Proiettato a Padova il film "Mi chiamava Valerio" per

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Proiettato a Padova il film "Mi chiamava Valerio" per
Bici d'epoca e bici d'oggi
Proiettato a Padova il film "Mi chiamava Valerio" per ricordare Coppi
"Mi chiamava Valerio"
Storia di un gregario all’ombra del mito
La serata è stata presentata da Mario Labadessa direttore della rivista BICI D'EPOCA e Gianni Vitali critico
cinematografico della PROMOVIES. Molti ospiti illustri del ciclismo storico-vintage hanno partecipato al dibattito sul film
fra cui Alessio Berti,Alberto Paccagnella,Giuliano Calore,Gianfranco Trevisan,Flavio Miozzo. Sul palco due bici da corsa
originali appartenute a Fausto Coppi hanno dato lustro alla serata.
di Giovanni Bettini
Valerio Falsini rende omaggio al mauseleo di F.Coppi e Serse Coppi a Castellania (AL)
Padova 17 marzo 2014. Storia di un gregario all’ombra del mito
Il ciclismo ti prende e ti porta via. E’ una brutta malattia, attacca, non se ne va e quella passione ti rimane dentro
per sempre. Lo sa bene Valeriano Falsini nato a Reggello (Fi), contrada La Vecchia, il 3 novembre del 1928. Famiglia
numerosa due fratelli e due sorelle. Mamma casalinga, papà venditore di pentole ed è una fortuna. Almeno ci sono le
scarpe per andare a scuola.
Valeriano la bici la conosce per andare al lavoro. Su e giù per le colline del Valdarno a stantuffare sui pedali poi gli amici
e i colleghi che lo spingono a provare con le gare e lui che ci prova senza pensarci un attimo. Vince tre corse su tre tra
gli amatori non tesserati così arriva il salto nell’agonismo, tra gli allievi prima e i dilettanti poi. Falsini vince e rivince
e strappa un contratto da professionista. Nel 1950 è nella Girardengo guidato dal “Campionissimo”
Costante.
La svolta di una carriera e della vita arriva a fine stagione. Coppi in persona chiede a Valeriano di approdare nella sua
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Bianchi-Pirelli. Un sogno, un regalo, un’emozione per il toscanaccio Valeriano, nato nella terra di Bartali, ma
cresciuto con il mito di Coppi. «Valeriano è troppo lungo – dice Fausto – meglio Valerio è più veloce e
dammi del tu, visto che siamo tra ciclisti».
1951, 1952, 1953, tre stagioni all’ombra del mito a fendere l’aria, a spianare la strada, a scarrozzare la bici
del campione alla punzonatura. Quando stare con Coppi significa respirare Coppi, essere di Coppi, diventare Coppi.
Devoti alla causa fino all’ultima goccia di sudore. Gregari, angeli devoti di un mito. C’erano i fedelissimi
Carrea e Milano e c’era lui Falsini, il ragazzo di provincia protagonista del suo sogno, interrotto in fretta a causa di
un’artrite alla colonna vertebrale. Nonostante tutto, nonostante tutti oggi Valeriano c’è. Lo vedi sempre con
la maglia di lana della Bianchi-Pirelli addosso con la schiena piegata in avanti dall’età che in sella diventa una cosa
sola con la bici. Lo vedi sempre il 2 gennaio a Castellania al monumento dedicata a Fausto e Serse Coppi.
E’ questa dopo tutto la storia di uno degli ultimi “Angeli di Coppi” raccontata nel film “Mi
chiamava Valerio” di Igor Biddau e Patrizio Bonciani. Campioni di provincia, gregari all’ombra del mito
Coppi, devoti ancora oggi al grande Fausto. Agli autori è riuscita un’impresa, una sorta di Cuneo-Pinerolo del
cinema: riuscire a catturare e a proporre al grande pubblico una storia semplice, ma ricca d’Amore, di valori e
significati che vanno ben oltre il carattere sportivo della vicenda attraverso costumi, luci, panorami e biciclette che
riportano lo spettatore dento il tempo della storia. Nella genuinità di Valeriano e di tutti i ciclisti come lui abita il ciclismo.
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