la violazione degli obblighi di assistenza familiare
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la violazione degli obblighi di assistenza familiare
LA VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI ASSISTENZA FAMILIARE Tradizionalmente si è insegnato che l'art. 570 c.p. tutela la solidarietà familiare nel suo carattere solidaristico e comunitario quale formazione sociale funzionale alla crescita della persona umana che vi partecipa sicché le violazioni del dovere di solidarietà familiare e coniugale feriscono il c.d. ordine pubblico familiare intessuto di aspetti non solo patrimoniali ma anche morali che richiedono una protezione penale in quanto riprovati tuttora dalla coscienza sociale. Più recentemente tuttavia, senza che ciò suoni negazione totale del precedente orientamento, si è posto l'accento sulla circostanza che i singoli aventi diritto sarebbero i soggetti direttamente tutelati dalla norma, fondando tale convincimento sulle profonde trasformazioni che hanno caratterizzato, nella seconda metà del secolo scorso, l'istituzione familiare "con uno spostamento di attenzione del legislatore dal gruppo ai suoi componenti all'interno della formazione sociale - famiglia che questi contribuisce a formare, con una valorizzazione dei singoli rapporti che in essa traggono origine e si sviluppano" (così Cass. Sez VI 6 giugno 2002 n. ,36070) La struttura della incriminazione L'art. 570 c.p. si compone di varie ipotesi precisate rispettivamente nel primo e nel secondo comma dedicati l'uno alla violazione degli obblighi di assistenza incombenti sui coniugi e sui genitori, l'altro alla mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza al coniuge non legalmente separato per sua colpa, ai figli minori o inabili al lavoro, agli ascendenti (comma 2 n.2) e alla ipotesi (di fatto minoritaria) della malversazione e della dilapidazione dei beni del figlio o del coniuge (comma 2 n. 1). Le ipotesi del secondo comma secondo sono figure autonome di reato e non circostanze aggravanti del reato di cui al primo comma. Contestazioni chiuse e contestazioni aperte La giurisprudenza della Cassazione è ferma sul principio di diritto per cui, in tema di violazione degli obblighi di assistenza (anche economica) familiare, quando la condotta è contestata con l'individuazione della sola data d'inizio deve ritenersi che il reato è permanente e che il termine di prescrizione decorre dalla data della sentenza di condanna di primo grado e non dalla data di emissione del decreto di citazione a giudizio ovvero da quella del formale esercizio dell'azione penale. In caso di adempimento degli obblighi o di versamento dei mezzi di sussistenza da tale momento decorre la prescrizione. , Si è precisato inoltre che... Se nel decreto di rinvio a giudizio per un reato permanente viene contestata una durata della permanenza individuata con precisione nel tempo (momento iniziale e finale), il giudice può tenere conto del successivo protrarsi della consumazione soltanto quando esso sia stato oggetto di un'ulteriore contestazione ad opera del P.M. ex art. 516 c.p.p. e, ciò, per la palese ragione che la posticipazione della data finale della permanenza viene ad incidere sulla individuazione del fatto come inizialmente contestato, comportandone una diversità, sotto il profilo temporale, che influisce sulla gravità del reato e sulla misura della pena e può condizionare l'operatività di eventuali cause estintive (Cassazione penale, sez. VI, 9 marzo 201, n. 12415) Per completezza va ricordato che diversamente la giurisprudenza civile (da ultimo Cass. civile Sez. I, 14 gennaio 2014, n. 336) ha statuito che il diritto alla corresponsione dell'assegno di divorzio, in quanto avente ad oggetto più prestazioni periodiche, distinte ed autonome, si prescrive (in 5 anni) non a decorrere da un unico termine costituito dalla sentenza che ha pronunciato sul diritto stesso, ma dalle scadenze delle singole prestazioni imposte dalla pronuncia giudiziale, in relazione alle quali sorge di volta in volta l'interesse del creditore all'adempimento PERMANENZA E NON CONTINUAZIONE A conforto di tale conclusione si è evidenziata la soluzione paradossale cui si perverrebbe optando per una ricostruzione sistematica che, nel caso di protrazione dell'inadempimento, desse autonomo rilievo al singolo inadempimento, riportando tale protrarsi nel fenomeno della continuazione anziché della permanenza. Immaginando infatti un lungo consapevole e deliberato protrarsi nel tempo dell'inadempimento, il limite del triplo rispetto alla occasionale pena base determinata per il primo episodio condurrebbe all'inaccettabile conseguenza di una sorta di "licenza di delinquere" per i comportamenti ulteriori. LE SINGOLE IPOTESI DI REATO PREVISTE DALL'ART. 570 C.P. I concetti di domicilio domestico e di ordine e morale della famiglie Il domicilio domestico: il luogo in cui si attua la coabitazione delle persone che convivono familiarmente (obbligo ex art. 143 c.c.) e coincide con la casa coniugale; L'ordine e la morale della famiglia è quell'insieme di valori fondati sulla leale collaborazione e sul reciproco legame affettivo che assicurano l'unità, la prosperità, la pace, la solidarietà, la dignità, la sicurezza di quella particolare formazione sociale di carattere naturale basata sul matrimonio. Si tratta di “quel nucleo di valori e di interessi in cui si riconosce una famiglia media italiana” Così Fiandaca-Musco ( Diritto penale Parte speciale, Zanichelli, 2006) La criticata genericità della espressione “ordine e morale” fu oggetto di censura di costituzionalità ma le Corte Costituzionale ebbe a dichiarare non fondata la questione, rilevando – in modo sintetico ma efficace – che «non contraddice al principio di legalità della pena il fatto che il legislatore, anziché procedere ad una rigorosa e tassativa descrizione di un fatto-reato, ricorra per la sua individuazione a concetti extragiuridici diffusi e generalmente compresi nella collettività in cui il giudice opera» (sent. 13 gennaio 1972 n. 42) La violazione degli obblighi di assistenza L'insegnamento che stimava che il primo comma dell'art. 570 riguardasse solo gli obblighi di "assistenza morale", che si concretizzino nella violazione ingiustificata dell'obbligo di coabitazione ovvero in altri comportamenti comunque riconducibili alla nozione di "ordine e morale familiare", è stato superato dalle Sezioni Unite (31 gennaio 2013 n.23866) che ha stabilito che negli obblighi di assistenza coniugale rientrano anche quelli di assistenza materiale relativi all'appagamento di esigenze economicamente valutabili dell'altro coniuge (aiuto nel lavoro - studio - malattia, etc.) e la corresponsione dei mezzi economici necessari per mantenere il tenore di vita della famiglia. Tali obblighi pur attenuati, permangono anche in caso di separazione personale dei coniugi, come si desume dall'art. 146 c,c, che prevede la sospensione del diritto all'assistenza morale e materiale nei confronti del coniuge che, allontanatosi senza giusta causa dalla residenza familiare, rifiuta di tornarvi. Non è necessaria per l'integrazione della fattispecie incriminatrice del primo comma diversamente da quella contemplata dal secondo comma, la determinazione di uno stato di bisogno in danno della persona avente diritto quale conseguenza della condotta in violazione dei doveri di assistenza materiale di coniuge e di genitore (sez. VI, 4 novembre 2014 n. 47139) Analogamente è da dire per quanto riguarda l'obbligo di assistenza verso i figli, laddove il dovere di mantenere i figli minori e maggiori non autosufficienti é previsto dagli artt. 147 e 148 c.c., per i genitori in costanza di matrimonio e dall'art. 155 c.c., (come modificato dalla legge n. 54/ 2006) per i genitori separati, applicabile anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati in forza dell'art. 4, comma 2, della stessa legge. Le predette norme obbligano i genitori a far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione - fin quando l'età dei figli lo richieda - di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione (Sez. I civ. 19 marzo 2002 n. 3974) Di conseguenza ... ...conclude la sentenza delle Sezioni Unite che come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza in materia civile, l'obbligo di assistere l'altro coniuge e i figli ha un contenuto materiale che va ben al di là dell'obbligo di non far mancare al coniuge e ai figli i mezzi di sussistenza (ossia ciò che è indispensabile per farli vivere) sicché deve affermarsi che rientra nella tutela penale apprestata dall'art. 570 c.p., comma 1, ovviamente nella sussistenza di tutti gli altri elementi costitutivi della fattispecie, la violazione dei doveri di assistenza materiale di coniuge e di genitore, previsti dalle norme del codice civile. L'abbandono del domicilio domestico non è punibile di per sé ma solo in quanto abbia avuto per risultato la violazione degli obblighi di assistenza inerenti alla qualità di coniuge perché la norma riconduce l'abbandono a una delle possibili condotte contrarie all'ordine o alla morale delle famiglie. Esso é considerato connotato da disvalore etico sociale soltanto quando é privo di una giusta causa. Infatti, a seguito della riforma del diritto di famiglia costituisce giusta causa di abbandono, preclusiva di conseguenze penali, ogni situazione oggettiva tale da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza tra i coniugi o da recare pregiudizio all'educazione dei figli, con esclusione di quelle situazioni aventi a base motivi futili o comunque scelte non rispondenti all'assunzione di una responsabilità familiare. Pertanto il compito del giudicante non può esaurirsi nell'accertamento del fatto storico dell'abbandono,comprendendo di necessità la ricostruzione della situazione in cui esso si è verificato, al fine di valutare la presenza di cause di giustificazione, per impossibilità intollerabilità od estrema pericolosità della convivenza (Sez. VI, 14 ottobre 2004, n. 44614) ricordandosi quel filone giurisprudenziale che muovendo dall'art. 151 c.c. (esistenza di ragioni anche solo oggettive per integrare condizioni tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza ) valorizza le ragioni di carattere interpersonale che non consentono il mantenimento dei rapporti a livelli umanamente accettabili . Il dovere di fedeltà va inteso nel senso più profondo di comportamento leale finalizzato alla realizzazione e al rafforzamento costante della comunione, materiale e spirituale, tra i coniugi, sicché l'astensione da contatti sessuali con altre persone non è in sé parte degli obblighi di assistenza familiare, con la conseguenza che il semplice fatto di adulterio non coinvolgente la partecipazione di un coniuge alla vita dell'altro (sul piano morale, intellettuale e affettivo, oltre che fisico) non è sufficiente a integrare la condotta del reato di cui all'art. 570 primo comma c.p. (sez. VI, 4 luglio 2000 n. 9440) In definitiva il reato di cui all'art. 570 comma 1 c.p. non può ritenersi configurabile per il solo fatto storico dell'avvenuto allontanamento di uno dei coniugi dalla casa coniugale giacchè si perfeziona soltanto se e quando il contegno del soggetto agente si traduca in un'effettiva sottrazione agli obblighi di assistenza materiale e morale nei confronti del coniuge "abbandonato". Infatti, alla luce della normativa regolante i rapporti di famiglia e della stessa evoluzione del costume, la qualità di coniuge non è più uno stato permanente, ma una condizione modificabile per la volontà anche di uno solo, di rompere o sospendere il vincolo matrimoniale. Tale volontà pur se non perfezionata nelle specifiche forme previste per la separazione, può essere idonea ad interrompere senza colpa e senza effetti penalmente rilevanti taluni obblighi, tra i quali quello della coabitazione. Una girandola di obblighi penalmente sanzionati: - dazione dei mezzi di sussistenza a favore del coniuge non legalmente separato con addebito e dei figli minori o inabili (art. 570 c.2 n.2 c.p.); - versamento dell'assegno divorzile (12 sexies l.898/70); -adempimento degli obblighi civili di natura economica nei confronti dei figli minori e dei maggiorenni non indipendenti o portatori di handicap (artt. 155 e 155 quinques cod. civ. sanzionato ex art. 12 sexies legge divorzio) L'art. 570 c.p. è espressione del modello di famiglia pubblicistico adottato dal legislatore del 1930 e, per gli espliciti riferimenti alle qualità dei soggetti passivi del reato (coniuge, ascendenti, discendenti etc.), non ha consentito all'interprete di ampliare la sfera operativa della norma senza incorrere nella violazione del divieto di analogia in materia penale. Quindi, per coprire i vuoti di tutela creatisi in conseguenza dell'approvazione della legge sul divorzio e della mutata sensibilità sociale, sono intervenute apposite previsioni di legge che non hanno configurato un'organica riforma della materia, lasciando immutata l'originaria fattispecie, con il rischio di creare disparità di trattamento, con riguardo alle posizioni del coniuge separato e del “coniuge” divorziato L'art. 570 c.p., comma 2, n. 2, punisce con la pena congiunta chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore ovvero inabili al lavoro ... o al coniuge, il quale non sia legalmente separato al quale non sia stata addebitata la separazione). Esso tutela i più elementari vincoli di solidarietà nascenti dal rapporto di coniugio o di filiazione. La condotta sanzionata presuppone uno stato di bisogno: infatti l'omessa assistenza deve avere l'effetto di far mancare i mezzi di sussistenza, che comprendono lo stretto necessario per la sopravvivenza e pertanto non si identificano con gli alimenti e men che meno con l'assegno di mantenimento. La più recente giurisprudenza ha esteso la tutela (oltre al vitto e alloggio) a ciò che è necessario per le "esigenze della vita quotidiana" (vestiario, canone per le utenze indispensabili, spese per l'istruzione dei figli minori, medicinali) ma la nozione di "mezzi di sussistenza" si identifica pur sempre in ciò che è indispensabile alla vita, a prescindere dalle condizioni sociali o di vita pregressa degli aventi diritto (Sez. VI, 21 novembre 2012 n.49755) Tra i mezzi di sussistenza deve ricomprendersi anche l'alloggio familiare, sicché è responsabile del reato previsto dall'art. 570 c.p. anche il coniuge che con la sua condotta rischia di far perdere alla moglie e ai figli la casa in cui vivono: in altri termini la "casa di abitazione" rientra tra i mezzi di sussistenza che devono essere assicurati al coniuge e ai minori. Nel caso in esame, l'imputato aveva omesso di contribuire al pagamento del mutuo per l'abitazione, in questo modo privando sostanzialmente la moglie del contributo per il mantenimento, distratto per il pagamento del mutuo (sez,VI, 24,07.14 n.33023) L'assegno di mantenimento è nozione più ampia, giacchè comprende tutto quanto sia richiesto per un tenore di vita adeguato alla posizione economico-sociale dei coniugi e dei figli e prescinde dallo stato di bisogno. La nozione di alimenti si pone a metà strada tra le altre due e comprende, oltre a ciò che è indispensabile per le primarie esigenze di vita, anche ciò che è soltanto utile o che è conforme alle condizioni dell'alimentando e proporzionale alle sostanze dell'obbligato (Sez. Vi, n. 27851/ 2001). Per quanto riguarda l'assegno di divorzio (art. 5 l.898/1970), le Sezioni Unite civili hanno affermato la natura esclusivamente assistenziale dell'assegno, poiché la sua concessione presuppone l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, cioè la insufficienza dei redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioè che sia necessario uno stato di bisogno, e rilevando invece l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio (Sez. Unite civ., n. 11492 del 29/11/1990) E' pacifico in giurisprudenza il principio per cui in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, lo stato di bisogno non é escluso dall'intervento di terzi, coobbligati od obbligati in via subordinata, sicché il reato si configura anche se taluno di questi si sostituisca all'inerzia del soggetto tenuto alla somministrazione dei mezzi di sussistenza (Sez. VI, 21 marzo 2012 n.40823) e ciò comporta nel caso di figli minori, salvo il caso che questi dispongano in proprio di mezzi adeguati al proprio sostentamento (ad esempio per lasciti ereditari, rendite finanziarie), l'irrilevanza del fatto che, i bisogni di costoro siano fronteggiati dall'altro genitore o dall'intervento di terzi, compresi i servizi sociali (sez. VI 9 novembre 2014 n. 53123) Analogamente é pacifico che la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta "in re ipsa" una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi di sussistenza. Ne deriva che il reato di cui all'art. 570 c.p., comma 2, sussiste anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l'altro genitore (sez. VI, 20 novembre 2014 n.53607). La impossibilità di adempiere - incombe sull'interessato l'onere di allegare gli elementi dai quali possa desumersi l'impossibilità di adempiere alla relativa obbligazione e quindi la sua responsabilità non può essere esclusa in base alla generica indicazione dello stato di disoccupazione (Sez. VI, 14/12/2010 n.5751 né può ritenersi idonea la dimostrazione di una mera flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficoltà; - l'incapacità economica dell'obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli adempimenti fissati in sede civile, deve essere assoluta e deve integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti (Sez. VI, 21/10/2010 n.41362); - la ammissione al patrocinio a spese dello Stato non dimostra la impossibilità ad adempiere perché essa è prevista anche per soggetti che dispongano di un reddito non meramente simbolico, sebbene ovviamente piuttosto contenuto ma soprattutto perché il provvedimento si basa sulla mera autocertificazione dell'interessato, salvi i controlli successivi, e non può quindi essere presentato come una forma di certificazione ufficiale di impossidenza (sez. VI, 18 marzo 2014 n. 31124); - non elide lo stato di bisogno del minore il modesto importo (euro 600) dell'indennità di accompagnamento riconosciuta dallo Stato causa di grave minorazione psicofisica. - l'incapacità economica deve essere provata con rigore; deve essere incolpevole cosicché non scrimina uno stato di disoccupazione dovuta a condizione di tossicodipendenza perché connesso a condotta volontaria e colpevole ((sez. VI, 21 ottobre 2014 n. 4834) e assoluta, nel senso di estendersi a tutto il periodo dell'inadempimento e di consistere in una persistente e oggettiva situazione di indisponibilità di introiti. In linea generale la giurisprudenza della Cassazione è improntata ad un orientamento rigoristico teso ad evitare che l'obbligo venga eluso con la giustificazione della difficoltà economica: Tale indirizzo rigoristico richiede sotto il profilo oggettivo la sussistenza di una vera e propria indigenza, che non consenta materialmente, in tutto o in parte, di poter garantire i mezzi di sussistenza e sotto il profilo soggettivo il carattere involontario e incolpevole della ndisponibilità economica: sicché non escludono il reato le dimissioni dal posto di lavoro preordinate a creare una apparente impossibilità (Cass. 18 febbraio 1989 in Riv. pen., 1991, 224),e neppure il comportamento imprudente o negligente come nella ipotesi del disoccupato che non si attivi per procurarsi un lavoro (Cass. 23 gennaio 1997 in Cass. pen., 1998, 2024); o di chi non faccia valere il diritto alla continuazione del rapporto di lavoro con l'esercizio di mansioni compatibili con la sua parziale invalidità (Cass., sez. VI, 30 novembre 1995, in Giust. Pen., 1997, II, 11). Il caso della creazione di una nuova famiglia Si esclude che venga meno l'obbligo di ripartire le risorse fra tutti i beneficiari (Cass. 3 dicembre 2003 in Giust. pen., 2005, II, 706). In dottrina si propone in applicazione del principio civilistico di cui all'art. 442 c.c., una scelta preferenziale in favore soltanto di alcuni degli aventi diritto, purché fondata sullo stato di bisogno del soggetto passivo (e possibilmente demandata al giudice) a fronte della tesi opposta per cui nel caso di nascita di figli da un nuovo rapporto di convivenza permarrebbe l'obbligo nei confronti di tutti i familiari, ma la pluralità di beneficiari dovrebbe essere adeguatamente considerata nella valutazione della concreta capacità economica ad adempiere. La più recente giurisprudenza della Suprema Corte sembra inaugurare una tendenza ad un più realistico approccio al problema della impossibilità ad adempiere con l'invito al giudice ad una seria considerazione della situazione personale dell'imputato evitando che la fattispecie prevista dall'art. 570 si riconduca ad una sostanziale duplicazione dell'art. 12 sexies legge divorzio che a prescindere dai requisiti dello stato di bisogno del soggetto passivo punisce il mancato pagamento dell'assegno divorzile. INFATTI... Si è stabilito che non realizza il reato il genitore sordomuto che non adempia l'obbligo di versare l'assegno di mantenimento in quanto, titolare del solo reddito pensionistico per invalidità e si trovi in una persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti sufficienti a soddisfare le proprie esigenze di vita (nella specie, a fronte di un reddito pensionistico di invalidità di circa 3150 euro annui, l'importo dell'assegno di mantenimento da versare in favore della figlia minore era stato determinato nella misura di 150 euro mensili; Cass., sez. VI, 10 gennaio 2011, n. 6597), Inoltre l'inadempimento ha da essere serio e sufficientemente protratto per un tempo tale da incidere apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che il soggetto obbligato è tenuto a fornire sicché non ricorre il reato nel caso in cui in cui ci si trovi dinanzi ad un limitato ritardo, ad un parziale adempimento, ovvero ad una omissione dei pagamenti, che trovino giustificazioni nelle peculiari condizioni dell'obbligato ed appaiano agevolmente collocabili entro un breve, o comunque ristretto, lasso temporale, quando a fronte di un più ampio periodo preso in considerazione risulti accertata la piena regolarità nel soddisfacimento dei relativi obblighi (sez.Vi, 9 aprile 2014 n. 15898) La pluralità delle persone offese Secondo un tradizionale insegnamento l'accomunamento in unità delle categorie di congiunti indicate dalla norma in quanto complessivamente beneficiari degli obblighi di assistenza familiare faceva sì che, nel caso in cui con una unica omissione si violasse il dovere di corrispondere quanto dovuto a più aventi diritto, si commettesse un unico reato e non una pluralità di reati in concorso formale o in continuazione fra loro. (sez VI 27 settembre 2002 N. 34861). Si tratta di tesi ormai superata dalla opinione delle Sezioni Unite …. La sentenza S.U. 20 dicembre 2007 n.8413 ha fissato il principio della natura pluralistica del reato accogliendo l'orientamento minoritario secondo cui oggetto della tutela sarebbe non la famiglia nel suo complesso ma i singoli aventi diritto in ragione delle profonde trasformazioni che hanno caratterizzato, nella seconda metà del secolo scorso, l'istituzione familiare "con uno spostamento di attenzione del legislatore dal gruppo in sé ai suoi componenti all'interno della formazione sociale famiglia”. Ma la ragione principale di siffatto convincimento sta nel rilevare che ….... (segue) ..l'adempimento degli obblighi di assistenza economica è possibile che avvenga per uno o più degli aventi diritto e non per l'altro o per gli altri sicché dal punto di vista naturalistico tale considerazione di per sé vale ad escludere l'unicità del reato. Viceversa nella logica del reato unico nel caso di adempimento solo a favore di taluno degli aventi diritto sarebbe addirittura esclusa la tipicità della condotta in quanto l'adempimento soggettivamente frazionato non è descritto nella condotta prevista dalla norma incriminatrice. A seguito dell'introduzione del divorzio (legge 1 dicembre 1970, n. 898 rimasero prive di rilevanza penale le situazioni in cui l'ex-coniuge divorziato non soddisfacesse l'obbligo di pagamento dell'assegno stabilito dal giudice. Dopo un periodo di contrastante giurisprudenza, fu affermato che, con la cessazione del vincolo matrimoniale, viene meno la stessa ragione dell'incriminazione di cui all'art. 570 c.p., che è quella della tutela dell'organismo familiare e fu stabilito che "poiché sul coniuge divorziato non incombe alcun obbligo, penalmente sanzionato, di assistenza materiale e morale nei confronti dell'altro coniuge, ma solo l'eventuale obbligazione civile di corrispondergli l'assegno di sostentamento stabilito in sentenza, una volta che siano stati regolati in sede civile, i rapporti patrimoniali tra i due ex-coniugi trovano la loro tutela esclusivamente in tale sede La differenza di trattamento fra separati e divorziati fu colmata dal legislatore con la legge di riforma del divorzio (L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 21), la quale punisce il mancato pagamento dell'assegno stabilito dal giudice per il coniuge divorziato, introducendo l'art. 12 sexies, secondo cui "al coniuge che si sottrae all'obbligo di corresponsione dell'assegno dovuto a norma degli artt. 5 e 6 della presente legge si applicano le pene previste dall'art. 570 c.p.". L'assegno di divorzio L'art.12-sexies ha introdotto, nell'ambito della disciplina del divorzio, un reato di natura formale, nel senso che la condotta ivi prevista consiste nel mero inadempimento dell'obbligo di corresponsione dell'assegno divorzile. Per la sussistenza del reato basta accertare il fatto del doloso inadempimento dell'obbligo di corresponsione dell'assegno determinato dal tribunale e non occorre che dall'inadempimento consegua anche la mancanza dei mezzi di sussistenza (elemento invece necessario ai fini dell'art. 570 c.p.), dovendosi altresì prescindere anche dalla prova dello stato di bisogno dell'avente diritto. ATTENZIONE ! L'art. 12 sexies della l. n. 898/70 non è suscettibile di applicazioni analogiche, ostandovi il principio di legalità sicché la sanzione predetta non è applicabile all'inosservanza dell'ordinanza emessa, a norma dell'art. 4 della legge divorzio, dal presidente del tribunale in via temporanea e urgente quando fissa un assegno provvisorio a favore di uno dei coniugi e della prole, ma soltanto al mancato rispetto delle prescrizioni in materia disposte dal tribunale con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio perché la norma richiama solo gli artt. 5 e 6 della legge divorzio (sez. VI, 03/02/1999, n. 2824) Dottrina e giurisprudenza sono stati concordi nel ritenere che la nuova disposizione ha introdotto un'autonoma fattispecie delittuosa, compiutamente delineata nei suoi requisiti tipici (si tratta di un reato omissivo proprio di natura formale) ed irriducibile, sul piano dei contenuti lesivi, a quella descritta dall'art. 570 c.p. stante il richiamo all'art. 570 soltanto quoad poenam. Di qui anche la conseguenza che si tratta di reato procedibile di ufficio e non a querela di parte. La ragione della incriminazione è stata individuata nella tutela di quel residuo di solidarietà familiare che sopravvive al divorzio e in tal modo l'inadempimento civile ed illecito penale finiscono sostanzialmente per coincidere, uscendo rafforzata la tutela del credito civile che peraltro l'art. 8 della legge sul divorzio già rafforza adeguatamente in quanto prevede la possibilità di imporre la prestazione di un'idonea garanzia, sia reale che personale, il sequestro dei beni e l'azione diretta contro il terzo tenuto a prestazioni periodiche in favore dell'ex coniuge La giurisprudenza ha stabilito la rilevanza penale dell'omesso versamento dell'assegno divorzile anche in epoca antecedente al passaggio in giudicato della sentenza (sez. VI, 3 maggio 2007 n.21872) in ragione dell'esecutività della sentenza, tale da consentire immediate azioni a tutela del coniuge interessato. La norma penale, in altre parole, sanziona la violazione dei doveri nascenti dal provvedimento giudiziale esecutivo (art. 4 c.14 legge divorzio) che genera l'obbligo di prestazione patrimoniale, e non rileva l'eventualità che detto provvedimento, in seguito, subisca vicende idonee ad interromperne la forza cogente. Nello stesso senso la Cassazione ha più volte stabilito che la violazione degli obblighi di assistenza familiare conserva rilevanza anche dopo la dichiarazione di nullità del matrimonio, sebbene la stessa, quando intervenga per mezzo di una sentenza ecclesiastica con effetti riconosciuti, presenti efficacia ex tunc (Sez. VI, 7 novembre 2007 n. 42248; Sez. I, n. 3399 del 4/02/1981; Sez. VI, Sentenza n.4987 del 4/12/1979). Le Sezioni Unite hanno osservato che l'opinione tradizionale finiva, senza apprezzabile ragione, con il parificare la mancata prestazione dei mezzi di sussistenza al mero omesso pagamento dell'assegno di divorzio (ed ora anche dell'assegno disposto in favore di figli in casi di separazione dei coniugi), dando luogo a identico trattamento sanzionatorio per condotte del tutto eterogenee e di evidente diversa gravità Viceversa riferire la sanzione a quella prevista dal primo comma dell'art. 570 c.p. (alternativamente multa o reclusione) evita disarmonie di trattamento tra la tutela del coniuge convivente, penalmente tutelato soltanto se versa in stato di bisogno (art. 570 c.p., comma 2, n. 2) e quella del coniuge divorziato; tra la tutela dei figli minori in costanza di matrimonio (situazione disciplinata soltanto dall'art. 570 c.p., comma 2, n. 2) e la tutela dei figli minori nell'ipotesi di divorzio (e, dopo il 2006, anche di separazione); tra la tutela di figli maggiorenni inabili al lavoro (art. 570 c.p., comma 2, n. 2) e quella dei figli maggiorenni non autosufficienti in caso di divorzio (e, dopo il 2006, anche di separazione). Viceversa riferire la sanzione a quella prevista dal primo comma dell'art. 570 c.p. (alternativamente multa o reclusione) evita disarmonie di trattamento tra la tutela del coniuge convivente, penalmente tutelato soltanto se versa in stato di bisogno (art. 570 c.p., comma 2, n. 2) e quella del coniuge divorziato; tra la tutela dei figli minori in costanza di matrimonio (situazione disciplinata soltanto dall'art. 570 c.p., comma 2, n. 2) e la tutela dei figli minori nell'ipotesi di divorzio (e, dopo il 2006, anche di separazione); tra la tutela di figli maggiorenni inabili al lavoro (art. 570 c.p., comma 2, n. 2) e quella dei figli maggiorenni non autosufficienti in caso di divorzio (e, dopo il 2006, anche di separazione). La sperequazione tra figli di genitori separati e figli di genitori divorziati, anche maggiorenni, nonché tra figli di genitori non coniugati, è stata superata con l'approvazione della legge n. 54/2006 sul cd. affido condiviso, che all'art. 3 sanziona la violazione degli obblighi aventi natura economica mediante l'applicazione delle pene di cui all'art. 12 sexies della legge sul divorzio. La norma non contiene nessun precetto determinato, né una espressa sanzione, strutturandosi su un triplice rinvio: all'art. 12sexies, agli artt. 5 e 6 della medesima legge sul divorzio, all'art. 570 c.p. per quanto concerne la pena da applicare. L'art. 4, comma 2, della legge sull'affido condiviso prevede inoltre un'estensione delle disposizioni ivi previste ai casi di scioglimento, cessazione degli effetti civili o nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, giungendo in tal modo ad una sostanziale equiparazione di quelle stesse situazioni che la Corte Costituzionale aveva in precedenza ritenuto non omogenee e meritevoli di trattamento differenziato. Gli artt. 3 legge 54/2006 e 570 c.p. a confronto Le due norme condividono la natura di reati omissivi propri di natura permanente. Entrambi i reati si perfezionano con la mera violazione dell'obbligo giuridico di tenere tempestivamente il comportamento prescritto dalla legge o dal giudice, non essendo richiesta invece l'esistenza di un evento ulteriore avvinto da nesso causale con la condotta omissiva. Anche l'art. 3 prevede un reato permanente perché la situazione di pericolo presunto che lo integra si protrae nel tempo a causa del perdurare della condotta omissiva e cessa con il compimento dell'azione che interrompe tale illecita condotta oppure con la pronuncia della sentenza di primo grado o con l'impossibilità di adempiere o con l'eliminazione dell'obbligo giuridico di agire (ad es. con il provvedimento del giudice civile che revochi o modifichi la disposizione violata).Per come la condotta è stata descritta dal legislatore si deve ritenere nel senso che il reato resta unico, senza moltiplicarsi in una pluralità di reati per quante siano le diverse scadenze. Tale conclusione (sez. VI, 22/09/2011 n. 36263) viene ricavata sia dal fatto che la norma penale di chiusura si riferisce al novellato art. 155 cod.civ. sia dalla lettura degli atti parlamentari giacchè il testo originario dell'art. 3 prevedeva l'esplicito riferimento alla penalizzazione della mancata corresponsione dell'assegno di mantenimento dei figli per oltre tre mensilità cosicché nell'intenzione del legislatore e nel quadro delle riforme in concreto adottate, la previsione concerne le obbligazioni di natura economica nei confronti solamente dei figli. Elementi di novità nell'art.3 legge 54/2006 Non si fa riferimento a provvedimenti giudiziali che condizionano la portata applicativa dell'art. 12 sexies della legge sul divorzio e ciò riflette il mutamento di tutela effettuato sul piano civilistico, perché il nuovo art. 155, comma 4, c.c. fissa ex lege l'obbligo generale gravante su ciascun genitore di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito con espressa indicazione dei parametri attraverso cui individuare il principio di proporzionalità enunciato nello stesso comma 4. Elementi di novità nell'art.3 legge 54/2006 Non si fa riferimento a provvedimenti giudiziali che condizionano la portata applicativa dell'art. 12 sexies della legge sul divorzio e ciò riflette il mutamento di tutela effettuato sul piano civilistico, perché il nuovo art. 155, comma 4, c.c. fissa ex lege l'obbligo generale gravante su ciascun genitore di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito con espressa indicazione dei parametri attraverso cui individuare il principio di proporzionalità enunciato nello stesso comma 4. Vi è poi il nuovo art. 155 quinquies c.c. che anch'esso configura obblighi di natura economica penalmente rilevanti ai sensi dell'art. 3, prevedendo che il giudice possa disporre un assegno periodico anche in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, mentre in precedenza ricevevano tutela penale solo gli inabili al lavoro o i figli di genitori divorziati. Il risultato é un considerevole ampliamento delle fattispecie penalmente rilevanti per la violazione degli obblighi di natura economica verso i figli. In quale momento sorge l'obbligo giuridico di contribuzione in favore del figlio naturale? L'obbligo sussiste fin dalla nascita del minore e non dalla data della pronuncia che ha accertato la paternità. Infatti, le sentenze in materia di stato delle persone, ed in particolare quella di accertamento della paternità per la loro natura dichiarativa hanno effetti ex tunc anche con riguardo all'epoca di insorgenza dell'obbligazione, tanto che, in sede civile, la Corte di legittimità ha ritenuto che il genitore che ha riconosciuto il minore ha diritto di regresso per il recupero delle somme spese per il mantenimento del minore fin dalla sua nascita (Sez. I civ., 10 aprile 2012 n.5652). Diverso è il caso in cui si sia discusso della paternità perché allora deve farsi richiamo all'accertamento contenuto della pronuncia civile. Di conseguenza l'accertamento di responsabilità penale per l'omissione precedente all'accertamento giudiziale di paternità risulta condizionato solamente dalla necessità di verificare coscienza e volontà che di tale vincolo potesse avere il genitore inadempiente prima della sentenza di accertamento (sez. VI, 12 novembre 2014 n. 51215). Il che il giudice potrà valutare, ad es., sulla base delle dichiarazioni della madre e del rifiuto dell'imputato di sottoporsi ad esame genetico. Applicazioni giurisprudenziali Configura il reato sanzionato ex art. 570 comma 1 c.p., oltre che l'omesso versamento dell'assegno di mantenimento, un atteggiamento di totale disinteresse nei confronti del figlio minore posto in essere dal padre che assente al momento della nascita del figlio, sin dall'inizio non si sia curato affatto di conoscerlo, rimanendo tale situazione immutata nel tempo, perché l'imputato ha continuato a non avere alcun contatto con il figlio, si è rifiutato di instaurare con lui qualsiasi forma di rapporto affettivo con la conseguenza che egli ha potuto contare solo sulla assistenza prestata dalla madre (sez VI 14 ottobre 2013 n.51488). Si tratta di condotta che assume connotazioni di particolare gravità e pregiudizio per il minore, costringendolo a crescere privo di una delle due fondamentali relazioni affettive, necessaria per un'adeguata ed armonica formazione della sua personalità e per agevolare lo svincolo dalla figura materna, con ripercussioni negative sullo sviluppo e sulle capacità relazionali del minore, in tal modo integrando una condotta contraria all'ordine e alla morale delle famiglie che non è punita di per sé, ma solo in quanto abbia avuto per risultato la violazione degli obblighi assistenziali inerenti alla potestà genitoriale, alla tutela legale e alla qualità di coniuge (ibidem). Una divagazione su principio di specialità e assorbimento nel concorso apparente di norme La relazione di specialità tra norme è stata descritta come due cerchi concentrici di diverso raggio, di cui il minore (la legge speciale) è inserito totalmente all'interno del maggiore (la legge generale) La norma generale (art. 3 cit.) viene ad avere un'estensione più ampia (si applica anche in assenza dell'elemento ulteriore specializzante cioè della mancata prestazione dei mezzi di sussistenza) rispetto a quella della norma speciale (art. 570, comma 2, n. 2 c.p.).. Il principio di assorbimento trova applicazione in quei casi in cui la realizzazione di un reato comporta, secondo l'id quod plerumque accidit, la consumazione di un altro reato, ma la valutazione negativa del fatto concreto appare interamente già compresa nella norma che prevede il reato più grave. La sua finalità é di evitare una ingiusta duplicazione della pena E' sufficiente che gli scopi perseguiti dalle norme in concorso siano per loro natura omogenei. La norma prevalente andrebbe allora individuata in quella che tutela il bene giuridico maggiore (l'art. 570 c.p.) sicché se l'inadempimento dell'obbligato non abbia comportato il raggiungimento del livello rappresentato dai mezzi di sussistenza, sarà comunque applicabile l'art. 3 della l.. 54/2006. In caso contrario per il principio di assorbimento sarà applicabile solo l'art. 570, comma 2, n. 2 c.p. che assorbe il reato di cui all'art. 3 legge 54/2006 perché quest'ultimo rappresenta un passaggio precedente alla consumazione dell'altro (anche se solamente nel caso di separazione). Concorso di reati o assorbimento? Cosa dice la Cassazione Vi è giurisprudenza nel senso dell'assorbimento per cui il reato di cui all'art. 570 c.p., comma 2, n. 2 assorbe il reato previsto dall'art 3 l.54/2006 quando la condotta del genitore separato fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori, omettendo di versare l'assegno di mantenimento (sez. Vi, n. 44629 del 17/10/2013 e sez VI 29 settembre 2015 n. 41796) con la motivazione che segue: La violazione meno grave (l'omissione di versamento dell'assegno di mantenimento) per il principio di assorbimento, volto ad evitare il bis in idem sostanziale, perde infatti la sua autonomia e viene ricompresa nella accertata sussistenza della più grave violazione della norma prevalente per severità di trattamento sanzionatorio (aver fatto mancare i mezzi di sussistenza nei confronti del beneficiario dell'assegno di mantenimento). Ma non è escluso il concorso da altra giurisprudenza per la quale …................. La autonomia si rivela dalla circostanza che può realizzarsi la prima ipotesi senza che si consumi la seconda, qualora, ad esempio, l'obbligato si autoriduca l'importo dell'assegno, così consumando il reato speciale, senza privare dei mezzi di sussistenza i familiari, e soprattutto dovendo ravvisarsi un disvalore maggiore nell'ipotesi in cui l'inadempimento realizzi la condotta più deteriore in danno del creditore (sez. VI, 13 marzo 2012 n. 12307). Inoltre, sussistono reciprocamente degli elementi specializzanti, costituiti per il reato di cui all'art. 570 c.p. dallo stato di bisogno del creditore, e nel caso dell'art.3 nella presenza del provvedimento giudiziale, sicché non è consentito ravvisare una progressione criminosa delle condotte. …. il campo di applicazione delle due disposizioni è autonomo perché la norma più recente assiste con tutela penale il credito dei familiari mentre la norma del codice prevede una sanzione per l'ipotesi che tale inadempimento concretizzi l'estremo della mancanza di mezzi di sussistenza in danno del creditore, sfera di bisogni più ristretta rispetto a quella protetta dal versamento dell'assegno di mantenimento, che riguarda, quanto ai figli, il diritto al mantenimento con riferimento anche alla condizione pregressa. Correlazione fra accusa e sentenza Non vi è violazione del principio laddove l'imputato venga condannato per il reato di cui all'art. 12 sexies legge divorzio in luogo del contestato art. 570 c.p., poiché, pur presentando le due ipotesi criminose presupposti ed elementi strutturali diversi, la condotta presa in considerazione dall'art. 12 sexies rientra nel più ampio paradigma di cui all'art. 570 c.p., essendo, nella prima ipotesi, sufficiente accertare la volontaria sottrazione all'obbligo di corresponsione dell'assegno determinato dal giudice e non occorre che dall'inadempimento consegua ia mancanza dei mezzi di sussistenza, necessario ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 570 cod. pen. (Cass sez. VI 2 maggio 2000 n.7834). Non si applicano i principi tratti dalla sentenza Cedu 11 dicembre 2007 n. 25575, (Drassich c. Italia) che riguarda l'ipotesi in cui il titolo di reato ravvisato sia più grave e dunque l'imputato venga a subire conseguenze sfavorevoli per effetto del mutamento del nomen iuris (Sez. VI 15 maggio 2912 n. 24631) mentre nel caso in disamina, non occorreva alcuna nuova contestazione, essendo stata attribuita al fatto una qualificazione giuridica meno grave di quella enunciata nell'imputazione e la modifica era intervenuta già in primo grado sicché con i motivi di appello, l'imputato era posto in condizione di interloquire sulla diversa qualificazione giuridica (Sez. VI 14 febbraio 2012 n. 10093). Neppure sussiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, quando contestatala la violazione dell'art. 12 sexies sia intervenuta condanna per il reato di cui all'art. 570 comma 2 n. 2 sempreché l'imputato, assistito dal difensore fiduciario, abbia accettato il contraddittorio sul thama probandum sostanziale con particolare riguardo alla circostanza di fatto ulteriore rispetto a quella oggetto di originaria contestazione - rappresentata dall'avere fatto mancare ai figli i mezzi di sussistenza. Nel caso di specie a seguito della escussione dibattimentale della moglie, quest'ultima aveva riferito che il marito aveva fatto mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori (sez. VI, 21/ ottobre 2015, n. 535). La malversazione-dilapidazione dei beni del figlio minore La norma non richiede che il "malversante genitore" oltre che titolare, debba anche avere l'esercizio in concreto della potestà tanto è vero che prima della riforma del diritto di famiglia, si riteneva che potesse essere soggetto attivo del delitto anche la madre del minore la quale, all'epoca, aveva sì la "titolarità ma non "l'esercizio della potestà, in allora rigorosamente "paterna", tipicamente esercitata dal padre ex art. 316 c.c., ed esercitata dalla madre soltanto dopo la morte del padre stesso e negli altri casi tassativamente stabiliti dalla legge. Perfino il radicale provvedimento di decadenza dalla potestà genitoriale fa venir meno "i poteri" del genitore decaduto, ma non i "doveri" che non siano incompatibili con le ragioni che hanno dato causa al provvedimento stesso (sez. Vi, 16559/2007).Con il corollario che, permanendo in capo al genitore decaduto, sia i doveri di natura economica che quelli di natura morale, il provvedimento ablativo della potestà non fa venir meno la permanenza del reato di cui all'art. 570 c.p. (sez. 6^, 4887/2000). Ovviamente anche lo status di separato non può certo incidere negativamente sui doveri elementari e costituzionalmente sanciti verso i figli ex art, 30 Cost. e 147 cod.civ. Sul risarcimento del danno La moglie separata costituitasi parte civile in un procedimento per omissione dei mezzi di sussistenza nei confronti dei figli, pur non essendo parte offesa dal reato, è persona danneggiata dallo stesso e, come tale, legittimata a far valere le proprie pretese risarcitorie in sede penale anziché nella sede monitoria civile. Corretta è l'affermazione secondo cui, in favore della donna, può essere riconosciuto anche il risarcimento del danno morale, avendo la condotta illecita del marito inciso sulla sua situazione personale, creandole disagi e sofferenze. (sez. VI, 03/ febbraio 2010 n. 14906). Conforme la giurisprudenza civile Con sentenza n. 12614 18 giugno 2015 n. 12614, la Cassazione civile ha chiarito che sussiste il diritto al risarcimento del danno morale per la madre che abbia mantenuto i figli da sola in ragione dell'omesso pagamento da parte dell'ex marito dell'assegno di mantenimento, semprechè sia provato il pregiudizio subito. La Cassazione ha chiarito che il bene tutelato dall'art. 570 c.p. non è solo l'interesse della persona avente diritto al sostentamento, ma il più generale interesse dello Stato di salvaguardare la famiglia contro le gravi violazioni degli obblighi giuridici posti a salvaguardia di essa. Ne deriva che possa ritenersi vittima del delitto in esame qualunque membro della famiglia, e non solo l'avente diritto al sostentamento. In tema di assegnazione di provvisionale è intervenuta sez,VI 28 marzo 2012 n.18988 che ha escluso che essa possa comprendere i danni per il cui ristoro il creditore sia già munito di titolo esecutivo costituito, nel caso concreto dai provvedimenti emessi in sede di separazione che hanno fissato l'importo dell'assegno di mantenimento dovuto. Però potrebbe obiettarsi che diversa è la fonte delle due pretese, l'una trovando origine dal provvedimento del giudice e l'altra dall'inadempimento dell'obbligo sicché è rimesso al creditore la scelta di quale titolo azionare, fermo restando il limite della non duplicazione del dovuto.