la violazione degli obblighi di assistenza familiare

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la violazione degli obblighi di assistenza familiare
LA VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI
DI ASSISTENZA FAMILIARE
Tradizionalmente si è insegnato che l'art.
570 c.p. tutela la solidarietà familiare nel suo
carattere solidaristico e comunitario quale
formazione sociale funzionale alla crescita
della persona umana che vi partecipa sicché
le violazioni del dovere di solidarietà
familiare e coniugale feriscono il c.d. ordine
pubblico familiare intessuto di aspetti non
solo patrimoniali ma anche morali che
richiedono una protezione penale in quanto
riprovati tuttora dalla coscienza sociale.
Più recentemente tuttavia, senza che ciò suoni
negazione totale del precedente orientamento, si
è posto l'accento sulla circostanza che i singoli
aventi diritto sarebbero i soggetti direttamente
tutelati dalla norma, fondando tale convincimento
sulle profonde trasformazioni che hanno
caratterizzato, nella seconda metà del secolo
scorso,
l'istituzione
familiare
"con
uno
spostamento di attenzione del legislatore dal
gruppo ai suoi componenti all'interno della
formazione sociale - famiglia che questi
contribuisce a formare, con una valorizzazione dei
singoli rapporti che in essa traggono origine e si
sviluppano" (così Cass. Sez VI 6 giugno 2002 n.
,36070)
La struttura della incriminazione
L'art. 570 c.p. si compone di varie ipotesi
precisate rispettivamente nel primo e nel secondo
comma dedicati l'uno alla violazione degli obblighi
di assistenza incombenti sui coniugi e sui genitori,
l'altro alla mancata corresponsione dei mezzi di
sussistenza al coniuge non legalmente separato
per sua colpa, ai figli minori o inabili al lavoro, agli
ascendenti (comma 2 n.2) e alla ipotesi (di fatto
minoritaria)
della
malversazione
e
della
dilapidazione dei beni del figlio o del coniuge
(comma 2 n. 1).
Le ipotesi del secondo comma secondo sono
figure autonome di reato e non circostanze
aggravanti del reato di cui al primo comma.
Contestazioni chiuse e contestazioni aperte
La giurisprudenza della Cassazione è ferma sul
principio di diritto per cui, in tema di violazione
degli obblighi di assistenza (anche economica)
familiare, quando la condotta è contestata con
l'individuazione della sola data d'inizio deve
ritenersi che il reato è permanente e che il
termine di prescrizione decorre dalla data della
sentenza di condanna di primo grado e non
dalla data di emissione del decreto di citazione a
giudizio ovvero da quella del formale esercizio
dell'azione penale. In caso di adempimento degli
obblighi o di versamento dei mezzi di sussistenza
da tale momento decorre la prescrizione. ,
Si
è precisato inoltre che...
Se nel decreto di rinvio a giudizio per un reato
permanente viene contestata una durata della
permanenza individuata con precisione nel tempo
(momento iniziale e finale), il giudice può tenere conto
del successivo protrarsi della consumazione soltanto
quando esso sia stato oggetto di un'ulteriore
contestazione ad opera del P.M. ex art. 516 c.p.p. e,
ciò, per la palese ragione che la posticipazione della data
finale della permanenza
viene ad incidere sulla
individuazione del fatto come inizialmente contestato,
comportandone una diversità, sotto il profilo temporale,
che influisce sulla gravità del reato e sulla misura della
pena e può condizionare l'operatività di eventuali cause
estintive (Cassazione penale, sez. VI, 9 marzo 201, n.
12415)
Per
completezza
va
ricordato
che
diversamente la giurisprudenza civile (da
ultimo Cass. civile Sez. I, 14 gennaio 2014,
n. 336) ha statuito che il diritto alla
corresponsione dell'assegno di divorzio, in
quanto avente ad oggetto più prestazioni
periodiche, distinte ed autonome, si
prescrive (in 5 anni) non a decorrere da un
unico termine costituito dalla sentenza che
ha pronunciato sul diritto stesso, ma dalle
scadenze delle singole prestazioni imposte
dalla pronuncia giudiziale, in relazione alle
quali sorge di volta in volta l'interesse del
creditore all'adempimento
PERMANENZA E NON CONTINUAZIONE
A conforto di tale conclusione si è evidenziata la
soluzione paradossale cui si perverrebbe
optando per una ricostruzione sistematica che, nel
caso di protrazione dell'inadempimento, desse
autonomo rilievo al singolo inadempimento,
riportando tale protrarsi nel fenomeno della
continuazione
anziché
della
permanenza.
Immaginando infatti un lungo consapevole e
deliberato protrarsi nel tempo dell'inadempimento,
il limite del triplo rispetto alla occasionale pena
base determinata per il primo episodio
condurrebbe all'inaccettabile conseguenza di una
sorta di "licenza di delinquere" per i
comportamenti ulteriori.
LE SINGOLE IPOTESI DI REATO PREVISTE
DALL'ART. 570 C.P.
I concetti di domicilio domestico e di ordine e
morale della famiglie
Il domicilio domestico: il luogo in cui si attua la
coabitazione delle persone che convivono
familiarmente (obbligo ex art. 143 c.c.) e coincide
con la casa coniugale;
L'ordine e la morale della famiglia è
quell'insieme di valori fondati sulla leale
collaborazione e sul reciproco legame affettivo
che assicurano l'unità, la prosperità, la pace, la
solidarietà, la dignità, la sicurezza di quella
particolare formazione sociale di carattere
naturale basata sul matrimonio. Si tratta di “quel
nucleo di valori e di interessi in cui si riconosce
una famiglia media italiana” Così Fiandaca-Musco
( Diritto penale Parte speciale, Zanichelli, 2006)
La criticata genericità della espressione
“ordine e morale” fu oggetto di censura di
costituzionalità ma le Corte Costituzionale
ebbe a dichiarare non fondata la questione,
rilevando – in modo sintetico ma efficace –
che «non contraddice al principio di legalità
della pena il fatto che il legislatore, anziché
procedere ad una rigorosa e tassativa
descrizione di un fatto-reato, ricorra per la
sua individuazione a concetti extragiuridici
diffusi e generalmente compresi nella
collettività in cui il giudice opera» (sent. 13
gennaio 1972 n. 42)
La violazione degli obblighi di assistenza
L'insegnamento che stimava che il primo comma
dell'art. 570 riguardasse solo gli obblighi di
"assistenza morale", che si concretizzino nella
violazione
ingiustificata
dell'obbligo
di
coabitazione ovvero in altri comportamenti
comunque riconducibili alla nozione di "ordine e
morale familiare", è stato superato dalle Sezioni
Unite (31 gennaio 2013 n.23866) che ha stabilito
che negli obblighi di assistenza coniugale
rientrano anche quelli di assistenza materiale
relativi
all'appagamento
di
esigenze
economicamente valutabili dell'altro coniuge (aiuto
nel lavoro - studio - malattia, etc.) e la
corresponsione dei mezzi economici necessari
per mantenere il tenore di vita della famiglia.
Tali obblighi pur attenuati, permangono anche in
caso di separazione personale dei coniugi, come
si desume dall'art. 146 c,c, che prevede la
sospensione del diritto all'assistenza morale e
materiale nei confronti del coniuge che,
allontanatosi senza giusta causa dalla residenza
familiare, rifiuta di tornarvi. Non è necessaria per
l'integrazione della fattispecie incriminatrice del
primo
comma
diversamente
da
quella
contemplata
dal
secondo
comma,
la
determinazione di uno stato di bisogno in
danno della persona avente diritto quale
conseguenza della condotta in violazione dei
doveri di assistenza materiale di coniuge e di
genitore (sez. VI, 4 novembre 2014 n. 47139)
Analogamente è da dire
per quanto
riguarda l'obbligo di assistenza verso i
figli, laddove il dovere di mantenere i figli
minori e maggiori non autosufficienti é
previsto dagli artt. 147 e 148 c.c., per i
genitori in costanza di matrimonio e dall'art.
155 c.c., (come modificato dalla legge n. 54/
2006) per i genitori separati, applicabile
anche in caso di scioglimento, di cessazione
degli effetti civili o di nullità del matrimonio,
nonché ai procedimenti relativi ai figli di
genitori non coniugati in forza dell'art. 4,
comma 2, della stessa legge.
Le predette norme obbligano i genitori a
far fronte ad una molteplicità di esigenze,
non riconducibili al solo obbligo
alimentare, ma estese all'aspetto abitativo,
scolastico, sportivo, sanitario, sociale,
all'assistenza morale e materiale, alla
opportuna predisposizione - fin quando l'età
dei figli lo richieda - di una stabile
organizzazione
domestica,
idonea
a
rispondere a tutte le necessità di cura e di
educazione (Sez. I civ. 19 marzo 2002 n.
3974)
Di conseguenza ...
...conclude la sentenza delle Sezioni Unite che
come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza
in materia civile, l'obbligo di assistere l'altro
coniuge e i figli ha un contenuto materiale che va
ben al di là dell'obbligo di non far mancare al
coniuge e ai figli i mezzi di sussistenza (ossia ciò
che è indispensabile per farli vivere) sicché deve
affermarsi che rientra nella tutela penale
apprestata dall'art. 570 c.p., comma 1,
ovviamente nella sussistenza di tutti gli altri
elementi costitutivi della fattispecie, la violazione
dei doveri di assistenza materiale di coniuge e di
genitore, previsti dalle norme del codice civile.
L'abbandono del domicilio domestico non è punibile di
per sé ma solo in quanto abbia avuto per risultato la
violazione degli obblighi di assistenza inerenti alla qualità
di coniuge perché la norma riconduce l'abbandono a una
delle possibili condotte contrarie all'ordine o alla morale
delle famiglie. Esso é considerato connotato da disvalore
etico sociale soltanto quando é privo di una giusta
causa. Infatti, a seguito della riforma del diritto di famiglia
costituisce giusta causa di abbandono, preclusiva di
conseguenze penali, ogni situazione oggettiva tale da
rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza
tra i coniugi o da recare pregiudizio all'educazione
dei figli, con esclusione di quelle situazioni aventi a base
motivi futili o comunque scelte non rispondenti
all'assunzione di una responsabilità familiare.
Pertanto il compito del giudicante non può
esaurirsi nell'accertamento del fatto storico
dell'abbandono,comprendendo di necessità la
ricostruzione della situazione in cui esso si è
verificato, al fine di valutare la presenza di cause
di giustificazione, per impossibilità intollerabilità od
estrema pericolosità della convivenza (Sez. VI, 14
ottobre 2004, n. 44614) ricordandosi quel filone
giurisprudenziale che muovendo dall'art. 151 c.c.
(esistenza di ragioni anche solo oggettive per
integrare condizioni tali da rendere intollerabile
la prosecuzione della convivenza ) valorizza le
ragioni di carattere interpersonale che non
consentono il mantenimento dei rapporti a livelli
umanamente accettabili .
Il dovere di fedeltà va inteso nel senso più
profondo di comportamento leale finalizzato alla
realizzazione e al rafforzamento costante della
comunione, materiale e spirituale, tra i coniugi,
sicché l'astensione da contatti sessuali con altre
persone non è in sé parte degli obblighi di
assistenza familiare, con la conseguenza che il
semplice fatto di adulterio non coinvolgente la
partecipazione di un coniuge alla vita dell'altro
(sul piano morale, intellettuale e affettivo, oltre
che fisico) non è sufficiente a integrare la
condotta del reato di cui all'art. 570 primo
comma c.p. (sez. VI, 4 luglio 2000 n. 9440)
In definitiva il reato di cui all'art. 570 comma 1 c.p. non
può ritenersi configurabile per il solo fatto storico
dell'avvenuto allontanamento di uno dei coniugi dalla
casa coniugale giacchè si perfeziona soltanto se e
quando il contegno del soggetto agente si traduca in
un'effettiva sottrazione agli obblighi di assistenza
materiale e morale nei confronti del coniuge
"abbandonato". Infatti, alla luce della normativa regolante
i rapporti di famiglia e della stessa evoluzione del
costume, la qualità di coniuge non è più uno stato
permanente, ma una condizione modificabile per la
volontà anche di uno solo, di rompere o sospendere
il vincolo matrimoniale. Tale volontà pur se non
perfezionata nelle specifiche forme previste per la
separazione, può essere idonea ad interrompere senza
colpa e senza effetti penalmente rilevanti taluni obblighi,
tra i quali quello della coabitazione.
Una girandola di obblighi penalmente
sanzionati:
- dazione dei mezzi di sussistenza a favore del
coniuge non legalmente separato con addebito e
dei figli minori o inabili (art. 570 c.2 n.2 c.p.);
- versamento dell'assegno divorzile (12 sexies
l.898/70);
-adempimento degli obblighi civili di natura
economica nei confronti dei figli minori e dei
maggiorenni non indipendenti o portatori di
handicap (artt. 155 e 155 quinques cod. civ.
sanzionato ex art. 12 sexies legge divorzio)
L'art. 570 c.p. è espressione del modello di
famiglia pubblicistico adottato dal legislatore del
1930 e, per gli espliciti riferimenti alle qualità dei
soggetti passivi del reato (coniuge, ascendenti,
discendenti etc.), non ha consentito all'interprete
di ampliare la sfera operativa della norma senza
incorrere nella violazione del divieto di analogia in
materia penale. Quindi, per coprire i vuoti di tutela
creatisi in conseguenza dell'approvazione della
legge sul divorzio e della mutata sensibilità
sociale, sono intervenute apposite previsioni di
legge che non hanno configurato un'organica
riforma della materia, lasciando immutata
l'originaria fattispecie, con il rischio di creare
disparità di trattamento, con riguardo alle posizioni
del coniuge separato e del “coniuge” divorziato
L'art. 570 c.p., comma 2, n. 2, punisce con la
pena congiunta chi fa mancare i mezzi di
sussistenza ai discendenti di età minore ovvero
inabili al lavoro ... o al coniuge, il quale non sia
legalmente separato al quale non sia stata
addebitata la separazione). Esso tutela i più
elementari vincoli di solidarietà nascenti dal
rapporto di coniugio o di filiazione.
La condotta sanzionata presuppone uno stato di
bisogno: infatti l'omessa assistenza deve avere
l'effetto di far mancare i mezzi di sussistenza, che
comprendono lo stretto necessario per la
sopravvivenza e pertanto non si identificano con
gli alimenti e men che meno con l'assegno di
mantenimento.
La più recente giurisprudenza ha esteso
la tutela (oltre al vitto e alloggio) a ciò
che è necessario per le "esigenze della
vita quotidiana" (vestiario, canone per le
utenze indispensabili, spese per
l'istruzione dei figli minori, medicinali)
ma la nozione di "mezzi di
sussistenza" si identifica pur sempre in
ciò che è indispensabile alla vita, a
prescindere dalle condizioni sociali o di
vita pregressa degli aventi diritto (Sez.
VI, 21 novembre 2012 n.49755)
Tra i mezzi di sussistenza deve ricomprendersi
anche l'alloggio familiare, sicché è responsabile
del reato previsto dall'art. 570 c.p. anche il
coniuge che con la sua condotta rischia di far
perdere alla moglie e ai figli la casa in cui vivono:
in altri termini la "casa di abitazione" rientra tra i
mezzi di sussistenza che devono essere
assicurati al coniuge e ai minori. Nel caso in
esame, l'imputato aveva omesso di contribuire al
pagamento del mutuo per l'abitazione, in questo
modo privando sostanzialmente la moglie del
contributo per il mantenimento, distratto per il
pagamento del mutuo (sez,VI, 24,07.14 n.33023)
L'assegno di mantenimento è nozione più
ampia, giacchè comprende tutto quanto sia
richiesto per un tenore di vita adeguato alla
posizione economico-sociale dei coniugi e
dei figli e prescinde dallo stato di bisogno.
La nozione di alimenti si pone a metà
strada tra le altre due e comprende, oltre a
ciò che è indispensabile per le primarie
esigenze di vita, anche ciò che è soltanto
utile o che è conforme alle condizioni
dell'alimentando e proporzionale alle
sostanze dell'obbligato (Sez. Vi, n. 27851/
2001).
Per quanto riguarda l'assegno di divorzio (art. 5
l.898/1970),
le Sezioni Unite civili hanno
affermato
la
natura
esclusivamente
assistenziale dell'assegno, poiché la sua
concessione presuppone l'inadeguatezza dei
mezzi del coniuge istante, cioè la insufficienza dei
redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità, a
conservargli un tenore di vita analogo a quello
avuto in costanza di matrimonio, senza cioè che
sia necessario uno stato di bisogno, e
rilevando invece l'apprezzabile deterioramento, in
dipendenza del divorzio, delle precedenti
condizioni economiche, le quali devono essere
tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un
certo equilibrio (Sez. Unite civ., n. 11492 del
29/11/1990)
E' pacifico in giurisprudenza il principio per cui in
tema di violazione degli obblighi di assistenza
familiare, lo stato di bisogno non é escluso
dall'intervento di terzi, coobbligati od obbligati in
via subordinata, sicché il reato si configura anche
se taluno di questi si sostituisca all'inerzia del
soggetto tenuto alla somministrazione dei mezzi di
sussistenza (Sez. VI, 21 marzo 2012 n.40823) e
ciò comporta nel caso di figli minori, salvo il caso
che questi dispongano in proprio di mezzi
adeguati al proprio sostentamento (ad esempio
per
lasciti
ereditari,
rendite
finanziarie),
l'irrilevanza del fatto che, i bisogni di costoro siano
fronteggiati dall'altro genitore o dall'intervento di
terzi, compresi i servizi sociali (sez. VI 9
novembre 2014 n. 53123)
Analogamente é pacifico che la minore età dei
discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza,
rappresenta "in re ipsa" una condizione soggettiva
dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a
contribuire al loro mantenimento, assicurando i
predetti mezzi di sussistenza. Ne deriva che il
reato di cui all'art. 570 c.p., comma 2, sussiste
anche quando uno dei genitori ometta la
prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei
figli minori o inabili, ed al mantenimento della
prole provveda in via sussidiaria l'altro genitore
(sez. VI, 20 novembre 2014 n.53607).
La impossibilità di adempiere
- incombe sull'interessato l'onere di allegare gli
elementi dai quali possa desumersi l'impossibilità
di adempiere alla relativa obbligazione e quindi la
sua responsabilità non può essere esclusa in
base alla generica indicazione dello stato di
disoccupazione (Sez. VI, 14/12/2010 n.5751 né
può ritenersi idonea la dimostrazione di una mera
flessione degli introiti economici o la generica
allegazione di difficoltà;
- l'incapacità economica dell'obbligato, intesa
come impossibilità di far fronte agli adempimenti
fissati in sede civile, deve essere assoluta e deve
integrare una situazione di persistente, oggettiva
ed incolpevole indisponibilità di introiti (Sez.
VI, 21/10/2010 n.41362);
- la ammissione al patrocinio a spese dello
Stato non dimostra la impossibilità ad adempiere
perché essa è prevista anche per soggetti che
dispongano di un reddito non meramente
simbolico,
sebbene
ovviamente
piuttosto
contenuto ma soprattutto perché il provvedimento
si
basa
sulla
mera
autocertificazione
dell'interessato, salvi i controlli successivi, e non
può quindi essere presentato come una forma di
certificazione ufficiale di impossidenza (sez. VI, 18
marzo 2014 n. 31124);
- non elide lo stato di bisogno del minore il
modesto importo (euro 600) dell'indennità di
accompagnamento riconosciuta dallo Stato causa
di grave minorazione psicofisica.
- l'incapacità economica deve essere provata
con rigore; deve essere incolpevole cosicché
non scrimina uno stato di disoccupazione dovuta
a condizione di tossicodipendenza perché
connesso a condotta volontaria e colpevole ((sez.
VI, 21 ottobre 2014 n. 4834) e assoluta, nel
senso di estendersi a tutto il periodo
dell'inadempimento e di consistere in una
persistente
e
oggettiva
situazione
di
indisponibilità di introiti.
In linea generale la giurisprudenza della
Cassazione è improntata ad un orientamento
rigoristico teso ad evitare che l'obbligo venga
eluso con la giustificazione della difficoltà
economica:
Tale indirizzo rigoristico richiede sotto il profilo
oggettivo la sussistenza di una vera e propria indigenza,
che non consenta materialmente, in tutto o in parte, di
poter
garantire
i
mezzi
di
sussistenza
e
sotto il profilo soggettivo il carattere involontario e
incolpevole della ndisponibilità economica: sicché non
escludono il reato le dimissioni dal posto di
lavoro preordinate a creare una apparente impossibilità
(Cass. 18 febbraio 1989 in Riv. pen., 1991, 224),e
neppure il comportamento imprudente o negligente
come nella ipotesi del disoccupato che non si attivi per
procurarsi un lavoro (Cass. 23 gennaio 1997 in Cass.
pen., 1998, 2024); o di chi non faccia valere il diritto alla
continuazione del rapporto di lavoro con l'esercizio di
mansioni compatibili con la sua parziale invalidità (Cass.,
sez. VI, 30 novembre 1995, in Giust. Pen., 1997, II, 11).
Il caso della creazione di una nuova famiglia
Si esclude che venga meno l'obbligo di ripartire le
risorse fra tutti i beneficiari (Cass. 3 dicembre
2003 in Giust. pen., 2005, II, 706). In dottrina si
propone in applicazione del principio civilistico di
cui all'art. 442 c.c., una scelta preferenziale in
favore soltanto di alcuni degli aventi diritto, purché
fondata sullo stato di bisogno del soggetto passivo
(e possibilmente demandata al giudice) a fronte
della tesi opposta per cui nel caso di nascita di
figli da un nuovo rapporto di convivenza
permarrebbe l'obbligo nei confronti di tutti i
familiari, ma la pluralità di beneficiari dovrebbe
essere
adeguatamente
considerata
nella
valutazione della concreta capacità economica ad
adempiere.
La più recente giurisprudenza della
Suprema Corte sembra inaugurare una
tendenza ad un più realistico approccio al
problema della impossibilità ad adempiere
con l'invito al giudice ad una seria
considerazione della situazione personale
dell'imputato evitando che la fattispecie
prevista dall'art. 570 si riconduca ad una
sostanziale duplicazione dell'art. 12 sexies
legge divorzio che a prescindere dai requisiti
dello stato di bisogno del soggetto passivo
punisce il mancato pagamento dell'assegno
divorzile.
INFATTI...
Si è stabilito che non realizza il reato il genitore
sordomuto che non adempia l'obbligo di versare
l'assegno di mantenimento in quanto, titolare del
solo reddito pensionistico per invalidità e si trovi in
una persistente, oggettiva ed incolpevole
indisponibilità di introiti sufficienti a soddisfare le
proprie esigenze di vita (nella specie, a fronte di
un reddito pensionistico di invalidità di circa 3150
euro
annui,
l'importo
dell'assegno
di
mantenimento da versare in favore della figlia
minore era stato determinato nella misura di 150
euro mensili; Cass., sez. VI, 10 gennaio 2011, n.
6597),
Inoltre l'inadempimento ha da essere serio e
sufficientemente protratto per un tempo tale da
incidere apprezzabilmente sulla disponibilità dei
mezzi economici che il soggetto obbligato è
tenuto a fornire sicché non ricorre il reato nel caso
in cui in cui ci si trovi dinanzi ad un limitato
ritardo, ad un parziale adempimento, ovvero ad
una omissione dei pagamenti, che trovino
giustificazioni
nelle
peculiari
condizioni
dell'obbligato ed appaiano agevolmente collocabili
entro un breve, o comunque ristretto, lasso
temporale, quando a fronte di un più ampio
periodo preso in considerazione risulti accertata la
piena regolarità nel soddisfacimento dei relativi
obblighi (sez.Vi, 9 aprile 2014 n. 15898)
La pluralità delle persone offese
Secondo
un
tradizionale
insegnamento
l'accomunamento in unità delle categorie di
congiunti indicate dalla norma in quanto
complessivamente beneficiari degli obblighi di
assistenza familiare faceva sì che, nel caso in cui
con una unica omissione si violasse il dovere di
corrispondere quanto dovuto a più aventi diritto, si
commettesse un unico reato e non una pluralità
di reati in concorso formale o in continuazione
fra loro. (sez VI 27 settembre 2002 N. 34861).
Si tratta di tesi ormai superata dalla opinione delle
Sezioni Unite ….
La sentenza S.U. 20 dicembre 2007 n.8413 ha
fissato il principio della natura pluralistica del
reato accogliendo l'orientamento minoritario
secondo cui oggetto della tutela sarebbe non la
famiglia nel suo complesso ma i singoli aventi
diritto
in
ragione
delle
profonde
trasformazioni che hanno caratterizzato,
nella seconda metà del secolo scorso,
l'istituzione familiare "con uno spostamento di
attenzione del legislatore dal gruppo in sé ai
suoi componenti all'interno della formazione
sociale famiglia”.
Ma la ragione principale di siffatto convincimento
sta nel rilevare che ….... (segue)
..l'adempimento
degli
obblighi
di
assistenza economica è possibile che
avvenga per uno o più degli aventi diritto
e non per l'altro o per gli altri sicché dal
punto
di
vista
naturalistico
tale
considerazione di per sé vale ad escludere
l'unicità del reato. Viceversa nella logica del
reato unico nel caso di adempimento solo a
favore di taluno degli aventi diritto sarebbe
addirittura esclusa la tipicità della condotta
in quanto l'adempimento soggettivamente
frazionato non è descritto nella condotta
prevista dalla norma incriminatrice.
A seguito dell'introduzione del divorzio (legge 1 dicembre
1970, n. 898 rimasero prive di rilevanza penale le
situazioni
in
cui
l'ex-coniuge
divorziato
non
soddisfacesse l'obbligo di pagamento dell'assegno
stabilito dal giudice. Dopo un periodo di contrastante
giurisprudenza, fu affermato che, con la cessazione del
vincolo matrimoniale, viene meno la stessa ragione
dell'incriminazione di cui all'art. 570 c.p., che è quella
della tutela dell'organismo familiare e fu stabilito che
"poiché sul coniuge divorziato non incombe alcun
obbligo, penalmente sanzionato, di assistenza materiale
e morale nei confronti dell'altro coniuge, ma solo
l'eventuale obbligazione civile di corrispondergli
l'assegno di sostentamento stabilito in sentenza, una
volta che siano stati regolati in sede civile, i rapporti
patrimoniali tra i due ex-coniugi trovano la loro tutela
esclusivamente in tale sede
La differenza di trattamento fra separati e
divorziati fu colmata dal legislatore con la
legge di riforma del divorzio (L. 6 marzo
1987, n. 74, art. 21), la quale punisce il
mancato pagamento dell'assegno stabilito
dal giudice per il coniuge divorziato,
introducendo l'art. 12 sexies, secondo cui "al
coniuge che si sottrae all'obbligo di
corresponsione dell'assegno dovuto a
norma degli artt. 5 e 6 della presente legge
si applicano le pene previste dall'art. 570
c.p.".
L'assegno di divorzio
L'art.12-sexies ha introdotto, nell'ambito della
disciplina del divorzio, un reato di natura formale,
nel senso che la condotta ivi prevista consiste nel
mero
inadempimento
dell'obbligo
di
corresponsione dell'assegno divorzile. Per la
sussistenza del reato basta accertare il fatto del
doloso
inadempimento
dell'obbligo
di
corresponsione dell'assegno determinato dal
tribunale
e
non
occorre
che
dall'inadempimento
consegua
anche
la
mancanza dei mezzi di sussistenza (elemento
invece necessario ai fini dell'art. 570 c.p.),
dovendosi altresì prescindere anche dalla prova
dello stato di bisogno dell'avente diritto.
ATTENZIONE !
L'art. 12 sexies della l. n. 898/70 non è suscettibile
di applicazioni analogiche, ostandovi il principio di
legalità sicché la sanzione predetta non è
applicabile all'inosservanza dell'ordinanza
emessa, a norma dell'art. 4 della legge divorzio,
dal presidente del tribunale in via temporanea
e urgente quando fissa un assegno provvisorio a
favore di uno dei coniugi e della prole, ma soltanto
al mancato rispetto delle prescrizioni in materia
disposte dal tribunale con la sentenza che
pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli
effetti civili del matrimonio perché la norma
richiama solo gli artt. 5 e 6 della legge divorzio
(sez. VI, 03/02/1999, n. 2824)
Dottrina e giurisprudenza sono stati concordi
nel ritenere che la nuova disposizione ha
introdotto un'autonoma fattispecie delittuosa,
compiutamente delineata nei suoi requisiti
tipici (si tratta di un reato omissivo proprio di
natura formale) ed irriducibile, sul piano dei
contenuti lesivi, a quella descritta dall'art.
570 c.p. stante il richiamo all'art. 570
soltanto quoad poenam.
Di qui anche la conseguenza che si tratta di
reato procedibile di ufficio e non a querela di
parte.
La ragione della incriminazione è stata individuata
nella tutela di quel residuo di solidarietà familiare
che sopravvive al divorzio e in tal modo
l'inadempimento civile ed illecito penale finiscono
sostanzialmente
per
coincidere,
uscendo
rafforzata la tutela del credito civile che peraltro
l'art. 8 della legge sul divorzio già rafforza
adeguatamente in quanto prevede la possibilità di
imporre la prestazione di un'idonea garanzia, sia
reale che personale, il sequestro dei beni e
l'azione diretta contro il terzo tenuto a prestazioni
periodiche in favore dell'ex coniuge
La giurisprudenza ha stabilito la rilevanza penale
dell'omesso versamento dell'assegno divorzile
anche in epoca antecedente al passaggio in
giudicato della sentenza (sez. VI, 3 maggio
2007 n.21872) in ragione dell'esecutività della
sentenza, tale da consentire immediate azioni a
tutela del coniuge interessato. La norma penale,
in altre parole, sanziona la violazione dei doveri
nascenti dal provvedimento giudiziale esecutivo
(art. 4 c.14 legge divorzio) che genera l'obbligo di
prestazione patrimoniale, e non rileva l'eventualità
che detto provvedimento, in seguito, subisca
vicende idonee ad interromperne la forza cogente.
Nello stesso senso la Cassazione ha più
volte stabilito che la violazione degli obblighi
di assistenza familiare conserva rilevanza
anche dopo la dichiarazione di nullità del
matrimonio, sebbene la stessa, quando
intervenga per mezzo di una sentenza
ecclesiastica con effetti riconosciuti, presenti
efficacia ex tunc (Sez. VI, 7 novembre
2007 n. 42248; Sez. I, n. 3399 del
4/02/1981; Sez. VI, Sentenza n.4987 del
4/12/1979).
Le Sezioni Unite hanno osservato che
l'opinione
tradizionale
finiva,
senza
apprezzabile ragione, con il parificare la
mancata
prestazione
dei
mezzi
di
sussistenza al mero omesso pagamento
dell'assegno di divorzio (ed ora anche
dell'assegno disposto in favore di figli in casi
di separazione dei coniugi), dando luogo a
identico trattamento sanzionatorio per
condotte del tutto eterogenee e di
evidente diversa gravità
Viceversa riferire la sanzione a quella prevista dal
primo comma dell'art. 570 c.p. (alternativamente
multa o reclusione) evita disarmonie di
trattamento tra la tutela del coniuge convivente,
penalmente tutelato soltanto se versa in stato di
bisogno (art. 570 c.p., comma 2, n. 2) e quella del
coniuge divorziato; tra la tutela dei figli minori in
costanza di matrimonio (situazione disciplinata
soltanto dall'art. 570 c.p., comma 2, n. 2) e la
tutela dei figli minori nell'ipotesi di divorzio (e,
dopo il 2006, anche di separazione); tra la tutela
di figli maggiorenni inabili al lavoro (art. 570 c.p.,
comma 2, n. 2) e quella dei figli maggiorenni non
autosufficienti in caso di divorzio (e, dopo il 2006,
anche di separazione).
Viceversa riferire la sanzione a quella prevista dal
primo comma dell'art. 570 c.p. (alternativamente
multa o reclusione) evita disarmonie di
trattamento tra la tutela del coniuge convivente,
penalmente tutelato soltanto se versa in stato di
bisogno (art. 570 c.p., comma 2, n. 2) e quella del
coniuge divorziato; tra la tutela dei figli minori in
costanza di matrimonio (situazione disciplinata
soltanto dall'art. 570 c.p., comma 2, n. 2) e la
tutela dei figli minori nell'ipotesi di divorzio (e,
dopo il 2006, anche di separazione); tra la tutela
di figli maggiorenni inabili al lavoro (art. 570 c.p.,
comma 2, n. 2) e quella dei figli maggiorenni non
autosufficienti in caso di divorzio (e, dopo il 2006,
anche di separazione).
La sperequazione tra figli di genitori separati e figli
di genitori divorziati, anche maggiorenni, nonché
tra figli di genitori non coniugati, è stata superata
con l'approvazione della legge n. 54/2006 sul cd.
affido condiviso, che all'art. 3 sanziona la
violazione degli obblighi aventi natura
economica mediante l'applicazione delle pene
di cui all'art. 12 sexies della legge sul divorzio.
La norma non contiene nessun precetto
determinato, né una espressa sanzione,
strutturandosi su un triplice rinvio: all'art. 12sexies, agli artt. 5 e 6 della medesima legge sul
divorzio, all'art. 570 c.p. per quanto concerne la
pena da applicare.
L'art. 4, comma 2, della legge sull'affido
condiviso prevede inoltre un'estensione
delle disposizioni ivi previste ai casi di
scioglimento, cessazione degli effetti civili o
nullità
del
matrimonio,
nonché
ai
procedimenti relativi ai figli di genitori non
coniugati, giungendo in tal modo ad una
sostanziale equiparazione di quelle stesse
situazioni che la Corte Costituzionale aveva
in precedenza ritenuto non omogenee e
meritevoli di trattamento differenziato.
Gli artt. 3 legge 54/2006 e 570 c.p. a
confronto
Le due norme condividono la natura di
reati omissivi propri di natura
permanente. Entrambi i reati si
perfezionano con la mera violazione
dell'obbligo
giuridico
di
tenere
tempestivamente il comportamento
prescritto dalla legge o dal giudice, non
essendo richiesta invece l'esistenza di
un evento ulteriore avvinto da nesso
causale con la condotta omissiva.
Anche l'art. 3 prevede un reato permanente
perché la situazione di pericolo presunto che lo
integra si protrae nel tempo a causa del perdurare
della condotta omissiva e cessa con il
compimento dell'azione che interrompe tale illecita
condotta oppure con la pronuncia della sentenza
di primo grado o con l'impossibilità di adempiere o
con l'eliminazione dell'obbligo giuridico di agire
(ad es. con il provvedimento del giudice civile che
revochi o modifichi la disposizione violata).Per
come la condotta è stata descritta dal legislatore
si deve ritenere nel senso che il reato resta unico,
senza moltiplicarsi in una pluralità di reati per
quante siano le diverse scadenze.
Tale conclusione (sez. VI, 22/09/2011 n.
36263) viene ricavata sia dal fatto che la
norma penale di chiusura si riferisce al
novellato art. 155 cod.civ. sia dalla lettura
degli atti parlamentari giacchè il testo
originario dell'art. 3 prevedeva l'esplicito
riferimento
alla
penalizzazione
della
mancata corresponsione dell'assegno di
mantenimento dei figli per oltre tre mensilità
cosicché nell'intenzione del legislatore e nel
quadro delle riforme in concreto adottate, la
previsione concerne le obbligazioni di natura
economica nei confronti solamente dei figli.
Elementi di novità nell'art.3 legge 54/2006
Non si fa riferimento a provvedimenti giudiziali
che condizionano la portata applicativa dell'art. 12
sexies della legge sul divorzio e ciò riflette il
mutamento di tutela effettuato sul piano civilistico,
perché il nuovo art. 155, comma 4, c.c. fissa ex
lege l'obbligo generale gravante su ciascun
genitore di provvedere al mantenimento dei figli in
misura proporzionale al proprio reddito con
espressa indicazione dei parametri attraverso cui
individuare il principio di proporzionalità enunciato
nello stesso comma 4.
Elementi di novità nell'art.3 legge 54/2006
Non si fa riferimento a provvedimenti giudiziali
che condizionano la portata applicativa dell'art. 12
sexies della legge sul divorzio e ciò riflette il
mutamento di tutela effettuato sul piano civilistico,
perché il nuovo art. 155, comma 4, c.c. fissa ex
lege l'obbligo generale gravante su ciascun
genitore di provvedere al mantenimento dei figli in
misura proporzionale al proprio reddito con
espressa indicazione dei parametri attraverso cui
individuare il principio di proporzionalità enunciato
nello stesso comma 4.
Vi è poi il nuovo art. 155 quinquies c.c. che
anch'esso
configura obblighi di natura
economica penalmente rilevanti ai sensi
dell'art. 3, prevedendo che il giudice possa
disporre un assegno periodico anche in
favore
dei
figli
maggiorenni
non
indipendenti economicamente, mentre in
precedenza ricevevano tutela penale solo gli
inabili al lavoro o i figli di genitori divorziati. Il
risultato é un considerevole ampliamento
delle fattispecie penalmente rilevanti per la
violazione
degli
obblighi
di
natura
economica verso i figli.
In quale momento sorge l'obbligo giuridico di
contribuzione in favore del figlio naturale?
L'obbligo sussiste fin dalla nascita del minore e
non dalla data della pronuncia che ha accertato la
paternità. Infatti, le sentenze in materia di stato
delle persone, ed in particolare quella di
accertamento della paternità per la loro natura
dichiarativa hanno effetti ex tunc anche con
riguardo all'epoca di insorgenza dell'obbligazione,
tanto che, in sede civile, la Corte di legittimità ha
ritenuto che il genitore che ha riconosciuto il
minore ha diritto di regresso per il recupero delle
somme spese per il mantenimento del minore fin
dalla sua nascita (Sez. I civ., 10 aprile 2012
n.5652).
Diverso è il caso in cui si sia discusso della
paternità perché allora
deve farsi richiamo
all'accertamento contenuto della pronuncia civile.
Di conseguenza l'accertamento di responsabilità
penale
per
l'omissione
precedente
all'accertamento giudiziale di paternità risulta
condizionato solamente dalla necessità di
verificare coscienza e volontà che di tale
vincolo potesse avere il genitore inadempiente
prima della sentenza di accertamento (sez. VI,
12 novembre 2014 n. 51215). Il che il giudice
potrà valutare, ad es., sulla base delle
dichiarazioni della madre e del rifiuto dell'imputato
di sottoporsi ad esame genetico.
Applicazioni giurisprudenziali
Configura il reato sanzionato ex art. 570 comma 1
c.p., oltre che l'omesso versamento dell'assegno
di mantenimento, un atteggiamento di totale
disinteresse nei confronti del figlio minore posto in
essere dal padre che assente al momento della
nascita del figlio, sin dall'inizio non si sia curato
affatto di conoscerlo, rimanendo tale situazione
immutata nel tempo, perché l'imputato ha
continuato a non avere alcun contatto con il figlio,
si è rifiutato di instaurare con lui qualsiasi forma di
rapporto affettivo con la conseguenza che egli ha
potuto contare solo sulla assistenza prestata dalla
madre (sez VI 14 ottobre 2013 n.51488).
Si tratta di condotta che assume connotazioni di
particolare gravità e pregiudizio per il minore,
costringendolo a crescere privo di una delle due
fondamentali relazioni affettive, necessaria per
un'adeguata ed armonica formazione della sua
personalità e per agevolare lo svincolo dalla figura
materna, con ripercussioni negative sullo sviluppo
e sulle capacità relazionali del minore, in tal modo
integrando una condotta contraria all'ordine e
alla morale delle famiglie che non è punita di
per sé, ma solo in quanto abbia avuto per
risultato
la
violazione
degli
obblighi
assistenziali inerenti alla potestà genitoriale, alla
tutela legale e alla qualità di coniuge (ibidem).
Una divagazione su principio di specialità e
assorbimento nel concorso apparente di
norme
La relazione di specialità tra norme è stata
descritta come due cerchi concentrici di
diverso raggio, di cui il minore (la legge speciale)
è inserito totalmente all'interno del maggiore (la
legge generale)
La norma generale (art. 3 cit.) viene ad avere
un'estensione più ampia (si applica anche in
assenza dell'elemento ulteriore specializzante
cioè della mancata prestazione dei mezzi di
sussistenza) rispetto a quella della norma
speciale (art. 570, comma 2, n. 2 c.p.)..
Il principio di assorbimento trova
applicazione in quei casi in cui la
realizzazione di un reato comporta, secondo
l'id
quod
plerumque
accidit,
la
consumazione di un altro reato, ma la
valutazione negativa del fatto concreto
appare interamente già compresa nella
norma che prevede il reato più grave. La
sua finalità é di evitare una ingiusta
duplicazione della pena E' sufficiente che
gli scopi perseguiti dalle norme in concorso
siano per loro natura omogenei.
La norma prevalente andrebbe allora individuata
in quella che tutela il bene giuridico maggiore
(l'art. 570 c.p.) sicché se l'inadempimento
dell'obbligato
non
abbia
comportato
il
raggiungimento del livello rappresentato dai mezzi
di sussistenza, sarà comunque applicabile l'art. 3
della l.. 54/2006. In caso contrario per il principio
di assorbimento sarà applicabile solo l'art. 570,
comma 2, n. 2 c.p. che assorbe il reato di cui
all'art. 3 legge 54/2006 perché quest'ultimo
rappresenta un passaggio precedente alla
consumazione dell'altro (anche se solamente nel
caso di separazione).
Concorso di reati o assorbimento? Cosa
dice la Cassazione
Vi
è
giurisprudenza
nel
senso
dell'assorbimento per cui il reato di cui all'art.
570 c.p., comma 2, n. 2 assorbe il reato
previsto dall'art 3 l.54/2006 quando la
condotta del genitore separato fa mancare i
mezzi di sussistenza ai figli minori,
omettendo
di
versare
l'assegno
di
mantenimento (sez. Vi, n. 44629 del
17/10/2013 e sez VI 29 settembre 2015 n.
41796) con la motivazione che segue:
La violazione meno grave (l'omissione di
versamento dell'assegno di mantenimento)
per il principio di assorbimento, volto ad
evitare il bis in idem sostanziale, perde
infatti la sua autonomia e viene ricompresa
nella accertata sussistenza della più grave
violazione della norma prevalente per
severità di trattamento sanzionatorio (aver
fatto mancare i mezzi di sussistenza nei
confronti del beneficiario dell'assegno di
mantenimento).
Ma non è escluso il concorso da altra
giurisprudenza per la quale ….................
La autonomia si rivela dalla circostanza che
può realizzarsi la prima ipotesi senza che si
consumi la seconda, qualora, ad esempio,
l'obbligato si autoriduca l'importo dell'assegno,
così consumando il reato speciale, senza privare
dei mezzi di sussistenza i familiari, e soprattutto
dovendo ravvisarsi un disvalore maggiore
nell'ipotesi in cui l'inadempimento realizzi la
condotta più deteriore in danno del creditore (sez.
VI, 13 marzo 2012 n. 12307). Inoltre, sussistono
reciprocamente degli elementi specializzanti,
costituiti per il reato di cui all'art. 570 c.p. dallo
stato di bisogno del creditore, e nel caso dell'art.3
nella presenza del provvedimento giudiziale,
sicché non è consentito ravvisare una
progressione criminosa delle condotte.
…. il campo di applicazione delle due
disposizioni è autonomo perché la norma
più recente assiste con tutela penale il
credito dei familiari mentre la norma del
codice prevede una sanzione per l'ipotesi
che
tale
inadempimento
concretizzi
l'estremo della mancanza di mezzi di
sussistenza in danno del creditore, sfera di
bisogni più ristretta rispetto a quella protetta
dal
versamento
dell'assegno
di
mantenimento, che riguarda, quanto ai figli,
il diritto al mantenimento con riferimento
anche alla condizione pregressa.
Correlazione fra accusa e sentenza
Non vi è violazione del principio laddove l'imputato
venga condannato per il reato di cui all'art. 12
sexies legge divorzio in luogo del contestato art.
570 c.p., poiché, pur presentando le due ipotesi
criminose presupposti ed elementi strutturali
diversi, la condotta presa in considerazione
dall'art. 12 sexies rientra nel più ampio paradigma
di cui all'art. 570 c.p., essendo, nella prima ipotesi,
sufficiente accertare la volontaria sottrazione
all'obbligo
di
corresponsione
dell'assegno
determinato dal giudice e non occorre che
dall'inadempimento consegua ia mancanza dei
mezzi di sussistenza, necessario ai fini
dell'integrazione del reato di cui all'art. 570 cod.
pen. (Cass sez. VI 2 maggio 2000 n.7834).
Non si applicano i principi tratti dalla sentenza
Cedu 11 dicembre 2007 n. 25575, (Drassich c.
Italia) che riguarda l'ipotesi in cui il titolo di reato
ravvisato sia più grave e dunque l'imputato venga
a subire conseguenze sfavorevoli per effetto del
mutamento del nomen iuris (Sez. VI 15 maggio
2912 n. 24631) mentre nel caso in disamina, non
occorreva alcuna nuova contestazione, essendo
stata attribuita al fatto una qualificazione giuridica
meno grave di quella enunciata nell'imputazione e
la modifica era intervenuta già in primo grado
sicché con i motivi di appello, l'imputato era posto
in condizione di interloquire sulla diversa
qualificazione giuridica (Sez. VI 14 febbraio 2012
n. 10093).
Neppure sussiste la violazione del principio di
correlazione tra accusa e sentenza, quando
contestatala la violazione dell'art. 12 sexies sia
intervenuta condanna per il reato di cui all'art. 570
comma 2 n. 2 sempreché l'imputato, assistito dal
difensore
fiduciario,
abbia
accettato
il
contraddittorio sul thama probandum sostanziale
con particolare riguardo alla circostanza di fatto ulteriore rispetto a quella oggetto di originaria
contestazione - rappresentata dall'avere fatto
mancare ai figli i mezzi di sussistenza. Nel caso di
specie a seguito della escussione dibattimentale
della moglie, quest'ultima aveva riferito che il
marito aveva fatto mancare i mezzi di sussistenza
ai figli minori (sez. VI, 21/ ottobre 2015, n. 535).
La malversazione-dilapidazione dei beni del
figlio minore
La norma non richiede che il "malversante
genitore" oltre che titolare, debba anche avere
l'esercizio in concreto della potestà tanto è vero
che prima della riforma del diritto di famiglia, si
riteneva che potesse essere soggetto attivo del
delitto anche la madre del minore la quale,
all'epoca, aveva sì la "titolarità ma non "l'esercizio
della potestà, in allora rigorosamente "paterna",
tipicamente esercitata dal padre ex art. 316 c.c.,
ed esercitata dalla madre soltanto dopo la morte
del padre stesso e negli altri casi tassativamente
stabiliti dalla legge.
Perfino il radicale provvedimento di decadenza
dalla potestà genitoriale fa venir meno "i poteri"
del genitore decaduto, ma non i "doveri" che
non siano incompatibili con le ragioni che hanno
dato causa al provvedimento stesso (sez. Vi,
16559/2007).Con il corollario che, permanendo in
capo al genitore decaduto, sia i doveri di natura
economica che quelli di natura morale, il
provvedimento ablativo della potestà non fa venir
meno la permanenza del reato di cui all'art. 570
c.p. (sez. 6^, 4887/2000). Ovviamente anche lo
status di separato non può certo incidere
negativamente
sui
doveri
elementari
e
costituzionalmente sanciti verso i figli ex art, 30
Cost. e 147 cod.civ.
Sul risarcimento del danno
La moglie separata costituitasi parte civile in un
procedimento per omissione dei mezzi di
sussistenza nei confronti dei figli, pur non
essendo parte
offesa dal reato, è persona
danneggiata dallo stesso e, come tale, legittimata
a far valere le proprie pretese risarcitorie in sede
penale anziché nella sede monitoria civile.
Corretta è l'affermazione secondo cui, in favore
della donna, può essere riconosciuto anche il
risarcimento del danno morale, avendo la
condotta illecita del marito inciso sulla sua
situazione personale, creandole disagi e
sofferenze. (sez. VI, 03/ febbraio 2010 n. 14906).
Conforme la giurisprudenza civile
Con sentenza n. 12614 18 giugno 2015 n. 12614,
la Cassazione civile ha chiarito che sussiste il
diritto al risarcimento del danno morale per la
madre che abbia mantenuto i figli da sola in
ragione dell'omesso pagamento da parte dell'ex
marito dell'assegno di mantenimento, semprechè
sia provato il pregiudizio subito. La Cassazione ha
chiarito che il bene tutelato dall'art. 570 c.p. non è
solo l'interesse della persona avente diritto al
sostentamento, ma il più generale interesse dello
Stato di salvaguardare la famiglia contro le gravi
violazioni degli obblighi giuridici posti a
salvaguardia di essa. Ne deriva che possa
ritenersi vittima del delitto in esame qualunque
membro della famiglia, e non solo l'avente diritto
al sostentamento.
In tema di assegnazione di provvisionale è
intervenuta sez,VI 28 marzo 2012 n.18988 che ha
escluso che essa possa comprendere i danni per
il cui ristoro il creditore sia già munito di titolo
esecutivo costituito, nel caso concreto dai
provvedimenti emessi in sede di separazione che
hanno
fissato
l'importo
dell'assegno
di
mantenimento dovuto.
Però potrebbe obiettarsi che diversa è la fonte
delle due pretese, l'una trovando origine dal
provvedimento
del
giudice
e
l'altra
dall'inadempimento dell'obbligo sicché è rimesso
al creditore la scelta di quale titolo azionare, fermo
restando il limite della non duplicazione del
dovuto.