argillose plioceniche di Ventimiglia, Albenga, Vado Ligure e
Genova) e infine i depositi continentali e litorali recenti, comprendenti le
frane, le spiagge e i depositi alluvionali dei corsi d’acqua principali.
Da questo articolato quadro geologico che determina alcuni
paesaggi tipicamente “geologici”, come quelli dei calcari e delle dolomie,
dei conglomerati, delle ofioliti e delle arenarie, deriva un altrettanto
complesso assetto geomorfologico: nel territorio ligure si osservano
infatti, oltre a caratteristiche forme strutturali (ad es. il tratto appenninico
mostra una disposizione delle valli parallele alla linea di costa, come le
valli Fontanabuona, Vara e Magra, mentre nell’area alpina l’asse vallivo
presenta assetto mediamente sub meridiano), forme di versante dovute
alla gravità (ci sono oltre 6.000 frane in Liguria per oltre 352 km2, pari al
7% del territorio), forme fluviali e di versante dovute al dilavamento
(terrazzi fluviali di diverso ordine nelle principali piane alluvionali e i
meandri incassati dei bacini padani), forme carsiche (circa 1.500 grotte
censite a catasto in oltre 350 km2 di rocce carsificabili, pari a poco più del
6% del territorio), forme glaciali (circhi glaciali e massi erratici nelle Alpi
Marittime), forme crionivali (colate di blocchi e rockglacier nei Parchi del
Beigua e dell’Aveto), forme di origine marina (terrazzi marini di diverso
ordine lungo la costa alta rocciosa di Ponente) e forme antropiche
(riempimenti, colmate e terrazzamenti agrari).
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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RECENT BIOGEOGRAPHICAL STUDIES ABOUT MARITIME
AND LIGURIAN ALPS
LUIGI MINUTO*, GIUSEPPINA BARBERIS, ELENA ZAPPA, GABRIELE
CASAZZA, MAURO GIORGIO MARIOTTI
DISTAV – Università degli Studi di Genova, Corso Dogali 1M, I-16136
Genova (Italy). [email protected]
The high plant diversity of the Maritime and Ligurian Alps
derives from their situation as a biogeographical crossroad between the
Mediterranean and Alpine regions (Casazza et al., 2005). The endemism
of this regional hotspot is the result of an extremely disturbed history
(geological and climatic) dating from the mid-Tertiary period.
Recent statistical biogeographical analyses (Casazza et al.,
2008) showed that present distribution patterns of endemic taxa reflect
the influence of both ecological and historical factors. Glaciations seem
to have had a certain influence on plant distribution but their effect was
weakened by postglacial migrations. These last events were influenced
by environmental factors, but also by the plants’ capabilities to disperse
into and to recruit in available and empty patches as well as by their
competitive abilities when spreading into already occupied areas.
Recent molecular investigations of endemic plants belonging to the
region showed that vicariance events are probably the most important
factor explaining the distribution of these plants in the area (Diadema et
al., 2005; Minuto et al., 2006).
The Maritime and Ligurian Alps have been source of new
species as demonstrated for Campanula (sect. Heterophylla – Nicoletti
et al. in preparation), Moehringia (Fior et al., 2006; Casazza & Minuto,
2008) and Primula (sect. Auricula – Zhang et al., 2004) genera. There
are many endemic species showing a local speciation generated by the
interaction between ecological features and historical events.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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Polyploidization within the context of the Pleistocene glacial
cycles has been proposed as the main evolutionary process driving the
diversification of Primula sect. Auricula (Zhang et al., 2004). This is the
case of P. marginata Curtis resulting congruent with the allopolyploid
hypothesis of dodecaploid origin.
Long distance dispersal events probably influenced the present
distribution of endemic plants. An example is Viola argenteria: the
disjunction of some few populations in Corse are probably due to recent
seed transports by seasonal migratory birds finding rest from a mountain
chain to another.
The Maritime and Ligurian Alps are considered as a major
refuge area (Diadema et al., 2005) as well as a suture zone within the
Alps (Comes & Kadereit, 2003). Some important example of the
persistence of members belonging to the Tertiary flora are Saxifraga
florulenta (Szövényi et al., 2009), Silene cordifolia and Berardia
subacaulis (studies in preparation). Both species found in the glacial
cycling of the Quaternary the opportunity to find shelter from the
frequent climatic oscillations. Similarly, also more widespread species
like Euphorbia spinosa (Zecca et al., 2011) and Saxifraga callosa
(Grassi et al., 2009) showed their main refugia within the Maritime and
Ligurian Alps.
All these elements and detailed information should be widely
divulgated to increase the awareness that this region needs a special
conservation strategy undertaken by the joined commitment of the
Italian and French administrative institutions managing this
extraordinary world natural heritage.
REFERENCES
Casazza G. & Minuto L., 2008. Moehringia argenteria (Caryophyllaceae) a
new species in the Maritime Alps (Italy). Candollea 63: 261-267.
Casazza G., Barberis G. & Minuto L., 2005. Ecological characteristics and
rarity of endemic plants of the Italian Maritime Alps. Biological
Conservation 123: 361–371.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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Casazza G., Zappa E., Mariotti M.G., Médail F. & Minuto L., 2008. Ecological
and historical factors affecting distribution pattern and richness of
endemic plant species: the case of the Maritime and Ligurian Alps
hotsphot. Diversity & Distribution 14: 47–58.
Comes H.P. & Kadereit J.W., 2003. Spatial and temporal patterns in the
evolution of the flora of the European Alpine System. Taxon 52: 451–
462.
Diadema K., Bretagnolle F., Affre L., Yuan Y.M. & Médail F., 2005.
Geographic structure of molecular variation of Gentiana ligustica
(Gentianaceae) in the Maritime and Ligurian regional hotspot, inferred
from ITS sequences. Taxon 54: 887–894.
Fior S., Karis P.O., Casazza G., Minuto L. & Sala F., 2006. Molecular
phylogeny of the Caryophyllaceae (Caryophyllales) inferred from
chloroplast matK and nuclear rDNA ITS sequences. American Journal of
Botany 93: 399-411.
Grassi F., Minuto L., Casazza G., Labra M. & Sala F., 2009. Haplotype
richness in refugial areas: phylogeographical structure of Saxifraga
callosa. Journal of Plant Research 122: 377–387.
Minuto L., Grassi F. & Casazza G., 2006. Ecogeographic and genetic
evaluation of endemic species in the Maritime Alps: the case of
Moehringia lebrunii and M. sedoides (Caryophyllaceae). Plant
Biosystems 140: 146–155.
Nicoletti F., De Benedetti L., Airò M., Ruffoni B., Mercuri A., Minuto L. &
Casazza G., 2012. Spatial genetic structure of Campanula sabatia a
threatened narrow endemic species of the Mediterranean basin. Folia
Geobotanica 47: 249-262.
Szövényi P., Arroyo K., Guggisberg A. & Conti E., 2009. Effects of
Pleistocene glaciations and life history on the genetic diversity of
Saxifraga florulenta (Saxifragaceae), a rare endemic of the Maritime
Alps. Taxon 58: 532–543.
Zecca G., Casazza G., Minuto L., Labra M. & Grassi F., 2011. Allopatric
divergence and secondary contacts in Euphorbia spinosa L.: influence of
climatic changes on the split of the species. Organism Diversity &
Evolution. 11: 357-372.
Zhang L-B., Comes H.P. & Kadereit J.W., 2004. The temporal course of
quaternary diversification in the european high mountain endemic
Primula sect. Auricula (Primulaceae). International Journal of Plant
Science 165: 191–207.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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CONSIDERAZIONI BIOGEOGRAFICHE SULLA FLORA
BRIOLOGICA D’ITALIA: L’ESEMPIO DELLA LIGURIA
SILVIA POPONESSI¹٫², MAURO GIORGIO MARIOTTI¹, ROBERTO
VENANZONI², MICHELE ALEFFI³
¹Dipartimento di Scienze della Terra dell’Ambiente e della Vita,
Università degli Studi di Genova, Corso Dogali 1M, 16136 Genova.
[email protected] ²Dipartimento di Biologia Applicata, sezione
di Biologia vegetale e Geobotanica, Università degli Studi di Perugia,
Borgo XX Giugno 74, I-06121 Perugia. ³Scuola di Scienze Ambientali,
Laboratorio di Briologia, Università degli Studi di Camerino (MC).
Notevoli sono stati i progressi che la ricerca briologica ha
compiuto in Italia a partire dall’inizio del XVIII secolo fino ad oggi. Per
molti anni gli unici lavori di riferimento sono stati la Flora Cryptogama
di Zodda (1934) e il Syllabus Bryophytarum Italicarum di Giacomini
(1947). I contributi degli ultimi 30 anni, anche grazie agli studi della
Professoressa Carmela Cortini Pedrotti, hanno portato alla recente
Check-list di Aleffi et al. (2008).
Dall’analisi delle conoscenze briologiche è nato il presente
studio, che intende valorizzare gli aspetti briogeografici della nostra
penisola prendendo come punto di partenza la regione Liguria. Con i
suoi 5.413 Km² di superficie la Liguria è una delle regioni più piccole
d’Italia, ma caratterizzata da un elevato numero di ecosistemi
estremamente diversi tra loro, che si estendono dal mare sino ai circa
2.000 m delle Alpi Liguri. Complessivamente, la flora briologica ligure,
annovera 415 taxa (73 Epatiche e 342 Muschi) su un totale della flora
briologica italiana di 1156 taxa (292 Epatiche e 864 Muschi).
Le regioni che presentano una maggiore biodiversità sono
Trentino Alto Adige, Lombardia e Piemonte, i cui territori sono occupati
dalle cime più elevate della catena alpina, presentano una grande varietà
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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di substrati e sono soggetti a differenti influenze climatiche, da quelle
mediterranee a quelle continentali. Al contrario il Veneto e il Friuli
Venezia Giulia, pur facendo parte anche esse del dominio alpino,
ospitano un minor numero di taxa, probabilmente a causa
dell’uniformità del substrato, prevalentemente calcareo. La regione più
povera è la Puglia per la sua grande superficie in rapporto al numero dei
taxa relativamente basso.
Occorre naturalmente precisare che il numero dei taxa regionali
dipende dallo stato delle conoscenze briologiche: in effetti il grado di
esplorazione varia fortemente da una regione all’altra.
Sulla base della Check-list of the Hornworts, Liverworts and
Mosses of Italy, Aleffi et al., (2008), viene effettuata un’analisi
briogeografica del territorio italiano.
Per quanto riguarda la Liguria, una prima analisi dei dati
bibliografici evidenzia che i taxa segnalati, per la regione sono
localizzati in aree puntiformi, in particolare Parchi e Riserve, frutto di
raccolte realizzate a seguito di ricerche mirate in tali territori. Ulteriori
ricerche verranno eseguite nei prossimi anni anche in altre aree del
territorio ligure allo scopo di avere un quadro quanto più omogeneo
possibile sulla consistenza floristica della regione.
Prendendo in considerazione la Biogeographic Map of Europe
di Rivas-Martinez et al., (2004) è possibile osservare come la penisola
appartenga prevalentemente a due regioni fitogeografiche distinte:
eurosiberiana e mediterranea. La maggior parte della superficie
appartiene alla regione eurosiberiana, mentre la regione mediterranea è
limitata alla fascia costiera che sul versante adriatico inizia a sud di
Pescara per poi prolungarsi lungo il versante tirrenico fino al confine
con la Francia.
Per avere un quadro sintetico degli aspetti corologici che
caratterizzano la brioflora, per ogni taxon viene preso in considerazione
l’elemento corologico secondo la nomenclatura stabilita da Düll (1983-
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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1985); i diversi elementi vengono poi riuniti, tenendo conto delle
affinità, in 12 gruppi maggiori secondo Sérgio et al. (1994).
A partire dai principali elementi corologici che la compongono,
vengono analizzati gli aspetti biogeografici della flora briologica
italiana, considerata sia nel complesso del territorio nazionale sia in
maniera comparativa con la regione Liguria. Gli elementi corologici più
significativi sono rappresentati in maniera cartografica, dividendo le
regioni italiane in sei classi di appartenenza.
BIBLIOGRAFIA
Aleffi M., Tacchi R. & Cortini Pedrotti C., 2008. Check-list of the Hornworts,
Liverworts and Mosses of Italy. Bocconea 22: 1-255.
Düll R., 1983. Distribution of European and Macaronesian liverworts
(Hepaticophytina). Bryol. Beitr. 2: 1-115.
Düll R., 1984-85. Distribution of European and Macaronesian mosses
(Bryophytina). Bryol. Beitr. 4: 1-232.
Giacomini V., 1947. Syllabus Bryophytarum Italicarum. Pars Prima:
Andreaeales et Bryales. Atti Ist. Bot. Lab. Crittog. Univ. Pavia 4:179294.
Rivas-Martinez S., Penas A. & Diaz T., 2004. Biogeographic Map of Europe.
Cartographic Service, University of Leon, Spain.
Sérgio C., Casas C. & Brugués M., 1994. Red list of Bryophytes of the Iberian
Peninsula. ICN: 1-45.
Zodda G., 1934. Flora Italica Cryptogama, IV. Bryophyta, Hepaticae. L.
Cappelli, Rocca S. Casciano.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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GEOGRAPHY, CLIMATE, AND PATTERNS OF GENETIC
DIVERSITY IN A BDELLOID ROTIFER
DIEGO FONTANETO
Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto per lo Studio degli
Ecosistemi, Verbania Pallanza - [email protected]
The interplay between climate (current and past) and geography
is known to be associated with spatial biodiversity patterns. Here we
analyze genetic diversity in a bdelloid rotifer species complex along a
latitudinal transect in Europe from ~40°N, Sardinia, to ~80°N, Svalbard.
Contrary to what is described for larger organisms, none of the analyzed
patterns of diversity correlates with climate, and a strange relationship
with geographical distances is present.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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ODONATI DELL'APPENNINO LIGURE-PIEMONTESE (INSECTA:
ODONATA)
DARIO OTTONELLO1, FABRIZIO ONETO1*, DANIELE BARONI2, CRISTINA
GRIECO3, ROBERTO SINDACO3
1
Ce.S.Bi.N. srl, Corso Europa 26, 16132 Genova - *E-mail: [email protected]
2
Via Gaspare Buffa 4, 16158 Genova
3
IPLA - Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente, Corso Casale 476,
10132 Torino
Il lavoro riassume le osservazioni dirette degli Autori, i dati
bibliografici, lo studio di alcune collezioni museali e i dati forniti da
altri ricercatori. L’area di studio (Figura 1) comprende l’Appennino
ligure-piemontese che è punto di incontro di tre regioni biogeografiche:
mediterranea, continentale ed alpina. Per uniformarsi agli standard di
rappresentazione della distribuzione degli Odonati in Italia, è stato
utilizzato il reticolo cartografico UTM di 10 km, per un totale di 36
maglie cartografiche. I record raccolti sono 2.150, relativi a 51 specie, di
cui 22 Zigotteri e 29 Anisotteri (Tabella 1). La maggior parte delle
specie ha una distribuzione più o meno omogenea all’interno dell’area
di studio, mentre alcune specie sono state osservate solo nel settore
padano (Gomphus vulgatissimus, Lestes dryas, Lestes virens, Libellula
quadrimaculata, Ophiogomphus cecilia, Somatochlora metallica e
Sympetrum pedemontanum) o prevalentemente in quello tirrenico
(Calopteryx haemorrhoidalis e Calopteryx xanthostoma). Le specie note
per un solo sito e non confermate di recente sono Coenagrion
mercuriale (Casella GE, 1932), Erythromma najas (Mele GE, 1942),
Lestes barbarus (Genova, 1939). Somatochlora meridionalis è stata
confermata per Montezemolo (CN) nel 2006 e Libellula fulva è stata
osservata per la prima volta all’interno dell’area di studio (Molare AL,
2009). Per quanto riguarda Anax ephippiger non si è a conoscenza di siti
riproduttivi della specie all’interno dell’area di studio.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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% maglie UTM
occupate
Ubiquitaria (> 75%)
Specie
C. virgo, O. forcipatus
Molto comune
(50%-75%)
A. imperator, B. irene, C. splendens, C. puella, C.
boltoni, L. depressa, O. uncatus, O. brunneum, P.
pennipes, S. fonscolombii
Comune
(25%-50%)
A. cyanea, C. haemorrhoidalis, C. tenellum, C.
bidentata, C. erythraea, I. elegans, L. viridis, O.
cancellatum, O. coerulescens, O. curtisi, P.
nymphula, S. striolatum
Localizzata
(10%-25%)
A. affinis, A. mixta, A. parthenope, C. xanthostoma,
E. cyathigerum, E. lindenii, G. vulgatissimus, I.
pumilio, L. dryas, O. albistylum, S. fusca, S.
meridionale, S. pedemontanum, S. sanguineum
A. ephippiger, C. mercuriale, C. scitulum, E. najas,
E. viridulum, L. barbarus, L. sponsa, L. virens, L.
fulva, L. quadrimaculata, O. cecilia, S.
meridionalis, S. metallica
Tabella 1. Classi di frequenza all’interno dell’area di studio
Molto localizzata
(<10%)
Figura 1. Numero di specie per maglia UTM (10km x10km). In rosso lo
spartiacque tirrenico-adriatico, in verde le Aree Protette.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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GLI ORTOTTERI (INSECTA: ORTHOPTERA) DELLA LIGURIA
DANIELE BARONI1*, PAOLO SAVOLDELLI2, ROBERTO SINDACO2,3
1
Via Gaspare Buffa 4, 16158 – Genova, Italia
Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente, Corso Casale 476, 10132
Torino, Italia
3
Museo Civico di Storia Naturale, Cascina Vigna, Via San Francesco di
Sales 188, 10022 Carmagnola (TO), Italia
*Corresponding author. Email: [email protected]
2
Il presente contributo aggiorna la checklist di Ortotteri, Mantidi
e Fasmidi della Liguria, integrando la recente sintesi di Sindaco et al.
(2012) con ulteriori dati inediti e con quanto emerso dallo studio della
collezione del Museo Civico di Storia Naturale “Giacomo Doria”.
Sindaco et al. (2012) elencano per il territorio regionale 101 specie di
Ortotteri, 6 di Mantidi e 2 di Fasmidi, a cui si aggiungono le seguenti
specie:
Phaneroptera
falcata,
Meconema
thalassinum
e
Pseudomogoplistes squamiger; al contrario Rhacocleis tyrrhenica,
segnalata da Fontana et al. (2005) è da escludere dalla fauna ligure in
quanto la segnalazione si riferisce a un esemplare di R. neglecta.
Per l’analisi biogeografica ed ecologica, oltre alla Liguria, è
stata inclusa anche parte del basso Piemonte. Rispetto al popolamento di
ortotteri possono essere individuati 4 macro-settori geografici:
Appennino Ligure (1), Versante tirrenico (2), Rilievi collinari di Alta
Val Bormida, Langhe e Basso Monferrato (3), Alpi Liguri (4). Le specie
presenti in tali territori (N=123) sono state caratterizzate rispetto al
corotipo (sensu Vigna Taglianti et al., 1992, 1999), all’appartenenza a
un’associazione ortotterica (sensu La Greca & Messina, 1982, con
opportune modifiche), alle principali caratteristiche ecologiche (in base
all’umidità e alle temperature del loro habitat) e alla capacità di
dispersione (sviluppo alare delle femmine, in quanto meno vagili).
Il corotipo più rappresentato, con il 23% delle specie, è il SEuropeo; seguono l’Asiatico-Europeo (11%), il Paleartico (10%) e
l’Europeo (10%). Gli endemismi italiani rappresentano l’8% delle
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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specie; hanno nell’area di studio (o nel vicino Piemonte) il loro limite di
distribuzione nord-occidentale: Poecilimon superbus, Metrioptera
caprai, Ephippiger perforatus, Gryllotalpa octodecim, G. sedecim, G.
viginti e Glyptobothrus rubratibialis.
Ben 44 specie, corrispondenti al 36% del totale, sono segnalate
in tutti i macro-settori individuati, sebbene in molti casi abbiano una
distribuzione a carattere puntiforme.
Sul versante tirrenico si trova il valore nettamente più elevato di
ricchezza specifica (82 specie) e il maggior numero di endemismi
italiani. Rispetto agli altri settori il versante tirrenico, l’unico con clima
propriamente mediterraneo, mostra le frequenze più elevate di specie
xerotermofile (32%) e le minori di mesofile e orofile (20%). Inoltre, la
proporzione di specie abili al volo è relativamente alta (48%). Tra le
specie esclusive o quasi si ricordano diverse mantidi e insetti-stecco
(Ameles decolor, A. spallanzania, Geomantis larvoides, Iris oratoria,
Bacillus rossius), gli ensiferi Acrometopa italica, Cyrtaspis scutata,
Mogoplistes brunneus, Pseudomogoplistes squamiger, Myrmecophilus
aequispina, Gryllotalpa septemdecimchromosomica, G. viginti, ed i
celiferi Dyrshius raymondi e Glyptobothrus rubratibialis. A causa
dell’orografia complessa e della presenza di microclimi freschi anche a
bassa quota è difficile distinguere nettamente le specie Appenniniche da
quelle Mediterranee. Tra i taxa che nell’area di studio sono limitati a
quote elevate dei rilievi Appenninici si registrano solo Metrioptera
caprai e Pholidoptera aptera goidanichi; anche P. superbus, sebbene
diffuso anche a quote basse sul versante tirrenico, può essere assimilato
a questo gruppo. Altre specie che nell’area di studio sono
esclusivamente (o prevalentemente*) Tirreniche+Appenniniche sono:
Empusa pennata, Metaplastes pulchripennis, Poecilimon superbus,
Rhacocleis neglecta, *Gryllus bimaculatus, *Calliptamus barbarus e
*Anacridium aegyptium. Queste specie sono in ampia parte inabili al
volo (67%).
Nell’area di studio 15 specie sono diffuse prevalentemente sulle
Alpi Liguri: *Polysarcus denticauda, Metrioptera saussuriana,
Pholidoptera aptera aptera, Anoncontus ligustinus, Ephippiger
terrestris bormansi, Ephippiger terrestris caprai, *Podisma
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dechambrei, *Arcyptera fusca, *Pararcyptera alzonai, *Omocestus
viridulus, *Dirshius haemorrhoidalis, Stenobothrodes cotticus,
*Aeropus sibiricus, *Stauroderus scalaris, *Glyptobothrus apricarius,
G. binotatus daimai. Le specie precedute da un asterisco hanno anche
popolazioni isolate sull’Appennino. Per Stenobothrodes cotticus, è stata
recentemente trovata una popolazione disgiunta in Bulgaria.
Come atteso, il macro-settore delle Alpi Liguri è caratterizzato
dal valore minimo di specie xerotermofile (19 %) e massimo di mesofile
e orofile (30 %). In questo popolamento le specie non volatrici
costituiscono la maggioranza (52%). Infine, risulta d’interesse citare
alcune specie relativamente diffuse, quali Roeseliana azami e
Bicolorana bicolor, mai segnalate ante 2000 (Massa et al., 2012),
lasciando ipotizzare un fenomeno di espansione d’areale.
BIBLIOGRAFIA
Fontana P., La Greca M. & Kleukers R., 2005. Insecta Orthoptera. In: Ruffo S.,
Stoch F. (eds.), Checklist e distribuzione della fauna italiana. Memorie
del Museo Civico di Storia Naturale di Verona. 2a serie, Sezione Scienze
della Vita 16: 137-139 + CD.
La Greca M. & Messina A., 1982. Ecologia e biogeografia degli Ortotteri dei
pascoli altomontani dell’Appennino Centrale. Quaderni sulla Struttura
delle Zoocenosi Terrestri: 11-76.
Massa B., Fontana P., Buzzetti F.M., Kleukers R. & Odé B., 2012. Fauna
d’Italia, XLVIII. Orthoptera. Calderini, Bologna, 563 pp + CD.
Sindaco R., Savoldelli P. & Evangelista M., 2012. Ortotteri, Mantidi e Fasmidi
dell’Italia nord-occidentale (Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria) (Insecta:
Orthoptera, Mantodea, Phasmatodea). Rivista piemontese di Storia
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Vigna Taglianti A., Audisio P.A., Belfiore C., Biondi M., Bologna M.A.,
Carpaneto G.M., De Biase A., De Felici S., Piattella E., Racheli T.,
Zapparoli M. & Zoia S., 1992 – Riflessioni di gruppo sui corotipi
fondamentali della fauna W-paleartica ed in particolare italiana.
Biogeographia, Lavori della Società Italiana di Biogeografia, (n.s.), 16:
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Vigna Taglianti A., Audisio P.A., Biondi M., Bologna M.A., Carpaneto G.M.,
De Biase A., Fattorini S., Piattella E., Sindaco R., Venchi A. &
Zapparoli M., 1999 – A proposal for a chorotype classification of the
Near East fauna, in the framework of the Western Palearctic region.
Biogeographia, Lavori della Società Italiana di Biogeografia (n.s.) 20:
31-59.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
30
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LE ATTUALI CONOSCENZE SUI CHILOPODI ITALIANI:
ASPETTI FAUNISTICI E ZOOGEOGRAFICI
MARZIO ZAPPAROLI *1, FRANCESCO BAINI 1, LUCIO BONATO 2,
ALESSANDRO MINELLI 2
1
Dipartimento per la Innovazione nei Sistemi Biologici, Agroalimentari e
Forestali - DIBAF, Università degli Studi della Tuscia, Via San C. de
Lellis, I-01100 Viterbo, Italia.
2
Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Padova, Via U. Bassi
58b, I-35131 Padova, Italia.
*Corresponding author. Email: [email protected]
I chilopodi costituiscono una classe di artropodi ancora poco
conosciuta, di cui sono note 3.300 specie (su 6-10.000 stimate), ripartite
in 325 generi, 21 famiglie e cinque ordini viventi. K-selezionati,
longevi, a lento sviluppo, bassa mortalità, basso potenziale riproduttivo
e, salvo litobiomorfi e scutigeromorfi, con cure parentali, essi
colonizzano praticamente tutti gli ambienti terrestri, dove rappresentano
una componente consistente della fauna del suolo, dal livello del mare a
oltre 4.000 m. In genere predatori di invertebrati, igrofili e lucifughi,
alle nostre latitudini sono frequenti negli ambienti forestali. La
letteratura mondiale comprende circa 6.500 lavori e le conoscenze sui
chilopodi italiani sono disperse in circa 700 lavori, per l’80% di
carattere tassonomico e faunistico.
Con questo contributo si vuole presentare un quadro di sintesi
dal punto di vista faunistico e zoogeografico del popolamento dei
chilopodi italiani, in base ai dati ad oggi disponibili. L’area di studio è
costituita dall’Italia fisica (ca. 309.000 kmq: Italia politica più Alpi
Marittime (in parte), Canton Ticino, Istria, Corsica, isole maltesi); per
effettuare analisi di dettaglio su distribuzione della ricchezza specifica e
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spettri corologici, è stata adottata - con lievi modifiche - la suddivisione
in 17 unità territoriali (u.t.) proposta da Baroni Urbani et al. (1978).
Escludendo le entità di incerto valore tassonomico o di presenza
dubbia, risultano segnalate nell’area di studio circa 160 specie. La
regione italiana è quindi l’area con la maggiore diversità specifica in
Europa e nel Mediterraneo, ospitando circa 1/3 delle oltre 500 specie
segnalate in questi settori. Dal punto di vista tassonomico, il
popolamento dei geofilomorfi risulta altamente articolato, con circa 65
specie accertate da ascriversi ad almeno 20 generi e sei famiglie. Anche
il popolamento dei litobiomorfi è relativamente ricco e complesso,
rappresentato da almeno 77 specie ascrivibili a 5 generi e due famiglie.
Le 16 specie di scolopendromorfi sono ripartite in 4 generi, riferibili a
tre famiglie. Un solo rappresentante è noto tra gli scutigeromorfi.
Rispetto alla precedente check-list (Foddai et al., 1995), relativa
all’Italia politica, in cui sono segnalate 155 specie nominali, compresa
una ventina di incerte, il quadro attuale presenta novità di rilievo,
scaturite da studi recenti, sia filogenetici e tassonomici, su famiglie
(Plutoniumidae), generi (Eupolybothrus, Clinopodes, Eurygeophilus,
Stenotaenia, Strigamia) e specie (con rivalutazione di taxa, descrizione
di nuove entità, accertamento di altre ancora inedite), sia faunistici,
colmando lacune o ampliando le conoscenze su aree critiche (Italia NE,
Appennino centrale, Appennino siculo, Sardegna, Corsica).
Tra i settori continentali, la maggiore diversità specifica si
osserva in quello NE (Veneto-Friuli VG-Istria), con 70 specie, e nella
Liguria W (dal Col di Cadibona al Col di Boréon, inclusi i territori
piemontesi a S del T. Negrone e quelli francesi a E della valle del Var e
della Vésubie), con 66 specie. Sono invece meno ricchi il settore SW
della penisola (Basilicata e Calabria, escluso il Materano a E del F.
Bradano) e la regione pugliese, con 39 e 29 specie rispettivamente.
L’analisi di regressione condotta sulla ricchezza di specie e i valori
latitudinali dei centroidi delle 17 u.t. adottate mette in evidenza una
correlazione negativa significativa tra queste due variabili (R2=0,63;
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32
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F=20,5; p<0,001). Le diminuzione della ricchezza specifica lungo un
gradiente latitudinale potrebbe essere in relazione a un effetto penisola o
a una minore intensità delle ricerche nelle u.t. meridionali. Tra i settori
macroinsulari, Sicilia (25.706 kmq) e Sardegna (24.090 kmq) ospitano
un numero di specie comparabile (48 e 50 rispettivamente), mentre in
Corsica (8.680 kmq) il numero di specie accertato è assai più basso (26).
Sui dati di presenza/assenza delle specie nelle 17 u.t. è stato calcolato
l’indice di somiglianza (Baroni Urbani-Buser). Il dendrogramma
ricavato (UPGMA) ordina le u.t. in due gruppi ben separati, uno relativo
alle aree macroinsulari, l’altro al resto dell’Italia. In quest’ultimo gruppo
è possibile individuare due sottoinsiemi, comprendenti l’uno tutte le u.t.
settentrionali, l’altro tutte le u.t. appenniniche (dall’Emilia alla
Calabria). Il settore pugliese, verosimilmente sottostimato, mostra un
comportamento anomalo associandosi alla Corsica, nel cluster delle u.t.
macroinsulari.
Dall’analisi zoogeografica, nel popolamento dei chilopodi
italiani prevale la componente delle specie ad ampia distribuzione in
Europa (42%), rappresentata soprattutto da litobiomorfi (55%, nei
generi Eupolybothrus, Lithobius, Harpolithobius) e geofilomorfi (41%,
es. nei generi Schendyla, Geophilus, Strigamia). Tra queste, è di
particolare interesse zoogeografico Dicellophilus carniolensis, unico
rappresentante europeo di un genere ad areale fortemente disgiunto
(Europa SE, Giappone, California), appartenente ad una famiglia, i
mecistocefalidi, a distribuzione perlopiù tropicale e subtropicale.
La componente europea è massima nell’Italia NE (70-80%),
mentre diminuisce gradualmente nelle u.t. centrali e meridionali (ca
50%) e in quelle insulari (20%). Segue la componente mediterranea s.l.
(20%), in cui prevalgono i geofilomorfi (67%, ad es. nei generi
Himantarium, Haplophilus, Stigmatogaster, Dignathodon, Nannophilus,
Gnathoribautia), a cui si associano alcuni scolopendromorfi (dei generi
Theatops, Plutonium, Scolopendra) e pochi litobiomorfi (es. in
Pleurolithobius). Tra gli elementi di maggior interesse zoogeografico in
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questo gruppo si trovano Pleurolithobius patriarchalis, unico chilopode
a corotipo E-mediterraneo in Italia, Plutonium zwierleinii e Theatops
erythrocephalus, i soli rappresentanti nella fauna W-paleartica di una
famiglia, i plutoniumidi, diffusa in Europa meridionale, Cina e Nord
America. Rispetto a quella europea, la componente mediterranea mostra
una tendenza inversa, essendo massima nelle grandi isole (40-48%), con
valori decrescenti da S a N, dalla Puglia (38%) alla Liguria W ed E
(17%), ed essendo bassa (8-10%) nelle u.t. del settentrione. Assai scarsa
è invece la componente delle specie ad ampia distribuzione, oloartica
(3%) o afrotropicale-asiatica (1%). La componente endemica,
rappresentata per il 70% da litobiomorfi (ca 1/3 dei quali cavernicoli),
costituisce il 34% del popolamento ed è costituita soprattutto da
endemiti appenninici (25%) e sardi (21%). In generale, gli elementi
endemici mostrano in maggioranza affinità riferibili a corotipi
settentrionali, europei, mentre 1/3 di essi ha affinità mediterranee, in
particolare mediterranee occidentali. Scarso è il numero di specie
alloctone (2) ma sono noti numerosi casi di transfaunazione (in Sicilia,
Italia NE, Sardegna).
Nel confronto tra il popolamento del settore ligure occidentale
(alpino) e quello orientale (appenninico), malgrado il valore degli indici
di somiglianza della composizione specifica e dello spettro corologico
siano elevati (i. di Baroni Urbani-Buser = 0,83; i. di Bray-Curtis = 0,87),
il settore occidentale si caratterizza rispetto a quello orientale per un più
alto numero di endemiti ristretti (6 vs 2) e per la presenza di un maggior
numero di specie, in particolare a gravitazione europea s.l.
BIBLIOGRAFIA
Baroni Urbani C., Ruffo S. & Vigna Taglianti A., 1978. Materiali per una
biogeografia italiana fondata su alcuni generi di Coleotteri Cicindelidi,
Carabidi e Crisomelidi. Mem. Soc. entomol. Ital. 56 (1977): 35-92.
Foddai D., Minelli A., Sheller U. & Zapparoli M., 1995. Chilopoda, Diplopoda,
Pauropoda, Symphyla. In: Minelli A., Ruffo S., La Posta S., (eds)
Checklist delle specie della fauna italiana, 32, Calderini, Bologna, 35
pp.
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LA TRICOTTEROFAUNA LIGURE
OMAR LODOVICI, MARCO VALLE*
Museo Scienze Naturali, Piazza Cittadella 10, 24129, Bergamo
[email protected]
Nel 1928 l’abate Navas, studiando i tricotteri del Museo di
Storia Naturale di Genova, pubblicò i primi dati riferiti alla Liguria
menzionando 6 specie. Bisogna tuttavia aspettare oltre mezzo secolo per
avere studi più dettagliati su questa Regione, l’occasione fu il XXIV
Congresso di Biogeografia del 1982 nel quale Cianficconi e Moretti
esposero i risultati di una ricerca che portò a 60 le specie accertate nella
Regione. Già nelle conclusioni del lavoro gli autori evidenziavano la
compresenza di taxa alpini ed appenninici che nella regione trovavano il
proprio limite distributivo.
La pubblicazione della terza lista dei tricotteri italiani nel 2001
riporta per la Liguria 96 specie, circa un quarto della fauna italiana. Da
allora numerose indagini specifiche, realizzate da Malicky e dal nostro
museo, hanno consentito di giungere ad un livello di conoscenza
adeguato anche se non esaustivo di questo ordine di Insetti.
Numerose sono le specie steno-endemiche note di questa
regione, spesso rinvenibili anche nei dipartimenti confinanti della vicina
Francia. In questi anni sono state descritte 5 nuove specie, tutte delle
Alpi Liguri: Synagapetus liguricus, Consorophylax corvo, Crunoecia
fortunae, Bereamya gudrunae e Stactobia alpina, tutte rinvenute in
poche stazioni caratterizzate da ambienti sorgentizi o igropetrici.
L’area di indagine costituisce un evidente limite distributivo per
le specie alpine, tra queste: Tinodes luscinia, Allogamus mendax,
Metanoea flavipennis; numerose sono anche le specie appenniniche che
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in quest’area presentano il proprio limite settentrionale: Rhyacophila
appennina, Polycentropus pirisinui e Allogamus botosaneanui.
Il genere Potamophylax merita una trattazione particolare, la
compresenza delle due sottospecie, P. cingulatus alpinus e P. cingulatus
gambaricus, mostra forme intermedie tra i due taxa. Questo genere è
presente anche con P. luctuosus rinvenuto sul Massiccio del Beigua,
specie diffusa dall’Armenia alla Francia, è segnalata in Italia solo per
questa stazione. Altre specie, pur avendo un’ampia distribuzione
europea, sono presenti in Italia solo in questa regione: Grammotaulius
submaculatus e Plectrocnemia kisbelai.
Dall’analisi della tricotterofauna risultano evidenti, per la
regione considerata, due importanti Hot spot per la biodiversità: il
massiccio del Beigua in provincia di Savona e l’entroterra imperiese.
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FILOGEOGRAFIA E SISTEMATICA DELLE DOLICHOPODA
NORD-OCCIDENTALI (ORTHOPTERA, RHAPHIDOPHORIDAE)
GIULIANA ALLEGRUCCI*+, MAURO RAMPINI**, CLAUDIO DI RUSSO**,
SARA COCCHI*, VALERIO SBORDONI*
*Dipartimento di Biologia, Università di Roma Tor Vergata
**Dipartimento di Biologia e Biotecnologie Charles Darwin, Università
di Roma La Sapienza
*+Corresponding author. Email: [email protected]
Il genere Dolichopoda (Orthoptera; Rhaphidopohoridae) è
attualmente presente in Italia con 9 specie diffuse nelle grotte del nord
ovest (Piemonte e Liguria), in quelle di tutto l’Appenino fino alla
Calabria, comprese le aree costiere tirreniche e la Sardegna. Esso risulta
assente in tutta l’area nord orientale e nel Salento.
In particolare, in Piemonte e Liguria è ampiamente diffusa la
specie Dolichopoda ligustica Baccetti & Capra, 1959, tipica del
Savonese e del basso Piemonte. La sottospecie D. ligustica
septentrionalis, invece, risulta limitata ad una piccola area della Val di
Lanzo in provincia di Torino, e a partite dagli anni ’80 è stata segnalata
anche in alcune cavità della provincia di Bergamo.
In alcune grotte delle Valli del Cuneese (grotta Barmassa della
Roccarossa, Monterosso Grana, Cuneo) Baccetti & Capra (1959)
indicavano la presenza di D. azami, specie ampiamente diffusa nel sudest della Francia (loc. tipica Var, Catheaudouble, Grotte de ChauvesSouris). Questa specie risulta molto affine morfologicamente alla D.
ligustica (forma dell’epifallo e del X tergite del maschio) e quindi non
sempre facilmente distinguibile.
In particolare sono state campionate 27 popolazioni di cui 4
ascrivibili a D. azami, 2 a D. ligustica, 6 a D. ligustica septentrionalis e
15 non chiaramente attribuibili a nessuno dei due taxa. Per ogni
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popolazione sono stati analizzati almeno 5 individui a livello del DNA
mitocondriale, di cui sono stati amplificati 3 geni: la citocromo ossidasi
I, il 12S rRNA e il 16S rRNA. Su ogni popolazione è stata fatta anche
un’analisi morfologica, considerando i caratteri diagnostici fra le specie.
Gli obiettivi principali del presente lavoro sono:
a) integrare i presenti dati molecolari con quelli precedenti ottenuti
analizzando il 90% delle specie note di Dolichopoda e
b) chiarire la posizione tassonomica delle popolazioni oggetto di questo
studio, utilizzando sia i caratteri morfologici che le sequenze di DNA.
Per quanto riguarda il primo obiettivo, i dati arricchiscono i
risultati filogeografici da noi ottenuti in precedenza, secondo cui la
dispersione del genere Dolichopoda si sarebbe attuata, a partire dal
Miocene, in direzione est-ovest, iniziando dalle regioni caucasiche e dal
Medio Oriente verso la Grecia e il Mediterraneo occidentale. Le
popolazioni occidentali avrebbero colonizzato la penisola italiana,
nonché le Alpi occidentali e i Pirenei. La posizione basale delle specie
appenniniche rispetto al gruppo azami-ligustica solleva l’ipotesi di una
dispersione verso la regione alpina occidentale a partire dall’Appennino.
Per quanto riguarda l’aspetto tassonomico, i risultati sia
morfologici che molecolari hanno evidenziato una variabilità molto
bassa sia all’interno delle singole popolazioni, sia tra popolazioni e
specie diverse. L’analisi genetica, condotta attraverso la costruzione di
network, ha messo in evidenza un differenziamento geografico molto
piccolo, attribuibile a popolazioni appartenenti alla stessa specie.
L’analisi morfologica conferma questo dato, rivelando una modesta
variabilità anche nei caratteri tassonomicamente diagnostici, come la
morfologia dell’epifallo e quella del X tergite del maschio.
In base al presente studio i risultati suggeriscono che in
Piemonte, in Liguria e nelle Alpi Marittime francesi sia presente una
sola specie che dovrebbe assumere, per priorità, il nome di Dolichopoda
azami Saulcy, 1893.
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THE EREBIA TYNDARUS SPECIES COMPLEX IN THE ALPS AND
APENNINES: NEW GENETIC DATA ON A BIOGEOGRAPHIC
RIDDLE
PAOLO GRATTON1, ALESSANDRA TRASATTI1*, GIORGIO RICCARDUCCI1,
EMILIANO TRUCCHI2, SILVIO MARTA1, GIULIANA ALLEGRUCCI1,
DONATELLA CESARONI1, VALERIO SBORDONI1
1
Dipartimento di Biologia, Università “Tor Vergata”, Roma,
Via della Ricerca Scientifica, 00133 Roma
2
Centre for Ecological and Evolutionary Synthesis (CEES),
University of Oslo, N-0316 Oslo, Norway
*Corresponding author. Email: [email protected]
The Erebia tyndarus species complex is a cluster of closely
related alpine taxa, which have represented an intriguing issue for
taxonomists, evolutionary biologists and biogeographers (eg. Lorković,
1958; Descimon & Mallet, 2009).
The species within the ‘tyndarus’ group were defined using
morphological and ecological characters, cross-breeding experiments,
karyology, and molecular data from allozymes and mitochondrial DNA
(mtDNA). However, the delimitation of species, their interrelationships,
as well as the origin of their non-obvious geographic distribution, are
still largely unclear, especially as far as the species inhabiting Alps and
Apennines are concerned.
Since Warren’s monography (1936), allowing for only one
species, Erebia tyndarus, up to five different species have been
described in the Alps, though most taxonomists currently consider four
species: E. tyndarus, E. cassioides, E. calcaria and E. nivalis, all of
them belonging to a unique “Alpine” clade (Albre et al., 2008). Figure
1a illustrates the distribution range of these taxa. Three species (E.
tyndarus, E. nivalis, E. calcaria) are endemic to the Alps, while E.
cassioides stretches its patchy distribution from the Alps into
Apennines, Pyrenees and Balkans. This distribution pattern includes
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instances of allopatry, parapatry and quasi-sympatry; the latter case
represented by E. nivalis narrowly overlapping along an altitudinal
gradient with E. cassioides or (in a single site) E. tyndarus.
As stenoecious butterflies with low dispersal ability, members
of the ‘tyndarus’ group represents a valuable model for historical
dynamics of alpine habitats in Italian mountain ranges.
Here we present the progress of a PRIN2009 project, entitled
“Comparative phylogeography of butterfies from Apennines addressed
to the development of descriptive and predictive bioclimatic models”,
aiming at elucidating the genetic relationships within the “Alpine” clade
and the population range dynamics along Alps and Apennines.
A fragment (1190 bp) of the mtDNA cox1 gene was sequenced
in a sample of 112 individuals representative of the distribution of all
the species of the “Alpine” clade in the Alps and Apennines, plus 3
individuals from the Pyrenean range of E. cassioides and 1 E. rondoui
as an outgroup (Figure 1a). Restriction sites associated DNA (RAD)
from the whole genomes of a subset of 45 individuals was sequenced on
a single lane of a HiSeq Illumina machine.
Our preliminary analysis of RAD data provide the first
molecular support for the traditional 4-species taxonomy (Figure 1c) of
the “Alpine” clade, which is not resolved by mtDNA data (Figure 1b).
Both mtDNA and RAD data detect some geographic structure within E.
cassioides, indicating relatedness between Apennine and western Alps
(especially Maritime Alps) populations. Interestingly, RAD data show a
rather continuous genetic gradient from Pyrenees to Alps and
Apennines, while mtDNA highlights the genetic distinctiveness of
Western Alpine and Apenninic populations from the rest of E.
cassioides, consistent with the hypothesis of colonization of the
Apennine range from Western Alps.
REFERENCES
Albre J., Gers C. & Legal L., 2008. Molecular phylogeny of the Erebia
tyndarus (Lepidoptera, Rhopalocera, Nymphalidae, Satyrinae) species
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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group combining CoxII and ND5 mitochondrial genes: A case study of
a recent radiation. Molecular Phylogenetics and Evolution 47: 196–
210.
Descimon H. & Mallet J., 2009. Bad species. 219-249. In: Settele J., Konvicka
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Lorković Z., 1958. Some Peculiarities of Spatially and Sexually Restricted
Gene Exchange in the Erebia tyndarus Group. Cold Spring Harb
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Warren B.C.S., 1936. Monography of the genus Erebia. British Museum of
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Figure 1. The Erebia tyndarus species complex: sampling localities and results
of the genetic analysis.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
41
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LE EMERGENZE FAUNISTICHE DEI DISTRETTI
ITTIOGEOGRAFICI ITALIANI
PIER GIORGIO BIANCO*, ELIZABETH SOTO
Dipartimento di Biologia, Settore Zoologico, Università Federico II, Via
Mezzocannone 8, I-80134 Napoli.
*Corresponding author. Email: [email protected]
La fauna ittica nativa della nostra penisola si trova in condizioni
assai critiche soprattutto a causa dell’introduzione di specie esotiche, più
che per il degrado ambientale. Queste specie tendono a sostituire le
nostre soprattutto quelle congeneriche, o a predarle.
Dal punto di vista biogeografico, la fauna ittica italiana è
localizzata in tre distinti distretti ittiogeografici, ciascuno delimitato
dalla distribuzione comune di elementi endemici.
Il distretto Padano-Veneto era caratterizzato dalla presenza di 39
specie native, di cui 23 endemiche dominate dai ciprinidi con 14 specie.
Le alloctone, da stime non aggiornate per difetto, risultano rappresentate
da 37 specie, di cui 18 di ciprinidi.
In Italia centrale il distretto Tosco-Laziale era caratterizzato da
16 specie native, di cui 6 endemiche (5 di ciprinidi). Di alloctone se ne
contano ora 31, di cui 18 di ciprinidi.
Recentemente è stato delimitato un terzo distretto, ApuloCampano la cui estensione comprende parte della Puglia, della
Campania, del Lazio e della Basilicata. L’elemento caratterizzante è
rappresentato dall’alborella meridionale di cui il distretto ne ricalca la
distribuzione. In questa area studi ittiologici hanno dimostrato, oltre
all’alborella meridionale, l’esistenza di una specie endemica di cobite,
una di cavedano e popolazioni di lampreda di ruscello che presentano
aplotipi unici nel contesto italiano ed europeo. Nel complesso, questo
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distretto conta 15 specie autoctone di cui 3 endemiche. Le alloctone
sono rappresentate da 14 specie, di cui 6 di ciprinidi.
Il distretto Padano-Veneto, soprattutto per la sua adiacenza al
distretto Danubiano, è stato oggetto di notevoli immissioni in parte
legali a causa della mancanza di una manualistica aggiornata sulla
tassonomia delle nostre specie. Questo distretto ormai ospita circa un
60% di specie di origini in gran parte danubiane e per questo soprattutto
il bacino del Po può ora considerarsi come un ramo danubiano.
In Italia centrale la situazione appare oggi assai simile a quella
padano-veneta. Mentre fino ad alcuni anni fa le specie aliene erano
soprattutto di origini padano-venete, trasformando i bacini tosco-laziali
in rami del Po, oggi l’invasione delle specie danubiane e altro ha reso
questo distretto simile a quello padano-veneto, con il raddoppio delle
spece aliene nel confronto della native.
In Italia meridionale il distretto Apulo-Campano non ha ancora
subito un estensivo processo di globalizzazione. Tuttavia, oltre agli
autoctoni, conta un discreto numero di forme padane e la situazione sta
modificandosi anche in questo distretto dove specie come la
pseudorasbora di origini cinesi e il gobione danubiano hanno già fatto
da tempo la loro comparsa.
Gli effetti degli alieni sulle specie locali sono irreversibili e
soprattutto nelle competizioni congeneriche, le specie che si sono
originate in contesti ambientali più diversificati, tendono ad eliminare
progressivamente, ma inesorabilmente, le specie native. Tra i casi più
eclatanti, il gobione europeo sta eliminando progressivamente il nostro
endemita benacensis. Le nostre lasche vanno rarefacendosi per
immissione di lasche danubiane. La stessa sorte stanno subendo le
rovelle i triotti e i pighi, per l’introduzione di innumerevoli ciprinidi
danubiani, particolarmente il congenerico rutilo del Danubio. Anche il
trasferimento di specie endemiche del Po in area tosco-laziale sta
progressivamente eliminando nelle aree di contatto i congeneri ghiozzo
dell’Arno e scardola meridionale.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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In questo contesto la Liguria, tranne la parte terminale del fiume
Magra, non riveste un ruolo primario in quanto la sua ittiofauna non
conta specie primarie autoctone, dal momento che quelle presenti sono
in gran parte di origini alloctone e contano per lo più specie di origini
marine (spinarelli, anguille, alose, cagnetta ecc). Per questo può essere
assimilata a una regione “sardo-corso-ligure” dove non sussistono
componenti né endemiche né primarie. Unica eccezione, il vairone,
ciprinide moderatamente frigofilo, reofilo obbligato le cui origini in
Liguria potrebbero essere considerate trans’appenniniche in base a
recenti analisi molecolari fatte su basi pan-italiane.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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SPUGNE D’ACQUA DOLCE DI LIGURIA1
RENATA MANCONI1, BARBARA CADEDDU1, ROBERTO PRONZATO2
1
Dipartimento di Scienze della Natura e del Territorio, Università di
Sassari, Via Muroni 25, 07100, Sassari, Italy * [email protected]
2
Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita, Università di
Genova, Corso Europa 26, 16132 Genova, Italy
La letteratura storica riguardante la fauna d’acqua dolce non riporta
dati sui Porifera (Haplosclerida: Spongillina) della Liguria (Manconi e
Pronzato, 2011). Il primo ritrovamento, risalente agli anni 80 del XX secolo, è
avvenuto nel Torrente Scrivia grazie alla curiosità di un naturalista amateur (G.
Olivieri). Le campagne di monitoraggio della qualità biologica delle acque
correnti (M. Bodon, S. Gaiter) insieme a censimenti faunistici relativi
all’attività di campo di laureandi dell’Università di Genova (C. Burgarello, E.
Dessy, M. Terrizzano) hanno incrementato notevolmente i dati di
presenza/assenza e distribuzione geografica in vaste aree della regione. La
notevole rarità del taxon nei bacini liguri, sia appenninici sia alpini, è indicata
dalla frequenza di ritrovamento pari a ca. 11 % delle stazioni distribuite a quote
comprese da pochi metri fino a 637 m s.l.m., su un totale di 138 stazioni in 40
bacini. La spongillofauna di Liguria, che annovera 3 specie a vasta
distribuzione appartenenti a 2 generi, è rappresentata esclusivamente dalla
famiglia Spongillidae Gray, 1867. Il basso valore di ricchezza tassonomica è in
accordo con quelli della penisola italiana (7 sp./6 gen./1 fam.), dell’Europa (18
sp./10 gen./4 fam.) e dell’Africa Paleartica (8 sp./7 gen./1 fam.) (Pronzato e
Manconi, 1989, 2001; Manconi e Pronzato, 2008, 2009, 2011). Ephydatia
muelleri (Lieberkühn, 1856) è presente solo nel Torrente Impero a Santo
Lazzaro Reale. Spongilla lacustris (Linnaeus, 1759) è segnalata nei bacini dello
Scrivia (Busalla, Mignanego, Ronco), della Bormida di Millesimo (Lago di
Osiglia) e dell’Orba (Tiglieto). Ephydatia fluviatilis (Linnaeus, 1759) è nota per
i bacini dello Scrivia (Ronco, Busalla, Pietra Bissara), Malvaro, Impero, Prino,
Pontetto, San Francesco e Lavagna. L’identificazione a livello di specie non è
stata possibile nel caso degli esemplari dei torrenti Sturla e Entella (Ephydatia
sp.) per l’assenza delle gemmule con caratteri diagnostici chiave. La specie più
comune E. fluviatilis è sintopica con S. lacustris nel Torrente Scrivia, e con E.
1
Lavoro finanziato da MIUR-PRIN 20085YJMTC ‘L’endemismo nella fauna
italiana: dalla conoscenza sistematica e biogeografica alla conservazione’,
Fondazione Banco di Sardegna e Regione Autonoma Sardegna (CRP-60215).
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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muelleri nel Torrente Impero. Gli esemplari sono stati studiati in microscopia
ottica e/o elettronica a scansione e registrati nella collezione POR-FW
depositata presso il DISTAV dell’Università di Genova. Le popolazioni
ibernanti di S. lacustris e E. fluviatilis di Ronco Scrivia sono state caratterizzate
dal punto di vista del ciclo vitale (Manconi & Pronzato, 1991), delle strategie di
colonizzazione e competizione per lo spazio (Pronzato & Manconi, 1991) e
della composizione chimica (Manconi et al., 1988). Il ciclo vitale e la
riproduzione sessuale sono state oggetto di studio nel caso della popola-zione di
E. fluviatilis del rio costiero San Francesco (Corriero et al., 1994).
BIBLIOGRAFIA
Corriero G., Manconi R., Vaccaro P. & Pronzato R., 1994. Life strategies of
Ephydatia fluviatilis (L., 1759) in two different environments. In: R.W.M. van
Soest, Th.M.G. van Kempen & J.C. Braekman (eds.) Sponges in time and
space. Balkema, Rotterdam: 321-326.
Manconi R. & Pronzato R., 1991. Life cycle of Spongilla lacustris (Porifera,
Spongillidae): a cue for environmental dependent phenotype. Hydrobiologia
220: 155-160.
Manconi R. & Pronzato R., 2008. Global diversity of sponges (Porifera:
Spongillina) in freshwater. In: E.V. Balian, C. Lévêque, H. Segers & K.
Martens (eds.) Freshwater animal diversity assessment. Hydrobiologia 595:
27-33.
Manconi R. & Pronzato R., 2009. Atlas of African freshwater sponges. Studies in
Afrotropical Zoology 295: 214 pp.
Manconi R. & Pronzato R., 2011. Suborder Spongillina (freshwater sponges). In:
M. Pansini, R. Manconi, R. Pronzato (eds.) Porifera I. Calcarea,
Demospongiae (partim), Hexactinellida, Homoscleromorpha. Fauna d’Italia.
vol. XLVI, p. 341-366, Bologna: Edizioni Calderini-Il Sole 24 ore, ISBN:
978-88-506-5396-6.
Manconi R., Piccialli V., Pronzato R. & Sica D., 1988. Mini Review. Steroids in
Porifera. Sterols from fresh-water sponges Ephydatia fluviatilis (L.) and
Spongilla lacustris (L.). Comparative Biochemistry and Physiology 91B(2):
237-245.
Pronzato R. & Manconi R. 1989. Chiave dicotomica per il riconoscimento delle
spugne d’acqua dolce italiane. Bollettino dei Musei e degli Istituti Biologici
dell’Università di Genova 53: 81-99.
Pronzato R. & Manconi R., 1991. Colonization, life cycle and competition in a
freshwater sponge association. In: J. Reitner e H. Keupp (eds.), Fossil and
Recent Sponges, Springer, Berlin: 432-444.
Pronzato R. & Manconi R., 2001. Atlas of European freshwater sponges. Annali
Museo Civico Storia Naturale Ferrara 4: 1-64.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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FRESHWATER TRICLADS FROM LIGURIA
GIACINTA A. STOCCHINO*, RENATA MANCONI, BARBARA CADEDDU,
MARIA PALA
Dipartimento di Scienze della Natura e del Territorio, Università di
Sassari, Via Muroni 25, 07100, Sassari, * [email protected]
The first record of triclads from Ligurian freshwater dates as far
back as 1893 when Borelli reported Dugesia subtentaculata (presently
Dugesia sp.) and Polycelis nigra from Rapallo. Up to now taxa of all the
three families of Tricladida are present in Liguria, viz Dugesiidae (3
gen, 5 sp), Dendrocoelidae (1 gen, 1 sp) and Planariidae (1 gen, 2 sp)
(Table 1) (Sanfilippo, 1950; Benazzi & Deri, 1980; Benazzi, 1982 and
references therein; De Vries & Benazzi, 1983; De Vries, 1988; Sluys &
Benazzi, 1992). All three endemic species are cave-dwelling. Although
Dugesia liguriensis was only known until recently for the type locality,
the present new records from the western Liguria and a recent record
from a cave in Piedmont (Stocchino et al., 2005) suggest a wider
distribution. The present first record of D. sicula is the northernmost of
this Pan- Mediterranean species. For the genus Dugesia numerous nonidentified fissiparous and sexual populations are here recorded along the
Ligurian arc. The presence of Schmidtea polychroa and of the
alloctonous American species Girardia tigrina, introduced in Europe in
the first half of the last century, are reported for the first time.
__________________________________________________________
Table 1. Checklist of freshwater Tricladida from Liguria. Endemic species
indicated by diamond (♦); alloctonous species indicated by circle (●).
__________________________________________________________
Dugesiidae Ball, 1974; Dugesia Girard, 1850; Dugesia brigantii De Vries &
Benazzi, 1983 ♦; Dugesia liguriensis De Vries, 1988; Dugesia sicula Lepori,
1948; Dugesia sp.; Girardia Ball, 1974; Girardia tigrina (Girard, 1850) ●;
Schmidtea Ball, 1974; Schmidtea polychroa (Schmidt, 1861) Dendrocoelidae
Hallez, 1892; Dendrocoelum Öersted, 1844; Dendrocoelum beauchampi del
Papa, 1952 ♦; Dendrocoelum cf. beauchampi; Dendrocoelum sp.; Planariidae
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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Stimpson, 1857; Polycelis Ehrenberg, 1831; Polycelis benazzii De Beauchamp,
1955 ♦; Polycelis nigra (Müller, 1774); Polycelis sp.
__________________________________________________________
ACNOWLEDGEMENTS
Financial support by Fondazione Banco di Sardegna, SYNTHESYS EC-7th
(NL-TAF2772), the Regione Autonoma Sardegna (CRP-60215 ‘Conservazione
e valorizzazione delle grotte sarde: biodiversità e ruolo socioeconomicoculturale) and MIUR-PRIN 20085YJMTC ‘L’endemismo nella fauna italiana:
dalla conoscenza sistematica e biogeografica alla conservazione’.
Authors are grateful to L. Galli and A. Balduzzi for their cooperation in the
collections.
REFERENCES
Benazzi M., 1982. Tricladi cavernicoli italiani. Biogeographia 7: 7-14.
Benazzi M. & Deri P., 1980. Histo-cytological study of the ex-fissiparous
planarian testicles (Tricladida, Paludicola). Monitore Zoologico Italiano
14: 151-163.
Borelli A., 1893. Osservazioni sulla Planaria alpina (Dana) e catalogo dei
Dendroceli d’acqua dolce trovati nell’Italia del Nord. Bollettino Musei di
Zoologia ed Anatomia comparata dell’Università di Torino 8: 1-13.
De Vries E.J., 1988. Further contributions to the taxonomy and biogeography
of the subgenus Dugesia (Platyhelminthes: Tricladida: Paludicola) in the
Mediterranean region and the Middle East. Israel Journal of Zoology 35:
109-136.
De Vries E. & Benazzi M., 1983. Dugesia brigantii n. sp., a freshwater
planarian found in an Italian cave. Bollettino di Zoologia 50: 263-268.
Sanfilippo N., 1950. Le grotte della provincia di Genova e la loro fauna. C.A.I.
Memorie del Comitato Scientifico Centrale 2: 1-92.
Sluys R. & Benazzi M., 1992. A new finding of a subterranean dendrocoelid
flatworm from Italy (Platyhelminthes, Tricladida, Paludicola).
Stygologia 7: 213-217.
Stocchino G.A., Lana E., Manconi R., Corso G., Casu S., Rassu C.G. & Pala
M., 2005. Studio di una popolazione di tricladi cavernicoli del Piemonte
(Platyhelminthes, Tricladida). 66° Convegno U.Z.I., Roma, 40.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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L’ISTRICE (HYSTRIX CRISTATA LINNAEUS, 1758) IN LIGURIA
ENRICO BORGO*, GIULIANO DORIA
Museo Civico di Storia Naturale “G. Doria”,
Via Brigata Liguria 9, 16121, Genova
*Corresponding author. Email: [email protected]
L’istrice (Hystrix cristata Linnaeus, 1758) è presente nell’Africa
settentrionale e nella Penisola italiana dove ha raggiunto, con
un’espansione verso nord, la Lombardia sud-orientale, il Piemonte e il
Veneto centro-occidentale.
In Liguria, fino al 1999, le uniche segnalazioni della specie sono
quelle riportate da Balletto (1977) e Vigna Taglianti & Bologna (1981)
localizzate nell’estremo occidentale della provincia di Savona.
Il 27 gennaio 1999 un esemplare è stato rinvenuto morto ad
Andora (SV) e successivamente è stato portato al Museo di Storia
Naturale di Genova; è iniziata quindi una raccolta di dati finalizzata a
tracciare una carta della distribuzione della specie sul territorio ligure.
Ad oggi abbiamo 63 record così suddivisi:
- 29 osservazioni dirette;
- 20 raccolte di aculei;
- 1 documentazione fotografica da fototrappola;
- 1 osservazione di tracce;
- 12 esemplari rinvenuti morti (di cui solo 2 recuperati).
Dall’osservazione della cartina risulta evidente la presenza
dell’istrice nella Liguria occidentale e centrale dovuta all’espansione
della specie verso nord-ovest; procedendo verso occidente si nota
un’area priva di segnalazioni prima di incontrare quelle del Savonese
occidentale che rappresentano probabilmente gli individui della
popolazione già esistente.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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Figura 1. Distribuzione di Hystrix cristata in Liguria.
BIBLIOGRAFIA
Balletto E., 1977. Analisi faunistico-venatoria ed ecologica della Regione
Liguria. Grafica Don Bosco Genova, 124 pp.
Vigna Taglianti A. & Bologna M.A., 1981. Piano di proposta per il Parco delle
Alpi Liguri. Fauna. Ufficio del Piano, Imperia: 35.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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WALLACE, WALLACEA….
E I LIGURI
XXXIX Congresso della
SOCIETA’ ITALIANA DI BIOGEOGRAFIA
“Liguria: dagli Appennini alle Alpi..….passando per il mare”
Rapallo, 29-31 maggio 2013
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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WALLACE, LE FARFALLE, E LA BIOGEOGRAFIA
VALERIO SBORDONI
Dipartimento di Biologia, Università “Tor Vergata”, Roma,
Via della Ricerca Scientifica, 00133 Roma
Nella storia della scienza non è sempre agevole tracciare con
certezza la genesi di una teoria. Le idee si diffondono rapidamente,
evolvono tramite il dibattito scientifico, attraversano generazioni
strutturandosi nel tempo. Avviene di rado che il primo ispiratore abbia
già maturato in maniera compiuta ed esauriente un’idea, interpretando
correttamente, fin dall’inizio, la natura di un fenomeno.
E’ perciò sorprendente notare che una idea complessa come la
teoria dell’evoluzione per selezione naturale possa essere stata
immaginata ed elaborata da Alfred Russel Wallace in un arco di tempo
breve, brevissimo se paragonato al tempo impiegato dal suo illustre
collega, Charles Darwin.
Leggendo i lavori di Wallace e le sue opere divulgative come
“The Malay Archipelago” o “Island Life”, si rimane ammirati dalla sua
capacità di generare interpretazioni innovative di fenomeni naturali
basate sulle sue osservazioni sul campo.
Ma come nasce questa capacità? Sono convinto che alle
notevoli doti di intelligenza, curiosità e tenacia espresse da Wallace, il
contesto spazio-temporale dei suoi viaggi, e soprattutto quello nelle
isole dell’Arcipelago Malese, abbia giocato un ruolo determinante nel
definire il profilo scientifico di questo grande naturalista. Il contesto
deve aver avuto un ruolo rilevante, specialmente se la curiosità del
naturalista è indirizzata a cogliere e decifrare la diversità della vita, così
ricca, spazialmente articolata e complessa quale quella delle isole del
Sud Est Asiatico.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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Lo sforzo di Wallace di leggere e interpretare le diversità era
continuo e traspare ovunque nei suoi scritti, dalla descrizione
antropologica della variabilità geografica nei tratti fenotipici, lingua,
religione e tradizioni, delle popolazioni locali, alla valutazione.delle
discontinuità nella distribuzione degli uccelli, ma certamente una
particolare attenzione è stato tributata alle farfalle.
Attraverso le farfalle Wallace ha affrontato e in parte decifrato
in maniera moderna gran parte delle questioni chiave che, oltre mezzo
secolo dopo, hanno sostenuto il dibattito scientifico nella Teoria
Sintetica: dal mimetismo e il polimorfismo mimetico legato al sesso, ai
fenomeni di vicarianza e dispersione, al meccanismo di speciazione
allopatrica, fino al concetto di specie. E il ruolo delle farfalle non è stato
di minor conto nella definizione dei confini tra regioni zoogeografiche e
nella identificazione di quell’area di transizione tra Regione Orientale e
Regione Australasiatica oggi nota come Wallacea.
Ricordare Wallace oggi serve anche a mettere in luce il
significato delle collezioni biologiche e dei musei di Storia Naturale,
nonché a valorizzare la tassonomia come indispensabile strumento di
conoscenza della diversità biologica. In fondo Wallace è stato anche un
illustre collezionista di farfalle!
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Wallace A.R., 1858. On the Tendency of Varieties to Depart Indefinitely From
the Original Type. Journal of the Proceedings of the Linnean
Society: Zoology 3(9): 53-62.
Wallace A.R., 1865. On the phenomena of variation and geographical
distribution as illustrated by the Papilionidae of the Malayan
region. Transactions of the Linnean Society of London 25, 1–71
Wallace A.R., 1867 On the Pieridæ of the Indian and Australian Regions.
Transactions of the Entomological Society of London 4 (3rd s.),
part III: 301-416.
Wallace A.R., 1869 The Malay Archipelago; the land of the orang-utan and the
bird of paradise; a narrative of travel with studies of man and
nature, 2 voll. Macmillan & Co., London & New York.
Wallace, A.R. 1875. The Malayan Papilionidae or swallow-tailed butterflies, as
illustrative of the theory of natural selection. In Wallace, A.R.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
53
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(ed.), Contributions to the Theory of Natural Selection, 2nd edn.
Macmillan & Co., London, pp. 130–200
Wallace A.R., 1880 Island life, or the phenomena and causes of insular faunas
and floras, including a revision and attempted solution of the
problem of geological climates, Macmillan & Co., London & New
York.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
54
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ALFRED RUSSEL WALLACE:
SELEZIONE NATURALE… E OLTRE
FEDERICO FOCHER
Istituto di Genetica Molecolare, CNR,
Via Abbiategrasso, 207, 27100 Pavia
Email: [email protected]
Nel febbraio 1858 il naturalista inglese Alfred Russel Wallace
(1823-1913), si trovava nell’Arcipelago malese. Sbarcato un giorno
sull’isola di Gilolo, venne colpito da violenti accessi febbrili di origine
malarica. Mentre giaceva a letto, fra i deliri della febbre, la sua mente
venne assalita da “quella domanda” che lo tormentava da anni: come
possono gli organismi evolversi, modificarsi e dare origine a nuove
specie distinte dalle parentali? Ad un certo punto qualcosa gli riportò
alla memoria un libro letto alcuni anni prima: il Saggio sul principio di
popolazione di Thomas Malthus. «Fu come strofinare un fiammifero: si
produsse quel lampo intuitivo che [mi] portò dritto alla semplice ma
universale legge della “sopravvivenza del più adatto”, alla tanto a lungo
cercata causa efficiente della continua modificazione e del continuo
adattamento degli esseri viventi» (Marchant, 1916).
In un momento di lucidità, nonostante le deboli forze, si sedette al
tavolo per fissare sulla carta le proprie idee. Alla sera l’articolo (dal
titolo On the Tendency of Varieties to Depart Indefinitely From the
Original Type) era abbozzato e due giorni dopo era già pronto per essere
inviato all’amico Charles Darwin per un giudizio critico. Questi
riconobbe subito in quei pochi fogli manoscritti il nucleo essenziale
della propria teoria, ancora inedita, sull’origine delle specie. Se il saggio
di Wallace fosse stato pubblicato, lui avrebbe perso la priorità della
grande idea alla quale stava lavorando da più di vent’anni! La delicata
situazione venne saggiamente risolta dagli amici Lyell e Hooker con la
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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decisione di pubblicare l’articolo di Wallace preceduto da alcuni scritti
inediti di Darwin, così da attribuire ad entrambi il merito della scoperta
e, nello stesso tempo, la priorità “morale” a Darwin (Darwin & Wallace,
1858). Spinto dagli eventi, Charles Darwin fu quindi costretto ad uscire
allo scoperto e a pubblicare la sua grande Origine delle specie l’anno
seguente.
Ma chi era Alfred Russel Wallace? All’epoca fu sicuramente uno
dei più noti naturalisti inglesi. Oggi, invece, nonostante i suoi seminali
contributi in vari settori della scienza vittoriana, egli viene quasi
unicamente ricordato per essere stato l’altro uomo che scoprì la
selezione naturale. In effetti pochi conoscono la sua vita in parte
trascorsa ai tropici, i suoi studi naturalistici e biogeografici, il lavoro di
divulgazione del darwinismo, il sincero impegno sociale in difesa dei
deboli, e la sua fede nello spiritualismo, che lo portava candidamente a
credere in un disegno sovrannaturale mirante al progresso morale
dell’umanità (Focher, 2006).
Forse fu proprio questa sua ingenua fede nell’esistenza di un
mondo spirituale ancora ignoto, ma secondo lui degno di essere
esplorato dalla indagine scientifica, a gettare nell’oblio questa luminosa
figura di scienziato vittoriano. In effetti, secondo Wallace - catturato
dallo spiritualismo fin dal suo ritorno dall’Arcipelago malese (1862) tutta l’evoluzione, inorganica e organica, avrebbe rappresentato un
processo teleologico che, partito dalla materialità, sarebbe approdato
alla pura spiritualità. Nell’ambito di tale disegno cosmologico, l’uomo
rappresentava l’essere atteso che, dopo aver acquisito una mente
riflessiva, si era incamminato verso la perfezione dell’ultimo stadio
evolutivo. Se quindi la selezione naturale era stata essenziale per far
progredire il mondo fisico fino all’uomo (Wallace, 1864), un’altra
legge, più fondamentale e comprensiva, doveva essere responsabile del
completamento del disegno evolutivo: una legge che prima o poi
sarebbe emersa dallo studio dei fenomeni psichici, all’epoca affrontati
dalla frenologia.
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L’interpretazione puramente naturalistica dell’evoluzione era
dunque per Wallace insufficiente, e lo spiritualismo divenne la cornice
ermeneutica dei fenomeni naturali, delle cause prime e ultime del
mondo. Se sulle prime non era in grado di pronunciarsi, Wallace era
però convinto che il fine ultimo dell’evoluzione dovesse essere il
continuo miglioramento della specie umana dal punto di vista morale e
sociale. In questa ascesa spirituale l’uomo non sarebbe stato solo, ma
avrebbe avuto un aiuto e una guida da entità spirituali, da veri e propri
spiriti evanescenti, che lo attorniavano “fisicamente” e che potevano
comunicare con lui attraverso alcune persone dotate di capacità
paranormali: i medium.
Tale Weltanschauung (condivisa da non pochi scienziati
dell’epoca) si palesa con chiarezza nel 1870, con un saggio dal titolo:
The Limits of Natural Selection as Applied to Man. In queste pagine
Wallace sostiene infatti che alcune caratteristiche fisiche dell’uomo
come, per esempio, l’assenza di pelo, la mano, la voce e molte delle sue
facoltà superiori, come la vena artistica e i sentimenti morali e sociali,
non si sarebbero potute sviluppare attraverso la semplice legge della
selezione naturale, non avendo questa potere teleologico, ma che
«un’Intelligenza superiore deve aver guidato lo sviluppo dell’uomo in
una ben precisa direzione e per uno scopo speciale, esattamente come
l’uomo governa lo sviluppo di molte forme animali e vegetali. […] È
più probabile che la vera legge si trovi troppo in profondità perché possa
essere scoperta; tuttavia mi sembra che si abbiano ampie indicazioni che
tale legge debba esistere, ed essere forse connessa con l’origine assoluta
della vita e dell’organizzazione» (Wallace, 1870).
La lettura di questo saggio lascia indubbiamente perplessi. Se non
portasse la firma di Wallace si potrebbe dubitare che l’autore sia lo
stesso che aveva scoperto la legge materialistica della selezione
naturale. Tuttavia, giudicare gli scritti di Wallace attraverso la lente
della moderna concezione del processo evolutivo è un approccio
interpretativo deformante. Se ci si pone invece nella corretta prospettiva
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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storica e si evita di attribuire a Wallace una mentalità scientifica che, in
generale, non apparteneva alla sua epoca, ci si accorge che in nessuno
dei suoi scritti precedenti sono rintracciabili prove certe che il suo
attacco alla creazione speciale e la sua ferma fede nei poteri della
selezione naturale implicassero, come implicano oggi per la quasi
totalità dei biologi, un netto e generale rifiuto del finalismo. Per Wallace
doveva essere chiaro che, qualunque fosse stato il fine della natura
(voluto, secondo lui, da una Mente superiore), esso veniva perseguito
non tramite la creazione ad hoc di esseri immodificabili, bensì
attraverso l’evoluzione di organismi che si trasformano e si
differenziano l’uno dall’altro a partire da antenati comuni, grazie
all’azione di una legge naturale autosufficiente. Viene pertanto il
fondato sospetto che in Wallace, contrariamente che in Charles Darwin,
non sia mai avvenuto uno vero strappo con il rassicurante Zeitgeist
vittoriano, e che quindi, molto probabilmente, Darwin si sbagliasse nel
giudicare incomprensibile il comportamento dell’amico: Wallace non
era andato incontro a nessuna «metamorfosi (in direzione retrograda)»,
bensì ad una lenta, progressiva e sempre più consapevole maturazione di
una cosmologia evoluzionistico-teistica per nulla estranea all’ambiente
culturale vittoriano.
BIBLIOGRAFIA
Darwin C. & Wallace A.R., 1858. On the Tendency of Species to Form
Varieties; and on the Perpetuation of Varieties and Species by Natural
Means of Selection. Journal of the Proceedings of the Linnean Society of
London. Zoology 3: 45-62.
Focher F., 2006. L’uomo che gettò nel panico Darwin. La vita e le scoperte di
Alfred Russel Wallace. Bollati Boringhieri, Torino.
Marchant J., 1916. Alfred Russel Wallace; Letters and Reminiscences. Cassell
& Co., London.
Wallace A.R., 1864. The Origin of Human Races and the Antiquity of Man
Deduced from the Theory of Natural Selection. Journal of the
Anthropological Society of London 2: 158-170.
Wallace A.R., 1870. The Limits of Natural Selection as Applied to Man. In:
Contributions to the Theory of Natural Selection. A Series of Essays.
Macmillan & Co., London.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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WALLACEA… A GENOVA.
NATURALISTI LEGATI AL MUSEO DI GENOVA
NELLE TERRE DI WALLACE
ROBERTO POGGI
Conservatore Onorario
Museo Civico di Storia Naturale “G. Doria”
Via Brigata Liguria 9, 16121 Genova
E-mail: [email protected]
Alla fine del XIX secolo, dal 1865 al 1894, e quindi esattamente
per un trentennio, i territori insulari che vengono genericamente indicati
col termine “Wallacea” e quelli a loro prossimi furono oggetto di
approfondite esplorazioni e raccolte da parte dei naturalisti legati al
Museo Civico di Storia Naturale di Genova, che annoverava all’epoca
come Direttore il suo fondatore e grande mecenate Giacomo Doria
(1840-1913) e come Vice Direttore quell’impareggiabile museologo che
fu Raffaello Gestro (1845-1936).
Nella Wallacea propriamente detta radunarono importanti
collezioni Odoardo Beccari (1843-1920), Luigi Maria D’Albertis (18411901) e Antonie Augustus Bruijn (1842-1890).
Nel 1872 Beccari e D’Albertis insieme visitarono Flores, Timor,
Banda, Amboina (oggi=Ambon), Buru, Ceram (=Seram), Ghesser e
Goram. Dopo essersi separati, D’Albertis toccò ancora nel 1872 le Key
(=Kai), isole che avrebbe esplorato l’anno successivo anche Beccari, il
quale fu in seguito a Ternate, Celebes (=Sulawesi) ed ancora Amboina.
Importanti contributi giunsero da Bruijn, un ex ufficiale della
Marina olandese che Beccari spinse a radunare materiali da donare al
Museo di Genova. Da solo o grazie ai suoi cacciatori egli inviò dunque
reperti dalle isole di Celebes, Sanghir (=Sangihe), Ternate, Halmahera,
Tifore, Tidore e Buru.
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Ma, al di là della Wallacea, tutti i territori circostanti videro
l’intensa attività esplorativa dei naturalisti legati al Museo di Genova.
Avevano iniziato nel 1865-66 Doria e Beccari, che furono
insieme a Borneo (Sarawak), con la collaborazione di Abdul Kerim;
ancora Beccari (tra il 1872 e il 1878) svolse ricerche nelle isole di
Sumatra, Giava, Bali, Aru e organizzò tre spedizioni nel settore
indonesiano della Nuova Guinea nord-occidentale.
D’Albertis da parte sua raccolse nelle Aru, in Australia
(Somerset, nel Capo York) e in Nuova Guinea, sia nel settore nordoccidentale (1872) che in quello sud-orientale (Isola Yule e Fly River,
1875-1877).
Ulteriori spedizioni in Nuova Guinea sud-orientale (zona di Port
Moresby e Is. Goodenough e Trobriand) furono organizzate tra il 1889 e
il 1894 da Lamberto Loria (1855-1913), mentre Elio Modigliani (18601932) tra il 1886 e il 1894 effettuò raccolte a Sumatra (Siboga e SiRambé) e nelle isole Nias, Mentawei (=Mentawai) ed Engano
(=Enggano), talora con la collaborazione di Abdul Kerim.
Infine Leonardo Fea (1852-1903) nei quattro anni compresi tra
il 1885 e il 1888 radunò splendide collezioni in Birmania (=Myanmar),
che percorse dall’alto bacino dell’Irawaddy sino al Tenasserim.
La quantità di reperti zoologici pervenuti al Museo di Genova
da tutte queste esplorazioni è stata eccezionale ed altrettanto può dirsi
per la qualità (Fig. 1). Dalle casse che giungevano nella prima sede del
Museo, a Villetta Di Negro, uscivano centinaia di pelli di mammiferi ed
uccelli, decine di vasi di rettili, anfibi e pesci e svariate migliaia di
invertebrati, in particolare insetti, in gran parte inediti.
I materiali, dopo essere stati tutti accuratamente preparati ed
etichettati, vennero in piccola parte studiati direttamente da Doria e
Gestro, ma soprattutto inviati ai migliori specialisti mondiali di ogni
gruppo, i quali pubblicarono sugli “Annali” del Museo i risultati dei loro
studi, descrivendo tra l’altro alcune migliaia di specie nuove per la
scienza, che sono tuttora conservate nelle collezioni genovesi e
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costituiscono ancor oggi una base indispensabile di confronto per
qualsiasi revisione tassonomica che riguardi la fauna presente nell’area
austro-malese.
Anzi, in considerazione delle gravissime alterazioni ambientali
che molte regioni del Sud-Est asiatico hanno subito e stanno
continuando a subire, c’è purtroppo il concreto rischio che alcuni di tali
taxa non siano più reperibili in natura e che i materiali delle collezioni
museali siano ormai gli unici ancora disponibili per le ricerche
zoologiche.
Non era certo questo il futuro che potevano ipotizzare i due
grandi naturalisti di cui quest’anno celebriamo il centenario della
scomparsa, avvenuta a distanza di appena 49 giorni l’uno dall’altro: il
19 settembre 1913 per Giacomo Doria, a 73 anni di età, e il 7 novembre
per Alfred Russel Wallace, a 90 anni.
Figura 1. Località austro-malesi in cui sono state effettuate raccolte zoologiche
dai naturalisti legati al Museo di Genova.
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PROTURA DISTRIBUTION RIDING THE WALLACEA
LORIS GALLI*, MATTEO CAPURRO, ANTONIO SARÀ
DISTAV, University of Genova. Corso Europa 26, 16132 Genova, Italy
*Corresponding author. Email: [email protected]
Due to their characteristics (small size, low mobility, low
probability of mediated dispersal), soil borne arthropods seem to be
good models for biogeographical analysis. Knowledge about Protura is
still scarce, but, thanks to the work of many Authors (Imadaté, Tuxen,
Womersley, Yin, among others), Asian and Australian faunas are rather
well-known. In our contribution we analyzed the distribution of Protura
in the Oriental and Australasian Regions (conservatively excluding New
Zealand, considered, at least partially, Antarctic), across the so-called
Wallacea, referring to the ranges outlined in the Catalogue of the World
Protura by Szeptycki (2007), with few more recent updates.
At the genus or family level, Protura distribution from both the
analyzed Regions can be classified as exclusive/endemic (Oriental or
Australasian, respectively), Gondwanan/Pantropical and cosmopolitan;
in addition, many taxa recorded in the Oriental Region have their main
distribution in the Holarctic one (Table 1). At the species level, more
than 80% endemics (even if a degree of caution is ever necessary due to
the incompleteness of knowledge) can be detected (Table 1).
Unfortunately, there are no data for the Wallacean islands. The faunas
of the study Regions result to be quite well differentiated, and this
seems also supported by the fact that only 4 species are shared
(Condeellum crucis, Australentulus noseki, Silvestridia keijiana and S.
solomonis).
Will further studies in the Indonesia islands lying in the
Wallacea give a contribution to better delineate the boundaries between
Oriental and Australasian Region, or will they create much more
confusion?
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Chorotype
Genus
Endemic species*
ORIENTAL REGION – Total number of species: 226 (81.9% endemics)
Paracondeellum Yin, Xie, Zhang, 1994
1
Polyadenum Yin, 1980
1
Oriental
Zhongguohentomon Yin, 1979
2
Neanisentomon Zhang & Yin, 1984
3
Hesperentomon Price, 1960
3
Huhentomon Yin, 1977
1
Neocondeellum Tuxen & Yin, 1982
3
Neobaculentulus Yin, 1984
1
Notentulus Yin, 1989
1
Filientomon Rusek, 1974
Huashanentulus Yin, 1980
Oriental +
Holarctic
Tuxenentulus Imadaté, 1973
1
Fujientomon Imadaté, 1964
1
Sinentomon Yin, 1965
1
Anisentomon Yin, 1977
4
Paranisentomon Zhang & Yin, 1984
3
Pseudanisentomon Zhang & Yin, 1984
16
Antelientomon Yin, 1974
2
Condeellum Tuxen, 1963
3
Australentulus Tuxen, 1967
5
Bolivaridia Bonet, 1942
1
Gondwanan/
Pantropical
Kenyentulus Tuxen, 1981
29
Madagascaridia Nosek, 1978
1
Silvestridia Bonet, 1942
Protentomon Ewing, 1921
Baculentulus Tuxen, 1977
12
Berberentulus Tuxen, 1963
2
Cosmopolitan
Gracilentulus Tuxen, 1963
4
Eosentomon Berlese, 1908
84
AUSTRALASIAN REGION – Total number of species: 41 (80.5% endemics)
Tasmanentulus Tuxen, 1984
2
Australasian
Condeellum Tuxen, 1963
Amphientulus Tuxen, 1981
5
Gondwanan/
Australentulus Tuxen, 1967
6
Pantropical
Silvestridia Bonet, 1942
Isoentomon Tuxen, 1975
2
Acerentulus Berlese, 1908
1
Baculentulus Tuxen, 1977
1
Cosmopolitan
Berberentulus Tuxen, 1963
3
Eosentomon Berlese, 1908
13
Table 1. Biogeographic classification of Protura families and genera recorded
in the Oriental and Australasian Regions (* Nr of “endemic” species see text).
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BIOGEOGRAFIA DEL MEDITERRANEO:
DINAMICA E CAMBIAMENTO
XXXIX Congresso della
SOCIETA’ ITALIANA DI BIOGEOGRAFIA
“Liguria: dagli Appennini alle Alpi..….passando per il mare”
Rapallo, 29-31 maggio 2013
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PLANT BIOGEOGRAPHY
IN THE WESTERN MEDITERRANEAN BASIN:
NEW INSIGHTS FROM PHYLOGEOGRAPHICAL STUDIES
JÉRÉMY MIGLIORE1*, ALEX BAUMEL1, MARINE POUGET1, KATIA DIADEMA2,
VIRGILE NOBLE1,2, AGATHE LERICHE1, FRÉDÉRIC MÉDAIL1
1
Institut Méditerranéen de Biodiversité et d’Ecologie marine et continentale,
IMBE UMR Aix-Marseille Université / IRD 237 / CNRS 7263, Technopôle
de l’Environnement Arbois-Méditerranée, Bâtiment Villemin, BP 80, 13545
Aix-en-Provence cedex 04, France; 2 Conservatoire Botanique National
Méditerranéen de Porquerolles, 34 avenue Gambetta, 83400 Hyères, France
*Corresponding author. Email: [email protected]
Species diversity is unevenly distributed across the globe, with
some concentrations of taxa within few relatively restricted biodiversity
hotspots. In a conservation perspective, these areas associate high levels of
species richness and endemism with high losses of “pristine” vegetation due
to increased human population density (Myers et al., 2000). With the
growing number of threatened species, much attention has been focused on
the taxonomic level (i.e. species richness and endemism) within these
biodiversity hotspots to identify priority areas for conservation. However,
there are two other important components of biodiversity: functional
diversity and evolutionary diversity.
With the exponential increase of molecular tools, it is now largely
admitted that the conservation of evolutionary processes sustaining
biodiversity needs to be acknowledged as a priority task in the face of
global change. Here, we aim to explore how a multidisciplinary approach
centered on phylogeography can be used not only to infer the origin,
dynamics and persistence of current patterns of biodiversity, but also to
discuss the role of conservation biogeography and population genetics in
biodiversity management, especially in the Western Mediterranean Basin.
The Mediterranean region is an outstanding biogeographical
crossroad which results from a complex history and highly heterogeneous
environmental factors. Within the Palearctic, the Mediterranean has been
considered as one of the 34 global biodiversity hotspots, since it
encompasses 20% of the world’s total floristic richness in only 2% of the
world’s surface (Médail & Quézel, 1997; Blondel & Médail, 2009). More
recently, the multiplication of biological models genetically studied in the
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Mediterranean has conducted to define this region as a key hotspot of plant
evolutionary history where genetic lineages of different Tertiary origins
were shaped by the Quaternary glacial and interglacial cycles (Comes,
2004; Médail & Diadema, 2009). In this context, a new great challenge in
the Mediterranean consists in taking into account the processes underlying
the spatial and temporal dimensions of genetic variation at several spatial
scales, in order to define key areas for biodiversity conservation in a
changing world.
A review of the literature aimed firstly at identifying congruent
phylogeographical patterns for plants in the Mediterranean, focusing on the
delimitation of glacial refugia (Médail & Diadema, 2009). Refugia have
played an unsuspected role in shaping modern biodiversity in temperate
regions, and especially around the Mediterranean. Response of plants and
vegetation to natural change in climate and their survival in spatiallyrestricted refugia provide thus important insights to predict the effects of
future climate change on biodiversity patterns. Of the 52 refugia defined,
they were generally distributed either in low-altitude areas, notably moist
sites, in deep gorges with continued moisture availability, and at midaltitude. Half of these “phylogeographical refugia” are largely associated
with the ten regional hotspots of taxonomic diversity, being mainly situated
in mountains and islands (Médail & Quézel, 1997; Médail & Diadema,
2009). They represent thus climatically stable areas characterized by the
cumulative effects of complex historical and environmental factors that
have occurred since the Tertiary and not only during the Last Glacial
Maximum (ca 21,000 years BP.). To precise the location of these refugia,
and more generally key evolutionary areas, we have to consider the high
specificity of the Mediterranean mosaic of ecosystems by confronting the
relative importance of historical and modern drivers on the biodiversity
patterns (species richness, endemism, range size of species, and genetic
variability) for different groups of species.
At the interface between the Temperate, Alpine and Mediterranean
bioclimatic regions, the Maritime and Ligurian hotspot in the south-western
Alps is a relevant regional biodiversity hotspot with contrasted topography
and historical biogeography (Médail & Diadema, 2006; Casazza et al.,
2008). In the framework of a new french-italian program (BIODIVAM), we
investigate the fundamental relationships between population processes and
regional patterns of diversity and biogeography for flora and fauna. We are
analyzing some key insights of a comparative phylogeography recently
undertaken at the regional spatial scale, in order to identify patterns of
genetic structure, migrations routes and genetic discontinuities. Another
objective consists in evaluating spatial congruences with patterns of
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endemism and plant diversity established in south-western Alps. The
taxonomic and evolutionary diversities will be then compared to the
existing protected areas to evaluate the efficiency of the current network
and to propose orientations for future improvements.
However, evolution does not stop to hotspot areas! To promote
more sustainable strategies of conservation, we have chosen to better
understand the evolutionary history of Mediterranean representative plants
at different spatial scales through an integrative phylogeography approach.
This road to statistical phylogeography implies thus to draw together
information from genetics to ecology and paleontology, to understand the
processes underlying the spatial and temporal dimensions of genetic
variation. Here, we explore in parallel to Mediterranean biogeography, how
a multidisciplinary approach integrating molecular and fossil data with
species distribution modeling can be used to infer the effects of past climate
change on the distribution and genetic diversity of plants.
Outside a biodiversity hotspot (S-E France) and despite its narrow
distribution (ca. 145 km²), Arenaria provincialis (Caryophyllaceae)
harbours a high level of nucleotidic variation within chloroplast DNA loci,
supporting its persistence during the whole Pleistocene period (Pouget et
al., in revision). Genetic, ecological and abundance data even emphasize the
relevance of phylogeography to address the central-marginal hypothesis
(Eckert et al., 2008) for Mediterranean endemic plants. The historical and
ecological distinctiveness of populations can be used to define evolutionary
significant units (Youssef et al., 2011; Pouget et al., in rev.).
At a wider spatial scale, we provide a particular focus related to our
recent findings about the phylogeography of the genus Myrtus (Myrtaceae),
one of the few cases of circum-Mediterranean plant to have been studied at
the scale of its whole distribution (Migliore et al., 2012). The Tertiary
genus Myrtus bears witness to the evolutionary response of the flora to
successive environmental changes, such as the Messinian salinity crisis, the
onset of the Mediterranean climate, and the Quaternary climatic
oscillations, including European glacial and interglacial periods and even
Saharan arid and humid ones. Our comprehensive sampling of the
populations of Myrtus communis in the Mediterranean and the centralSaharan endemic M. nivellei was analyzed using a multimarker approach to
depict the historical biogeography of this genus through molecular dating
and ancestral area reconstructions. A striking ability to persist locally in
various climatic refugia is therefore associated to migration capacities to
reach new areas over time (Migliore et al., in revision).
Thus, the combination of spatial phylogeography and taxonomic
diversity appears as a powerful test of assemblage-scale responses to
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environmental changes, and thereby provides a means for critical
assessment of the scenarios produced by modeling of species’ distributions
under paleoclimates. This provides also some robust predictions of future
biogeographical processes related to global change.
REFERENCES
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Eckert C.G., Samis K.E. & Lougheed S.C., 2008. Genetic variation across species’
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Migliore J., Baumel A., Juin M. & Médail F., 2012. From Mediterranean shores to
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Migliore J., Baumel A., Juin M., Duong N., Fady B., Roig A. & Médail F.
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Myers N., Mittermeier R.A., Mittermeier C.G., Da Fonseca G.A.B. & Kent J.,
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Pouget M., Youssef S., Migliore J., Juin M., Médail F. & Baumel A.
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Youssef S., Baumel A., Véla E., Juin M., Dumas E., Affre L. & Tatoni T., 2011.
Factors underlying the narrow distribution of the Mediterranean annual plant
Arenaria provincialis (Caryophyllaceae). Folia Geobotanica 46: 327-350.
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DEEP-SEA BIOGEOGRAPHY: TESTING FOR LATITUDINAL,
LONGITUDINAL, BATHYMETRIC AND ENERGETIC
GRADIENTS DRIVING DEEP-SEA BIODIVERSITY
ROBERTO DANOVARO
Department of Life and Environmental Sciences, Polytechnic University
of Marche, Via Brecce Bianche, 60131 Ancona, Italy. Fax: +39 071
2204650; e-mail: [email protected]
The knowledge of the spatial distributions of species diversity
both in marine and terrestrial ecosystems is one of the main goals of
ecology and evolution. In particular, understanding how biodiversity
varies at different spatial scales and the drivers of these patterns is a
crucial issue in current research. This is particularly evident for the deep
sea, the largest biome of the biosphere, where information on the spatial
and temporal variability of biodiversity is almost completely lacking.
Although the Mediterranean basin covers <1% of the world ocean
surface, none the less it hosts more than 7.5% of the global biodiversity.
The high biogeographic complexity and the presence of steep ecological
gradients contribute in making the Mediterranean a region of very high
diversity.
Here we report the results of a series of investigations on the
patterns of deep-sea biodiversity in the Mediterranean Sea and other
oceanic regions, in relation with bathymetric, latitudinal, longitudinal
and energetic gradients. We report here the presence of a high
biogeographic complexity in the deep benthic domain of the
Mediterranean Sea. This was largely related to the variability of species
richness and turnover (beta) biodiversity. Using, for the first time, a
hierarchical sampling strategy from 10s of meters (small scale) to 100s
of kilometers (macroscale, between basins) we found that the variability
in faunal biodiversity was 2-3 times lower than the one observed for
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abundance. Turnover diversity was highest at the macroscale, followed
by variability at the mesoscale, which in turn were higher than those
observed at the local scale. But turnover diversity was uncoupled with
values of species richness. Functional diversity was largely associated to
the change in the richness of deep-sea predators. We observed that the
drivers of spatial variability of biodiversity were different at different
spatial scales. Food quantity play a key role in controlling variability in
biodiversity at the macroscale, while food quality and bioavailability
play a key role in driving beta diversity at lower spatial scales.
We conclude that changes in food availability, expected also as
a consequence of climate change, will have a significant impact in
setting biogeographic constraints of deep-sea species.
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DISTRIBUZIONE, ECOLOGIA E CONSERVAZIONE DEI
CORALLI NERI (ANTHOZOA, ANTIPATHARIA) DEL
MEDITERRANEO
MARZIA BO*, GIORGIO BAVESTRELLO
Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita,
Università di Genova. Corso Europa, 26 16132 Genova
*Corresponding author. Email: [email protected]
I coralli neri sono il gruppo meno noto tra gli antozoi del
Mediterraneo a causa delle elevate profondità alle quali vivono. Cinque
specie, tutte con distribuzione atlanto-mediterranea, sono note per
questo bacino: Antipathes dichotoma Pallas, 1766, Antipathes fragilis
Gravier, 1918 (Family Antipathidae), Parantipathes larix (Esper, 1790)
(Family Schizopathidae), Leiopathes glaberrima (Esper, 1792) (Family
Leiopathidae) ed Antipathella subpinnata (Ellis & Solander, 1786)
(Family Myriopathidae) (Bo et al., 2008, 2009, 2010). Una sesta specie,
appartenente a quest’ultima famiglia e tipicamente atlantica,
Antipathella wollastoni (Johnson, 1899) è stata riportata per Gibilterra.
Attualmente è in corso la descrizione di una nuova specie,
probabilmente appartenente alla famiglia Aphanipathidae e proveniente
dal Canale di Menorca. Tra quelle elencate, quattro sono le specie tipo
dei rispettivi generi.
In Mediterraneo questi organismi non sono mai stati soggetti a
sfruttamento diretto sebbene il loro scheletro sia stato utilizzato fin dal
neolitico come talismano e moneta di scambio. Fino a 5 anni fa gli
scarsi dati presenti in letteratura identificavano le specie mediterranee di
antipatari come molto rare, raccolte solo in località esplorate a fondo
come il Golfo di Marsiglia e quello di Napoli.
L’utilizzo del ROV ha rappresentato un punto di svolta nello
studio degli ecosistemi profondi. Con questa tecnica il numero di
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ritrovamenti nel Mediterraneo si è moltiplicato permettendo una
dettagliata descrizione della biodiversità di questo gruppo e della sua
distribuzione nel Mediterraneo.
A. dichotoma, è la prima specie descritta per l’intero ordine e
sebbene esistano segnalazioni tropicali, oggi si attribuiscono queste
ultime ad una specie separata, A. griggi Opresko, 2009. La specie cogenerica A. fragilis è la meno nota dell’antipatofauna mediterranea. É
stata raccolta solo due volte, nel Golfo di Napoli e nel Mare Balearico.
A. subpinnata, invece, un tempo considerata rara, è oggi riconosciuta
come ampiamente distribuita nel Mediterraneo al di sotto dei 60 m.
Probabilmente vive anche nell’Atlantico orientale dove i record sono
dubbi a causa della possibile confusione con A. wollastoni (Bo et al.,
2008). Il genere Antipathella presenta una tipica distribuzione tetiana
essendo presente con una terza specie, A. fiordensis (Grange, 1990),
nelle acque neozelandesi. L. glaberrima occupa fondi rocciosi tra 200
and 600 m ed è spesso segnalata sui banchi a coralli bianchi. P. larix
appartiene a una famiglia che comprende principalmente specie
profonde. Caratterizzata da una colonia con morfologia a cipresso, può
formare ampie praterie prevalentemente su fondi duri infangati al di
sotto dei 100 m.
Da un punto di vista ecologico gli antipatari giocano un ruolo
cruciale negli ambienti in cui costituiscono dense foreste come nel caso
di A. subpinnata sulle coste calabresi (Bo et al., 2009). A causa delle
dimensioni notevoli, talvolta eccedenti i due metri di altezza, e della
morfologia arborescente i coralli neri ospitano una fauna associata
abbondante e diversificata, sessile o vagile, adattata alla vita sia sui
tessuti viventi del corallo (come idrozoi, policladi, echinodermi, pesci)
che sulle sue porzioni scheletriche morte (come spugne, anemoni,
briozoi, ascidie, bivalvi e policheti) (Bo et al., 2011).
Le indagini ROV hanno messo in risalto che i coralli neri
mediterranei sono soggetti a notevoli rischi principalmente dovuti
all’impatto della pesca sia professionale che ricreativa. La pesca a
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strascico ha una influenza diretta principalmente sulle praterie di P.
larix che si insediano sui fondi strascicabili. D’altra parte lo strascico
aumenta la sedimentazione che danneggia indirettamente i coralli neri
insediati sui fondi duri adiacenti. La piccola pesca o la pesca ricreativa,
operata tramite reti e palamiti, danneggia direttamente le colonie che
restano impigliate negli attrezzi. È necessario che le scogliere profonde,
così come i tratti di fondo mobile non soggetti allo strascico siano
tutelati con particolare attenzione al fine di preservare le foreste dei
coralli neri del Mediterraneo (Bo et al., 2012).
BIBLIOGRAFIA
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Zoology 75: 185–195
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Bo M., Bavestrello G., Canese S., Giusti M., Angiolillo M., Cerrano C., Salvati
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Bavestrello G., 2011. A tubulariid hydroid associated with anthozoan
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496
Bo M, Canese S, Spaggiari C, Pusceddu A, Bertolino M, Angiolillo M., Giusti
M., Loreto M.F., Salvati E., Greco S. & Bavestrello G., 2012. Deep
Coral Oases in the South Tyrrhenian Sea. PLoS ONE 7(11): e49870.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
73
–——————————————————————————————————–
I CETACEI DEL MEDITERRANEO: ASPETTI BIOGEOGRAFICI
GIUSEPPE NOTARBARTOLO DI SCIARA*
Tethys Research Institute, Viale G.B. Gadio 2, 20121 Milano
*Email: [email protected]
Malgrado la loro ampia distribuzione e grande capacità di
dispersione, le popolazioni dei cetacei sono spesso strutturate a livello
regionale e talvolta sub-regionale, in risposta alla presenza di barriere
geografiche e a variazioni oceanografiche e climatiche. Esemplare, in tal
senso, è la fauna di cetacei del Mediterraneo.
Delle 11 specie regolari nella regione, 10 (balenottera comune,
Balaenoptera physalus; capodoglio, Physeter macrocephalus; zifio,
Ziphius cavirostris; orca, Orcinus orca; globicefalo, Globicephala
melas; grampo, Grampus griseus; tursìope, Tursiops truncatus; delfino
comune, Delphinus delphis, stenella striata, Stenella coeruleoalba;
steno, Steno bredanensis) derivano da popolazioni atlantiche, che hanno
colonizzato il Mediterraneo in epoca successiva alla crisi di salinità del
Messiniano. Completa il quadro delle specie regolari la focena,
Phocoena p. relicta (sottospecie del Mar Nero), limitata alla porzione
settentrionale del Mare Egeo, che è invece di chiara provenienza
pontica. La presenza regolare dell’orca è limitata alle acque dello Stretto
di Gibilterra, quella del globicefalo al Mediterraneo occidentale, mentre
quella dello steno alla parte orientale del Mar di Levante; le specie
rimanenti sono distribuite in maniera longitudinalmente più uniforme.
Tutte le specie che sono state oggetto di ricerche genetiche
(balenottera comune, capodoglio, zifio, grampo, tursìope, delfino
comune e stenella striata) hanno rivelato differenze tra le popolazioni
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
74
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atlantiche e quelle mediterranee, indicando diversi livelli di isolamento
riproduttivo di queste ultime.
Inoltre, vi sono altre specie atlantiche (megattera, Megaptera
novaeangliae; balenottera minore, B. acutorostrata; pseudorca,
Pseudorca crassidens) che fanno frequente comparsa in Mediterraneo,
seppure non vi siano rappresentate da popolazioni che vi risiedono in
permanenza. Infine, ricordiamo la rara presenza in Mediterraneo di un
piccolo numero di specie erratiche, in prevalenza provenienti
dall’Atlantico (balenottera boreale, B. borealis; balena franca,
Eubalaena glacialis; cogia di Owen, Kogia sima; iperodonte boreale,
Hyperoodon ampullatus; mesoplodonte di Blainville, Mesoplodon
densirostris; mesoplodonte di Gervais, M. europaeus), ma anche dal
Mar Rosso (susa indopacifica, Sousa chinensis) e perfino dall’Oceano
Pacifico (balena grigia, Eschrichtius robustus).
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
75
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MONITORING THE CHANGING MEDITERRANEAN FISH
DIVERSITY: THE PROMISE OF COMMUNITY-BASED ACTIONS
ERNESTO AZZURRO*
ISPRA, National Institute of Environmental Protection and Research,
Sts Livorno, Piazzale dei Marmi 2, 57123 Livorno Italy
* Email: [email protected]
The Mediterranean biodiversity is rapidly changing under the
increasing pressure of climate change and biological invasions. The
opening of the Suez Canal in 1869, allowed the passage of hundreds of
tropical species from the Red Sea (Zenetos et al., 2012), starting a new
episode in the Mediterranean history. Other tropical species arrive by
natural means, expanding their distribution from the Atlantic Ocean
trough the Straits of Gibraltar. These two major biotic fluxes act on very
different time-scales, but both are thought to have enormously
accelerated in the last two decades, resulting in a rapid ‘tropicalization’
(Bianchi, 2007) or even ‘demediterraneization’ (Quignard and
Tomasini, 2000) of the Mediterranean fauna and flora. Changes in
geographic distribution are also evident for a variety of native species
that are now expanding northwards, conquering the coldest sectors of
the basin (CIESM, 2008).
What is the speed of these changes? Are there natural barriers to
the dispersal of tropical biota? What can we predict for the future?
Species occurrence records are a unique source of information
to answer these questions and today this kind of data is being
increasingly used for mapping and predicting biodiversity changes (e.g.
Albouy et al., 2012). Moreover, records of species found out of their
distribution limits, appear almost weekly to the point that new scientific
journals have been created with the sole scope to publish these
occurrences.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
76
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Here we compiled the historical sighting of exotic fish species
in the Mediterranean Sea. A dynamic reconstruction of these records is
given and some important bio-geographical implications are
highlighted. Data were extracted from a total of 457 published sources,
spanning from 1896 to 2013. Presence records were geo-referenced
using ArcGIS 9.3 as Geographical Information System (GIS).
Documentation of biological, ecological, taxonomic information,
introduction pathways and other relevant data for each species was also
considered. This database was here explored to: 1) reconstruct the
chronology of exotic fish occurrences in the Mediterranean Sea and 2)
provide insights on the methods we have used so far to detect these
species.
Results show as the boundaries of the ‘Lessepsian Province’
(Por, 1990) are vanishing, whilst an increasing number of Indo-Pacific
species rapidly progress towards the Western Mediterranean and
towards the Adriatic and northern Aegean Seas. The Sicily strait and the
38th parallel of Aegean are no longer insurmountable barriers to the
dispersion of tropical fishes and the whole Mediterranean is rapidly
loosing its biotic identity, in a sort of ‘crossroad’ between the Atlantic
and the Indo-Pacific worlds.
Our findings also illustrate a striking aspect of the study of
Mediterranean fish invasions, that is the lack of survey methodologies.
We are certainly witnessing changes of geological proportions in our
lifetime, but at the same time we are loosing most of the information,
because of the limited and non-continuous nature of scientific
monitoring. The discovery of exotic fishes is usually an empiric, not
planned episode and appropriate monitoring procedures are lacking for
the Mediterranean region. The reasons why the process is inadequately
and unequally followed are related to the massive efforts that would be
needed to monitor and survey changes in species distribution over large
spatial and temporal scales. To overcome this gap, new methodological
approaches and reliable solutions are urgently needed. Toward this end,
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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community-based actions are expected to have a role for Mediterranean
research (CIESM, 2008) and in the last few years it starts to be tested,
with some encouraging results (e.g. Azzurro et al., 2011). These
emerging participatory approaches are here illustrated, with emphasis on
the recent upsurge of Local Ecological Knowledge and Citizen Science
networks.
REFERENCES
Albouy C., Guilhaumon F., Araújo M.B., Mouillot D. & Leprieur F., 2012.
Combining projected changes in species richness and composition
reveals climate change impacts on coastal Mediterranean fish
assemblages. Global Change Biology 18: 2995-3003
Azzurro E., Moschella P. & Maynou F., 2011.Tracking signals of change in
Mediterranean fish diversity based on Local Ecological Knowledge.
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Bianchi, C.N., 2007. Biodiversity issues for the forthcoming tropical
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CIESM workshop 35, 2008. Climate warming and related changes in
Mediterranean marine biota, Briand F., Ed. 152 pages, Monaco.
Por F.D., 1990. Lessepsian migration. An appraisal and new data. In: Godeaux
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Oceanographique Monaco. Num. Special 7: 1-10.
Quignard J.P. & Tomasini J.A., 2000. Mediterranean fish biodiversity. Biologia
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Zenetos A., Gofas S., Morri C., Rosso A. & Violanti D., 2012. Alien species in
the Mediterranean Sea by 2012. A contribution to the application of
European Union’s Marine Strategy Framework Directive (MSFD). Part
2. Introduction trends and pathways. Mediterranean Marine Science 13
(2): 328-352
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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CHECKLIST OF CAVE-DWELLING PORIFERA
FROM THE LIGURIAN SEA
BARBARA CADEDDU1*, PAOLO MELIS1, ROBERTO PRONZATO2,
RENATA MANCONI1
1
2
Dipartimento di Scienze della Natura e del Territorio, Università di
Sassari, Via Muroni 25, 07100, Sassari, *[email protected]
Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita, Università di
Genova, Corso Europa 26, 16132 Genova, Italy
The checklist of the cave-dwelling sponge fauna from the
Ligurian Sea is reported from literature (Cadeddu, 2012; Manconi et al.,
2013). Sponges are recorded from 12 caves: 1. Punta Falconara caves
(44°01'32''N 8°13'33''E); 2. Punta Sciusciaù caves (44°01'32''N
8°13'33''E); 3. Bergeggi Cave (44°14'38''N 8°26'37''E); 4. San Fruttuoso
Cave (44°18'58''N 9°10'32''E); 5. Punta Carega Cave (44°19'02''N
9°10'38''E); 6. Paraggi Cave (44°18'43''N 9°12'36''E); 7. W-Zoagli Cave
(44°20'N 9°16'E); 8. Galleria Zoagli-Chiavari Cave (44°19'N 9°17'E); 9.
Piccola Zoagli-Chiavari Cave (44°19'N 9°17'E); 10. Corridoio Punta
Manara (44°15'N 9°24'E); 11. Punta Manara Cave (44°15'N 9°24'E); 12.
W-Bonassola Cave (44°11'N 9°35'E); 13. Tinetto Cave (44°01'24''N
9°51'03''E); 14. Lerici Cave (44°04'33''N 9°55'00''E). Taxonomic
richness of cave-dwelling Porifera resulted in a total value of 60 species,
belonging to 42 genera, 31 families, 15 orders, and 3 classes. The
chorological categories are dominated by Cosmopolitan (C, n=23; 38%)
and Atlanto-Mediterranean (AM, n=22; 37%) species, whereas lower
values refer to Mediterranean endemics (E, n=12; 20%), Amphiatlantic
(AA, n=2; 3%), and Indo-Mediterranean (IM, n=1; 2%) species.
The following species were recorded:
Clathrina clathrus (Schmidt, 1864) (E; 3, 10; Sarà, 1964; Bianchi et al.,
1986; Bianchi & Morri, 1994); C. coriacea (Montagu, 1818) (C; 7, 8, 9,
10, 11; Sarà, 1964); C. rubra Sarà, 1958 (AM; 8; Sarà, 1964); Leucetta
solida (Schmidt, 1862) (IM; 8; Sarà, 1964); Sycon elegans (Bowerbank,
1845) (C; 8; Sarà, 1964); S. raphanus Schmidt, 1862 (C; 5, 8; Sarà,
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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1964); Leucandra aspera (Schmidt, 1862) (C; 8; Sarà, 1964);
Petrobiona massiliana Vacelet & Lévi, 1958 (E; 3; Bianchi et al., 1986;
Bianchi & Morri, 1994); Oscarella lobularis (Schmidt, 1862) (AA; 13;
Balduzzi et al., 1994; Cocito et al., 2002); Plakortis simplex Schulze,
1880 (C; 12; Sarà, 1964); Stelletta grubii Schmidt, 1862 (AA; 5; Sarà,
1964); Penares euastrum (Schmidt, 1868) (AM; 13; Cocito et al., 2002);
P. helleri (Schmidt, 1864) (AM; 13; Cocito et al., 2002); Erylus
discophorus (Schmidt, 1862) (AM; 3; 11; 12; Sarà, 1964; Bianchi et al.,
1986); Delectona madreporica Bavestrello et al., 1997 (E; 6;
Bavestrello et al., 1997); Cliona celata Grant, 1826 (C; 8; Sarà, 1964);
C. viridis (Schmidt, 1862) (C; 3, 8; Sarà, 1964; Bianchi et al., 1986);
Diplastrella bistellata (Schmidt, 1862) (AM; 3; Bianchi et al., 1986);
Spirastrella cunctatrix Schmidt, 1868 (AM; 3; Bianchi et al., 1986);
Aaptos aaptos (Schmidt, 1864) (C; 3, 5; Sarà, 1964; Bianchi et al.,
1986; Bianchi & Morri, 1994); Suberites carnosus (Johnston, 1842) (C;
9, 12; Sarà, 1964); Terpios fugax Duchassaing & Michelotti, 1864 (C; 9;
Sarà, 1964); Chondrosia reniformis Nardo, 1847 (C; 1, 2, 3, 7, 9, 11, 13;
Sarà, 1964; Bianchi et al., 1986; Balduzzi et al., 1994; Bianchi & Morri,
1994; Cocito et al., 2002); Chondrilla nucula Schmidt, 1862 (C; 6;
Arillo et al., 1993); Clathria (Clathria) toxivaria (Sarà, 1959) (E; 8;
Sarà, 1964); Clathria (Microciona) toxitenuis Topsent, 1925 (AM; 11;
Sarà, 1964); Antho (Antho) involvens (Schmidt, 1864) (C; 11; Sarà,
1964); Rhabderemia topsenti van Soest & Hooper, 1993 (AM; 12; Sarà,
1964); Crambe crambe (Schmidt, 1862) (AM; 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12;
Sarà, 1964); Hemimycale columella (Bowerbank, 1874) (AM; 8; Sarà,
1964); Hymedesmia (Hymedesmia) castanea Sarà, 1964 (E; 11; Sarà,
1964); H. paupertas (Bowerbank, 1866) (AM; 8, 9; Sarà, 1964);
Phorbas fictitius (Bowerbank, 1866) (AM; 11, 12; Sarà, 1964); P.
tenacior (Topsent, 1925) (AM; 1, 2, 3, 11; Sarà, 1964; Balduzzi et al.,
1994; Bianchi & Morri, 1994); Mycale (Aegogropila) tunicata
(Schmidt, 1862) (AM; 12; Sarà, 1964); Axinella cannabina (Esper,
1794) (E; 3; Bianchi & Morri, 1994); A. damicornis (Esper, 1794) (AM;
13; Cocito et al., 2002); A. verrucosa (Esper, 1794) (AM; 3, 4; Pansini,
1984 Bianchi & Morri, 1994); Acanthella acuta Schmidt, 1862 (AM; 3;
Bianchi & Morri, 1994); Agelas oroides (Schmidt, 1864) (E; 3; Bianchi
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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& Morri, 1994); Haliclona (Haliclona) varia (Sarà, 1958) (E; 11, 12;
Sarà, 1964); Haliclona (Reniera) cinerea (Grant, 1826) (C; 7, 8, 12;
Sarà, 1964); Haliclona (Soestella) mucosa (Griessinger, 1971) (AM; 4;
Pulitzer-Finali, 1983); Petrosia (Petrosia) ficiformis (Poiret, 1789)
(AM; 1, 2, 3, 6, 13; Bianchi et al., 1986; Arillo et al., 1993; Balduzzi et
al., 1994; Bianchi & Morri, 1994; Cocito et al., 2002); Aplysilla rosea
(Barrois, 1876) (C; 7, 13, 14; Sarà, 1964; Pulitzer-Finali & Pronzato,
1980); Dysidea avara (Schmidt, 1862) (C; 3; Bianchi & Morri, 1994);
D. fragilis (Montagu, 1818) (C; 7, 8, 9, 12; Sarà, 1964); D. incrustans
(Schmidt, 1862) (AM; 14; Pulitzer-Finali & Pronzato, 1980); Ircinia
oros (Schmidt, 1864) (E; 7; Sarà, 1964); I. variabilis (Schmidt, 1862)
(C; 11; 12; 13; Sarà, 1964; Cocito et al., 2002); Sarcotragus fasciculatus
(Pallas, 1766) (AM; 8, 11; Sarà, 1964); S. spinosulus Schmidt, 1862 (C;
13; Cocito et al., 2002); Spongia lamella (Schulze, 1879) (E; 3; Bianchi
& Morri, 1994); S. officinalis Linnaeus, 1759 (C; 3, 5, 8, 12; Sarà, 1964;
Bianchi et al., 1986); S. virgultosa (Schmidt, 1868) (AM; 5, 9, 11, 12;
Sarà, 1964); Cacospongia scalaris Schmidt, 1862 (E; 9, 12; Sarà, 1964);
Hyrtios collectrix (Schulze, 1880) (AM; 12; Sarà, 1964); Halisarca
dujardini Johnston, 1842 (C; 7; Bianchi et al., 1986); Aplysina
cavernicola (Vacelet, 1959) (AM; 3; Bianchi & Morri, 1994).
Chorological categories (letters), recorded caves (numbers) and
references (records) are reported in brackets for each species. For cited
records see Cadeddu (2012) and Manconi et al. (2013) and references
therein. The status of taxa was checked from Van Soest et al. (2013).
REFERENCES
Cadeddu B., 2012. Biodiversity assessment in Mediterranean caves: the case of
Porifera as model taxon. PhD Thesis, University of Sassari, Italy.
Manconi R., Cadeddu B., Ledda F.D. & Pronzato R., 2013. An overview of the
Mediterranean cave-dwelling horny sponges (Porifera, Demospongiae).
Zookeys 281: 1-68.
Van Soest R.W.M., Boury-Esnault N., Hooper J.N.A., Rützler K., de Voogd N.J.,
Alvarez de Glasby B., Hajdu E., Pisera A.B., Manconi R., Schoenberg C.,
Janussen D., Tabachnick K.R., Klautau M., Picton B., Kelly M., Vacelet J.,
Dohrmann M. & Díaz M.C., 2013. World Porifera Database. Available
online at http://www.marinespecies.org/porifera.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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THE CHANGING BIOGEOGRAPHY OF THE MEDITERRANEAN
SEA: FROM THE OLD FRONTIERS TO THE NEW GRADIENTS
CARLO NIKE BIANCHI1,*, CHARLES F. BOUDOURESQUE2, PATRICE
FRANCOUR3, CARLA MORRI1, VALERIANO PARRAVICINI4, JOSÉ
TEMPLADO5, ARGYRO ZENETOS6
1
DiSTAV (Department of Earth, Environmental and Life Sciences), University
of Genoa, Corso Europa 26, 16132 Genoa, Italy
2
Mediterranean Institute of Oceanography (MIO), Aix-Marseille University,
Campus Universitaire de Luminy, case 901, 13288 Marseille cedex 9, France
3
University of Nice-Sophia Antipolis, EA 4228 ECOMERS, Parc Valrose,
06108 Nice cedex 2, France
4
IRD-UR 227 Coreus, Laboratoire Arago, BP 44, 66651 Banyuls sur Mer,
France
5
Museo Nacional de Ciencias Naturales, Scientific Spanish Council (MNCNCSIC), Calle José Gutiérrez Abascal 2, 28006 Madrid, Spain
6
Hellenic Centre for Marine Research, PO Box 712, 19013 Anavyssos, Greece
* Corresponding author. Email: [email protected]
While the Mediterranean Sea as a whole is considered as a single
distinctive province of the Atlantic-Mediterranean warm-temperate
region, its high compartmentalization into fairly isolated sub-basins
implies the existence of a number of distinct biogeographic sectors
within the Mediterranean Sea (Lejeusne et al., 2010). A major inner
frontier is said to be the Straits of Sicily, which was acting as a filter
bridge between the western and eastern basins during the immigration
waves from the Atlantic since the Pliocene (Bianchi et al., 2012).
However, ongoing rapid environmental change, driven by both
climate and human influx, is apparently challenging this long
established view (Coll et al., 2010). Present seawater warming is
favouring the spread of tropical species entering through the man-made
Suez Canal and the natural portal of the Straits of Gibraltar, or
introduced intentionally or accidentally by human activities. To date,
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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marine alien species established in the Mediterranean Sea approach
1000, i.e. nearly one tenth of the native biota (Zenetos et al., 2012).
Northward moving of surface isotherms, due to climate warming
and to the associate change in water circulation, is allowing warm-water
species, either exotic or native, to cross the Straits of Sicily and to
penetrate in sub-basins where they were formerly absent (Francour et
al., 2010). Thus, the wall between West and East has apparently been
torn off: species coming from the tropical Atlantic through Gibraltar
have reached the Levant Sea while Red Sea species have reached the
Western Mediterranean (Gambi et al., 2008).
The spread of tropical organisms together with sea water warming
are leading to what has been called the ‘tropicalization’ of the
Mediterranean Sea (Bianchi, 2007). Tropicalization has been said to
affect especially the southern sectors of the Mediterranean, which result
more and more occupied by tropical exotic species. Contemporaneously,
the northward spread of southerners, i.e., Mediterranean indigenous
species with (sub)tropical affinities which were confined in the southern
parts of the basin until recently, should cause the ‘meridionalization’ of
the northern sectors, where the temperature conditions are not yet
favourable for the tropical invaders.
The Ligurian Sea, located in the NW of the basin, is one of the
coldest sectors of the Mediterranean. There, sea water warming has been
causing mortality of native species with cold-temperate (boreal) affinity
and establishment of warm-water newcomers, either southerners or
aliens.
Based on the analysis of historical data series, temperature rise
and warm-water species richness showed correlated between 1950 and
2010. However, notwithstanding a general positive trend, the number of
southerner species did not increase consistently – rather, it apparently
oscillated over decadal time-scales. On the contrary, the number of
tropical aliens has been growing continuously with time; they are
showing eurythermal enough to settle and survive in the Ligurian Sea,
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
83
–——————————————————————————————————–
flanking or even replacing the natives (Fig. 1).
These results contradict the above-mentioned scheme that
opposes a ‘tropicalized’ southern Mediterranean to a ‘meridionalized’
northern Mediterranean. The northern Mediterranean is getting more
and more tropical too, although pace and intensity of ‘tropicalization’
are lower than in the southern Mediterranean.
Figure 1. Historical trend of occurrence of tropical alien (black) and native
southerner (light grey) warm-water species in the Ligurian Sea. Data come
from surveys on the sessile epibenthos of subtidal rocky reefs.
Should the present sea-water warming continue in the future, the
Mediterranean would undergo a generalised process of biotic
homogenisation, and the well established differentiation among its
distinctive sub-basins would probably fade away. The traditional idea of
a major biogeographic frontier between western and eastern
Mediterranean at the Straits of Sicily should be abandoned in favour of a
series of smooth gradients in a south-north direction, with alien species
assuming an even greater role in the future biogeography and ecology of
the Mediterranean Sea.
ACKNOWLEDGEMENTS
Work partly done in the frame of the project ‘The impacts of biological
invasions climate change on the biodiversity of the Mediterranean Sea’ funded
by the Italian Ministry of the Environment.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
84
–——————————————————————————————————–
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Zenetos A., Gofas S., Morri C., Rosso A., Violanti D., García Raso J.E., Çinar
M.E., Almogi-Labin A., Ates A.S., Azzurro E., Ballesteros E., Bianchi
C.N., Bilecenoglu M., Gambi M.C., Giangrande A., Gravili C., HyamsKaphzan O., Karachle P.K., Katsanevakis S., Lipej L., Mastrototaro F.,
Mineur F., Pancucci-Papadopoulou M.A., Ramos-Esplá A., Salas C.,
San Martín G., Sfriso A., Streftaris N. & Verlaque M., 2012. Alien
species in the Mediterranean Sea by 2010. A contribution to the
application of European Union’s Marine Strategy Framework Directive
(MSFD). Part 2. Introduction trends and pathways. Mediterranean
Marine Science 13 (2): 328-352.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
85
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DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DELLE PRINCIPALI SPECIE DI
SPUGNE PRESENTI NEL CORALLIGENO DEL MAR
MEDITERRANEO
MARCO BERTOLINO*, MAURIZIO PANSINI, GIORGIO BAVESTRELLO
Università degli Studi di Genova - Dipartimento di Scienze della Terra,
dell’Ambiente e della Vita (DISTAV), Corso Europa 26, 16132 –
Genova
*Corresponding author. Email: [email protected]
Le concrezioni coralligene sono caratteristiche dell’intero
bacino mediterraneo ad eccezione delle coste del Libano e di Israele. Il
coralligeno, insieme alle praterie di Posidonia oceanica, rappresenta la
maggior fonte di biodiversità di questo mare.
I Poriferi costituiscono il phylum più diversificato della
biocenosi coralligena con 287 specie note (Bertolino et al., in stampa).
Pur non partecipando come costruttori primari alla formazione dei
conglomerati calcarei, essi svolgono un ruolo importante nella
comunità: da un lato agiscono come organismi compattanti la struttura
carbonatica, dall’altro operano come biodemolitori (spugne perforanti)
con un’azione erosiva sul substrato calcareo, contribuendo, inoltre, al
benthic-pelagic coupling.
Analizzando la bibliografia esistente sul coralligeno (Melone,
1965; Sarà 1968, 1969; Pansini & Pronzato, 1973; Templado et al.,
1986; Corriero et al., 1988, 1997; Maldonado, 1992; Bavestrello et al.,
1996; Kefalas et al., 2003; Ballesteros, 2006; Calcinai et al., 2007a,
2007b; Bertolino et al., 2008; Bertolino et al., in stampa) abbiamo
selezionato 21 specie di spugne (Oscarella lobularis, Penares helleri,
Penares euastrum, Geodia cydonium, Dercitus plicatus, Cliona janitrix,
Cliona viridis, Aaptos aaptos, Suberites carnosus, Chondrosia
reniformis, Phorbas tenacior, Axinella damicornis, Axinella polypoides,
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
86
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Axinella verrucosa, Acanthella acuta, Agelas oroides, Petrosia
ficiformis, Ircinia oros, Sarcotragus spinosulus, Spongia officinalis,
Spongia virgultosa) che si possono considerare come le più comuni tra
le 287 specie presenti nel coralligeno del Mar Mediterraneo.
Seguendo la ripartizione in province ed ecoregioni marine
proposta da Spalding et al. (2007), si può notare come tutte le specie di
Poriferi prese in considerazione abbiano una distribuzione atlanticomediterranea e siano presenti, ad eccezione di Cliona janitrix, nella
provincia lusitanica. Mentre solo quattro specie (Penares helleri,
Phorbas tenacior, Ircinia oros e Spongia virgultosa) non vanno al di là
di questa provincia. Altre estendono il loro areale o verso sud lungo le
coste africane, o verso i mari nord europei o in entrambe le direzioni.
Una sola specie (Suberites carnosus) ha un areale che si estende
dall’Artico al Golfo di Guinea, quindi su un ampio range di temperatura.
Cliona janitrix è l’unica specie che, apparentemente, presenta una
distribuzione disgiunta, in quanto, al di fuori del bacino del Mar
Mediterraneo, vive solo nell’area caraibica. Anche Oscarella lobularis è
presente nell’area caraibica, ma i record di questa specie vanno valutati
criticamente, soprattutto dopo la descrizione di nuove specie di questo
stesso genere in Mediterraneo.
La distribuzione geografica delle specie di Poriferi prese in
considerazione mette in evidenza come buona parte delle specie prese in
esame sia legata ad acque temperate, anche se alcune mostrano una
notevole adattabilità alle variazioni di temperatura. Questo risultato è in
accordo con la notevole stabilità, nell’arco di migliaia di anni, che è
stata messa in evidenza nelle comunità di poriferi delle concrezioni
carbonatiche mediterranee (Bertolino et al., 2013). Il pool di specie
temperato fredde (Oscarella lobularis, Geodia cydonium, Aaptos
aaptos, Suberites carnosus, Axinella damicornis e Petrosia ficiformis)
che è stato individuato potrebbe rappresentare, se adeguatamente
monitorato, un buon indicatore per controllare gli effetti del
cambiamento climatico in atto in Mediterraneo.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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PETROBIONA MASSILIANA (PORIFERA, CALCAREA):
DISTRIBUZIONE E ANALISI MORFOMETRICA DI ALCUNE
POPOLAZIONI DEL MAR MEDITERRANEO
PAOLO MELIS*¹, BARBARA CADEDDU¹, FABIO D. LEDDA,
SANDRA RICCI², RENATA MANCONI¹
*¹Dipartimento di Scienze della Natura e del Territorio, Università di Sassari,
Via Muroni 25, 07100 Sassari, Italia, [email protected]
²Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro,
Via di San Michele 23, 00153 Roma, Italia
Petrobiona massiliana Vacelet & Lévi, 1959 (Lithonida) è un
paleoendemita del Mar Mediterraneo con distribuzione limitata ad
habitat criptici semi-oscuri o oscuri. Lo status di endemita riguarda non
solo la specie ma anche il genere Petrobiona Vacelet & Lévi, 1958 e la
famiglia Petrobionidae Borojevic, 1979, entrambi monotipici.
In questo lavoro viene riportato un nuovo ritrovamento dalla
Grotta Azzurra di Capri nel Mar Tirreno centrale. L’areale di P.
massiliana comprende parte del bacino orientale del Mar Mediterraneo
(Mar Adriatico, Mar Ionio, Canale di Sicilia, Mar Egeo, Rodi) e parte
del bacino occidentale (Golfo del Leone, Mar Ligure, Mar di Sardegna,
Mar di Corsica, Mar Tirreno).
L’analisi morfometrica è stata condotta su 325 spicole della
popolazione della Grotta Azzurra di Capri (Tab. 1) in comparazione con
popolazioni delle grotte di Provenza (località tipo), Sardegna e Penisola
Sorrentina (Vacelet & Lévi, 1958; Rützler, 1966; Vacelet, 1964;
Manconi et al., 2009).
Nonostante la distribuzione disgiunta delle popolazioni
considerate, l’analisi sulla morfometria spicolare non ha evidenziato
divergenze nei caratteri diagnostici. Nella popolazione di Capri come in
altre popolazioni in fase di studio si riscontra tuttavia la presenza di un
tipo spicolare peculiare (macrodiactina) riportata soltanto da Vacelet
(1964) per alcune popolazioni cavernicole di Marsiglia e considerata
finora rara o assente in altre popolazioni.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
88
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BIBLIOGRAFIA
Manconi R., Ledda F.D., Serusi A., Corso G. & Stocchino G.A., 2009. Sponges
of marine caves: Notes on the status of the Mediterranean palaeoendemic
Petrobiona massiliana (Porifera: Calcarea: Lithonida) with new records
from Sardinia. Italian Journal of Zoology 76 (3): 306-315.
Rützler K., 1966. Die Poriferen Einer Sorrentiner Hahle Ergebnisse Der
stereichischen Tyrrhenia-Expedition. Teil XVIII. Zoologischer Anzeiger
176: 303-319.
Vacelet J. & Lévi C., 1958. Un cas de survivance, en Méditerranée, du groupe
d’éponges fossiles des Pharétronides. Compte Rendu Hebdomadaire des
Séances de l’Académie des Sciences 246 (2): 318-320.
Vacelet J., 1964. Etude monographique de l’éponge calcaire pharétronide de
Méditerranée, Petrobiona massiliana Vacelet et Lévi: les Pharétronides
actuelles et fossiles. Tesi di dottorato.
Località/
Grotta
Diapason
(µm)
70-100
Marsiglia
Olotipo
Triactine
(µm)
50-200
x
20-40
Marsiglia/
Varie località
25-200
x
6-40
Penisola
Sorrentina/
GrottaTuffoTuffo
Sardegna
Punta Giglio/
Grotta
Terrazze
Sardegna
Punta Giglio/
Grotta
Galatea
Sardegna
Punta Giglio/
Grotta
Fantasmi
Sardegna
Capo Caccia/
Grotta Nereo
Capri/
Grotta Azzurra
45-300
x
15-48
45-170
x
10-25
55-175
x
10-25
50-200
x
10-30
35-200
x
5-30
42,7-183
x
7-31,5
Tetractine
(µm)
300 ax x 80 lat
x
8-27 thick
Microdiactine
(µm)
30-40
x
2
Macrodiactine
(µm)
30-70 x
5-8.5 bas
20-50 x
4-7 lat
70-130
x
6-8 total
40-130 x 2228 lat
8-100 x 10-28
ax
130-150 ax
x 80-135 lat
x7,5-18 thick
30-60
x
2-3
270-480
x
11-20
Vacelet 1964
30-65
x
2-4
assenti
Rützler 1966
35-60 x
3-8 bas
23-48 x
3-5 lat
45-63 x
5-8 bas
20-55 x
4-5 lat
35-63 x
3-8 bas
20-55 x
3-8 lat
40-73 x
5-10 bas
20-50 x
4-8 lat
22-76 x
5-8 bas
100-165 ax
x 60-105 lat
x 5-10 thick
25-40
x
3
assenti
Manconi
et al. 2009
80-155 ax x
50-95 lat
x 5-19 thick
25-38
x
2-3
assenti
Manconi
et al. 2009
70-190 ax x
45-100 lat
x 5-15 thick
28-55
x
2-4
assenti
Manconi
et al. 2009
50-180 ax
x 35-170 lat
x 4-20 thick
18-43
x
3
assenti
Manconi
et al. 2009
3,5-11 thick
92,5-124
x
5,5-6,5
Presente lavoro
30-75 x
2-8 lat
38,5-83
x
2,5-6
68,5-192 ax
x 30-75 lat
assenti
Vacelet &
Levi 1958
Tabella 1. Petrobiona massiliana. Principali tratti spicolari della popolazione di
Capri e di altre popolazioni cavernicole del Mediterraneo.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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GLI ANTOZOI (CNIDARIA: ANTHOZOA)
DELL’AMP “ISOLA DI BERGEGGI” (SV)
FEDERICO BETTI1,2, GIORGIO BAVESTRELLO2, RICCARDO CATTANEOVIETTI3, SIMONE BAVA1*,
1
Comune di Bergeggi Sett. AMP Isola di Bergeggi, V. De Mari 28 D,
17028, Bergeggi (SV) - 2 Distav, Università degli Studi di Genova, Corso
Europa, 26, 16132, Genova - 3 Disva, Università Polit. delle Marche, Via
Brecce Bianche, 60131, Ancona
*Corresponding author. Email: [email protected]
Nell’AMP “Isola di Bergeggi”, nel SIC “Fondali NoliBergeggi” e negli ambienti limitrofi sono state censite 47 specie di
antozoi (Cnidaria: Anthozoa) (tab.1), 4 delle quali (il ceriantario
Pachycerianthus solitarius, e gli attiniari Andresia parthenopea,
Halcampoides purpureus e Peachia cylindrica) nuove per il Mar Ligure.
I dati sono stati ottenuti tramite immersioni con ARA condotte nella
zona compresa tra l’estremità meridionale del porto di Vado Ligure e
Capo Noli, con indagini ROV ad opera di ISPRA e del Centro
Carabinieri Subacquei di Genova, ed indirettamente, attraverso ricerche
bibliografiche e d’archivio, integrate dall’apporto fornito da interviste
ad enti di ricerca, subacquei ricreativi e centri d’immersione. La
ricchezza della zona è dovuta, in particolar modo, alla coesistenza di
diversi habitat (in particolare fondi detritici estremamente floridi ed
affioramenti rocciosi profondi) ed alla presenza di fondali molto ripidi,
che favoriscono la risalita di acque profonde. La segnalazione di
Dendrophyllia cornigera ad 82 metri di profondità rappresenta il record
più superficiale di questa specie per l’intero Mediterraneo. Rilevante è
anche la popolazione di Corallium rubrum lungo la cigliata de “I
Maledetti”, al di sotto dei 60 m di profondità, seconda, per importanza,
in Liguria. Sul relitto del piroscafo Transylvania a 630 m di profondità è
stata rinvenuta una popolazione vivente di Madrepora oculata (Ordine
Scleractinia). Oculina patagonica, da taluni autori considerata endemica
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
90
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del Mediterraneo, e da altri aliena, è presente in zona con pochi
esemplari. Ben 17 di queste specie, considerando anche la “dubbia”
Oculina patagonica, sono endemiche del Mediterraneo o si trovano al di
fuori di esso solo nei pressi di Gibilterra, mentre 26 sono ad affinità
boreale, trovandosi anche in mari più settentrionali o in acque fredde
profonde, e solo 4 risultano essere ad affinità calda. Ciò rende la fauna
ad antozoi della zona particolarmente sensibile al riscaldamento delle
acque superficiali del Mediterraneo; a dimostrazione di ciò, 5 delle 6
specie di gorgonacei (Cnidaria: Holaxonia) censite, con l’eccezione del
corallo rosso Corallium rubrum, hanno subito, negli ultimi anni, morie
dovute ad anomalie termiche, e tutte e 3 le madrepore (Cnidaria:
Scleractinia) associate ad alghe simbionti presenti (Cladocora
caespitosa, Oculina patagonica e Balanophyllia europaea) hanno
mostrato fenomeni di bleaching. L’apparente scomparsa delle 2 specie
di pennatule (Cnidaria: Pennatulacea) precedentemente osservate,
Pteroeides spinosum e Virgularia mirabilis, unita alla rarefazione di
altre specie di fondo mobile, potrebbe essere causata dai danni generati
dalla pesca professionale, oltre che dai ripascimenti stagionali e dalla
presenza, a partire dal 2000, dell’alga invasiva Caulerpa racemosa.
Alcyonacea
Cornularia cornucopiae
Clavularia crassa
Alcyonium acaule
Alcyonium coralloides
Paramuricea clavata
Corallium rubrum
Leptogorgia sarmentosa
*Eunicella verrucosa
Eunicella cavolini
Eunicella singularis
Pennatulacea
Pteroeides spinosum
*Virgularia mirabilis
Antipatharia
*Antipathella subpinnata
Ceriantharia
*Cerianthus membranaceus
*Pachycerianthus solitarius
Ceriantharia
Arachnanthus oligopodus
Zoanthidea
*Parazoanthus axinellae
Epizoanthus arenaceus
Actiniaria
*Savalia savaglia
*Anemonia viridis
Scleractinia
Actinia cari
°Madracis pharensis
*Actinia equina
Cladocora caespitosa
*Aiptasia mutabilis
*Leptpsammia pruvoti
°Aiptasia diaphana
*Caryophyllia inornata
*Cereus pedunculatus
Balanophyllia europaea
*Halcampoides purpureus Oculina patagonica
*Aulactinia verrucosa
°Phyllangia mouchezi
*Alicia mirabilis
°Polycyathus muellerae
*Andresia parthenopea
*Balanophyllia regia
Cribrinopisis crassa
*Desmophyllum dianthus
*Telmatactis forskalii
*Madrepora oculata
*Calliactis parasitica
*Dendrophyllia cornigera
*Adamsia palliata
Corallimorpharia
*Peachia cylindrica
*Corynactis viridis
Tabella 1. Le 47 specie rinvenute; * indica specie ad affinità fredda, ° specie ad
affinità calda, le rimanenti sono endemiche del Mediterraneo.
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
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INDICE DEGLI AUTORI
Aleffi M. - 21
Allegrucci G. - 36, 38
Assini S. - 10
Attorre F. - 6
Azzurro E. - 75
Baini F. - 30
Barberis G. - 18
Baroni D. - 25, 27
Baumel A. - 64
Bava S. - 89
Bavestrello G. - 70, 85, 89
Bertolino M. - 85
Betti F. - 89
Bianchi C.N. - 81
Bianco P.G. - 41
Bo M. - 70
Bonato L. - 30
Borgo E. - 48
Boudouresque C.F. - 81
Cadeddu B. - 44, 46, 78, 87
Capurro M. - 61
Casazza G. - 10, 18
Cattaneo Vietti R. - 89
Cesaroni D. - 38
Cocchi S. - 36
Danovaro R. - 68
De Felici S. - 6
Diadema K. - 64
Di Russo C. - 36
Doria G. - 48
Faccini F. - 15
Focher F. - 54
Fontaneto D. - 24
Fortunato C. - 6
Francour P. - 81
Galli L. - 61
Gratton P. - 38
Grieco C. - 25
Jacomini C. - 2
Ledda F.D. - 87
Leriche A. - 64
Lodovici O. - 34
Manconi R. - 44, 46, 78, 87
Mariotti M. - 10, 18, 21
Marta S. - 38
Martellos S. - 6
Médail F. - 64
Melis P. - 78, 87
Migliore J. - 64
Minelli S. - 30
Minuto L. - 10, 18
Morri C. - 81
Noble V. - 64
Notarbartolo di Sciara G. - 73
Oneto F. - 25
Ottonello D. - 25
Pala M. - 46
Pansini M. - 85
Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 75, 2013
92
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Parravicini V. - 81
Poggi R. - 58
Poponessi S. - 21
Pouget M. - 64
Pronzato R. - 44, 78
Rampini M. - 36
Riccarducci G. – 38
Ricci S. - 87
Sarà A. - 61
Savoldelli P. - 27
Sbordoni V. - 6, 36, 38, 48, 51
Sindaco R. - 25, 27
Soto E. - 41
Stocchino G. - 46
Templado J. - 81
Trasatti A. - 38
Trucchi E. - 38
Valle M. - 34
Venanzoni R. - 10, 21
Whittaker R. - 14
Zappa E. - 18
Zapparoli M. - 30
Zenetos A. - 81