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OSSERVATORIO SULLA GIURISPRUDENZA DELL’UNIONE EUROPEA
Aggiornato al 15 marzo 2011
a cura di Maria Novella Massetani
TRIBUNALE DELL’UNIONE EUROPEA
Sentenza nelle cause T- 110/07, Siemens AG/Commissione; T-117/07 e T-121/07,
Areva, Areva T & D Holding SA, AREva T & D SA, Areva T & D AG, ALstom e
cause riunite da T- 122/07 a T-124/07, Simens AG Osterreich, VA Tech
Transmission & Distribution GmbH & Co. KEG, Siermens Transmission &
Distribution Ltd., Siemens Trasmission & Distribution SA, Nuova Magrini Galileo
SpA / Commissione
La Commissione nel 2007 ha sanzionato varie società che avevano concluso
un’intesa sul mercato delle apparecchiature di comando con isolamento in gas. Le
pratiche anticoncorrenziali consistevano in un coordinamento mondiale di vendita di
progetti che coinvolgeva la ripartizione dei mercati, l’attribuzione di quote ed anche
la manipolazione delle procedure di gara per garantire che i contratti fossero
aggiudicati a tali produttori.
Le società coinvolte hanno proposto ricorso davanti al Tribunale, chiedendo
l’annullamento della decisione della Commissione ed la riduzione delle ammende
inflitte. Il Tribunale afferma che i principi di uguaglianza e di proporzionalità
esigono che la maggiorazione dell’importo di base dell’ammenda vari in ragione del
periodo, durante il quale dette imprese sono state capofila dell’infrazione.
Precisa, inoltre, che riguardo al comportamento delle società che hanno preso parte
all’intesa, le imprese, che hanno partecipato in proprio ad un’infrazione e che sono
state successivamente rilevate da un’altra società, rispondono personalmente del
proprio comportamento illecito precedente, allorché non siano state assorbite
dall’acquirente, ma abbiano proseguito le proprie attività quali controllate. In tali
caso l’acquirente potrebbe essere considerato responsabile del comportamento della
controllata, a partire dal momento dell’acquisizione, qualora la controllata prosegua
l’infrazione e sia dimostrabile la responsabilità della controllante. Il Tribunale ritiene
che lo stesso principio debba applicarsi laddove, anteriormente alla sua acquisizione,
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la società rilevata abbia partecipato alla violazione non a titolo personale, ma quale
controllata di un altro gruppo.
Corte di Giustizia dell’Unione Europea
Sentenza nella C-34/09
Gerardo Ruiz Zambrano / Office National de l’emploi (ONEm)
Una coppia di cittadini colombiani hanno chiesto asilo in Belgio a causa dello stato
di guerra civile in Colombia. Le autorità belghe hanno negato loro lo status di
rifugiati e hanno ordinato loro di abbandonare il territorio belga. Nel frattempo in
Belgio sono nati due figli, che hanno, quindi, acquisito la cittadinanza belga. Il
cittadino colombiano ha poi firmato un contratto di lavoro, che gli consente di
disporre dei mezzi sufficienti per il mantenimento della propria famiglia. In seguito
rimane disoccupato e di conseguenza presenta istanza di indennità di
disoccupazione, che gli viene negata poiché non in regola con la normativa in
materia di soggiorno degli stranieri. I coniugi impugnano le decisioni davanti al
giudice del lavoro, il quale chiede alla Corte di Giustizia se i signori possano
soggiornare e lavorare in Belgio in conformità con il diritto europeo.
La suddetta Corte ribadisce che i presupposti per l’acquisto della cittadinanza in uno
Stato membro rientrano nella competenza esclusiva di ciascuno Stato. Afferma,
inoltre, che i figli nati in Belgio e perciò cittadini del Belgio, godono dello status di
cittadini dell’Unione, che è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini
degli Stati membri.
Il divieto di soggiorno avrà come conseguenza che tali figli si troveranno costretti a
lasciare il territorio dell’Unione per accompagnare i loro genitori.
La Corte conclude che il diritto comunitario osta a provvedimenti nazionali che
abbiano la conseguenza di privare i cittadini dell’Unione Europea del godimento
reale ed effettivo dei diritti attribuiti dal loro status di cittadini dell’Unione stessa.
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Corte di Giustizia dell’Unione Europea
Sentenza nelle cause riunite C-497/09, C-499/09,C-501/029 e C-502/09
Bog e a.
Il caso sottoposto all’attenzione della Corte di giustizia riguarda la fornitura di pasti
pronti per il consumo immediato negli stand di ristorazione o nei foyer dei cinema.
Le autorità tributarie tedesche hanno contestato le dichiarazioni in merito, ritenendo
che le forniture dei pasti in loco avrebbero dovuto essere assoggettate all’aliquota
IVA normale. La Corte tributaria federale rivolge alla Corte di Giustizia il quesito se
tali attività costituiscano una cessione di beni.
Occorre sottolineare che la sesta direttiva distingue tra la cessione di beni dalla
prestazioni di servizi e le assoggetta all’aliquota IVA normale fissata da ciascuno
Stato membro. La stessa direttiva autorizza gli stessi Stati membri ad applicare
un’aliquota minore per alcune categorie di cessione di beni i di prestazioni di servizi.
In conformità a questo, la normativa tedesca applica un’aliquota ridotta per le
cessioni di beni che costituiscono vendite di prodotti alimentari.
La Corte afferma che la sesta direttiva istituisce un sistema comune di IVA in base
ad una definizione comune di operazioni imponibili. Afferma, inoltre, che occorre
prendere in considerazione tutte le circostanze in cui l’operazione si svolge per
individuare le caratteristiche e predominanti. Per quanto riguarda la vendita di cibi
pronti i giudici rilevanono che l’elemento predominante è quella della cessione di
beni, poiché l’attività è costituita dalla cessione di vivande o di cibi pronti per il
consumo immediato e la loro preparazione standardizzata è connessa agli stessi e
non predominante.
Con riguardo al diverso caso di catering, invece, la Corte ritiene che tali attività
costituiscano prestazione di servizi, in quanto richiedono un lavoro di konw how
superiori, quali la creatività nella preparazione delle pietanze e la loro presentazione.
Corte di Giustizia dell’Unione Europea
Sentenza nella causa C-29/10
Heiko Koelzsch / Lussemburgo
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Il caso di specie che è stato sottoposto al vaglio della Corte di Giustizia riguarda un
soggetto, residente in Germania, che svolge la propria attività lavorativa per una
società di diritto lussemburghese in più di uno Stato membro. Viene licenziato in
seguito ad una riorganizzazione ed a causa di una diminuzione di lavoro della
società; per questo motivo si rivolge la Tribunale per ottenere il risarcimento del
danno per licenziamento illegittimo, sostenendo che il diritto del Lussemburgo
sarebbe applicabile al suo contratto di lavoro; tuttavia, in forza della Convenzione di
Roma, egli non doveva essere privato della protezione derivante dall’applicazione
delle disposizioni imperative della legge tedesca che vieta il licenziamento, in
mancanza di scelta delle parti. I giudici del Lussemburgo hanno adito la Corte di
Giustizia per conoscere se, quando il lavoratore svolge la prestazione di lavoro in
diversi paesi, ma torna sistematicamente in uno di essi, occorra considerare che la
legge di tale paese possa applicarsi quale legge del paese in cui il lavoratore esegue
abitualmente il suo lavoro, ai sensi della Convenzione di Roma.
La Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali in
materia civile e commerciale, prevede che il contratto di lavoro sia disciplinato dalla
legge scelta tra le parti. Quando le parti, però, non hanno scelto la legge applicabile
allora il contratto è subordinato alla legge del paese in cui si trova la sede del datore
di lavoro, qualora il lavoratore non compia abitualmente il suo lavoro in un unico
paese. In casi eccezionali il contratto è disciplinato dal diritto del paese con cui esso
presenta un collegamento più stretto. La Corte afferma che la Convenzione di Roma
vuole assicurare una tutela adeguata al lavoratore; la Convenzione stessa deve essere
intesa nel senso che garantisce l’applicabilità del criterio che rinvia alla legge dello
Stato in cui il lavoratore adempie la parte sostanziale dei suoi obblighi nei confronti
del datore di lavoro. La legge applicabile è determinata dallo Stato in cui il
lavoratore esercita la sua funzione economica e sociale, in quanto l’ambiente
professionale e politico influisce sull’attività lavorativa. Il criterio del luogo
dell’esercizio dell’attività professionali deve essere interpretato in senso ampio e
deve essere applicato, come nel caso in esame, quando il lavoratore svolge le sue
attività in più di uno Stato contraente. Il giudice nazionale deve tener conto di tutti
gli elementi che caratterizzano l’attività lavorativa e individuare lo Stato con il quale
il lavoro presenti un collegamento significativo.
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