Rete di imprese e subordinazione - Dipartimento di diritto privato e

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Rete di imprese e subordinazione - Dipartimento di diritto privato e
Ilario Alvino
RETE DI IMPRESE E SUBORDINAZIONE
SOMMARIO: 1. Di cosa parliamo quando parliamo di “rete di imprese”. – 2. Coordinamento
dell’attività delle imprese della rete e riflessi sulla relazione di subordinazione. – 3. Contratto
di rete e assunzione congiunta del lavoratore.
1.
Di cosa parliamo quando parliamo di “rete di imprese”.
La locuzione “rete di imprese” non identifica una fattispecie giuridica astratta
destinataria di una specifica regolamentazione normativa.
Ciò nonostante tale formula ha avuto negli ultimi anni un discreto successo
presso gli studiosi di materie giuridiche, non solo italiani (1), per la sua capacità di
“nominare” un fenomeno che pone in crisi il tradizionale modo di interpretare
alcune regole e principi del nostro diritto civile, come ad esempio la nozione di
impresa o il principio di relatività degli effetti del contratto.
Non identificando la locuzione “rete di imprese” una fattispecie i cui contorni
siano tratteggiati dall’ordinamento, il modo in cui la stessa può essere utilizzata è
allora necessariamente frutto di una convenzione fra gli studiosi e comunque può
essere utilizzata da ciascuno in maniera diversa a seconda degli ambiti che la
singola indagine si propone di approfondire.
Poste tali premesse, nel prosieguo si utilizzerà tale formula per identificare un
fenomeno fatto oggetto di particolare attenzione in Italia negli ultimi anni da una
parte della dottrina civilistica (2) e che il nostro legislatore ha assunto come punto
di riferimento per l’introduzione di una nuova tipologia contrattuale: il contratto
di rete (3).
(1) Il riferimento è soprattutto ai fondamentali lavori di G. Teubner tra i quali si ricordano: G.
Teubner, Unitas multiplex. La nuova decentralizzazione dei gruppi d’imprese, in Impresa e Stato,
1990, 18; Id., Piercing the Contractual Veil: The Social Responsibility of Contractual Networks, in
Wilhelmson T. (ed.), Perspectives of Critical Contract Law, Dartmouth, 1993, 211; Id.,
Coincidentia oppositorum: Hybrid Networks Beyond Contract and Organization, "Storrs Lectures
2003/04" Yale Law School, in R. Gordon - M. Horwitz (eds.), Festschrift in Honour of Lawrence
Friedman, Stanford University Press, 2006.
(2) Il riferimento è principalmente alle ricerche sul tema delle reti di imprese curate negli
ultimi anni da F. Cafaggi. Si vedano in particolare: F. Cafaggi - P. Iamiceli (a cura di), Reti di
imprese tra crescita e innovazione organizzativa. Riflessioni da una ricerca sul campo, Il Mulino,
2007; F. Cafaggi (a cura di), Reti di imprese tra regolazione e norme sociali. Nuove sfide per
diritto ed economia, Il Mulino, 2004; F. Cafaggi F. - P. Iamiceli (a cura di), Politiche industriali e
collaborazione tra imprese nel contesto toscano, Il Mulino, Bologna, 2012. Per approfondimenti
sulle caratteristiche di tale fenomeno v. però anche: C. Crea, Reti contrattuali e organizzazione
dell’attività di impresa, ESI, 2008.
(3) Il contratto di rete è stato introdotto con i commi da 4-ter a 4-quinquies dell’art. 3, d.l. 10
febbraio 2009, n. 5, convertito in legge dall’art. 1, primo comma, l. 9 aprile 2009, n. 33. La
1
La dottrina citata definisce la rete di imprese come il «complesso di relazioni
giuridiche tendenzialmente stabili tra imprese, volte al regolarne la collaborazione
o la compartecipazione a un progetto di interesse comune, fondato sullo
sfruttamento congiunto di risorse complementari e sul governo di una
interdipendenza tra le imprese partecipanti, che non annulla l’autonomia giuridica
ed economica delle stesse, né le assoggetta a una direzione unitaria» (4).
Il concetto di “rete di imprese” identifica così quella trama di relazioni
negoziali tendenzialmente stabili tra più imprese, formalmente e giuridicamente
distinte, eventualmente anche concorrenti, tra le cui attività esista o si generi
un’interdipendenza. La “rete” costituisce lo strumento di governo di tale
interdipendenza ed assolve a funzioni di coordinamento dell’attività delle imprese
che vi sono coinvolte (5).
La rete evoca allora un’idea di impresa che non coincide con i confini della
fabbrica (6), ma che si caratterizza piuttosto per la collaborazione stabile fra
strutture produttive giuridicamente distinte ed economicamente indipendenti (7).
Le modalità tramite le quali tale coordinamento viene realizzato possono
essere diverse. Dalle forme più blande di cooperazione che si concretizzano, per
esempio, nel mero scambio di informazioni, si può arrivare a quelle più intense
che si sostanziano nella condivisione di determinati obiettivi economici e/o delle
risorse necessarie a perseguirli e/o delle strutture organizzative eventualmente per
ciò appositamente costituite (8).
disciplina ivi contenuta è stata successivamente modificata dalla l. 23 luglio 2009, n. 99, dal d.l. 31
maggio 2010, n. 78 e, da ultimo, dall’art. 45, comma 1, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con
modifiche in l. 7 agosto 2012, n. 134. C’è in realtà chi ha posto in dubbio che il contratto di rete
costituisca un vero tipo negoziale ipotizzando che esso configuri piuttosto una fattispecie o una
figura trans-tipica, la cui disciplina deriverebbe dalla combinazione di diverse tipologie
contrattuali. Su questo problema v. le osservazioni di: C. Camardi, I contratti di distribuzione
come contratti di “rete”, in Le reti di imprese e i contratti di rete, a cura di P. Iamiceli,
Giappichelli, 2009, p. 225, qui p. 259; F. Macario, Reti di imprese, “contratto di rete” e
individuazione delle tutele. Appunti per una riflessione metodologica, in Le reti di imprese e i
contratti di rete, cit., p. 273, qui p. 275; F. Cafaggi - P. Iamiceli, Contratto di rete. Inizia una
nuova stagione di riforme?, Obb. e Contratti, 2009, p. 595.
(4) La definizione riportata è di F. Cafaggi, Domande della ricerca e profili metodologici, in
Politiche industriali e collaborazione tra imprese nel contesto toscano, cit., p. 42.
(5) Così F. Cafaggi - P. Iamiceli, Premessa, in Reti di imprese tra crescita e innovazione
organizzativa. Riflessioni da una ricerca sul campo, a cura di F. Cafaggi - P. Iamiceli, op. cit., p.
11, qui p. 23.
(6) Cfr. al riguardo le osservazioni di T. Treu, Trasformazioni delle imprese: reti di imprese e
regolazione del lavoro, Merc. Conc. Reg., 2012, n. 1, p. 7, qui p. 8, il quale sottolinea la difficoltà
che incontrano tutt’oggi le discipline del lavoro a staccarsi dalla idea della fabbrica ed a spostare la
propria attenzione sull’impresa.
(7) Cfr. F. Butera, L’impresa integrale: teoria e metodi, Sviluppo e organizzazione, 2009, p.
18.
(8) Per una rassegna, fondata su rilevazioni empiriche, delle forme tramite le quali si
realizzano situazioni di interdipendenza fra imprese per la condivisione di obiettivi produttivi vedi
2
Nel concetto di “rete di imprese” così definito non rientra il diverso fenomeno
dei gruppi di imprese. Nonostante anche il gruppo consista in una rete di soggetti
giuridici distinti le cui attività vengono esercitate in forma coordinata, tale
modalità di strutturazione dell’attività imprenditoriale differisce dalla tipologia
delle reti sopra descritte per il fatto che le imprese del gruppo, pur giuridicamente
distinte, non risultano autonome essendo soggette al potere di direzione della
capogruppo, che definirà le direttive strategiche alle quali dovranno attenersi le
imprese controllate.
Al fenomeno delle “reti di imprese”, come anticipato, il legislatore ha
recentemente rivolto l’attenzione tipizzando il c.d. contratto di rete, tramite il
quale «più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e
collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul
mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a
collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie
imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale,
commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o
più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa» (9).
Il fenomeno evocato dalla locuzione “rete di imprese” non si risolve, dunque,
nella collaborazione fra le imprese che abbiano stipulato un contratto di rete,
poiché quest’ultimo rappresenta soltanto uno degli strumenti negoziali tramite i
quali le imprese possono cooperare per realizzare obiettivi economici condivisi.
L’introduzione di questo nuovo tipo negoziale ci fornisce, però, una conferma
della utilità dell’impiego della locuzione dalla quale siamo partiti, poiché idonea
ad indicare un fenomeno al quale l’ordinamento dedica norme importanti.
Una conferma che trova peraltro un ulteriore importante sostegno nei dati
relativi all’utilizzazione di tale contratto da parte dell’imprese nei cinque anni che
ci separano dalla sua introduzione, i quali danno conto di una crescita costante del
numero dei contratti di rete stipulati (10).
i contributi pubblicati in F. Cafaggi - P. Iamiceli (a cura di), Reti di imprese tra crescita e
innovazione organizzativa. Riflessioni da una ricerca sul campo, cit.
(9) Art. 3, comma 4-ter, d.l. 5/2009, convertito in l. 99/2009. Numerosi sono i contributi di
commento alla nuova disciplina. Si ricordano, senza pretesa di esaustività: F. Briolini – L. Carota
– M. Gambini (a cura di), Il contratto di rete. Un nuovo strumento di sviluppo per le imprese,
Quad. rass. dir. civ., ESI, 2013; F. Cafaggi - P. Iamiceli - G.D. Mosco (a cura di), Il contratto di
rete per la crescita delle imprese, in Quad. giur. comm., Giuffrè, 2012; F. Cafaggi (a cura di), Il
contratto di rete. Commentario, Il Mulino, 2009; P. Iamiceli (a cura di), Le reti di imprese e i
contratti di rete, Giappichelli, 2009; F. Macario - C. Scognamiglio C. (a cura di), Reti di impresa e
contratto di rete, Contratti, 2009, p. 915; V. Cuffaro - G. Marasà - L. Salvin - M. D’Auria - F.
Cirianni, I contratti di rete, Corr. Merito, 2010, suppl. al n. 5; E.M. Tripputi (a cura di), Il
contratto di rete (d.l. 10 febbraio 2009 n. 5), Nuove leggi civ., 2011, p. 55.
(10) L’Osservatorio sui contratti di rete tenuto dal Ministero dello Sviluppo Economico ha
registrato, al 1.3.2014, la stipulazione di 1414 contratti di rete che coinvolgono oltre 7000 imprese
distribuite su tutto il territorio italiano: www.mise.gov.it. Nel valutare tali dati non va comunque
3
2.
Coordinamento dell’attività delle imprese della rete e riflessi sulla relazione
di subordinazione.
Così delineati i confini dell’ampio concetto di “rete di imprese” assunto come
oggetto di esame, nelle pagine che seguono si vuole cercare di approfondire se - e,
in caso affermativo, in quale modo - lo svolgimento dell’attività produttiva in un
contesto di rete possa incidere sul rapporto di lavoro subordinato che lega la
singola impresa al lavoratore dalla stessa impiegato. Con altre parole, l’obiettivo è
valutare se la creazione di rapporti di stabile collaborazione fra imprese assuma
una rilevanza giuridica all’interno del contratto di lavoro subordinato stipulato
dalla singola impresa con il lavoratore la cui prestazione sia impiegata per la
realizzazione degli obiettivi della collaborazione imprenditoriale (11).
Il tema indicato è evidentemente troppo vasto per essere trattato nei limitati
spazi di questo contributo (12). Per questo, l’attenzione verrà focalizzata su uno
dei suoi aspetti. In particolare, si cercherà di valutare se il coordinamento fra le
organizzazioni della rete assuma una rilevanza nella qualificazione delle modalità
di esercizio del potere di direzione e di organizzazione della prestazione
lavorativa.
Gli esiti di questa indagine potranno successivamente rivelarsi utili a svolgere
alcune considerazioni sulla facoltà che il legislatore ha recentemente riconosciuto
alle imprese che abbiano stipulato un contratto di rete di assumere
congiuntamente i lavoratori da impiegare nella realizzazione del programma della
rete.
dimenticato che le imprese che scelgono di stipulare un contratto di rete possono godere di alcuni
vantaggi fiscali. In particolare, una quota degli utili destinata dalle imprese partecipanti alla
realizzazione del programma della rete può essere accantonata in un’apposita riserva e dunque
esclusa dal calcolo del reddito imponibile per tutta la durata del contratto (art. 42, d.l. 31 maggio
2010, n. 78, convertito in l. 30 luglio 2010, n. 122). La Commissione Europea ha confermato la
compatibilità con la disciplina degli aiuti di stato di tali agevolazioni fiscali trattandosi di misure
non settoriali, destinate a trovare applicazione a tutte le imprese, sia grandi sia piccole, a
prescindere dal loro ambito di attività: cfr. C(2010)8939 del 26.1.2011.
(11) Tema al quale nell’ultimo decennio la dottrina giuslavoristica ha dedicato una
particolare attenzione. V. in particolare: L. Corazza, Contractual integration e rapporti di lavoro,
Cedam, 2004; M. Barbera, Trasformazioni della figura del datore di lavoro e flessibilizzazione
delle regole del diritto, DLRI, 2010, p. 203; V. Speziale, Il datore di lavoro nell’impresa integrata,
DLRI, 2010, p. 1; T. Treu, Trasformazioni delle imprese: reti di imprese e regolazione del lavoro,
cit.; L. Corazza, Reti di imprese e nozione di datore di lavoro, in AA.VV., Scritti per la
costituzione del Dipartimento Giuridico dell’Università del Molise, Campobasso, AGR Editrice,
2012, p. 249. In precedenza il tema del rapporto fra diritto del lavoro e organizzazione reticolare
era stato affrontato da G. Orlandini, Diritto del lavoro e regolazione delle reti, in F. Cafaggi (a
cura di), Reti di imprese tra regolazione e norme sociali, Il Mulino, 2004, p. 281.
(12) Per approfondimenti sul tema del rapporto fra reti di imprese e rapporti di lavoro mi
permetto di rinviare al mio Il lavoro nelle reti di imprese: profili giuridici, Giuffrè, 2014.
4
Per delimitare ulteriormente l’oggetto dell’indagine e rendere i risultati utili
ad approfondire l’ipotesi dell’assunzione congiunta del lavoratore da parte delle
imprese stipulanti il contratto di rete, la domanda indicata deve essere riferita
all’ipotesi in cui la collaborazione fra le organizzazioni produttive rechi con sé la
condivisione della prestazione del lavoratore. La condivisione della prestazione
del lavoratore, in vista del coordinamento di strutture che restano giuridicamente
ed economicamente distinte, altera la titolarità del rapporto di lavoro?
Per cercare di fornire una risposta a questo quesito dobbiamo muoverci in una
direzione opposta a quella percorsa dalla dottrina che ha affrontato il problema
della ammissibilità di rapporti pluridatoriali all’interno dei gruppi di società (13).
Non dobbiamo chiederci se si possa ammettere la contestuale imputazione del
rapporto di lavoro ma se si possa giustificare, nell’ambito della nozione di
subordinazione, il fatto che il potere direttivo sia esercitato anche da un
imprenditore terzo, senza che ciò alteri l’imputazione formale del rapporto di
lavoro,
Per affrontare il tema da questa diversa prospettiva, e valutare se l’esercizio
del potere direttivo da parte del terzo dia sempre luogo ad una ipotesi di
interposizione nelle prestazioni di lavoro (o, con terminologia oggi più corretta, di
somministrazione irregolare), si deve tornare sulla definizione di lavoratore
subordinato per valutare se essa escluda in radice la possibilità che la prestazione
lavorativa venga resa a vantaggio di terzi imprenditori. Con altre parole, si vuole
chiarire se siano configurabili fattispecie nelle quali l’esercizio del potere direttivo
da parte del terzo trovi una giustificazione nella relazione di subordinazione,
senza dar luogo ad un’ipotesi di somministrazione irregolare ovvero senza che da
tale condizione possa desumersi la volontà delle parti di costituire più di un
rapporto di lavoro o un rapporto con pluralità di datori di lavoro (14).
A tal fine, il profilo da cui occorre partire è quello della ricostruzione della
funzione del contratto di lavoro.
È questo un tema classico del diritto del lavoro, approfondito dell’ambito di
un complesso dibattito tra voci autorevoli della materia.
(13) L’attenzione della dottrina giuslavoristica alla relazione fra rapporto di lavoro e gruppo
di imprese è risalente. Ai fini del presente contributo, per la ricostruzione delle differenze con il
fenomeno delle reti, è sufficiente rinviare ai contributi recentemente ospitati dalla Rivista
Giuridica del Lavoro (2013, I): V. SPEZIALE, Gruppi di imprese e codatorialità: introduzione a un
dibattito, p. 3; O. MAZZOTTA, Gruppi di imprese, codatorialità e subordinazione, p. 19; O.
RAZZOLINI, Impresa di gruppo, interesse di gruppo e codatorialità nell’era della flexicurity, p. 29;
V. PINTO, Profili critici della teoria della codatorialità nei rapporti di lavoro, p. 55; A. PERULLI,
Gruppi di imprese, reti di imprese e codatorialità: una prospettiva comparata, p. 83; M.G.
GRECO, La ricerca del datore di lavoro nell’impresa di gruppo: la codatorialità al vaglio della
giurisprudenza, p. 117.
(14) Come ipotizzato da una parte della dottrina: V. Speziale, Il datore di lavoro nell’impresa
integrata, cit.
5
Non si vuole qui ovviamente intervenire in quel dibattito, quanto piuttosto
sintetizzarne gli esiti, che divengono essenziali per inquadrare giuridicamente le
fattispecie che stiamo studiando in queste pagine.
Nell’ambito del dibattito evocato, al contratto di lavoro è stata riconosciuta,
pur con alcuni distinguo, la funzione di contratto di organizzazione, ossia di quel
contratto tramite il quale il datore di lavoro ha la possibilità di creare
l’organizzazione di lavoro di cui necessita per lo svolgimento dell’attività
economica (15).
Si è così dato coerente fondamento contrattuale alla posizione di supremazia
che compete al datore di lavoro in funzione della titolarità da parte di questi del
potere direttivo. In questa prospettiva, tali poteri danno conto della natura della
prestazione di lavoro subordinato come prestazione destinata ad integrarsi in una
organizzazione altrui (16).
Il lavoratore subordinato apporta così una utilità a beneficio
dell’organizzazione produttiva, senza per questo divenire responsabile del
raggiungimento degli scopi produttivi che rimangono nella esclusiva disponibilità
dell’imprenditore.
Per questa via si è poi precisato che l’interesse che il datore di lavoro intende
soddisfare con la stipulazione del contratto di lavoro è quello alla coordinabilità
della prestazione lavorativa, ossia quello di poter disporre della prestazione offerta
dal lavoratore per inserirla utilmente nella propria organizzazione in vista della
realizzazione dei suoi obiettivi produttivi. La prestazione di lavoro si caratterizza
così per la sua idoneità ad integrarsi nella altrui organizzazione (17). Il punto di
mediazione fra l’organizzazione complessiva e la prestazione del singolo
(15) La compiuta rappresentazione in questi termini della funzione del contratto di lavoro si
deve, com’è noto, alla fondamentale opera di M. Persiani, Contratto di lavoro e organizzazione,
Cedam, 1966, p. 261. Opinione successivamente condivisa da L. Mengoni (L. Mengoni, Lezioni
sul contratto di lavoro, Celuc, 1971, p. 30) e ulteriormente approfondita da M. Marazza (M.
Marazza, Saggio sull’organizzazione del lavoro, Cedam, 2000).
(16) Si devono all’opera di F. Liso alcune importanti precisazioni all’impostazione teorica di
M. Persiani. Egli ha infatti dimostrato che la funzione di coordinamento tipica del contratto di
lavoro subordinato non può mai comportare «una autonoma e spontanea tensione del prestatore di
lavoro verso la realizzazione del risultato dell’organizzazione del lavoro complessiva» (F. Liso, La
mobilità del lavoratore in azienda: il quadro legale, Franco Angeli, 1982, p. 52). Il lavoratore, in
altre parole, non assume alcuna responsabilità in ordine alla effettiva realizzazione del risultato a
cui mira l’imprenditore, poiché l’unico obbligo che assume è quello di offrire una prestazione che
possa essere proficua per l’imprenditore nel senso di poter essere da questi coordinata in vista
della realizzazione del risultato. Il lavoratore è tenuto dunque a rendere non una prestazione
coordinata, ma coordinabile, nel senso di idonea ad integrarsi nell’altrui organizzazione, cosicché
l’eventuale mancato raggiungimento dell’obiettivo produttivo a cui mira il datore di lavoro potrà
essere imputato solo a quest’ultimo (F. Liso, La mobilità del lavoratore in azienda: il quadro
legale, cit., pp. 53-61).
(17) Così, testualmente, F. Liso, La mobilità del lavoratore in azienda: il quadro legale, cit.,
p. 57.
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lavoratore è costituito dall’esercizio del potere direttivo tramite il quale si realizza
la possibilità dell’inserimento della prestazione del lavoratore nella
organizzazione complessiva.
Così sinteticamente richiamati i contenuti dell’obbligo di collaborazione
nell’impresa posto in capo al lavoratore subordinato dall’art. 2094 c.c. (18), si
deve valutare se, e in caso affermativo in che termini, le nuove forme di
organizzazione dell’attività imprenditoriale possano assumere rilevanza nella
struttura della subordinazione.
In questa prospettiva, il passaggio successivo del ragionamento deve
soffermarsi sul concetto di impresa implicato dalla definizione di lavoratore
subordinato, al fine di chiarire il significato della formula “collaborazione
nell’impresa”. In particolare, alla luce del ragionamento sin qui svolto, ciò che si
deve fare è cercare di capire se nell’impresa a cui fa riferimento tale norma si
possano includere le particolari modalità di svolgimento dell’attività produttiva
implicate nelle forme di collaborazione reticolare.
L’elemento che qualifica l’attività imprenditoriale svolta dal datore di lavoro
nel fenomeno in esame, infatti, è costituito proprio dal suo porsi quale attività
destinata a coordinarsi con quella svolta dalle altre organizzazioni della rete.
Ne consegue che, se l’attività di impresa, alla quale il lavoratore si è
impegnato a collaborare con la stipulazione del contratto di lavoro, è tale da dover
essere esercitata sulla base di un coordinamento stabile con altre organizzazioni
produttive, tale profilo non può non rilevare nel qualificare il contenuto della
relazione di lavoro, sia dal punto di vista della precisazione del significato da
attribuire alle modalità di esercizio del potere di direzione, sia da quello della
delimitazione degli obblighi gravanti sulle parti del contratto di lavoro.
Ciò significa che l’esigenza di coordinamento dell’attività di imprese diverse
può giustificare la parziale condivisione della prestazione lavorativa.
L’esercizio da parte del terzo del potere direttivo non altera infatti
l’imputazione del rapporto di lavoro, del quale continua ad essere titolare il datore
di lavoro con il quale il lavoratore si è obbligato, poiché esso trova la sua
giustificazione nella funzione del contratto di lavoro di cui quest’ultimo è parte.
Il profilo della coordinabilità che deve caratterizzare la prestazione del
lavoratore in forza delle obbligazioni da questi assunte con la stipulazione del
contratto assume, in altre parole, un significato più ricco se letto nell’ambito delle
(18) Una parte della dottrina ha peraltro sostenuto, con argomenti condivisibili, che
l’obbligazione di collaborazione costituisca l’oggetto del contratto di lavoro, fornendo così più
solido fondamento contrattuale al potere del datore di lavoro di modificare unilateralmente le
mansioni del lavoratore: cfr. V. Ferrante, Potere e autotutela nel contratto di lavoro subordinato.
Eccezione di inadempimento, rifiuto di obbedienza, azione diretta individuale, Giappichelli, 2004,
pp. 86 ss.
7
forme di organizzazione dell’attività produttiva rappresentate nel primo capitolo e,
tramite esse, della nozione di impresa che quelle esprimono.
Nozione che non può più essere solo quella, ormai datata, della coincidenza
fra l’imprenditore e l’attività da questi concretamente svolta, dovendo essere
invece considerata anche come attività produttiva risultante dalla interazione
stabile fra organizzazioni diverse.
Una conferma della necessità di considerare la collaborazione nell’impresa in
rapporto alla caratterizzazione essenziale impressa a questa dalla particolare
situazione che si verifica nelle organizzazioni reticolari è confermata dalle
riflessioni della dottrina civilistica sul tema. Questa ha posto in rilievo come la
dimensione reticolare dell’agire imprenditoriale possa assumere rilevanza nel
qualificare gli elementi che connotano l’attività dell’operatore economico ai fini
del conseguimento dello status giuridico di imprenditore commerciale (19).
Nella costruzione della fattispecie giuridica dell’impresa desumibile dall’art.
2082 c.c. assume rilevanza determinante la considerazione della complessiva
attività svolta dall’imprenditore. Nel valutare tale attività, non si può ignorare la
relazione reticolare che si instaura fra i contratti e gli atti posti in essere per lo
svolgimento dell’attività economica. Ciò significa che il singolo atto o contratto
non può essere considerato ignorando il contesto all’interno del quale è inserito,
poiché esso assume una rilevanza giuridica che può incidere sulla definizione
delle posizioni attive e passive delle parti del rapporto (20).
Come è stato rilevato, ai fini della configurazione dell’attività di impresa, per
il nostro ordinamento è irrilevante che la concatenazione dei contratti avvenga in
presenza di un’unità organizzativa integrata oppure costruita attraverso una rete di
contratti orizzontali (21). L’impresa è così il risultato della concatenazione di
(19) Cfr. al riguardo le osservazioni di C. Crea, Reti contrattuali e organizzazione
dell’attività di impresa, cit. In questa prospettiva sono illuminanti le riflessioni svolte in dottrina
sul concetto di rischio di impresa, il cui significato risulta arricchito e a sua volta arricchisce la
nozione di impresa, se considerato nella prospettiva della collaborazione in rete. La fattispecie
impresa di cui parla l’art. 2082 c.c. si configura infatti proprio in ragione della particolare modalità
con la quale si realizza la concatenazione di più contratti in vista della combinazione dei rispettivi
risultati per realizzare il risultato produttivo finale (A. Jannarelli, Appunti per una teoria giuridica
del “rischio di impresa”, Riv. dir. agr., 2007, I, p. 299, qui p. 322 s.).
(20) Cfr. al riguardo le osservazioni di F. Macario, Reti di imprese, “contratto di rete” e
individuazione delle tutele. Appunti per una riflessione metodologica, in Iamiceli P. (a cura di), Le
reti di imprese e i contratti di rete, Torino, Giappichelli, 2009, p. 273. V. anche A. Jannarelli,
Appunti per una teoria giuridica del “rischio di impresa”, cit., p. 317, il quale osserva che
«l’interdipendenza delle complessive attese creditorie e delle combinazioni tra le prestazioni
ovviamente dal lato della struttura a cui si riferisce l’attività, fa sì che il rischio contrattuale di ogni
singola operazione negoziale risulti influenzato dalla possibile non funzionalità di ciascuna delle
altre operazioni che concorrono all’esistenza dell’attività e che sono indirizzate alla realizzazione
del risultato finale».
(21) V. ancora A. Jannarelli, Appunti per una teoria giuridica del “rischio di impresa”, cit.,
p. 323.
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rapporti tramite i quali l’attività viene indirizzata verso lo specifico risultato
produttivo.
Il requisito della coordinabilità della prestazione di lavoro, inteso come
idoneità della stessa ad essere inserita utilmente nella organizzazione del datore di
lavoro, deve essere allora letto alla luce di queste modalità di organizzazione
dell’attività produttiva.
La “collaborazione nell’impresa” che costituisce l’oggetto dell’obbligazione
assunta dal lavoratore con la stipulazione del contratto di lavoro può infatti essere
interpretata in funzione della particolare forma che l’organizzazione dell’attività
economica assume nelle ipotesi di collaborazione imprenditoriale in rete.
La direzione della prestazione (anche) da parte del terzo, se motivata dalla
finalità del coordinamento fra l’attività produttiva di questi e quella del datore di
lavoro, trova la propria legittimazione nella stessa struttura del contratto di lavoro
e, dunque, nella destinazione della prestazione lavorativa alla realizzazione della
funzione propria di tale contratto. L’esame di tale fattispecie nella prospettiva
della nozione di subordinazione dettata dall’art. 2094 c.c. non conduce dunque
all’effetto di dover qualificare la fattispecie come “somministrazione irregolare”,
proprio in ragione del fatto che l’interesse al coordinamento della prestazione
lavorativa con l’organizzazione dell’imprenditore terzo costituisce l’interesse del
datore di lavoro che si innesta all’interno del rapporto di lavoro, avendo l’effetto
di plasmare le situazioni giuridiche soggettive dei soggetti che ne sono parte.
Una conferma della correttezza di tale prospettiva può essere identificata nel
nuovo comma 4-ter dell’art. 30 d.lgs. 276/2003, il quale prescrive che se il
lavoratore viene distaccato tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete
«l'interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell'operare
della rete». Tale norma, nel configurare una presunzione iuris tantum riguardo la
sussistenza dell’interesse del distaccante nel caso di stipulazione di un contratto di
rete, dimostra come il coordinamento dell’attività di imprese distinte per la
realizzazione di obiettivi condivisi possa assumere una rilevanza giuridica,
incidendo sulla stessa relazione di subordinazione (22), consentendo la parziale
condivisione della prestazione lavorativa senza alterare la titolarità del rapporto.
(22) Cfr. al riguardo le interessanti osservazioni di M. Esposito, La fattispecie del distacco e
la sua disciplina, in Esternalizzazioni e tutela dei lavoratori, a cura di M. Aimo - D. Izzi, Utet,
2014, p. 604, qui p. 616 s., il quale rileva che «nel contesto del contratto di rete il distacco già
realizzi una forma di codatorialità; tale per cui le diverse imprese andrebbero ad atteggiarsi quali
“unità produttive” di un unitario centro datoriale. In pratica il distacco sarebbe, allora, sempre una
sub-specie di trasferimento all’interno di una medesima impresa (l’impresa comune delle aziende
in rete, intesa come attività economica congiunta)».
9
3.
Contratto di rete e assunzione congiunta del lavoratore.
In questo quadro deve essere letta la nuova disposizione che consente alle
imprese stipulanti il contratto di rete di “ingaggiare” congiuntamente il lavoratore.
Il legislatore ha espressamente previsto la possibilità dell’assunzione
congiunta del lavoratore da parte di più datori di lavoro con il d.l. 28 giugno 2013,
n. 76, convertito in legge 9 agosto 2013, n. 99 (di seguito per comodità
denominato sempre d.l. 76/2013).
L’art. 9, 11° comma, del citato decreto ha previsto l’inserimento nell’art. 31
d.lgs. 276/2003 dei commi dal 3-bis al 3-quinquies, i quali ammettono la
possibilità dell’assunzione congiunta del lavoratore per lo svolgimento di
prestazioni lavorative presso le rispettive imprese in due ipotesi: a) da parte di
imprese agricole, ivi comprese quelle costituite in forma cooperativa, se
appartenenti allo stesso gruppo, ovvero riconducibili allo stesso proprietario,
ovvero riconducibili a soggetti legati tra loro da un vincolo di parentela o di
affinità entro il terzo grado; b) da parte di imprese legate da un contratto di rete,
purché almeno il 50% di esse siano imprese agricole.
In sede di conversione del d.l. 76/2013, pur lasciando inalterata la previsione
appena riportata, il legislatore ha però frettolosamente introdotto un’ulteriore
disposizione all’interno dell’art. 30 d.lgs. 276/2003 che pone rilevanti problemi di
coordinamento con le fattispecie appena ricordate. Il nuovo comma 4-ter dell’art.
30 d.lgs. 276/2003, prescrive che, per le imprese legate dal contratto di rete, «è
ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il
contratto di rete stesso».
Tralasciando qui di considerare i problemi di coordinamento fra le norme
richiamate, è necessario chiedersi se le nuove disposizioni consentano la
stipulazione di un contratto di lavoro con pluralità di datori di lavoro.
Sembra potersi dare una risposta positiva a tale interrogativo.
Il primo elemento che depone in tal senso è costituito dal fatto che le nuove
norme configurano una fattispecie nella quale più imprese assumono
congiuntamente il lavoratore, gravandosi delle obbligazioni legali, contrattuali e
previdenziali che scaturiscono dal rapporto di lavoro subordinato. Ciò significa
che tali imprese acquisiscono, contestualmente, la posizione di datori di lavoro
formali del lavoratore assunto congiuntamente. In tal senso si giustifica anche la
formulazione del comma 3-quinquies dell’art. 31 d.lgs. 276/2003, che qualifica le
imprese come «datori di lavoro».
Tale conclusione è altresì avvalorata dal fatto che le disposizioni sin qui
esaminate qualificano in maniera evidente l’ipotesi della codatorialità come
eccezione ad una regola generale che è, invece, quella della natura
necessariamente bilaterale del contratto di lavoro. L’ipotesi dell’assunzione
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congiunta viene trattata come un’ipotesi ammissibile solo in presenza delle
condizioni indicate nelle norme ricordate. Se il legislatore avesse voluto
qualificare l’ipotesi della assunzione congiunta come una fattispecie di mera
condivisione delle responsabilità datoriali, sarebbe stato sufficiente instaurare un
regime di responsabilità solidale, impiegando la tecnica ormai da tempo utilizzata
in materia di appalti.
Infine, una definitiva conferma dell’inserimento nel nostro ordinamento di
una fattispecie di contratto di lavoro con pluralità di datori nonché del fatto che il
legislatore utilizza come sinonimi i termini “codatorialità” e “assunzione
congiunta” (23) la si ha se si considera la funzione che tali disposizioni sono
chiamate ad assolvere nell’ambito della disciplina del contratto di rete. Le regole
citate, invero, al pari delle altre dettate in materia dal legislatore, nascono non con
l’intento di accrescere le tutele per i lavoratori impiegati nella rete (quale
altrimenti sarebbe l’esclusiva funzione di una mera regola di responsabilità
solidale), quanto piuttosto con la finalità di incentivare la stipulazione del
contratto di rete, fornendo strumenti idonei ad agevolare la gestione del personale
all’interno dell’organizzazione reticolare. Se così è, le regole in parola assumono
un senso solo se lette come idonee a consentire la condivisione della prestazione
lavorativa nell’ambito di un rapporto pluridatoriale.
Lo stesso termine codatorialità, collocato nell’ambito della disposizione
dedicata al distacco, è chiaramente destinato ad identificare una fattispecie diversa
dal distacco medesimo. L’art. 30 d.lgs. 276/2003, invero, dopo aver detto che
l’interesse del distaccante «sorge automaticamente in forza dell'operare della
rete», afferma che è «inoltre» ammessa la codatorialità dei «dipendenti ingaggiati
con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso». La codatorialità
richiama, allora, una fattispecie diversa dal distacco che non può che essere quella
della assunzione congiunta del lavoratore.
Vale la pena, a questo punto, di provare a svolgere alcune considerazioni
sulla struttura del contratto di lavoro con pluralità di datori di lavoro.
A tal fine, si rivelano utili le osservazioni svolte nel paragrafo precedente,
laddove si è cercato di argomentare la rilevanza che può assumere nel qualificare
la relazione di subordinazione il fatto che il datore di lavoro svolga la propria
attività produttiva sulla base di duraturi accordi di collaborazione e coordinamento
con altre imprese.
Quelle osservazioni consentono di avvalorare l’ipotesi che nel caso
dell’assunzione congiunta del lavoratore da parte delle imprese stipulanti il
(23) Ritiene invece che i termini “codatorialità” e “assunzione congiunta” siano utilizzati dal
legislatore per identificare fattispecie differenti: M. Biasi, Dal divieto di interposizione alla
codatorialità: le trasformazioni dell’impresa e le risposte dell’ordinamento, W.P. “Massimo
D’Antona”.IT 218/2014.
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contratto di rete, il programma di rete (che ne costituisce un requisito essenziale)
integri la causa del contratto di lavoro subordinato.
Ciò significa che il programma della rete assume una rilevanza all’interno del
contratto di lavoro subordinato pluridatoriale, nel senso che l’interesse alla cui
soddisfazione è destinata la prestazione del lavoratore è quello al coordinamento
della prestazione medesima in vista della realizzazione del programma dettato dal
contratto di rete.
La “collaborazione nell’impresa” a cui deve tendere l’attività del lavoratore
subordinato ai sensi dell’art. 2094 c.c., si declina in tal caso come “collaborazione
nell’attuazione del programma della rete”.
La connotazione della relazione di subordinazione in funzione della
realizzazione degli obiettivi della rete ha specifici effetti regolativi.
Se, da un lato, la destinazione della prestazione alla realizzazione del
programma della rete comporta per il lavoratore la soggezione al potere direttivo
di più imprenditori, dall’altro, tale legame funzionale costituisce il parametro alla
luce del quale regolare le posizioni reciproche dei datori di lavoro. Ciò nel senso
che ciascun datore, nell’esercizio del potere direttivo, è tenuto a rispettare la
destinazione della prestazione lavorativa alla realizzazione dell’interesse
collettivo della rete (24), essendo responsabile nei confronti dell’altro nell’ipotesi
in cui il lavoratore venga utilizzato per finalità differenti. Analogamente, la
coerenza con il programma di rete costituirà il parametro per valutare le
conseguenze di direttive contrastanti che, evidentemente, ricadranno
esclusivamente sui datori di lavoro e non sul lavoratore che avrà correttamente
adempiuto eseguendo almeno una delle direttive ricevute.
(24) Cfr. al riguardo le osservazioni di A. GENTILI, Una prospettiva analitica su reti di
imprese e contratti di rete, Obb. e contratti, 2010, p. 87, qui p. 88, il quale rileva che la rete
coinvolge per natura i plurimi interessi individuali dei partecipanti, instaurando fra gli stessi un
interesse collettivo.
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