CAPITOLO XVI - Dipartimento di diritto privato e storia del diritto
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CAPITOLO XVI - Dipartimento di diritto privato e storia del diritto
1 Andrea Sitzia Ricercatore di diritto del lavoro nell’Università di Padova IL SISTEMA LAVORISTICO TRA APPARATO REPRESSIVO E DEREGOLAZIONE. LA CODATORIALITÀ NEL SISTEMA DEL CONTRATTO DI RETE E I DEMANDI REGOLATIVI VERSO IL DIRITTO COMMERCIALE SOMMARIO: 1. Il nuovo comma 4-ter dell’art. 30 del d.lgs. n. 276 del 20103: un altro equus intra moenia? Posizione del problema e prospettive di indagine – 2. Il contesto: il sistema lavoristico tra repressione, deregolazione e neoregolazione – 3. Le reti di impresa e la suggestione decostruttivista – 4. Il contratto di rete di imprese: lo schema normativo di riferimento e i profili rilevanti per il discorso giuslavoristico – 5. Contratto di rete, codatorialità, appalto e responsabilità. 1. Il nuovo comma 4-ter dell’art. 30 del d.lgs. n. 276 del 2013: un altro equus intra moenia? Posizione del problema e prospettive di indagine. L’introduzione, da parte del d.l. n. 76 del 2013 (convertito con legge n. 99 del 2013), del comma 4-ter nell’art. 30 del d.lgs. n. 276 del 2003, rappresenta una svolta nel sistema lavoristico italiano, che fino ad oggi si era astenuto dal regolamentare espressamente l’incidenza del collegamento tra imprese sui rapporti di lavoro (1). Fino al 2013, in particolare, difettavano norme che ammettessero esplicitamente un utilizzo e una gestione condivisa del personale nell’ambito delle fattispecie che presentassero legami o interazioni tra imprenditori, nonostante la realtà dei rapporti economici mostrasse che l’impresa, anche se segmentata e destrutturata, tende a ricomporsi in un sistema contrattuale di integrazione imprendito(1) Se si fa eccezione per il recepimento, avvenuto con il d.lgs. 72 del 2000, della direttiva n. 96/71/CE, che consente il distacco di personale tra imprese appartenenti al medesimo gruppo, l’ordinamento si limitava a consentire, nei gruppi di impresa di cui all’art. 2359 c.c., ai sensi dell’art. 31 del d.lgs. n. 276 del 2003, la delega dello svolgimento degli adempimenti di gestione dei rapporti di lavoro alla società capogruppo per tutte le società controllate e collegate (analogo sistema era, ed è tutt’ora, permesso nell’ambito dei consorzi di società cooperative). 2 riale (2). Il sistema normativo italiano si muoveva in due direzioni, da un lato mirando ad imporre modelli di solidarietà/responsabilità in relazione alle filiere produttive ed ai contratti d’appalto, e dall’altro lato a reprimere le fattispecie interpositorie ove fossero violate le regole che ammettevano, entro limiti rigorosissimi, la scissione tra titolarità del contratto di lavoro e soggetto destinatario della prestazione (somministrazione, appalto e distacco). Il sistema introdotto nel 2013 sovverte le regole precedenti, ammettendo, in relazione e nei limiti stabiliti dal contratto (tipico) di rete (3), la condivisione del personale dipendente nelle due versioni del distacco e della vera e propria “codatorialità” nell’ambito dei rapporti contrattuali tra imprese (nuovo art. 30, comma 4-bis, d.lgs. n. 276 del 2003). Dalla “codatorialità” si distingue la possibilità di assunzione congiunta nell’ambito dell’agricoltura, resa possibile dall’art. 9, co. 11, del d.l. n. 76 del 2013 (nuovo art. 31, commi 3bis, 3-ter e 3-quater, d.lgs. n. 276 del 2003). Limitando l’indagine alla fattispecie della vera e propria “codatorialità”, emerge, dall’esame della nuova normativa, che il perno della riforma poggia sul riconoscimento di effetti giuridici lavoristici all’integrazione tra imprese basata su vincoli contrattuali gover(2) I fenomeni di integrazione operativa tra imprese sono oggetto di numerosi studi da parte della dottrina economica e giuridica. Le reti sono, essenzialmente, forme di coordinamento stabili tra imprese, intermedie tra il mercato e la gerarchia, finalizzate ad un obiettivo comune. L’evoluzione del fenomeno della (o delle) “impresa a rete” allude ad esperienze empiriche molto variegate. Per un sintetico riepilogo di alcune delle analisi economiche sulle reti di imprese si veda, di recente, C. Bentivogli - F. Quintiliani - D. Sabbatini, Il contratto di rete: limiti e opportunità, L’Industria, 2013, n. 2, pp. 347 ss. ed ivi ampi riferimenti bibliografici. Fra le analisi dei gius-lavoristi al riguardo, tra i più recenti, si veda I. Alvino, Il lavoro nelle reti di imprese. Profili giuridici, Giuffrè, 2014; A. Perulli, Contratto di rete, distacco, codatorialità, assunzioni in agricoltura, diretto da L. Fiorillo - A. Perulli, Il nuovo diritto del lavoro, vol. IV, La riforma del mercato del lavoro, Giappichelli, 2014, pp. 463 ss.; V. Speziale, Gruppi di imprese e codatorialità: introduzione a un dibattito, RGL, 2013, I, pp. 3 ss.; V. Pinto, Profili critici della teoria della codatorialità nei rapporti di lavoro, RGL, 2013, I, pp. 55 ss.; T. Treu, Trasformazioni delle imprese: reti di imprese e regolazione del lavoro, MCR, 2012, pp. 7 ss.; V. Speziale, Il datore di lavoro nell’impresa integrata, DLRI, 2010, pp. 3 ss.; M. Barbera, Trasformazioni della figura del datore di lavoro e flessibilizzazione delle regole del diritto, DLRI, 2010, I, pp. 203 ss. (3) Il modello prescelto dal legislatore si pone in netta discontinuità rispetto alle indicazioni di quella parte autorevole della dottrina che aveva sottolineato che le opportunità offerte dai rapporti di rete richiedono di essere riconosciute e utilizzate «con strumenti di diritto del lavoro non riconducibili a quelli del diritto commerciale» (così T. Treu, Trasformazione delle imprese: reti di imprese e regolazione del lavoro, cit., p. 20). 3 nati dalle regole del diritto dei contratti (4), dai contorni assai sfumati e fortemente sbilanciate verso l’attribuzione di ampia autonomia alle parti private. Il problema che si intende indagare è quello dei limiti che si impongono al contratto di rete in relazione alla determinazione del significato e della concreta regolazione della “codatorialità”. La norma, invero, non sembra porre alcun limite alle parti del contratto (commerciale) di rete in ordine alla determinazione delle regole (4) Autorevole dottrina ha recentemente sottolineato che il diritto del lavoro «non sembra pronto per essere influenzato dalle soluzioni praticate in ambito commerciale e societario» (così A. Perulli, Contratto di rete, distacco, codatorialità, cit., p. 494). Il rinvio ad un formante regolativo non specialistico (nel dettaglio, non lavoristico) gioca un ruolo fortemente evocativo nella prospettiva della preoccupazione per la progressiva spoliazione di rilevanza del diritto del lavoro. Da tempo la dottrina segnala il progressivo avvicinarsi del momento della fine del diritto del lavoro, in cui altre discipline ed altri modelli valoriali, possano espropriarlo del suo spazio di azione (cfr., di recente, U. Romagnoli, La deriva del diritto del lavoro (Perché il presente obbliga a fare i conti col passato), LD, 2013, n. 1, pp. 3 ss.; M. Rodriguez Piñero - Bravo Ferrer, La grave crisi del diritto del lavoro, LD, 2012, n. 1, pp. 3 ss.). Dal 2009 in poi queste preoccupazioni sono divenute quasi angoscianti a causa di una serie di fattori, che in ampia parte affondano le proprie radici nel sistema comunitario. Tra i principali fattori di preoccupazione vanno tenuti in considerazione almeno i seguenti. Il primo è quello dotato di maggiore “fisicità”: dal 2009 la Direzione Generale della Commissione Europea “Employment, Social Affairs and Inclusion” (quella “lavoristica”, per intenderci) è stata privata delle competenze in materia di lotta contro la discriminazione, che sono state trasferite alla Direzione Generale “Justice”. Se consideriamo che da Laval in poi si è posto il problema della valutazione dei sistemi lavoristici quali possibili restrizioni alla libera prestazione di servizi (con tutte le conseguenze in termini di law shopping, dumping sociale e tendenza alla revisione al ribasso degli apparati protettivi lavoristici) possiamo comprendere come la questione richiamata nel testo possa avere ricadute estremamente significative in termini espropriativi rispetto alle sensibilità proprie del formante legislativo lavoristico. Il secondo, concettualmente prossimo al primo, riguarda la proposta, del 2012, di modifica della direttiva europea in materia di distacco e la proposta di regolamento sull’esercizio del diritto di promuovere azioni collettive, anch’essa del 2012: entrambe sono state elaborate nell’ambito del programma guidato dalla Direzione Generale “Internal Market and Service”. Per chi ha presenti le possibili implicanze della giurisprudenza Laval del 2007, la gravità e la forte carica evocativa di quest’ultimo fatto è evidentissima. Per alcune interessanti considerazioni in prospettiva critica circa le tematiche sopra evocate si veda, approfonditamente, S. Borelli, Le politiche del lavoro nazionali nell’ambito della strategia Europa 2020 e la governance economica europea, LD, 2012, n. 3-4, pp. 465 ss., qui p. 470. L’esplicito ritrarsi del sistema lavoristico dall’ambito della regolamentazione dei contenuti disciplinari della codatorialità per dare spazio all’autonomia delle parti del contratto commerciale di rete non può che iscriversi nel processo di spoliazione denunciato dalla dottrina qui richiamata. 4 della codatorialità, né in ordine alla declinazione del concetto stesso di “codatorialità”, né in termini di responsabilità. Le tematiche specifiche che si intendono affrontare riguardano, dunque, il rapporto tra diritto del lavoro e diritto dei contratti in relazione al fatto che il contratto di rete permette la fondazione e la regolazione della “codatorialità”. A questo proposito si intende comprendere quali possano essere i limiti imposti dall’ordinamento alla libera esplicazione dell’autonomia delle parti del contratto commerciale in ordine agli effetti determinabili nella sfera giuridica del personale dipendente. Le tematiche in ordine alle quali si intende focalizzare l’attenzione attengono: 1) all’individuazione del datore di lavoro/controparte dei singoli rapporti di lavoro in condivisione e relazione sistematica con il divieto di interposizione; 2) modalità, caratteri e limiti della possibilità di esercizio congiunto dei poteri direttivo, disciplinare e di controllo nel caso di codatorialità. Il problema presupposto dalle tematiche sopra indicate nasce dalla indeterminatezza del lemma “codatorialità” e consiste nel verificare se il nuovo concetto legale debba essere inteso come mera variante semantica della “contitolarità” dei rapporti di lavoro, così risolvendosi in una operazione di imputazione plurima dei rapporti stessi (5), oppure se, al contrario, lo stesso abbia una sua autonomia giuridica distinta, capace di attribuire alle parti del contratto di rete la facoltà di scomporre le posizioni attive e passive nascenti dai contratti di lavoro in relazione al perseguimento degli obiettivi (predeterminati dal legislatore) della rete. In questa seconda accezione la “codatorialità” innescabile attraverso il contratto di rete si presenta come strumento che può abilitare la dissociazione delle diverse posizioni giuridiche originate dal rapporto di lavoro, ren(5) Intesa nella prima accezione la “codatorialità” introdotta dal legislatore nel 2013 potrebbe apparire come una soluzione normativa del problema della ricerca del datore di lavoro nelle imprese integrate. La dottrina ha ammesso che possa darsi “codatorialità” in presenza di tre elementi: lo svolgimento di un’attività lavorativa di carattere personale da parte di uno specifico soggetto; l’assoggettamento di questa prestazione ad eterodirezione plurima e l’attitudine dell’attività professionale a soddisfare, nel medesimo tempo, gli interessi di diversi datori di lavoro (cfr. V. Speziale, Il datore di lavoro nell’impresa integrata, cit., spec. p. 34). La fattispecie cui fa riferimento la nuova norma di legge sembra però avere connotazioni differenti anche in ragione del fatto che, come si vedrà, il contratto di rete è funzionale al perseguimento di uno scopo comune, predeterminato dal legislatore, e che in qualche modo trascende gli interessi delle singole imprese retiste. 5 dendo possibile la coesistenza di più soggetti titolari dei poteri che fanno capo al datore di lavoro (6), esercitabili secondo regole autonomamente stabilite dagli stessi per il perseguimento degli obiettivi strategici esplicitati nel programma di rete. La prima interpretazione della “codatorialità” svaluta la forte diversità che connota i nuovi testi degli artt. 31 e 30 e sembra, dunque, contraddire la lettera della legge. Solamente nel caso delle reti in agricoltura, invero, la legge afferma l’operatività dell’assunzione congiunta e la responsabilità solidale dei datori di lavoro. Il confronto fra i due testi normativi dovrebbe condurre a ritenere preferibile la seconda interpretazione della “codatorialità” di cui al nuovo testo dell’art. 30 (7). Qualora si ammetta che la “codatorialità” di cui all’art. 30 è dotata di autonoma e speciale (8) consistenza giuridica, e si assuma quindi come presupposto del ragionamento la seconda opzione interpretativa di cui sopra si è detto, si pone il problema di verificare la portata della novella in ordine al tema della derogabilità rispetto alle regole giuslavoristiche nella prospettiva del sistema sanzionatorio del c.d. lavoro irregolare. Il sistema normativo risulta, invero, fortemente sbilanciato verso un approccio severissimo di carattere sanzionatorio; nella prospettiva del contratto di appalto, subappalto, somministrazione di manodopera e distacco (nelle ipotesi ordi(6) Un esempio particolarmente interessante di “codatorialità” può trarsi da C. giust., 21 ottobre 2010, causa C-242/09, Alborn (in RIDL, 2011, II, pp. 1286, nt. O. Razzolini). Nel caso di specie, all’interno di un gruppo di società, la gestione del personale risultava affidata ad una delle società del gruppo, definita “datore di lavoro centrale”, la quale li distaccava, volta per volta, anche in via permanente, presso le altre società del gruppo secondo le rispettive esigenze. La Corte (con sentenza relativa al diverso tema del trasferimento di azienda) ha affermato che nel gruppo di imprese possono coesistere due datori di lavoro, “uno avente rapporti contrattuali con i lavoratori di detto gruppo e l’altro avente rapporti non contrattuali con essi” (punto 31 della motivazione). (7) In senso analogo E. Basile - A. Aurilio, Contitolarità dei rapporti di lavoro: le nuove opportunità offerte dal contratto di rete, Il giurista del lavoro, 2014, n. 1, pp. 4 ss.; I. Alvino, Il lavoro nelle reti di imprese: profili giuridici, cit., p. 179, il quale però giunge alla conclusione di escludere che le imprese stipulanti il contratto di rete possano escludere la loro responsabilità solidale per i crediti del lavoratore (cfr. I. Alvino, op. cit., p. 183). (8) Parte della dottrina afferma che il contratto di lavoro subordinato con pluralità di datori di lavoro previsto dalla disposizione di cui al testo costituisce un «“contratto di lavoro speciale”. Un contratto, in altri termini, dotato di una propria autonomia tipologica rispetto al contratto di lavoro subordinato bilaterale enunciato dall’art. 2094 c.c.» (in questo senso I. Alvino, op. cit., p. 141). 6 narie), sono previsti rigidi meccanismi repressivi in chiave tipologica sensibilmente limitativi della libertà contrattuale. La nuova disciplina in materia di reti d’impresa mostra una contraddizione evidente nella misura in cui salvaguarda dal meccanismo sanzionatorio l’ipotesi in cui il distacco si iscriva nell’ambito di un rapporto di rete d’impresa. La “codatorialità”, invero, se interpretata nel senso sopra precisato, pare consentire alle parti di attivare un mercato del lavoro interno alla rete sottratto ai vincoli ordinariamente operanti rispetto alla somministrazione di lavoro, all’appalto e al distacco. Questo pone il problema del rapporto tra contratto di rete e contratto di appalto nella prospettiva della verifica della coerenza del sistema repressivo dell’interposizione di manodopera tra le due diverse fattispecie contrattuali (9). 2. Il contesto: il sistema lavoristico tra repressione, deregolamentazione e neoregolazione. Si è già in qualche modo anticipato come il nuovo comma 4-ter dell’art. 30 del d.lgs. n. 276 del 2003, nella sua formulazione asciutta e sfumata, getti un ponte tra il diritto del lavoro e il diritto commerciale. Quale potrà essere, in futuro, l’approdo finale dell’attuale tendenza legislativa è incerto, ma le potenzialità espansive sembrano avere una carica dirompente, soprattutto nel lungo periodo. Nell’immediato, la norma, oltre a porre, anche in ragione del bassissimo livello di dettaglio precettivo che la caratterizza, gravissimi problemi interpretativi, contribuisce ad avvalorare l’impressione di forte incoerenza dell’attuale sistema lavoristico italiano, apprezzabili soprattutto nella misura in cui il sistema venga analizzato dalla prospettiva dell’apparato sanzionatorio. La riforma del 2013 in materia di distacco e codatorialità, invero, si colloca, storicamente, a valle di due innovazioni normative importanti, l’art. 8 del d.l. n. 138 del 2011 (la Manovra estiva del 2011) e la c.d. Riforma Fornero (o, più genericamente, le riforme successive all’estate del 2012). L’art. 8 e le Riforme da Fornero in poi rinviano, in qualche misura, all’ossimoro “flessicurezza”, espressamente (9) Pare evidente che qualora la codatorialità debba essere intesa come mera contitolarità dei rapporti di lavoro le contraddizioni evidenziate nel testo non potrebbero sussistere in ragione del fatto che la codatorialità funzionerebbe come misura pienamente favorevole ai lavoratori. 7 evocato nelle pieghe della legge n. 92 del 2012. Questo termine è denso di significati evocativi (10). La nuova fattispecie della “codatorialità tipica” rientra a pieno titolo nel processo di flessibilizzazione delle regole lavoristiche, qui realizzato tramite un diretto demando di competenze all’autonomia privata delle parti del contratto di rete, che è un contratto, tipico, d’impresa (11). (10) La giustapposizione tra diritto del lavoro e flessicurezza implica, per una parte della dottrina, il surrettizio tentativo di addolcire il fatto che la flessibilità è l’opposto della triade inderogabilità, rigidità, fissità, triade destinata ad essere soppiantata da una progressiva nuova privatizzazione del diritto del lavoro. In questo senso U. Romagnoli, La transizione infinita verso la flessibilità “buona”, LD, 2013, n. 2, pp. 155 ss., il quale, di fronte alla “flessicurezza”, mostra di presagire «che, nell’ampia misura in cui la forza delle cose, la necessità empirica, l’imprevedibilità si sostituiscono alla razionalità della coerenza sistemica», lo spazio attualmente occupato dal diritto del lavoro «sarà colonizzato da professionisti della tecnica giuridica consenzienti, direbbe Stefano Rodotà, alla “riduzione della regola a una delle tante merci acquisibili sul mercato”» (la citazione cui si riferisce l’A. è a S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Laterza, 2013, p. 67). L’art. 8, invero, valorizza, con efficacia erga omnes, la contrattazione collettiva decentrata al fine di consentire una flessibilizzazione delle regole a misura di singola azienda/territorio/distretto. In questo è visto il segno del cambiamento di scenario in termini di obiettivi, di vocazione, del diritto del lavoro, un tempo coincidente con la riduzione ad unità, oggi con la diversificazione. In questo senso la dottrina citata (U. Romagnoli, op. ult. cit., p. 162, ma anche Id., Diritto del lavoro e quadro economico: nessi di origine e profili evolutivi, GDLRI, 2013, n. 4, pp. 585 ss.) considera la deregolazione come un processo di nuova “privatizzazione” del diritto del lavoro funzionale all’eliminazione dei «fattori di rigidità irriducibilmente incompatibili con le esigenze di flessibilità dell’economia globalizzata». La lettura del fenomeno non è, tuttavia, univoca. Altra parte della dottrina, invero, riconosce che se pure è vero che, originariamente, il contratto di scambio corrispettivo ha rappresentato lo strumento giuridico per l’affermazione dello sfruttamento dei lavoratori da parte di «avidi capitalisti», si deve riconoscere anche che dalla stagione dell’imposizione di regole inderogabili «è nato in Italia un altro male, quello del conflitto permanente». Una tale situazione, nell’economia globalizzata, determina migrazioni delle imprese e disoccupazioni a causa e per effetto anche della concorrenza dei paesi a basso costo del lavoro e ambientale. In questa prospettiva si inserisce la convinzione dell’esigenza di ripensare la disciplina del lavoro, liberandola dei caratteri di conflittualità, uniformità oppressiva e incertezza, che ignorano l’interesse comune. In questo senso l’art. 8 della Manovra dell’estate 2011, riconoscendo uno spazio al bilanciamento degli interessi contrapposti, può essere visto come un segnale nella direzione di una flessibilizzazione delle regole funzionale ad esigenze meritevoli di tutela, esaltando il principio della ricerca dell’interesse comune. In questo senso A. Vallebona, La riforma del lavoro 2012, Giappichelli, 2012, pp. 2 ss. (11) Per la ricostruzione del contratto di rete tra imprese nell’area dei contratti di impresa si veda S. Delle Monache, Il contratto di rete tra imprese, Judicium, 2014, p. 3. Questo Autore, in particolare, precisa che il contratto in parola non si limita a presupporre la qualità imprenditoriale di una delle parti, ma è destinato direttamente a servire 8 Si deve, inoltre, tenere conto del fatto che una delle caratteristiche più evidenti del modello sanzionatorio adottato nel nostro Paese è quello della metamorfosi (imposta) del regime contrattuale. Il sistema sanzionatorio del lavoro “irregolare” rappresenta un osservatorio privilegiato, dalla cui analisi emerge una certa contraddittorietà del nostro attuale modello regolativo, soggetto a spinte non convergenti. La prospettiva repressiva convive, invero, con varie ipotesi di sanatoria (si pensi al caso delle associazioni in partecipazione (12)) e con peculiari forme di adeguamento che operano a mo’ di esonero, almeno parziale, rispetto ai regimi repressivi. In questa direzione si inseriscono almeno due fattispecie rilevantissime. La prima riguarda il lavoro a progetto nei call-center (13) e il contratto di lavoro a tempo determinato, in relazione al quale il recentissimo d.l. n. 34 del 2014, convertito dalla legge n. 78 del 16 maggio 2014, ha abbandonato la regola della causalità (14). Il secondo caso di esonero è quello che qui interessa e riguarda il distacco di manodopera e la codatorialità atteso che la novella del 2013 sembra incidere (qualora intesa nel senso sopra precisato di fattispecie abilitante l’esercizio congiunto dei poteri datoriali e non come variante semantica della mera contitolarità dei rapporti di lavoro fra le imprese retiste) nell’ambito del fenomeno interpositorio correggendone le conseguenze sanzionatorio-repressive in relazione alle aree protette dall’intervenuta stipula, tra “aziende”, di un valido contratto di rete. al rafforzamento dell’impresa, favorendo l’accrescimento della “capacità innovativa” e della “competitività sul mercato” dei singoli contraenti. (12) Si veda l’art. 7-bis del d.l. n. 76 del 2013, con termini prorogati dalla legge n. 147 del 2013, che impedisce licenziamenti per giustificato motivo oggettivo degli associati “sanati” per sei mesi: si tratta, pare, di una sostanziale imposizione temporanea di manodopera, una sorta di garanzia del rapporto giuridico “imposto” per un periodo minimo garantito, successivamente al quale torna possibile il licenziamento per g.m.o. (13) Il rimando va alla norma, di interpretazione veramente complessa, del nuovo art. 61 del d.lgs. n. 276 del 2003, con il rinvio ad una contrattazione collettiva derogatoria che svolge una funzione fortemente concorrenziale. (14) Cfr., sul testo del decreto legge, M. Brollo, La nuova flessibilità ‘semplificata’ del lavoro a termine, dattiloscritto, di prossima pubblicazione in ADL, 2014; per una lettura critica in chiave di analisi economica, cfr. R. Realfonzo - G. Tortorella Esposito, Gli insuccessi nella liberalizzazione del lavoro a termine, maggio 2014, http://www.economiaepolitica.it. 9 3. Le reti di impresa e la suggestione decostruttivista. La ricerca del datore di lavoro nell’impresa integrata, che ha affaticato gli studi nel periodo antecedente il 2013, ha suggerito alla dottrina il richiamo della teorica filosofica decostruttivista (15). La suggestione nasce dall’osservazione del fenomeno di decostruzione chiaramente rilevabile nelle trasformazioni dell’impresa e del suo paradigma dominante, della coppia, cioè, datore di lavoro/lavoratore, e si chiude con l’affermazione secondo la quale l’interprete deve «inserire un elemento terzo che scompagini la coppia, ristabilendo proporzioni, criteri di imputazione, meccanismi di tutela del lavoro» (16); in questa prospettiva, prendendo le mosse dai mutamenti intervenuti nei sistemi di produzione e di organizzazione del lavoro, si è innestato il tentativo di (ri)costruire una nozione di “codatorialità” intesa come «teoria di imputazione plurima dei rapporti di lavoro» (17). A questa riflessione teorica ha fatto seguito l’intervento legislativo del 2013, che in qualche modo ha recepito la suggestione terminologica giuridificando il lemma “codatorialità”, di cui, però, non viene fornita alcuna descrizione o declinazione giuridica precettiva. Questa tecnica normativa “in bianco” pare a pieno titolo iscriversi nella tendenza legislativa di prediligere modelli di regolazione “soft”, rinunciando a fornire una regolamentazione dei fenomeni sociali, preferendo limitarsi alla “regolazione” degli stessi. Regolamentare, invero, significa dettare le regole dall’esterno; «regolare (15) Si veda in particolare V. Speziale, Il datore di lavoro nell’impresa integrata, cit., p. 92, il quale espressamente richiama i saggi di J. Deridda del 1967 (J. Deridda, Della grammatologia, trad. it., Milano, 1998 e Id., La scrittura e la differenza, trad. it., Torino, 1971). Per una lettura critica delle posizioni di Deridda si veda N.A. Salingaros, Antiarchitettura e demolizione. La fine dell’architettura modernista, Libreria editrice fiorentina, 2005. (16) V. Speziale, Il datore di lavoro nell’impresa integrata, cit. In termini più netti si esprime U. Romagnoli, La transizione infinita verso la flessibilità “buona”, cit., p. 158, il quale riconosce che «per riorganizzare la società in funzione dell’assetto destrutturato del sistema produttivo in ascesa sul pianeta Terra ci vuole un progetto che non comporta soltanto la distruzione dell’esistente. Poiché non basta demolire abitudini mentali universalmente diffuse, occorre ricostruire il clima ambientale, disegnando nuovi modelli prescrittivi». (17) V. Speziale, Gruppi di imprese e codatorialità: introduzione a un dibattito, RGL, 2013, n. 1, I, pp. 3 ss. 10 significa invece far osservare le regole necessarie al funzionamento omeostatico di un’organizzazione» (18). La formulazione del nuovo comma 4-ter dell’art. 30 del d.lgs. n. 276 del 2003 pare emblematica nel senso di esprimere la volontà legislativa di realizzare una redistribuzione dei ruoli tra la legge e la negoziazione privata (19), secondo la logica della politica di governo per obiettivi adattata alle dinamiche dei rapporti inter-privati. In questa prospettiva il contratto (il diritto convenzionale) viene strumentalizzato dalla legge, che ne programma la negoziazione all’interno dei limiti rappresentati dagli obiettivi predefiniti dalla legge stessa. La norma del 2013, in altri termini, con l’avere immesso all’interno delle indeterminate dinamiche regolative del contratto di rete anche la funzione di stabilire le regole di “ingaggio” (20) dei dipendenti, provoca una destabilizzazione del sistema. Il contratto di rete, invero, nell’intenzione (almeno apparente) del legislatore, viene ad assumere un ruolo di fonte del diritto; la convenzione negoziale diviene strumentale alla programmazione delle modalità di organizzazione del fattore lavoro all’interno, in relazione ed in funzione delle finalità cui è predestinato il programma di rete. Tutto questo origina, per ora solamente con riferimento all’ambito (18) Così A. Supiot, Homo Juridicus. Saggio sulla funzione antropologica del diritto, trad. it., B. Mondadori, 2006, p. 156. Questo Autore prosegue chiarendo che «secondo la teoria cibernetica, solo una regolazione adeguata, non già una regolamentazione rigida, può tutelare la società dal disordine entropico, vale a dire dalla tendenza della natura a deteriorare l’ordinato e a distruggere il comprensibile». (19) Nel caso dell’art. 8 della Manovra dell’estate 2011 l’operazione riguardava, come noto, la negoziazione collettiva. (20) Il termine “ingaggio” ha una certa carica evocativa. Pur essendo possibile catalogarlo tra gli esempi, ormai innumerevoli, di deprecabile sciatteria terminologica del legislatore (definisce “pessima” la terminologia adottata dal legislatore A. Perulli, Contratto di rete, distacco, codatorialità, assunzioni in agricoltura, cit., p. 492), il significato etimologico del termine potrebbe far pensare ad un suo non casuale, derivante non da uno strafalcione di ispirazione calcistica, ma da ricondursi ad una qualche forma di tributo concettuale alla filosofia della c.d. “Lean Production”. Sotto altro profilo può essere suggestivo richiamare il significato etimologico del verbo “ingaggiare”, che deriva dal fr. engager, a sua volta derivante dal Franco waddi ovvero dal basso Latino in-vadiàre, che significa mettere pegno, e questo da vàdium, gaggio, ossia pegno, impegno, promessa. Il significato proprio è dunque quello di obbligare con pegno, e nel riflessivo, anche con valore reciproco, di impegnarsi, obbligarsi, reclutare, arruolare, assoldare, o più genericamente assumere alle proprie dipendenze mediante compenso (cfr. al riguardo M. Cortellazzo - M. Zolli, Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Zanichelli, 1999, ad vocem). 11 specifico del diritto del lavoro nelle reti di impresa tipizzate dalla legge del 2009, due grandi problemi, il primo attiene alla possibile derubricazione della distinzione tra appalto lecito ed interposizione vietata (21), il secondo attiene alle ripercussioni della possibile espansione della natura funzionale del sistema regolativo del contratto di rete nell’ambito dei rapporti di lavoro. 4. Il contratto di rete di imprese: lo schema normativo di riferimento e i profili rilevanti per il discorso giuslavoristico. La disciplina del distacco e della codatorialità rispetto al personale impiegato nelle reti d’impresa poggia, nella sistematica del nuovo art. 30, comma 4-ter, del d.lgs. n. 276 del 2003, su di un rinvio aperto alle regole stabilite dalle parti nel contratto di rete (22). L’unico limite espresso che pare rinvenirsi, rispetto all’autonomia negoziale delle parti del contratto in discorso, è collocato nella prima parte del comma 4-quater, ove il legislatore sottolinea che il contratto di rete stipulato tra le imprese/soggetti “datoriali”, per fungere da presupposto per l’ammissione della sussistenza di un interesse implicito al distacco, deve essere valido. Questo inciso, pur essendo collocato nella prima parte della norma, non può che estendersi anche alla seconda parte della stessa, relativa alla declinazione dei presupposti costitutivi dell’innescarsi dell’opzione codatoriale. La sottolineatura circa la necessaria validità ai sensi della legge n. 5 del 2009 del contratto di rete svolge da un lato la fun(21) Su questo aspetto già O. Mazzotta, Gruppi di imprese, codatorialità e subordinazione, RGL, 2013, 1, I, pp. 19 ss. (22) Parte della dottrina saluta favorevolmente l’impostazione adottata dal legislatore, ritenendo che «rendere la contitolarità il frutto di una scelta consapevole delle imprese stipulanti il contratto di rete appare […] una scelta saggia, poiché idonea a valorizzare l’efficace inserimento della prestazione del lavoratore nel contesto della collaborazione reticolare, garantendo al contempo una gestione trasparente dei rapporti di lavoro tramite una chiara attribuzione delle responsabilità proprie del datore di lavoro» (così I. Alvino, Il lavoro nelle reti di imprese: profili giuridici, cit., p. 178). Altra parte della dottrina esprime criticità e insoddisfazione di fronte alla indefinitezza e latitudine del rinvio all’autonomia privata (in questo senso cfr. A. Perulli, Contratto di rete, distacco, codatorialità assunzioni in agricoltura, cit., p. 499; T. Treu, Trasformazione delle imprese: reti di imprese e regolazione del lavoro, cit., p. 34 s., il quale indicava, come traccia per un intervento legislativo in materia, l’opportunità di un «approfondimento critico della nozione di codatorialità e le possibilità di una sua ricostruzione legislativa o meglio contrattuale»). 12 zione di delimitare alla sola figura giuridica della rete di imprese tipizzata dal legislatore del 2009 l’operatività della fattispecie (e questo è il significato precettivo della disposizione); dall’altro lato, nel ribadire, attraverso il richiamo alla validità del contratto stesso, un requisito ovvio e sovrabbondante, può essere indice dell’intenzione del legislatore di collocare i limiti all’autonomia delle parti nel fissare le regole della “codatorialità” nell’ambito del sistema giuscommercialistico. La prima notazione che può trarsi dalla delimitazione del concetto di rete di imprese cui si riferisce la novella del 2013 è la seguente: rispetto alla locuzione “rete di imprese” cui fa riferimento la dottrina nella ricerca del datore di lavoro nell’impresa reticolare (23), il contratto di rete di cui alla legge del 2009 si presenta come fattispecie particolare, circoscritta e speciale; «il contratto di rete, come definito dal nostro legislatore, è strumento capace di soddisfare alcune soltanto delle esigenze, ma non tutte, messe in luce» dal fenomeno delle reti imprenditoriali visto nel suo complesso (24). In questa accezione, dunque, la locuzione “rete di imprese”, ha uno specifico significato tecnico giuridico e, conseguentemente, anche la correlata fattispecie della codatorialità (25), si trova ad operare in un ambito ristretto, corrispondente a quello della fattispecie commercialistica di riferimento. Un ulteriore aspetto problematico in ordine all’ambito di applicazione dell’opzione codatoriale dipende dalla struttura dell’art. 7 della legge del 2013, che ha inserito la disposizione sulla codatorialità nel corpo dell’art. 30 del d.lgs. n. 276 del 2003, relativo al distacco. Questo implica di verificare se la codatorialità debba dirsi ammissibile solamente nell’ambito dell’istituto del distacco (con la (23) Cfr. I. Alvino, Il lavoro nelle reti di imprese: profili giuridici, cit., pp. 1 ss. (24) Cfr. S. Delle Monache, Il contratto di rete tra imprese, cit., p. 9. Si tenga presente che nella letteratura economica si discute su quale possa essere un intervento pubblico adeguato per le reti di impresa, anche in ordine ai contenuti dell’intervento eteronomo, da costruire in termini capaci di istituire forme di coordinamento sufficientemente flessibili e capaci di governare, attraverso l’applicazione della disciplina a tutela della concorrenza, quelli che vengono definiti “costi sociali”, ovverosia i fenomeni di collusione fra imprese operanti nello stesso mercato (sul tema si veda, per tutti, C. Bentivogli e A., op. cit., p. 355). (25) In dottrina si ritiene che le fattispecie di codatorialità di cui ai nuovi artt. 30 e 31 del d.lgs. n. 276 del 2003 realizzino fattispecie di contratto di lavoro subordinato speciali, dotate di autonomia tipologica rispetto al contratto di lavoro subordinato bilaterale enunciato dall’art. 2094 c.c. (così I. Alvino, op. cit., p. 141). 13 conseguenza di limitarne la portata al solo possibile svolgimento di determinate attività lavorative, in coerenza con il primo comma dell’art. 30) ovvero, al contrario, se possa considerarsi una fattispecie a carattere generale, intermedia, e speciale, rispetto al distacco e alla somministrazione (una sorta di nuova ipotesi di “interposizione brevettata” (26)), idonea a configurare un mercato interno del lavoro nelle reti di impresa. A questo riguardo, l’ampiezza della formulazione dell’ultima parte del nuovo comma 4-ter dell’art. 30, pare consentire di ritenere che, in virtù della struttura lessicale dell’ultima parte della norma, introdotta dall’avverbio inoltre, l’istituto abbia portata generale e sia applicabile a tutte le imprese che abbiano stipulato un valido contratto di rete (27). Riconosciuta la portata generale della nuova fattispecie, pur se limitata alle reti di impresa tipizzate dal legislatore del 2009, si deve passare a verificare quali siano le condizioni di validità del contratto di rete, in quanto, come si è detto, la validità di esso si pone quale presupposto per l’operatività dell’istituto della codatorialità. In questa prospettiva occorre considerare che nel contratto di rete l’autonomia delle parti è fortemente limitata sotto il profilo funzionale, ma non subisce quasi alcun limite quanto al contenuto degli obblighi e dei diritti reciprocamente assumibili (28). Le numerose modifiche apportate, nell’arco degli ultimi cinque anni, alla disciplina del contratto di rete mostrano un processo di (26) Sulla ricostruzione del lavoro interinale come una forma di “interposizione brevettata” si veda G. Suppiej, L’interposizione brevettata, ADL, 1998, 1, pp. 19 ss. (27) Conforme, nel senso espresso nel testo, A. Perulli, Contratto di rete, distacco, codatorialità, cit., p. 492. (28) Di qui la criticità evidenziata nella letteratura economica dove si evidenzia come l’ampia indeterminatezza della regolazione legislativa, se da un lato garantisce flessibilità, dall’altro «aumenta i costi di transazione degli operatori per valutare la serietà e l’adeguatezza dell’assetto regolamentare concretamente prescelto dalle parti». In questo senso C. Bentivogli e A., Il contratto di rete: limiti e opportunità, cit., p. 362. Questi Autori sottolineano come gli ampi margini di flessibilità dello strumento del contratto di rete così come disciplinato dalle misure introdotte nel 2009, e successivamente modificate, danno luogo ad un’elevata indeterminatezza circa la disciplina degli aspetti organizzativi, dei diritti patrimoniali e di voice degli aderenti, rimessa totalmente all’autonomia privata, con conseguente incertezza per i terzi che entrino in contatto con la rete circa l’adeguatezza e l’affidabilità dei singoli contratti stipulati. La conclusione cui giungono gli Autori è quella di sottolineare l’utilità di orientare l’autonomia privata verso modelli regolamentari più efficienti e verso l’elaborazione di modelli contrattuali non vincolanti che contengano una disciplina degli aspetti organizzativi e patrimoniali coerenti con le finalità di volta in volta perseguite. 14 progressiva dilatazione dell’oggetto del contratto, attualmente capace di consentire ad una pluralità di imprenditori, sulla base di un programma comune, di costituire tra loro reti, che possono avere tre diverse configurazioni (reti semplici, reti con elementi di organizzazione e reti soggetto (29)), e di obbligarsi anche «a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica», il tutto nell’ottica del perseguimento dello «scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato» (art. 3, comma 4-ter, d.l. n. 5 del 2009, nel testo attualmente vigente). Il complesso logico sistematico della normativa ha indotto la parte maggioritaria della dottrina civilistica a ritenere che il contratto di rete costituisca un contratto plurilaterale tipico (30) con comunione di scopo (31), dove lo scopo è espressamente specificato dal legislatore attraverso il riferimento ad una funzione individuata in maniera sufficientemente precisa. Le parti contraenti devono perseguire, invero, mediante la stipulazione del predetto contratto, «lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la pro(29) In ordine alle più recenti modifiche in materia di reti soggetto cfr. G. Guzzardi, Art. 45, d.l. n. 83 del 2012 e art. 36, d.l. n. 179 del 2012. Ancora novità in tema di contratti di rete, Studium Juris, 2013, n. 12, pp. 1341 ss. (30) In dottrina il problema è discusso in quanto, mentre la funzione del contratto di rete è delineata in maniera sufficientemente precisa dalla legge, altrettanto non avviene a proposito dell’oggetto del contratto, se inteso come contenuto dei rapporti obbligatori che formano la struttura effettuale della fattispecie, ponendosi il problema di verificare se la tipicità funzionale può supplire all’atipicità contenutistica. Concretamente, si tratta di capire se il contratto di rete vada considerato come un contratto associativo oppure come un contratto trans-tipico. La soluzione richiamata nel testo assume il carattere associativo del contratto di rete partendo dalla considerazione che lo scopo del contratto medesimo è quello dell’accrescimento, «individualmente e collettivamente», della competitività delle imprese partecipanti alla rete, le quali devono dunque mirare non già ognuna ad un risultato utile soltanto per sé, ma ad un risultato cui tutte sono interessate e verso cui tutte tendono appunto collettivamente. Il contratto, del resto, è aperto all’adesione di nuove parti, il che dimostra la vocazione del contratto stesso a prospettarsi come fonte di un assetto di interessi suscettibile di essere accolto da altri imprenditori perché orientato alla realizzazione di uno scopo comune che anch’essi possono condividere (in questo senso si veda S. Delle Monache, Il contratto di rete tra imprese, cit., p. 9 ss.). (31) Un contratto, dunque, in cui le prestazioni di ciascuna parte, secondo la formula di cui all’art. 1420 c.c., «sono dirette al conseguimento di uno scopo comune». 15 pria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato». La norma richiama il requisito della causa del nuovo contratto ( 32), che viene ripreso nella prescrizione in forza della quale il programma di rete deve anche indicare «le modalità di realizzazione dello scopo comune». Più in dettaglio, risulta essenziale, ai fini del valido perfezionamento della fattispecie, l’indicazione «degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate […] per misurare l’avanzamento verso tali obiettivi». Questa previsione va riferita alla causa del contratto di rete, che dunque le parti, secondo il meccanismo della expressio causae (33), devono prima precisare, concretizzare, e poi realizzare. La mancata indicazione degli obiettivi strategici determina la nullità del contratto per difetto originario della causa (34). La legge, per contro, lascia ampiamente indeterminata la regolazione dell’oggetto del contratto stesso. Il programma di rete è la sede per l’enucleazione «dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante», ma in relazione al contenuto di questi diritti e obblighi reciproci l’autonomia delle parti non subisce quasi alcun limite, salvo il fatto che essi devono risultare funzionali a realizzare dello scopo da cui il contratto è connotato per legge. Il legislatore, invero, nella parte iniziale della disciplina, indica l’ambito dei possibili impegni assumibili dai partecipanti alla rete tramite la seguente locuzione: «con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo […] e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune […]». Il contenuto di questi obblighi può variare fino a ricomprendere qualsiasi prestazione a carattere imprenditoriale (35). L’elemento problematico, ed in qualche modo spurio rispetto alla configurabilità del contratto di rete come con(32) Cfr. V. Cuffaro, Contratti di impresa e contratti tra imprese, Corr. Merito, 2010, pp. 5 ss., ed, ivi, p. 7. (33) Sul tema si veda, di recente, M. Martino, L’expressio causae. Contributo allo studio dell’astrazione negoziale, Giappichelli, 2011. (34) Il difetto della causa vista nella sua dimensione funzionale, che si verifica allorquando, nello svolgersi del rapporto, non si determini alcun avanzamento o progresso significativi, può consentire l’azione di risoluzione o attribuire alle parti il potere di recesso. (35) L’ampiezza della formulazione normativa consente di ritenere ben possibile stabilire, mediante un programma comune, che una delle imprese retiste possa ad es. impegnarsi a svolgere anche nei confronti delle altre l’attività di trasporto da essa già esercitata strumentalmente alla realizzazione del suo oggetto imprenditoriale. 16 tratto tipico con funzione associativa, è dato dal riferimento allo scambio di prestazioni. La dottrina civilistica, sul punto, è divisa fra chi, in ragione del riferimento allo scambio di prestazioni tra i soggetti retisti, ritiene che il contratto di rete vada considerato un contratto trans-tipico, mera combinazione di elementi suscettibili di essere tenuti insieme da articolazioni causali disparate, senza che queste debbano ricondursi e risolversi in una funzione costante (36), e chi invece interpreta il riferimento allo scambio in maniera atecnica, senza attribuire ad esso il significato che tra le prestazioni che le parti assumono l’impegno di compiere possa scaturire un nesso sinallagmatico (37). Seguendo quest’ultima impostazione, più coerente rispetto alla qualificazione del contratto come contratto plurilaterale con comunione di scopo, si perviene alla conclusione secondo la quale il nesso sinallagmatico «dovrà escludersi e il contratto andrà qualificato, al di fuori di qualunque ipotesi, pur possibile, di mistione di elementi causali, come rispondente al tipo (si può a questo punto dire) del contratto di rete sempre che sussistano le condizioni di seguito precisate: l’attività a cui l’impresa si impegna deve consistere in un servizio messo a disposizione della compagine delle imprese retiste nel suo complesso; non dev’essere prevista alcuna remunerazione a carico delle imprese che ne usufruiscano di volta in volta; l’attività medesima deve presentarsi, ad una stregua oggettiva, come funzionale alla realizzazione dello scopo comune di accrescimento della capacità di stare sul mercato delle imprese retiste» (38). Il contratto di rete di imprese si presenta dunque come dotato di una fisionomia sua propria, ben distinguibile, tra l’altro, dal contratto di appalto, che è un contratto tipicamente di scambio (39). (36) Cfr. F. Cafaggi, Il nuovo contratto di rete: “Learning by doing”?, I Contr., 2010, pp. 1143 ss., ed, ivi, p. 1146. (37) In questo senso S. Delle Monache, Il contratto di rete tra imprese, cit., p. 14; R. Santagata, Il “contratto di rete” fra (comunione di) impresa e società (consortile), RDC, 2011, n. 3, pp. 323 ss.; A. Gentili, Il contratto di rete dopo la l. n. 122 del 2010, I Contr., 2011, pp. 625 ss. Nella dottrina giuslavoristica chi si è occupato della questione sembra accogliere la ricostruzione dell’istituto in termini di contratto con comunione di scopo; in questo senso, se si è ben inteso, A. Perulli, Contratto di rete, distacco, codatorialità, cit. p. 469 s. (38) Così S. Delle Monache, Il contratto di rete tra imprese, cit., p. 15. (39) La netta distinzione rispetto ai contratti sinallagmatici consente di ridurre il potenziale di uso fraudolento dell’istituto che non potrà, conseguentemente, essere va- 17 5. Contratto di rete, codatorialità, appalto e responsabilità. L’affermazione di una differenza causale tra il contratto di rete e il contratto di appalto ha implicazioni lavoristiche molto rilevanti, anche in considerazione del fatto che l’indagine statistica rileva come la maggior parte degli obiettivi che le imprese trasfondono nei contratti di rete abbia carattere orizzontale, nel senso che la rete opera sulla stessa tipologia di prodotto (40). Se si ammette, invelidamente utilizzato nei casi in cui difetti, tra le parti, una operazione economica unitariamente perseguita e risultante dal programma di rete, l’esame del quale diventerà prioritario nell’attività di controllo giudiziale della codatorialità. Il contratto di rete potrà dunque consentire alle parti di «governare una catena di subfornitura condividendo standard produttivi o di qualità, o ancora amministrare la conclusione e l’esecuzione coordinata di contratti di appalto da parte degli aderenti» (così A. Perulli, op. loco cit., p. 472) oppure prevedere che una delle imprese retiste possa impegnarsi a svolgere anche nei confronti delle altre l’attività di trasporto da essa già esercitata strumentalmente alla realizzazione del suo oggetto imprenditoriale, mettendo, sostanzialmente, un servizio a disposizione della compagine delle imprese retiste nel suo complesso (così S. Delle Monache, op. cit., p. 15); non può però ammettersi che le imprese retiste che usufruiscono delle prestazioni di servizio vengano gravate dall’obbligo di versamento di un corrispettivo, il che imporrebbe di ricondurre il rapporto giuridico al contratto tipologicamente corrispondente, rispettivamente di appalto o trasporto. Diversa, naturalmente, rispetto alla pattuizione di un corrispettivo per i servizi è la regolazione delle modalità di adeguata redistribuzione dei profitti (su questo aspetto, nella prospettiva dell’analisi economica, cfr. C. Menard, The Economics of Hybrid Organizations, Journal of Institutional and Theoretical Economics, 2004, n. 3, pp. 345 ss.). (40) La rilevazione operata da Confindustria sui contratti di rete esistenti al 5 dicembre 2011 include il 44,6% delle imprese tra le reti orizzontali, mentre il 29,8% fa parte di reti di filiera ed il restante partecipa a reti di ricerca e sviluppo (si veda la sintesi del data set di Confindustria proposta da C. Bentivogli e A., op. cit., p. 369). Tra gli obiettivi delle c.d. reti orizzontali si inserisce la condivisione, tra le imprese retiste, di alcuni servizi, quali la commercializzazione, il trasporto; le reti di filiera perseguono invece l’obiettivo di riunire imprese che operano singole lavorazioni distinte lungo tutta la filiera. È evidente che il contratto di rete può svolgere un ruolo significativo nella regolazione della logistica commerciale e distributiva, soprattutto nell’ottica dei modelli più recenti, ispirati alla c.d. “New Lean Thinking”, nella declinazione del c.d. “Supply Chain Management” (sulla lean production la bibliografia è sconfinata; si veda fra i tanti E. Napoli - S. Tonchia, Lean Management, Il Sole 24 ore, 2010; J. Mangan - C. Lalwani - T. Buthcer, Global logistics and supplì chain management, Chichester, 2008; D.J. Bowersox - D.J. Closs, Supply chain logistics management, McGraw, 2010). Si pensi, solo per fare un esempio, ai gravi problemi giuridici originati dall’applicazione del divieto di interposizione alle modalità di rifornimento caratterizzate dal c.d. “Giro del Latte” o “Milk Round”, in cui un automezzo, gestito e pagato dal cliente si reca 18 ro, la natura non sinallagmatica del contratto in parola, si dovrebbe conseguentemente pervenire all’esclusione della fattispecie dall’ambito di operatività del sistema legale della responsabilità solidale nelle catene di appalti (41) oltre che, naturalmente, dell’intero impianto sanzionatorio dell’interposizione di manodopera di cui al d.lgs. n. 276 del 2003, che tornerebbe, evidentemente, applicabile, in caso di riqualificazione del contratto di rete come contratto di appalto a causa dell’eventuale prevalenza di una relazione sinallagmatica tra le obbligazioni reciprocamente assunte dalle imprese retiste (42). giornalmente (o comunque a cadenze regolari), ad orario prestabilito e costante, presso ogni fornitore per scaricare gli imballi vuoti e ritirare quelli pieni che saranno già disponibili nell’area di spedizione. È evidente che il flusso del processo di approvvigionamento (che inizia con accettazione, controllo e stoccaggio e si conclude con il ricevimento delle merci) tipico dei sistemi di “Lean Production” implica una serie di interscambi e contatti fra il personale delle diverse imprese della “rete” che facilmente possono violare il divieto di interposizione soprattutto in ragione dell’esercizio del potere direttivo e organizzativo sulla manodopera da parte del committente. Il contratto di rete e l’innesco della codatorialità possono funzionare come strumenti di regolazione di questi fenomeni anche in funzione di contrasto rispetto al divieto legale di interposizione. Sul tema si veda A. Salamone, Le reti logistiche e le questioni aperte in tema di regolazione del lavoro, Working Paper ADAPT, 6 giugno 2013, n. 131, www.bollettinoadapt.it. (41) Contra, sul punto, A. Perulli, Contratto di rete, distacco, codatorialità, cit., pp. 473 s., il quale, nel richiamare la giurisprudenza che ha esteso il sistema di cui all’art. 29, co. 2, d.lgs. n. 276 del 2003 all’ipotesi dell’affidamento dell’esecuzione del contratto da parte di un consorzio ad un’impresa consorziata, ritiene che i medesimi esiti interpretativi vadano estesi al contratto di rete, da considerarsi assimilabile al consorzio sotto il profilo funzionale. La questione è complessa. La dottrina civilistica, invero, conferma che la distinzione sotto il profilo causale tra contratto di consorzio e contratto di rete è “ardua”, pervenendosi financo a ritenere che il contratto di rete sia, in realtà, un particolare tipo di consorzio con attività esterna (in questo senso D. Corapi, Dal consorzio al contratto di rete: spunti di riflessione, RDC, 2010, pp. 795 ss.; G. Marasà, Contratti di rete e consorzi, Corr. Merito, 2010, p. 10); altra dottrina, diversamente, ritiene che il contratto di rete presenti delle difformità rispetto al modello consortile in relazione all’oggetto contrattuale che nel contratto di rete è più ampio rispetto al consorzio, potendosi estendere fino all’esercizio in comune di una o più attività, purché rientranti nell’ambito imprenditoriale proprio dei soggetti retisti, mentre nel consorzio vi è una limitazione a “determinate fasi” delle attività imprenditoriali esercitate dai consorziati (in questo senso cfr. S. Delle Monache, Il contratto di rete tra imprese, cit., p. 20 s.). (42) Un problema in qualche modo analogo si pone con riferimento all’applicabilità del regime di cui all’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003 al contratto di trasporto ed al c.d. “appalto di servizi di trasporto”. In argomento si veda la Circolare del Ministero del lavoro n. 17/2012 dell’11 luglio 2012. 19 Svolte le considerazioni come sopra occorre porre il problema, più in generale, della ripartizione delle responsabilità nell’ambito della codatorialità innescata dal contratto di rete. Al riguardo, la Circolare ministeriale n. 35 del 2013 afferma che «sul piano di eventuali responsabilità penali, civili e amministrative – e quindi sul piano della sanzionabilità di eventuali illeciti – occorrerà quindi riferirsi ai contenuti del contratto di rete, senza pertanto configurare “automaticamente” una solidarietà tra tutti i partecipanti al contratto». La Circolare valorizza, nella sostanza, il rinvio operato dalla norma in commento alle «regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso» anche al fine del governo della responsabilità. Autorevole dottrina, sul punto, ha manifestato una netta critica evidenziando che il sistema della codatorialità è espressione di una «tecnica di responsabilità solidale di due (o più imprese) qualora il potere direttivo e di controllo viene esercitato congiuntamente, nonché, più in generale, come tecnica di “ricomposizione” della figura imprenditoriale», donde la conclusione secondo cui l’effetto di responsabilità congiunta sarebbe inderogabile (43). A sostegno di questa soluzione viene richiamata la norma di cui all’art. 9, co. 11, della legge n. 99 del 2013, a mente della quale «i datori di lavoro rispondono in solido delle obbligazioni contrattuali, previdenziali e di legge che scaturiscono dal rapporto di lavoro». Detta norma, peraltro, trova applicazione esclusivamente alle assunzioni congiunte in agricoltura, ciò che dovrebbe condurre ad ammettere che la fattispecie della “codatorialità” di cui all’art. 30 del d.lgs. n. 276 del 2003 è qualcosa di differente rispetto alla mera contitolarità dei rapporti di lavoro, e conseguentemente a negare la sussistenza di una solidarietà legale per il caso di contratti di rete tra imprese non agricole. La sussistenza di un’obbligazione solidale tra i “codatori”, dunque, richiede di essere ricostruita sulla base delle regole generali di cui agli artt. 1292 ss. c.c., donde l’obbligazione potrà dirsi in solido solamente qualora i più debitori siano obbligati tutti per la medesima prestazione oppure quando ciascuno dei creditori ha diritto di chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione con liberazione verso tutti i creditori. Una volta, poi, che sussistano tutti i detti requisiti nell’ambito delle modalità di regolazione della codatorialità, resta da considerare che il rinvio al programma di rete pone il pro(43) In questo senso A. Perulli, Contratto di rete, distacco, codatorialità, cit., p. 501 s. 20 blema di verificare in che modo le regole stabilite tra le parti dello stesso possano estendersi ai (e vincolare i) lavoratori “ingaggiati” con le regole stabilite attraverso il contratto di rete medesimo. In relazione a questa problematica occorre considerare che il contratto di rete è soggetto ad iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e che l’efficacia della detta iscrizione pare essere quella di rendere il contratto di rete opponibile ai terzi (44), tra i quali vanno annoverati anche i lavoratori “ingaggiati” con le regole stabilite attraverso il contratto di rete (45). Si tratta dunque di capire se le regole che le (44) Nella dottrina civilistica si tende a ritenere che l’efficacia dell’iscrizione sia quella prevista dall’art. 2193 c.c. ai fini dell’opponibilità ai terzi (cfr. in questo senso S. Delle Monache, Il contratto di rete tra imprese, cit., p. 5). La norma di legge precisa che il contratto di rete deve essere stipulato con l’osservanza di determinate forme soltanto «ai fini degli adempimenti pubblicitari». Questa circostanza porta la dottrina a ritenere che sia da escludere che la mancata o insufficiente indicazione, all’interno del testo contrattuale, di uno degli elementi richiesti, possa di per sé tradursi a sua volta in una causa di nullità; piuttosto, l’incompletezza contenutistica del testo, cioè il non corretto adempimento degli oneri di forma-contenuto fissati dal legislatore, sembra costituire ostacolo all’iscrizione del contratto nel registro delle imprese con conseguente inopponibilità dei suoi effetti ai terzi, salvo che si provi che ne abbiano avuto conoscenza. In questo senso S. Delle Monache, Il contratto di rete tra imprese, cit., p. 6, il quale evidenzia che le prescrizioni di forma-contenuto prescritte dalla legge del 2009 costituiscono una manifestazione del c.d. “neoformalismo negoziale”, in cui «l’incorporazione di un contenuto minimo dentro la struttura formale diviene un autentico leit motiv» (tra virgolette l’A. cita L. Modica, Vincoli di forma e disciplina del contratto, dal negozio solenne al nuovo formalismo, Giuffrè, 2008, p. 128). (45) Si tenga conto del fatto che l’art. 3, comma 4-ter, della legge del 2009, prescrive particolari requisiti formali ai fini degli adempimenti pubblicitari ricordati, ed è molto rigorosa nel prescrivere requisiti contenutistici che fungono da requisiti di formacontenuto. Devono, in particolare, risultare, ed essere ricompresi, nel testo contrattuale, tra l’altro, gli obiettivi strategici e le modalità concordate per misurare l’avanzamento verso tali obiettivi, la definizione del programma di rete, le modalità di realizzazione dello scopo comune oltre alle regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune che non rientri, quando è stato istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti a tale organo. Tra gli elementi di forma-contenuto v’è anche quello delle «modalità concordate […] per misurare l’avanzamento» verso i comuni «obiettivi strategici» questo tramite una collaborazione la cui efficienza va progressivamente misurata nel tempo. Il programma comune deve contenere innanzitutto «l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante», obblighi il cui contenuto può consistere nella collaborazione in forme e ambiti predeterminati relativi allo svolgimento delle singole imprese, nello scambio di informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica nell’esercizio in comune di una o più attività rientranti nell’oggetto imprenditoriale dei soggetti retisti. L’oggetto è delineato in maniera 21 parti del contratto di rete si danno in ordine anche alla ripartizione delle responsabilità, derogatorie rispetto alla regola della solidarietà anche ai sensi dell’art. 1294 c.c., possano opporsi ai lavoratori assunti attraverso quelle medesime regole che, una volta dato corso agli adempimenti pubblicitari, risultano opponibili ai terzi. L’estensione delle deroghe alla solidarietà ai lavoratori richiede il consenso dei lavoratori stessi, che non sono evidentemente parte del contratto di rete, il che verosimilmente avverrà nella misura in cui la locuzione “lavoratori ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso” indurrà la prassi ad inserire nel corpo dei contratti di lavoro una esplicita adesione al contratto di rete, da allegare ai contratti medesimi, per la parte di rilevanza lavoristica (46). Il problema dell’estensione degli effetti del contratto di rete ai lavoratori è alla base della costruzione operata dal legislatore del 2013 e dell’integrale demando della regolazione della codatorialità all’ambito delle intese negoziali tra le parti del contratto “commerciale” di rete. Esso ha una rilevanza molto forte in relazione a tutti gli aspetti dell’organizzazione dei poteri (direttivo, di controllo e disciplinare), in relazione ai quali il contratto di rete dovrà fornire indicazioni ripartendo i diversi ruoli, identificando le imprese abilitate ad esercitare le prerogative datoriali e specificando le concrete modalità di esercizio dei poteri stessi. Il rinvio e la reciproca interazione fra il contratto di lavoro e il contratto di rete istituisce un collegamento negoziale che è suscettibile di agire «come fattore di cambiamento dei contenuti dei rapporti di lavoro, modulando la struttura dell’obbligazione in funzione degli obiettivi condivisi dalle imprese organizzate in forma reticolare. […] prestare la propria attività a favore della rete può stimolare l’arricchimento dei contenuti del lavoro, l’apprendimento di compiti e delle competenze trasversali, contribuendo al contempo molto indefinita, con la conseguenza che le parti devono prestare attenta cura nella messa a punto del programma comune in quanto l’insufficiente determinazione del contenuto degli impegni assunti dalle parti, non essendoci spazio per alcun meccanismo di integrazione legale del contratto, provoca la nullità di quest’ultimo in virtù del combinato disposto di cui agli artt. 1346 e 1418 co. 2 c.c. (46) Il meccanismo dell’opponibilità tramite iscrizione nel registro delle imprese non pare sufficiente al fine di rendere efficace nei confronti dei lavoratori la deroga eventualmente pattuita ai sensi dell’art. 1294 c.c. Sugli effetti diretti e indiretti del negozio si veda, per tutti, F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Jovene, 1966, pp. 236 ss. 22 a realizzare forme di flessibilità organizzativa e di evoluzione dei contenuti professionali del lavoro» (47). (47) Così A. Perulli, Contratti di rete, distacco, codatorialità, cit., p. 474.