volume Storia e Archivi Fotografici"
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x stampa cop archivi fotografici_Layout 1 24/08/15 18:46 Pagina 1 STORIA E ARCHIVI FOTOGRAFICI La fotografia e le immagini hanno oggi un posto autorevole nella ‘cassetta degli attrezzi’ degli storici e della strumentazione di cui si dotano tutti coloro che ambiscono a comprendere il rapporto tra presente e passato. Ogni passo in avanti ci fa tuttavia comprendere quanta strada può esserci ancora da percorrere. È per tutte queste ragioni che abbiamo voluto rammentare, a chi avrà la pazienza e l’interesse a seguirci, come la fotografia sia una modalità di comunicazione da cui non si può prescindere per la conoscenza della società in tutti i suoi innumerevoli aspetti. Si può guardare ad essa da diversi punti di vista: artistico, informativo, documentale. Tutti parimenti rilevanti, coinvolgenti, capaci di narrare, complessi sul piano del metodo. ADOLFO MIGNEMI STORIA E ARCHIVI FOTOGRAFICI ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 1 STORIA E ARCHIVI FOTOGRAFICI LA FOTOGRAFIA COME DOCUMENTO ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 2 Questa pubblicazione è stata realizzata nell’ambito dell’accordo di collaborazione, stipulato tra la Comunità Montana della Carnia e l’Istituto Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia, già Centro Regionale di Catalogazione e Restauro dei Beni Culturali, per un progetto di catalogazione e divulgazione delle esperienze inerenti agli archivi fotografici in Carnia e il rapporto tra fotografia, storia e didattica. Il progetto prosegue le attività di raccolta, studio e catalogazione del patrimonio fotografico che i due Enti, in collaborazione con il Circolo Culturale Fotografico Carnico, portano avanti dal 2006 nell’ambito di CarniaFotografia. COMUNITÀ MONTANA DELLA CARNIA Istituto Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia Istituto Comprensivo di Tolmezzo SToRIa E aRChIVI FoToGRaFICI La fotografia come documento Edizioni Comunità Montana della Carnia Tolmezzo, 2015 Immagine di copertina Campo coltivato a Zuglio, 1980 ca. Collezione Comune di Zuglio Realizzazione editoriale Forum editrice, Udine Progetto di copertina cdm associati Stampa Poligrafiche San Marco, Cormòns (Go) © Gli autori per i testi © Gli autori o i detentori per le immagini © Comunità Montana della Carnia - Tolmezzo 2015 ISBN 978-88-96546-06-2 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 3 STORIA E ARCHIVI FOTOGRAFICI LA FOTOGRAFIA COME DOCUMENTO a cura di Roberto Del Grande e adriana Stroili un progetto ideato e curato da Dino Zanier COMUNITÀ MONTANA DELLA CARNIA ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 4 Referenze iconografiche Si ringraziano tutti coloro che hanno prestato le loro fotografie alla Fototeca territoriale CarniaFotografia: Noella Picotti, Socchieve (Ud); Maria Caterina Pascoli, Verzegnis (Ud); Giobatta De Monte, ampezzo (Ud); Rina Siardi, Socchieve (Ud); Clara Comessatti, Socchieve (Ud); Regina Mainardis, Socchieve (Ud); Enrico Tacus, Socchieve (Ud); Fides Del Fabbro, Socchieve (Ud); Rina Bearzi, Socchieve (Ud); Romano Picotti, Socchieve (Ud); Maria Teresa Fabbro, Socchieve (Ud); Giacomino Bertoli, Socchieve (Ud); Luca Spangaro, Socchieve (Ud); Serena Coradazzi, Socchieve (Ud); aurora Comessatti, Socchieve (Ud); Lidia Mecchia, Socchieve (Ud); Francesco Zilli, Socchieve (Ud); Gianfranca Breda, Socchieve (Ud); archivio Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Tolmezzo (Ud); Laura Fabbro Venier, Zuglio (Ud); Comune di Zuglio (Ud); Ezio Vidussoni, Verzegnis (Ud); Luigina Zamolo, Enemonzo (Ud) e chi ha concesso le immagini per la pubblicazione in questo volume: Corrado Fanti, Bologna; archivio Piero Bottoni IDPa Politecnico di Milano; archivio privato L. Finzi; archivio privato a. Finzi; Immagini TerraItaly™; archivio Istituto Comprensivo di Tolmezzo (Ud); archivio aMMER; Famiglia Gardel, ovaro (Ud); adriana Stroili, Verzegnis (Ud). È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, non autorizzata. L’editore rimane a disposizione degli aventi diritto per le fonti iconografiche non individuate. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 5 5 INDICE Presentazioni Lino Not Commissario straordinario della Comunità Montana della Carnia............................p. Rita auriemma Direttrice dell’Istituto Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia...................................................................................................» henri Dao Presidente del Circolo Culturale Fotografico Carnico..................................................» Tiziana D’agaro Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo di Tolmezzo........................................» 7 8 10 11 Il metodo adolfo Mignemi Perché la storia ha bisogno della fotografia..................................................................» 15 Donatella Cozzi, Claudio Lorenzini Raccogliere fotografie in Carnia. Un tentativo di bilancio...........................................» 21 Franca Merluzzi La catalogazione partecipata in rete e CarniaFotografia. Una progettualità in divenire....................................................................................................................» 39 Roberto Del Grande Leggere la fotografia nel web. I valori storici e culturali della fotografia nella fruizione in rete...................................................................................................» 55 Teresa Kostner Archivio fotografico e territorio: il fondo Socchieve. Esperienza operativa..................» 75 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 6 6 adolfo Mignemi La fotografia come documento storico..........................................................................» 91 Corrado Fanti La fotografia come estensione della memoria. Riflessioni sul passato analogico e problemi per un futuro digitale .................................................................................» 107 La pratica adolfo Mignemi L’utilizzo della fotografia nella ricerca storica. Impariamo a leggere la copertina di un libro ................................................................................................» 147 Maria Teresa Sega La fotografia come documento nella didattica della storia...........................................» 153 adriana Stroili La fototeca in classe .....................................................................................................» 167 Silvia Marcolini Educazione all’immagine nella Scuola Media ‘Gian Francesco da Tolmezzo’: presupposti teorici ed esperienze ..................................................................................» 179 Margherita Grosso, Dino Zanier La schedatura fotografica: ipotesi per un archivio d’Istituto ........................................» 183 Maddalena Morassi, Dino Zanier Animare la fotografia. La costruzione di un audiovisivo con immagini d’archivio......» 205 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 7 7 Da molti anni la Comunità Montana della Carnia sostiene l’opera di raccolta, catalogazione, conservazione e divulgazione del patrimonio fotografico carnico, attraverso la salda collaborazione con il Circolo Culturale Fotografico Carnico, vero e proprio ‘braccio operativo’ sul territorio, e con l’Istituto Regionale per Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia, già Centro Regionale di Catalogazione e Restauro, riferimento imprescindibile per la documentazione del patrimonio culturale, anche fotografico. CarniaFotografia, il progetto per una Fototeca territoriale della Carnia, è stato ufficializzato infatti con l’adesione della Comunità Montana al SIRFoST – il Sistema Informativo Regionale Fotografie e Stampe, avviato dall’attuale Istituto Regionale per il Patrimonio Culturale – e poi con la sottoscrizione della Convenzione per il Progetto CarniaFotografia da parte dei 28 Comuni della Carnia. In questi anni è proseguita l’opera di archiviazione fotografica come pure l’attività di sensibilizzazione, al fine di incrementare le adesioni alla Fototeca. La ricerca di foto d’epoca, infatti, è stata rivolta non solo agli archivi di fotografi noti che hanno ripreso la Carnia di altri tempi, ma anche alle foto conservate nei cassetti di privati cittadini. Tutto ciò nella convinzione che, attraverso le immagini, sia possibile comprendere, e far comprendere ai più giovani, il territorio in cui essi vivono e la sua gente. a riprova dello spessore di questa iniziativa, gli Enti coinvolti hanno voluto confermare la loro volontà di sostenere il progetto, attraverso l’accordo di collaborazione che ha portato, tra l’altro, alla realizzazione di questo volume. Storia e archivi fotografici rappresenta dunque la pietra d’angolo di un ‘edificio culturale’ dalle basi solide, che si pone un duplice obbiettivo finale: da un lato, preservare il bene fotografico non solo in quanto espressione artistica, ma anche come testimonianza dell’evoluzione della società, del paesaggio, degli usi di un popolo; dall’altro, insegnare alle giovani generazioni a ‘leggere’ la fotografia d’epoca, a comprenderne il linguaggio, e con ciò a sviluppare la capacità di valutazione e critica del presente, che farà di loro cittadini consapevoli di questo territorio. Lino Not Commissario straordinario della Comunità Montana della Carnia ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 8 8 Il ricchissimo patrimonio storico-culturale della Carnia, terra di confine e cerniera permeabile tra il mondo mediterraneo e quello d’oltralpe, è andato crescendo nel corso dei secoli grazie al profondo senso di appartenenza e identità delle singole comunità, che ne sono state gelose custodi. Il grande valore di questa eredità è stato riconosciuto per tempo dal Centro Regionale di Catalogazione e Restauro che, fin dalla metà degli anni ’70 del Novecento, a poca distanza dalla sua costituzione nel 1971, ha dato avvio alla sua sistematica catalogazione. L’impegno si è mantenuto costante nel corso dei decenni e ha via via affinato i suoi strumenti metodologici, da sempre allineati ai criteri rigorosamente scientifici e alle normative predisposti dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD), estendendo il proprio ambito di interesse a tutte le tipologie di beni di cui è stato progressivamente riconosciuto il valore storico-culturale. L’inizio degli anni ’90 ha visto l’elaborazione e la messa in atto da parte del Centro del Progetto Carnia che si riprometteva di completare e portare avanti sistematicamente la catalogazione dei beni culturali dei Comuni, con la precisa volontà di contribuire a rivitalizzare la montagna carnica anche attraverso una valorizzazione del suo patrimonio culturale che potesse completarne l’offerta turistica. Tali attività sono confluite nei quaderni editi dal Centro di Catalogazione e hanno costituito a lungo lo strumento privilegiato per la divulgazione dei risultati raggiunti. a partire dalla fine degli anni ’90 e nel corso del primo decennio del nuovo secolo l’impegno del Centro nei confronti del patrimonio storico-artistico della Carnia è proseguito anche attraverso la partecipazione a importanti progetti europei transnazionali e interregionali, come l’Interreg ‘Transmuseum’. In questo scenario ampio e articolato si è inserita la proficua collaborazione tra il Centro di Catalogazione e la Comunità Montana della Carnia. Tramite il Circolo Culturale Fotografico Carnico, con il progetto CarniaFotografia, si è dato avvio alla Fototeca territoriale che si prefigge l’obiettivo di raccogliere, conservare e valorizzare il patrimonio fotografico storico e non, relativo al territorio, e di renderlo disponibile al pubblico attraverso il Sistema Informativo Regionale per il Patrimonio Culturale (SIRPaC). Dal 2007 a oggi sono stati promossi progetti di catalogazione relativi al Fondo Gortani, all’archivio del fotografo Giuseppe Schiava, al Fondo Socchieve e – recentissimi – agli archivi familiari di Zuglio e dell’Ispettorato Ripartimentale Foreste di Tolmezzo. Su questa base è nato l’accordo istituzionale per raccogliere in un volume i risultati otte- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 9 9 nuti con le campagne catalografiche di ‘CarniaFotografia’ e le interessanti esperienze didattiche e divulgative che negli anni sono state portate avanti dal Circolo Culturale Fotografico Carnico, attraverso la Fototeca territoriale, e dall’Istituto comprensivo di Tolmezzo nell’ambito dei percorsi di educazione all’immagine. La pubblicazione approfondisce il rapporto fotografia, storia e didattica grazie a interventi di studiosi ed esperti nel settore fotografico, insegnanti e operatori culturali che assieme agli allievi hanno effettuato ricerche, compilato schede, realizzato documentari, partendo da una corretta lettura delle immagini d’epoca. Parallelamente le esposizioni allestite a Zuglio e a Tolmezzo rendono fruibili fotografie finora inedite presentandole alla collettività con tutta la loro forza evocativa e come documenti storici da interpretare, comparare e comprendere. Tutto ciò trova piena rispondenza nelle finalità statutarie dell’Istituto per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia (IPaC), delineato dalla legge regionale 10/2008 come ente funzionale e autonomo della Regione e subentrato al Centro dal 1° febbraio di quest’anno, raccogliendone la prestigiosa attività. L’Istituto si pone oggi come un progetto di innovazione culturale, un’opportunità reale per lo sviluppo delle politiche culturali della regione. In questa prospettiva, l’educazione al patrimonio e la divulgazione sono sfide ineludibili, obiettivi correlati e strategici per l’Istituto: ricostruire e comunicare la storia attraverso una fonte primaria come la fotografia è garanzia di una lettura critica e corretta del nostro passato, e incentivare l’uso di questa documentazione da parte delle giovani generazioni ne costituisce la necessaria premessa. Non a caso una delle ambizioni dell’Istituto è la costruzione di una rete di collaborazione per lo studio e la valorizzazione degli archivi fotografici di Enti pubblici e privati sul territorio regionale. Una sezione importante delle attività della rete riguarderà proprio l’educazione al patrimonio fotografico nel più ampio contesto dell’educazione al patrimonio culturale, con una serie di incontri e workshop tematici, anche di aggiornamento. Momenti educativi e formativi come quello attuato con il progetto ‘CarniaFotografia’ si pongono quindi come necessario e prezioso riferimento, auspicio importante per lo sviluppo sistematico di questa finalità prioritaria. Rita Auriemma Direttrice dell’Istituto Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 10 10 a nome del Circolo Culturale Fotografico Carnico, esprimo la soddisfazione di fare parte del gruppo di lavoro e del progetto che ha portato alla realizzazione di questa pubblicazione, che si pone un obiettivo per noi particolarmente significativo: approfondire l’importanza storica della fotografia di archivio. La fotografia, per il Circolo Culturale Fotografico Carnico, è un bene materiale che può dare un notevole contributo alla conoscenza del territorio. La nostra associazione si è costituita riunendo persone che avevano interessi diversi, ma legati, in un modo o nell’altro, al mondo della fotografia. Sin dall’inizio, tuttavia, un principio unanimemente condiviso è stato l’orientamento verso un’attività di servizio nei confronti di enti e associazioni culturali che avevano l’esigenza di tutelare la ‘fotografia storica’, pur non disponendo delle competenze tecniche necessarie. Dopo anni di attività legata alle fotografie d’epoca, in quanto associazione di riferimento per il supporto tecnico-organizzativo della Fototeca territoriale, ci sembra giusto soffermarci per una riflessione, chiederci in che direzione si stia andando e se quanto finora è stato attuato sia consono agli obiettivi di sensibilizzazione della tutela del patrimonio fotografico del nostro territorio. Noi crediamo che i saggi dei professionisti contenuti in questa pubblicazione diano un contributo notevole nel portare avanti il dibattito. Henri Dao Presidente del Circolo Culturale Fotografico Carnico ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 11 11 La Scuola Media Statale ‘Gian Francesco da Tolmezzo’, divenuta ora Istituto Comprensivo, nasce come scuola sperimentale a tempo prolungato che privilegia come stile cognitivo il linguaggio per immagini avvalendosi della comunicazione multimediale attraverso l’analisi e la produzione audiovisiva. Negli ultimi decenni del Novecento in Carnia vi è stata una diffusa sensibilità verso la fotografia d’epoca, che ha avuto notevole rilevanza sociale. Poiché accanto alla creazione di cortometraggi a soggetto e di documentari è sempre stato attivo il laboratorio di fotografia per lo sviluppo e la stampa della pellicola, la Scuola si è organizzata elaborando una sua strategia di utilizzo relativa all’osservazione delle immagini d’epoca. Di fatto, la fotografia d’archivio ha una connaturata forza evocativa e si presta ad essere usata nella didattica come stimolo per interrogarsi sulle condizioni di vita del passato recente tenendo conto dei disagi, delle paure, dei sacrifici e delle difficoltà di chi ha vissuto prima di noi per guardare al futuro in modo costruttivo. Nell’ambito dell’educazione all’immagine sono state quindi organizzate due attività basate su questi archivi: la schedatura fotografica e il documentario storico. La schedatura fotografica prevede la compilazione di una scheda con l’inserimento di fotografie provenienti dagli album familiari. Le fotografie, così riprodotte e analizzate, vanno a formare l’archivio di classe che idealmente propone una memoria storica collettiva. Con la scheda fotografica l’immagine entra in stretto rapporto con la scrittura: i due codici si mettono in relazione e si completano producendo un’amplificazione del significato. Ciò che la scrittura non dice lo indica l’immagine e viceversa. Il documentario storico è un’attività proposta alle classi terze della scuola media che organizzano l’indagine iconica a partire da una fotografia scelta dall’insegnante. Dall’osservazione dell’immagine e dalla relativa descrizione accurata nascono i temi di approfondimento affidati ai gruppi in cui sarà divisa la classe. Partendo dal tema assegnato, tali gruppi fanno ipotesi e formulano domande su tutto ciò che non è evidente. I quesiti, rivolti ad un esperto, chiariscono il contesto in cui è stata scattata la foto e forniscono le informazioni per il commento parlato dell’audiovisivo. Tiziana D’Agaro Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo di Tolmezzo ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 12 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 13 Il metodo ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 14 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 15 Perché la storia ha bisogno della fotografia Adolfo Mignemi Perché la storia ha bisogno della fotografia ormai tutti sanno che agli occhi degli studiosi del passato ogni cosa ad esso riconducibile, anche se la più banale, è da considerarsi un documento capace di aprire prospettive interpretative sempre nuove. Cosa più delle immagini dunque potrà fornire stimoli e pretesti agli studiosi di una società come la nostra caratterizzata da una articolatissima comunicazione visiva. Il problema però è come rapportarsi alle immagini, come esaminarle, come decodificarle. Ed è questione che coinvolge non solo chi deve interrogarle in relazione allo studio del passato ma chiunque viva questo tempo ed abbia occasione di ‘incontrarle’. Proviamo a spiegarci meglio a partire dall’esempio suggerito da fotografie di interesse storico che di questi tempi ricorrono di frequente davanti agli occhi di tutti. Cento anni fa la prima Guerra Mondiale. allora la fotografia entrò all’improvviso nella vita di molte persone con modalità e contenuti diversi tra loro. Nell’estate del 1914 Robert Musil, come molti altri scrittori e intellettuali in Europa, era stato trascinato dall’entusiasmo della mobilitazione e si era arruolato volontariamente. assegnato alle truppe dislocate sul confine italo-austriaco, aveva preso parte alle operazioni belliche tra le montagne del Sudtirolo e sulle sponde dell’Isonzo. Più tardi avrebbe lavorato come redattore per due gazzette militari: a partire dal 1916 per «Tiroler Soldaten-Zeitung» di Bolzano e, dal 1918, per «heimat», edita dal quartier generale della stampa bellica di Vienna. Nelle pagine del primo avrebbe scritto: «Il ricordo è un apparecchio scadente. Tra un paio d’anni non avrete più una immagine chiara di ciò che è stato. Le immagini poetiche degli scrittori […] vi sembreranno realtà. Mancherà la parte migliore, la parte viva, ai limiti dell’impossibile, di quello che ora vi sta intorno in ogni istante». Ed oltre aveva aggiunto: rimarranno le fotografie perché esse «conserveranno per sempre a 15 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 16 16 Adolfo Mignemi 1 R. MUSIL, Kameraden arbeitet mit!, in «Tiroler Soldaten-Zeitung», n. 9, 1916, p. 4 (ora in Id., La Guerra parallela, Riverdito, Trento 1987, p. 22). tutti i combattenti di questa guerra l’eccezionalità del presente»1. La Grande guerra è caratterizzata dall’irruzione della propaganda nel conflitto con ruolo di protagonista: essa manifesta rapidamente la sua capacità di proporsi come un’arma che per vastità d’impiego e di risorse messe in campo dimostra le sue incredibili potenzialità offensive sia sul fronte interno sia sul campo di battaglia. Spesso essa diventerà un ordigno capace di mantenere il suo potere distruttivo e velenoso per anni e anche per decenni, in grado di sopravvivere alla tregua definitiva dei conflitti ed alle proclamazioni formali della pace. Tra gli strumenti principali della propaganda vi sono le immagini, in particolare la fotografia ed il cinema. Questi nuovi strumenti sul piano tecnico ancora mal si adattano ad una documentazione degli avvenimenti, in particolare dei combattimenti, per cui la loro vicenda, in particolare quella dei dispositivi fotografici risultò assai complessa. Sul piano militare, infatti, si passa dagli impieghi più direttamente tattici dello studio relativo alle difese e all’attività del nemico alla documentazione del conflitto in tutte le sue componenti organizzative. Quest’ultima documentazione viene realizzata principalmente attraverso il lavoro di verifica e controllo (largamente censorio) delle immagini scattate dagli operatori non militari a cui era concesso di avvicinarsi alle zone di operazione dei vari fronti. Vi è poi un secondo aspetto, non meno im- portante, relativo alla pratica, che si diffonde sempre più tra i militari, di fotografare in prima persona alcune delle vicende belliche nelle quali si era coinvolti. Essa genera una produzione ‘non ufficiale’ di immagini che finisce per confrontarsi con l’immagine ufficiale del conflitto. La grande espansione della stampa illustrata, che caratterizza il sistema delle comunicazioni di massa in quegli anni, vedrà crearsi un percorso interessantissimo di interazioni tra fotografi non ufficiali e modalità di informazione visiva sull’andamento del conflitto realizzate dai numerosi giornali di informazione popolari. In Italia però la produzione a livello personale di immagini fotografiche relative alla guerra rimane appannaggio degli strati sociali più abbienti, che si possono permettere l’onerosità ancora significativa delle apparecchiature (anche quelle amatoriali) e dello sviluppo e stampa dei materiali impressionati. Per quanto non si trattasse sempre di ufficiali superiori, che spesso non sapevano fotografare, ma collezionavano volentieri le immagini prodotte dai fotografi militari o civili accreditati ai comandi, è chiaro che a cimentarsi con questa nuova forma di scrittura e narrazione attraverso le immagini erano persone che riversavano nelle proprie istantanee e nell’organizzazione delle stampe raccolte una cultura molto precisa e strutturata anche sul piano degli immaginari visivi. Da qualche anno l’attenzione crescente alla fotografia amatoriale e non ufficiale ha reso frequente l’incontro con questi percorsi che ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 17 Perché la storia ha bisogno della fotografia sono diventati suggestive riflessioni su una vera e propria ‘rilettura’ degli avvenimenti vissuti, affidata quasi sempre alle pagine di album, compilati al ritorno a casa, e destinati talvolta solo a confrontarsi con il proprio ricordo personale, nella maggior parte dei casi a rappresentare il tipico percorso pedagogico nelle memorie familiari borghesi. È significativo che anche Vittorio Emanuele III, appassionato di fotografia, abbia compilato, con le proprie istantanee e altri scatti procuratisi via via, un album destinato all’erede al trono, Umberto. La guerra raccontata da questi diversi nuclei di documentazione fotografica ci ha fatto certamente scoprire realtà spesso sconosciute, talvolta volutamente rimosse, ha sottoposto ai nostri sguardi particolari dell’orrore di un conflitto che non aveva avuto analoghi precedenti, ma è riuscita solo ad accompagnarci ai margini del baratro che quegli avvenimenti hanno aperto. Non è un caso che quegli immaginari visivi siano quasi sempre assai lontani da quelli elaborati dalla cultura popolare e proletaria della maggior parte dei fanti che affollavano le trincee. Questi strati sociali hanno prodotto diari, corrispondenze, memorie autobiografiche che negli ultimi decenni hanno dischiuso agli storici un approccio nuovo alla storia della Grande guerra: se andiamo a sfogliarli siamo quasi sopraffatti dalla istanza di comunicare attraverso le immagini che caratterizza la scrittura di quegli anni. Essa è lo specchio di un mondo che sta vivendo una profonda rivoluzione nei processi comuni- cativi, ma guarda caso, si direbbe, l’immagine della guerra che si sta vivendo è assente, talvolta è palesemente tenuta lontana quasi per il desiderio di non turbare le famiglie. Il filosofo alain (Émile-auguste Chartier), che durante il primo conflitto mondiale era stato profondamente «segnato dall’esperienza del fronte», riflettendo su ciò che in guerra è vero o falso evidenziava la «sorprendente inclinazione a render conto non in base alla verità, ma secondo quel che è meglio. E il meglio ha molte facce»2. Non stupisce quindi riscontare che l’immagine della Grande guerra nell’ambito di questi materiali è principalmente riconducibile al genere del ritratto. È il ritratto del soldato in divisa o del gruppo di commilitoni ripresi in un momento di riposo, il più delle volte lontano dall’inferno delle trincee, nella zona delle retrovie. È un’immagine che ha l’unico scopo di tranquillizzare e di rassicurare. allorché è scattata in uno studio fotografico, essa appare del tutto sovrapponibile a quelle dell’emigrazione, che caratterizzano le corrispondenze dei decenni precedenti. L’abito buono di quelle immagini, carattere distintivo del successo raggiunto, è in questo caso costituito dalla divisa lavata e rammendata, dalle fasce ripulite dal fango e dagli scarponi lucidati; come allora non erano presenti richiami alla fatica del lavoro e alle ristrettezze quotidiane, non compaiono elmetti, baionette e fucili, ma un fondale dipinto e qualche supporto a cui poggiarsi per evitare il ‘mosso’. Fa da controcanto a questi ritratti l’analoga 17 2 ALAIN (É.-A. Chartier), Mensonges militaires, in Id., Propos, Gallimard, Paris 1956, p. 215. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 18 18 Adolfo Mignemi 3 P. MELOGRANI, Trincee in technicolor, in «Domenica Il sole 24 ore», 7 marzo 2004, p. 1. ripresa, quasi sempre in studio, del gruppo familiare che riorganizza, in assenza del capo famiglia al fronte, le gerarchie della stessa: la centralità della moglie, i figli e a volte anche i genitori. È in un certo senso un ritratto che fissa la temporanea rivoluzione dei ruoli, che trova sempre riscontro nelle architetture culturali della corrispondenza tra fronte /casa e viceversa. Questa trama visiva di fototipi conservati gelosamente nelle tasche della giubba e nei portafogli, manipolati ripetutamente, all’infinito, nei riti quotidiani del ricordo di casa, fa da sfondo alla sterminata produzione di documenti su cui studiare, come si diceva, con sguardo nuovo la ‘guerra Grande’ dei combattenti, ma non solo. attraverso questa nuova sensibilità è possibile rileggere anche la storia visiva che ci è stata consegnata fin da allora dall’immagine ufficiale del conflitto, attraverso le fotografie ed i filmati. La capacità critica accresciuta ci consente infatti di porci in atteggiamento impensabile solo una decina di anni fa. Nel 2004, ad esempio, a proposito di queste immagini lo storico Piero Melograni scriveva: «La Fremantle home Entertainment pubblica due dvd con immagini filmate della Prima guerra mondiale a colori. ovviamente il colore è stato aggiunto di recente, grazie alle nuove tecnologie, e qualcuno ha protestato asserendo che si tratta di uno stravolgimento: le immagini erano state girate in bianco e nero e tali devono restare. Ma non siamo d’accordo. Nel caso dei documentari, infatti, il problema della coloritura delle immagini si pone in termini diversi che per gli antichi film a soggetto tipo Metropolis o Tempi moderni. Questi film sono opere d’arte concepite, pensate e realizzate per il bianco e nero. Colorarli oggi può essere un abuso. Ma i documentari della guerra 1914-18 intendevano rappresentare fedelmente la realtà così come essa era, e quella realtà si mostrava a colori, non in bianco e nero. La distorsione rispetto alla verità è semmai costituita dal bianco e nero, non dall’immissione del colore. Se la coloritura viene oggi compiuta in modo corretto, l’effetto può essere emozionante»3. Melograni però scrivendo queste cose faceva un torto al suo stesso brillante lavoro storiografico sulla prima Guerra Mondiale che ancora oggi si legge con piacere e di cui si apprezza l’intelligenza. Quelle immagini erano nate in bianco/nero non per caso: gli operatori, si potrebbe dire, pensavano in quei due soli colori, ben sapendo valutare la forza e la capacità narrativa della luce. Inoltre esse erano state accuratamente costruite. Una attenta osservazione evidenzia infatti che la maggior parte di esse erano riprese documentarie con le quali si intendeva raccontare la guerra e i combattimenti attraverso ‘messe in scena’ o raffinati montaggi che suggerissero una vicinanza alla linea del fuoco che in realtà non c’era e non ci sarebbe potuta essere se non ad altissimo rischio, a causa dei limiti tecnici delle cineprese (ingombro, scarsa sensibilità delle pellicole ecc.). Non ultimo gli operatori sapevano come dosare il ritmo delle riprese e come animare ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 19 Perché la storia ha bisogno della fotografia adeguatamente quelle immagini destinate a restare mute dei suoni originali non essendo tecnicamente ancora possibile una loro registrazione parallela né dare alla versione definitiva dei filmati anche una completezza audiovisiva. Ecco dunque come le immagini prodotte cento anni fa possono oggi farci conoscere meglio quanto avvenne durante quel drammatico conflitto. Esse ci consentono di entrare nella storia di quegli uomini che furono coinvolti con una sensibilità che nessuna relazione ufficiale ha mai potuto consentire; esse infine danno corpo e volto a quella «eccezionalità del presente» di cui scriveva Musil. Solo alcuni decenni fa, quando gli strumenti dell’analisi delle immagini erano ancora lontani dall’essere definiti, tutto ciò appariva impossibile: le fotografie erano un puro e semplice apparato illustrativo/decorativo. Le uniche ad avere considerazione erano quelle ‘ufficiali’ che narravano però, ancora una volta, la storia di re e di generali, parlavano la lingua della retorica, spingevano ai margini le istantanee personali, gli sguardi individuali, non riuscendo a trovare per essi la giusta collocazione e la corretta chiave di lettura. abbiamo dunque percorso molto cammino sul piano scientifico. La fotografia e le immagini hanno oggi un posto autorevole nella ‘cassetta degli attrezzi’ degli storici e della strumentazione di cui si dotano tutti coloro che ambiscono a comprendere il rapporto tra presente e passato. ogni passo in avanti ci fa tuttavia comprendere quanta strada può esserci ancora da percorrere. È per tutte queste ragioni che abbiamo voluto rammentare nelle pagine che seguono, a chi avrà la pazienza e l’interesse a seguirci, come la fotografia sia una modalità di comunicazione da cui non si può prescindere per la conoscenza della società in tutti i suoi innumerevoli aspetti. Si può guardare ad essa da diversi punti di vista: artistico, informativo, documentale. Tutti parimenti rilevanti, coinvolgenti, capaci di narrare, complessi sul piano del metodo (non ci stancheremo mai di ripeterlo!). 19 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 20 1. Copertina del volume Cimiteri di montagna. Ricerca fotografica in Carnia, curato dal Circolo Culturale Fotografico Carnico, Cjargne culture, Tolmezzo 2002. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 21 Raccogliere fotografie in Carnia. Un tentativo di bilancio 21 Donatella Cozzi, Claudio Lorenzini* Raccogliere fotografie in Carnia. Un tentativo di bilancio 1. Introduzione a corredo dei seminari di studio e delle iniziative di ricerca promosse fra il 2000 e il 2001 sotto il titolo La religiosità popolare nella montagna friulana, a cura del Circolo Culturale Fotografico Carnico fu realizzata la mostra e il catalogo Cimiteri di montagna1, che raccoglievano i risultati di una ricerca imponente, nella quale erano stati censiti tutti i cimiteri della Carnia, fotografate e schedate tutte le tombe precedenti agli anni ’50 del Novecento. a questi risultati esposti sotto forma d’itinerario e di ‘categorie’ (forme, bambini, epitaffi, simboli), nel libro s’univano i saggi di approfondimento di Patrizia Casanova, adriana Stroili, Marica Stocco, Dino Zanier, Patrizia Gridel, Marina Giovannelli e Giorgio Ferigo2. Il testo, oltre a documentare la rappresentazione fisica del luogo della sepoltura di molti cimiteri in Carnia, ne segnalava alcuni in stato di abbandono3. Si tratta di un repertorio prezioso, perché cimiteri e lapidi, foto e modalità di lasciar tracce dei morti per mezzo dei vivi, permettono di delineare i cambiamenti nel tempo delle strategie necessarie a ricordare chi non c’è più in un luogo specifico: il simitèri, per l’appunto. Questi spazi seguono di pari passo le vicende dei paesi a loro vicini, nelle pulsazioni demografiche che un tempo li hanno visti abitati da concrezioni della memoria e poi li hanno abbandonati: le finestre chiuse dei paesi, il silenzio, l’assenza si accompagnano così alle erbacce e ai muschi, ai segni di rovina, alla pietra sbrecciata, ai lumini che non ardono più. Il repertorio d’immagini e di testi attorno a questi luoghi raccolto in Cimiteri di montagna, benché per il contesto alpino risultasse assolutamente pionieristico4, aveva dei fondamenti in alcune ricerche comparabili per l’area mediterranea. Uno dei riferimenti portanti era senza dubbio il lavoro di Francesco Faeta – soprattutto Imago mortis5 – svolto tra gli anni ’70 ed ’80 del Novecento nei cimiteri dell’entroterra calabrese6. Faeta * Il contributo è frutto della discussione dei due autori. La paternità dei paragrafi va ascritta a Donatella Cozzi per 2-3, 4.4-4.5, 5-6, ed a Claudio Lorenzini per i rimanenti. 1 CIRCOLO CULTURALE FOTOGRAFICO CARNICO (a cura di), Cimiteri di montagna. Ricerca fotografica in Carnia, Cjargne culture, Tolmezzo 2002. 2 Gli atti dei seminari e del convegno conclusivo tenutisi fra il 2000 e il 2001 sono raccolti nei volumi P. MORO, G.L. MARTINA, G.P. GRI (a cura di), L’incerto confine, vol. [1], Vivi e morti, incontri, luoghi e percorsi di religiosità nella montagna friulana, Associazione della Carnia Amici dei Musei e dell’Arte, Tolmezzo 2000 (Quaderni dell’Associazione della Carnia Amici dei Musei e dell’Arte, 7) e P. MORO, G.L. MARTINA, C. LORENZINI (a cura di), L’incerto confine, vol. [2], Simboli, luoghi, itinerari di religiosità nella montagna friulana, Associazione della Carnia Amici dei Musei e dell’Arte, Tolmezzo 2000 (Quaderni dell’Associazione della Carnia Amici dei Musei e dell’Arte, 8). 3 Non tutti così rimasti. È il caso del cimitero di Timau, recuperato con un intervento mirabile che si è avvalso delle ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 22 22 Donatella Cozzi, Claudio Lorenzini ricerche contenute in CIRCOLO CULTURALE FOTOGRAFICO CARNICO (a cura di), Cimiteri di montagna… cit.; ora in F. MENTIL (a cura di), Il recinto della memoria. Recupero del vecchio cimitero di Timau, Circolo culturale G. Unfer-Circolo culturale Menocchio, TimauMontereale Valcellina 2010. 4 Nello stesso periodo comparve la ricerca di M. GIOVANNELLI, Le virtù estreme. Donne, uomini, bambini e soldati nelle epigrafi delle Prealpi carniche, Montagna Leader, Maniago 2001. 5 F. FAETA, M. MALABOTTI, Imago mortis. Simboli e rituali della morte nella cultura popolare dell’Italia meridionale, catalogo della mostra, Roma, Galleria nazionale d’Arte moderna, 2 luglio-10 agosto 1980, De Luca, Roma 1980. 6 Cfr. S.M. BARILLARI (a cura di), Immagini dell’aldilà, Meltemi, Roma 1998. 7 S. MARRA, Immagini del mondo popolare silano nei primi decenni del secolo, Electa, Milano 1984; S. MARRA, Gente di San Giovanni in Fiore, Alinari, Firenze 2007. 8 G.P. GRI, Lo scenario funebre in val d’Arzino, Università degli Studi di Trieste, Trieste 1976 (Atlante storico-linguistico-etnografico friulano (ASLEF). Sezione etnografica. Quaderni, 2). 9 P. MORO, G.L. MARTINA, G.P. GRI (a cura di), L’incerto confine… cit. 10 H. BELTING, Antropologia delle immagini, Carocci, Roma 2011; H. BELTING, Facce. Una storia del volto, Carocci, Roma 2014. 11 F. FAETA, M. MALABOTTI, Imago mortis… cit. si è soffermato non soltanto sugli usi sociali della fotografia, ma ha anche curato l’opera di fotografi intenti a documentare vari aspetti del mondo popolare e contadino, come ad esempio il catalogo dedicato a Saverio Marra7, fotografo che ha documentato il mondo popolare silano nei primi decenni del secolo. La riflessione sviluppata da Faeta, dalla quale cominciamo – e, come si leggerà, non casualmente – si articola intorno all’uso popolare della fotografia a partire dal contesto degli usi funebri. Una mappa tutta improvvisata del diffondersi della fotografia sulle lapidi, sembra dirci che il prevalere di essa, in rapporto con l’epigrafe o in progressiva sostituzione di essa, è collegato non solo alla diffusione del ritratto fotografico o d’occasione, ma anche alla progressiva sparizione della dimensione orale e rituale: laddove i riti dell’agonia, della veglia, del pianto rituale – come nel caso documentato per la valle dell’arzino8 o in generale nella montagna friulana9 – iniziano a diradarsi, s’intravede incominciare un rapporto denso di significati con l’immagine del volto ormai assente grazie alla fotografia10. oppure, come ha documentato Faeta per l’area calabrese, ancora alla fine degli anni ’70 in occasione della festa dei defunti la lamentazione funebre si dirige alla fotografia, attraverso i suoi contenuti: la fissità, il tempo, la bidimensionalità in luogo delle virtù o delle gesta in vita. ad offrire il destro al ricordo è quanto si presenta allo sguardo, quanto si desidera far sopravvivere alla sclerosi progressiva della memoria11. La diffusione della fotografia, e lo spazio che ha trovato nei rituali funebri, ha condizionato fin dal suo esordio la costruzione della memoria – individuale, familiare, comunitaria, collettiva. La mostra e il catalogo Cimiteri di montagna si collocava in un solco profondo, nel quale erano state seminate una miriade di iniziative e tante pubblicazioni che avevano nell’immagine fotografica una delle leve della ricerca sociale, culturale, storica in Carnia. Il testo che segue è un tentativo di lettura e di bilancio di una stagione di studio feconda – ne fanno fede i numeri e la qualità delle pubblicazioni che citeremo – e di prospettiva. Il potere dell’immagine, e in particolare di quelle che fin dalle prime mostre e libri son state classificate come ‘foto vecchie’, è (stato) tale da condizionare la nostra capacità di ricostruire il passato e di pensare il presente. È bene dunque soffermarsi, per cominciare, da questo aspetto. 2. Partire dalla fine Partiamo dalla memoria – individuale, familiare, comunitaria – offrendo (un po’ schematicamente) qualche annotazione esemplificativa fondata ancora sulla ricerca Cimiteri di montagna. a. Il potere di presentificazione della fotografia: l’immagine del defunto che sta per il corpo assente (il caso dell’emigrante sepolto lontano, con la tomba vuota, sulla quale è collocata la sua foto) che fa da contraltare al funerale in assenza: per il cràmar, fin dal Cinquecento, quando la fotografia ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 23 Raccogliere fotografie in Carnia. Un tentativo di bilancio non c’era12, e poi per l’emigrante; ma anche per il soldato morto, in particolare quelli della Prima Guerra mondiale, il cui corpo non è stato recuperato13. alla retorica ufficiale pubblica della memoria per i morti, costruita con particolare impegno in Italia attraverso i monumenti14 e culminata nell’esperienza del Milite ignoto15, si è contrapposta e ha resistito una memoria comunitaria collettiva e privata, guidata dal medesimo intento di riempire con un resto e con un nome una tomba16, confinando nei luoghi dell’alterità – le montagne, gli alpeggi – il vagare delle anime tormentate dal non aver ricevuto una ‘buona’ morte17 (ma le cose cambieranno decisamente per i morti della Seconda Guerra mondiale). b. La foto postuma, riscontrabile nell’uso di fotografare il cadavere (quando il farsi una foto in vita non era ancora usuale; o nel caso dei neonati, considerato di malaugurio). Era un genere piuttosto diffuso18, insieme alla foto di nozze, a riprova dell’intrudersi precoce della fotografia nei rituali. Per l’arzino è documentata questa usanza per i neonati19, ma sono diverse altre le attestazioni che si possono riscontrare: a Forni di Sopra20, a Cercivento21, a Comeglians o Cedarchis ancora negli anni ’6022. c. Il rapporto di cura con la foto sulla lapide: la si accarezza, la si pulisce. La stessa foto del defunto viene conservata nei medaglioni che si portano al collo. E, ancora, il legame d’intimità esibita nel cimitero con la lapide: la conversazione a voce alta (o interiore) presso la tomba; l’utilizzo dei fiori23. Il rapporto casa-morte-fotografia: la casa (la cucina, in particolare), luogo dei vivi, si afferma almeno fino agli anni ’90 quale luogo di custodia e di esibizione delle foto dei familiari scomparsi, assenti, vicini e lontani24. L’immagine dà sostanza alla dimensione di appaesamento, domesticazione tanto dell’assenza quanto della morte: avviene una trasposizione del mondo di qua con il mondo di là, che trova nell’immagine una interlocuzione forte. d. ancora su questo rapporto, ben documentato altrove, l’erigere in vita la propria tomba, ma senza la fotografia. Se il ritratto fotografico presentifica il defunto, non è possibile la doppia presenza del simulacro e del vivente. In altre parole: non si può essere presenti in due mondi contemporaneamente, quello dei vivi nel quale la persona è presente e quello dei morti, la cui presenza è richiamata dall’immagine, ma non dalla sostanza. e. La vita è assimilata al potere di controllo dello sguardo e mette anche ordine alle immagini in relazione con le attività pratiche e simboliche. E la morte appare come una apocalissi del visivo: l’oscurare gli specchi25; le lacrime alla chiusura e alla sepoltura della cassa, che sottraggono alla vista dapprima il corpo e poi il contenitore nel quale racchiuderlo in terra26. f. Maschile e femminile, quindi il genere. Non solo per quanto riguarda il rapporto con le fotografie, ma per quanto documenta il libro: l’incarico del trasporto del cadavere fino al cimitero, non solo nel caso delle coscritte, ma particolarmente quando gli uomini erano lontani. 23 12 Cfr. G. FERIGO, Le cifre, le anime. Un saggio di demografia storica, in «Almanacco culturale della Carnia», I (1985), pp. 31-73 (ora in ID., Le cifre, le anime. Scritti di storia della popolazione e della mobilità in Carnia, a cura di C. Lorenzini, Forum, Udine 2010, pp. 3-45). In generale sulla celebrazione di funerali in assenza di cadavere in area alpina – pratica variamente proscritta o tollerata in contesti di forte incidenza della mobilità professionale maschile – cfr. L. LORENZETTI, R. MERZARIO, Il fuoco acceso. Famiglie e migrazioni alpine nell’Italia d’età moderna, Donzelli, Roma 2005. 13 Yves Pourcher, ricercatore dell’Università di Tours, ha dedicato delle pagine molto intense sulla desolata e disperata ricerca del corpo del proprio padre, marito, figlio, morto o disperso in guerra, spesso sulla scorta dei fotoritratti degli scomparsi: nell’immane scialo di morte della fine della Prima Guerra mondiale, il piano della memoria individuale diviene, con questa ricerca, collettivo, cfr. Y. PURCHER, Les jours de guerre. La vie des Français au jour le jour entre 1914 et 1918, Plon, Paris 1994 (nuova edizione Hachette, Paris 2008). Di immagine in immagine, almeno due recenti film francesi riprendono lo stesso tema: La vita e niente altro di Bernard Tavernier (1989), con Philippe Noiret e Sabine Azéma e il Una lunga domenica di passioni (ma il titolo originale recita: Un long dimanche de fiançailles) di Jean-Pierre Jeunet (2004), dal romanzo di Sébastien Japrisot, con Audrey Tatou e Gaspard Ulliel. 14 Nonostante la rilevanza del tema, anche in prospettiva fotografica, si tratta di un aspetto ancora poco studiato per la montagna friulana, fatta eccezione per alcuni casi: Villa Santina (M. DE SABBATA, L. MARIN, La memoria scolpita. Attilio Selva e il monumento ai caduti di Villa Santina (1922-1926), in «Me- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 24 24 Donatella Cozzi, Claudio Lorenzini todi e ricerche», n.s., XXVII (2008), 2, pp. 283-298), Paularo (E. SCREM, “La gloria che sparge fiori ed alloro sulla tomba dei caduti”. Il racconto della costruzione del monumento ai caduti di Paularo, Moro, Tolmezzo 2012) e il Tempio ossario/Santuario del Cristo di Timau (R. TEDINO, M. UNFER, Il Tempio Ossario di Timau, Istituto di cultura timavese, Timau 2006). 15 A. MINIERO, Da Versailles al Milite ignoto. Rituali e retoriche della vittoria in Europa (1919-1921), Gangemi, Roma 2008. 16 Esigenza insopprimibile e primaria che non scompare neppure oggi, leggendo le pagine che Favole ha scritto sul crollo delle due Torri a New York l’11 settembre del 2001: «Con un nome, la famiglia può seppellire la persona amata. Con un nome, il patrimonio può essere sistemato; si può incidere una lapide; si può stabilire una fine», A. FAVOLE, Resti di umanità. Vita sociale del corpo dopo la morte, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 165. 17 Cfr. C. FRAGIACOMO, Manifestazioni dell’Aldilà nei racconti della val d’Incarojo, in P. MORO, G.L. MARTINA, G.P. GRI, L’incerto confine… cit., pp. 273-298; R. DAPIT, Manifestazioni dell’Aldilà attraverso le testimonianze dei resiani, in P. MORO, G.L. MARTINA, G.P. GRI, L’incerto confine… cit., pp. 217-264; G.P. GRI, Altre presenze. Storie di mont, in U. Da Pozzo, Malghe e malgari, Forum, Udine 2005, pp. 195-199. 18 Per la Calabria, va citata l’opera di Giuseppe Palmieri, sacerdote e fotografo, che aveva l’abitudine di fotografare e benedire i cadaveri del suo villaggio, lasciandoci un corpus straordinario di fotografie e sugli usi funebri. Cfr. F. FAETA, La mort en images, in «Terrain», n. 20 (1993), pp. 6981. 19 G.P. GRI, Lo scenario funebre in val d’Arzino… cit. 3. Due note preliminari Da questi spunti articolati intorno al tema della memoria (e del suo opposto, l’oblio), che intessono la dimensione privata della fotografia con quella dei suoi usi sociali, si può approntare una prima riflessione sulla straordinaria stagione di passioni che ha visto nell’accurato recupero della memoria per immagini in Carnia un momento politico di riflessione e di pratica. Due note preliminari. La prima di carattere teorico. Benché prevalga l’uso comune di ‘memoria’ come patrimonio sociale, collettivo e condiviso, si dovrebbe distinguere, come avverte Michael herzfeld27 tra ‘memoria’ e ‘ricordo’: il primo è un processo psicologico, opaco nei suoi stati interiori, che per essere verbalizzato – quindi trasmesso – si appoggia alle forme apprese del raccontare (la fiaba trasmessa oralmente si poggia su un repertorio del saper raccontare che è diverso dal racconto, ad esempio, di un episodio di guerra che ci vede protagonisti, la cui cifra stilistica è più prossima al resoconto scritto, di apprendimento scolastico, come nel diario e nella memorialistica; oppure ha il tratto della scrittura istituzionale, come la testimonianza per una inchiesta, per un processo verbale, e così via); il secondo è un processo sociale. ‘Memoria’ e ‘ricordo’, tuttavia, sono pratiche sociali e culturali28 che l’immagine fotografica sollecita in accezione positiva: la foto serve anche a mantenere traccia di sé e degli altri. Tuttavia, nel momento stesso in cui viene prodotta, l’immagine fotografica determina uno scarto tra il ricordo e la me- moria, generando necessari processi di oblio. L’immagine di per sé non può essere esaustiva, così come l’insieme dei ricordi che vi si affastellano non esaurisce gli argomenti che ne possono scaturire. Eppure, contribuisce in misura rilevante a costruire la memoria collettiva. Ricordare e dimenticare possono essere obiettivi espliciti di corrispondenti processi sociali, «ma non è mai certo se la loro induzione volontaria avrà successo o meno»29. Paul Connerton, in un saggio del 2008, Seven Types of Forgetting30, analizza a fondo il tratto, molto marcato per le culture occidentali, che considera l’oblio come un fallimento. Questo atteggiamento permea il contesto del dibattito intellettuale e pubblico sulla memoria, nelle vesti per cui ricordare e commemorare sono virtù, e virtù civili – ne è un indice la creazione delle ‘giornate della memoria’ – mentre dimenticare è necessariamente un fallimento o una voluta e colpevole negazione del passato. Ma l’oblio non è un fenomeno unitario; Connerton propone di distinguerne almeno sette tipi (un paio dei quali verranno ripresi in queste note31). In altre parole, indurre al ricordo o imporre l’oblio possono generare strategie di resistenza, processi di selezione consapevoli e inconsapevoli, momenti di consapevolezza e riflessività e di fondazione di una nuova identità, retoriche, senza sottovalutare la trasformazione del ricordo e delle sue immagini in ‘patrimonio culturale’. La seconda nota preliminare. Quel che scriveremo mancherà di oggettività, peccando per essere appassionatamente parziale: per ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 25 Raccogliere fotografie in Carnia. Un tentativo di bilancio 25 2. Pagina dell’articolo di Giorgio Ferigo, La Carnia vista dalla parte della gente, pubblicato in «In uaite», IV (1981), 1, p. 11. 3. Pagina della rivista «Perimmagine», II (1981), 1, p. 1. 20 A. ANZIUTTI (a cura di), Se chi rioni/Cosa eravamo, Forni di Sopra, Coordinamento Circoli culturali della Carnia, 1993 (Archivi fotografici della Carnia, 3), p. 126. 21 W. DE STALES (a cura di), Noles & lops, Coordinamento Circoli culturali della Carnia, Cercivento 1991 (Archivi fotografici della Carnia, 2), p. 118. l’autrice si tratta della giovinezza di una parte della sua generazione, nata tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60 del secolo scorso e di quella che l’ha preceduta, nata quando la Seconda Guerra mondiale andava verso la sua sofferta conclusione; per l’autore, che è stato osservatore partecipe dell’ultima fase di quella stagione di ricerca (che grazie al Circolo Culturale Fotografico Carnico è ancora in atto), nato e cresciuto nel mentre le prime mostre venivano inaugurate. 4. Una stagione di passione: scrivere l’identità con la luce 4.1. Un bilancio. Una delle esperienze editoriali più organiche e significative, dalla quale torna utile partire, è la collana ‘archivi fotografici della Carnia’, edita fra il 1990 e il 1996 dal Coordinamento dei Circoli culturali della Carnia (CCCC) che conta cinque volumi. Si tratta dell’esito (tardivo?) delle mostre promosse e realizzate dai singoli circoli e associazioni nei loro paesi a partire dalla seconda metà degli anni ’70, in particolare della collettiva La Carnia della gente, realizzata nel 1979 in una decina di comunità32. In questi libri furono raccolti i risultati di una vera e propria campagna di scavo, sia presso gli archivi fotografici allora a disposizione (è il caso delle lastre di Paul Scheuermaier scattate a Forni di Sotto negli anni ’20 del Novecento, durante le ricerche per 22 G. FERIGO, M. LEPRE (a cura di), La Carnia di Candoni. Così vicina, così lontana. La Carnia degli anni Sessanta nelle immagini di un fotografo irregolare, Forum-Coordinamento Circoli culturali della Carnia, Udine-Cercivento 1999, p. 52. 23 J. GOODY, C. POPPI, Flowers and Bones: Approaches to the Dead in Anglo-American and Italian Cemeteries, in «Comparative Studies in Society and History», vol. 36 (1994), 1, pp. 146-175. 24 Si vedano gli splendidi ritratti, in particolare quelli d’interni, di Ulderica Da Pozzo raccolti in U. DA POZZO, Il fum e l’âga. Volti e parole della memoria, Forum, Udine 1998. 25 G. FERIGO, Di alcune superstizioni igieniche relative alla morte, in CIRCOLO CULTURALE FOTOGRAFICO CARNICO (a cura di), Cimiteri di montagna… cit., p. 201. 26 A. FAVOLE, Resti di umanità… cit., §§ 1-2. In generale su questi aspetti si rimanda a D. FREEDBERG, Il potere delle immagini. Il mondo delle figure: reazioni e emozioni del pubblico, Einaudi, Torino 1993 (ed. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 26 26 Donatella Cozzi, Claudio Lorenzini 4. Copertina dei volumi: Cungiò veciu paîs, a cura di Erminio Polo, Coordinamento Circoli culturali della Carnia, Forni di Sotto 1990, il primo della serie ‘Archivi fotografici della Carnia’; Noles & lops, a cura di William De Stales, Coordinamento Circoli culturali della Carnia, Cercivento 1991; Se chi rioni / Cosa eravamo, a cura di Alfio Anziutti, Coordinamento Circoli culturali della Carnia, Forni di Sopra 1993; I Faremos, a cura di Carlo Cimenti, Coordinamento Circoli culturali della Carnia, Cercivento 1995; Tracce di storia per immagini, a cura di Tullio Ceconi, Coordinamento Circoli culturali della Carnia, Cercivento 1996. l’atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e della Svizzera meridionale (aIS))33, sia soprattutto fra le case e i paesani vicini e lontani dei villaggi di appartenenza: Forni di Sotto34; Cercivento35, Forni di Sopra36, Paluzza37, Forni avoltri38. Una prima considerazione riguarda la cronologia. I volumi hanno rappresentato una collazione ragionata e ampliata delle mostre, nelle quali le ‘foto vecchie’ non superavano i primi anni ’60 del Novecento, mentre come termine a quo c’era l’ultimo decennio dell’ottocento, quando anche in Carnia cominciano a comparire le prime macchine per la fotografia e i primi semiprofessionisti del mezzo39. Tuttavia non era soltanto la fotografia prodotta ‘in Patria’ a rappresentare un documento, ma anche (o forse soprattutto) i molteplici scatti riferibili all’esperienza migratoria, che almeno fino al secondo dopoguerra era squisitamente maschile. Di fatto in questi libri, così come in altre esperienze editoriali fondate sulla fotografia, è questa una delle sezioni più ricche e complesse, per l’articolazione delle mete e per i mutamenti che vi si possono registrare pressoché per un secolo circa. In questo ambito, soprattutto, l’immagine diviene agente ‘provocante’ della memoria40. La presentazione per temi e categorie – il ciclo della vita e dell’anno; il lavoro in patria e fuori; le manifestazioni pubbliche; la sfera religiosa; la ritrattistica, specie familiare e così via – se nelle mostre poteva essere giustificata e necessaria, nei libri ha prodotto un effetto congelante. L’intento originario delle mostre – dichiaratamente dirompente, come vedremo – trova un’eco soffusa nei volumi, che diventano ottimi strumenti di comprensione del contesto locale, ma non sempre offrendo gli strumenti necessari per la sua comprensione e, soprattutto, per la comparazione. In tutta evidenza, obiettivi e prospettive, a distanza di dieci-quindici anni, fra le mostre e i libri erano mutati, anche se a coordinare l’edizione di quelle ricerche c’erano, di fatto, le stesse persone. 4.2. A precedere e seguire: iniziative editoriali e mostre fotografiche. Le prime e più ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 27 Raccogliere fotografie in Carnia. Un tentativo di bilancio fortunate iniziative editoriali, quelle più prossime e concomitanti all’esperienza de La Carnia della gente del 1979, furono tuttavia ‘autorali’, ancorate alla necessità di ricostruire un catalogo di un fotografo operante in Carnia. Il primo e più noto episodio di quella stagione fu La Carnia di Antonelli 41, ossia la rappresentazione fotografica prodotta sulla Carnia da Umberto antonelli (1892-1949), il farmacista fotografo di Enemonzo, attivo produttore di ritratti e ben noto fautore dell’immagine ‘da cartolina’ che caratterizzerà l’‘invenzione della tradizione’ stereotipizzata della montagna friulana, soprattutto nel suo versante femminile. obiettivo manifesto della mostra e del catalogo era quello di confutare questa prospettiva: su quelle cartoline si era costruita l’ideologia che voleva (e avrebbe voluto mantenere) quell’idillio: le donne alla fontana, chine sui campi e ritte sui prati; gli uomini laboriosi e appacificati. a fronte di un corpus fotografico qualitativamente e quantitativamente notevolissimo ma manifestatamente falsato, ci si trovava nella necessità di restituire un contesto nella sua dimensione reale, vagliando, come recava il sottotitolo dell’opera, «Ideologia, realtà»42. Il secondo episodio di questo percorso autorale è quello legato a Umberto Candoni (1883-1972), in particolare alle sue foto realizzate durante gli anni ’60 del Novecento, presentate in una mostra realizzata nel 199543, ampliata e trasposta in catalogo quattro anni dopo44 dallo stesso formato di quello su antonelli, con un titolo esemplare: Così vicina, così lontana. «La Carnia degli anni Sessanta» veniva messa in mostra dall’occhio attento di un fotografo «irregolare», che pagò duramente la sua militanza antifascista e l’adesione alla causa anarchica, e che nonostante la sua età avanzata volle registrare i profondi mutamenti che in quegli anni s’andavano verificando nella montagna: il progressivo abbandono del- 27 orig. The Power of Images. Studies in the History and Theory of Response, University of Chicago Press, Chicago-London 1989; nuova ed. italiana, Einaudi, Torino 2009). 27 M. HERTZFELD, Intimità culturale. Antropologia e nazionalismo, L’ancora del Mediterraneo, Napoli 2003, § 3 (ed. orig. Cultural Intimacy. Social Poetics in the NationState, Routledge, New YorkLondon 1997). 28 U. FABIETTI, V. MATERA (a cura di), Memorie e identità. Simboli e strategie del ricordo, Meltemi, Roma 1999. 29 M. HERTZFELD, Intimità culturale… cit., p. 96. 30 P. CONNERTON, Seven Types of Forgetting, in «Memory Studies», vol. 1 (2008), 1, pp. 59-71. 31 Connerton elenca i seguenti tipi di oblio: la cancellazione repressiva (1. repressive erasure); l’oblio prescrittivo (2. prescriptive forgetting); l’oblio costitutivo nella formazione di una nuova identità (3.); l’amnesia strutturale (4. structural amnesia); oblio come annullamento (5. forgetting as annulment); oblio come obsolescenza pianificata (6. forgetting as plan- 5. Copertina del volume La Carnia di Antonelli. Ideologia e realtà, curato da Remo Cacitti, Marco Lepre, Sergio Marini, Tarcisio Not, Laura Puppini, Marco Puppini, Dino Zanier, prefazione di Leonardo Zanier, grafica di Renato Calligaro, Centro editoriale friulano, Udine 1980. 6. Pagina dell’articolo di Silvana Fachin Schiavi, Obiettivo Carnia, pubblicato in «In uaite», III (1980), 8, p. 9. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 28 28 Donatella Cozzi, Claudio Lorenzini 7. Copertina del volume La Carnia di Candoni. Così vicina, così lontana. La Carnia degli anni Sessanta nelle immagini di un fotografo irregolare, a cura di Giorgio Ferigo, Marco Lepre, Forum Coordinamento Circoli culturali della Carnia, Udine-Cercivento 1999. ned obsolescence); oblio come silenzio umiliato (7. forgetting as humiliated silence). Da questo elenco riporteremo alcune suggestioni limitate a 1. (cancellazione repressiva) e 3 (oblio costitutivo di una nuova identità), ibid. 32 G. FERIGO, La Carnia vista dalla parte della gente, in «In uaite», IV (1981), 1, p. 11. 33 E. POLO (a cura di), Cungiò veciu paîs, Coordinamento Circoli culturali della Carnia, Forni di Sotto 1990 (Archivi fotografici della Carnia, 1); G. KEZICH, G. SANGA, P.P. VIAZZO (a cura di), Scheuermeier, le Alpi e dintorni, in «SM. Annali di San Michele», n. 12 (1999). 34 E. POLO (a cura di), Cungiò veciu paîs… cit. 35 W. DE STALES (a cura di), Noles & lops… cit. 36 A. ANZIUTTI (a cura di), Se chi rioni… cit. 37 C. CIMENTI (a cura di), I Faremos, Coordinamento Circoli culturali della Carnia, Cercivento 1995 (Archivi fotografici della Carnia, 4). 38 T. CECONI (a cura di), Tracce di storia per immagini, Coordinamento Circoli culturali della Carnia, Cercivento 1996 (Archivi fotografici della Carnia, 5). 39 I. ZANNIER, Fotografia in Friuli. 1850-1970, Arti Grafiche Friulane, Udine 1979; C. BROCCHETTO, Fotografi della Carnia tra ’800 e ’900, Associazione culturale ‘Elio cav. l’economia tradizionale (specie quella pastorale e silvocolturale), le nuove intraprese industriali, il (relativo) benessere. a differenza de La Carnia di Antonelli, quella di Candoni rappresentava un passato non più idilliaco e idealizzato, ma dinamico e in pieno mutamento, anche nei cambiamenti dell’emigrazione, in parte riconoscibile e in parte sconosciuto, oppure – volutamente, necessariamente – dimenticato, trovando posto nell’oblio45. Due ulteriori episodi di questa rassegna vanno ricordati. Il primo è relativo al catalogo del fotografo tolmezzino Vittorio Molinari (1878-1964), in particolare il corpus delle immagini più precoci, fino agli anni ’30 del Novecento, realizzato da Laura Matelda Puppini46. Rappresenta, ad oggi, il primo tentativo organico di restituzione di un repertorio fotografico fra i più antichi conservatisi in Carnia. Il secondo è la ricerca su Giacomo Segalla (1915-1990), fotografo di Paularo attivo già negli anni ’30 e attento testimone della vita nella vallata dell’Incaroio fino alla sua scomparsa47. Recentemente48, allargando un catalogo molto ricco per quantità e qualità, l’antologia è stata ampliata e, soprattutto, contestualizzata grazie all’apporto di schede di approfondimento su ciascun aspetto messo in luce – il fascismo, il lavoro nel bosco e nelle malghe, i bambini e i vecchi, i mestieri artigiani, i paesi e le loro architetture, e così via – mettendo in luce in tal modo, così come approntato in La Carnia di Candoni, molteplici possibilità di confronto, con la Carnia e l’altrove. 4.3. Continuatori, precursori. Se la rassegna delle esperienze ‘autorali’ può dirsi esaustiva, quella delle iniziative espositive e (soprattutto) editoriali fotografiche legate ad un paese, nonostante sussistesse la volontà del Coordinamento dei Circoli culturali di divenire collettore delle istanze di ciascuna comunità e associazione culturale che vi opera, è largamente difettosa49. a rimarcare il carattere segmentale delle sue comunità50, anche dal versante della produzione dei libri di paese e per il paese, spesso per chi si appresta a queste imprese editoriali risulta preferibile non travalicare i confini del comune. oppure, come accade il più delle volte, sono i legami mantenuti con chi nel paese non vive più a divenire motore per la loro realizzazione. In questa accezione vanno osservate le pubblicazioni periodiche, come i lunari, editati puntualmente in ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 29 Raccogliere fotografie in Carnia. Un tentativo di bilancio almeno una decina di comunità51, che hanno nel recupero dell’immagine fotografica ‘vecchia’ un tratto comune del loro genere. La loro diffusione è, oltreché nel paese di appartenenza, massiccia fra i molti che più non vi abitano. Così come è spesso fra chi è del paese ma vi vive lontano lo sforzo necessario ad approntare la ricerca e il recupero delle immagini per realizzare lunari e pubblicazioni fondate sul paese: Illegio52, Cabia53, Treppo Carnico54, Piedim55, Verzegnis56, Pesariis57 divengono comunità documentate e narrate attraverso l’immagine fotografica. 4.4. Substrati. al nostro sguardo, l’insieme di queste iniziative offre una molteplicità di piani di lettura. Il fatto che i precursori, attivi dagli anni ’70, abbiano ancor oggi dei continuatori, porta necessariamente a riflettere sul perché quel particolare uso delle fonti fotografiche per documentare le varie dimensioni della vita e della storia locale sia stato così fecondo. Un primo aspetto da rievocare è il clima intellettuale e storico, l’humus dal quale germinarono queste iniziative, con una rapida rassegna sulle innovazioni nella ricerca sociale e culturale per gl’anni nei quali sorsero quelle mostre: la microstoria, come reazione alla storia evenemenziale58; l’inizio della riflessione post-coloniale in antropologia; lo strutturalismo in linguistica e nelle scienze umane; il diffondersi della storia orale e di una nuova sensibilità nel trattamento delle fonti, che portava ad ampliarle nella direzione della materialità. Soprat- tutto, era molto vivace – anche in Friuli59 – il dibattito sulle tradizioni popolari, in concomitanza alla definitiva trasformazione economica e strutturale in Italia: la contrapposizione gramsciana tra ‘culture egemoniche’ e ‘culture subalterne’ fu applicata, discussa, complessificata alla luce dei concetti di ‘centri’ e ‘periferie’. Il ‘folklore’, svincolatosi dal ‘folklorismo’, uscì dalla retorica dello specialismo ed entrò nella fruizione collettiva, come fu per il caso della musica con la diffusione, anche in Friuli, dei cosiddetti ‘canzonieri popolari’. In questo contesto, la tragedia del terremoto del 1976 ed i cambiamenti irreversibili nello spazio dei paesi e nella socialità, rappresentarono un termine riconoscibile per stabilire l’affermazione definitiva di un mutamento già in corso. Per una buona parte dei nati fra gli anni ’50 e ’60, il Taramòt funzionò, a partire dal dolore e dalle perdite, come acceleratore e agglutinante di pratiche sociali attente a ‘fare legame’ impegnandosi nelle comunità, e/o presa di coscienza politica verso le retoriche dell’egemonia. Una versione di quest’ultima tensione fu la volontà di ‘riprendersi la storia’ contro le retoriche dominanti, cercando di restituire la voce di chi – i ‘senza storia’, per l’appunto – ne era rimasto ai margini: donne, migranti, artigiani, marginali. L’innovazione principale nell’affrontare quella nuova prospettiva d’indagine fu l’utilizzo, secondo un principio neorealista, dell’immagine fotografica nella ricerca. Nelle parole di Italo Zannier, citate in apertura a La Carnia di Antonelli: 29 Cortolezzis’, Treppo Carnico 2006. 40 M.T. SEGA, La memoria provocata. Fotografia e storia personale, in Storia orale e storie di vita, a cura di L. LANZARDO, Angeli, Milano 1989, pp. 119-127. Una ricerca molto dettagliata, condotta spesso a partire dall’immagine, e incentrata sull’emigrazione contemporanea da Fusea, in particolare nel secondo dopoguerra, è quella di A. PIUTTI, Fuseàns pal mont. 100 anni di emigrazione, Società Operaia di Mutuo Soccorso ed Istruzione di Fusea, Fusea 2008. 41 R. CACITTI et al. (a cura di), La Carnia di Antonelli. Ideologia e realtà, Centro editoriale friulano, Udine 1980. 42 Non è inutile mettere in luce una voluta coincidenza. Il volume Cultura materiale in Carnia di qualche anno dopo, che raccoglieva una serie di saggi su questo versante della ricerca antropologica e storica, aveva per sottotitolo Fonti, ideologia, realtà. Cfr. Cultura materiale in Carnia. Fonti, ideologia, realtà, Coordinamento circoli culturali della Carnia, Tolmezzo 1993 (Mito e storia della Carnia, 2). 43 Così vicina, così lontana. La Carnia degli anni Sessanta nelle fotografie di Umberto Candoni, Gruppo ‘Gli Ultimi’, Tolmezzo 1995. 44 G. FERIGO, M. LEPRE (a cura di), La Carnia di Candoni… cit. 45 Correndo il rischio della didascalicità, ricordiamo che Così lontano così vicino (In weiter Ferne, so nah!), il film di Wim Wenders successivo alla riunificazione tedesca, al quale il titolo della mostra e del catalogo s’ispirano, è del 1993. 46 L.M. PUPPINI (a cura di), Vittorio Molinari. Commerciante, tolmezzino, fotografo. Immagini della vecchia Tolmezzo dai primi del Novecento agli anni Trenta, Gruppo ‘Gli Ultimi’Cjargne culture, TolmezzoCercivento 2007. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 30 30 Donatella Cozzi, Claudio Lorenzini 47 E. SCREM et al. (a cura di), Giacomo Segalla fotografo. L’uomo, l’artigiano, l’artista, Comunità Montana della Carnia, Tolmezzo 1990. 48 E. SCREM (a cura di), In un bati di ceas. Paularo attraverso l’obiettivo di Giacomo Segalla, Moro, Tolmezzo 2015. 49 Costruire una bibliografia di questi contributi non è facile, sia per la natura composita di questi materiali (pubblicazioni periodiche come i calendari, pubblicazioni occasionali e cataloghi, monografie su diverse località, saggi, eccetera), sia per il rapporto controverso che sussiste fra i paesi e gli istituti preposti a documentare queste iniziative (fra i quali, ad esempio, il Museo carnico). Più recentemente questa funzione viene svolta meritoriamente dalla Fototeca territoriale ‘CarniaFotografia’ (cfr. www.carniamusei.org). 50 P. HEADY, Il popolo duro. Rivalità, empatia, struttura sociale in una vallata alpina, Forum, Udine 2001 (ed. orig. The Hard People. Rivalry, Sympathy and Social Structure in an Alpine Valley, Harwood Academic Press, Australia 1999). 51 Fino a divenire rassegna periodica, Il lunari fat in Cjargne, che (se non sbagliamo) è stata realizzata l’ultima volta nel 2012. 52 D. JOB (a cura di), Illegio. Un percorso tra immagini e parole / Diec’. Imaginas e peraulas, Circul culturâl di Diec’, Illegio 1992. 53 Cjabie. Memories in blanc e neri, Comune di Arta - Circolo culturale Il ferâl, PaluzzaCabia 2011. 54 A. CORTOLEZZIS, M. PLOS, M. QUAGLIA (a cura di), Trep e i teus. Immagini di un secolo di vita, Associazione culturale ‘Elio cav. Cortolezzis’, Treppo Carnico 2002. 55 S. DI GALLO (a cura di), Piedim e la sô int, Circolo culturale ‘Dinsi une man’, Piedim 2012. Il fotografo più di ogni altro operatore culturale è chiamato a scegliere i temi e i modi della rappresentazione. L’immagine è una sintesi di un’analisi della realtà […] il punto di vista non è quindi solo un vertice ottico, ma corrisponde alla connotazione culturale del fotografo, alla quale è impossibile sottrarsi, nonostante ogni tentativo di disimpegno, indifferenza, neutralità60. La Carnia di Antonelli questo voleva mettere in evidenza: come fosse necessario saper leggere le immagini svelandone la costruzione e composizione (la finzione, diremmo oggi); mostrando, pur negli aneliti progressisti del fotografo, le illusioni verso una mirabile sorte e progressiva che i cambiamenti economico-sociali in corso nei primi decenni del Novecento sembrava dovessero garantire a tutti, senza riuscire a far entrare nell’immagine lo sprofondo della crisi e della miseria; rendere chiaro come una fotografia possa costruire visioni dei luoghi e comunicare valori che parzialmente restituiscono la realtà, e che questa realtà è filtrata attraverso l’essere situato socialmente del fotografo. Il grande formato delle lastre di Umberto antonelli conservatesi consentiva, per mezzo dell’evidenziazione di alcuni particolari in secondo piano con mirabili soluzioni grafiche adottate da Renato Calligaro, di scomporre l’immagine. Ciò permetteva, spesso, di manifestare i rapporti gerarchici di genere e di sfruttamento, le condizioni di lavoro nei cantieri e nelle segherie, il rilievo sociale assunto dalle persone ritratte nelle foto di posa. Questa scelta editoriale, portava in primo piano le dimensioni della quotidianità silenziosamente sofferte, che trovarono poca eco in alcune pagine critiche, antologizzate ne La Carnia di Antonelli, di antonio Dall’oglio, Eugenio Blanchini, Giovanni Marinelli, e diversi altri. Il secondo tema è quello della costruzione di una identità di comunità dal basso, che restituisse la qualità politica di una appropriazione della storia locale documentata da chi l’ha direttamente vissuta, da chi ne ha conservato ricordo depositato in immagini, in grado di restituire le dimensioni pubbliche (gli eventi di minuto rilievo, come l’inaugurazione di una chiesa; l’insediamento di un parroco; la prima pietra di un edificio pubblico; e gli eventi di rilievo storico, come le guerre), le traiettorie sociali (le migrazioni, il lavoro), le declinazioni private (il ciclo di vita e i suoi riti di passaggio) di un paese. Questa qualità politica di riappropriazione storica è rintracciabile ab origine, fin dalla presentazione della serie di mostre fotografiche che accompagnarono l’uscita del fotolibro dedicato al fotografo Umberto antonelli. La Carnia della gente fu infatti il titolo sotto il quale il Coordinamento dei Circoli Culturali della Carnia volle raccogliere queste iniziative61, esemplificando il lavoro svolto nei vari paesi: con la gente e tra la gente nel momento della ricerca, raccolta e catalogazione del materiale, fatte per la gente62. Così scrisse, nel presentare queste iniziative, Marco Lepre: «alla base del lavoro svolto dai vari gruppi […] c’era infatti il tentativo di presentare e documentare quella faccia, o meglio, quelle ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 31 Raccogliere fotografie in Carnia. Un tentativo di bilancio facce, della Carnia e della storia della Carnia che le immagini “ufficiali” e un certo tipo di tradizione hanno sempre messo tra parentesi»63; così invece Erminio Polo64, sia nello stesso numero di «Perimmagine», la rivista promossa dal Circolo fotografico friulano (poi Comitato Tina Modotti) di Udine che ospitò diversi interventi su quell’iniziativa65, sia, in modo più esteso, nella prefazione al suo volume fotografico su Forni di Sotto: Le foto del libro sono rigorosamente coperte da copyright. ogni riproduzione è vietata. Il libro non è commerciabile. Le foto non possono essere usate per la pubblicazione di atlanti linguistici e Dizionari dialettali67. abbiamo voluto ricostruire la storia di questo paese perché ci era caro e perché lo amiamo. Ci è stato anche facile: è rinato dopo il 1946. La sua storia è scritta tutta sui libri, su quelli ufficiali, ma soprattutto su quelli che il Centro di Cultura stesso ha pubblicato, mettendosi dalla parte della gente, degli emarginati, emigranti ed oppressi, per riscoprire i protagonisti veri, quelli dimenticati dalla storia ufficiale, i “senzastoria” non meno eroi, non meno saggi, non meno importanti dei padroni e dei vari sorestanz. […] La storia si è costruita anche con noi, lasciandoci ai margini, passandoci sopra. Ma ci siamo. Siamo noi in quelle immagini. Siamo noi. Una ripresa di coscienza, una identità storica, un essere poveri ma protagonisti. E la rabbia anche di essere stati lasciati soli. Quando esistevamo. […] Come essere usciti dal buio per essere improvvisamente investiti dalla luce di un flash e restare lì, in una posa goffa, ma umana, ma vera, ma piena di storia66. La tutela della dimensione privata dell’immagine precede dunque la sua valenza pubblica, quasi a voler tutelare quel ‘popolo’ che, nonostante la sua rappresentazione fotografica, non era ancora valorizzato a sufficienza e come tale. Corrono alla memoria le parole di andreina Ciceri che Leonardo Zanier cita nella prefazione a La Carnia di Antonelli: «ciò ci libera dalle ultime illusioni: prenderemo anche noi delle pedate dal popolo “che ha fatto irruzione nella storia” e proprio per aver dedicato la vita a conservare oggetti e memorie della sua vita e del suo lavoro!»68. Le critiche o la voluta indifferenza che si affollarono intorno alle mostre e alla pubblicazione de La Carnia di Antonelli, oggi siamo in grado di comprenderle meglio (il che non implica accettarle, ovviamente). I fotolibri del Coordinamento proponevano un metodo di lavoro sulle fonti, la loro raccolta e i fini della stessa che era oppositivo rispetto ad un certo modo di lavorare di etnografi e linguisti: gente tra la gente, paesani tra paesani, contro ogni tipo di élite, intellettuale o capitalistica che fosse. Corrosiva come un manifesto programmatico, in quello stesso volume, primo titolo della collana archivi Fotografici della Carnia, prima del frontespizio troviamo questa nota: 4.5. Patrimonio. Quel modo particolare di acquisire le immagini fotografiche ha precorso quanto oggi viene chiamato ‘patrimonio fluido’: beni culturali diffusi su un territorio, spesso in disponibilità di privati, 31 56 Gnàus. Identità di un paese chiamato Verzegnis. Lettura del territorio. Ricerca ambientale di carattere sociale, storico e geografico ripresa ed aggiornata a vent’anni di distanza, Scuole elementari di Verzegnis, anni scolastici 1979-1980 e 1980-1981, Co.El., Udine 2003. 57 G. BERGAMINI (a cura di), Pesariis. Album ritrovato, Comune di Prato Carnico, Udine 1994, fondato sulle fotografie di Luigi Monaci del 1942. 58 Val la pena ricordare che data al 1977 il primo volume de I senzastoria di Tito Maniacco, con disegni di Ferruccio Montanari (T. MANIACCO, I senzastoria, Casamassima, Udine 1977-1980). I significati di ‘tempo’, ‘memoria’ e ‘identità’, interconnessi con l’affermazione di una storia ‘dal basso’, furono precocemente accolti nella didattica (cfr. P. FALTERI, G. LAZZARIN (a cura di), Tempo, memoria, identità. Orientamenti per la formazione storica di base raccolti e proposti dal Gruppo nazionale di antropologia culturale MCE, La Nuova Italia, Firenze 1986). L’impegno profuso dal CIDI (Centro iniziativa democratica degli insegnanti) della Carnia-Gemonese è stato notevole: cfr. M.G. LAZZARIN, A. LONDERO, J. STACUL Dagli oggetti al mondo sociale. Agricoltura e strumenti di lavoro in Carnia: una ricerca sul campo e due proposte didattiche, Cluf, Udine 1994 (Strumenti, 1); D. DEGRASSI et al., Musei di carta. Archivi ed inventari di beni in Friuli: proposte per la ricerca storica e per la didattica della storia, Petra, Udine 1994 (Strumenti, 3); F. MICELLI et al., La casa rurale in Carnia. Materiale e proposte per la didattica, Petra, Udine 1994 (Strumenti, 4); Il Museo carnico delle Arti e tradizioni popolari. Proposte per l’utilizzazione didattica, Petra, Udine 1995 (Strumenti, 5); Archeologia industriale in Carnia. Proposte e suggestioni per la scuola, per la ricerca, per il turista curioso, Petra, Udine 1995 (Strumenti, 7); Conoscere la storia per insegnare ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 32 32 Donatella Cozzi, Claudio Lorenzini la pace. Da Omero al Ruanda, Petra, Udine 1996 (Strumenti, 9). Specificatamente sull’utilizzo didattico della fotografia in Carnia, è noto l’impegno pluridecennale di Dino Zanier; cfr. almeno D. ZANIER, L. BASSO, Una lezione di storia attraverso la fotografia, in «Immagine cultura», I (1994), 1, pp. 54-55. 59 G. FORNASIR (a cura di), La cultura popolare in Friuli, atti del convegno di studio, Udine, palazzo del Torso, 28 ottobre 1989, Accademia di Scienze lettere e arti, Udine 1990; G. FORNASIR, G.P. GRI (a cura di), La cultura popolare in Friuli: “lo sguardo da fuori”, atti del convegno di studio, Udine, palazzo Mantica, 21 novembre 1992, Accademia di Scienze lettere e arti, Udine 1993. 60 R. CACITTI et al. (a cura di), La Carnia di Antonelli... cit., p. 6. 61 Dal lavoro realizzato nei mesi anteriori all’esposizione, dal 18 dicembre 1980 al 15 gennaio 1981, realizzato a Forni Avoltri dal locale Archivio Fotografico Comunale, a Comeglians dal Circolo Sociale Culturale Ricreativo, a Forni di Sotto dal Centro di Cultura Popolare Fornese, a Sauris dal Gruppo Giovani e dalla ProLoco, ad Arta ed Enemonzo dal Gruppo ‘Gli Ultimi’ di Tolmezzo e a Prato Carnico dal Gruppo Donne Val Pesarina. 62 G. FERIGO, Viaggio in due foto e dintorni…, in «Perimmagine», II (1981), 1, pp. 4-5. 63 M. LEPRE, La Carnia della gente, in «Perimmagine», II (1981), 1, p. 1. 64 E. POLO, Ricostruire una storia, in «Perimmagine», II (1981), 1, pp. 2-3. 65 Gli interventi furono quelli di Marco Lepre, La Carnia della gente; Gruppo donne Val Pesarina, La donna in Carnia dal 1880 al 1950; Erminio Polo, Ricostruire una storia; Laura Puppini, Antonelli testimone di un’epoca; Giorgio Ferigo, Viaggio in due foto e dintorni…; Tullio Ceconi, L’ar- che occasionalmente viene concesso, o duplicato, per attività culturali come mostre, pubblicazioni, eccetera. Da questo nascono gli archivi fotografici, in alternativa alla musealizzazione dell’immagine, con quanto ne consegue per il fatto di circondare di aura artistica e isolata dal contesto di produzione ciò che era legato a forme di fruizione ben diverse. Inoltre, comprendiamo che tali critiche sono da attribuirsi in parte a quanto Michael herzfeld69 ha denominato intimità culturale. Fare ricerca sulla ‘intimità culturale’ significa mettere a nudo gli stereotipi che la cultura ufficiale tende a nascondere per mantenere il controllo sulla sua immagine pubblica e gli spazi attraverso i quali le persone costruiscono la propria sensazione rassicurante di appartenenza ad una comunità. Ciascuno tende a rimuovere quegli aspetti della propria identità culturale che considera imbarazzanti al cospetto di persone da fuori, stranieri o estranei, mentre con coloro che appartengono al proprio gruppo consentono forme di socialità condivisa, centrale per configurare appartenenza e identità (locale o nazionale). Così da un lato si smascherava la retorica alla base dello stereotipo onest, salt e lavoradôr, intriso di rapporti di diseguaglianza economica, sociale e di genere, così ben documentata dalle foto di antonelli, che mostrano una arcadia ruralmente montana immota, chissà perché popolata solo da donne, di cui si intravedono le pieghe fresche di stiratura in quello che dovrebbe essere l’abito da lavoro. Dall’altro ci si appropriava di una immagine che questi aspetti li mostrava: esplicitamente, come nei carichi sulle povere spalle delle donne, talvolta edulcorati nelle foto degli emigranti in posa con il vestito buono – ah, ecco dove erano gli uomini! – o dietro ad un sorriso stanco o alla fissità seria e ieratica – legata ai tempi di posa – di una foto di matrimonio o di una scolaresca. I piedi e le calzature non mentono: zoccoli, scarpèz o scarpe dichiarano le possibilità della famiglia, la stagione e l’asperità del percorso, la necessità di aderire al sasso o alla terra per i propri passi. Mostrare pubblicamente la propria intimità culturale è analogo a violare impudicamente un segreto, e questo fu intollerabile per molti. attraverso le fotografie raccolte emergeva una storia corale, che parlava di memorie private e anonime, di emigrazione, di minuti eventi locali, di lavori che un tempo non si esitava a considerare umili, bassi, di fatica – lavandaie e scalpellini, boscaioli e carradori, sfilère e donne che falciano i prati – e oggi veicolano al contrario saperi tramandati, culture di mestiere, sapienti ibridazioni tra innovazioni tecniche e cicli di lavorazione tradizionali. 4.6. Cronologie. a mettere in luce la completezza di un percorso, si può osservare come il termine ultimo col quale si sono raccolte le ‘vecchie’ fotografie, gli anni ’60 del Novecento, rappresenti l’oggetto principale dell’opera di Umberto Candoni, pressoché l’unica che abbia dichiaratamente dato ragione oltre i confini del villaggio ripreso dalla macchina fotografica o del ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 33 Raccogliere fotografie in Carnia. Un tentativo di bilancio suo autore, di un contesto. Si è trattato, fin dal titolo di quella mostra – Così lontana, così vicina – di un vero e proprio salto qualitativo che ha portato a riconoscere la volontà di dimenticare – la lontananza – riaffermando la necessità di ricordare – la vicinanza, confermando che la possibilità di ricordare e generare memoria è connessa alla inderogabile necessità di dimenticare70. In questa prospettiva, l’esperienza di studio e il volume Cimiteri di montagna, si offre come una tappa – che ci auguriamo non ultima – estremamente significativa. Nelle lapidi, nelle tombe vi si riconoscono le pratiche di trasmissione dei saperi fra le generazioni e le istanze di riconoscimento delle appartenenze, in un dialogo incessante fra i vivi e i morti, fra quel che non c’è più e quel che non c’è ancora, ancorando alla dimensione comunitaria – quella di chi c’è e quella di chi non c’è più – ogni istanza di rinnovamento71. 5. Identità d’immagini agli inizi degli anni Novanta non era ancora entrato in voga il termine di identità, accompagnato dagli aggettivi culturale o etnico. Nei passi citati si parla di identità storica, quindi legata ad una storia singolare. Storia che, abbiamo iniziato a comprendere proprio in quegli anni, ha caratteri singolari e insieme condivide con l’arco alpino e con le regioni contermini elementi comuni. È ormai un truismo per gli antropologi dire che le identità si costruiscono, si disfano e ricompongono, e sono negoziate. Il percorso per immagini del quale stiamo par- lando si situa in un periodo che tanti sentivano come di identità condenda, oggi la potremmo definire di una riflessività storica sui confini sociali che implicano l’appartenenza a collettività72. La fotografia rende presente le difficoltà, le miserie, la fragilità e la vulnerabilità degli umani, delle cose, del paesaggio. Non è possibile guardare le meravigliose case di legno di Forni di Sotto con i fienili riempiti senza avere un brivido pensando agli incendi – come purtroppo accadde per mano nazifascista il 24 maggio 1944. Non è possibile guardare a certi paesaggi senza pensare a come si tenesse conto della capricciosità di torrenti e fiumi. Non è possibile guardare alle foto di antonelli – ma vale lo stesso per attilio Brisighelli73 e Ugo Pellis74 – senza pensare a una autorialità che domina il mezzo tecnico. Questo per diverse ragioni: la prima è legata alla nascita della fotografia, e le sue compromissioni con l’arte. L’autore è colui che mantiene caratteristiche estetiche anche con il nuovo mezzo: equilibrio della composizione, prospettiva, chiaroscuro. Passare dalla foto di autore, quindi da una autorialità circondata da aura, alla centralità dei soggetti raffigurati non è una operazione da dare per scontata, né ora né allora. Il problema è che i temi dell’identità trascinano con sé quelli dell’autenticità: solo quanto è supposto presentare l’essenza dei caratteri di quella particolare identità è da considerare ‘autentico’. Come tale, convoglia valori positivi, costruisce una certa idea di tradizione, una memoria del passato che si vuole coerente, immagini di una natura 33 chivio fotografico. Nel numero precedente era stato ospitato un articolo che recensiva la mostra (R. PERESANI, D. COZZI, La Carnia di Antonelli, in «Perimmagine», I (1980), 1, p. 9). Su «Perimmagine», che divenne periodico del Comitato Tina Modotti, e il suo principale fautore, ossia il fotografo Riccardo Toffoletti, cfr. ora M. DOMINI et al. (a cura di), Riccardo Toffoletti: un mondo alla rovescia. Fotografia, cultura e impegno, Forum, Udine 2013. 66 E. POLO (a cura di), Cungiò veciu paîs… cit., p. 2. 67 Ivi, p. IV. Non ritroviamo questi divieti nei volumi successivi della serie. 68 L. ZANIER, Risorsa acqua, risorsa luce, in R. CACITTI et al. (a cura di), La Carnia di Antonelli… cit., p. 5. 69 M. HERTZFELD, Intimità culturale… cit. 70 G. LIGI, Il senso del tempo. Percezioni e rappresentazioni del tempo in antropologia culturale, Unicopli, Milano 2011, p. 91. 71 G. FERIGO, Periferie di periferie. Il Museo carnico di Tolmezzo tra aspettative di rappresentanza e necessità di contesto, in «Quaderni dell’Associazione della Carnia Amici dei Musei e dell’Arte», 2 (1995), pp. 33-38 (atti del convegno Musei in rete. Una prospettiva per le raccolte, i centri di documentazione, i musei di piccola scala, Tolmezzo, 1° aprile 1995) (ora in ID., Morbida facta pecus… Scritti di antropologia storica della Carnia, a cura di C. Lorenzini, Forum, Udine 2012, pp. 435-441). 72 Cfr. G.P. GRI, (S)confini, I quaderni del Menocchio, Montereale Valcellina 2000. 73 G. BERGAMINI (a cura di), Attilio Brisighelli fotografo, Art& Civici Musei, Udine 1989. 74 S. PERULLI (a cura di), Ugo Pellis. Un fotografo in movimento, Società Filologica Friulana, Udine 2008. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 34 34 Donatella Cozzi, Claudio Lorenzini 75 M. HERTZFELD, Antropologia. Pratica della teoria nella cultura e nella società, Seid, Firenze 2006. nutrice e accogliente, borghi che riposano tra prati e alture ordinate. Nonostante la critica sociale del testo e le istanze analitiche degli autori, ancora oggi per tanti, carnici e no, la Carnia di antonelli resta il deposito e il coagulo di questo immaginario visivo. Una ironia della sorte: un testo di immagini nato per contestare una rappresentazione illusoria che ha dato vigore ad un intero immaginario visivo. 6. Immagini e identità oggi Per chi non ha partecipato a quella ricerca e scoperta, quella fatica di cercare, chiedere, raccogliere, vagliare, catalogare, l’insieme dei volumi fin qui citati si presenta come uno straordinario patrimonio etnografico. Non era certamente quello che gli autori si proponevano, ma è l’effetto di ambiguità che è insito nella pluralità di sguardi che si incrociano sulla superficie di una fotografia: sguardi di affetto che inseguono nomi e ricordi, sguardi analitici e critici, sguardi tecnici, sguardi estetici. Le fotografie di questi volumi dedicano molta attenzione alle attività della vita quotidiana – il dominio dell’etnografo. offrono straordinari materiali sugli usi della fotografia, sulle culture di mestiere (l’abbigliamento, la socialità di genere e in genere, l’architettura e il paesaggio, il ciclo di vita e i riti di passaggio, gli usi funebri, le festività): sono un vigoroso antidoto contro la sclerosi della memoria. Commemorazione e oblio possono essere legati tra loro più di quanto non sembri. Le pratiche commemorative che hanno come scopo di far ‘risorgere’ le generazioni precedenti hanno, secondo herzfeld75, in ultima analisi lo scopo di cancellare le identità storiche attraverso la ripetizione, creando una sorta di amnesia che corrisponde, a livello nazionalista, alla cancellazione delle identità individuali in nome di una causa comune (come nel Monumento al Milite Ignoto) e a un atteggiamento possessivo nei confronti di un nome nazionale – che sia Patria, o Piccola Patria. È quanto Connerton definisce ‘cancellazione repressiva’, ovvero la manipolazione politica del ricordo per consolidare il consenso intorno ad un unico modo di concepire la verità storica. Ma un’istanza di possessività si può esprimere intorno alla memoria, quale radice di una identità vissuta come ignorata e calpestata sino a quel momento; Connerton ne parlerebbe come di ‘oblio costitutivo di una nuova identità’, con la capacità di creare scompiglio tra le categorie imposte sul passato da coloro che tengono le redini del potere, eppure con alcuni elementi che nelle immagini non compaiono e che quindi restano fuori quadro. ad esempio: se la storia delle singole comunità propone tanti esempi di solidarietà formalizzata – cooperative di consumo, società di mutuo soccorso, lavoro su base di scambio comunitario, eccetera – alcuni elementi di conflittualità restano fuori quadro. Le comunità di villaggio attuavano forme di controllo sociale e disciplina famigliare forte, che sapeva esprimersi anche in modo brutale verso le donne o coloro che erano considerati marginali, o venivano da fuori. Le fratture sociali interne alle comu- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 35 Raccogliere fotografie in Carnia. Un tentativo di bilancio nità non seguivano solamente le faglie aperte dalle dicotomie tra sotàns e sorestàns, ma avevano gradazioni di censo, genere, mestiere, stato civile. E le nuove generazioni? Si potrebbe ipotizzare che lo scemare dell’interesse verso la fotografia e le iniziative di recupero della memoria per immagine siano un effetto di quella che va sotto al nome di ‘perdita’ dell’identità dei giovani. Tuttavia, come sempre, le cose sono più complesse. Gli antropologi hanno valide ragioni per essere particolarmente sensibili alle implicazioni del visualismo: dal concetto di ‘osservazione partecipante’, all’enfasi collocata sul ‘punto di vista’ – del nativo, locale, eccetera – emerge storicamente come, tra i sensi quasi esclusivamente una capacità in- 35 8. Umberto Antonelli, Colonia elioterapica a Enemonzo (Ud), 19351938 (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 36 36 Donatella Cozzi, Claudio Lorenzini corporata – la vista – abbia permesso di sviluppare un’amplissima morfologia di controllo e di potere, perfettamente in grado di autoriprodursi. L’uso del visuale come strumento di controllo sociale è un fenomeno relativamente recente – il Settecento – e localizzato – l’Europa occidentale. Dal momento che i linguaggi della rappresentazione sono diventati letteralmente il senso comune del mondo moderno industriale, sono divenuti anche relativamente invisibili – e questa è di per sé una metafora rivelatrice. La fotografia è accessibile a tutti, vive parassitaria entro mezzi tecnici destinati inizialmente ad altri usi (come i telefoni cellulari), è fruibile a tutti e legata ad una obsolescenza rapida. Conservazione e fruizione sono preoccupazioni meno rilevanti di un tempo, anche se la volatilità delle memorie digitali le renderebbe ancor più urgenti. La lastra, il negativo, erano molto più vicini all’opera d’arte e alla sua unicità poiché il loro obiettivo era la durata. Il fine è l’immediatezza della fruizione, la condivisione sui Social Network, in una ottica di manifestazione di soggettività piuttosto che di rimembranza. La fotografia oggi mette a fuoco soprattutto pratiche sociali e agentività. I media sono antropologicamente importanti oggi per due principali motivi, entrambi legati alle pratiche sociali, all’agentività e al tema dell’identità. Il primo è che i media ritraggono spesso le azioni di soggetti che risultano diversi da quelli di una ipotetica ‘cultura’ e ‘identità’ omogenee; il secondo è che il coinvolgimento con l’agentività porta la ricerca etnografica a in- dagare su come gli attori sociali costruiscono collegamenti tra ciò che conoscono attraverso i media e le proprie vite, e sistemi sociali, generando ulteriori e imprevedibili costruzioni di agentività, necessariamente diverse da quelle delle generazioni differenti. Non di identità si tratta, quindi, ma di una soggettività che cerca, mantiene e produce forme di agire – anche solo in modo virtuale – sulla realtà circostante. Questo modifica la vita relazionale – per nodi e reti, non più per relazioni di vicinato, vincoli di parentela, strutture gerarchiche consolidate, forme di trasmissione generazionali o tra pari, di filiazione. Nel duplice versante di perdita che, secondo alcuni, è legato alle patologie della modernità, e di converso di acquisizione di agentività, di strumenti completamente diversi da quelli di un tempo. Le identità si scompongono e ricompongono, si trasformano, si amplificano attraverso forme di soggettività che talvolta non siamo in grado di ascoltare, perché ci destabilizzano, perché non sono le nostre. Possiamo osservare questo cambiamento mentre si compie senza ipotizzare cosa significherà per le categorie classificatorie che continuiamo ad utilizzare – cultura, identità, appartenenza e così via. Così come non era omogeneo il mondo della tradizione, così non lo è quello contemporaneo. ambito materiale e ambito simbolico spesso si fondono nell’uso delle nuove tecnologie, e il senso delle immagini si presta a letture impreviste. Vi è a tal proposito una bella frase di Réné Char: ‘abbiamo una eredità ma non abbiamo un testamento’. L’ere- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 37 Raccogliere fotografie in Carnia. Un tentativo di bilancio dità visuale che il Coordinamento dei Circoli culturali della Carnia ci ha lasciato e continua a trasmetterci è enorme. Possiamo, grazie a questa, sostenere la riflessione critica sull’immagine, creare percorsi di comprensione del patrimonio e di recupero della memoria, incentivare riflessività storica e consapevolezza dell’impiego delle fonti, valutare criticamente il senso comune. «È, questa, una fonte fondamentale della comprensione umana, accessibile soltanto nei momenti in cui l’ordine categorico delle cose non appare più certo, quando, cioè, la teoria non è costruita in base alla pratica, ma si rivela come una forma di pratica essa stessa»76. 76 Ivi, p. 24. 37 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 38 1. Umberto Antonelli, Giobatta Picotti con quindici nipoti, Socchieve (Ud), 1910 ca. (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 39 La catalogazione partecipata in rete e CarniaFotografia Franca Merluzzi La catalogazione partecipata in rete e CarniaFotografia. Una progettualità in divenire Racconti per immagini dalle collezioni fotografiche di famiglia è il titolo della rassegna di incontri che si tengono nell’ambito del progetto CarniaFotografia. In quell’occasione vengono presentati i risultati ottenuti con i più recenti lavori di ricerca, di studio e di catalogazione dei materiali fotografici individuati nelle raccolte diffuse sul territorio. L’attenzione e la curiosità del pubblico – e soprattutto la sua partecipazione emotiva – aumentano durante la proiezione delle immagini con ritratti singoli o di gruppo, vedute e ‘panoramiche’ del paese e della valle. È questo il momento più toccante della serata e il più atteso. La comunità si riconosce; naturalmente chi ritrova un parente o un famigliare è ancora più gratificato ma in genere tutti si lasciano prendere da una specie d’incanto di fronte alle vecchie immagini. La fotografia ha una sua forza evocatrice, attiva meccanismi di memoria personale e collettiva. Le relazioni degli esperti restituiscono, in termini scien- tifici, quanto hanno rilevato con i metodi rigorosi della ricerca e con l’osservazione dei materiali e delle tecniche, ma anche quanto hanno appreso dal contatto con le persone incontrate. Lo hanno ben capito coloro che da anni collaborano a CarniaFotografia: per questo le relazioni diventano anche racconti che recuperano ricordi a partire dalle persone ritratte, dalle occasioni in cui si fecero fotografare, dagli avvenimenti salienti e dalle vicende umane evocate. La comunità si sente protagonista, ascolta, condivide, aggiunge ulteriori particolari, si intrattiene alla fine dell’incontro, approfondisce e forse anche garbatamente dissente su qualcosa o qualcuno. Le serate organizzate a Socchieve, Sutrio, Verzegnis e Zuglio, alla presenza di rappresentanti delle amministrazioni locali, sono anche un riconoscimento all’attività del Circolo Culturale Fotografico Carnico, associazione che da anni opera, attraverso la 39 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 40 40 Franca Merluzzi 1 T. KOSTNER, La salvaguardia della memoria attraverso le immagini: l’album fotografico della Famiglia Picotti di Nonta di Socchieve, Università di Udine, Facoltà di Lettere e filosofia, 2007, relatore G.P. GRI. 2 D. ZANIER (a cura di), La scuola documenta la Carnia. La produzione di documentari con fotografie d’epoca, Istituto comprensivo di Tolmezzo, Tolmezzo 2014. 3 Fondamentale il contributo di Dino Zanier alla rassegna, giunta nel 2014 alla decima edizione, Tolmezzo città stenopeica. Fotografia stenopeica tra didattica e creatività, cfr. D. ZANIER, La scatola dei racconti, Comunità Montana della Carnia, Scuola media statale Gian Francesco da Tolmezzo, Tolmezzo 2008; cfr. Sulle orme di Giorgio Ferigo, un anno in classe: percorsi didattici multidisciplinari, Scuola media statale Gian Francesco da Tolmezzo, Tolmezzo 2011. Fototeca territoriale, per il recupero delle raccolte e la loro conservazione con accurate operazioni di digitalizzazione. La ‘salvaguardia’ della memoria La fotografia è strumento di conservazione della memoria anche in un contesto completamente diverso da quello della fruizione pubblica appena descritto. Ne ho preso consapevolezza ritornando recentemente sull’argomento assieme a Teresa Kostner, autrice di uno degli interventi di questo volume, diventata un’appassionata ricercatrice sul campo con la tesi di laurea intitolata La salvaguardia della memoria attraverso le immagini: l’album fotografico della Famiglia Picotti di Nonta di Socchieve, discussa nel 2007 all’Università di Udine1. Il contesto a cui prima alludevo è la casa di riposo per anziani. andare ‘in ricovero’ è un momento delicato e destabilizzante; la persona abbandona le abitudini, la casa, i luoghi conosciuti per entrare in un ambiente organizzato per dare assistenza, ma estraneo. La memoria, per chi ancora la possiede, si affievolisce, spesso si perde rapidamente. L’esperienza e la sensibilità degli operatori suggeriscono che l’anziano abbia con sé una o più fotografie significative: lo aiutano a mantenere la memoria del proprio vissuto, dei legami familiari e nello stesso tempo dà la possibilità a chi si rapporta con lui di aprire un canale di comunicazione; una parola, una frase, una battuta scherzosa, prendendo spunto proprio dalle immagini, possono favorire l’interazione. Nell’ambito delle attività di animazione di una casa di riposo tolmezzina sono stati proiettati i documentari ‘La scuola documenta la Carnia’, alla cui realizzazione hanno contribuito, nell’anno scolastico 2012-20132, insegnanti e alunni dell’Istituto comprensivo di Tolmezzo. ogni audiovisivo si è basato sull’analisi di una fotografia d’epoca, seguita da una più ampia ricerca di una classe che ha costruito poi un racconto, per lo più di breve durata, adatto quindi anche alle persone con difficoltà di concentrazione. Come mi è stato riferito, il video I luoghi dell’incontro - Osterie, fontane e lavatoi ha sortito interesse e provocato discussioni tra degli ospiti della struttura: il tema delle osterie ha coinvolto di più gli uomini, le fontane e i lavatoi maggiormente le donne, con molta soddisfazione dell’animatrice. Probabilmente nessuno prefigurava questo inedito utilizzo dei documentari nati come percorsi di educazione all’immagine, neppure – penso – Dino Zanier, stenopeista ed esperto delle tecniche fotografiche che per vent’anni si è confrontato con generazioni di ragazzi e di insegnanti nelle scuole di Tolmezzo. Zanier, ideatore di numerosi progetti didattici e dei documentari in questione3, considera la fotografia un documento e uno strumento per far partecipare i ragazzi alla storia, per farli entrare – così si esprime – dentro la storia. anche noi operatori dell’Istituto regionale possiamo dire di essere entrati pian piano dentro la storia degli anziani minatori dell’ex miniera di Cludinico a ovaro. Li abbiamo interpellati per avere informazioni sui materiali esposti nel Museo, arnesi, at- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 41 La catalogazione partecipata in rete e CarniaFotografia 41 2. Umberto Candoni, Minatori all’ingresso della medaglieria di Creta d’Oro, Cludinico (Ud), 1953 ca. (collezione privata Gardel). Il fotografo Luigi Gardel accompagnò il collega Candoni e lo aiutò nella realizzazione dello scatto. La fotografia ritrae alcuni operai davanti alla portineria della miniera Creta d’oro: hanno probabilmente concluso il turno del mattino e si sono messi in posa, i volti ancora sporchi di polvere nera. hanno con loro le lampade, unico oggetto che identifica il loro mestiere, ma non gli attrezzi, lasciati in qualche deposito nella galleria principale o passati ai compagni. Come spiegò Luigi Gardel fotografo di ovaro e prezioso custode di questa immagine, era assai difficile realizzare riprese all’interno della miniera a causa della luce scarsa. Nel 1953 il fotografo Luigi Candoni di Comeglians, presso cui Gardel era apprendista, si recò a Cludinico e, ispezionato il luogo, scelse un posto facilmente riconoscibile: nel bosco, alla fine del sentiero per Creta d’oro, c’era uno slargo, racchiuso da un lato dalla parete rocciosa, sull’altro da una staccionata e sullo sfondo dalla baracca in legno della portineria o medaglieria. Qui ad ogni minatore veniva infatti assegnata una “medaglia” numerata: con questo metodo si teneva il conto degli uomini presenti al lavoro in miniera. Erano inoltre distribuite dosi di carburo per le lampade e si compivano tutte le registrazioni indispensabili per il conteggio delle ore da retribuire e per l’assicurazione in caso di infortuni. Superata la portineria, gli operai entravano nella galleria principale. Dopo aver percorso un tratto comune, si radunavano per l’appello in zona, detta ponsa, da dove, divisi dal capoturno in gruppi di tre o quattro, raggiungevano fronti di abbattimento. Quando Gardel aprì il proprio studio fotografico, l’attività della miniera era ormai esaurita. I suoi legami con questo luogo sono comunque testimoniati da tanti oggetti, da lui donati al museo, appartenuti al perito minerario Massimo Mocci che diresse la miniera di Cludinico dal 1942 in poi. Da Il carbone di Creta d'oro, Forum, Udine 2012, p. 99. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 42 42 Franca Merluzzi 3. Attilio Vidussoni, Anita Vidussoni, figlia del fotografo, in costume carnico, Verzegnis (Ud), 19401942 (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 43 La catalogazione partecipata in rete e CarniaFotografia trezzature e documenti di cui era in corso la catalogazione nell’ambito del progetto Interreg ‘Transmuseum’4. Lo storico da noi incaricato, Gilberto Dell’oste di ovaro, catalogatore e ‘intermediario’ nello stesso tempo, ha registrato i loro racconti – poi allegati alle schede – in cui la storia individuale, piena di fatiche ma anche di orgoglio, si intreccia con quella della Val di Gorto che attorno al 1940 attrasse un numero considerevole di lavoratori (fino a 1.600) per lo sfruttamento del giacimento carbonifero di ‘Cuesta di Laur’ (Costa o Creta d’oro). abbiamo riascoltato dalla loro voce con forte emozione – nostra e loro – le testimonianze di vita e di lavoro portate durante le presentazioni del volume Il carbone di Creta d’oro. Storia della miniera di Cludinico, svoltesi nell’agosto e nel settembre 2012, a ovaro e al Museo etnografico del Friuli di Udine5. L’accenno a questa attività per il Museo di Cludinico e alle altre iniziative che ruotano attorno a CarniaFotografia, porta a riflettere sul progetto in generale e sulla sua evoluzione, ad interrogarsi sull’indirizzo futuro e sull’apporto dei soggetti coinvolti. a monte esiste un rapporto di condivisione di metodologie tra la Comunità Montana della Carnia e l’Istituto Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia che dal primo febbraio 2015 è subentrato al Centro regionale di catalogazione e restauro dei beni culturali6. La circolarità delle informazioni ha ampliato i contatti e incluso le campagne di catalogazione in una più ampia progettualità con finalità didat- tiche e divulgative, arricchita nel suo divenire grazie alla partecipazione di soggetti che operano con le competenze specifiche del settore. La pubblicazione offre l’occasione per approfondire il legame tra storia, fotografia e didattica, tema ritenuto d’interesse dalla Comunità Montana della Carnia e dall’Istituto Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia sulla base delle esperienze concrete condotte in questi anni e coerenti con le finalità istituzionali. Il catalogo dei beni culturali del Friuli Venezia Giulia L’Istituto Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia - IPaC gestisce il Sistema Informativo Regionale del Patrimonio Culturale - SIRPaC che rappresenta il catalogo dei beni culturali regionali7. L’universo dei beni documentati è ampio, differenziato e in continua crescita. attraverso il sito si può accedere ai dati delle diverse tipologie: pitture e sculture e altri beni storico artistici, numismatici, reperti e siti archeologici, architetture, parchi e giardini storici, fotografie e stampe, ma anche installazioni d’arte contemporanea, testimonianze materiali e immateriali che rievocano antichi saperi ed esperienze migratorie. Il concetto di bene culturale si evolve nel tempo, comprende le ‘eccellenze’ assieme alle ‘memorie’ del passato e alle ‘espressioni’ del presente ‘aventi valore di civiltà’. Il catalogo, che si configura come una banca dati, ha assunto dimensioni notevoli: sono oltre 300.000 le schede (di cui 43 4 Il progetto ‘Transmuseum’ Rete museale transfrontaliera per la promozione dello sviluppo sostenibile (20092011), nell’ambito del programma di cooperazione europea Interreg IV Italia Austria 2007-2013, aveva tra i partner anche la Comunità Montana della Carnia con CarniaMusei. 5 Il carbone di Creta d’oro. Storia della miniera di Cludinico, Udine, Forum 2012. 6 L’Istituto Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia è configurato dalla Legge regionale n. 10 del 13 ottobre 2008, come un ente funzionale, autonomo, sottoposto alla vigilanza della Regione. Ha sede nell’Esedra di Ponente, a Villa Manin di Passariano, in comune di Codroipo (Ud). 7 Pubblicato nel 2005, il Sistema Informativo Regionale del Patrimonio Culturale rappresenta l’evoluzione della banca dati, in rete già nel 1999 a seguito dell’informatizzazione delle schede cartacee realizzate con le campagne di catalogazione fin dagli anni ’70. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 44 44 Franca Merluzzi 8 In un’ottica di divulgazione dei risultati e delle metodologie adottate è stato pubblicato nel 2013 il volume I beni culturali del Friuli Venezia Giulia. La catalogazione partecipata in cui sono descritti i progetti 2010-2012, che si collega al precedente del 2010 I beni culturali del Friuli Venezia Giulia. Il catalogo in rete (Progetti 2005-2009), a cura di F. MERLUZZI. Dal 2005, anno di pubblicazione del SIRPAC, sono state formalizzate oltre cinquanta adesioni da parte di Comuni, Province, Comunità Montane, Fondazioni, Musei ed Ecomusei, Consorzi, Associazioni, Atenei e Istituti scolastici. 9 In base al Codice dei beni culturali e del paesaggio (D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) l’attività di catalogazione – il processo di documentazione e di registrazione dei dati – può essere svolta sul territorio dalle Regioni e da altri Enti pubblici territoriali. All’art. 17 del Codice stesso: «Il Ministero, con il concorso delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, assicura la catalogazione dei beni culturali e coordina le relative attività. Le procedure e le modalità di catalogazione sono stabilite con decreto ministeriale. A tal fine il Ministero, con il concorso delle regioni, individua e definisce metodologie comuni di raccolta, scambio, accesso ed elaborazione dei dati a livello nazionale e di integrazione in rete delle banche dati dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali». circa 120.000 relative a beni fotografici) consultabili in rete, frutto delle campagne annuali che si sono susseguite nei diversi settori. Il Sistema consente sia la compilazione delle schede direttamente nel web, sia l’accesso ai dati e alle immagini delle attività condotte e presentate attraverso pagine descrittive, ma anche a informazioni e aggiornamenti che riguardano il mondo dei beni culturali. offre inoltre la possibilità di creare relazioni tra i beni e di localizzarli sul territorio regionale tramite un webgis. obiettivo prioritario è ora quello di rendere amichevole e immediato l’approccio al patrimonio facilitando le ricerche nel catalogo e incrementando i percorsi guidati per gli utenti. L’Istituto dispone di un archivio costituito per conservare, ordinare e permettere la consultazione del materiale fotografico prodotto con l’attività di catalogazione. La fotografia ha infatti un ruolo fondamentale nella documentazione del patrimonio culturale: in quanto strumento di riconoscibilità ne trasmette nel tempo l’immagine. ad ogni scheda catalografica viene associata una o più immagini con le relative notizie compilate in un’apposita sezione. L’archivio consta, tra analogiche e digitali, di oltre 212.000 fotografie di cui può essere chiesta copia per finalità di studio e di ricerca. Sono molteplici i settori in cui l’IPaC interviene: in questo contesto vorrei portare all’attenzione le attività di catalogazione partecipata realizzate dal 2005 in un unico ambito informativo regionale, il SIRPaC, da oltre cinquanta soggetti diversi. Navigando dentro il sito (www.sirpac-fvg.org) e familiarizzando con le modalità di ricerca indirizzate nel modo appropriato, si prende consapevolezza dell’ampia documentazione prodotta all’interno di un interessante processo partecipativo. La catalogazione partecipata all’incremento del Sistema regionale concorrono enti, università e altri soggetti pubblici e privati che si impegnano ad adottare le modalità della catalogazione partecipata per realizzare dei progetti condivisi, spesso tematici e pluriennali8. L’Istituto mette a disposizione l’assistenza per le attività catalografiche condotte secondo gli standard – costituiti dalla normativa, da specifici strumenti terminologici e da metodologie per la compilazione delle schede – elaborati dall’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione (ICCD), che fa capo al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MiBaCT)9. I tracciati ministeriali sono utilizzati in Italia soprattutto dagli Enti di tutela nella prospettiva della costituzione del Catalogo nazionale dei beni culturali. L’adozione di procedure condivise garantisce l’uniformità delle informazioni provenienti da catalogatori che afferiscono a soggetti diversi – ma tutti aderenti al sistema –, lavorano in rete dalle loro postazioni e utilizzano, nella compilazione delle schede, gli strumenti di supporto comuni: vocabolari controllati, liste di ricorrenze e archivi a gestione unica: gli authority file, elenchi d’au- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 45 La catalogazione partecipata in rete e CarniaFotografia torità relativi ad autori, editori, fotografi, bibliografia, stemmi, emblemi e marchi. Partendo dal presupposto che la fotografia è un bene culturale, l’immagine viene catalogata utilizzando la scheda ministeriale F scheda (Fotografia) alla quale è collegata la scheda aUF-autore Fotografo e la scheda STM - Stemma/Emblema e Marchio. Per fare un esempio, del fotografo Umberto antonelli – di cui è stata compilata la scheda Fotografo (con profilo biografico, bibliografia, luogo e periodo di attività, luogo di conservazione delle raccolte, ecc.) – sono stati rilevati, sulla base delle immagini finora catalogate (539), sette marchi commerciali a stampa e a secco diversi tra loro, relativi alla sua attività a Padova, Enemonzo, Enemonzo/Udine e Socchieve. La digitalizzazione sistematica del recto e del verso di ciascuna fotografia esaminata e l’inserimento nella scheda, consente di documentare la presenza del marchio (o di altre iscrizioni) ai fini dell’identificazione del fotografo o dello studio fotografico. Nel corso delle ricerche in Carnia sono stati censiti oltre quaranta fotografi, pro- 45 4. Umberto Antonelli, Ritratto di gruppo con le Alpi Carniche sullo sfondo. Si possono identificare Umberto Antonelli e Pietro Pascoli, 1925 (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 46 46 Franca Merluzzi 5. Esempio di scheda di catalogazione compilata sulla base del modello F (Fotografia) pubblicata nel Sistema informativo del patrimonio culturale regionale (www.sirpacfvg.org). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 47 La catalogazione partecipata in rete e CarniaFotografia fessionisti e dilettanti, un risultato interessante che arricchisce la storia della fotografia con nomi che altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti come Isidoro Straulino (1866-1943) di Sutrio e attilio Vidussoni (1895-1946) di Chiaicis di Verzegnis, assieme al fratello Silvio (1890 ca.-1920 ca.) e al figlio Ezio (1930). La scheda è un documento ‘aperto’: i dati acquisiti nel sistema SIRPaC possono essere integrati, aggiornati e ripubblicati in tempo reale, previa validazione da parte del responsabile del settore. Gli enti che aderiscono al Sistema regionale riconoscono il valore della catalogazione secondo standard nazionali ed esprimono anche un forte interesse a utilizzare le informazioni ottenute per altre iniziative. È questa un’esigenza molto sentita e l’Istituto regionale si impegna affinché questo avvenga all’interno di percorsi comuni. Spesso un’attività specialistica qual è la catalogazione diventa il punto di partenza per iniziative di divulgazione (pubblicazioni, mostre, cataloghi, conferenze, incontri a tema), ma anche per allestimenti museali e percorsi didattici. Materiali storici: progetti per archivi pubblici e privati Consultando il sito (www.sirpac-fvg.org) si può accedere alle raccolte relative a un primo ‘censimento’, non sicuramente esaustivo, dei fondi e degli archivi pubblici e privati presenti nel territorio regionale che conservano materiali storici o di particolare interesse. I risultati, ottenuti con i principi della cata- logazione partecipata, appaiono importanti sotto l’aspetto quantitativo: sono consultabili 119.954 schede F (Fotografia), e significativo è anche il numero dei fotografi e degli studi fotografici inseriti nell’authority list: 2.530 nomi corrispondenti ad altrettante schede. a seguito della digitalizzazione viene assicurata ‘la messa in sicurezza degli originali’ che continuano ad essere conservati dagli enti proprietari; nel web appaiono nel formato a bassa risoluzione con il loro corredo informativo basato sulla struttura della scheda ministeriale. Per le operazioni di digitalizzazione dei materiali analogici è stata definita una casistica per i vari formati fotografici; il file prodotto ad alta risoluzione conserva le dimensioni originali della fotografia divenendo a sua volta un’immagine documentaria attendibile10. Nel SIRPaC confluiscono anche i dati di aMMER, l’archivio Multimediale della Memoria dell’Emigrazione Regionale costruito in forma partecipata tra varie istituzioni (Regione, atenei di Udine e di Trieste, Centro di Ricerca e archiviazione della Fotografia - CRaF, associazioni)11. Il portale www. ammer-fvg.org raccoglie testimonianze e immagini in regione e nei principali paesi di espatrio; presenta 15.000 fotografie, 2.200 profili di emigranti, 745 interviste. Gli studiosi incaricati hanno incontrato gli emigranti e i loro discendenti, in qualità di testimoni dell’esperienza vissuta direttamente o attraverso la memoria conservata all’interno della famiglia. La prassi prevede infatti che i catalogatori ripercorrano la sto- 47 10 I file da archiviare devono avere alcuni requisiti minimi: il formato TIF ad alta risoluzione di almeno 300 DPI o il formato originario RAW. Questo consente di ottenere immagini adeguate per la riproduzione a stampa. 11 Approfondimenti sono contenuti nella serie editoriale ‘I quaderni di AMMER’ e nei cataloghi tematici di mostre realizzate all’estero. Cfr. Un secolo di partenze e di ritorni. L’emigrazione dal Friuli Venezia Giulia verso l’estero (1866-1968), Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, Università degli studi di Udine, Forum, Udine 2010; B. VATTA, Legami mobili. Famiglie migranti nello spazio europeo del Novecento, Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, Università degli studi di Udine, Forum, Udine 2012. Dopo un’intensa attività di ricerca confluita nel sito (20052013) è stata organizzata una mostra itinerante dal titolo ‘In viaggio’ indirizzata in maniera particolare al mondo della scuola e dei giovani, cfr. R. DEL GRANDE et al. (a cura di), In viaggio dal Friuli Venezia Giulia. Immagini e parole dall’archivio dell’emigrazione regionale, Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, Università degli studi di Udine, Forum, Udine 2013. Ed inoltre, per la didattica, si segnala: A. BRUGNOLI, A. GIUSA (a cura di), Partire e tornare. Percorsi di lettura dell’immagine fotografica in ambiente cooperativo di rete, Rete dei Ragazzi del Fiume, Centro di catalogazione e restauro dei beni culturali, Arti Grafiche Friulane/Imoco, Udine 2007. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 48 48 Franca Merluzzi 12 Per gli aspetti catalografici cfr. R. DEL GRANDE, La storia dell’emigrazione regionale, in F. MERLUZZI (a cura di), I beni culturali del Friuli Venezia Giulia. Il catalogo in rete. Progetti di catalogazione partecipata, Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, 2009, pp. 46-49; ID., Il progetto Ammer, in MERLUZZI F. (a cura di), I beni culturali del Friuli Venezia Giulia. La catalogazione partecipata, Progetti 2010-2012, Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, 2013, pp. 112-113. 6. Umberto Antonelli, Gemma, Antonietta e Roberto Martinis di Ampezzo, Enemonzo (Ud), 1945 ca. (collezione privata / AMMER). ria migratoria mediante un’intervista e il supporto delle immagini conservate nelle raccolte personali. ottenute le informazioni procedono alla compilazione della scheda EMI - Emigrante (con i dati biografici e una sintesi dei temi trattati: motivazioni della scelta di partire, il viaggio, i primi periodi, il lavoro, i nuovi nuclei familiari, i ricongiungimenti ecc.), della schede F - Fotografia e la scheda BDI - Beni demoetnoantropologici immateriali, relativa all’intervista in allegato che si può scaricare e ascoltare12. Le raccolte contengono fotografie di epoche diverse; digitalizzate e catalogate ‘sul posto’, spesso riportano marchi e iscrizioni con i nomi di fotografi o di studi fotografici delle località di partenza. È il caso di antonietta Martinis originaria di ampezzo che con- serva in argentina, dove è emigrata, una fotografia in cui è ritratta bambina assieme alla mamma Gemma e al fratellino Roberto. Nella scheda, redatta nel 2005 a Mendoza, si specifica che è una fototessera utilizzata per il passaporto; la ripresa è stata eseguita a Enemonzo nello studio di Umberto antonelli intorno al 1945, il cui marchio è visibile in basso a sinistra. Il suo album catalogato è composto da una trentina di altre fotografie collegate alla scheda biografica che permette di ascoltare un brano dell’intervista in cui antonietta conclude: «… l’unico aspetto negativo della mia esperienza è stata la nostalgia per la mia terra e la mia famiglia. anche se adesso la mia famiglia è qui e non me ne andrei mai amo la Carnia, è un luogo per me paradisiaco». ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 49 La catalogazione partecipata in rete e CarniaFotografia altri progetti hanno riguardato collezioni e archivi, interi fondi o parte di essi; spiccano per consistenza: l’archivio del Consiglio regionale (schede 10.053), la Fototeca dei Civici Musei di Udine (schede 9.076), l’archivio del CRaF - Centro di Ricerca e archiviazione della Fotografia (schede 14.171) e per l’importanza nel settore dei beni culturali il nucleo storico denominato ‘Fondo Venezia’ dell’archivio della ex Soprintendenza per beni architettonici e per il paesaggio e per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico del Friuli Venezia Giulia, conservato nell’Ufficio di Udine (schede 2.237)13. L’Istituto regionale ha ereditato dal Centro di catalogazione una lunga esperienza nel settore dei beni fotografici ed è il punto di riferimento per le metodologie catalografiche in ambito regionale. Il Sistema è stato più volte utilizzato anche come strumento per le esercitazioni che accompagnano le tesi di laurea dei corsi universitari di Storia e tecnica della fotografia e di antropologia culturale della Facoltà di Lettere e filosofia dell’ateneo udinese. attraverso i suoi esperti l’Istituto provvede alla formazione dei catalogatori che operano per conto degli enti, ne segue l’attività, procede alla validazione e alla pubblicazione dei dati e delle immagini. anche gli apparati fotografici digitali rispondono a formati prestabiliti e vengono pubblicati in Internet protetti da un marchio in filigrana a tutela dei diritti. L’Istituto mette inoltre a disposizione le sue competenze per la digitalizzazione, ma anche per aspetti riguardanti l’inventariazione, operazione che attesta la consistenza dei fondi da parte dell’ente proprietario, le fasi di archiviazione, di conservazione e di gestione dei materiali analogici e digitali. accompagna le ricerche degli studiosi e di tutti coloro che consultando i siti inoltrano, anche dall’estero, richieste per informazioni o riproduzioni di materiali. In quest’ultimo decennio, come si è già evidenziato, grazie all’apprendimento in ambito universitario e alle esperienze svolte dall’ex Centro di catalogazione, nelle Soprintendenze, al CRaF e presso altri Enti, Musei, archivi e Fototeche, sono maturate alcune professionalità specializzate nel settore degli archivi fotografici, nella catalogazione e negli studi della fotografia in quanto bene culturale. Questo tipo di formazione ha incentivato l’interesse dei giovani studiosi, l’affinamento delle tecniche sul campo e l’approfondimento e la restituzione delle conoscenze sul territorio14. La Carnia è stata oggetto di ricerche specifiche che in alcuni casi sono state avviate all’Università di Udine, durante il corso di Storia e tecnica della fotografia tenuto da antonio Giusa. Nel 2006 lo studio dei fotografici carnici, effettuato da Chiara Brocchetto nel 2002 per la sua tesi di laurea, è diventato anche una pubblicazione15. CarniaFotografia: l’impegno per un progetto condiviso Nel novembre 2006 la Comunità Montana della Carnia accolse la proposta dell’allora 49 13 Si tratta di un insieme di immagini proveniente dalla prima Soprintendenza ai Monumenti di Venezia istituita con Regio Decreto nel 1907, già Ufficio Regionale per la conservazione ai monumenti del Veneto. Il fondo è stato consegnato dapprima alla Soprintendenza di Trieste e in un secondo momento all’Ufficio di Udine. Le schede delle foto storiche sono state compilate da Elisa Bertaglia nel Sistema regionale e collegate alle relative schede esistenti di beni storico-artistici. Il progetto di catalogazione, completato nel 2006, nacque con la tesi di laurea di Elisa Bertaglia Le fotografie del Friuli nell’Archivio fotografico della Soprintendenza ai Monumenti di Venezia già Ufficio Regionale per la conservazione ai Monumenti del Veneto (19031923), Università degli studi di Udine, Facoltà di Lettere e Filosofia, anno 2003, relatore Antonio Giusa. Cfr. anche E. BERTAGLIA, L’archivio fotografico della Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici del Friuli Venezia Giulia - Ufficio di Udine, in A.M. SPIAZZI, L. MAJOLI, C. GIUDICI (a cura di), Gli archivi fotografici delle Soprintendenze. Tutela e storia. Territori veneti e limitrofi, atti della giornata di studio, Venezia 29 ottobre 2008, Terra Ferma, 2010, pp. 243-253. 14 Per la Carnia si evidenzia in particolare l’attività delle catalogatrici Chiara Brocchetto, Teresa Kostner ed Elisa Bertaglia; quest’ultima per la schedatura di parte dell’Archivio di Gino Del Fabbro (1931-2014) nell’ambito del progetto Interreg ‘Transmuseum’. La selezione delle immagini esplora il lavoro del professionista di Forni Avoltri attivo a partire dalla metà del secolo scorso. 15 C. BROCCHETTO, Fotografi della Carnia tra ’800 e ’900, Associazione culturale Elio cav. Cortolezzis, Treppo Carnico 2006. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 50 50 Franca Merluzzi 16 Conservato presso la Fototeca territoriale, il fondo documenta soprattutto la collezione etnografica del museo raccolta dal suo fondatore il geologo Michele Gortani (1833-1966). Comprende anche le riprese fotografiche commissionate dallo stesso Gortani a professionisti, tra i quali il più famoso Umberto Antonelli (1882-1949) e altri nuclei tematici alcuni legati alla professione di geologo come le spedizioni per conto dell’AGIP nel 1936-38 in Africa orientale o gli studi sulla zona del Vajont. 17 Lo studio e la catalogazione dell’archivio di Giuseppe Schiava (1879-1963) ha documentato l’attività del fotografo dilettante diventato un punto di riferimento per la sua comunità. Le riprese riguardano temi diversi e tre eventi significativi per Socchieve: il volo con l’aliante di Arturo Silverio nel 1938, il passaggio a Sutrio di Primo Carnera nel 1930, la visita del principe ereditario Umberto di Savoia nel 1926. Centro di catalogazione di aderire al SIRFoST - Sistema informativo regionale fotografie e stampe, il sottoinsieme appositamente creato per rendere fruibili fotografie, stampe e matrici, conservate in collezioni e archivi regionali, in un’ottica di condivisione di standard e metodologie riconosciute a livello nazionale. all’adesione formale del febbraio 2007 seguì la stipula, nel 2008, di un atto importante: la convenzione tra la Comunità Montana della Carnia e i suoi 28 Comuni per le attività riguardanti il patrimonio fotografico del territorio. Con la convenzione, rinnovata nel 2011, si coinvolgono gli enti per la «promozione e gestione coordinata della Fototeca territoriale ‘CarniaFotografia’, e si individua il ‘Circolo Culturale Fotografico Carnico’ quale associazione di riferimento per il supporto tecnico e organizzativo della fototeca territoriale». La Fototeca «viene costituita per la ricerca, conservazione e valorizzazione del patrimonio fotografico della Carnia, nonché la condivisione dello stesso grazie a tecniche informatiche». ha sede a Tolmezzo, nei locali di Palazzo Frisacco attrezzati per l’archiviazione e la conservazione dei materiali. Tra i suoi obiettivi «l’immissione dei dati catalografici nel circuito della rete informatica regionale» ed infatti la Fototeca si propone di «coordinare ed indirizzare le attività di ricerca in campo fotografico, fornendo delle linee guida relative alla digitalizzazione delle immagini, alla conservazione e alla catalogazione, con riferimento alle indicazioni fornite dal Centro di catalogazione di Passariano». Il progetto CarniaFotografia prosegue nel solco tracciato nei decenni precedenti dai Circoli culturali carnici con iniziative editoriali ed espositive che contribuirono a diffondere, ad ampio raggio – oltre il territorio della Carnia – l’interesse per il patrimonio fotografico locale. I rapporti istituzionali stretti nel 2007 con la convenzione stipulata con la Comunità Montana della Carnia furono l’inizio di forme di collaborazione allargata e durature poiché basate sul rispetto di modalità operative condivise e di reciproco interesse, ma anche di contatti e sintonie tra coloro che sono coinvolti – con ruoli diversi – nelle attività. I progetti catalografici principali hanno riguardato una sezione del Fondo Gortani di proprietà della Fondazione Museo Carnico delle arti Popolari ‘Michele Gortani’ di Tolmezzo16, l’archivio Schiava ceduto dalla famiglia del fotografo Giuseppe Schiava al Comune di Sutrio17, il Fondo Socchieve, un’indagine sulle collezioni familiari del Comune di Socchieve realizzata poi anche nel Comune di Zuglio; un fondo consistente preso in esame di recente (2014) è quello dell’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Tolmezzo, che presenta riferimenti attendibili per la datazione e l’individuazione dei luoghi delle riprese. Il sostegno della Comunità montana della Carnia che nel periodo 2006-2014 ha promosso le campagne catalografiche sul territorio rimane fondamentale perché assicura continuità alla ricerca sul campo; altrettanto importante risulta l’apporto dei referenti del Circolo Culturale Fotografico ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 51 La catalogazione partecipata in rete e CarniaFotografia 51 7. La Fototecnica, Anna Picotti con la cognata Livia Cainelli ed i nipoti Noella e Giorgio Picotti posa su un calesse, Socchieve (Ud), 1940 (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia) ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 52 52 Franca Merluzzi 8. Santa Picotti con il marito Umberto De Monte, Leonina Fachin e Anna Picotti; in primo piano Giobatta Picotti con la figlia Ada, Ampezzo (Ud), 1926 (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). Carnico che ha scelto di procedere – come spesso ripete adriana Stroili responsabile della Fototeca – ‘a piccoli passi’, prendendo in esame, di volta in volta, dei singoli fondi non molto consistenti dal punto di vista quantitativo. L’approccio ai materiali è rigoroso e analitico: costituisce un esempio di buone prassi all’interno di un processo che programmaticamente prevede, dopo l’individuazione delle raccolte pubbliche o private, la digitalizzazione e la catalogazione nel Sistema regionale. attraverso il web le notizie e le ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 53 La catalogazione partecipata in rete e CarniaFotografia fotografie degli archivi carnici diventano patrimonio e bene comune, fruibile da tutti gli utenti e posto in relazione con altri fondi catalogati con gli stessi criteri18. L’approfondimento e la contestualizzazione di ciascuna immagine, consente di recuperare i dati per la compilazione della scheda catalografica a volte ricorrendo all’utilizzo di documentazione scritta e testimonianze orali: trattandosi spesso di archivi familiari l’incontro con chi detiene la memoria è un valido aiuto per individuare le persone ritratte e ricostruire circostanze e data dello scatto con un buon margine d’esattezza. In mancanza di questi riferimenti, come nel caso del fondo studiato da Teresa Kostner, anche la fotoceramica su una vecchia lapide in pietra del cimitero dimesso di Castoia, a Socchieve, diventa il riferimento chiave per l’identificazione del personaggio effigiato, il signor Giuseppe Picotti di Nonta. Di ogni informazione, come previsto nella scheda ministeriale, viene indicata puntualmente la fonte, sia bibliografica che verbale. Particolare attenzione viene riservata alle procedure di prestito, precedute da una chiara spiegazione sull’utilizzo delle immagini; gli originali, in mancanza di una volontà di donazione, vengono sempre restituiti in tempi brevi ai proprietari, come ben eviden- ziato nel regolamento della Fototeca territoriale. «La ricerca di foto d’epoca è proseguita e, grazie alla disponibilità dei proprietari delle fotografie, l’archivio inizia ad avere una certa consistenza: un piccolo tesoro di informazioni dirette o indirette e di riproduzioni digitali», scrive adriana Stroili19. Immagini della Fototeca sono inserite dalla stessa Stroili in qualità di curatrice nel volume edito nel 2013, in occasione del centenario della costruzione del ponte sul fiume Tagliamento in località avons. Ricerca storica e ricerca fotografica si completano a vicenda: in apertura la straordinaria pano ramica della conca tolmezzina, databile 1915-17, di attilio Vidussoni, seguono altre riproduzioni che integrano i saggi e l’apparato documentale costituito da atti e progetti conservati negli archivi di Tolmezzo e di Cavazzo Carnico20. In chiusura la sezione Il ponte che vorrei, tema didattico svolto dalle scuole primarie e secondarie dell’Istituto comprensivo di Tolmezzo: le grandi arcate di avons vengono riprese nei disegni dei più piccoli, reinterpretate con fantasia ad esprimere concetti di tempo, spazio, collegamento, unione e attraverso le visioni ‘oniriche’ ottenute con tecnica stenopeica a doppia esposizione. Immagini ponte tra la storia e il futuro. 53 18 R. DEL GRANDE, Gli archivi… cit., pp. 50-53. 19 A. STROILI, Il progetto CarniaFotografia. Un’esperienza di ricerca nei luoghi e con le persone, in MERLUZZI F. (a cura di), I beni culturali del Friuli Venezia Giulia... cit., pp. 8083. 20 A. STROILI (a cura di), I primi 100 anni del ponte Avons 1913-2013. Comunità e vie di comunicazione tra ’800 e ’900, Tolmezzo 2013. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 54 1. Umberto Antonelli, Lucia Zilli e i figli Arrigo e Mario Mainardi, Enemonzo (Ud), 1921 (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 55 Leggere la fotografia nel web. I valori storici e culturali della fotografia nella fruizione in rete Roberto Del Grande Leggere la fotografia nel web. I valori storici e culturali della fotografia nella fruizione in rete Introduzione Dopo oltre dieci anni di attività di catalogazione e raccolta dei dati sui beni culturali nel Sistema Informativo Regionale per il Patrimonio Culturale – SIRPaC –, l’Istituto per il Patrimonio Culturale ha dato avvio ad una nuova fase che ha per obiettivo prioritario la disseminazione della conoscenza sui beni stessi. Il SIRPaC, ormai attivo dal 2005, è l’erede dei primi sistemi di catalogazione informatizzata e della schedatura cartacea e, ad oggi, mette a disposizione una grande quantità di dati in formato digitale che, per riferirsi alla sola fotografia, ammonta a 119.954 schede. Questa quantità di informazioni è stata prodotta attraverso progetti realizzati dall’Istituto in collaborazione con gli enti proprietari e detentori delle fotografie, secondo la modalità consolidata della catalogazione partecipata. La documentazione raccolta assume diverse funzioni: è utilizzata per lo studio e la ricerca degli archivi fotografici, di specifiche tematiche storicosociali o dell’attività dei fotografi e degli atelier storici; diviene essenziale per la definizione di specifiche strategie di conservazione e gestione del patrimonio fotografico da parte degli Enti proprietari degli archivi; costituisce la base scientifica per attività divulgative, come pubblicazioni, esposizione, seminari ed incontri. Inoltre, lavorando a stretto contatto con il territorio si formano competenze specifiche in grado di sviluppare ulteriori attività di valorizzazione sul patrimonio. L’Istituto ha fatto tesoro delle esperienze di catalogazione partecipata considerandole una buona base di partenza per la disseminazione dei dati in forme accessibili ad un pubblico sempre più allargato. In vista del nuovo obiettivo che l’Istituto si è posto, si sono rese necessarie alcune riflessioni sulla fruizione dei dati nel web e, in particolare, nel Sistema Informativo Regionale per il Patrimonio Culturale. 55 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 56 56 Roberto Del Grande 1 La fotografia è inserita per la prima volta come oggetto di tutela nel 1999 con il ‘Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di Beni Culturali e Ambientali’, D. Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490. 2 G. BENASSATI (a cura di), La Fotografia. Manuale di Catalogazione, Graphis, Bologna 1990. 3 È la scheda ministeriale adottata dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione per la descrizione della fotografia formulata nella sua prima versione nel 1990. Cfr. Strutturazione dei dati delle schede di catalogo. Beni artistici e storici Scheda F, Ministero per i Beni e le Attività culturali - Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, 1999, scaricabile on line dal sito iccd.beniculturali.it nella sezione Standard catalografici. La normativa è oggi sostituita dalla versione 3 aggiornata al 2014. Riflessioni indirizzatesi a fare in modo che i valori di cui la fotografia è portatrice, come bene culturale e come oggetto storico, siano considerati parte fondante del processo di documentazione e valorizzazione. La catalogazione informatizzata in questo processo è oggi uno strumento privilegiato perché da modo di osservare il proprio archivio da molti punti di vista e di mettere a disposizione di tutti, in primo luogo nel web, il frutto di queste osservazioni. In questo nostro intervento si farà il punto sull’attività ultra decennale di catalogazione informatizzata prendendo ad esame alcuni progetti incentrati sulla documentazione fotografica e le relative modalità di fruizione, nella consapevolezza che per far sì che una fotografia si possa dire documento storico è imprescindibile associarvi un corredo informativo quanto più dettagliato possibile. Fotografia come bene culturale. Il riconoscimento del valore culturale della fotografia La catalogazione del patrimonio culturale regionale, una delle funzioni prioritarie dell’Istituto, è da considerarsi parte integrante del processo di valorizzazione dei beni. Tale processo nasce con il riconoscimento del valore culturale di un bene e si compie attraverso una serie di attività finalizzate alla condivisione di tale valore con l’intera comunità. Il ‘ciclo di vita pubblico’ del bene culturale inizia, di norma, nel momento in cui esso viene individuato e censito dagli enti preposti o dagli specialisti del settore e, attraverso diverse tappe, si perfeziona con il riconoscimento da parte della comunità che lo identifica come parte integrante del proprio ‘codice genetico’ culturale. La catalogazione è il momento fondante di questo percorso di vita e permette di associare al bene una specifica identità, definita in relazione al contesto in cui esso viene reperito, raccolto, conservato e che corrisponde ad una sorta di passaporto del bene stesso. Se per alcuni beni, come le opere d’arte o certe architetture, il riconoscimento del valore culturale è spesso implicito, per altri, di minor visibilità, non lo è affatto: è il caso della fotografia, che trascorre spesso una lunga e nascosta vita riservata negli archivi privati dei suoi proprietari. Non è un caso se l’entrata ufficiale della fotografia nella legislazione italiana relativa al patrimonio culturale è piuttosto recente1 e se tale ingresso è frutto di riflessioni iniziate con il convegno di Modena del 1979 dal sintomatico titolo Fotografia come bene culturale. Un convegno che, tra le altre cose, sancì anche l’importanza della descrizione catalografica delle fotografie, con il risultato di gettare le basi per la stesura del primo Manuale di catalogazione nel 19902 e della prima versione della Scheda F a dieci anni di distanza3. L’interesse per il valore culturale della fotografia comincia dunque a farsi prassi e metodo solo sul finire del secolo scorso, alle soglie di una nuova fase dello sviluppo degli strumenti di comunicazione nella quale la fotografia (ormai digitale) entra a pieno titolo nella quotidianità, grazie ai nuovi media e in particolare al web 2.0 e ai device come smar- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 57 Leggere la fotografia nel web. I valori storici e culturali della fotografia nella fruizione in rete tphone e tablet. Tuttavia il ‘Codice Urbani’ del 20044, nell’elencare i beni culturali, insiste sul carattere di ‘pregio e rarità’ come coppia di qualità che sancisce il valore culturale della fotografia. Rarità e pregio sono caratteristiche di difficile definizione. ad esempio, è ormai frequente studiare e catalogare nei sistemi informativi la fotografia vernacolare, con particolare attenzione per la fotografia di famiglia, che non è certo modello privilegiato in cui riscontrare le due qualità sopracitate. Per quanto possa essere vero che nell’epoca attuale la fotografia analogica (a cominciare da quella di famiglia) assume quasi un carattere di rarità, difficile è associarle in modo generalizzato il carattere di pregio. Il discorso si complica quando si parla di fotografia digitale (che ha sostituito di fatto quella analogica) e soprattutto di quella usata nei social network sulla quale i giudizi di rarità e pregio non sono nemmeno da porre in essere. Ciononostante è innegabile che questo genere di immagine sia traccia di un determinato momento storico, non diversamente dalla fotografia analogica e ne possa assumere i medesimi valori culturali. Valgono ancora in questo senso le parole dello storico Giancarlo Susini che, nel 1991, riferendosi alla fotografia analogica, scriveva: «Chi scatta una foto lo può fare per passione, per souvenir, per affetto, ma produce nel contempo – lo sappia e lo voglia o no – un bene culturale, cioè un rettangolo impressionato destinato a documentare uno specchio sociale, un arredo, un abito, un atteggiamento, un paesaggio»5. Riprendendo il filo del discorso, abbiamo accennato ad alcuni aspetti istituzionali della fotografia per sottolineare come essi si siano definiti in un’epoca – per quanto recente – lontana dalle recenti evoluzioni mediatiche e tecnologiche e come, in parallelo, il mondo della catalogazione possa apparire arretrato a confronto con l’attuale sistema di divulgazione delle immagini nei media. alla base di queste nostre riflessioni, lo ribadiamo, sta la considerazione che la fotografia assume il valore di bene culturale quando è inclusa in un processo di valorizzazione. Grazie alla catalogazione si riconosce di fatto la fotografia come bene culturale e, di conseguenza, la sua importanza per la conoscenza della storia recente, quando non di quella antica come nel caso della documentazione storico artistica. Tale riconoscimento ‘di fatto’ ha permesso di portare alla luce un’enorme quantità di archivi privati e fotografie vernacolari e di metterli a disposizione della comunità, attivando il loro ciclo di vita pubblico, in primo luogo attraverso internet. Un genere, la fotografia familiare, che ormai rappresenta una buona fetta della fotografia catalogata in rete e ottiene sempre di più l’attenzione degli specialisti e degli storici della fotografia6, rispetto all’interesse già consolidato nei confronti della fotografia d’autore. Fotografia come oggetto storico. La fotografia come realtà storica In effetti la storia della fotografia è disciplina piuttosto recente. La definizione della natura stessa della fotografia, dai Salon di 57 4 «Sono beni culturali […] e) le fotografie, con relativi negativi e matrici, le pellicole cinematografiche ed i supporti audiovisivi in genere, aventi carattere di rarità e di pregio», Codice dei beni culturali e del paesaggio (D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), art. 10. 5 G. SUSINI, Il ‘Bene culturale’: nuova vocazione interdisciplinare dell’Università, citato in G. DE FRANCESCHI SORAVITO, La fotografia. Un materiale documentario speciale in biblioteca, «AFT», XVII, n. 33, Giugno 2001, p. 3. 6 È del 2010 il convegno organizzato a Ravenna dalla Società Italiana per lo Studio della Fotografia dal titolo Forme di famiglie, forme di rappresentazione fotografica, archivi fotografici familiari, cfr. www.sisf.eu nella sezione Convegni. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 58 58 Roberto Del Grande 7 Si veda a titolo d’esempio il blog Fotocrazia di Michele Smargiassi, cfr. smargiassimichele.blogautore.repubblica.it/ 8 A. MIGNEMI, Lo sguardo e l’immagine. La fotografia come documento storico, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 55. 9 G. DE LUNA, La passione e la ragione: il mestiere dello storico contemporaneo, B. Mondadori, Milano 2004, p. 136. 10 Ivi, p. 135. 11 Ibid. Charles Baudelaire agli odierni blog specialistici7, è da sempre oggetto di dibattito e di controversa interpretazione, sia da un punto di vista teorico sia pratico. Inoltre, solo negli ultimi decenni se n’è valutato appieno il valore documentario e di supporto come fonte per le altre discipline. Una fonte che non è più solo considerata, come in passato, un supporto decorativo ad un discorso testuale, ma è osservata come oggetto complesso e ricco di informazioni, anche al di là di quello che strettamente appare nel rettangolo impressionato. Non è dunque più esclusivamente il soggetto inquadrato (il referente) e stampato sulla carta a fornire le informazioni determinanti. Come indica lo storico adolfo Mignemi «la necessità di riflettere sull’origine e sull’attendibilità della fonte fotografica comporta la ricostruzione del nesso tra produzione e fruizione dell’immagine, pur avendo ben presenti i passaggi e i caratteri tecnici attraverso i quali si realizza un’immagine e ricordando come si debbano ritenere fonti diverse ed autonome i prodotti di ciascun passaggio»8. accanto al soggetto inquadrato, suggerisce Mignemi, va valutato il contesto in cui nasce un’immagine in relazione a quello in cui essa viene guardata, prestando attenzione al fatto che ogni riproduzione della fotografia originaria dà vita ad una nuova immagine. allargando il discorso, nell’analizzare il valore storico della fotografia, diviene sempre più importate comprenderne il contesto produttivo (dove, quando e perché il fotografo ha scattato), quello di veicolazione e di distribuzione (dove, quando e perché la fotografia è circolata), quello di ricezione e di attribuzione di significati (dove, quando e perché la fotografia è stata vista e interpretata). Riferendosi ad un altro storico italiano che ha riflettuto sull’uso della fotografia come fonte, Giovanni De Luna, potremmo definire questi contesti come una sorta di stratificazione dei livelli informativi della fotografia, la quale, in tal modo, «acquista una nuova vita, diventa più complessa, organizza le sue informazioni in molteplici livelli: il primo è l’oggetto rappresentato, il secondo è quello legato alla cultura, e alla mentalità di chi la produce e all’ambiente in cui è inserito e così via»9. In tal modo il valore del soggetto inquadrato passa in secondo piano, o meglio, è uno dei molteplici livelli che costituiscono il significato della fotografia. ancora De Luna nel definire un approccio all’uso della fotografia come fonte storica individua in essa, e nelle immagini in genere, la chiave di volta di un «progressivo spostamento dell’interesse [storico] dagli aspetti stilistico-formali delle opere d’arte al contesto storico in cui erano inserite, al rapporto con la cultura del loro tempo»10. Egli rifiuta di adoperare le immagini quali ‘mero riflesso’ di un qualsivoglia referente, o quale certificazione visiva della storia, al contrario, esse devono essere considerate «come elemento costitutivo della realtà storica»11. Proprio come elemento della realtà storica va descritta la fotografia nella fase della catalogazione: in tal modo si contribuisce ad attribuirle delle chiavi di lettura che la ac- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 59 Leggere la fotografia nel web. I valori storici e culturali della fotografia nella fruizione in rete compagneranno per tutto il percorso di valorizzazione e costituiranno i primi livelli di significato grazie ai quali assumerà il valore storico e culturale di cui può essere portatrice; nel passaporto che le viene rilasciato si inizierà a tenere traccia dei timbri del viaggio che sta intraprendendo. Dalla fotografia come elemento della realtà storica al web Delineati sinteticamente i valori intrinseci (culturale e storico) da considerare nel processo di valorizzazione della fotografia, è ora necessario soffermarsi su come essi sono riscontrabili negli attuali sistemi di divulgazione sul web. In effetti il processo di valorizzazione è finalizzato a rendere le fotografie fruibili in diverse forme, sia cartacee sia digitali. Ma va tenuto presente che vedere le immagini in un supporto o in un altro influisce in modo inequivocabile sui significati che le si attribuiscono. La fruizione è per la gran parte oggi riferibile al web e alle sue declinazioni nei nuovi media, dove la quantità di immagini a disposizione degli utenti pare pressoché illimitata. È molto semplice reperire un’immagine via internet, tramite motori di ricerca come Google. Tuttavia la qualità della fruizione e in particolare delle informazioni che l’immagine porta con sé deve essere oggetto di attenta valutazione. Nel considerare la fruizione delle fotografie, si deve sempre tener conto che essa è un momento di relazione tra chi guarda e l’oggetto che viene guardato: in tal senso un’im- magine a video non può essere considerata alla stessa stregua di una fotografia analogica. Si deve considerare con attenzione come ogni contesto di ricezione (una rivista, un album fotografico, una proiezione, un sito internet specializzato, un sito commerciale, ecc.) sia in grado di influenzare il significato della fotografia. Per rifarsi al versante della semiotica delle immagini, con le parole degli studiosi Pierluigi Basso Fossali e Maria Giulia Dondero, risulta chiaro che la relazione fruitore/oggetto riveste una grande importanza: «le caratteristiche materiali delle fotografie hanno una forte influenza sul modo in cui vengono lette e interpretate, dato che differenti forme materiali segnalano e determinano differenti semantizzazioni e modi di utilizzo»12. Nella catalogazione informatizzata è prevista la digitalizzazione della fotografia con il trasferimento da un supporto cartaceo a un supporto ‘virtuale’ o video; una vera e propria trasformazione materiale dell’oggetto originario. Dall’analogico al digitale il salto è grande e, come sottolineano gli autori sopracitati, la digitalizzazione, proprio sotto l’aspetto dell’interpretazione dei significati, può rivelarsi assai rischiosa: «La riproducibilità digitale rischia di dare accesso solo al testo dell’immagine e non all’immagine in quanto oggetto: la traccia dell’uso sull’oggetto-fotografia viene perduta»13. In buona sostanza, prima di leggere le immagini su uno schermo, sarebbe bene prendere in mano gli originali, capire come sono fatti. oggi la scansione della fotografie è un’azione abbastanza comune, oltre ad es- 59 12 M.G. DONDERO, P. BASSO FOSSALI, Semiotica della fotografia. Investigazioni teoriche e pratiche d’analisi, Guaraldi, Rimini 2006, p. 99. 13 Ivi, p. 108. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 60 60 Roberto Del Grande sere indispensabile per ogni uso che se ne voglia fare. Le informazioni che si ottengono tenendo con mano una fotografia, sono molto diverse dal guardarla sul video o, al massimo, ‘toccarla’ su un touch screen. Il rischio è di perdere il senso della fotografia come oggetto e dunque di obliterare quei passaggi o elementi tecnici-materiali, richiamati da Mignemi, che contribuiscono alla definizione del suo valore storico. Solo avendo presente l’oggetto fotografia se ne potranno valutare le ricontestualizzazioni e le conseguenti ricezioni in funzione del supporto di lettura: rivista, esposizione, libro, internet, tablet, sito tematico, ecc. oltre alla perdita delle qualità materiali dell’oggetto, la rete, quando frequentata in modo superficiale, tende a far subire ai contenuti che in essa circolano meccanismi di semplificazione e di omologazione. Le immagini che entrano nel vortice del web 2.0 vengono copiate-incollate, taggate, sminuzzate e, in poche parole, vengono loro associati sempre nuovi significati ad ogni nuovo uso. In queste operazioni di ricontestualizzazione il valore storico della fotografia può essere distorto, adulterato, modificato a piacimento, se non totalmente rimosso. Grazie ad un’accurata catalogazione si può attuare un’opera di conservazione degli aspetti materiali delle fotografie, con un’accurata digitalizzazione e un’opportuna descrizione delle caratteristiche fisiche e tecniche. Ma non solo, anche quei valori che abbiamo definito intrinseci possono essere tutelati, delineando i contesti in cui le immagini sono state prodotte, distribuite e re- cepite, oltre a descrivere ciò che rappresentano (il referente) e le informazioni ‘anagrafiche’ di base. In tal modo la catalogazione diviene un’azione insostituibile per delineare in modo uniforme e sintetico il valore storico di ogni fotografia. Nel mondo digitale, dove la catalogazione è gestita direttamente attraverso sistemi informativi, per lo più on line, quello che abbiamo definito il passaporto digitale del bene è la base di partenza per un più ampio processo di divulgazione e, in generale, di riutilizzazione dei dati attraverso i diversi media. Sia che si tratti di prodotti cartacei, sia che si tratti di diffusione sul web, i dati iscritti nel passaporto del bene si trasferiscono da un supporto all’altro, a volte nella loro forma originaria, come si trovano nel SIRPaC ad esempio, a volte a seguito di importanti trasformazioni, come le app per i diversi device che traggono i contenuti dalle schede di catalogazione. In questi sempre più usuali passaggi si deve avere l’accortezza di non perdere i molteplici livelli che le informazioni della scheda possono esprimere. Si dovrebbe cercare di conservare e trasmettere il valore intrinseco della fotografia in considerazione della relazione tra chi guarda l’immagine sul suo personale device e il contesto in cui questa immagine viene guardata. Come vedremo tramite gli esempi che seguono il contesto nel web non è solo costituito dal dispositivo tecnologico in cui si guardano le fotografie, ma è anche la cornice costruita attorno ad esse: il sito, una sezione di esso, una galleria, e più in generale, ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 61 Leggere la fotografia nel web. I valori storici e culturali della fotografia nella fruizione in rete il percorso di accesso alle schede dei beni, diventa un ambito di attribuzione di significato di grande rilevanza. Le fotografie di famiglia nel SIRPAC, esempi di lettura Prendiamo ad esempio alcune cartoline catalogate nel SIRPaC - www.sirpac-fvg-org. La cartolina rimanda all’idea di spostamento, di temporaneo abbandono del luogo di residenza, alla distanza tra chi l’ha spedita e chi l’ha ricevuta. Nei primi decenni del Novecento e per oltre cinquant’anni era abbastanza usuale stampare le fotografie di famiglia in formato cartolina per mandare un ricordo di sé agli amici e ai parenti lontani. Non per forza poi queste venivano spedite da sole, spesso accompagnavano una lettera o rimanevano nei cassetti senza mai partire. Proviamo ad analizzare alcuni esempi tratti dalla banca dati SIRPaC, scoprendo per gradi alcuni significati ad essi attribuibili. La prima fotografia (foto 1) che prendiamo ad esempio è un ritratto di famiglia realizzato in studio. Molto probabilmente si tratta di una madre con i suoi due figli. L’abbigliamento, e il gioco nelle mani del bambino più grande, fa pensare che si tratti di una famiglia agiata. Lo studio è molto curato e grazie al timbro posto in alto a sinistra possiamo affermare con certezza che l’autore dello scatto è Umberto antonelli, noto fotografo professionista del periodo. Sinora non abbiamo molte altre informazioni, se non quella dell’assenza del padre. analizzando questi primi elementi, dagli abiti allo studio, e grazie alle informazioni storiche sul fotografo, possiamo permetterci di datare l’immagine all’incirca nella prima metà del Novecento. Deduciamo anche che è stata scattata in Carnia dove antonelli aveva lo studio. avendo conoscenza della storia del primo Novecento infine non sarebbe azzardato pensare che sia stata scattata per spedirla al padre dei bambini, lontano dalla famiglia perché in guerra o emigrato all’estero. Girando la fotografia ci rendiamo conto che si tratta di una cartolina che non è stata inviata direttamente tramite posta. Il verso della fotografia ci dà altre due informazioni preziose. La prima è la data, il 1921. La seconda è dovuta all’iscrizione a penna: «Ricordati del tuo sangue». Possiamo ora ipotizzare che, con prosa drammatica, la madre volesse mandare un messaggio al marito, probabilmente lontano. Tutte queste informazioni sono anche reperibili nella scheda della banca dati. approfondendo la fruizione della scheda, sappiamo anche i nomi e le generalità anagrafiche delle persone ritratte. abbiamo inoltre la conferma che è stata la madre a scrivere il messaggio. Purtroppo non ne conosciamo il motivo. Non abbiamo altri indizi e questo è quanto riusciamo ad ottenere grazie all’analisi della fotografia e alle informazioni catalografiche. Tuttavia la fotografia è un’importante testimonianza di diversi aspetti del suo tempo: dal punto di vista della storia della fotografia è di grande interesse per lo studio del foto- 61 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 62 62 Roberto Del Grande 2. Photo J. Godichaux, Carlo Mainardis e Lucia Zilli, Parigi, 1922 (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). grafo e del suo atelier; cercando informazioni di storia del costume è sicuramente interessante per l’analisi dell’abbigliamento dei soggetti ritratti o del gioco del bambino; è sicuramente interessante come testimo- nianza della storia della famiglia, il cui padre vive lontano dal nucleo familiare. Per quest’ultimo aspetto le informazioni riportate nella scheda a questo proposito possono essere solo in punto di partenza per ulteriori indagini. ad aiutarci nell’approfondire la sorte della famiglia ci vengono in soccorso altre fotografie di questa collezione catalogate nel SIRPaC. La prima (foto 2) dell’anno successivo è scattata in Francia e rappresenta la coppia ricomposta. Il padre, ora lo sappiamo, era emigrato in Francia. La seconda, di alcuni anni più tardi, rappre- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 63 Leggere la fotografia nel web. I valori storici e culturali della fotografia nella fruizione in rete senta i due fratellini ormai ricongiunti al padre in Francia (foto 3). In questo caso la fotografia è stata inviata, probabilmente allegata ad una lettera, alla zia dei bambini, come recita l’iscrizione: «In pegno di un etterno [sic] ricordo alla mia cara zia Palmira tuo caro arigo e Mario». E per concludere, a più di dieci anni di distanza, nel 1942, un ritratto del figlio più grande, Mario Mainardis, in divisa militare, accanto ai genitori, disegna il quadro tipico di una famiglia emigrata e radicatasi all’estero (foto 4). Quest’ultima fotografia segna anche un passo essenziale della storia della fotografia rispetto alle precedenti, essendo uno scatto familiare non realizzato da un fotografo professionista, come le precedenti, ma da un dilettante, con una macchina fotografica portatile. Una testimonianza dell’ingresso 3. Arrigo Mainardis e Mario Mainardis, 1923 ca. (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). 63 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 64 64 Roberto Del Grande 4. Mario Mainardis con il padre Carlo e la madre Lucia Zilli, Cannes, 1942 ca. (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). della fotografia nella vita quotidiana. In questo caso il verso della fotografia non dà informazioni determinanti, che sono invece tratte dall’intervista con l’informatore e proprietario della collezione. L’intera documentazione di questa piccola collezione familiare infatti è frutto del progetto CarniaFotografia14 che prevede la schedatura delle fotografie degli archivi privati in Carnia. I proprietari vengono contattati, intervistati e le loro fotografie vengono digitalizzate per entrare a far parte di un archivio digitale depositato presso la Fototeca CarniaFotografia a Tolmezzo (Udine). Grazie a questa modalità di operare a diretto contatto con i protagonisti delle fotografie o i loro eredi si riesce ad attribuire alle immagini una quantità di significati non direttamente riconducibili alla sola analisi dei referenti o dell’oggetto. Prendiamo un altro esempio (foto 5). Soffermandoci sul recto di questa immagine; è chiaro che si tratta di un ritratto di tre bambini in posa: non si capisce se sia stato eseguito in uno studio fotografico. Si può tuttavia pensare che i bambini siano stati vestiti per l’occasione o che sia stata scelta una circostanza particolare per farli posare, visto che sono tutti e tre ben vestiti. Il primo, il più grande, indossa una camicia scura che, insieme alla postura, può far fa pensare ad un periodo intorno agli anni Trenta come data dello scatto. Le scarpe consumate suggeriscono che non si tratta di una famiglia agiata. Non è stato chiesto ai bambini di sorridere, contraddicendo una convenzione oggi ormai acquisita del ritratto di famiglia (l’ostentato cheese a cui ormai siamo abituati); sono al contrario seri, cercano di presentarsi in modo dignitoso. Sembrano tre fratelli. Non sappiamo ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 65 Leggere la fotografia nel web. I valori storici e culturali della fotografia nella fruizione in rete chi ha scattato la fotografia, né dove. Se giriamo ‘virtualmente’ la fotografia ci rendiamo subito conto, anche se la fotografia non ha bolli o timbri di viaggio, del valore che assume rispetto al senso della memoria e della distanza. È una cartolina ma non è stata spedita come tale, forse ha viaggiato insieme ad una lettera o è passata di mano in mano. Le due iscrizioni ci danno informazioni diverse. La prima in ordine cronologico è del 1944: «ecco i nostri cari sono naturali come vedi. Di certo Gino al tuo ritorno non lo conosci perché cresce molto e birichino. Prata il 19.9.1944». Un messaggio semplice di un genitore che descrive i propri figli – «i nostri cari» – probabilmente al compagno lontano. La seconda, di altro pugno – «Ricordo di noi fratelli» – ci fa intendere che il tempo è passato, i fratelli sono cresciuti e la fotogra- fia è diventata un ricordo di quando erano bambini. Grazie alle informazioni scritte sul verso abbiamo potuto assegnare all’immagine tre di- 65 5. Ricordo di noi fratelli, Prata di Pordenone (Pn), 1944 (collezione privata / AMMER). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 66 66 Roberto Del Grande 14 Per approfondire il progetto si veda: R. DEL GRANDE, Gli archivi fotografici in Carnia, in F. MERLUZZI (a cura di), I beni culturali del Friuli Venezia Giulia. Il catalogo in rete. Progetti di catalogazione partecipata, Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, 2009, pp. 5053, e A. STROILI, Il progetto CarniaFotografia. Un’esperienza di ricerca nei luoghi e con le persone, in F. MERLUZZI (a cura di), I beni culturali del Friuli Venezia Giulia. La catalogazione partecipata, Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, 2013, pp. 80-83. 15 Cfr. www.ammer-fvg.org. versi significati: dapprima uno scatto di tre bambini realizzato in Italia durante la seconda guerra mondiale; poi una comunicazione sullo stato dei figli inviata da un genitore ad un altro; infine un ricordo d’infanzia di tre fratelli. ognuno di essi rappresenta un livello di significato: l’aggiunta di un contenuto, di un valore. abbiamo guardato la fotografia come se la tenessimo in mano, senza avere ulteriori informazioni in merito, come se l’avessimo trovata, ad esempio, in un mercatino dell’antiquariato. In questa lettura è stata di grande aiuto la presenza del verso della cartolina digitalizzata. Non è così consueto trovare sul web tramite i motori di ricerca canonici fotografie digitalizzate sia nel recto sia nel verso. Normalmente sono i siti specifici, relativi alla documentazione sugli archivi fotografici storici, a dare questo genere di servizio. Torniamo ai tre fratellini. La fotografia è stata schedata nel progetto dedicato all’emigrazione regionale aMMER15. Il progetto prevede la schedatura di fotografie e di interviste audio relative a persone emigrate dal Friuli Venezia Giulia a partire dalla seconda metà dell’ottocento. Le due tipologie di schede sono collegate ad una terza che descrive la biografia e il racconto migratorio di ciascuna persona. Come per l’esempio precedente la documentazione su questa fotografia contiene molte informazioni sui soggetti ritratti che non sono direttamente desumibili dalla fruizione dell’immagine. Il primo luogo il fatto che la fotografia sia reperibile nel sito dedicato all’emigrazione aggiunge già un nuovo significato: la fotografia si legge come una comunicazione tra genitori sulla condizione dei figli, genitori lontani a causa della partenza di uno dei due verso un luogo di migrazione. Il contesto di fruizione, la cornice in cui la fotografia viene presentata e letta (il sito sull’emigrazione), fa in modo che si associ immediatamente un significato alle immagini. Tuttavia il contesto a volte può essere del tutto o in parte fuorviante. Solo analizzando la scheda e le informazioni corredate potremo attribuire ulteriori significati che ci permetteranno di svelare altri ‘retroscena’. La fotografia infatti, racconta l’informatore intervistato, è stata inviata dalla madre al padre dei bambini nel periodo in cui quest’ultimo svolgeva il servizio militare durante la seconda guerra mondiale. La storia migratoria della famiglia verso l’argentina inizierà solo alcuni anni più tardi, nel 1948/49. Tutte le informazioni incluse nella scheda rendono la fotografia un oggetto parlante al di là del soggetto che rappresenta. aver ricostruito il contesto di produzione o ancor meglio di distribuzione della cartolina motiva l’esistenza di questa fotografia. Questa somma di informazioni ha un significato nella misura in cui l’immagine è letta nella sua complessità, divenendo una testimonianza familiare, sociale, culturale, storica, del periodo antecedente al viaggio migratorio. anche nel terzo esempio (foto 6) che andiamo a proporre, come per i precedenti, siamo nell’ambito della rappresentazione familiare. Si può da subito dedurre che la fotografia è scattata in uno studio o da un ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 67 Leggere la fotografia nel web. I valori storici e culturali della fotografia nella fruizione in rete fotografo ambulante; lo sfondo dipinto ne è la prova. In questo caso al centro dell’inquadratura sta la donna, probabilmente la madre dei bambini e potremmo (ma non ci attarderemo) soffermarci sulla descrizione dell’abbigliamento per avere altri indizi su queste persone e sul contesto storico e sociale di appartenenza. Una fotografia anche in questo caso in formato cartolina (con diciture in inglese e francese); come le altre non spedita come tale. L’iscrizione recita: «a te Tonin questo nostro ricordo perché nella tua vita ti ricordi e ami sempre con afetto [sic] i tuoi fratelli e mamma tua sorella. Maria, Fulvio, Faelin». Una fotografia scattata allo scopo di ravvivare il ricordo dei cari lontani. Grazie al 67 6. Marina de Cillia, con i figli Maria, Fulvio Baritussio, Rafael, Treppo Carnico (Ud), 1935 ca. (collezione privata / AMMER). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 68 68 Roberto Del Grande 16 Si tratta della scheda EMI (Emigrato) strutturata ad hoc per il progetto AMMER. testo manoscritto, capiamo che Tonin è forse il più grande dei fratelli. Non è indicata né la data né il luogo della ripresa. Visto che siamo nel sito di aMMER immaginiamo da subito che Tonin è emigrato in un luogo lontano da casa; grazie alla scheda con i suoi dati, sappiamo che si chiama antonio Baritussio, è nato a Treppo Carnico (UD) nel 1920 e a 15 anni ha viaggiato attraverso l’oceano atlantico per raggiungere il padre Erminio in Uruguay. Quest’ultimo voleva infatti che i suoi figli non venissero reclutati nell’esercito. La madre e le sorelle lo hanno seguito nel 1939. Queste informazioni vanno ben oltre i possibili significati che il rettangolo impressionato porta con sé. Vanno anche oltre l’iscrizione che abbiamo trovato nel verso della cartolina e anche oltre quelle reperibili nella singola scheda F. In questo caso possiamo testimoniare come la fotografia sia capace di fornire delle informazioni storiche grazie all’attivazione di meccanismi di rielaborazione della memoria da parte delle persone intervistate. È l’informatrice, la figlia di antonio ormai deceduto, a raccontare la storia del padre a partire dalla lettura delle fotografie. Sono proprio le fotografie che mettono in moto i ricordi dei singoli protagonisti o delle loro famiglie; ricordi che sono raccolti in una scheda biografica16 collegata a quelle fotografiche. Il progetto aMMER, come il progetto CarniaFotografia, prevede interviste ad informatori (discendenti, familiari, conoscenti o gli emigrati stessi) che descrivono storie personali e familiari. Tuttavia di persona in persona, di famiglia in famiglia, di contesto in contesto, si crea un insieme di memorie che hanno tratti in comune, come il luogo e il periodo di partenza, la nave o il mezzo di trasporto dei viaggi, i mestieri che venivano svolti, ecc. Memorie che collegate alle altre presenti nell’archivio aMMER permettono di allargare il campo di analisi all’intero fenomeno migratorio. In più, viste da altre prospettive queste foto diventano storia della società, del lavoro, del costume, dei media, ecc. Nella moltiplicazione degli esempi e delle informazioni ricorrenti non si produce una traccia del reale, ma la descrizione di un contesto che è fonte storica privilegiata perché testimoniata da elementi concreti di quella realtà storica. Quindi la fotografia è un documento complesso in cui numerosi livelli di significato si stratificano, ma non solo. La fotografia è incline a farsi traguardare a seconda del punto di vista, di ciò che chi guarda sta cercando. Le fotografie che abbiamo portato ad esempio viste in aMMER vengono da subito associate al tema migratorio, viste in una banca dati come SIRPaC tra le altre decine di migliaia schede F saranno interpretate dapprima come beni culturali fotografici, come salvaguardia della memoria storica, viste nel sito del Comune in cui sono state scattate rappresenterebbero una piccola traccia delle storie dei suoi abitanti, viste in un sito tematico sull’abbigliamento assumerebbero tutt’altro valore, viste nell’archivio CarniaFotografia sono strumenti fondamentali per lo studio della storia del territorio. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 69 Leggere la fotografia nel web. I valori storici e culturali della fotografia nella fruizione in rete Nuove ipotesi di fruizione della fotografia nel SIRPAC Nel periodo più recente si è messa in discussione la complessità della scheda F attraverso la quale, in sistemi come il SIRPaC, vengono associate le informazioni alle immagini da far veicolare in rete. Forse di fronte alla facilità di ‘lanciare’ immagini nel web ci si chiede perché dover perdere tempo nella descrizione catalografica dei beni. Paradossalmente queste riflessioni sull’utilità della catalogazione avvengono quando ormai gli strumenti informatici on line permettono una gestione dei dati di gran lunga più agile di quanto non succedesse con le banche dati cartacee, o con i data base off line usati in precedenza. La duplicazione di dati delle schede per crearne di nuove, la disponibilità di vocabolari predefiniti facilmente cliccabili, la possibilità di utilizzare stringhe di descrizioni fatte dagli altri catalogatori, sono caratteristiche dei sistemi informativi attuali che riducono lo sforzo redazionale degli operatori. L’attenzione alla lettura delle fotografie è una virtù che andrebbe stimolata e che tutela la fotografia. Di fronte alla complessità della lettura fotografica e alla consapevolezza dei meccanismi di semplificazione nel trattare le immagini sul web, negli ultimi anni sono state proposte nuove forme di fruizione del patrimonio digitalizzato e catalogato. In particolare ci si è resi conto della possibilità di rendere accessibili diversi livelli di approfondimento dei beni, proponendo descrizioni di contesto che forniscono chiavi di lettura predefinite e implicite nella frui- zione delle pagine web. oltre ai dati inseriti nelle schede, si impostano nuove dinamiche di contestualizzazione dei beni attraverso le ricerche guidate, i percorsi tematici, le suddivisioni dei siti in categorie di beni affini, fino ai siti dedicati a specifiche raccolte. Cosicché a partire da una ricerca che può anche essere fatta su un motore generalista si approda ad una piattaforma in cui l’utente è chiaramente indirizzato a comprendere, senza troppa difficoltà, alcuni dei significati che il bene catalogato porta con sé, nella speranza che nel suo eventuale uso futuro ne resti traccia. L’esempio più calzante, l’abbiamo visto, è il progetto aMMER nato nel SIRPaC, come attività di catalogazione delle fotografie e delle interviste relative all’emigrazione regionale. ad aMMER da subito è stato garantito uno spazio di fruizione dedicato in cui i dati, le immagini e i file multimediali, fossero in primo luogo presentati come strumenti di veicolazione del tema migratorio. Tuttavia è nella seconda versione del sito (on line dal 2014) che si manifesta chiaramente questa volontà con la presenza di mappe navigabili, strumenti per la ricerca tematica sui mestieri o sulle navi dei migranti. Le fotografie vengono presentate come gallerie di immagini e si fa più evidente il legame tra esse e l’emigrato di cui viene raccontata l’esperienza migratoria. Storie di vita che sono messe in primo piano, sino al punto di offrire la possibilità di raccontare on line la propria, quella della famiglia, degli avi o dei parenti che sono emigrati, corredandola delle digitalizza- 69 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 70 70 Roberto Del Grande 17 A questo scopo è stata ideata una scheda ICCD-like definita Musei Collezioni Fondi – MCF – in cui vengono documentate queste tipologie di raccolte. zione delle proprie fotografie custodite in un cassetto. Il sito, dunque, non solo propone forme di fruizione predefinite, ma rende anche attivi meccanismi di partecipazione e identificazione. L’evoluzione del sito di aMMER è stata la base per riorganizzare il sito di fruizione SIRPaC, oggi completamente integrato al portale IPaC. Nel nuovo sito sono stati messi a disposizione degli strumenti che permettono di costruire dei percorsi di fruizione specifici per gruppi o singole schede. Rispetto al sito precedente si è poi garantita la possibilità di visualizzare i gruppi di fotografie anche senza le informazioni incluse nella scheda, ma solo come immagini ingrandite (thumbnails) oppure a piena pagina (slideshow), per permettere anche un’esperienza di fruizione concentrata sulle sole immagini. Le fotografie di CarniaFotografia ad esempio sono accessibili in diversi modi. Dalla sezione del sito dedicata al patrimonio fotografico regionale, si accede ad una mappa che colloca la collezione nel punto esatto in cui è depositata. Da qui si entra nella scheda che descrive la collezione17 nel suo complesso ed indirizza alla fruizione delle fotografie in essa contenute. In un’altra modalità di accesso alle schede, esse vengono incluse in percorsi tematici che mirano a valorizzarne degli aspetti specifici. Le fotografie si leggeranno in questo caso con l’ausilio di un testo introduttivo a cui segue la visualizzazione dei beni correlati ad esso in diverse forme: direttamente su mappe, attraverso liste di parole, elenchi predefiniti, gruppi di schede o thumbnails; modalità tutte finaliz- zate a fornire agli utenti un’esperienza di conoscenza più semplice e nel contempo più ricca di significati. L’utente entrerà in contatto con le immagini attraverso diversi livelli di fruizione, scegliendo a suo piacimento di approfondire le informazioni sulla singola fotografia che lo incuriosisce. La visualizzazione della scheda completa, nella sua articolazione standard, è divenuta l’ultima opzione, mentre un set di informazioni predefinite, limitate nel numero ma in grado di dare il corretto inquadramento dei valori autoriali, culturali, tecnici e storici, accompagnano la fotografia quando vi si clicca sopra. La catalogazione informatizzata come strumento di relazione col territorio e gestione degli archivi La catalogazione, l’abbiamo visto, è strumento ricco di funzioni che non permette solo di raccogliere i dati per il passaporto di un bene ma diventa un dispositivo descrittivo essenziale per la tutela e disseminazione dei valori intrinseci alla fotografia. In più, può essere di grande importanza anche per la relazione tra il bene e il suo territorio, tra il bene e i suoi gestori, e tra il bene e il suo pubblico potenziale. Se un tempo lo studio e la catalogazione degli archivi fotografici era frutto dell’applicazione di uno o più studiosi con una divulgazione che inevitabilmente passava attraverso canali indirizzati ad un pubblico specializzato oggi, attraverso il web, i risultati di queste attività sono disponibili ad un numero elevatissimo di persone. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 71 Leggere la fotografia nel web. I valori storici e culturali della fotografia nella fruizione in rete a monte tuttavia, se inquadrato in un contesto di apertura e conoscenza, il lavoro di catalogazione è uno strumento fondamentale di relazione (la fotografia stessa è un oggetto in relazione) con la comunità in cui essa nasce o si trova. In questo senso alcune attività dell’Istituto sono state di grande insegnamento. Pensando ad aMMER, grazie alla catalogazione si è creata una comunità virtuale, composta da tutti gli informatori del progetto: persone reali che si riconoscono nella grande storia dell’emigrazione attraverso le piccole storie personali, testimoniate dalle fotografie. altri progetti hanno messo in moto meccanismi di partecipazione da parte della comunità. Vale la pena di ricordare la raccolta svolta a Budoia18, un piccolo comune del pordenonese. Grazie alla collaborazione con il Comune, che ha messo a disposizione gli spazi della biblioteca, si è ricostruita la memoria collettiva del paese con le famiglie che hanno condiviso le loro fotografie. Nello stesso modo CarniaFotografia ha attivato un censimento degli archivi fotografici che permette di usufruire oggi di una mole di informazioni, visive e non, di grande rilevanza. Un’attività che ormai dura dal 2004 e che sta costruendo a poco a poco una grande collezione digitale della storia della Carnia. Tramite progetti di catalogazione promossi e/o sostenuti dall’Istituto – in forma di catalogazione partecipata – si sono sviluppati numerosi processi di costruzione e disseminazione della conoscenza: una disseminazione che spesso si traduce in specifiche attività (espositive ed editoriali) ma che ha origine dalla collezione permanente accessibile a tutti on line. Sia nel caso di collezioni pubbliche, sia nel caso delle fotografie di famiglia, nel momento in cui si avvia una catalogazione informatizzata si inducono gli operatori, gli enti coinvolti, i collezionisti e in generale i proprietari dei beni, ad aderire alle buone prassi definite nell’ambito della catalogazione partecipata. Queste buone prassi prevedono in primo luogo la condivisione di una serie di modalità operative, all’insegna del rispetto della fotografia come bene culturale. Quando si approccia un archivio fotografico in un progetto di catalogazione se ne valuta lo stato di conservazione e si condividono gli attuali standard di conservazione. La prassi infatti prevede un’attività di conservazione a due livelli. Il primo è quello relativo alla conservazione fisica delle fotografie: le buste e le scatole più idonee, i possibili interventi di pulizia, l’adeguamento degli ambienti in cui vengono collocate. Il secondo livello è quello della digitalizzazione che, nei migliori dei casi va realizzata contestualmente alla corretta attività conservativa. La buona digitalizzazione ha notevoli aspetti positivi: permette una chiara fruizione sul web, sia del recto sia del verso; consente di poter accedere alla fotografia una sola volta, risparmiandole lo ‘stress’ di ulteriori manipolazioni; si delinea come intervento conservativo a tutti gli effetti. a tal fine sono stati definiti dall’Istituto degli standard che permettono di visualizzare e utilizzare l’immagine digitale 71 18 A. GIUSA, N. MICHILIN, Le opere e i giorni. Budoia: una storia per immagini, Biblioteca civica ‘M. Lozer’, Budoia 2002. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 72 72 Roberto Del Grande 7. Esempio di ricerca sulle collezioni del progetto CarniaFotografia grazie al quale sono ad oggi catalogate 4.012 schede F nel SIRPAC. Grazie ai filtri di ricerca sono visibili le 166 fotografie relative alla Collezione privata Giovanni Solari. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 73 Leggere la fotografia nel web. I valori storici e culturali della fotografia nella fruizione in rete anche per le attività divulgative successive alla catalogazione, come ad esempio realizzare delle stampe cartacee di diversi formati o pubblicare le immagini in un volume. a queste azioni di tipo conservativo si aggiungono quelle di carattere catalografico, che vanno dall’uso degli standard ICCD per documentazione, alle condivise modalità descrittive concepite per il SIRPaC, che garantiscono una certa uniformità dei dati associati alle immagini e una riflessione sulla complessità della fotografia come veicolo di informazioni. Il momento della catalogazione fa riflettere gli operatori sulla qualità informativa della fotografia e sui meccanismi di trasmissione dei significati in essa racchiusi. I catalogatori saranno dunque allenati a entrare in ‘relazione virtuale’ con gli utenti del web per tradurre al meglio i valori delle immagini. Da un lato allora, la valutazione dei vari aspetti del processo conduce ad una riflessione implicita sul riconoscimento del valore culturale dei beni fotografici; dall’altro tali riflessioni inducono a seguire delle buone prassi condivise e dunque diffondono una sensibilità culturale nei confronti della fotografia. Infine, si può pensare alla catalogazione on line anche come strumento di gestione delle proprie collezioni sul web. I dati possono essere inseriti nelle schede con diversi livelli di completezza, dalla semplice attività di inventariazione ad una approfondita descri- zione. anche se non si volesse affrontare subito la descrizione catalografica approfondita in una prima fase di approccio ad un archivio, sarà comunque possibile farlo in un secondo momento. Il catalogo informatizzato dà modo di organizzare sia nella fase dello studio sia nella fase della valorizzazione grosse quantità di immagini (foto 7). Grazie ai numerosi filtri proposti in fase di ricerca, relativi agli aspetti tecnici (come ad esempio la natura dei materiali o le loro dimensioni) e a quelli descrittivi (il titolo, il soggetto, il luogo e la data dello scatto, ecc.), i grandi numeri possono essere gestiti a seconda delle necessità e le immagini possono essere confrontate in modo semplice ed efficace. Risulta chiaro che la qualità e la quantità dei dati inseriti è propedeutica ad una più agevole gestione informatizzata dei beni. In conclusione, un aspetto primario dell’attivazione del processo di valorizzazione a partire dalla catalogazione informatizzata è che induce a pensare alle forme e alle modalità di divulgazione del proprio archivio tramite il web, e per i passaggi successivi, già durante la fase di progetto. Diviene infatti fondamentale disegnare in una fase preliminare una strategia per individuare i dati più efficaci all’organizzazione della propria collezione, includendo le successive fasi di valorizzazione in un unico processo di disseminazione della conoscenza, che segua tutto il ciclo di vita pubblico del bene fotografico. 73 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 74 1. Umberto Antonelli, Rina Baschiera, Enemonzo (Ud), 1930 ca. (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 75 Archivio fotografico e territorio: il fondo Socchieve. Esperienza operativa 75 Teresa Kostner Archivio fotografico e territorio: il fondo Socchieve. Esperienza operativa Nel 2007, con la collaborazione del Circolo Culturale Fotografico Carnico, ho avviato una ricerca di materiale fotografico conservato presso le famiglie residenti nelle varie frazioni del Comune di Socchieve (UD). Già nel 1992 e nel 1993, diverse persone erano state coinvolte per mettere a disposizione le proprie fotografie di famiglia per la realizzazione di una mostra. armando Danelon ed Enzo De Prato, promotori dell’iniziativa, dopo aver ricevuto in prestito e quindi riprodotto pressapoco duemila fotografie, selezionarono circa trecentocinquanta immagini che, nell’estate del 1993, furono esposte, seguendo un ordine tematico, nella mostra ‘Una comunità dalla fine dell’ottocento ai recenti anni ‘60’. L’esposizione fu organizzata dal Comune di Socchieve in collaborazione con la Pro Loco ‘Col Gentile’ di Mediis e il ‘Comitato Gianfrancesco da Tolmezzo’ di Socchieve. In Carnia, negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, diversi gruppi culturali hanno pro- mosso varie ricerche fotografiche che spesso hanno portato alla pubblicazione di alcuni volumi fotografici1. Le indagini fotografiche hanno interessato, per esempio, i Comuni di Cercivento, Forni di Sopra, Forni di Sotto, Forni avoltri, Paluzza, ecc. Così, nella primavera del 2007, dopo aver contattato l’amministrazione Comunale, ho elaborato in forma scritta una richiesta di collaborazione da recapitare personalmente ad ogni famiglia. attraverso questo invito, con termini semplici e descrittivi, ho potuto spiegare alle diverse famiglie che questa nuova ricerca di materiale fotografico avrebbe portato alla creazione di un archivio fotografico comunale. Nello stesso tempo, ho avuto la possibilità di chiarire i vari momenti del lavoro di indagine: dalla presa in prestito del materiale all’acquisizione digitale degli originali fotografici, dalla compilazione della scheda F alla condivisione in rete delle immagini. In poche settimane, ho fatto visita a due- 1 E. POLO, Cungiò veciu paîs, Tolmezzo 1990 (Forni di Sotto); W. DE STALES, Noles & Lops, Tolmezzo 1991 (Cercivento); A. ANZIUTTI, Se chi rioni (cosa eravamo), Tolmezzo 1993 (Forni di Sopra); C. CIMENTI, I Faremos, Tolmezzo 1995 (Paluzza); T. CECONI, Tracce di storia per immagini, Tolmezzo 1996 (Forni Avoltri). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 76 76 Teresa Kostner 2 I progetti sono stati realizzati con il sostegno del CRAF, Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia di Lestans (Spilimbergo), il supporto della Comunità Montana della Carnia e la collaborazione dell’Istituto Regionale per il Patrimonio Culturale. centottantacinque famiglie e sono riuscita ad ottenere la collaborazione di settanta famiglie che mi hanno prestato complessivamente circa duemila fotografie. ogni proprietario, nel momento della consegna del proprio materiale, ha compilato una specifica scheda di prestito che serviva a definire l’autorizzazione per la digitalizzazione e l’eventuale divulgazione delle immagini. Gli originali fotografici sono stati messi temporaneamente a disposizione dalla Fototeca per consentire la riproduzione digitale: le stampe originali, infatti, sono tutte state restituite ai legittimi proprietari. ogni famiglia, inoltre, si è resa disponibile per uno o più incontri; questi colloqui sono stati necessari per il reperimento delle informazioni relative a ciascuna fotografia. Pur essendo stata una scelta sicuramente impegnativa per la quantità di tempo che ha richiesto, la decisione di contattare di persona ciascuna famiglia mi ha dato la possibilità di rendere la popolazione concretamente partecipe al progetto di recupero, conservazione, valorizzazione e divulgazione delle immagini fotografiche. Le numerose famiglie di Socchieve che hanno partecipato a questo importante progetto mi hanno quindi dimostrato di aver effettivamente compreso la necessità di un immediato intervento di tutela basato sulla consapevolezza dell’importanza culturale della fotografia, intesa nella sua qualità di documento della vita privata e della vita collettiva. Il Circolo Culturale Fotografico Carnico ha digitalizzato millenovecentosettantotto fo- tografie, ne abbiamo catalogate milleseicentosessantasei2. Il Fondo Socchieve è esclusivamente costituito da positivi (stampe) che risalgono ad un periodo di tempo compreso tra l’ultimo decennio dell’ottocento e i primi anni ’60 del Novecento. La maggior parte delle fotografie raccolte sono ritratti e, in particolare, ritratti in studio. Le poche fotografie datate intorno agli ultimi anni dell’ottocento sono state perlopiù realizzate a Udine: pochi socchievini, in mancanza di un fotografo locale, potevano permettersi viaggi così lunghi. Nel 1909, arriva proprio a Socchieve il fotografo Umberto antonelli. Nato a Padova nel 1882, nella sua città natale consegue la laurea in chimica e farmacia e, dopo una breve permanenza in Cadore, antonelli si trasferisce in Carnia, prima a Socchieve e tre anni dopo a Enemonzo dove acquista la locale farmacia. È attivo in Carnia sia come farmacista sia come fotografo professionista dal 1909 al 1949, anno della sua morte. L’esercizio fotografico continua con la figlia Paola fino al 1963. Sono numerosissime le famiglie del Comune di Socchieve che possiedono almeno una fotografia di qualche familiare scattata nello studio di Enemonzo: sono stati catalogati ben trecentoottanta ritratti realizzati da antonelli. Credo sia interessante soffermarci sull’attività di questo fotografo. I primi ritratti di antonelli sono eseguiti su carta albuminata, fragile e delicata; questa, attraverso una pressa a caldo, veniva fatta aderire ad un cartoncino di vario formato. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 77 Archivio fotografico e territorio: il fondo Socchieve. Esperienza operativa In questo modo, il cartoncino, sporgendo ai lati della fotografia, assumeva l’aspetto di una cornice. antonelli abbandona presto la carta albuminata e comincia ad utilizzare il procedimento alla gelatina ai sali d’argento. Spesso le riproduzioni fotografiche presentano sul recto o sul verso il marchio commerciale dello studio fotografico. antonelli, nel corso della sua attività, ha modificato questo segno di riconoscimento diverse volte. L’analisi della tipologia del marchio commerciale, in mancanza di precisi riferimenti biografici, si è più volte rivelata indispensabile nel tentativo di attribuire alle immagini una data d’esecuzione attendibile. Le immagini eseguite da Umberto antonelli, inoltre, presentano diverse tipologie di ritratto: a mezzo busto, a figura intera, individuale, di coppia e di gruppo. I ritratti singoli a mezzo busto presentano uno sfondo monocromo e scuro in modo da esaltare il viso della persona fotografata. Il volto era l’elemento più importante della fotografia e tutta l’attenzione doveva concentrarsi in quel punto. I ritratti a figura intera, invece, presentano un fondale. Inizialmente troviamo alcuni fondali con motivi floreali che poi con il tempo sono stati sostituiti dai fondali con motivi architettonici. Questa ambientazione doveva dare l’idea di essere stati fotografati all’interno di una casa facoltosa. Umberto antonelli era un fotografo professionista, pignolo e meticoloso. Curava con attenzione le pose dei clienti, individuando la posa più adatta. Nella fotografia, oltre al fondale compare sempre un tavolino o una sedia che, nella maggior parte dei casi, ser- vivano da appoggio per la mano della persona ritratta, in modo tale che questa non ‘penzolasse’. Il fotografo utilizzava anche diversi accessori. Numerose persone, per fare un esempio, mi hanno confermato che antonelli, per abbellire le donne e farle sembrare più ‘aristocratiche’, utilizzava le collane di sua moglie (foto 1). all’epoca farsi fotografare era un evento straordinario. Solitamente si andava la domenica, unico giorno della settimana in cui si toglievano i vestiti logori del lavoro e s’indossavano i vestiti buoni. Prima di commissionare un ritratto, poteva capitare di dover chiedere in prestito a qualche parente un abito decoroso. Le immagini, ad esempio, raccontano che le signore Maria Galante, Maria Rabassi e Maria Fachin, tra loro parenti e tutte residenti a Lungis, hanno utilizzato in anni diversi la medesima camicia per un ritratto nello studio di Enemonzo (Maria Galante e Maria Rabassi hanno persino condiviso lo stesso vestito e le stesse scarpe); questa circostanza mi è stata confermata dai loro familiari (foto 2-4). Ci si recava dal fotografo per immortalare qualche ricorrenza particolare come il fidanzamento o il matrimonio. La fotografia, quindi, serviva a commemorare i momenti ’importanti‘ della vita di una famiglia. ad esempio, il signor Enrico Tacus ha voluto celebrare la liberazione nazifascista dell’Italia portando la propria famiglia dal fotografo: domenica 29 aprile 1945, Enrico insieme alla moglie Vilma, prima dello scatto, appuntano sul vestitino del piccolo Luciano tre nastri colorati (verde, bianco e rosso) per 77 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 78 78 Teresa Kostner 2. Umberto Antonelli, Maria Galante, Enemonzo (Ud), 1929 ca. (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). ricordare la bandiera d’Italia. (foto 5) Inoltre, si andava in uno studio per avere una fotografia da mandare ai parenti lontani, emigrati all’estero. L’immagine che si voleva dare di sé e dell’intero nucleo familiare doveva essere la più dignitosa possibile. Lo scopo era quello di far vedere che nonostante tutto si stava bene. Sono numerose le fotografie di gruppo nelle quali compaiono mamma e figli; probabilmente la fotografia veniva scattata proprio per essere inviata al marito all’estero (foto 6). anche un tempo le persone sapevano bene che la fotografia ha la capacità di rafforzare i legami di parentela. antonelli, in più, così come ricordato da diverse persone, utilizzava dei fischietti o dei pupazzi per attirare l’attenzione dei bambini; il fotografo solitamente adagiava i bambini più piccoli, spesso ritratti nudi o con un semplice vestitino, su una pelliccia. I bambini rendevano molto faticoso il momento dello scatto (era complicato mantenerli immobili). agli inizi del Novecento in molti studi fotografici comparivano dei cartelli in cui s’informava che ‘si fotografano anche bambini e animali’. Mi auguro che la catalogazione del Fondo Socchieve possa in futuro contribuire allo studio della produzione fotografica di Umberto antonelli, fino ad oggi conosciuto per lo più per le serie di cartoline ‘folkloristiche’ e per la realizzazione di fotografie di tipo industriale. Il Fondo Socchieve ha permesso di chiarire alcuni aspetti tecnici del lavoro di antonelli. attraverso l’età anagrafica dei soggetti ritratti, ad esempio, è stato possibile individuare una sequenza cronologica dei diversi marchi e timbri a secco utilizzati dal fotografo. Tra gli aspetti tecnici che andrebbero approfonditi c’è l’abitudine del fotografo di ritoccare pesantemente i ri- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 79 Archivio fotografico e territorio: il fondo Socchieve. Esperienza operativa 3. Umberto Antonelli, Maria Rabassi con la figlia Severina Rabassi, Enemonzo (Ud), 1930 ca. (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). 4. Umberto Antonelli, Maria Fachin, Enemonzo (Ud), 1932 ca. (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). 79 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 80 80 Teresa Kostner 5. Umberto Antonelli, Enrico Tacus con la moglie Vilma Cecchini e il figlio Enrico, Enemonzo (Ud), 1945 (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). 6. Umberto Antonelli, Maria Fachin con i figli Mario, Silvio, Dante, Sante e Santina Dorigo, Enemonzo (Ud), 1928 (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). Iscrizione sul verso: Di casa il 27-6-28/ Ricordandoti sempre/ siamo a augurarti/ un buon onomastico/ intiera tua famiglia/ noi altri ti avrebero/ avuto a piacere che fossi/ stato anche tu in compa/ gnia. Ti baciamo tanto/ i figli Baciandoti/ affettuosamente tua/ sposa Maria. tratti per migliorare la resa delle stampe. Questa pratica ci è stata confermata dalla signora Luigina Zamolo che ha lavorato presso lo studio di antonelli dal 1939 al 1963. Egli, infatti, spesso adoperava la china o la matoleina per donare maggiore risalto ad alcuni particolari del volto o del vestito (marcava il profilo delle labbra, il contorno degli occhi, la linea delle sopracciglia, ecc.). oltre alle fotografie in studio, ho recuperato anche diverse immagini realizzate in esterno. I ritratti con l’abito tradizionale carnico, in particolare, sono molto frequenti. Diverse immagini testimoniano qualche particolare evento comunitario: l’arrivo delle nuove campane presso la Pieve di Santa Maria annunziata in Castoia nel settembre del 1923, gli esercizi ginnici eseguiti dai Balilla e dalle Giovani Italiane nel giugno del 1934, ecc. Inoltre, molte famiglie conservano numerose immagini provenienti dai luoghi di emigrazione (Europa, america del Sud, africa). Tante persone emigrate all’estero in cerca di fortuna e di lavoro hanno inviato alle famiglie d’origine un proprio ritratto cercando di rimandare un’immagine positiva di sé. alcune fotografie sono state realizzate all’interno di uno studio fotografico; molte le fotografie realizzate in cantiere sul luogo del lavoro o durante una pausa (foto 7). Numerosissime le fotografie dei militari; anche in questo caso si ritrovano le diverse tipologie di ritratto (ritratto a mezzo busto, ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 81 Archivio fotografico e territorio: il fondo Socchieve. Esperienza operativa ritratto a figura intera, ritratto individuale, di coppia e di gruppo). Purtroppo diversi ritratti sono anonimi: non sempre, infatti, i proprietari sono stati in grado di riconoscere l’identità delle persone raffigurate. È una circostanza abbastanza comune. ognuno di noi, probabilmente, rovistando in un vecchio cassetto di un mobile ormai dimenticato in soffitta, ha rivenuto per caso un ritratto fotografico. Spesso, nonostante i nostri sforzi per tentare di individuare un lineamento o un’espressione del volto da poter associare o confrontare con qualche persona conosciuta, rimaniamo perplessi e delusi per la nostra incapacità di offrire al soggetto una precisa identificazione. Fortunatamente ogni tanto le fotografie presen- tano sul recto o, con maggiore frequenza, sul verso una nota manoscritta circa il soggetto, la data oppure il luogo di realizzazione. In alcuni casi, le lapidi collocate 81 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 82 82 Teresa Kostner 7. Operai in un cantiere edile in Francia, 1920 ca. (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). Iscrizione sul verso: Non sovente/ ma ti ricordo!/ e tu? ti pesa tanto la mano per segnare/ due auguri di salute/ a tuo fratello?/ Gino. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 83 Archivio fotografico e territorio: il fondo Socchieve. Esperienza operativa presso il cimitero dismesso della Pieve di Castoia sono state una preziosa fonte di informazioni. È il caso, ad esempio, di Giovanni Picotti che non è stato riconosciuto in fotografia dai discendenti per la totale assenza di indicazioni scritte a mano sulle diverse riproduzioni fotografiche conservate dai nipoti e per la mancanza di precise informazioni tramandate oralmente da una generazione all’altra. L’identificazione, quindi, è stata possibile soltanto confrontando l’originale con la riproduzione su fotoceramica applicata alla lapide collocata in cimitero il cui epitaffio, seppur deteriorato, è ancora leggibile (foto 8). Come ricordato, le riprese di panorami sono poche ma molto significative in quanto valide testimonianze visive dello sviluppo urbanistico, paesaggistico ed architettonico del territorio. Il confronto fra il passato e il presente, per mezzo della fotografia di paesaggio, è molto marcato: tra- 83 8. Stabilimento Fotografico Malignani, Romano Picotti, 18841905 (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 84 84 Teresa Kostner 9. Aristide Candotti con il nipote Primo Bertoli nella bottega di falegname, Lungis (Socchieve, Ud), 1920 ca. (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 85 Archivio fotografico e territorio: il fondo Socchieve. Esperienza operativa 85 10. Lavoro nei campi, Lungis (Socchieve, Ud), 1925 ca. (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). mite la fotografia, infatti, i cambiamenti del territorio apportati dall’opera del tempo e dalla mano dell’uomo sono evidenti. La maggior parte delle immagini con panorami non sono fotografie ’amatoriali‘, bensì vere e proprie cartoline. Inoltre, sono state recuperate diverse interessanti immagini che documentano le tradizioni e le abitudini, le feste e le cerimonie, i mezzi di trasporto e di comunicazione, i mestieri e i lavori di un vivere quotidiano che ormai è trascorso e concluso (foto 9-11). attraverso la mia ricerca, infine, ho tentato di offrire una dimostrazione pratica dell’uti- lità della creazione di un archivio fotografico comunale. La maggior parte delle fotografie del ’Fondo Socchieve‘ datate intorno agli ultimi anni dell’ottocento e ai primi anni del Novecento provengono dalla famiglia Picotti e, nello specifico, da quel ramo che ruota attorno alla persona di Giuseppe Picotti, nato a Nonta nel 1874 e deceduto a Socchieve nel 1956. La famiglia Picotti ha costituito per diverse generazioni un nucleo familiare allargato; i membri di questo casato hanno condiviso per secoli non soltanto il medesimo spazio abitativo (dapprima solo a Nonta e poi sia a Nonta che a Socchieve) ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 86 86 Teresa Kostner 11. Particolare di una casa con ballatoi in legno, Lungis (Socchieve, Ud), 1930 ca. (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 87 Archivio fotografico e territorio: il fondo Socchieve. Esperienza operativa ma anche gli impegni lavorativi legati al commercio. L’autorità ed il prestigio della famiglia Picotti sono oltremodo dimostrate dal gran numero di esemplari fotografici realizzati a Udine presso gli studi Malignani e Pignat. alcuni esponenti della famiglia Picotti, avendo in gestione il commercio locale, abitualmente si recavano in Friuli, e talvolta anche in Veneto, per la compravendita dei generi alimentari; probabilmente durante questi viaggi, nei momenti di sosta, alcuni Picotti colsero l’occasione per farsi fotografare e quindi solennizzare determinati avvenimenti familiari (nascita, comunione, fidanzamento, matrimonio e simili). La famiglia Picotti, pertanto, a cavallo tra il XIX e XX secolo, in mancanza di un fotografo locale, ricorse agli studi fotografici udinesi (gli studi avviati da Giuseppe Malignani e da Luigi Pignat, alla fine dell’ottocento, costituivano un punto di riferimento per coloro che, non solo in città, desideravano un ritratto fotografico); a partire dal 1909 la famiglia Picotti commissionò i propri ritratti al fotografo Umberto antonelli. Dagli anni ’40 le fotografie familiari sono amatoriali, vale a dire realizzate personalmente. attraverso l’analisi delle fotografie e il confronto tra le numerose fonti messe a disposizione dai discendenti (ricordi personali, memorie scritte, elenchi patrimoniali, registri contabili e simili) è stato quindi possibile 87 12. Umberto Antonelli, Aurora Comessatti, Enemonzo (Ud), 1921 ca. (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). 13. Piccole Italiane. Aurora Comessatti, prima fila, quinta da sinistra, 1930 ca. (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 88 88 Teresa Kostner 14. Trasporto del corredo di Costantino Coradazzi e di Pierina Dorigo, Tamariona (Socchieve, Ud), 1958 (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 89 Archivio fotografico e territorio: il fondo Socchieve. Esperienza operativa 15. Umberto Antonelli, Giacomo Rotaris con la moglie Aurora Comessatti in occasione del matrimonio, Enemonzo (Ud), 1943 (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). ricostruire la storia di questa influente famiglia socchievina. I discendenti mi hanno aiutato a chiarire i legami parentali e a delineare il profilo storico ed economico entro cui il signor Giuseppe, in particolare, ha dovuto vivere e confrontarsi. Le immagini fotografiche, conservate dai nipoti del signor Giuseppe, mi sono servite per definire un itinerario visivo per lo studio di questa famiglia, sia in ambito privato sia in quello pubblico. ho ricreato un unico album familiare mettendo insieme le immagini conservate dai diversi discendenti: ciascun nipote in questo modo è venuto in possesso di tutte le fotografie familiari sopravissute nel tempo. Mi auguro che questa ricerca non costituisca un contributo episodico: spero, infatti, che la ricostruzione della storia della famiglia Picotti possa divenire un modello per analoghi lavori riferiti ad altri nuclei familiari. Penso, ad esempio, alla signora aurora Comessatti immortalata dalla fotografia in diversi momenti significativi della sua vita (foto 12,13,15). Le fotografie del ‘Fondo Socchieve’, quindi, adeguatamente conservate, attendono soltanto una maggiore valorizzazione. Ricordo, alla fine, che l’archivio fotografico del Comune di Socchieve è stato presentato alla comunità in un incontro pubblico ‘Racconti per immagini: le collezioni fotografiche delle famiglie di Socchieve’ che si è tenuto il 21 agosto del 2008 presso il Centro Culturale di Socchieve. 89 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 90 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 91 La fotografia come documento storico Adolfo Mignemi La fotografia come documento storico Le immagini accompagnano da sempre la presenza dell’uomo: sono strumento insostituibile di conoscenza ed al tempo stesso scrigno in cui depositare memoria e costruzioni/narrazioni articolate della stessa. Le modalità di produzione delle immagini sono in grado di restituirci le sfumature dei processi storici con una ricchezza di articolazioni e di stimoli conoscitivi che poche altre forme di documentazione riescono ad eguagliare. È conseguente a questo ruolo svolto dalle immagini nella vita individuale e nella esperienza dei gruppi umani la capacità di condizionare anche il modo di pensare, di porci in relazione l’un l’altro: in altre parole di costruire la stessa realtà nella quale viviamo. L’ultima epocale rivoluzione in tal senso è avvenuta nel momento in cui si è scoperta la possibilità meccanica di fissare stabilmente nel tempo una immagine e disporre di essa indipendentemente dalle restituzioni mnemoniche e dalla soggettività degli sguardi individuali. La messa a punto dei procedimenti fotografici e cinematografici ha modificato il modo di guardare, di percepire la realtà e di trasmettere la memoria. La rapidità in cui tutto ciò è avvenuto, i loro continui perfezionamenti nonché l’associazione alla registrazione del suono non ci hanno però ancora messi in condizione di poter padroneggiare con sicurezza l’intreccio tra questi nuovi linguaggi e le forme tradizionali della narrazione ed esposizione. oggi il nostro sguardo si muove spesso involontariamente sulla falsariga degli schemi appresi guardando fotografie, filmati e video-riprese; a quelle strutture narrative può accadere di imputare la capacità di inglobare frazioni, più o meno brevi, dei propri percorsi esistenziali perdendo il senso del reale. Infatti se questo tipo di documentazione è imprescindibile per chi si ponga il problema di studiare il passato degli ul- 91 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 92 92 Adolfo Mignemi 1 Le pagine che seguono rielaborano i contenuti di alcune relazioni tenute rispettivamente ad un corso di aggiornamento per insegnanti del Canton Ticino ed al convegno ‘Forme e modelli. La fotografia come modo di conoscenza’. timi due secoli, va anche preso atto che oggi siamo addirittura al paradosso del poter conservare quantità sterminate di immagini fisse e spezzoni di riprese per il cui esame occorrerebbero non una ma milioni di vite da spendere a rivedere e riascoltare il tutto. allo storico si pongono dunque vari ordini di problemi che vanno da quello dell’analisi del documento visivo a quelli della necessità di disporre di archivi organizzati e ordinati presso i quali condurre le proprie ricerche. E vorremmo iniziare ad affrontare alcune questioni generali proprio a partire dal percorso che porta l’immagine a farsi documento1. Dall’immagine al documento Esistono molte collezioni e pochissimi archivi. Uno sguardo anche distratto alle numerose raccolte di immagini costituitesi un po’ in ogni dove ci pone di fronte a questa singolare constatazione. La questione, come cercheremo di evidenziare, è di fondamentale rilevanza nell’analisi del passaggio dall’immagine al documento visivo, soprattutto in relazione allo sforzo di costruire un corretto rapporto tra le fotografie e le esigenze scientifiche degli studiosi che ritengono utile, se non indispensabile, ricorrere ad esse nell’analisi, scientificamente documentata, della realtà. Inoltre essa è rilevante ed altresì non più procrastinabile, poiché riguarda nella sostanza tutta la produzione di immagini realizzata attraverso mezzi meccanici (fotogra- fia, cinema, immagini digitali) indipendentemente dalle peculiarità linguistiche. La descrizione di un’immagine, l’identificazione del suo autore, la datazione delle sue diverse ‘edizioni’, l’analisi del suo supporto sono sicuramente indispensabili per consentire il passaggio dall’immagine al documento, ma non per dare ad esso la necessaria compiutezza di fonte. Se poniamo al centro della nostra riflessione in particolare la produzione di immagini fisse, possiamo rilevare come non sia certo casuale che il primo approccio alla catalogazione di questo tipo di materiali sia avvenuto passando attraverso la descrizione della singola fotografia alla stregua della descrizione di un’opera d’arte i cui caratteri di unicità sono però ben diversi da quelli peculiari di un documento. La fotografia oggi soffre di questo approccio che, introducendo criteri di analisi prioritariamente formale, finisce per costruire inutili e discutibili gerarchie: inutili in quanto tendono a separare rigidamente i documenti fotografici in base alla natura della produzione dell’immagine e senza porre quasi attenzione alla sua fruizione; discutibili in ragione dell’inevitabile mutare del gusto. È una vicenda per certi versi non nuova nella storia dei documenti. alla scienza archivistica infatti si è giunti attraverso la costruzione della diplomatica e l’esegesi documentale del periodo rinascimentale. Fu un percorso approdato, con non poca fatica, all’applicazione del metodo storico nel secolo XVIII, ma divenuto ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 93 La fotografia come documento storico scienza, ovvero sistema di metodi e di regole, non subito, bensì dopo non poco tempo. Crediamo quindi si debba guardare con estrema attenzione a tale esperienza, che mostra avere molti elementi in comune con quella odierna della fotografia sia per evitare di ripeterne gli errori (si pensi alla contrapposizione tra l’ordinamento per materia, o secondo il principio della pertinenza, e la ricostruzione dell’ordine originario, ovvero l’ordinamento secondo il principio di provenienza o metodo storico) sia per consentire alla fotografia di entrare a pieno titolo nell’universo delle fonti documentali. In termini molto schematici tenteremo di indicare alcune possibili tappe ed alcuni elementi che possono essere considerati acquisiti dalla riflessione scientifica. Il percorso dall’immagine al documento fotografico è articolato, lontano dal semplice schema che rappresenta l’idea, rielaborata progressivamente, diventare materialmente opera. La produzione dell’immagine, ovvero l’impiego di un complesso sistema tecnologico (l’apparecchio, la ‘camera’) da parte del fotografo in un determinato luogo/tempo, non è il progetto di un documento, ma una realtà documentale a cui si dovrà/potrà dare una materialità propria autonoma che, a sua volta, è al centro della problematica relativa all’uso dell’immagine. È indispensabile ragionare intorno a queste peculiarità del procedimento fotografico perché lì è la chiave interpretativa della for- mazione del documento: produzione ed uso dell’immagine fotografica. L’uso dell’immagine può avvenire in tempi assai diversi dal momento della sua produzione e con modalità differenti di volta in volta. Il ricorso a mezzi e tecnologie, inoltre, può essere illimitato e determinante in tutte queste fasi. Torneremo più avanti su tali questioni. Nel contesto dei lavori proposti in questo volume interessa mettere a fuoco alcune problematiche generali legate alla patrimonializzazione della fotografia, nell’ambito della ricerca storica generale e dello studio delle vicende del mezzo fotografico, al suo passare appunto dalla condizione di immagine a quella di documento vero e proprio, ed a ciò che meglio può garantire tale status. Dobbiamo quindi ritornare alla constatazione iniziale: esistono molte collezioni e pochissimi archivi fotografici. Che cosa intendiamo per archivio? Nulla più dell’istituzione chiamata «a mettere al sicuro, raccogliere, classificare, conservare, custodire e rendere accessibili i documenti che avendo perduto la loro antica utilità quotidiana e considerati perciò superflui negli uffici e nei depositi meritano d’essere preservati»2: l’«universitas rerum, diversa dalla somma dei documenti che la compongono»3. L’elenco delle funzioni attribuite all’archivio non è pleonastico: l’archivio non è tale se non è ordinato, ed è in tale ordinamento che il singolo documento trova la sua pienezza, il suo valore d’uso. Introduciamo questa ulteriore categoria, nei 93 2 K. POMIAN, Collezione, in Enciclopedia Einaudi. 3: CittàCosmologie, Einaudi, Torino 1978, p. 332. 3 E. LODOLINI, Storia dell’Archivistica italiana. Dal mondo antico alla metà del secolo XX, F. Angeli, Milano 2001, pp. 247 e ss. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 94 94 Adolfo Mignemi 4 P. CARUCCI, Le fonti archivistiche. Ordinamento e conservazione, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1989, p. 43. termini di una semplice parentesi aperta e subito chiusa, in quanto la fotografia si propone come una tipologia di documento che nasce con un proprio contenuto economico che spesso continua a mantenere anche allorché entra in una collezione o in un archivio (come sfruttamento di diritti), a differenza di quanto accade per gli oggetti preziosi che entrano a far parte di una collezione o di un museo (per i quali permane il valore di scambio, ma cessa il valore d’uso). Dire archivio, però, significa dire archivistica e archivisti. E per archivistica si deve intendere la «disciplina storica in sé (ordinamento), e non semplicemente ausiliaria della storia (compilazione dei mezzi di ricerca)»4. Per archivisti ovviamente si intende dire formazione altamente qualificata di personale. Vorremmo approfondire questi due aspetti ricorrendo ad esemplificazioni che ci consentano almeno di suggerire l’ampiezza delle problematiche che comporta affrontarli. Volutamente abbiamo prima richiamato alcuni aspetti dei procedimenti fotografici in relazione all’uso dell’immagine. È peculiare del procedimento fotografico il proporre spesso un numero molto elevato di copie tutte tratte da un medesimo negativo, ma stampate in tempi diversi e con progettualità diverse che impongono un taglio dell’immagine capace di alterare in modo assai significativo i contenuti comunicativi. Di fronte a questa molteplicità di edizioni dell’immagine i problemi metodo- logici sono notevoli. Ecco dunque che allo studioso si impone un approccio analitico comparativo tutt’altro che semplice e di certo non comune nell’esperienza delle altre tipologie documentali ove può essere presente il problema delle copie, ma quasi mai nelle proporzioni e con le peculiarità presenti nell’universo dei documenti fotografici. Non è infrequente il caso che lo stesso archivio conservi più copie di documenti del tipo che abbiamo ora descritto, anzi che lo stesso archivio diventi produttore di nuove edizioni di una immagine allorché realizza copie delle fotografie conservate. Il problema della molteplicità di edizioni di un documento fotografico non è questione che riguarda unicamente i criteri di analisi filologica dell’immagine e della sua edizione critica. Raffrontarsi con questa peculiarità del procedimento deve essere compito anche dell’archivista nel momento in cui procede a riordinare la documentazione secondo il metodo storico. L’affermazione comporta che si affronti in modo molto preciso, ad esempio la questione della formazione del personale. Le scuole di archivistica devono incominciare a porsi queste problematiche che non possono essere superate riconducendo il trattamento delle nuove fonti, tra le quali è la fotografia, a quello della documentazione tradizionale con piccoli aggiustamenti ed adattamenti e per semplice analogia. Le sezioni fotografiche dei fondi archivistici (là dove sono raccolte anche per motiva- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 95 La fotografia come documento storico zioni di tipo prettamente conservativo le fotografie presenti nei vari carteggi) e ancor più gli archivi fotografici (là dove sono ribaltate le proporzioni tra la documentazione visiva e quella cartacea tradizionale) pongono problematiche che affondano le proprie radici nei meccanismi di produzione dei documenti fotografici, perciò la conoscenza di queste è doverosa e ineludibile per l’archivista né più né meno della paleografia e della diplomatica. L’evoluzione delle tecniche fotografiche ha spesso totalmente rivoluzionato le modalità di creazione delle immagini, sovvertendo linguaggi e modi di trasmettere informazioni, costruendo forme nuove di comunicazione. Si pensi al passaggio dal daguerrotipo ai procedimenti negativo/positivo, all’affermarsi commerciale del colore sull’impiego del bianco e nero, e alla recente ‘rivoluzione’ sia tecnica che culturale connessa all’imporsi del digitale. La formazione degli archivisti deve comportare la creazione di figure professionali capaci di accompagnare ed assistere gli studiosi nelle loro attività di analisi e studio della documentazione conservata dall’archivio, che non può essere solo un percorso attraverso le immagini, ma talvolta un non facile cammino tra tecniche e tecnologie complesse. all’operatore di un archivio fotografico si chiede pertanto di affrontare una vera e propria rottura degli schemi tradizionali di organizzazione del proprio lavoro e del proprio percorso di formazione. In ambito fotografico non esistono, se non raramente, enti che istituzionalmente producono documenti di questa natura. ai caratteri di complessità dell’archivio di una amministrazione pubblica può forse essere accostata l’attività dell’archivio di una agenzia fotografica, ma già la produzione di un grosso studio è forse più logico sia assimilata ad un archivio personale che ad altre categorie. Ciò significa che gli archivi fotografici nascono privi di organizzazione della documentazione standardizzata e condivisa da altri enti analoghi. Non esistono cioè fondi, serie, sottoserie, unità archivistiche ecc. di dimensioni e caratteri analoghi a quelli di un archivio tradizionale. Nella maggior parte dei casi i fondi sono costituiti magari da poche immagini depositate da un privato cittadino, non sempre ordinate e ordinabili secondo i criteri dell’archivistica classica. Ben che vada esse sono organizzate in album. Si tratta di immagini eterogenee che possono essere state realizzate solo in parte dalla persona alla quale si deve la costituzione della raccolta, che propongono tipologie diverse di documenti fotografici (negativi, diapositive, stampe fotografiche ecc.). Come si può ben constatare siamo sicuramente agli antipodi di un archivio tradizionale tanto che anche i criteri per affrontare il riordino di una miscellanea appaiono inadeguati. Le competenze degli operatori per gli archivi fotografici devono dunque essere molto specifiche, ma è indispensabile che la loro formazione si realizzi in ambito archi- 95 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 96 96 Adolfo Mignemi vistico perché analoghe devono essere la logica e il rigore metodologico di approccio al documento e perché gli strumenti di corredo, che si devono andare a costruire, devono essere predisposti in un contesto comune a quello degli strumenti di corredo degli archivi storici tradizionali. Ritorniamo nuovamente alle immagini-documento. La soluzione del problema archivistico consentirebbe di affrontare in modo diverso e forse decisivo anche la questione dei criteri di edizione delle fotografie. La battaglia per imporre agli editori una corretta informazione sulla natura documentale delle immagini è stata fino ad ora ampiamente persa. Il contenuto economico delle immagini prevale di gran lunga sui contenuti culturali. alcuni esempi per richiamare l’ampiezza dei problemi: si impone il nome dell’agenzia che distribuisce l’immagine e si omette il nome dell’autore; se non nel caso di una edizione critica di fotografie, pare sia inimmaginabile il dovere di indicare l’archivio di provenienza delle fotografie o il fondo di appartenenza o il carattere della riproduzione dell’immagine (ad esempio, se parziale o un particolare); sulla stampa periodica l’errata attribuzione di contenuti (luogo, data ecc.) per le immagini storiche è considerato un peccato veniale, non degno di rettifiche, come avviene invece per altro tipo di contenuti. Questi tre casi sottolineano come la battaglia non possa essere abbandonata ma, soprattutto, che essa debba essere fatta propria dagli studiosi, i quali, anche nel caso si tratti di persone sensibili al problema scientifico, nella pratica paiono invece disposti a permettere questi indegni errori introdotti nei loro testi. L’ultima questione che vorremmo affrontare riguarda la digitalizzazione delle immagini storiche e l’uso della rete internet per la conoscenza dei materiali. Il ricorso a sempre nuovi strumenti per consentire la sopravvivenza dei documenti non è un problema di oggi. La fragilità della fotografia impone interventi conservativi talvolta radicali che tuttavia, salvo casi di elevato deterioramento dell’originale, non possono imporre allo studioso l’esclusione dall’accesso diretto ai documenti originali. Non si dimentichi infatti che, quando si sottolinea la centralità del procedimento di produzione nell’analisi dell’immagine, si afferma di fatto che la materialità della fotografia è elemento costitutivo di tale tipo di documento. La pratica di una duplicazione digitale di sicurezza degli originali sta favorendo però la creazione di nuovi archivi paralleli che rischiano di essere alla fine proposti e percepiti come il riferimento più comodo, nonché immediato, per la consultazione dei documenti. accanto a questa situazione si deve richiamare anche altro, a partire dall’eventuale ulteriore intervento di restauro integrativo delle immagini che oggi i programmi consentono con grande facilità, creando però un diverso documento. Nonostante il moltiplicarsi di nuove rile- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 97 La fotografia come documento storico vanti problematiche, che esigono puntuali risposte sul piano scientifico, sarebbe anacronistico e privo di senso ritenere la digitalizzazione delle immagini uno strumento infido. Essa è, al momento, la più semplice ed economica scelta per la messa in sicurezza delle immagini e per la loro consultazione di primo approccio. La rete può e deve diventare un mezzo attraverso il quale divulgare edizioni critiche dei documenti fotografici, anche per contrastare la cattiva moneta della proliferazione indiscriminata di materiali visivi che in essa è possibile incontrare; potrebbe divenire inoltre uno dei luoghi privilegiati per costruire nuovi strumenti tecnici adatti a portare avanti il discorso sulla comparazione delle immagini. Continuiamo invece a restare perplessi di fronte alla tentazione di immettere in rete ampie antologie di materiali presenti negli archivi, se in esse le immagini sono trattate ancora a livello molto superficiale, perché ci troveremmo di fronte a presentazioni di documenti ed a inventari o repertori che finirebbero per creare più confusione che certezze. a proposito di queste preoccupazioni, ci limiteremo qui a riprendere una citazione dal manuale elaborato da Samuel Muller Fz., Johan adriaan Feith, Robert Jacobus Fruin, direttori degli archivi del Regno di Utrech, Groninga e Middelburg, nel 1898, considerato ancora oggi uno dei principali testi di riferimento per l’archivistica5. al Capo III, sotto il titolo ‘Redazione dell’inventario’, si legge: «Si deve anzitutto ba- dare che l’inventario deve servire solo di guida, e che quindi deve dare soltanto il prospetto del contenuto dell’archivio e non già del contenuto dei documenti. […] Nella descrizione di ogni parte dell’archivio si deve tener presente questo scopo dell’inventario; chi si sforza di far conoscere il contenuto di ogni singolo documento, compie senza dubbio opera utile, ma non fa un inventario d’archivio. Non c’è bisogno che un inventario faccia conoscere tutto ciò che un archivio contiene sopra un dato argomento o sopra una data persona; che anzi, se ci si sforza di ottener questo, si fa certissimamente un inventario cattivo. La guida dell’archivio non deve mirare a rendere superflua la consultazione dell’archivio stesso; ciò è del resto impossibile, e l’archivista che vuol raggiungere questo scopo, non fa che intristire e spendere inutilmente la vita e lascerà per di più a mezzo il lavoro»6. abbiamo esordito affermando che esistono molte collezioni e pochissimi archivi ed abbiamo evidenziato sicuramente più questioni aperte o dubbi che certezze nella pratica dell’uso scientifico delle fotografie. Siamo però convinti che solo un confronto serrato su queste tematiche potrà consentire una sempre più definita, corretta e generalizzata utilizzazione documentale delle immagini nei lavori di ricerca. La fotografia come fonte nel lavoro storiografico Tenteremo ora di approfondire vari elementi, fin qui già richiamati, alla luce della possibilità di iscrivere la fotografia tra le 97 5 S. MÜLLER FZ., J.A. FEITH, R.J. FRUIN, Handleiding voor het Ordenen en Beschrijven van Archivien, Groningen 1898. Il testo fu pubblicato in Italia nel 1908, per i tipi dell’Unione Tipografico-Editrice Torinese, nella «traduzione libera con note di Giuseppe Bonelli e Giovanni Vittani riveduta dagli Autori, dall’edizione ultima, uscita in tedesco a cura di H. Kaiser» con il nuovo titolo Anleitung zum ordnen und beschreiben von archiven (O. HARRASSOWITZ, Leipzig 1905, trad. it. Ordinamento e inventario degli archivi, Utet, Milano 1908). 6 Ivi, p. 53. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 98 98 Adolfo Mignemi 7 H. BREDEKAMP, Immagini che ci guardano. Teoria dell’atto iconico, R. Cortina, Milano 2015, p. 47. principali fonti a cui fare riferimento nel lavoro di ricerca. ha scritto horst Bredekamp: «Siamo immersi in un mondo sempre più fatto da immagini: e ciò induce a studiarle come non avveniva più dai tempi dell’iconoclastia bizantina e dei movimenti protestanti radicali»7. Le fonti per la storia degli ultimi due secoli includono materiali che per propria natura non possono essere elusi da parte della ricerca storica; al tempo stesso, tuttavia, queste nuove fonti hanno caratteristiche particolarissime di accumulazione – in conseguenza, anche di conservazione e organizzazione archivistica – e di ‘sopravvivenza’, essendo realizzate su supporti materiali fragili o di facile e irreversibile deterioramento. Tra queste fonti vi è sicuramente la fotografia, caratterizzata da un forte contenuto economico (le fotografie sono merce!) e da specificità tecnologiche che fanno sì che i criteri di deposito e di accesso immediato al materiale non corrispondano assolutamente alle logiche tradizionali di accumulazione e conservazione dei documenti tradizionali cartacei. Detto ciò vale tuttavia la pena di interrogarsi su qual è, in realtà, l’atteggiamento degli storici verso la fotografia? In generale, al di là delle affermazioni di principio, essi vivono con la fotografia un rapporto di estraneità ed al tempo stesso di fascinazione. Si possiede una conoscenza del processo di produzione delle immagini ridotta né più né meno ai termini esempli- ficati dalla celebre frase del signor Eastman «voi schiacciate il bottone, al resto pensiamo noi!». al tempo stesso però negli ultimi anni è andato rapidamente crescendo il numero di opere di saggistica storica con ampi corredi di immagini o, più semplicemente, all’interno delle quali l’autore e l’editore impongono la presenza di ampi inserti illustrati. a ben vedere questa passiva accettazione, come si potrebbe dire, del venir espropriati dei meccanismi di produzione rischia di relegare questa fonte documentale tra quelle secondarie magari definite «di utilizzazione senz’altro limitata» per colpevole incapacità o pigrizia epistemologica. Eppure vi sono almeno due questioni che inducono a considerare con particolare attenzione una fonte documentale quale la fotografia tra quelle peculiari e ineludibili nello studio delle vicende storiche contemporanee. La prima riguarda quelle che potremmo definire le sue matrici ideologiche. L’immagine fotografica è «innanzitutto un modo di pensare, un tratto caratteristico della figurazione occidentale […] attraverso la nascita e l’affermazione della rappresentazione prospettico-matematica si [è costituito] definitivamente qualcosa che possiamo definire ‘ideologia dell’istantanea’. Qui è da individuare l’inizio di uno dei più grandi miti della modernità. Infatti, la storia della prospettiva è la storia dell’idea di un’immagine perfetta, di un momento colto al volo nel suo farsi o disfarsi. Sogno di uno specchio fedele, che nell’ottocento diven- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 99 La fotografia come documento storico terà una macchina, anzi la macchina delle ‘immagini assolutamente fedeli’»8. Nei quasi 200 anni che ci separano dalla diffusione dei procedimenti fotografici essi si sono affermati ovunque e hanno ‘contagiato’ tutte le culture, divenendo ciò che alcuni hanno definito semplicisticamente un linguaggio comune e universale. In realtà nulla è più totalmente falso: le fotografie si guardano e comunicano in modo diverso non solo con il trascorrere del tempo ma anche quando ad esse ci si pone di fronte in luoghi del mondo diversi e distanti tra loro. La seconda questione riguarda il ruolo delle immagini nelle società contemporanee: la progressiva spettacolarizzazione della politica manifestatasi nella società contemporanea a partire soprattutto da dopo il primo conflitto mondiale, da un lato, l’atomizzazione, la dissoluzione dei gruppi primari e dei rapporti comunitari, la privazione dello status sociale, la liquidazione dell’identità che hanno indotto una vera e propria «ansia di un mondo fittizio». Le masse non credono nella realtà del mondo visibile, della propria esperienza; non si fidano dei loro occhi e orecchi, ma soltanto della loro immaginazione. Lo ‘spettacolo’ dei rapporti politici non è più quindi messo in opera e imbastito dal potere, da una intenzionalità che lo manovra e lo trascende per rappresentare semplicemente se stesso. È la realtà a divenire intrinsecamente spettacolare perché tutta l’esperienza, nella sua essenza, è radicalmente artificializzata e derealizzata. Il significato, il valore che in simile contesto viene ad assumere la formazione di una fonte documentale quale la fotografia è tale dunque da consolidare il più fermo convincimento che essa rappresenterà sempre più per lo storico contemporaneo, con la produzione audiovisiva, non semplicemente una ulteriore fonte documentale bensì una fonte imprescindibile per la maggior parte della ricognizione storiografica. Ciò implica tuttavia che si facciano i conti con gli elementi costitutivi del documento e, nel nostro caso, dell’immagine fotografica. Non è impossibile né impensabile analizzare il documento fotografico alla stregua di un tradizionale documento per il quale i manuali di diplomatica distinguono caratteri estrinseci e caratteri intrinseci. I primi riferiti alla fattura materiale del documento ed al suo aspetto esteriore; i secondi riferiti al contenuto del documento che viene rappresentato. In ogni tipo di documento tali caratteri dipendono dalle modalità di produzione dello stesso. Nel caso della fotografia essi vanno ricercati nei meccanismi di realizzazione dell’immagine, all’interno dell’apparecchio di ripresa e delle sue parti: ottica, meccanica e fotochimica. ognuna di esse presiede ad una specifica definizione dell’immagine che si realizzerà anche indipendentemente dalla volontà del fotografo, essendo indispensabili al compimento del procedimento fotografico. È qui in un certo senso anche parte dell’ambiguità dell’immagine, della sua capacità di 99 8 D. MORMORIO, Una invenzione fatale. Breve genealogia della fotografia, Sellerio, Palermo 1987, pp. 20-21. Recenti interessanti analisi della ‘rivoluzione dello sguardo’ che accompagna la ‘rivoluzione scientifica’ già nel XVIII secolo sono in L.J. SNYDER, Eye of the Beholder: Johannes Vermeer, Antoni van Leeuwenhoek and the reinvention of seeing, W.W. Norton, New York 2015. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 100 100 Adolfo Mignemi 9 Cfr. A. GILARDI, Storia sociale della fotografia, Feltrinelli, Milano 1976. ricostruire anche oltre la volontà stessa di chi la provoca. Non è certo mia intenzione illustrare in questa sede il funzionamento di un’apparecchiatura di ripresa ed il procedimento fotografico. oltretutto l’evoluzione tecnologica contrassegna in modo determinante i caratteri del documento fotografico rendendolo ogni volta diverso dal precedente e dal successivo: le modalità di comunicazione, e quindi i caratteri documentali, ad esempio del daguerrotipo sono sostanzialmente diverse da quelle della fotografia realizzata con il procedimento negativo-positivo e questa a sua volta e abissalmente diversa dall’immagine digitale. Qualcuno ha sostenuto che ogni volta è un po’ come se si azzerassero i problemi, in realtà pur senza giungere a questi estremi dobbiamo prendere atto che tra l’invenzione presentata a Parigi nella prima metà dell’ottocento e la fotografia digitale dei nostri giorni vi è la stessa distanza culturale e tecnologica che separa, per dirla con il tono provocatorio di un ando Gilardi, «la slitta dell’uomo primitivo dalla Ferrari»9. Per semplicità espositiva continueremo a considerare in modo unitario la produzione dell’immagine fotografica. Basterà, quindi, agli scopi della nostra riflessione, richiamare la rilevanza di elementi come l’impostazione compositiva dell’immagine, la definizione del soggetto, la profondità di campo, la deformazione prospettica, l’eventuale uso di effetti (mosso, grana, ecc.). Nonché, là dove si di- sponga della intera documentazione relativa al procedimento fotografico – cioè il negativo e la stampa –, le scelte operate nel passaggio dall’uno all’altra (tagli, forzatura di contrasti tonali, espedienti tecnici introdotti, textures, ecc.). Fondamentale è stabilire chi ha operato nel procedimento fotografico, cioè in altri termini chi ha fatto «click» e chi ha curato la stampa del negativo. E siamo ad una questione metodologica di rilevanza fondamentale: il materiale negativo e quello positivo costituiscono elementi documentali con una propria autonomia. La distanza che separa l’evento fotografico dal fototipo e la totale autonomia dei due momenti, per quanto difficili da far proprie in un contesto che non sia di estrema razionalizzazione dei procedimenti e della natura dei documenti, sembrano diventare improponibili quando si passa a discutere delle differenze tra un negativo e i positivi da esso ricavati e ricavabili nel tempo, quando cioè si afferma che ogni stampa è di per sé una sorta di atto unico. Va da sé che quanto fin qui detto si debba applicare quando ci si trova di fronte sia una fotografia, sia una sua riproduzione con procedimento poligrafico. anzi, in tal caso, a maggior ragione in quanto siamo addirittura nel campo della fruizione dell’immagine e pertanto di un diverso uso dell’immagine fotografica ed esso costituisce un elemento di attenzione fondamentale per lo storico. Competenze tecniche specifiche sono indispensabili a permettere una corretta verifica ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 101 La fotografia come documento storico dell’autenticità del materiale (ad esempio se si tratta della fotografia prodotta in una determinata epoca ed attribuibile ad un determinato autore, se non sono stati operati interventi di contraffazione ad opera di terzi, ecc.). Si tratta comunque in larga misura di competenze neppure eccessivamente specialistiche: esse sono né più né meno gravose di quelle che si devono riservare ad una qualsiasi fonte documentale cartacea tradizionale. Sembrerà un paradosso ma è normalmente specchio delle contraddizioni vissute da parte degli storici la distanza che separa l’elaborazione storiografica dai criteri archivistici, descrittivi e conservativi, che riguardano la fonte. Mentre per le fonti tradizionali – a stampa, manoscritte ecc. ed anche per quelle di cultura materiale – c’è un immediato e consolidato rapporto con l’elaborazione storiografica – modi di produrre strumenti di consultazione, criteri descrittivi, approcci analitici ecc. – con la fotografia tutto questo viene meno. È possibile affermare che anche le fonti di cultura materiale godano di un più definito statuto di fonte, grazie alle discipline che si sono occupate di individuarle e analizzarle – si pensi all’archeologia per restare nell’ambito della cultura materiale più strettamente legata alla elaborazione storiografica – con la fotografia invece il documento è confuso con ciò che esso rappresenta, con l’evento che l’ha generata. Non esiste pertanto quasi mai un approccio di sistematizzazione e configurazione del suo carattere di documento in quanto tale. Ci si limita a valutarla nei termini di evento – l’evento che essa ha registrato – di cui lo storico, grazie alle particolarissime peculiarità di rappresentazione offerte dalla fotografia, diviene, o ancor più si sente a sua volta una sorta di ‘testimone’. Nulla di più aberrante ma soprattutto di più riduttivo per il carattere documentario della fotografia che finisce per soggiacere alle logiche di rilevanza e di autoreferenzialità, in base alle quali pressoché nessun interesse è imputabile, se non all’interno forse della storia del mezzo fotografico, al processo di formazione in quanto documento e tutta l’attenzione è concentrata sull’applicazione di codici interpretativi assoluti quali possono essere quelli formali. La produzione fotografica può divenire, in altre parole, oggetto unicamente di valutazioni di tipo estetico, sollevando interessi per la propria unicità e per il fatto di essere opera di un determinato autore. Il carattere paradossale di questo approccio può essere facilmente smascherato se si pensa, anche semplicemente, cosa accadrebbe se ogni documento scritto venisse sottoposto a criteri di analisi e quindi di selezione analoghi: il 99,9% dei documenti d’archivio sarebbero da destinarsi allo ‘scarto’. È, a ben vedere, quanto accade ai grandi depositi di documenti fotografici: basta penetrare nell’archivio di una agenzia o anche, più semplicemente, provare a mettere il capo nell’archivio di lavoro di un fotografo di professione, anche senza scendere al li- 101 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 102 102 Adolfo Mignemi vello della raccolta delle sue fotografie personali. Questo richiamo ci consente di avviare un secondo livello di considerazioni. Se è pur vero che non basta la semplice dichiarazione di riconoscimento del carattere di documento della fotografia ma è indispensabile, da parte degli storici, che a questa tipologia documentale si ricorra sistematicamente con pari dignità rispetto alle altre fonti, è altresì vero che anche da parte del fotografo e di chi tratta il materiale fotografico per ragioni professionali – la fotografia è purtroppo una fonte che ha un forte ‘contenuto economico’! – ci si deve rapportare correttamente al suo contenuto documentario. Se lo storico cade spesso e volentieri nell’errore di scrivere la storia sugli altri documenti e di illustrarla con le fotografie al tempo stesso egli trova, il più delle volte, il miglior alleato nei fotografi e negli archivi delle agenzie a cui ci si rivolge. oggi come oggi, infatti, i maggiori archivi fotografici sono rappresentati dalle aziende che commerciano immagini o che intendono sfruttarne il contenuto economico, spesso in regime di assoluto monopolio. Si pensi, a questo proposito, alle fotografie rastrellate in tutto il mondo e accumulate ‘per sicurezza’ in una miniera di sale negli Stati Uniti per conto dell’agenzia Corbis, di proprietà di Bill Gates, per le quali sono state definite precise regole di accesso e di fruizione che, come denunciato da numerosi studiosi statunitensi, annullano di fatto la libertà di studio della documentazione e introducono un pericoloso controllo sulla diffusione delle immagini fotografiche prodotte per l’informazione giornalistica. E qui si ritorna alla questione metodologica della confusione del documento fotografico con l’evento che lo ha generato. Il contenuto economico della fotografia è soprattutto fondato sul carattere di verosimiglianza, di veridicità, di ‘congelamento’ e di restituzione immediata nel tempo successivo di quanto accaduto. Per una fotografia ‘vera’, bella o brutta che sia, si possono guadagnare milioni. Il mito del ‘paparazzo’ nasce all’interno di questi meccanismi ed è una sorta di gioco delle parti tra il fotografo e il giornale. Un esempio divenuto ormai classico. Il miliziano ‘che muore’ fotografato da Robert Capa (che noia, penseranno di sicuro molti di voi, ma è una immagine a tal punto conosciuta che a partire da essa ogni esemplificazione diviene molto semplice!). La discussione sulla ‘veridicità’ dello scatto o il suo carattere di eccellente ‘ricostruzione’, sviluppatisi in modo significativo negli ultimi anni nulla ha tolto al valore documentario dell’immagine, sia che si tratti della ripresa dell’attimo in cui una persona viene colpita a morte, sia che mostri uno scivolone che ne ha interrotto la corsa. Tutto il discutere intorno a questa ‘morbosa narrazione della morte’ la ha arricchita fornendo elementi conoscitivi non secondari sul lavoro dei fotografi e sul loro rapporto con la rappresentazione degli eventi. Come tutti ben sappiamo la storia veridica delle icone e delle reliquie non ha mai ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 103 La fotografia come documento storico messo in crisi nessuna fede anzi in taluni casi, storicizzandone il percorso, l’ha resa più razionale e meglio accettabile. Ma veniamo alla questione generale sottesa alle considerazioni introduttive: quali risposte attende oggi la fotografia dagli storici? L’immagine fotografica è, tra i documenti, la più ‘ingannevole’ per quel carattere di verosimiglianza che essa mantiene in ogni sua parte e per la capacità di narrare comunque, cosa che non accade con nessun altro tipo di documento tradizionale. La fotografia, cioè, può essere ritagliata, ridotta ai minimi termini, ma permarrà in essa, in ogni suo frammento, la parvenza di una realtà. Si può addirittura sostituire la ricostruzione di un evento con la sua documentazione effettiva, o viceversa, senza che ciò sia facilmente intelleggibile, anzi creando grossi problemi di lettura critica dei materiali. È ancora emblematica di ciò la vicenda prima sommariamente richiamata del miliziano fotografato da Robert Capa. a partire da queste specificità – che per alcuni, sono sicuramente limiti difficilmente accettabili – vanno affrontati sia il problema dell’uso della documentazione visiva nella ricerca storica, sia il problema della scrittura visiva degli esiti del lavoro storiografico. L’uso della documentazione implica, in primo luogo, massimo rispetto dei caratteri della fonte visiva (i caratteri tecnici e quelli culturali). In secondo luogo, essa comporta la necessità di affrontare congiuntamente e globalmente le problematiche della produzione e della fruizione dell’immagine. La storia della visione di una immagine, in altre parole, è fondamentale per la comprensione e l’uso dei suoi caratteri documentali, anche se la più recente vicenda dei mezzi di comunicazione di massa sembrerebbe indicare la tendenza generale ad imporre, con l’eccesso e la ridondanza della comunicazione visiva, una ‘vita breve’ per le immagini. a dispetto di ciò gli immaginari visivi collettivi sembrano sopravvivere alle ondate di scoop a base di immagini che si afferma compaiano per la prima volta in quel determinato momento, ma che in realtà risultano essere già note. È il caso soprattutto delle cosiddette immagini di ‘documentazione storica’ ampiamente divulgate e viste a ridosso degli avvenimenti, poi dimenticate ma puntualmente ‘riscoperte’, a distanza di qualche decennio, da qualcuno disposto a scambiare la propria personale ‘non conoscenza’ con un carattere di inedito dei documenti. In terzo luogo, l’uso della documentazione esige, da parte dello studioso, il rispetto dei caratteri documentali, partendo dall’assunto che proprio in ragione della sua problematicità la documentazione visiva, più di ogni altra, esige una facilità di accesso e controllo da parte di tutti. Per quanto concerne poi il problema della scrittura, alla luce dell’utilizzo delle fonti visive, va rilevato come le peculiarità di questo tipo di fonti sembrano consentire a tutti di improvvisarsi ‘scrittori di storia’: chi dispone di una immagine relativa ad un evento si sente un po’ come il testimone propenso a scambiare la propria memoria 103 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 104 104 Adolfo Mignemi degli avvenimenti con la ricostruzione storica degli stessi. Ma le esigenze della scrittura per immagini – esse devono essere viste non possono essere semplicemente raccontate – non possono legittimare scorciatoie, salvo compromettere gli stessi caratteri documentali della fonte. I principali nemici del processo di strutturazione dell’immagine come fonte sono proprio i divulgatori, coloro cioè che in ragione di un più semplice accesso alla comunicazione sono disposti a sacrificare tutto ciò che può consentire un pieno e totale controllo delle fonti. Costi quel costi bisogna dunque, da un canto, avere il coraggio di definire e dichiarare totalmente la natura e la provenienza documentale dei materiali a cui si è attinto: diversamente si abbia la correttezza di collocare il proprio lavoro nel terreno della libera scrittura o della fiction – come oggi si suole definire il campo della produzione delle immagini in movimento, non documentarie – talvolta più efficaci e nobili della scrittura di carattere scientifico. Dall’altro, lo storico deve avere pienamente il senso che queste nuove fonti per il suo lavoro, pur avendo un contenuto economico, sono e rimangono un bene culturale, che sono cioè patrimonio collettivo come qualsiasi altra fonte documentale, che disponga oppure sia priva di qualsivoglia valore venale. Alcune ipotesi operative Da questa assunzione di coscienza derivano alcune importanti indicazioni operative sia sul piano del lavoro scientifico sia su quello della divulgazione delle ricerche. Tali indicazioni potranno apparire a taluni forse anche banali ma la loro pratica, siamo certi, potrebbe portare a significativi riflessi nel campo della valorizzazione delle nuove fonti documentarie. La prima: gli archivi visivi attuali sono spesso depositi che provocatoriamente vorremmo definire ‘infidi’, non controllabili totalmente, con finalità sicuramente non conservative nel senso comunemente noto agli storici tradizionali. Il lavoro dello storico interagisce notevolmente con il carattere di merce, posseduto dalle fonti fotografiche, restituendo, ad esempio, a molte di esse, dopo un certo tempo un valore d’uso altrimenti perso verso il mercato. Si pensi a tutto il recente recupero dei materiali di fotocronaca o di documentazione industriale e aziendale che dal punto di vista dello sfruttamento economico rientravano nella tipologia della semplice fotografia a cui la legge italiana garantiva una tutela assai limitata nel tempo, per cui tali materiali sono stati sottoposti a sistematico ‘scarto’ dalle agenzie e dagli stessi fotografi, salvo il caso dei pochi che per passione o per ambizione hanno conservato il proprio lavoro ed ora – per fortuna non solo degli storici – esso è ancora disponibile alla consultazione ed allo studio. Un corretto rapporto dello storico con la fonte è dunque, di certo, l’unica garanzia per consentire la sopravvivenza della fonte stessa agli alterni interessi del mercato. La seconda: deve essere compito dello stu- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 105 La fotografia come documento storico dioso, oltre che la divulgazione degli esiti della propria attività di ricerca, l’impegno civile, con tutti i mezzi di cui egli disponga e con l’ausilio degli enti preposti sul piano istituzionale a questi compiti (soprintendenze, archivi di Stato ecc.), alla salvaguardia dei beni documentali individuati, quando essi non appartengano a strutture che garantiscano una reale conservazione ed un libero accesso. La terza: come già si rilevava, la tentazione degli scoop – reali o meno che essi poi si rivelino – è sempre fortissima in un contesto sociale quale il nostro, fortemente caratterizzato da un sistema di comunicazione globale ove obiettivo, da perseguire più sul piano quantitativo che sul piano qualitativo, è la concorrenza informativa. Lo storico veicola però giudizi e ha, con la piena coscienza dei limiti del proprio lavoro, il massimo rispetto per le fonti del suo elaborare, che dovranno sempre essere individuabili e interrogabili da chiunque dopo di lui. Poco si confà a questa antica e onesta pratica di lavoro il culto dell’accaparrarsi l’esclusivo uso delle fonti. La quarta: il rifiuto di patteggiare l’uso scientifico delle immagini con le esigenze decorative dell’edizione. Nessun saggio deve ospitare immagini che non trovino in esso adeguato trattamento in qualità di documenti. Si ricordava prima che se per ogni storico è onorevole raccogliere, analizzare e pubblicare serie di documenti, sicuramente più disdicevole è procedere alla edizione di antologie di materiali fotografici. Ma non solo, pensiamo all’abitudine invalsa negli ultimi anni di produrre saggi storici con a corredo apparati fotografici. Di solito la cura e la selezione di tali materiali sono delegate ai grafici o ai responsabili delle ricerche iconografiche – come si suol oggi definire questo profilo professionale – i quali sicuramente hanno grande consuetudine con la manipolazione del materiale, nei rapporti con le agenzie che vendono le immagini, ma certamente meno con la dimensione scientifica del documento. Qual è lo studioso disposto a scrivere un saggio e ad affidare all’editore il compito di integrarlo con note o documenti che da lui non siano approvate? a ben vedere, se guardiamo a ciò che accade con le fotografie, dovremmo rispondere alla domanda: quasi tutti. Vorremmo tuttavia soffermarci ancora, brevemente, sull’esatto significato di quello che abbiamo definito corretto rapporto con la fonte. Ed è la quinta, ed ultima, indicazione operativa. La definizione di standard di conservazione e catalogazione, di duplicazione, di edizione deve essere fatta propria sia dagli archivi sia dagli editori. Il primo aspetto attiene a problematiche di carattere squisitamente tecnico che non sta a queste considerazioni affrontare direttamente. Diverso il caso del secondo e terzo aspetto. La struttura che conserva il documento deve tutelarlo, facendosi carico di offrire a chi lo consulta tutti gli strumenti utili al suo studio. 105 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 106 106 Adolfo Mignemi Tali strumenti includono in particolare il ‘diritto’ del documento fotografico di essere riprodotto, ‘duplicato’, rispettando tutti i suoi caratteri formali, né più né meno, di quanto avviene per la ‘duplicazione’ di qualsivoglia documento tradizionale. Chi si permetterebbe di fornire la duplicazione di un testo manoscritto o dattiloscritto mutilandone volutamente delle parti? Per quale ragione può ritenersi invece legittimo procedere alla stampa di un negativo fotografico o alla riproduzione di un positivo prefigurando il ‘taglio’ di una porzione di immagine per rientrare negli standard del formato carta o per evitare la poco estetica presenza dei margini originali dell’immagine? La risposta è ovvia, la pratica consueta degli archivi, e in particolare in quelli delle agenzie fotografiche, va tuttavia in diversa direzione. La struttura che conserva il documento, poi, deve essere in grado di fornire in modo semplificato gli elementi essenziali che compongono la schedatura descrittiva completa – quella prevista per l’edizione critica, tanto per intenderci – in modo tale da poterli inserire in didascalia, in forma essenziale, senza elementi di linguaggio settoriale, fatta eccezione per il ricorso a forme di abbreviazione universalmente riconosciute e comuni. Sono indicazioni alquanto elementari, ma alla portata di tutti. Basterebbe, da un lato, agli studiosi, dall’altro agli editori e agli archivi, rispettivamente, solo un po’ di buona volontà e un minimo di rigore scientifico. Nulla di più. Ben sappiamo però, ormai per lunga esperienza, che il cammino ancora da percorrere non è affatto breve. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 107 La fotografia come estensione della memoria Corrado Fanti La fotografia come estensione della memoria. Riflessioni sul passato analogico e problemi per un futuro digitale Da anni mi occupo di fotografia come strumento di comunicazione e come prodotto artistico, sia sul piano della riflessione teorica sia su quello pratico della produzione d’immagini. Non posso negare che quanto è avvenuto nei tempi recenti, intendo dire dall’avvento del digitale, mette a dura prova chi come me in decenni di letture ed esperienze si è formato alla scuola della riflessione teorica dei grandi maestri, dei fautori di un pensiero ‘forte’, Marc augé direbbe delle ‘grandi narrazioni’. Con questo termine l’autore intende riferirsi alle grandi concezioni filosofiche che offrivano una spiegazione totale e unitaria del mondo e della storia. L’avvento del digitale è un fenomeno che a mio avviso ben s’inscrive in quel cambiamento di cui parla augé. Riprenderò più avanti questa tematica. Vengo preso dalla sensazione che forse molte cose dette per quasi 150 anni di fotografia oggi da un lato vadano riviste e ag- giornate o che addirittura certe teorizzazioni appartengano a un periodo ormai concluso. Forse anche nella fotografia si può respirare quella sensazione che, come qualcuno afferma di provare nell’ambito delle arti, della musica e della poesia, tutto sia stato già detto, composto e scritto e che ora non resti altro che ricucire citazioni in maniera trasversale ed inventare contaminazioni, il tutto con una certa disincantata ironia. Nel dire questo non faccio altro che sottolineare alcuni concetti della postmodernità, laddove peraltro c’è chi trova aspetti positivi nelle caratteristiche che connotano tale concetto storico-culturale, ad esempio il venir meno di tante forme di totalitarismo e il conseguente rispetto delle differenze. Faccio un passo indietro rispetto a questi ultimi decenni: è mia intenzione condurre una riflessione a partire dalla situazione che ha preceduto l’avvento del digitale, utilizzando criteri che erano alla base di un pensiero precedente l’era della postmodernità. 107 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 108 108 Corrado Fanti 1 A.C. VARZI, Ontologia, Laterza, Roma-Bari 2005. 2 U. ECO, ‘Introduzione’, in P. CONSAGRA, U. MULAS, Fotografare l’Arte. Introduzione di Umberto Eco, Fratelli Fabbri Editori, Milano 1973. Questo anche perché il presente contesto mi pare rivolga l’attenzione a quella che viene definita in senso ‘forte’ fotografia storica, anche se è opportuno affermare che qualsiasi fotografia è storica, indipendentemente dal soggetto che ritrae. Chi scrive confessa di essere legato a un’area di pensiero che non accetta in pieno un pensiero ‘debole’ o totalmente relativistico: con questo non voglio assolutamente difendere taluni aspetti di un pensiero ‘forte’ e totalitario (gli storicismi e le ideologie che hanno prodotto gli spaventosi disastri bellici e ideologici del secolo scorso), ma non per questo ho inteso abbandonare modelli di pensiero e metodi di operatività che si rifanno a una concezione ‘classica’. Mi servirò di alcuni concetti dandoli per acquisiti, anche se passibili di disaccordo o di differenti posizioni interpretative, allo scopo di chiarire l’orizzonte nel quale si svolge tutta la successiva riflessione, l’identificazione dei problemi, e quello che è stato l’aspetto operativo del mio lavoro. Come la maggior parte delle opere grafiche, la fotografia può essere considerata secondo differenti angolature. Sul piano estetico credo sia esaurita l’antica discussione se essa possa essere arte o meno, soprattutto nel momento in cui lo statuto dell’arte, sul piano ontologico, è oggi piuttosto vago: si può giungere ad affermare che tutto è arte, che l’unica cosa che distingue un oggetto artistico da qualunque altro è semplicemente la considerazione che gli viene data, ovvero la cornice all’interno della quale viene collocato. Scrive Varzi: «certi oggetti e certi eventi contano come creazioni artistiche in quanto una certa comunità ha deciso di considerarli tali. Una delle grandi rivoluzioni della filosofia dell’arte contemporanea rappresentata dal manifesto di Goodman si riassume proprio nello slogan per cui la domanda da porsi non è ‘che cosa’ sia l’arte ma ‘quando’ ci sia arte»1. In secondo luogo, credo che nessuno possa mettere in dubbio che la fotografia rappresenta un fenomeno sociale che, dati i riti e i modi che ne vedono la produzione, sicuramente rappresenta un indice e un documento importante per la riflessione sulla nostra società dalla metà dell’ottocento a oggi. ancora, la fotografia si presenta come importante fonte, testimonianza e documento storico in senso proprio. Considero acquisite le riflessioni circa le metodologie della sua lettura: quella più immediata presta attenzione al soggetto che era presente ‘al di là’ dell’obiettivo, il soggetto di cui essa non è solo icona, traduzione, testimonianza, ma anche ‘indice’ secondo il significato del termine che la semiotica di Eco prescrive2. Il Nostro suggerisce che la fotografia sia da definirsi non come un’icona, termine che meglio si adatta ai prodotti delle arti figurative; neppure ritiene opportuno definirla un ‘segno’, in virtù di un’arbitrarietà che lo connota, laddove in fotografia – fino a quella digitale – non possiamo parlare di convenzionalità in modo analogo. Piuttosto egli suggerisce il concetto di ‘indice’, come ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 109 La fotografia come estensione della memoria la traccia che un bicchiere umido ha lasciato sul tavolo o l’orma di un piede sulla sabbia: qualcosa che è stato materialmente prodotto (dalla luce sulle sostanze fotosensibili della pellicola) e che «mantiene con l’oggetto a cui si riferisce un rapporto dichiarato di causa ad effetto»3 e di prossimità fisica che lo richiama senza peraltro esserne un duplicato. Così come il detective cerca sulla scena del crimine delle ‘prove’, analogamente lo storico cerca nelle fotografie, quelle prodotte attraverso la chimica, i resti visivi che ci aiutino a capire taluni eventi e le loro motivazioni. Una lettura delle immagini fotografiche più approfondita è quella che, oltre a prestare attenzione al senso che il fotografo, consapevolmente o meno, ha voluto trasmettere a proposito di un soggetto, analizza l’intero contesto che ne ha visto la realizzazione, quindi l’utilizzo successivo e la sua funzione nella comunicazione. È senz’altro opportuno parlare di più significati della medesima immagine, tanti quanti sono gli usi che ne sono stati fatti e le reazioni che hanno prodotto. Date per acquisite queste riflessioni, intendo accennare a qualche problema che riguarda la fotografia oggi e, per meglio chiarire il mio pensiero, distinguo due momenti concettuali fondamentali che interessano il fotografo che ha realizzato un’immagine e la cui distinzione è utile allo storico per fare il suo mestiere: quello che si riferisce al ‘cosa’, ovvero al soggetto che il fotografo ha scelto di riprendere, e quello che riguarda il ‘come’, ossia la modalità con la quale un tempo e diversamente oggi, quel particolare ambulante, professionista, dilettante, cronista, fotografo di studio, scienziato, voyeur, ha guardato il mondo. Inizierò dal secondo problema, cioè dalla riflessione su quali siano state e siano ora i modi storici del guardare e del vedere la realtà per poi trasformarla in fotografia. Nel parlare di modi storici non intendo fissare una distanza temporale che necessariamente serva a separare il passato dal presente: con amore del paradosso possiamo affermare che la storia si arresta un attimo prima del momento attuale. Lo spazio della storia non è tanto definito da un orizzonte temporale denotato da una precisa frontiera che ci separa dal passato quanto piuttosto dal modo di osservare le cose; un modo critico, che guarda dall’esterno, una sorta di spazio metalinguistico nel quale non si agisce e non si comunica all’interno del teatro degli eventi, sul palcoscenico della storia. Quello della storia è il luogo dove si riflette su come si è agito e comunicato osservando il triste spettacolo dal loggione; questo per poi rientrare nell’azione, dentro le cose, per muoverci come attori con un copione per il futuro. Chi ha esperienza d’insegnamento, sa bene come la maggiore difficoltà nella didattica della storia non sia tanto far apprendere fatti e nozioni come oggetti da esibire con erudizione quanto educare al ‘senso’ della storia, alla presenza del passato e alla storicità del presente. Nel trascorrere degli anni e nella naturale (e salutare) selezione che via via si compie 3 Ivi, 109 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 110 110 Corrado Fanti 4 A.C. QUINTAVALLE, Messa a Fuoco. Studi sulla Fotografia, Feltrinelli, Milano 1983. di tutte le teorizzazioni lette e ascoltate (da quando è nata la fotografia, il dibattito se essa potesse essere considerata arte, quale fosse la sua specificità, quale il suo statuto ontologico, ha prodotto fiumi di parole) mi resta e ricorre nelle mie orecchie una frase che lo storico dell’arte, andrea Emiliani, all’apertura del convegno ‘La Fotografia come Bene Culturale’ (Modena 1979) ebbe a dire: «La fotografia a cavaliere com’è fra la realtà e ciò che della realtà l’uomo pensa». a differenza delle altre modalità di produrre immagini, la fotografia, e con essa il cinema, almeno fino all’avvento della realtà virtuale, ha pur sempre avuto bisogno di un brandello di realtà che imprimesse la propria orma sulla pellicola, ma, al contempo, ha interpretato, modificato, tagliato, decontestualizzato, scelto, falsificato e rivelato (come nel film Blow Up di Michelangelo antonioni). avverte Quintavalle: «dobbiamo […] leggere le fotografie come un modello d’interpretazione critica della realtà, dunque non documento ma discorso critico (o acritico, si badi bene) di storia in senso proprio e completo»4. Inoltre, come s’è detto, la fotografia non è solo il risultato dell’interpretazione del fotografo ma quanto essa comunica può assumere ulteriori significati a seconda dei diversi contesti in cui è inserita e utilizzata. Si pensi solo a come il cambiamento della didascalia può mutare completamente il senso di una foto, fino a trasformarla in un ‘mito’, anche laddove non fosse nata con questo senso. È per questo che lo storico della fotografia deve essere principalmente storico della ‘cultura’ (secondo l’accezione storica, economica, antropologica… del termine) che ha prodotto e veicolato ogni immagine. analogamente a quanto riguarda la comunicazione verbale, occorre tenere presente la correlazione di un’immagine, sul piano sincronico, con tutte quelle prodotte nella medesima occasione, allargando il campo fino al confronto con la più ampia produzione nazionale e internazionale del momento e mettendola a confronto con le altre espressioni grafiche. Dall’altro se ne deve osservare la mutazione in senso diacronico, la sua trasformazione nel tempo, di cui è parte, come si diceva, anche l’uso successivo e i diversi contesti che ne hanno prodotto via via un senso differente. La classificazione stessa di un’immagine, (assieme alla sua interpretazione), diventa un conferimento di senso che può mutare nel momento in cui un archivista ne muti la collocazione all’interno di un fondo. Possiamo affermare, con amore del chiasmo, che non esiste una fotografia storica quanto piuttosto esiste un uso storico della fotografia che prosegue con la sua archiviazione, così come accanto ad una fotografia ‘della’ storia dobbiamo considerare la fotografia ‘nella’ storia. Credo che, sulla scorta di queste assunzioni, sia secondaria la classificazione delle fotografie secondo i generi mutuata dalle arti pittoriche: non è prioritario suddividerle secondo i canoni quali la fotografia sociale, di paesaggio, di ritratto, ecc. bensì è possibile classificarle sulla base delle motivazioni, modi ed usi della loro produzione. Su questo tornerò più avanti. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 111 La fotografia come estensione della memoria Per riflettere ulteriormente sulle specificità della fotografia a cavallo tra riproduzione e interpretazione, vorrei fare brevemente riferimento ad alcune riflessioni teoriche relative al campo interdisciplinare che si situa tra estetica e neuroscienze; di fatto negli ultimi tempi si parla sempre di più di ‘neuroestetica’. Negli ultimi sessant’anni, da Gombrich5 a Kandel6 , per citare solo due autori, le ricerche che erano partite dai contributi freudiani sull’inconscio, si arricchiscono degli esiti offerti dalla psicologia della percezione e da metodologie che non sono più campo esclusivo di riflessioni verbali afferenti all’esprit de finesse del critico d’arte, ma che intendono basarsi su precisi principi epistemologici ed essere sostenute da evidenze sperimentali. Rispetto alla fotografia, il dipinto come il disegno sono ovviamente percepiti con la funzione prioritaria di essere un prodotto di un artista / disegnatore / grafico il quale ci sta offrendo l’analogo di una ‘propria’ immagine mentale di ciò che conosce, vede e intende comunicare con una precisa modalità. Sulla retina del disegnatore vi è un’informazione visiva che si forma in modo assolutamente ‘naturale’, tuttavia l’immagine mentale che egli elabora e riproduce si trasforma in un prodotto ‘culturale’. Sappiamo bene come, ad esempio, i disegnatori al seguito dei conquistadores delle americhe, che consideravano gli amerindi come non appartenenti al genere umano, nel disegnarne le fattezze a scopo documentario, commettessero errori grossolani circa particolari anatomici, errori che mai avrebbero commesso raffigurando loro connazionali. Se avessero ripreso delle istantanee fotografiche, i particolari anatomici sarebbero risultati corretti. È questa una considerazione piuttosto banale ma è pur vera. Non possiamo tuttavia ignorare l’aspetto interpretativo della fotografia. Su quest’ultimo è stato scritto moltissimo in giusta polemica contro chi, in una visione realisticamente ingenua, sosteneva che la fotografia fosse ‘unicamente’ la riproduzione della realtà così com’è. È per questo che, parlando di fotografia come fonte storica, non voglio dilungarmi sui fattori che fanno sì che essa sia un’interpretazione che in qualche misura trasforma il soggetto raffigurato sottolineando la particolare percezione (anche tendenziosa) che noi abbiamo di esso. In breve, la fotografia modifica le dimensioni dello spazio da tre a due, modifica la visione del soggetto attraverso la scelta del punto di vista, lo decontestualizza rispetto all’ambiente circostante tagliato com’è dall’inquadratura, ne riduce la policromia a rapporti di bianco e nero o trasforma i colori percepiti dall’occhio in quelli riproducibili tramite le emulsioni, ecc. ancora, le informazioni contenute nel supporto col suo spessore vengono a far parte della materia dell’immagine, la didascalia e l’uso ne determinano il senso, e così via. Su ognuno di questi fattori è stato ampiamente dissertato (da Barthes7, a Sontag8, a Lindekens9 ecc.), molto è stato scritto, per cui, dopo fiumi di semiologia, vorrei fare un passo indietro verso quel ‘buon senso comune’ di chi os- 111 5 E.H.J. GOMBRICH, Arte e illusione, Einaudi, Torino 1965. 6 E.R. KANDEL, L’età dell’inconscio. Arte, mente e cervello dalla grande Vienna ai nostri giorni, Raffaello Cortina, Milano 2012. 7 R. BARTHES, Miti d’oggi, Einaudi, Torino 1974. 8 S. SONTAG, Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società, Einaudi, Torino 1978. 9 R. LINDEKENS, Semiotica della fotografia, il Laboratorio, Napoli 1980. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 112 112 Corrado Fanti 10 W. BENJAMIN, L’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1966, citato da M. DI MONTE, Introduzione - Se fossi nei tuoi occhi, in A. DANTO, M. DI MONTE (a cura di), La storicità dell’occhio. Un dibattito con Noël Carroll e Mark Rollins, Armando, Roma 2007, p. 12 11 A. DANTO, M. DI MONTE (a cura di), La storicità dell’occhio… cit., pp. 38-50. 12 M. FERRARIS, Dove sei? Ontologia del telefonino, Bompiani, Milano 2011. serva una fotografia per quello che essa rappresenta e di cui è una documentazione. È stato ampiamente dibattuto, ed è tuttora oggetto di discussione, un problema legato a quella che è definita tesi della modernità che vede fronteggiarsi due scuole di pensiero. Il problema consiste nella domanda se le arti come la fotografia o il cinema dal XIX secolo abbiano modificato il modo in cui noi percepiamo la realtà. Esistono, semplificando le cose, due scuole di pensiero. Scrive Walter Benjamin: «il modo secondo cui si organizza la percezione sensoriale umana […], non è condizionato soltanto in un senso naturale, ma anche storico […], l’epoca delle invasioni barbariche [avrebbe posseduto, N.d.A.] non solo un’arte diversa da quella antica ma anche un’altra percezione»10. Su questa linea di pensiero i sostenitori della tesi modernista e dello storicismo relativistico culturale affermano che l’epoca attuale è caratterizzata da una nuova modalità di percezione e che nel soggetto talmente sottoposto al continuo consumo di immagini virtuali e mercificate si sarebbero prodotti cambiamenti significativi nella funzione del vedere la realtà. I processi legati alla percezione visiva manifesterebbero pertanto una certa penetrabilità da parte dell’ambiente storico culturale. L’altra scuola di pensiero si oppone a questa visione giudicandola informata ad un eccessivo storicismo: Danto afferma che «abitudini e aspettative condizionano il modo in cui le cose vengono rappresentate più che il modo in cui vengono viste […] Fu una scelta culturale decidere come dipingere, ma non come vedere, che resta immune da interventi di carattere politico [nel senso di ‘storico-culturale’ N.d.A.] […] ciò che è storico in un simile progresso è la mano [che dipinge; l’autore fa ferimento all’opinione che, dai tempi di Vasari, ritiene che la storia della pittura e della prospettiva abbia seguito un’evoluzione progressiva, N.d.A.] piuttosto che l’occhio, […] questo stesso progresso presuppone che l’occhio non sia storico, che il vedere resti costante attraverso i cambiamenti che coinvolgono la rappresentazione, […] per l’occhio non c’è stata alcuna significativa evoluzione negli ultimi 100.000 anni»11. È un problema di cui si occupano anche i filosofi: Maurizio Ferraris rivolgendo la sua attenzione in modo particolare all’uso del telefono cellulare ci racconta come «Nell’agosto 2004, il filosofo ungherese Knstóf Nyíri, durante l’annuale congresso wittgensteiniano di Kirchberg, mi propose un duetto con Derrida sull’argomento, al convegno ‘Seeing, Understanding, Learning in the Mobile age’, che si è tenuto a Budapest dal 28 al 30 aprile 2005. L’idea di fondo era che proprio il telefonino, mobile, in inglese, stia portando delle trasformazione non calcolate, per l’appunto nel vedere, nel capire, nell’apprendere»12. Non ritengo opportuno addentrarmi nei particolari di questo dibattito, e tantomeno pretendo di dare un ulteriore contributo riguardo al problema se la percezione sia penetrabile o impenetrabile e fissa (kantia- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 113 La fotografia come estensione della memoria namente ‘a priori’ rispetto alle nostre facoltà percettive); intendo tuttavia utilizzare la distinzione di Noël Carroll fra ‘vedere’ e ‘notare’ laddove «Con ‘vedere’ ci si riferisce a ciò che la percezione compie automaticamente; con ‘notare’ si indica invece il modo in cui possiamo organizzare quel che vediamo, spesso come conseguenza di un apprendimento»13; notiamo quando organizziamo ciò che vediamo e ne focalizziamo dei dettagli in modo diverso a seconda delle nostre conoscenze. Riprendo le parole di Danto: «Sappiamo che, in qualche modo, deve esserci un’interazione tra sistemi percettivi e processi cognitivi, nel senso che noi interpretiamo ciò che percepiamo relativamente al nostro sistema di credenze. […] È grazie a questa interazione che la storia sopravviene alla percezione […] l’occhio non è storico, ma noi sì»14. Potrei adattare al nostro caso queste parole dicendo che in una camera oscura la formazione di un’immagine tramite un obiettivo su di una superficie (pellicola o sensore pixel) non è assolutamente culturale ma obiettiva oggi così come si presentava nel XVIII secolo a Guardi, a Canaletto e a Bellotto, attraverso la loro ‘camera ottica’: un’immagine capovolta rovesciata e a colori esattamente come quella che noi oggi percepiamo con un banco ottico. Diversamente, le manipolazioni chimiche o digitali e le scelte fra le diverse modalità di ripresa sopra accennate, sono storiche e dipendono dai cambiamenti culturali e dalla vicenda personale del fotografo. In conclusione, vorrei per il momento assu- mere che tutti vediamo nello stesso modo ma ognuno è in grado di guardare, notare e mettere mentalmente in relazione le cose in modo diverso. La nascita della fotografia, e con essa il modernismo, ha un effetto emotivo e psicologico piuttosto che fisiologico; influisce sull’attenzione, sui tempi di osservazione, sui criteri per una riflessione critica su quanto ci circonda, oltre ad influire sui rituali sociali, sui comportamenti di massa, sull’economia del nostro produrre e consumare icone. analogamente non intendo chiedermi se l’avvento del digitale abbia ulteriormente modificato la capacità naturale del vedere. Piuttosto mi chiedo, utilizzando le scienze della mente e della percezione, se sia possibile fare ulteriore luce nel rapporto tra la memoria che abbiamo della percezione delle cose soltanto vedute e la medesima memoria nel momento in cui ne conserviamo testimonianza anche attraverso una fotografia la quale a sua volta viene successivamente percepita nel tempo e a sua volta ricordata in modo diverso. Una serie di rimandi e metalivelli nei quali cosa resta dell’evento iniziale? Proviamo a guardare un soggetto qualsiasi come una casa, una vetrina, una persona e poi volgiamo lo sguardo altrove voltandogli le spalle. Proviamo a descriverlo nei suoi dettagli senza averlo più davanti agli occhi. a meno di non essere affetti da particolari forme di autismo, ci accorgiamo immediatamente dell’estrema povertà d’informazioni consce di cui siamo in possesso; ma al contempo della sorprendente capacità in- 113 13 N. CARROL, La modernità e la plasticità della percezione, in A. DANTO, M. DI MONTE (a cura di), La storicità dell’occhio… cit., p. 72. 14 A. DANTO, M. DI MONTE (a cura di), La storicità dell’occhio… cit., p. 55. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 114 114 Corrado Fanti 15 Z. BAUMAN, Modus Vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido, Laterza, Roma-Bari 2007. conscia di riconoscere il soggetto, anche dopo qualche tempo, anche se in parte trasformato, e di riconoscerlo in un tempo brevissimo. In passato i disegnatori di mestiere avevano il compito di registrare il maggior numero possibile d’informazioni su un soggetto quale un’antica architettura, di cui sarebbe stato impossibile per chiunque tenerne a mente i dettagli. Nasce la fotografia e, con un dispendio di tempo e di denaro minimo rispetto alle arti tradizionali, essa diventa un’estensione, potremmo dire con un termine medico e tecnico, una ‘protesi’ della nostra memoria e anche della nostra capacità percettiva, persino nel caso dell’osservazione più attenta. Consideriamo l’enciclopedia dell’immaginario collettivo quando gli uomini avevano a disposizione un numero estremamente limitato di icone che rendevano loro testimonianza di ciò che si collocava al di fuori della loro diretta esperienza. In genere ciò che vedevano dipinto, per la maggior parte dei casi nelle chiese, erano scene che ricordavano la vita di Cristo e dei santi e di ciò che secondo la religione ci attende dopo la morte; per i nobili, in più, erano i ritratti degli antenati. Ben poco altro. oggi ognuno di noi può attingere ad una quantità enorme di cose viste per interposto apparecchio fotografico che, comunque, assumono il medesimo valore di ciò che abbiamo visto direttamente, anzi, spesso, un valore più forte, ‘mitico’. La fotografia registra cose che a occhio nudo è impossibile cogliere (si vedano a questo proposito le posizioni delle gambe dei cavalli al galoppo che, nei dipinti, finalmente appaiono corrette solo dopo le fotografie di Muybridge). Questa ‘protesi’ ci soccorre come un deposito di copie del mondo reale che, nonostante esse siano una traduzione in parte infedele e mai possano costituire un ‘doppio’ del reale, tuttavia può integrare in modo sorprendente la nostra memoria naturale: e non si tratta solo di memoria di sembianti ma anche di emozioni e sensazioni. La fotografia è buona testimone del fatto che, al di là di ogni distorto ricordo dei testimoni, pur nella loro massima buona fede, le cose stavano in un certo modo e non in un altro. almeno questa era la situazione ai tempi della fotografia analogica: ora con il digitale potremmo mostrare agli amici un autoscatto sullo sfondo delle cascate del Niagara, quando in realtà abbiamo trascorso il fine-settimana in campagna dalla nonna, appena fuori porta. In che misura la fotografia digitale rappresenti una perdita di quel tipo di affidabile protesi della memoria è un ulteriore problema che forse meriterebbe di essere affrontato in questa nostra ‘modernità liquida’15. La fotografia – analogica – è diventata dunque fin dall’inizio una memoria, anche collettiva, dalla quale in qualsiasi momento possiamo attingere una quantità impressionante di dettagli in assenza della percezione del reale che essa ha registrato, che a loro volta possono essere ‘notati’ e non semplicemente visti da chi dopo qualche tempo osservi nuovamente la medesima fotografia, ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 115 La fotografia come estensione della memoria forte di nuovi interrogativi. In fondo è questa la principale funzione che, a livello di utilizzo di massa, abbiamo attribuito alla fotografia: quella di ricordo della nostra storia personale, delle immagini più importanti che conserviamo nel portafoglio, quelle dei nostri figli. Si tratta dunque della registrazione della realtà, e insieme la registrazione di ciò che abbiamo scelto, del ‘modo’ in cui abbiamo registrato e di ciò che della realtà abbiamo pensato sulla base dei nostri valori. Il discorso è completamente diverso nel caso di un artista che per comunicarci le immagini e i fantasmi della sua creatività si serve di chimica e ottica piuttosto che di sanguigna, fusaggine e pigmenti. Mi riferisco al caso di un artista che forza e spinge il mezzo ottico ad andare oltre alla mera riproduzione del reale per approdare magari a forme di iperrealismo magico, di surrealismo, di suggestioni metafisiche o di arte minimalista o concettuale. Vi è un aspetto di tipo neuroscientifico che riguarda il rapporto fra la mente e gli strumenti di cui ci serviamo, apparentemente distante dal nostro discorso, sul quale voglio intrattenermi un attimo. Nel 1998 esce sulla rivista «Nature» un articolo nel quale Matthew Botvinick e Jonathan Cohen, due neuroscienziati del Dipartimento di Psichiatria e Psicologia della Carnegie Mellon, la famosa università di Pittsburgh, riferiscono di un esperimento che in seguito avrà importanti sviluppi16. In questo esperimento un soggetto attribuisce la forte sensazione tattile, soggettiva, a una mano di gomma che gli sperimentatori avevano posto su di un tavolo al quale egli era seduto, nella normale postura di chi vi poggia sopra ambedue le mani: una mano era appoggiata sul tavolo mentre l’altra era nascosta al di là di uno schermo, non visibile, e, al suo posto, sul tavolo, era collocata in maniera speculare e simmetrica, quella di gomma in posizione assolutamente naturale. Quindi, mentre il soggetto riceveva sulla mano nascosta alla sua vista stimoli di varia natura, i medesimi stimoli erano contemporaneamente praticati sulla mano di gomma, sotto i suoi occhi. In seguito a queste ripetute stimolazioni i soggetti riferivano di avere perduto in parte la sensazione della mano vera, di sentirla ‘gommosa’, di avere la sensazione che il braccio di gomma appartenesse al loro corpo e addirittura di provare dolore se ad esso erano forniti degli stimoli dolorosi, senza che la mano reale fosse minimamente toccata. I soggetti, richiesti di toccare ad occhi chiusi con la mano posta sul tavolo l’altra – quella vera – tendevano a dirigere la prima verso l’arto di gomma o commettevano errori nell’afferrare quella reale, a lungo nascosta alla vista. È questo un esperimento che riguarda il problema della propriocezione, ovvero della percezione di sé, complementare al sistema ideato dal neuroscienziato Ramachandran noto per aver trovato un sistema del tutto psicologico per risolvere i terribili problemi dei dolori all’‘arto fantasma’ percepiti da persone cui era stato per l’appunto amputato un arto; tale sistema è basato semplicemente su di uno specchio, «un congegno a 115 16 M. BOTVINICK, J. COHEN, Rubber hands ‘feel’ toutch that eyes see, in «Nature» 391, 756 | doi: 10.1038 / 35784 (19 febbraio 1998). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 116 116 Corrado Fanti 17 V. RAMACHANDRAN, Che cosa sappiamo della mente, Mondadori, Milano 2004. 18 Cfr. J.-F.DORTIER (sous la direction de), Le cerveau et la pensée. Le nouvel âge des sciences cognitives (1a éd. 1998), Sciences Humaines Éditions, Auxerre Cedex 2011; A. CLARK, D.J., CHALMERS, The extended mind, in «Analisys», 58:1, 1998, reprinted in The Philosopher’s Annual vol. XXI1998 (Ridgeview, 2000), reprinted in D. CHALMERS (ed.), Philosophy of mind: classical and contemporary readings, Oxford University Press, Oxford 2002. specchio che fa rivivere la mano fantasma»17 e su di una situazione ‘ingannevole’, in qualche misura analoga a quella sopra descritta. Queste evidenze mediche propongono il problema ontologico della ‘definizione’ del nostro corpo e dei suoi limiti, formulato con la nota domanda filosofica: il non vedente ‘sente’ il terreno nella mano che tiene il bastone o lo sente sulla punta del suo bastone? Dove finisce il suo corpo, nella mano o nella punta del bastone che saggia il terreno e fino a che punto il bastone è diventato tutt’uno col suo corpo? Si tratta del problema della mente estesa e della cognizione estesa ovvero dell’estensione del sé della mente a oggetti del mondo esterno e a strumenti tecnologici18. Credo che il quesito possa porsi anche riguardo al fotografo. Quando costui guarda nel mirino di una macchina fotografica, vede la realtà inquadrata dalla macchina o vede il vetro smerigliato della macchina sul quale è proiettata un’immagine leggermente diversa rispetto a quella della realtà direttamente percepita? La differenza non è poi tanto sottile. Quale rapporto conscio/inconscio, percettivo, ma anche emotivo, denso di sensazioni ed emozioni, se non di sentimenti, lega un fotografo alla sua macchina? Qual è quel fotografo che vedendo un bambino che gli afferra l’apparecchio e che sta per toccare l’obiettivo con un dito umido dei suoi umori non prova un vero e proprio fastidio fisico? Quanto l’apparecchio fotografico diventa un prolungamento dell’occhio-mente del fotografo e quale immagine mentale egli si forma della realtà nel momento in cui essa è filtrata da questo strumento? Dopo alcuni decenni di fotografia – prevalentemente in bianco nero – posso testimoniare circa la mia difficoltà di accontentare chi mi richiedeva di eseguire riprese, nello stesso tempo, in bianco e nero e a colori. Ricordo di avere suscitato ilarità rispondendo che, almeno per l’arco di un’intera giornata di riprese, era nella mia mente che avevo messo la pellicola in bianco-nero e che non riuscivo contemporaneamente a ‘notare’ le cose a colori. La percezione delle forme secondo i rapporti luce-ombra, secondo le gradazioni tonali e i contrasti è ben diversa da quella prodotta dall’attenzione ai valori cromatici. D’altronde ai principianti di disegno, il ‘maestro’ suggerisce di osservare il soggetto attraverso un vetro leggermente affumicato per vederlo annullandone il colore, rassicurandoli che, con tanto esercizio, avrebbero finito per osservare i valori tonali trascurando i colori del soggetto, ovviamente da recuperare per le lezioni di pittura e per la vita quotidiana. analogamente, posso affermare che spesso sono stato condotto a fare sopralluoghi sulla scena dove avrei dovuto eseguire riprese, nel corso dei quali le ‘scoperte’ visive erano relativamente scarse. Tornando sul luogo in seguito, da solo, munito della specifica attrezzatura, ciò che notavo tramite lo schermo fotografico, era qualcosa di nuovo e sorprendente rispetto ciò che prima avevo soltanto guardato: il soggetto mi appariva in un crescendo di scoperte visive lungo un percorso che mi sembrava quasi indicato e offerto dall’apparecchio fotografico. Del legame che si crea fra l’apparecchio e il ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 117 La fotografia come estensione della memoria suo possessore sono esemplare testimonianza le parole affettuose con le quali ando Gilardi racconta la propria esperienza. «L’anima della fotografia di quel periodo semmai è quello della mia Leica: l’apparecchio fotografico che più ho amato»19. In questo testo che si presenta sotto forma di un’intervista, l’interlocutrice a ben ragione osserva: «La vedo illuminarsi mentre parla della Leica... È stato proprio il suo grande amore fotografico». Gilardi le risponde «Parlo per esperienza vissuta: non deludere troppo, anzi quasi mai, fu una quota essenziale dell’incantesimo della Leica, usurpato a partire dagli anni sessanta dal nuovo fascino più volgare delle ‘reflex’ giapponesi»20. Credo possa essere opportuno, dal punto di vista della riflessione storica contemporanea, interrogarsi se l’uso di massa della fotografia con il cellulare abbia raffinato o banalizzato la capacità di ‘notare’ la realtà, di individuare modalità diverse e personali di osservazione. Potremmo ancora chiederci se il vorticoso consumismo che oggi rende obsolete le attrezzature fotografiche dopo pochissimo tempo abbia indebolito il (tenero) attaccamento del fotografo al suo apparecchio; in quale misura si siano frammentate l’estensione della memoria in cui consiste la fotografia e le relative funzioni che essa ha esercitato nei centocinquant’anni che hanno preceduto l’esplosione del digitale. Torniamo all’analisi concettuale della produzione dell’immagine da parte di un fotografo. In sintesi la struttura della situazione è la seguente: il fotografo si trova dietro al suo cavalletto ‘al di qua’ della lastra fotografica, con la sua storia, la sua attrezzatura concettuale, le sue scelte e condizionamenti; ‘al di là’ c’è la realtà vera, quella che Godard nel film Due o tre cose che so di lei, (1967) si chiedeva perché mai chiamassimo oggettiva «dal momento che di un oggetto abbiamo soltanto visioni soggettive». La realtà ‘in sé’, parafrasando Kant, è definitivamente dichiarata inconoscibile dalla stesura e dalle argomentazioni della Ragion Pura. Tuttavia, prendendo le distanze da un relativismo in voga qualche decina di anni or sono, credo che possiamo ben dire, invocando sempre il ‘buon senso’, che se davanti a noi s’innalzano le vette delle alpi non possiamo certo affermare che la ‘costruzione’ mentale della nostra percezione assuma le forme di un paesaggio marino, affermazione che ci renderebbe mentalmente disturbati. Carr, il noto storico e metodologo inglese, nelle sei lezioni tenute dal 1960 presso l’Università di Cambridge, osservava che «il fatto che una montagna assuma forme diverse a seconda dei punti di vista dell’osservatore non implica che essa non abbia alcuna forma oggettiva»21. ad ogni buon conto essa resta pur sempre una montagna! La distinzione di due spazi, al di qua e al di là della lastra fotografica a mio avviso è molto importante anche per la schedatura di materiali storici: può essere utile chiarire graficamente, attraverso l’organizzazione degli spazi della scheda, dove si stanno registrando dati relativi al soggetto fotogra- 117 19 A. GILARDI, Meglio ladro che fotografo, Bruno Mondadori, Milano 2007, p. 82. 20 Ivi, p. 85. 21 E.H. CARR, Sei lezioni sulla storia, Einaudi, Torino 1966. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 118 118 Corrado Fanti 22 R. QUENEAU, Exercices de Style, 1a ed., Gallimard, Paris 1947; èdition nouvelle, Gallimard, Paris 1995. 23 A.C. QUINTAVALLE, Messa a Fuoco… cit. fato o viceversa dove vengono annotati i dati che riguardano la persona che ha ‘ritagliato’ il momento, il luogo, e la porzione di soggetto ripreso, che ha scelto di rappresentarlo con una sola immagine o con una sequenza che si pone come un vero e proprio racconto… Se pensiamo al problema di tipo ontologico che il fotografo può porsi, ossia quello di stabilire i limiti che definiscono un soggetto da fotografare, ad esempio dove finisce l’eventuale edificio che si vuole riprodurre, se ne siano parte integrante le relazioni di continuità/discontinuità che esso intesse con la strada, con gli altri edifici situati all’interno della cerchia delle mura cittadine e le relazioni che la città medesima intrattiene con il territorio e il paesaggio circostante, la decisione in merito è una ‘scelta’ precisa e determinante per conferire un determinato senso alle riprese fotografiche. Per ora interroghiamoci quindi su quello che succede al di qua della lastra: sul fotografo, sul ‘come’ e sul ‘perché’. Diamo per scontati gli aspetti tecnici che permettono di interpretare e manipolare in più modi il medesimo oggetto, cosa che oggi, col digitale, è ancor più facile, al punto che siamo portati a non dare ad una fotografia maggiore attendibilità di quanta non potremmo dare ad un disegno. Prendiamo in considerazione le diverse attrezzature mentali, le differenti modalità concettuali e di esecuzione tecnico-linguistica che permettono, nei confronti del medesimo oggetto, di comunicare il diverso ‘senso’ che via via gli possiamo attribuire come in un Gioco di Stile di Queneau. Si veda la stupenda edizione del 194722, oppure le successive edizioni del 1963, o del 1979, per i tipi di Gallimard, dove le diverse stesure della medesima struttura narrativa sono stampate con opportuni differenti caratteri tipografici e accompagnate da disegni, collage, opere grafiche, fotografie…: ognuna è intonata, se così possiamo dire, ad ogni stesura del testo a seconda dello stile particolare che la connota, in modo da formare un’unità di comunicazione coerente e complessa. La prima cosa da prendere in esame è la motivazione che spinge il fotografo a realizzare una ripresa e ad osservare un soggetto, prestando attenzione e mettendo a fuoco qualcosa di ben preciso, e secondo una peculiare modalità, isolandolo da quella parte di contesto che viene eliminata o cui viene dato il ruolo di sfondo indistinto. Quintavalle osserva come nell’operazione di organizzazione e conservazione di materiali storici sia forte la tendenza a raggruppare i materiali fotografici attraverso una griglia concettuale che li distingue sulla base degli oggetti raffigurati piuttosto che della finalità della loro rappresentazione23. Più raramente si imposta il discorso partendo dalle motivazioni profonde del fotografo e dalla concettualità attraverso la quale questo testimone ha filtrato una particolare interpretazione delle cose. Qualunque fotografo, al pari di noi tutti, si trova calato in una situazione storico culturale precisa, con i suoi valori (o non-valori), ovvero quella che negli ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 119 La fotografia come estensione della memoria anni Settanta molti filosofi chiamavano ‘ideologia’ (nel senso di criteri culturali di riferimento accettati inconsapevolmente in quanto ritenuti naturali) che tende a condizionare molte delle sue scelte. analogamente, anche chi conserva e organizza un fondo di fotografie storiche può inconsapevolmente sovrapporre a quella del fotografo la propria ideologia, ad esempio attribuendo a certe immagini un particolare senso, estraneo alle intenzioni dall’autore ma che il conservatore rileva sulla base di una sensibilità che si è evoluta in tempi successivi. Ciò che è recentemente accaduto con l’avvento del digitale va a complicare notevolmente le riflessioni ed i conseguenti criteri dell’operare del critico e del conservatore. Quella che definiamo fotografia storica e i relativi fondi conservati hanno una consistenza e un’identità che consentono un lavoro di analisi critica relativamente agevole. Tuttavia se per un attimo dimentico il ‘glorioso’ passato della fotografia, da quella pionieristica fino agli anni Settanta e mi riferisco solo alla contemporaneità, mi trovo a riflettere sul fatto che Instagram, il popolare sito di condivisione d’immagini acquisito da Facebook, ha riferito che ogni giorno sul suo network si pubblicano cinquantacinque milioni di scatti, 38.000 al minuto. Mi domando: nel panorama attuale dei riti di consumo di massa cosa spinge all’atto compulsivo del ‘selfie’, che poi altro non è se non un ‘autoritratto’, espresso però con la dilagante quanto provinciale esterofilia linguistica? «Fino a non molto tempo fa, girare per una città (specie se non turistica) e vedere qualcuno che faceva fotografie era raro. ora invece tutti fotografano, per strada, in pizzeria, ovunque, trovi sempre chi sta immortalando (cioè, alla buona, registrando) un momento, o sta guardando sul telefonino una foto che gli è appena arrivata»24. Naturalmente, come accade a tutti i fenomeni che assumono proporzioni di massa, anche i commenti sui fenomeni stessi si moltiplicano: anche gli psicologi s’interrogano sulle motivazioni di tali fenomeni e ci si chiede se la mania degli autoritratti sia una ricerca attraverso un mezzo di comunicazione nuovo o se possa essere considerata una forma di narcisismo dilagante. a proposito di narcisismo, consideriamo le parole di Lowen scritte all’inizio degli anni ottanta: «La proliferazione delle cose materiali diventa la misura del progresso nel vivere […] Quando la ricchezza occupa una posizione più alta della saggezza, quando la notorietà è più ammirata della dignità e quando il successo è più importante del rispetto di sé, vuol dire che la cultura stessa sopravvaluta l’’immagine’ e deve essere ritenuta narcisistica»25. Subito dopo, che ne è della quantità mostruosa degli scatti eseguiti con i cellulari? Quanti sono quelli presenti in una nazione in un dato momento e in un anno ogni cellulare quanti scatti esegue? Parlo di cellulari poiché è sempre più raro e a me provoca una certa tenerezza, vedere qualcuno con una macchina fotografica a tracolla mirare eseguendo con attenzione l’inquadratura, 119 24 M. FERRARIS, Dove sei?... cit. 25 A. LOWEN, Il narcisismo. L’identità rinnegata, Feltrinelli, Milano 1985. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 120 120 Corrado Fanti spostandosi leggermente per modificarla… fino al punto giusto. Il cambiamento di paradigma riguarda non solo la pratica quotidiana o le fotografie amatoriali ma investe anche l’aspetto professionale della fotografia. Nella precedente era dell’analogico spesso le industrie affidavano ai grandi fotografi sia il compito creativo sia quello esecutivo di una campagna pubblicitaria. Il fotografo era un autore, un ricercatore, un analista la cui visione del tutto personale era riconosciuta e ben riconoscibile. Pensiamo all’assoluta personalità delle opere di autori come Richard avedon o helmut Newton, per citare alcuni dei maggiori, dotati di linguaggi così diversi sia pur lavorando all’interno dello stesso genere. allora poteva prendere corpo ed essere condotta a termine l’idea di una produzione totale a cui il fotografo partecipava attivamente fin dalla nascita dell’idea della comunicazione, per giungere alla realizzazione, alla grafica, all’impaginazione. oggi riscontriamo che il fotografo ha sempre minori margini di autonomia ideativa così come il segno dei diversi fotografi è a mio avviso sempre meno distinguibile: la produzione è parcellizzata attraverso una catena di montaggio di competenze specialistiche e al fotografo è imposto anche un segno che non sia tanto distintivo dell’autore quanto unicamente del prodotto, un segno le cui caratteristiche anonime gli vengono indicate dalle indagini di mercato con finalità unicamente economiche. Il mercato dà al consumatore ciò che egli vuole e nel consumatore si deve indurre il bisogno di ciò che il mercato produce. Si entra in un circolo vizioso nel quale l’inventiva, la novità, i linguaggi personali vengono sempre più sacrificati e si appiattiscono in una banalità stereotipata e ripetitiva. Raccolgo la testimonianza di Fabio Caria, da più di trent’anni titolare e ‘tecnico’ di un laboratorio fotografico per autori e professionisti (‘BT&C Laboratorio di trattamento di immagini fotografiche e digitali’), il quale si è sempre fatto carico di un’attenta riflessione teorica sulla fotografia anche come promotore d’incontri di carattere culturale: «oggi la definizione di laboratorio fotografico è completamente svuotata. […] parlo di un cambiamento assoluto di paradigma. […] La memoria di esperienze precedenti non è più accettata nel confronto e nel passaggio al digitale […] quello fotografico non è più un ‘campo’ ma solo un mercato […] Non possiamo più parlare di ‘memoria’ o meglio di percorso della memoria […] oggi usiamo i ‘linguaggi’ come convenzioni, nominiamo cose che non conosciamo, ma che ci permettono di vantarci di conoscere […] occorre affrontare la fotografia e conoscerla come percorso storico stratificato […] oggi che sono in corso cambiamenti epocali del suo linguaggio e dei suoi statuti, della sua tecnica e della sua identità, del suo ruolo sociale e del suo mercato». Lavoro d’équipe o piuttosto catena di montaggio? D’altronde mi sembra di poter registrare una certa rinascita generale di un modo di produzione di tipo tayloristico. Forse il fatto che il cambiamento degli ultimi decenni ci abbia portato in una dimen- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 121 La fotografia come estensione della memoria sione diversa fa sì che gli aspetti e le modalità della fotografia storica possano apparirci sotto una veste nuova e che se ne stia modificando il nostro giudizio critico. Facciamo un passo indietro nella storia, e fermiamoci a prima che apparisse il digitale. Come storici e conservatori di archivi fotografici, non dovremmo forse segnare una periodizzazione che individua una frattura fra il periodo dell’analogico e quello del digitale così come il Direttore di una Pinacoteca distingue le sale del Rinascimento da quelle del Barocco? Il digitale poi, rispetto all’analogico, pone precisi e nuovi problemi di conservazione: il tecnico mi raccomanda di conservare i file delle immagini anche in almeno due memorie esterne parallele; ancora, di duplicarli dopo qualche anno, anche se vengo avvertito di non essere troppo ottimista, in quanto ogni passaggio d’informazioni comporta un inevitabile decadimento delle stesse e della struttura che tende inevitabilmente al ‘disordine’. Non parliamo poi delle stampe la cui durata è assicurata per tempi risibili rispetto a quelli dei supporti ai sali d’argento (analogici) trattati con gli opportuni viraggi. Se vogliamo conservare immagini di notevole importanza artistica, la stampa controllata e approvata dall’autore ha vita breve: quando costui sarà venuto a mancare e dell’immagine resterà il solo file, come sarà possibile ristampare la fotografia così come cromaticamente è stata voluta dall’autore, dal momento che, a seconda delle stampanti, degli inchiostri, dei tipi di carte, ecc. il risultato è sensibilmente diverso? a quale ‘originale’ è possibile fare riferimento? La risposta che mi viene data dal mercato è che la fotografia digitale è fatta per essere usata, dopo di che non ‘serve’ conservarla. Sul piano scientifico pare vi siano soluzioni, ma non so quanto siano economicamente sostenibili. Il mondo attuale dell’informazione è forse destinato ad una perdita della memoria? Magari dovuta anche al fatto dell’enorme produzione che scoraggia l’idea di conservare tutto questo materiale. Ma torniamo ai tempi dell’analogico e all’analisi di ciò che avviene al di qua della lastra fotografica. Pensando allo studio e alla classificazione delle fotografie, ho ritenuto opportuno utilizzare concettualmente un modello strutturato come una tabella a doppia entrata nella quale le righe orizzontali classificano e suddividono un corpus d’immagini sulla base dei tradizionali generi (soggetti); al contempo le colonne verticali le suddividono in base alle differenti poetiche e specifici linguaggi. Privilegerò questo secondo modo di classificare le immagini, a mio avviso più utile. Pensiamo ad esempio a come due immagini che riproducono soggetti assolutamente differenti, un profumo e un’automobile, pubblicati nelle pagine pubblicitarie di una rivista patinata possano comunicare il medesimo senso di piacere tattile e il relativo desiderio di possesso. oppure come lo stesso genere di soggetto, ad esempio l’interno di una casa, possa comunicare due cose assolutamente distanti nel momento in 121 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 122 122 Corrado Fanti 26 R. BARTHES, Miti d’oggi… cit. cui, in un caso l’interno di una dimora con arredi d’industrial design sia riprodotto in una rivista d’architettura, e nell’altro siano documentate le misere condizioni di una stanza di contadini del sud ripresi nel corso di un’indagine sociologia sulla vita delle classi subalterne. Un’eventuale classificazione che inserisse le due immagini nella stessa categoria ‘interni di case’ sarebbe quanto meno fuorviante per chi conducesse una precisa ricerca all’interno di un archivio fotografico. allo scopo di individuare tassonomie utili alla classificazione di materiali fotografici ritengo possa essere opportuno distinguere tre situazioni di carattere economico, corrispondenti a tre diverse motivazioni che hanno condotto alla realizzazione di una fotografia. La prima consiste nel soddisfare la richiesta di un committente che è disposto a investire del denaro. all’interno di questa categoria possiamo inserire il fotogiornalismo e la fotografia di cronaca, (per comodità aggiungiamo la fotografia di costume, di spettacolo…) che propone una lettura événementielle, e di tipo narrativo. In secondo luogo, ricordiamo la fotografia di cerimonia e di autorappresentazione realizzata da quello che un tempo era il fotografo di bottega. La fotografia di riproduzione assume una funzione di tipo scientifico e oggettivamente documentario senza concedere alcuno spazio all’interpretazione. Quarta: la fotografia pubblicitaria o celebrativa che presuppone l’intento della valorizzazione dell’oggetto, il quale assume un forte con- tenuto simbolico che si dilata e si consuma come ‘mito’ nel senso utilizzato da Barthes26. Infine la fotografia glamour ed erotica: al di là del soggetto ‘nudo’, vorrei distinguere questo tipo di fotografia da quello pubblicitario. Un raffinato nudo di donna può suggerire in modo prevalente l’idea di un profumo o di una lingierie ma anche di una automobile, così come una fotografia di food può essere connotata da una grande raffinatezza erotica. al contrario un nudo espresso con un linguaggio più diretto e volgare (sempre che non voglia essere una provocazione artistica di tipo espressionista) è rivolto al piacere emotivo ed istintuale così potente nel genere umano e fonte di tanto guadagno editoriale. Per fare un esempio della trasversalità dei linguaggi rispetto ai generi, Bruno Zevi intitolò un articolo nella sua rubrica di architettura su «L’Espresso» Quella casa è una pin up (conservo in archivio la pagina ma purtroppo non ho annotato l’anno e il numero), aggiungendo che l’erotizzazione e l’abbellimento sono requisiti della pubblicità in generale; Zevi conclude affermando: «Nulla di strano, quindi se l’informazione architettonica si congela in foto di edifici ‘pin-up’ eternamente giovani». Forse la distinzione fra questi due ultimi linguaggi finisce per tradursi in una distinzione fondata su di un giudizio di valore: quello della raffinatezza che può anche arrivare a tradursi in arte (penso ai nudi di Man Ray o di Edward Weston, così come quelli con un segno tanto differente, di helmut Newton) e quello della volgarità e della ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 123 La fotografia come estensione della memoria ‘bruttezza’27, che va dall’erotismo vero e proprio al cattivo gusto dei rotocalchi di gossip con la copertina che espone il topless o il lato b di personaggi noti violati nella loro (presunta) inconsapevolezza della ripresa fotografica. Sul piano della conservazione si potrebbero semplificare le cose decidendo di non prendere in esame la produzione infima della fotografia, ma cosa direbbe il sociologo di una scelta tanto selettivamente moralistica o estetizzante? Certo è problematico il percorso nello spazio tridimensionale individuato dai tre vettori dei generi, dei linguaggi e del giudizio di valore estetico. In una terza categoria (della seconda, a cavallo fra queste prime due, parleremo dopo, in quanto andranno a seguire più precise riflessioni in merito) possiamo classificare la fotografia eseguita al di fuori di una committenza, che ‘auto appaga’: dalla fotografia come ricerca artistica (finché non intervengono gli interessi dei galleristi) fino alla fotografia fotoamatoriale. Le immagini sono realizzate con totale libertà di chi le fa o almeno questa è la sua opinione, poiché il farle appaga di per sé. Il fotografo artista si esprime e si muove in uno spazio creativo, del tutto libero nelle sue scelte, anche se mi chiedo quanto spesso, nella dialettica e nel confronto con la realtà concreta, l’arte sia stata davvero libera e svincolata dal mercato: forse solo in un periodo dell’ottocento e nell’ambito di alcune avanguardie del Novecento questo può essere accaduto, anche se questi episodi hanno creato nel pensiero collettivo l’idea romantica dell’artista motivato sempre e ‘puramente’ dalla libera ispirazione. Siamo all’interno della categoria del pittorico, quanto mai vasta e sfumata: dal pittoricismo ottocentesco o dall’uso della fotochimica per creare immagini informali fino alle stranianti provocazioni d’installazioni. Il denominatore comune consiste nel considerare la fotografia non tanto come uno strumento con una funzione nell’ambito della comunicazione quanto come un oggetto finito che determina autonomamente e contiene in sé la propria giustificazione estetica. Naturalmente si possono dare situazioni nelle quali un fotografo artista, come l’abbiamo appena tratteggiato, utilizza la propria sensibilità e capacità in ambito pubblicitario: cito solo oliviero Toscani fra gli altri per le interessanti interviste che ha rilasciato al proposito. Purtroppo nella maggioranza dei casi la fotografia di evasione vede il fotoamatore compiere un rito sovente fine a se stesso, nel quale sono investiti tempo libero e denaro, catturato, come lo siamo noi tutti, dai meccanismi dietro i quali si cela la sottile persuasione pubblicitaria che condiziona al consumo di apparecchi costosi piuttosto che all’affinamento di poetiche personali. L’autore si ritiene libero, tuttavia è possibile verificare come spesso le immagini realizzate finiscano per riprodurre modelli iconici e stereotipi visivi mutuati dai grandi autori le cui immagini si trasformano in miti e in topoi nell’imitazione dei quali il fotoamatore misura la propria abilità, sempre a patto che abbia acquistato 123 27 U. ECO (a cura di), Storia della bruttezza, Bompiani, Milano 2007. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 124 124 Corrado Fanti 28 A.C. QUINTAVALLE, Messa a Fuoco… cit. l’apparecchio di cui l’autore-mito si è reso sponsor. Infine consideriamo anche l’inoffensiva fotografia di puro ricordo come semplice riproduzione di qualcosa che si vuole conservare, affinché resti presente ciò che ormai non è più. a cavallo di questi due principali linguaggi intendo collocare la fotografia concettuale e d’indagine che, per dirla semplicemente, conserva la libertà espressiva del modello fotoamatoriale, persegue intenzioni estetiche attraverso le quali l’autore si esprime con un linguaggio personale, ma che si colloca all’interno di un processo di comunicazione teso a interpretare la realtà nell’impegno e nella consapevolezza dell’operazione che si sta compiendo. Dedicherò un maggiore spazio a questo registro espressivo poiché è quella cui ho fatto principalmente riferimento nel lavoro fotografico che viene presentato in mostra contestualmente al presente convegno. Questa modalità operativa è quella specifica di chi assume le vesti dell’operatore culturale godendo di una notevole libertà rispetto ai possibili condizionamenti della committenza. anche le altre due aree descritte sono dotate (quando lo sono) di una qualche concettualità che informa le scelte operative, ma uso questo termine per meglio definire una fotografia consapevole di essere una traduzione della realtà attuata secondo una concezione intenzionale, autonomamente assunta e dichiarata. Sovente il preciso soggetto della fotografia diventa se- condario rispetto al tipo di problema che l’operatore vuole esprimere, al punto che è quest’ultimo ad essere il vero soggetto dell’immagine che ne diviene espressione metaforica. Il fotografo rende espliciti i criteri ai quali il suo pensiero è informato, cosicché la fotografia, nel rappresentare se stessa come operazione, oscilla in un’altalena fra linguaggio e metalinguaggio producendo spesso, in questo modo, un particolare senso di straniamento (si vedano le fotografie di Wenders degli anni Settanta). Non mancano, e sono fra i più interessanti, gli episodi storici che possono essere ricondotti a questa modalità espressiva: farò unicamente riferimento all’episodio della Farm Security Administration nell’america dal 1929 che durò una decina d’anni e alle recenti campagne di Paolo Monti. Per quanto riguarda la prima si pensi ai nomi di W. Evans, D. Lange, B. Shahn, a Rothstein, J. Delano… tutti estremamente diversi, con un segno personale assolutamente distintivo, ma, come dice Quintavalle28, per tutti c’è un punto di partenza comune che ha fatto sì che si potesse parlare di uno stile della FSA. Ciò che li unisce, di fatto, non sono il linguaggio o le poetiche personali, e neppure il genere dei soggetti fotografati, bensì l’intenzione ‘politica’, nel senso nobile, aristotelico, del termine, quello della riflessione sul problema storico e sugli aspetti della terribile crisi del 1929. L’identificazione di questi tre ambiti può portarci a chiarire la distinzione che separa la fotografia come atto economico o edonistico da quella come atto politico, pur nella ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 125 La fotografia come estensione della memoria consapevolezza di non poter mai sottrarsi totalmente al concetto di mercato. L’altro esempio di cui mi voglio rendere testimone, anche per una personale conoscenza, è quello di Paolo Monti. a proposito di Monti scrive andrea Emiliani «al di là dei pur splendidi valori formali, era sempre sottesa all’immagine una complessità di connessioni, di legami, di inventiva continuità del lavoro umano, tale da corrispondere pienamente e sempre a quel concetto di globalità conservativa che era divenuto un punto fermo dell’esperienza delle campagne di rilevamento»29. Monti era del tutto calato nel problema della conservazione del nostro patrimonio artistico urbanistico paesaggistico, nell’accezione più larga che il termine ‘bene culturale’ può comprendere. Il suo era lo sguardo che lavorava di concerto con il Soprintendente conservatore e l’architetto impegnato nel progetto di tutela e di restauro della città: mi riferisco a Pierluigi Cervellati ideatore e realizzatore del recupero complessivo dei centri storici, dell’attuazione delle isole pedonali e del restauro conservativo del tessuto storico, anche non monumentale, della città antica30. Per molti dei miei lavori fotografici la finalità e il metodo furono gli stessi, come quello con il quale ho realizzato le immagini che sono presentate, come dicevo, contestualmente a questo convegno. Il lavoro, pur eseguito con un investimento di tempo per le riprese molto limitato, è stato quello di cogliere le specificità di un territorio, il senso del genius loci, cosa sovente più age- vole per uno sguardo non nativo dei luoghi. L’occhio estraneo (penso a Monti, milanese, in Emilia-Romagna), purché ben educato alla visione, riesce talvolta a sorprendersi e a cogliere ciò che, per chi è nato e vissuto in un territorio, può essere percepito come ‘normale’. osserva Gombrich parlando della nostra capacità di osservare la natura, e per fare questo cita Ruskin, che «la verità di natura non può essere colta da sensi non educati […] abbiamo capito che non è possibile separare nettamente ciò che vediamo da ciò che sappiamo»31. Il sapere non è tanto legato ad una assidua frequentazione di una precisa situazione, quanto piuttosto a una grande esperienza e memoria di diverse altre, tutte viste all’interno di uno specifico universo di problemi, cosa che consente gli opportuni confronti. Sia per lo storico dell’arte sia per lo studioso del territorio così come per l’artista, che al territorio s’ispira per leggerlo e interpretarlo, è imprescindibile l’esperienza continua del guardare e riguardare le medesime cose che mai appaiono sempre le stesse e rapportarle continuamente alle nuove. È solo sulla base dei confronti (e a buona ragione Roberto Longhi intitolò la sua rivista di critica d’arte, la più autorevole del Novecento, «Paragone») che possiamo cogliere problemi sempre nuovi e vivi, in quanto solo così siamo in grado di vedere ciò che diversamente potrebbe sfuggirci. È ancora Gombich che dichiara: «ogni osservazione, come ha messo in evidenza Karl Popper, è il risultato di un interrogativo che noi rivolgiamo alla natura e ogni interroga- 125 29 A. EMILIANI, ‘Introduzione’, in A. BACCILIERI, J. BENTINI (a cura di), Il Patrimonio Culturale della Provincia di Bologna. I. Gli Edifici di Culto del Territorio delle Diocesi di Bologna e Imola, Rapporto della Soprintendenza alle Gallerie di Bologna, n. 15/1973, Alfa, Bologna 1973-1974. 30 P. CERVELLATI, La città postindustriale, Il Mulino, Bologna 1984. 31 E.H.J. GOMBRICH, Arte e illusione… cit. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:57 Pagina 126 126 Corrado Fanti 32 Ivi. 33 H. FOCILLON, Vita delle forme, Minuziano, Milano 1945. tivo presuppone un’ipotesi, sia pur provvisoria […] si deve avere un punto di partenza, un termine di confronto se si vuole iniziare quel processo di fare e confrontare e fare di nuovo che alla fine si realizza nell’immagine compiuta. L’artista non può partire da zero»32 dotato della sola bravura tecnica o della sua ‘ispirazione’, come potremmo aggiungere noi sorridendo tuttavia su questo facile mito. L’intento di Monti non era tanto quello della sola documentazione, pur indispensabile per ogni intervento di programmazione, tutela e restauro, e neppure quello di realizzare unicamente immagini di ricerca estetica. La cosa che mi sorprese, nel vedere alcuni suoi lavori nella sua casa di Milano, era l’assoluta unità di forme, linguaggio ed espressione nelle fotografie quasi astratte e materiche dei ‘muri’ e in quelle eseguite nei centri storici, utili agli urbanisti e agli architetti. La sua era una grande capacità di cogliere le ‘forme’33 e il senso delle cose e saperlo rendere come un grande direttore d’orchestra che ci affascina sia nel momento in cui esegue una composizione personale sia quando dirige l’esecuzione di un grande pezzo del passato. Nella serialità della sua produzione si sente come Monti abbia assimilato in pieno quel rinnovamento della critica d’arte prodotto dai contributi critici che vanno da Longhi ad arcangeli, da Gnudi ad Emiliani, e, insieme ad esso, la grande lezione della storia, anzi ‘delle storie’ che ha inizio con i contributi degli «annales». Rinnovamento che ha scardinato quei confini angusti del concetto di opera d’arte, riservato solo ad alcuni grandi capolavori, aprendo ed estendendo il concetto di bene culturale dal singolo oggetto alla trama di relazioni che esso intesse con gli altri: un concetto di bene storico artistico che si apre all’universo di territorio dotato di una logica interna specifica e da comprendere nella globalità del suo insieme e nella tipicità dei segni che lo connotano, dai maggiori ai minori. Fin dalla fine degli anni Settanta sono stato coinvolto in questo tipo di lavoro e ho avuto il privilegio di condurre numerose ricerche informate a questi criteri: va ad andrea Emiliani la mia gratitudine per essere stato tramite della mia conoscenza di Paolo Monti e per aver potuto continuare dopo la sua scomparsa numerosi lavori di analisi del territorio. oltre a questo tipo d’indagine, ho condotto in passato ricerche personali di tipo diverso delle quali tuttavia non è qui il caso di parlare né questo spetta all’autore ma piuttosto ai critici. Voglio comunque dichiarare che, anche quando il mio lavoro ha avuto i caratteri del ‘servizio’, ho rivolto la mia attenzione ai valori estetici e al rispetto di quel mondo vivo delle forme che la fotografia mi ha aiutato a ‘notare’. a titolo di poetica personale, ho sempre ritenuto che la tensione per la ricerca così come l’entusiasmo per la scoperta delle forme, dovesse essere fondato su un criterio fondamentale fra gli altri: quello dell’’autenticità’ d’espressione (senza peraltro voler aderire ad una estetica crociana). In termini molto semplificati, credo che si possa sostenere che il parametro dell’autenticità, unito e a quello della ri- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 127 La fotografia come estensione della memoria conoscibilità di un segno personale all’interno di un linguaggio autonomamente strutturato e a quello della qualità tecnica (conoscenza e perizia tuttavia non succube dei tecnicismi), possa porsi come paradigma di riferimento per l’attribuzione della qualità artistica alle opere di un autore, nel senso classico, forte, del termine. Credo che alla fine tale criterio possa aiutarci a distinguere la qualità dalla ‘maniera’, della quale l’autore stesso può diventare prigioniero quando il mercato gli richiede un tipo di opera bene definita e riconoscibile. Nel caso della presente – breve – esperienza sul territorio della Carnia, come in molti altri, per quanto riguarda il mio specifico linguaggio, posso fare solo una dichiarazione di intenti che altri giudicherà se raggiunti o meno. ho cercato di cogliere alcuni aspetti formali del genius loci di questo territorio, ponendomi ancora una volta il problema della progressiva perdita, da parte di un territorio, della propria identità, problema tanto presente nel nostro paese insieme all’interrogativo su di un futuro compatibile con i valori che la storia ha prodotto. Non ho inteso esprimere una denuncia indignata per il degrado ormai dilagante, soprattutto in Italia, attraverso uno stile aggressivo e da reportage, ma in qualche misura ho adottato un modo di guardare analitico, che mi appartiene, adattando naturalmente il mio linguaggio alla specificità del territorio. Come nella maggior parte dei miei lavori mi sono servito della fotografia come metafora, preferendo esprimere i contenuti attraverso un montaggio di sequenze piuttosto che tramite l’autonomia della singola immagine. a proposito di un intento ed un modo di fare storia, mi piace ricordare le parole di Nietzsche espresse nell’opera Sull’utilità e il danno della storia per la vita, con le quali il filosofo invita lo storico a prendere decisamente le distanze da ogni pedante collezionismo antiquario come da ogni monumentalismo celebrativo, a favore di quella che lui chiama ‘storia critica’34. Mi è sempre sembrato opportuno corredare queste considerazioni con l’avvertenza di Bloch35 e di Ginzburg36 i quali indicano il criterio per un approccio fecondo alla storia locale anche quando essa è oggettivamente modesta rispetto i grandi eventi: essi osservano come tale storia abbia grande dignità nel momento in cui lo storico (così come il fotografo), si fa sempre carico di problemi di ordine generale, pur restando in un ambito territoriale circoscritto. Mi si potrà obiettare la notevole differenza fra il mestiere del fotografo e quello dello storico. In realtà non è poi così grande come potrebbe sembrare. Cito un caso esemplare. Nel maggio 1942 da parte del Ministry of Information fu conferito l’incarico, pare nientemeno che a Cecil Beaton, di svolgere un corso di formazione per i fotografi ufficiali inglesi che avrebbero seguito le truppe degli alleati in Italia. In quest’occasione fu redatto un interessante documento allo scopo di fornire una sintesi dell’addestramento loro impartito, nel quale s’indicava come fornire al pubblico un’immagine della 127 34 F. NIETZSCHE, Unzeitgemässe Betrachtungen. Vom Nutzen und Nachteil der Historie für das Leben, 1a ed. Leipzig 1874 (tr. it. di G. Sossio, Considerazioni inattuali. II. Sull’utilità e il danno della storia per la vita, in «Opere di Friedrich Nietzsche», vol. III, tomo I, edizione italiana diretta da G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 1973. 35 M. BLOCH, Apologia della storia o mestiere dello storico, 1949; versione definitiva a cura di E. Bloch, Einaudi, Torino 1998. 36 C. GINZBURG, ‘Intorno a storia locale e microstoria’, in P. BERTOLUCCI, R. PENSATO (a cura di), La memoria lunga. Le Raccolte di storia locale dall’erudizione alla documentazione, Editrice Bibliografica, Milano 1985. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 128 128 Corrado Fanti 37 Ministry of Information, Photograph Division, Sergeant-Photographer: This is Your New Job…, PH 21/11, May 1942, in Archivio Imperial War Museum di Londra (tr. it. di G. Casadio, dattiloscritto in archivio personale dell’autore). 38 R. BARTHES, Miti d’oggi… cit. guerra a sostegno della politica del War office: un vero e proprio manualetto di alcune pagine ciclostilate, piuttosto riservato (chi scrive conserva una copia del documento originale, tradotto da Gianfranco Casadio). In esso si dichiara: «Queste note sono per dirti qual è il tipo di foto di cui abbiamo bisogno […] Le tue fotografie non sono soltanto documenti – esse possono diventare anche un’efficace propaganda […] E quando tutto sarà finito, le vostre fotografie formeranno una parte dell’archivio nazionale della guerra, da conservare nel tempo […] Soprattutto, non fallire la ‘grossa’ foto per essere troppo preoccupato per questa eventualità. E ricorda che le tue fotografie dovranno avere l’enfasi dell’aZIoNE in qualunque luogo. Va’ ora, e buona caccia!»37. È palese la consapevolezza di dovere produrre delle fonti storiche e che in futuro il giudizio su quella guerra sarebbe dipeso anche dalle immagini con le quali i fotografi-soldati l’avrebbero rappresentata e dal confronto fra le testimonianze inglesi, quelle sovietiche, statunitensi e degli altri paesi coinvolti. Si pensi poi che l’addestramento impartito ai fotografi-soldati si svolgeva all’interno di studi cinematografici allestiti in madrepatria, dove erano stati creati scenari di guerra. Molte delle fotografie qui riprese furono poi utilizzate come ‘autentiche’ dalla stampa a livello di «Life», in quanto giudicate estremamente significative. Sottolineo l’importanza dei falsi storici che, quando smascherati, sono una testimonianza molto rivelatrice circa le ‘vere’ intenzioni di chi le ha prodotte. Lo storico analizza fonti, documenti e testimonianze del passato; il fotografo produce fotografie che domani potranno essere documenti e testimonianze non solo del passato, bensì anche dei modelli concettuali con i quali quel preciso fotografo ha interpretato la propria contemporaneità e cultura, che potranno rivelarsi al critico in modo anche più evidente di quanto il fotografo medesimo forse non ne fosse consapevole. In un microcosmo, anche ignorato dalle guide turistiche che evidenziano in verde i centri di grande interesse e che ci distraggono dal rimanente, è possibile cogliere i segni di problemi, per l’appunto, d’ordine generale. La fotografia può comunicare una riflessione e una rielaborazione su ciò che oggi siamo e come vediamo le cose di un passato che giunge fino all’attimo presente, ponendosi l’interrogativo, spesso senza risposta, di un progetto possibile e auspicabile per il futuro. Essa potrà forse essere utile a chi, osservandone la connotazione e il senso, sarà in grado di indicare tale possibile progetto. Penso a come Roland Barthes, analizzando numerose fotografie dal punto di vista della semiotica, ne abbia derivato spunti per corrosive riflessioni storiche, sociali e politiche, oltre naturalmente a servirsene come esempi della propria costruzione teorica38. È questo l’atteggiamento critico del fotografo che, consapevole della propria visione del mondo, considera importante offrire spunti per riflessioni e domande sul presente. È stato questo l’atteggiamento con- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 129 La fotografia come estensione della memoria sapevolmente assunto da Luigi Ghirri, esponente della ‘scuola emiliana di fotografia’, all’interno della quale chi scrive è stato talvolta collocato39, anche se, personalmente, sono restio a considerarmi appartenente a qualunque ‘scuola’ o gruppo. Molti degli autori annoverati in questa scuola sono poi presenti in quella che Roberta Valtorta cita come ‘La cosiddetta scuola italiana di paesaggio’40. La fotografia di Luigi Ghirri rappresenta un capitolo significativo della seconda metà del secolo scorso. Egli percorre con senso critico i luoghi dell’ovvio e della banalità quotidiana denunciando l’ambiguità della fotografia di consumo. Il suo gioco straniante produce momenti di difficoltà nella distinzione tra immagine riprodotta e realtà giungendo a inventare dimensioni sospese e quasi metafisiche. E questo non per fare arte bensì denuncia politico-culturale, in modo totalmente diverso da quello del linguaggio del fotogiornalismo, come egli dichiarava negli incontri che Italo Zannier promuoveva presso l’Università di Bologna, e ai quali chi scrive è stato partecipe. È doveroso, per tracciare un minimo orizzonte comprendente autori pur molto diversi tuttavia accomunati dal medesimo intento critico, citare quei grandi indagatori e provocatori che sono stati, fra molti altri, Robert Frank e Lee Friedlander, antesignani di questi linguaggi e di questa modalità di fare fotografia. Voglio proporre un ulteriore chiarimento, giocando per confronti attraverso una clas- sificazione di tre modi differenti di leggere un territorio, allo scopo di meglio delineare il tipo di intervento fotografico che può essere posto in atto descrivendo un territorio; sono queste, assieme ad alcune che ho sopra esposto, riflessioni non nuove, sulle quali ho già avuto modo di stendere qualche appunto41. Mi riferisco alla figura del turista, dell’abitante e del viaggiatore. Il ‘turista’ è un consumatore vorace quanto frettoloso dei ‘luoghi comuni’ sia in senso stilistico che geografico. Spesso riveste la figura del fotoamatore nel senso più riduttivo e tecnico del termine: il suo scopo fondamentale è quello di realizzare la ‘bella’ fotografia. Il suo gesto spesso è un rito fine a se stesso e il suo sguardo su ciò che lo circonda più che cogliere le specificità del suo ambiente, è teso all’emulazione degli stereotipi visivi mutuati dai grandi modelli proposti dai media, nell’imitazione dei quali egli misura la propria abilità. In modo ancora più riduttivo, ma sentimentalmente più che giustificato, il turista spesso si limita a qualche foto ricordo che pare spesso una cattiva copia delle cartoline più banali. oggi con i cellulari la sua vita è estremamente semplificata: egli realizza una grande quantità di immagini che, una volta riversate sul computer, spesso non sono più consultate. L’‘abitante’ si conforma talvolta ad un linguaggio e a scelte campanilistiche o da cartolina: lascio di nuovo a Nietzsche le parole per descriverne la mentalità ‘antiquaria’. Tuttavia va rilevato come altre volte il fotografo assuma i caratteri del giovane impe- 129 39 W. GUADAGNINI, La scuola Emiliana di fotografia, Art&, Udine 1997. 40 R. VALTORTA, ‘Territorio e società nelle collezioni del Museo di Fotografia Contemporanea’ in La fotografia come fonte di storia, Convegno, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Università degli Studi di Padova, Dipartimento dei Beni Culturali, Palazzo Franchetti, Venezia 4 - 6 ottobre 2012. 41 C. FANTI, ‘La visione delle forme-linguaggi e funzioni della fotografia nelle campagne di rilevamento’, in A. EMILIANI (a cura di), Le opere e i luoghi, Amilcare Pizzi, Milano 1997. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 130 130 Corrado Fanti gnato (giovane per l’atteggiamento mentale, non per la sola anagrafe), spesso esperto fotoamatore, che, educato ai grandi maestri, registra con una certa attenzione l’ambiente in cui vive. In questo secondo caso questo ‘dilettante’, nel senso nobile del termine, sa strappare il velo abitudinario col quale l’abitante guarda quotidianamente le cose e sa diventare viaggiatore nel suo stesso paese. È uno sforzo che richiede notevole impegno, poiché chi è coinvolto emotivamente nei confronti dei luoghi che più si legano ai suoi affetti, spesso fatica ad osservarli con occhio libero e critico. Va rilevato come questa figura possa rivestire una grande importanza nel momento in cui, nella vacanza di molte Istituzioni pubbliche, spesso i circoli fotografici di cui egli fa parte, adempiono a funzioni culturali di conservazione di materiali e di organizzazione di momenti culturali molto importanti. Il ‘viaggiatore’ è colui che cerca il ‘senso’ di un luogo, l’apertura con l’altro e un confronto nel quale s’interroga sul proprio sé: egli ben sa come mettersi in relazione e in discussione con la diversità. I suoi sono i caratteri del ricercatore, che si muove senza i condizionamenti della committenza così come si è liberato dei modelli stereotipati delle riviste di settore. È il fotografo che è consapevole dell’operazione che sta compiendo, del modello concettuale in base al quale indirizza il proprio sguardo sulla realtà. I differenti linguaggi di questi tre tipi di fotografi, al di là dei contenuti delle relative immagini, possono diventare testimonianze del clima culturale di un luogo e di un periodo storico in misura maggiore nel momento in cui il tempo ci allontana dal momento in cui sono state eseguite. La fotografia quando diventa storica ci permette di prendere coscienza in modo rilevante su come sia cambiata la realtà. Forse mai nel passato, prima dell’avvento della fotografia, gli uomini hanno potuto riflettere su termini di paragone tanto evidenti. Forse qui si nasconde una contraddizione. Siamo diventati più sensibili al nostro cambiamento ma nello stesso tempo percepiamo un senso di fissità delle cose, di una loro presunta immodificabilità storica. Molto spesso i giovani vivono il presente rifuggendo l’idea di una progettualità che si proietti in un futuro lontano. Di fronte al detto «il contadino pianta l’albero di cui non mangerà i frutti, i quali saranno colti soltanto dai figli», molti fra i miei studenti restano interdetti e, diversamente, si dichiarano motivati solo verso qualcosa che abbia un ritorno a breve termine. Così come a fatica s’immaginano un passato regolato da categorie, ad esempio economiche, diverse da quelle attuali, analogamente non comprendono come esse siano il risultato momentaneo – se pur di lunga durata – di scelte culturali e storiche. Eppure quando ad esempio guardiamo le foto degli anni Settanta, proviamo un senso di enorme distanza e dalle fisionomie stesse possiamo distinguere se ci troviamo in quegli anni o nel periodo fra le due guerre. Questo fenomeno non dovrebbe forse produrre una re- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 131 La fotografia come estensione della memoria troazione, un feedback culturale che dalla percezione del nostro divenire ci induca alla progettazione di un cambiamento di noi stessi e dei nostri costumi laddove li troviamo inadeguati? Mai nel passato, prima dell’avvento della fotografia, gli uomini hanno potuto riflettere su termini di paragone tanto evidenti e, in qualche misura, indiscutibili. Che tipo di rivoluzione della percezione di sé è avvenuta dopo una grande continuità di secoli, fino alla metà dell’ottocento, quindi, in maniera progressivamente accelerata, nella seconda metà del Novecento? Proviamo un senso di enorme distanza dal passato, come fosse una favola o uno spettacolo (forse la storia appare alle ultime generazioni come nient’altro che una serie televisiva in costume, una fiction) ma al contempo nella nostra quotidianità viviamo un senso statico delle cose e del tempo; rifuggiamo l’utopia e percepiamo (o ce ne illudiamo) un senso di onnipresenza e onnipotenza del presente al punto che viviamo anche il futuro, il progresso, come già presente nelle tecnologie attuali, quelle dell’’ultima generazione’. L’insistenza linguistica ad usare termini quali ‘prodotti avanzati’, ‘evoluti’, nei quali, appunto, il futuro è già presente nelle sue forme ottimistiche e risolutrici, a dispetto degli accadimenti che mostrano il contrario, cosa può nascondere circa nostri timori più profondi per quanto ci attende? Il progresso e il cambiamento sono già tecnologicamente inscritti nella logica e nel programma del presente. Con questa domanda spostiamo la nostra attenzione da quanto avviene al di qua della lastra fotografica, nella mente del fotografo, per spostarci al di là e per riflettere sul soggetto che attualmente appare come il mondo visto attraverso il mirino, e nello specifico, il paesaggio nel senso più lato del termine. È evidente che sotto quest’aspetto può rendersi necessario recuperare il concetto di ‘genere’ relativamente al fatto che, a seconda delle situazioni, il fotografo deve porre in atto procedure di ripresa differenti, che a loro volta incidono sul linguaggio fotografico e sul senso dell’immagine. Una cosa è una fotografia al microscopio o scientifica, un’altra la ripresa pubblicitaria in studio di un’automobile, oppure un ritratto o una fotografia di architettura. Le forme si evolvono o semplicemente cambiano. alcune, come edifici, strade, città… hanno impiegato molto tempo per trovare la loro struttura identitaria che si esprime in una serie di moduli il cui denominatore comune è ben riconoscibile e ci rimanda un senso di continuità pur nel variare delle forme nei secoli. Questo fino al Novecento. Può accadere che per chi si sia formato nella familiare quotidianità della loro percezione, esse diventino scontate e imprescindibili per il senso della propria personale identità. al viaggiatore diversamente esse sono estranee ed appaiono spesso cariche di grande suggestione e bellezza, caratterizzata da quell’unità di fondo che viene percepita come un’armonia musicale, una trama coerente di note e di frasi 131 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 132 132 Corrado Fanti pur diverse ma unitarie. Queste caratteristiche fanno della città, come del paesaggio storico, ciò che è stato definito ‘Bene Culturale’, opera d’arte diffusa, un museo vivo e a cielo aperto. Tuttavia noi percepiamo questa continuità, pur nelle differenze, fino al Novecento. ora viviamo in quella che è stata definita postmodernità. Ne darò un solo esempio in negativo, l’ultimo per me in ordine cronologico. Di recente ho compiuto un tragitto a piedi nella parte antica di Genova, nell’intrico della trama medievale dei suoi vicoli: un cammino rettilineo che da via del Campo prosegue per via Fossatello quindi confluisce in via San Luca; un itinerario parallelo alla cornice del porto, lungo il quale leggevo un’insegna che avvertiva che quella zona era definita dall’Unesco ‘Patrimonio dell’umanità’. È questo l’ultimo caso, fra i tanti, purtroppo sempre più ricorrenti, che ho dovuto tristemente riportare nel mio cahier de doléances, ormai saturo di annotazioni. ho percorso una teoria di negozi (un tempo erano sicuramente antiche botteghe), oggi sventrati e imbiancati come dei garage, con l’apertura grande quanto il vano, incorniciata da un infisso di alluminio anodizzato, sormontata da una scritta luminosa da supermercato dai colori volgari e priva della minima attenzione alla materia e alle forme della città. Una lunga teoria di garage-botteghe: le luci fredde e impersonali dei neon che invadono l’immediato esterno con espositori colmi di oggetti kitsch di ogni fatta e genere, ma tutti con- trassegnati dal medesimo senso dell’inutilità del gadget di poco prezzo e della sua immediata destinazione alla discarica, non appena acquistato. Persino la frutta, accanto a borse cinesi, occhiali, cappelli, foulard, e cianfrusaglie varie, mi apparivano come oggetti di plastica dai colori improbabili. a terra lungo questa epifania di stazioni del cattivo gusto, intervallate da botteghe di Tatu, International Comunication, Cucina Pakistana, Stock house, Discunt [sic] alimentare… come una teofania di un dio minore dell’olimpo del mercato, il selciato era viscido per un liquido sospetto e maleodorante. Lungo il percorso una bottega con l’accesso sprangato da assi inchiodate, riportava un cartello di protesta appiccicato di traverso a denunciare una violenza subita e la necessità della chiusura; un altro accesso di bottega nero del fumo di un incendio, il vano spalancato come una voragine oscura. al termine di questo percorso si apre Piazza Banchi che mi sorprende con l’improvvisa apparizione della splendida chiesa di San Pietro in Banchi. Dall’interno di un porticato a tre volte, il portale si affaccia su di un ampio terrazzo all’altezza del primo piano, limitato da un parapetto di aggraziate colonnine: vi si accede da una scalinata centrale a destra e a sinistra della quale, fanno da sostegno all’edificio le vetrine sulle quali campeggiano le scritte ‘ferramenta’, ‘casalinghi’, ‘utensileria’. ho visitato questo ‘patrimonio’ fra il fastidio e la tristezza, richiamando alla mente gli innumerevoli casi di scempio e degrado dove la mancanza di fondi per i restauri da ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 133 La fotografia come estensione della memoria un lato e la colpevole incuria dall’altro producono quell’ambiente degradato nel quale crede di prosperare una sottospecie di economia più o meno sommersa. Il senso di sconfitta era tale che non sono riuscito a riprendere neppure una fotografia. Dove viceversa è già presente un’economia che produce investimento, edificazione, grandi opere, lì prevale il segno postmoderno o, con diversa sfumatura, post-industriale42, segno della perdita dei luoghi, dell’identità, dei legami con le forme e con i materiali della storia e della natura. «Il paesaggio italiano è irrimediabilmente sfregiato. Quanto al patrimonio artistico, sono molto scettico circa la sua sopravvivenza». Sono parole riferite a Federico Zeri43. Su «Il Sole-24 ore» del 24 settembre 2006 leggiamo Liucci che parla di «saccheggio del territorio… in spregio all’interesse generale»44. Quindi segue la testimonianza di a. Cederna che «denunziava senza requie i vandali in casa che nella rapidissima ricostruzione sventravano i centri storici delle città d’arte e spianavano di cemento monti, colline, coste». La nostra montagna è un’opera d’arte naturale, ma è sufficiente che la si veda incorniciata da lastre di metallo ondulato più o meno arrugginite, o da materiali che nulla hanno a che vedere con quelli naturali, oppure che faccia da sfondo a cartelli e installazioni pubblicitarie, sono sufficienti questi contenuti perché la cornice visiva della montagna ci possa apparire come un fondale finto, stereotipato, di plastica e dipinto con colori acrilici. Diversamente, quando il crinale della costa montuosa è accompagnato dall’intonata inclinazione di un tetto, quando la materia di questo e le strutture che lo sorreggono odorano ancora della vita del legno del bosco che ricopre lontano la costa, allora la montagna è vera, le forme vivono una vita che si arricchisce nel tempo, la sua materia è la materia del costruire quotidiano, del curare, è la materia del legno la cui essenza nell’aria dà leggerezza al viaggiatore avvolto dall’odore della bellezza del luogo. L’allarme per il degrado delle città d’arte, e non solo quelle, è forte: è sensato pensare che si debba porre un riparo e che ciò deve essere fatto presto. Non c’è solo la Grande arte, la ‘Grande bellezza’, che Sorrentino indica forse come ultimo baluardo, ultimo valore che ci può salvare dal violento caos amorfo e dilagante. Voglio invocare un concetto a mio parere altrettanto importante: quello che vorrei definire di ‘bellezza diffusa’. La bellezza diffusa del paesaggio dei centri minori che sta ai valori estetici della grande arte come la storia locale sta alla grande storia, qualora la prima sia indagata nell’attenzione ai problemi di ordine generale, e la bellezza diffusa s’inscriva nell’ampio contesto di un territorio che si struttura e che si dispiega come una sinfonia. Esprimevo poco tempo addietro all’amico Dino Zanier il mio sconforto e il mio pessimismo circa l’incidenza che possono avere operazioni editoriali come la presente, mostre, convegni, episodi culturali. Per quanto riguarda la mia persona, dopo quarant’anni di lavori in que- 133 42 P. CERVELLATI, La città postindustriale… cit. 43 M. PIGOZZI, R. GIOIA, Federico Zeri e la Tutela del Patrimonio Culturale Italiano, Clueb, Bologna 2006. 44 R. LIUCCI, «Il Sole-24 Ore», 24.09.2006. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 134 134 Corrado Fanti 45 T. DE MAURO, Sette italiani su dieci non capiscono la lingua - Cresce l’analfabetismo di ritorno «Corriere della Sera», 28.11.2011. 46 G. BOLLATI, L’italiano. Il Carattere nazionale come storia e come invenzione, Einaudi, Torino 1983. st’ambito e soprattutto dopo poco più di mezzo secolo d’interventi di storici dell’arte, architetti, scienziati del territorio, ecc., è avvilente registrare lo stato delle cose. Per consolarmi l’amico Dino mi riferiva del successo che ha avuto una mostra su Man Ray, che ha registrato un grande interesse da parte dei giovani. al che mi sorgeva spontaneo osservare come tanto pubblico si sia entusiasmato e commosso alla lettura di Dante offertaci da Benigni, poi, finita la trasmissione, si continua a massacrare la nostra lingua con una grammatica approssimativa. ammiriamo il nostro idioma giusto per il tempo della trasmissione, ma facciamo regolare scempio della lingua italiana nella quotidiana comunicazione con i nostri sms, mail… i giornalisti fra i primi. Per meritare la patente di persone sensibili alla cultura non sono sufficienti un paio d’ore di Benigni. È nella quotidiana difesa della bellezza del nostro patrimonio linguistico che è richiesto il nostro impegno per la bellezza diffusa. Si pensi soltanto a quante sigle e quanti neologismi tecnologici e termini cacofonici entrano ogni anno nella nostra quotidianità e nel dizionario Zingarelli; perlopiù inutili, con il solo effetto gergale del senso di appartenenza ad un gruppo di eletti che ne fanno uso. Si pensi a quanta banalizzazione della complessa struttura sintattica della nostra lingua che, come un’architettura gotica, viene appiattita su di un muro di cemento nel quale gli archi rampanti dei congiuntivi e dei condizionali vengono assorbiti nella banalità di un indicativo per ogni situa- zione. Tullio De Mauro, in un articolo del «Corriere della Sera» del 28 novembre 2011, sottotitolato ‘Cresce l’analfabetismo di ritorno’, osservava che «il 71% della popolazione italiana si trova al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura di un testo di media difficoltà»45. Rifletto sulla contraddizione fra un ampliamento della lingua e un aumento di termini specifici e specialistici da un lato e dall’altro un abbassamento della capacità media di lettura e comprensione. Nella descrizione di questo disastro il mio occhio vive lo sconforto, ha smesso di fermare immagini e ripercorre col pensiero la citazione leopardiana di Bollati: «Siamo all’esteriorità che diverte i viaggiatori calanti dal Nord. Leopardi guarda con quegli stessi occhi ma non sorride al pittoresco. Il teatrino italiano nasconde uno sfacelo profondo. La mancanza di società determina arbitrio e difformità nei comportamenti: ‘ciascuna città italiana non solo, ma ciascun italiano fa tuono in maniera da sé’ [G. Leopardi, Opere, a cura di F. Flora, Poesie e prose, vol. II]; quindi dispregio di ogni norma sociale, poco rispetto di sé, nessuno degli altri, l’opinione pubblica impotente e irrisa. Ignoranza, presunzione, indifferenza, cinismo;… ‘il popolaccio italiano è il più cinico dei popolacci’ [Leopardi, ibid.]46». Ma c’è qualcosa di più sconfortante nel momento in cui pensiamo al paesaggio. Resto perplesso nel vedere lo sbigottimento sorpreso con il quale il giornalista del telegiornale annuncia l’ennesimo smottamento del torrente in piena che tracimando travolge ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 135 La fotografia come estensione della memoria con violenza automobili e ogni cosa che trova nel suo cammino, lungo la strada che si è trasformata in un vortice di fango; e questo accade quando più di trent’anni or sono Lucio Gambi (si veda l’antologia di scritti47), uno dei più importanti innovatori del Novecento in ambito geografico (oggi la sua eredità è raccolta da Franco Farinelli – professore ordinario presso l’Università di Bologna –, di cui consiglio la lettura delle pubblicazioni disponibili), avvertiva che le modalità degli interventi sul territorio, il cambiamento delle culture e di tutto ciò che stava avvenendo dalla ricostruzione postbellica in poi avrebbe inevitabilmente portato a tali devastazioni. Già, ma allora si era accusati di pessimismo e di volere arrestare il progresso. Era questa bellezza diffusa che con il lavoro fotografico di Paolo Monti e di altri (non molti per la verità), s’intendeva sottolineare: destare l’attenzione ad essa e sollevare l’allerta per una sua possibile distruzione in chi non ne percepiva la fragilità. Il degrado e l’offesa alla bellezza diffusa non è già come lo sfregio di un pazzo ad un importante capolavoro in un museo: non è così eclatante da risvegliare l’immediata riprovazione di chiunque. È fatta di azioni quotidiane minime, di piccoli abbattimenti di edifici, di piccole ricostruzioni che nulla hanno a che vedere col contesto: l’installazione di una parabolica, un cartello pubblicitario stonato, un traliccio dell’Enel che poteva essere collocato più in là. atti diffusi di scarsa educazione alla bellezza. È una singolare contraddizione che sia nato e si sia sviluppato il concetto di ‘arredo urbano’, al quale è riservato uno specifico spazio nelle facoltà di architettura e al contempo non vi sia mai stato tanto disordine e bruttezza per tutti gli orpelli che inquinano visivamente lo spazio urbano, che poi non è altro che la nostra casa allargata. Non vorrei eccedere in polemica ma a volte mi chiedo se sia meglio invocare l’intervento dei giovani architetti creativi post-moderni per sistemare il maquillage delle nostre città o se piuttosto le cose lasciate alla casualità e senza progetto siano in fondo meno fastidiose allo sguardo, sempre che non intervengano pesanti interessi economici. Ma devo dire che qui in Carnia ho visto cose che mi fanno ben sperare in merito ad architetture contemporanee che fanno rivivere, rinnovate, le forme ed i materiali storici. Nel sollevare queste critiche mi riferisco soprattutto all’Italia, anche se il degrado della post-modernità è un problema che riguarda la globalizzazione; tuttavia in alcuni paesi europei vedo molto spesso acquisita la lezione dei nostri storici dell’arte e conservatori (tenuta magari dalla cattedra della Sorbona, mentre essi vengono dimenticati a casa nostra). all’estero vedo spesso messa in pratica questa lezione, e la vedo penetrata nel buon senso di molte persone d’ogni livello culturale, che hanno elaborato un qualche rispetto per gli spazi pubblici del vivere. Non sono un denigratore del mio paese ma, proprio perché è il ‘mio’, e lo amo – quarant’anni di lavoro e di didattica lo dimostrano – sento di doverne 135 47 L. GAMBI, ‘Scritti di Lucio Gambi’, in M.P. GUERMANDI et al. (a cura di), La cognizione del paesaggio. Scritti di Lucio Gambi sull’Emilia Romagna, Bononia University Press, Bologna 2008. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 136 136 Corrado Fanti 48 J.-F. LYOTARD, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Feltrinelli, Milano 1981. 49 M. AUGÉ, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano 1993. denunciare lo scempio a chi nella piccola quotidianità, offesa dopo offesa, ha assunto il brutto che ci circonda come ‘normale’. Questo va denunciato così come vanno giustamente denunciati gli scempi alla giustizia, alle leggi, allo Stato, tipiche della nostra cultura… ma non è il caso di allargare il discorso anche se il rapporto fra edilizia, urbanistica, territorio e illegalità organizzata è molto stretto. Fortunatamente esistono situazioni virtuose: per citare casi lontani da queste zone della Carnia, fra i luoghi a me noti mi piace richiamare la situazione significativa della Val d’orcia, in Toscana, nei trent’anni circa che seguirono la decisione di farne un parco con una regolamentazione per il rispetto del paesaggio molto attenta e rigorosa, il cui ritorno anche economico ha ben persuaso chi inizialmente era perplesso. Purtroppo, diversamente da quanto è stato realizzato in qualche isola del rispetto, ciò che è avvenuto nella seconda metà del Novecento ha qualcosa di assolutamente singolare rispetto alla storia del passato: Lyotard48 allargando l’orizzonte territoriale all’ambito dell’intera globalizzazione, teorizza come nella cultura postmoderna, il sapere non venga più legittimato attraverso quella che egli definisce la ‘grande narrazione’, il pensiero forte, le filosofie che intendevano dare una risposta articolata e coerente al senso della storia. La cosiddetta ‘grande nazione’ è stata sostituita dal valore frammentario delle merci, dal suo ‘consumo’, (anche la cultura è qualcosa che si consuma), atto di una nuova cultura che si regge sul binomio utile-inutile che sostituisce l’ormai vecchio e superato vero-falso. «a cosa serve?»: è la domanda generalizzata e ricorrente che ci si pone di fronte a qualunque cosa. Nella scuola non si dà più importanza alle attitudini o alle capacità individuali, ma si tende a formare delle ‘competenze’ piuttosto che un metodo critico; non esiste progetto o utopia per il futuro, ma si considera lo stato attuale come immodificabile nell’immobile e continua permanenza del progresso tecnologico. Nella scuola, alla comprensione del ‘senso’ si sostituisce la meccanica ripetizione delle cose. Questa visione delle cose diventa il supporto teorico della lettura del paesaggio operata da augè49: i ‘non luoghi’ sono spazi che non hanno più un’identità e una relazione col passato, non si fondano più sulla storia come portatrice di senso; non mostrano più alcuna organicità, si presentano solitari, come il contrario di ogni utopia, la loro non identità tende ad allargarsi a macchia d’olio in maniera uniforme. Gli oggetti, le cose che un tempo avevano un loro spessore, un loro peso e una loro concretezza sono sostituite da informazioni, cartelli, icone, da tutta una virtualità che si sostituisce alla realtà. Il relativismo che doveva essere tolleranza e ascolto è diventato azzeramento d’ogni riferimento ad una sensata storicità identitaria. Il rifiuto di ogni storicismo irrazionalista e ideologico (gli storicismi che hanno condotto alla devastazione delle ultime due guerre) è diventato pragmatismo del libero mercato e del consumo quali unici valori oggi difesi o ai quali ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 137 La fotografia come estensione della memoria ci siamo oggi rassegnati nella delusione e nell’incapacità di costruire nuovi o rinnovati valori profondi, quando purtroppo non siano connotati da fanatismo estremista. Se vogliamo fare un’osservazione di larghissimo respiro e molto semplificante, potremmo rilevare un analogo copione nel Medioevo e nella nostra società progredita: allora si cercava di raggiungere il paradiso (forse mai raggiunto da nessuno) attraverso donazioni di denaro alla Chiesa e una comunicazione verticale, superstiziosa, con un supposto deus ex machina. Nella nostra società progredita si cerca di raggiungere la felicità (sicuramente mai raggiunta in questo modo) attraverso versamenti di denaro al dio Mercato e una comunicazione orizzontale informatizzata con messaggi e mail a supposti amici virtuali. In ambedue i casi i rituali di fronte all’altare quotidiano, sia esso l’inginocchiatoio o il computer, con il loro diverso ma simmetrico copione, non cambiano lo stato profondo delle nostre attese ed illusioni psicologiche. Vivo in modo forte il senso dell’inutilità della mia azione e delle mie indicazioni di fronte alla forza dirompente dei valori del mercato e, a costo di apparire impopolare, quello che ai miei occhi appare come un preoccupante abbassamento di capacità critiche nelle nuove generazioni. Non so se questo è solo un giudizio personale che potrebbe inscriversi nella dialettica opposizione generazionale che si verifica da sempre. Troppo spesso, tuttavia, ho occasione di raccogliere da parte di giovani studenti o ricercatori particolarmente dotati e sensibili lo sconforto per una dichiarata solitudine ed estraneità ai supposti interessi e alla vita dei coetanei, giudicati talvolta con una severità maggiore della mia e con altrettanta rassegnazione. Ritengo tuttavia un dovere morale tentare di compiere anche un piccolo atto finalizzato alla preservazione dei Beni Culturali perché, se finora il pensiero unico del consumo si è imposto, tuttavia il disastro ecologico (natura, salute, alimentazione, guerre diffuse, inquinamento…) renderà necessaria, anche se tardiva, quella indicazione concreta, finora sconfitta, che negli ultimi trent’anni ha cercato di porre un freno al pensiero unico dilagante. La situazione nella quale ci dibattiamo s’involve su se stessa nel paradosso. oliviero Toscani con la violenta ed evidente semplicità di linguaggio dei suoi enormi cartelli pubblicitari ci ha costretto a guardare queste piaghe (la terribile fotografia della giovane ragazza anoressica nuda, la coppia anch’essa nuda in posizione erotica con i due intenti al computer portatile…). Toscani vuole provocarci alla riflessione, e evita di comunicare un prodotto con un’immagine ammiccante e patinata, ma al contempo ci induce alla condivisione della scelta della marca che, in secondo piano, appare come sostenitrice di quella comunicazione. In modo inverso ma ugualmente paradossale, gli spot buonisti, che palesemente ci invitano all’attenzione ecologica, al risparmio energetico, al sogno di una campagna incontaminata dove l’antico mulino macina ancora il grano con la pulizia di 137 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 138 138 Corrado Fanti un tempo, in realtà ci inducono a comportamenti consumistici i cui effetti sono il contrario del messaggio dichiarato. È stato necessario un film a rammentarci il valore della ‘grande bellezza’: dobbiamo ora riscoprire il valore di quella che ho voluto definire ‘bellezza diffusa’: uno sguardo dall’alto, uno sguardo che prende il volo dalla nostra casa, dalle nostre strade, città, campagne, montagne… uno sguardo a volo d’uccello, una ichnoscenographia. ho negli occhi le mirabili tempere o acquerelli settecenteschi, che mostrano in primo piano l’aia su cui si affaccia il casolare con il fienile, il grande olmo a dare frescura, il pozzo, gli edifici di servizio, l’orto, la casa padronale, poi appena dietro, la cavedagna sinuosa lungo l’argine e, accanto, la piantata a delimitare l’ordito dei campi modellati a porche, sì da convogliare le acque lungo le scoline, i filari che si allontanano verso l’azzurro delle colline lontane, punteggiate da borghi… Quel mirabile sposalizio, intendo, fra la fatica dell’uomo ed una natura che Leopardi definiva per l’appunto ‘umanata’. I cabrei e i catasti settecenteschi non sono certo capolavori alla pari di quelli dei Carracci – in ogni caso nelle tele dei grandi, quanti appunti, note e descrizioni puntuali sul territorio! – nondimeno sono tracce, segni di quella bellezza diffusa senza la quale, come un accogliente grembo materno, i grandi capolavori intristiscono come oggetti solitari venerati il giorno dell’inaugurazione della mostra di cui si fa un gran parlare, davanti ai quali file interminabili sostano solo per qualche secondo, il tempo per poter dire di avere fatto cultura; quindi le grandi tele ripiombano nella silenziosa tristezza delle vuote sale dei musei. Il concetto di bellezza diffusa si collega a quello di ‘cura’, tuttavia non nella pessimistica concezione heideggeriana: anche se è vero che la mia generazione si è formata nel segno (ma non solo) di un’inquietudine esistenziale che, nell’accendere la domanda sul senso della ‘mia’ vita, in taluni casi è approdata ai valori laici di cui ho parlato finora, i quali, trasversalmente, sapevano confrontarsi anche con un pensiero non laico, sulla base di progetti per una costruzione umana da attuarsi con buona volontà. ora intendo utilizzare il termine cura nel senso maggiormente frequentato di attenzione nei confronti di qualcosa che si ama e di se stessi, consapevoli della comune fragilità. La pratica quotidiana del guardare e annotare sulla pellicola, nel contrappunto delle riflessioni teoriche, ci insegnava come l’opera d’arte andasse osservata, scoperta, compresa e fotografata non solo all’interno del limite della tela, bensì insieme a quella cornice rappresentata dall’altare, all’interno dello spazio di una cappella, nella teoria del percorso in una chiesa inerpicata su un colle o adagiata nella campagna, lungo una strada che ne segnava la storia, il campanile a indicare il luogo, le distanze, gli spazi fra borghi e in fondo la città, grande opera complessa, sedimentata nel tempo, nel contrappunto sempre diverso e singolare ma mai dissonante dei diversi stili nei secoli. Questo fino alla postmodernità. Il dopo- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 139 La fotografia come estensione della memoria guerra: un disastro di distruzione e di edificazione selvaggia attuata prevalentemente per il solo interesse speculativo, spesso nel più sfacciato, colpevole e tollerato, quando non sanato, abusivismo. Si pensi alla trama della centuriazione romana che ha disegnato e organizzato la Pianura Padana fin dai secoli prima di Cristo e che nei secoli ha faticosamente costituito l’ordito portante delle successive opere di regimentazione delle acque, di un’organizzazione del loro deflusso dalle grandi arterie fino alla rete minima di capillari come le scoline nei campi. Una struttura che ha fatto da fondazione a tutto il successivo sviluppo economico e urbanistico. Una vera e propria rete di linfa che, sapientemente collegata alle grandi arterie fluviali, riesce a equilibrare mirabilmente l’approvvigionamento idrico e per converso il deflusso dell’eccedenza delle acque in quel grande polmone che è la pianura. Poi arriva il dopoguerra e la postmodernità con una serie ininterrotta d’interventi che non hanno tenuto conto della storia e che hanno ritenuto di potere inoffensivamente e utilitaristicamente interrompere per lunghi tratti questo tessuto, con lunghe barriere stradali. Sono arterie di traffico su ruote che hanno vivisezionato e reciso il faticoso lavoro di secoli provocando dissesto e necrosi di larghe parti della campagna. Lucio Gambi, che abbiamo prima ricordato, ci ammoniva del futuro disastro ecologico che puntualmente abbiamo subito e stiamo subendo, in realtà superiore a quei moniti che venivano presi con leggerezza, ‘troppo pessimistici’ ci di- cevano. E oggi, sbigottiti, ci indigniamo per i disastri che violano le nostre proprietà, per i torrenti che devastano la Liguria, un esempio fra i tanti, miopi oggi nel comprenderne le cause come tanti erano miopi allora nel saper prevedere i futuri effetti. È un panorama davvero inquietante e sconfortante quello che si apre davanti all’obiettivo della nostra camera ottica. Ritengo che stiamo vivendo in una situazione di forti contraddizioni; oltre a quelle già notate, penso si debba aggiungere qualcos’altro: c’è stato un enorme aumento di possibilità di comunicazione e d’informazione, e con esse si dovrebbe aggiungere di democrazia. Per tutti v’è la reale possibilità di esprimere il proprio pensiero con parole – internet – e con le immagini. Tutti possediamo i mezzi che una volta erano riservati a una élite di professionisti. D’altro canto di fatto si registra un aumento di analfabetismo culturale, una proliferazione esponenziale di pettegolezzi e un balbettio generalizzato nel Web, un’esplosione d’immagini inutili sui cellulari unita a una crescente incapacità di una loro lettura critica. Un allineamento in un ‘pensiero unico’ e nei comportamenti che fa sì che siano molti coloro che dubitano di essere in democrazia. Filosofi e sociologi denunciano un crescente ed innaturale aumento d’individualismo (non di individualità, di singolarità consapevole): al contempo non possiamo che registrare un preoccupante aumento di comportamenti omologati. Viviamo in una società globale, collettiva, 139 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 140 140 Corrado Fanti tuttavia connotata da una grande mancanza del senso della collettività; ciò forse a causa di una sotterranea ansia per un futuro davvero preoccupante che spinge ognuno di noi a ritirarsi nel proprio particolare, a mettere in atto atteggiamenti di difesa a oltranza dei figli, sgomitando con aggressività forse nell’avvertimento che non ce ne sarà per tutti. Un altro paradosso: quasi nello stesso momento (anni Novanta) in cui le nostre istituzioni attraverso una legge dello Stato prendono atto formalmente che la fotogra- fia è un bene culturale, qualcuno potrebbe a ragione dire che, con la digitalizzazione di massa, la fotografia è morta. a questo proposito le parole di ando Gilardi sono estremamente dure: cito l’intervista pubblicata nel testo (ando intervistato da P.): «a – La fotografia analogica è finita: morta, floscia e putrefatta! […] P – Secondo lei, dunque, quelle prese con una Nikon Coolpix non sono fotografie, sia pure digitali? a – Diciamo pure fotografia digitale, però se dico immagine digitale è meglio e non ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 141 La fotografia come estensione della memoria confonde le idee […] quando schiaccio il bottone dopo aver inquadrato un quadro del Louvre, la Nikon Coolpix ne prende un’istantanea digitale che può essere il principio, la base, il punto di partenza di una serie praticamente illimitata di differenti immagini digitali cioè di nuovi quadri digitali. L’operazione non ha assolutamente nulla a che vedere con quella dell’istantanea analogica che viene sommariamente chiamata fotografia. P – Lei crede che da questa confusione sia dipeso… a – …un disastro culturale. a – […] oggi, con il digitale che è il giustiziere dell’analogico»50. Devo precisare che, per quanto riguarda le stampe fotografiche presentate nella mostra che accompagna questo convegno, le riprese sono state eseguite con un apparecchio digitale: tuttavia la mia modalità operativa è stata analoga a quando lavoravo con la pellicola. Eseguito lo scatto, sono state realizzate le minime manipolazioni necessarie, analoghe agli interventi che un tempo si eseguivano in camera oscura. 141 1-2. Corrado Fanti, Uno scorcio del centro storico di Tolmezzo, 2014 (© C. Fanti). 50 A. GILARDI, Meglio ladro che fotografo… cit., p. 31. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 142 142 Corrado Fanti In un solo caso, quello di uno scorcio del centro storico di Tolmezzo, ho presentato due stampe della stessa ripresa. Una, nella quale l’ambiente urbano appariva così come si presentava e l’altra nella quale ho eliminato tutti i piccoli orpelli che avviliscono la città, ai quali non facciamo più caso: cartelli, plafoniere, strisce pedonali, automobili… ho reintegrato queste parti con la parte dei muri, del selciato… registrata nello scatto, senza inventare nulla, restituendo l’immagine così come la si sarebbe potuta realizzare in analogico togliendo materialmente tali oggetti, cosa che fu realmente eseguita quarant’anni or sono nel corso di un importante lavoro di Paolo Monti per lo studio del centro storico di Bologna. Togliere fisicamente da un muro un cartello stradale, semplicemente perché è ‘brutto’, o toglierlo con Photoshop sostituendolo filologicamente con parti del medesimo muro è la stessa cosa: è il giudizio e la decisione che conta, non lo strumento con il quale la si attua. È un’operazione che rende con la massima evidenza il concetto di restauro conservativo e cura dello spazio urbano, che allora fu di supporto all’idea delle isole pedonali nei centri storici. È questo il contrario di un’operazione di maquillage che alteri forme e tinte; è questa un’operazione che attua una loro restituzione alla condizione originale, con l’accettazione dei segni del tempo, dal momento che anch’essi assumono un significato. Il punto, quindi, a mio avviso, non è tanto quello della tecnica di realizzazione di un’immagine chi- mica piuttosto che digitale, quanto quello del modo con cui ci si serve di uno strumento; in questo senso posso usare il digitale come se fosse analogico, solo con alcune possibilità in più. L’importante è non farsi prendere la mano dalla facilità delle manipolazioni che molto facilmente ci conducono al kitsch. a proposito di contraddizioni è singolare osservare come da un lato con il digitale e con i cellulari, la pratica della fotografia si sia enormemente diffusa ma come al contempo «i giovanissimi non sanno più cos’è la fotografia» come ebbe a dichiarare Roberta Valtorta nel convegno di Venezia del 2012. È per questo motivo che la Valtorta sottolineava l’importanza dell’attività didattica che si tiene presso il museo di fotografia contemporanea di Cinisello Balsamo, presso Milano. abbiamo un aumento incredibile di capacità tecnologiche cui fa da contrappunto una preoccupante incapacità operativa di servircene, di modificarle a nostro criterio, di intervenire sulla loro funzione in maniera consapevole e finalizzata a dar loro un preciso senso; le manipolazioni tecniche delle immagini hanno luogo secondo modalità sempre più omologate ed è diffusa la sensazione che non vi sia nulla di nuovo da ricercare, che vi sia un programma già pronto per ogni esigenza a patto però che le nostre esigenze siano previste dai programmi. analogamente di fronte ai problemi tecnici che riguardano le nostre attrezzature, le risposte sono quelle già previste e program- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 143 La fotografia come estensione della memoria mate. Non sono più possibili interventi e modifiche come quelle che i tecnici dell’’hasselblad erano ben disponibili a realizzare in base alle mie personali richieste. Il digitale offre possibilità facili e illimitate di manipolazione d’immagini ma mi sembra che la fotografia di ricerca e di sperimentazione sia estremamente priva di novità rispetto a quello che ci sorprendeva ai tempi dell’analogico nel fecondo rapporto fra aspetti tecnici e contenuti culturali: dalle ricerche di Moholy Nagy e Man Ray fino a Veronesi e Migliori. Ebbi il privilegio di conoscere Luigi Veronesi in un incontro negli anni ottanta, quando già allora egli mi esprimeva un accorato lamento sul progressivo impoverimento e standardizzazione dei mezzi chimici, delle pellicole e delle carte con rabbia e al contempo con un vigore sorprendente, data l’età, mostrando inalterati l’entusiasmo e la volontà di ricercare, sperimentare e produrre. La vera fotografia è una pratica molto solitaria. Fu osservato che chi fotografa non partecipa all’evento e se viene indotto a prendervi parte, non è più in grado di fare fotografie. Essa è una pratica solitaria ma nello stesso tempo è un mestiere che pone chi lo fa in una continua relazione con l’uomo e con ciò che l’uomo ha prodotto, o ciò che è osservato e giudicato dall’uomo degno di tale osservazione: nel bene e nel male, sia esso un paesaggio, una bella donna, un volto morente o un assassino arrestato. Molto raramente il fotografo interagisce col soggetto, anche se si potrebbe dire che, al contrario, la fotografia è la testimonianza di un’interazione. Esiste tuttavia una situazione nella quale questo rapporto diventa palese e cruciale: talvolta l’apparecchio fotografico crea uno spazio riservato, del tutto particolare e inconsueto, che circoscrive e protegge la relazione che si crea fra il soggetto ed il fotografo. Nel caso del ritratto è proprio la presenza del diaframma dell’apparecchio fotografico che a volte fa scattare un colloquio del tutto singolare fra il fotografo ed il soggetto che guarda in macchina riflettendo su quella traccia di sé che sta per lasciare: su ciò che essa rivelerà, su come egli vede se stesso nel momento in cui è osservato dal negativo in quell’istante o nel tempo delle lunghe pose dei fotografi dell’ottocento. La macchina fotografica diventa un paravento a difesa della sua intimità e delle sue emozioni, e nello stesso tempo un veicolo. Il fotografo deve restare dietro alla macchina, il soggetto ne è difeso e sa che non vi è rischio di superare certi limiti. Talvolta, se il fotografo sa ascoltare, egli si lascia andare a riflessioni su di sé, a confidenze, a pensieri segreti, che restano scritti nelle pieghe del suo volto e che non rivelerebbe mai se non filtrati dalle consuete difese. Il fotografo da solo, di fronte all’altro, può riuscire a creare lo spazio privilegiato del confessore, dello psicologo, tuttavia è solo, osserva con rispetto, non si mette in causa se non con le proprie domande, con la propria attenzione. Il fotografo è solo, al di fuori da ciò che sta accadendo. osserva dentro ad un mirino, 143 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 144 144 Corrado Fanti 51 Ho citato molti autori e ho precisato concetti ben noti a lettori iniziati all’argomento, ma, dato il contesto in cui si pone la presente pubblicazione e l’Istituzione che la promuove, ho pensato ad una finalità anche didattica di questo scritto rivolto quindi anche a giovani che potranno cogliere le provocazioni e approfondire e discutere gli argomenti trattati. un’inquadratura che oscura tutto ciò che sta attorno, una finestra che lo allontana e al contempo lo avvicina in modo nuovo alla realtà. anzi egli non la vede più: un occhio è chiuso e l’altro osserva un’immagine diversa, a due dimensioni, su di uno schermo e spesso la vede mentalmente in bianco e nero, se la sua mente è allenata a vedere nei modi della cromia della pellicola caricata in macchina. È un momento di assoluta solitudine, di concentrazione, di permeabilità nel quale ci si lascia spesso condurre dall’immagine proiettata sul vetro smerigliato. Ci si accorge – dopo – che, nei casi più felici d’insight, non eravamo tanto noi a creare l’immagine, quanto era quest’ultima a rivelarsi nella pienezza di un senso che era celato nel momento in cui la osservavamo distrattamente, nella visione ordinaria. Guardando in macchina siamo fuori dalla realtà, percepiamo quanto il senso di ciò che stiamo vedendo non ne sia che una traduzione mentale, e ci troviamo in un’insolita solitudine che al contempo è rapporto profondo con ciò che vediamo. È una solitudine che normalmente temiamo, un silenzio che fa paura e che nella nostra quotidianità deve essere riempito ovunque da musica come rumore di fondo. La pratica che ho descritto oggi avviene sempre più di rado nell’organizzazione manageriale della produzione fotografica. La fotografia con il cellulare diventa un gesto senza poesia, senza silenzio, senza il tempo lungo dell’attenzione. appositi dispositivi ci permettono di eseguire riprese non mosse pur muovendoci, per non perdere tempo, proiettati continuamente nel gesto successivo senza mai riuscire a vivere il presente. Penso a qualche breve e intenso momento vissuto con Paolo Monti camminando su una costa dell’appennino per fotografare insieme a lui il paesaggio. Non ci scambiavamo neppure una parola, eppure comunicavamo nel breve contatto dei nostri sguardi silenziosi, attraverso il digradare dei colli. Le parole venivano poi, magari in una lunga serata a Milano, guardando le immagini, parlando di forme e di tecniche. Mi accorgo che il tono è quello del rimpianto, ma anche della gioia profonda che ho sempre colto negli occhi di quanti stavano facendo con amore il proprio mestiere. Della mia gioia per i progetti e le scoperte sempre nuove che mi venivano regalate, per quella solitudine piena dei segni del passato e gravida della storia dell’uomo, che mi accompagnava mentre camminavo sulle zolle dei campi, dentro alle chiese, nelle antiche città51. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 145 La pratica ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 146 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 147 L’utilizzo della fotografia nella ricerca storica 147 Adolfo Mignemi L’utilizzo della fotografia nella ricerca storica. Impariamo a leggere la copertina di un libro È divenuta ormai una consuetudine che i saggi di storia o i libri, i quali pretenderebbero di essere tali, affidino, nella maggior parte dei casi, il loro primo contatto con il lettore ad una immagine fotografica ovvero ad un documento a cui non si fa alcun riferimento nel testo scritto e del quale, in linea di principio, sostanzialmente si diffida. Non si è sottratto a questa logica il saggio Il sangue dei vinti di Giampaolo Pansa1 nel quale, a dire il vero, l’autore sembra collocarsi più sul versante della narrazione divulgativa a sfondo storico che sul terreno del saggio vero e proprio. alla lettura fin dalle prime pagine, infatti, ci si rende pienamente conto di come Pansa abbia utilizzato, ad esempio, una ampia bibliografia che però non ha ritenuto opportuno condividere con il lettore attraverso quei, cosiddetti, ‘apparati scientifici’ – le noiosissime note – che solitamente contraddistinguono la saggistica storiografica ma, soprattutto, consentono ai curiosi di approfondire, confrontare e valutare le analisi sviluppate nel testo. Pansa è in primo luogo giornalista: padroneggia bene nella scrittura l’interagire delle fonti diverse – la parola scritta, la testimonianza e le immagini – e i suoi testi, non solo quest’ultimo, si presentano scritti in forma tale da indurre quasi costantemente il lettore a cercare il supporto dell’immagine – fotografia o film che sia – su cui egli sembra essersi documentato. Come quasi sempre accade ai giornalisti che si cimentano in un saggio storico, egli tende però a contenere al massimo le sue virtuose capacità narrative per indulgere al vizio della accademia che considera fonti vere solo quelle scritte mentre tutto il resto è tenuto al più come ornamento. Nel libro pertanto se gli par utile ogni tanto citare qualche studioso o qualche pubblicazione, quando vuol richiamare una immagine fotografica lo fa come se tutti la conoscessero e, nella maggior parte dei casi, senza premurarsi di indicare dove egli l’ab- 1 Il volume è stato edito da Sperling & Kupfer, Milano, nel 2003. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 148 148 Adolfo Mignemi 1. Copertina del volume Il sangue dei vinti, Sperling & Kupfer, Milano 2003. 2. Copertina del volume Il sangue dei vinti con l’immagine modificata per la seconda edizione in una delle numerose ristampe (Sperling Paperback, Milano (2010). bia vista, né di menzionarne – ma questo è un vizio tipico dei periodici – quando l’immagine è riprodotta, l’autore, preferendogli in assoluto il nome dell’agenzia che ha fornito l’immagine ma che – nel caso di fotografie di carattere storico, è frequente – non è detto che ne detenga effettivamente i diritti. Il sangue dei vinti ci propone così in copertina il particolare di una fotografia scattata ad un uomo in abiti civili che avanza, mani alzate sul capo, al centro di una via circondato da una folla vociante. Sullo sfondo sono stati collocati due occhi che sembrano evocare sgomento e dolore. Benché si tratti – ed è cosa rilevante – non di una fotografia ma di un fotomontaggio, il risvolto di copertina ci annuncia che essa è una immagine dell’archivio Paolo Pisanò, che fu scattata a Milano il 30 aprile 1945 ma senza nulla aggiungere sulle circostanze ( che in realtà si datano al 28 aprile) e sull’autore. Sono stati i giornali pubblicati nei giorni successivi all’edizione del libro a ‘rivelare’ che l’uomo catturato era Barzaghi, il ‘boia del Verzé’, e che la foto (anzi, a dire il vero, si tratta di un fotogramma di un’ampia sequenza) era stata scattata da un fotografo dello studio Farabola. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 149 L’utilizzo della fotografia nella ricerca storica L’immagine era stata in questi settanta anni pubblicata infinite volte. Uno scatto tratto dalla sequenza era comparso nella prima pagina dell’edizione milanese di «avanti!» del 29 aprile 1945; l’immagine era poi comparsa nelle pagine dei vari volumi dedicati da Giorgio Pisanò alla guerra civile2 ed era stata inclusa anche in una classica monografia dedicata a Farabola da Gaetano afeltra3, in cui si sottolineava il suo appartenere ad una vera e propria sequenza fotografica. È inspiegabile perché Pansa abbia preferito non approfondire la questione dell’origine dell’immagine scelta per la copertina tanto più che probabilmente l’archivio Pisanò ne conserva copia puntualmente timbrata sul retro da Farabola, come lo studio fece con tutte le immagini – e furono veramente tante – uscite dai suoi laboratori fin da quei giorni di fine aprile, inizi di maggio 1945. Perché non restituire al suo legittimo autore un diritto inalienabile? Perché privare chi non ha mai visto quella immagine del diritto di sapere che, innanzitutto, la copertina propone il particolare di una ripresa fotografica, inoltre che l’autore di quello scatto non era né un casuale passante né un partigiano, difficilmente rintracciabili a di- 149 3. Agenzia Farabola, La cattura di Carlo Barzaghi, il ‘boia del Verzé’, Milano, 28 aprile 1945. Immagine originale utilizzata per la copertina del volume il Sangue dei vinti. 2 Cfr. Il vero volto della guerra civile, supplemento al n. 9 del 3 marzo 1961 di «Gente. Settimanale di politica, attualità e cultura», Milano; G. PISANÒ, Storia della guerra civile in Italia 1943-1945, Edizioni FPE, Milano 1965. 3 G. AFELTRA, Farabola fotografo d’assalto, Rusconi, Milano 1982. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 150 150 Adolfo Mignemi 4 È da notare che nelle edizioni successive del saggio scompaiono dall’immagine di copertina gli occhi. 5 Il filmato è liberamente visibile nel sito Archivio Piero Bottoni. Urbanistica Architettura Design Arte. Sez. Film e studi di tecnica cinematografica (http://www.archiviobottoni.polimi.it). Alla «successione non organizzata di riprese dei giorni della Liberazione a Milano», realizzata da Bottoni e della durata di 9 minuti, è stato dato il titolo 25 aprile 1945. stanza così grande di anni, bensì un fotografo professionista il cui archivio è ancora attivo. Si potrà opporre a queste osservazioni che in fondo tutte queste cose potrebbero non essere fondamentali ad una completa lettura della fotografia: Pansa voleva comunicare la sofferenza che la memoria di quei giorni deve suscitare in tutti, non solo nei vinti, e il fotomontaggio di copertina, bello o brutto che sia dal punto di vista grafico, assolve egregiamente allo scopo4. Barzaghi era solo una delle migliaia di vittime di quei giorni dell’odio e la fotografia restituisce quello spessore emozionale forse meglio di uno sterile elenco di nomi, che non sa grondare sangue. Lo aveva ben capito Giorgio Pisanò quando negli anni Cinquanta avviò per conto dell’editore Edilio Rusconi quella raccolta di materiali che avrebbe pubblicato prima sul settimanale milanese «Gente», di grande diffusione, poi in opere altrettanto ampiamente diffuse anche in veste di fascicoli venduti in edicola, come la Storia della guerra civile in Italia. Ma la fotografia di Farabola, considerata nella sua interezza e quindi non ‘tagliata’ come nella copertina in questione, aggiunge ben altre cose. La drastica riduzione della folla che accompagna Barzaghi priva infatti l’immagine di uno spessore sociologico che è essenziale alla sua lettura e alla comprensione stessa di ciò che stava accadendo: c’era una folla che odiava palesemente la vittima e la accompagnava in un rituale quasi macabro – ancor più macabro quando scopriamo che alla fine del percorso vi fu l’esecuzione pubblica – tra uomini, donne e ragazzi che si mettono in posa per il fotografo che è sempre lì presente, identificato e quasi invocato con la sua tecnologia e la perizia professionale. È inconfutabile che in tutta probabilità un fotografo improvvisato non ci avrebbe consegnato una sequenza di analoga qualità né intensità emozionale. Non ci paiono questioni di poco conto. Va segnalato infine che vi è anche una sequenza cinematografica girata contestualmente e finita in un montaggio realizzato da Piero Bottoni nel 1945. Il filmato, oggi conservato al Dipartimento architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, fondo Piero Bottoni, restituisce, da una diversa posizione, ma con gli stessi intenti documentari quel tragico ‘rituale’5. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 151 L’utilizzo della fotografia nella ricerca storica 151 4. Fotogramma del filmato raccolto da Piero Bottoni, 1945 (© Archivio Piero Bottoni, Dipartimento Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 152 1. Classe IV della Scuola elementare Oriani, a.s. 1937/1938. Si riconosce Lia Finzi, cacciata dalla scuola all’inizio dell’anno scolastico successivo, Venezia, 1938 (archivio privato L. Finzi). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 153 La fotografia come documento nella didattica della storia Maria Teresa Sega La fotografia come documento nella didattica della storia Premessa. Il contesto in cui operiamo Per una pratica didattica che consideri le fotografie come documento è indispensabile conoscere il linguaggio fotografico, il mezzo tecnico e la sua evoluzione nel tempo. I ragazzi vivono immersi in immagini continuamente prodotte e immediatamente consumate, scambiate tramite social network, presto dimenticate: un flusso di comunicazione visiva senza mediazione, selezione e interpretazione. ognuno può diventare produttore di notizia riprendendo una scena o accadimento e mettendolo in rete, dove può essere rilanciato e diffuso e raggiungere un numero esponenziale di contatti. Così abbiamo potuto vedere di recente il filmato in diretta dell’attentato terrorista al museo del Bardo a Tunisi, ripreso con una piccola videocamera da un turista e mandato in onda dai telegiornali di tutto il mondo. Nessun fotoreporter era presente, eppure queste immagini, prese in maniera quasi involontaria, sono entrate nella storia a documentazione del fatto. E nel nostro immaginario. anche limitandoci alla vita privata, alla dimensione quotidiana e sociale, la produzione di immagini, con i mezzi digitali di cui disponiamo, non necessita della prestazione di un esperto e viene immediatamente scambiata esaltando il protagonismo del soggetto in pubblico e il mantenimento di una rete di relazioni che va oltre il rapporto col territorio. Smartphone, computer e social network sono anche un modo di archiviare le immagini che ha sostituito il cassetto e l’album. Per mostrare le proprie foto si apre lo smartphone o il tablet e si fanno scorrere. Quali tracce lasciano? Come saranno archiviate? Come saranno utilizzate dai futuri storici? Sostiene Serge Noiret, che al tema ha dedicato pagine illuminanti: «tutte le fotografie in rete divengono potenzialmente fonti per la storia, indipendentemente dalla loro origine e dalla loro collocazione nei siti web», 153 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 154 154 Maria Teresa Sega 1 S. NOIRET, Nulla sarà più come prima: considerazioni sul digital turn e le fonti fotografiche dal punto di vista della storiografia, in G.B. BRUNETTA, C.A. MINICI ZOTTI (a cura di), La fotografia come fonte di storia, Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti, Venezia 2014. 2 Rimando al mio testo Il soggetto e lo sguardo. L’immagine fotografica delle italiane, in G.B. BRUNETTA, C.A. MINICI ZOTTI (a cura di), La fotografia come fonte di storia… cit., pp. 271-102. 3 Si tratta di Prosperina Vallet ‘Lisetta’, nata ad Aymavilles (AO) nel 1911, partigiana della formazione Vetrosan. La foto fu scattata dagli alleati, fu trovata negli archivi dell’Imperial War Museum di Londra. Le due giornaliste sono Emanuela Risari e Maria Teresa Zonca. A. MIGNEMI (a cura di), Storia fotografica della Resistenza, Einaudi, Torino 1995. Mignemi ha ricostruito la storia della forse più nota foto della resistenza femminile: quella che ritrae tre ragazze armate in via Brera a Milano, lasciando intendere che sia stata scattata durante l’insurrezione, in realtà lo scatto è del 28 aprile e le ragazze, studentesse di Brera, stanno andando a consegnare le armi (che non hanno mai usato). tuttavia «i contenuti che includono documenti fotografici, digitalizzati o nativi digitali, o che combinano documenti nativi digitali con immagini che derivano da originali analogici, non sono stati e non sono oggetto di riflessioni sistematiche sulla loro conservazione»1. C’è da considerare, se ci si accinge a fare un ricerca su un determinato argomento, la facilità con la quale è possibile reperire immagini tramite internet e di utilizzarle senza troppo preoccuparsi di copyright, provenienza, veridicità. Si fa un uso (e abuso) pubblico di immagini come evocazione e rappresentazione, spesso le stesse, immediatamente riconoscibili perché già entrate nell’immaginario sociale, avulse da ogni contesto di pertinenza, adottando unicamente un criterio estetico o di efficacia comunicativa. Prendiamo ad esempio le fotografie di partigiane in armi che, utilizzate come simbolo della Resistenza senza alcuna didascalia, o con didascalia inesatta, producono un’immagine spesso distorta della partecipazione delle donne. Nulla ci dicono delle protagoniste, che rimangono volti anonimi2. Per contro va sottolineata la potenzialità di internet per la loro identificazione, come è accaduto per la partigiana che marcia nella neve con i compagni in Val d’aosta, una delle più note e diffuse, di cui si è potuto conoscere alcuni anni fa il nome e la storia grazie all’appello facebook di una giornalista, raccolto e rilanciato al TG locale da un’altra giornalista. Il giorno dopo è arrivata in redazione la telefonata delle figlie3. Le fotografie e il laboratorio di storia Per affrontare il tema della fotografia come fonte nella didattica della storia mi sembra indispensabile dunque partire dalle pratiche attuali di produzione e divulgazione delle fotografie e da un confronto con le precedenti. Proprio tenendo conto della ‘rivoluzione digitale’ è indispensabile una formazione critica delle immagini. Il web può essere un grande serbatoio a cui attingere, che amplia moltissimo l’accessibilità a fondi fotografici e archivi, a patto che si sappiano selezionare le informazioni e le fonti attendibili con criteri di pertinenza (web quest con la supervisione dell’insegnante). Si sta progressivamente diffondendo, da parte di istituzioni culturali e fondazioni private, la creazione di archivi digitali di fotografie scannerizzate ed è auspicabile che tale pratica sia incrementata. Si tratta di un contesto e un modo di operare molto diverso da quello nel quale ho iniziato, a metà anni ottanta, a sperimentare percorsi di didattica della storia con la fotografia: uscivamo di classe, con macchina fotografica analogica e registratore, a documentare il territorio, sviluppavamo e stampavamo le foto in laboratorio, cercavamo foto in archivi pubblici e privati (non era sempre facile avere le riproduzioni); poi si procedeva a operazioni di archiviazione, tematizzazione, selezione e collocamento all’interno di ordinatori spazio-temporali. La metodologia di riferimento – allora e oggi – è quella del laboratorio di storia, inteso sia come luogo attrezzato che come atteggiamento mentale e organizzazione del ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 155 La fotografia come documento nella didattica della storia 155 2. Classe IV dell’Istituto Magistrale Nicolò Tommaseo, a.s. 1937-1938. Si riconoscono Alba Finzi, cacciata da scuola all’inizio dell’anno scolastico successivo, e il preside Augusto Levi, anch’esso allontanato. Venezia, 1938 (archivio privato A. Finzi; fotografia conservata anche nell’archivio dell’Istituto Tommaseo). lavoro di gruppo. Questo metodo, che ha avuto negli anni una lunga elaborazione e sperimentazione4, addestra alla costruzione attiva del sapere, attraverso una serie di operazioni analoghe a quelle compiute dallo storico. Un ruolo centrale ha la conoscenza e la lettura critica delle fonti, il loro intreccio e confronto per ricavare le informazioni: ponendo le domande costruiamo il documento. Vi sono oggi sperimentazioni di insegnamento laboratoriale che, utilizzando nuovi ambienti, tecniche e strumenti (pc, tablet, L.I.M. e rete), si rivelano particolarmente utili per l’apprendimento di competenze complesse, servendosi di internet per la co- struzione di un sapere cooperativo e un percorso conoscitivo basato sul porre le giuste domande e la ricerca delle risposte (inquiry learning), con la mediazione dell’insegnante5. Se consideriamo le fotografie come fonti6 è utile iniziare con una serie di esercizi volti ad analizzare criticamente i luoghi comuni associati all’immagine fotografica (oggettività, neutralità, aderenza alla realtà). È indispensabile chiedersi, procedendo alla critica del documento, quale rapporto intercorre tra immagine ed evento: che cosa dice, occulta, distorce? Il senso comune è portato a dare un valore di fonte primaria alle immagini, come traduzione immediata 4 Mi riferisco in particolare alle pratiche delle associazioni di educatori come Movimento di cooperazione educativa (MCE), di gruppi di ricerca sull’insegnamento della storia (CLIO 92 e IRIS) e della rete di Istituti storici che fa capo all’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (INSMLI). C. BRIGADECI, A, CRISCIONE, G. DEIANA, M. GUSSO, Il laboratorio di storia, Unicopli, Milano 2001; G. BERTACCHI, L. LAJOLO, L’esperienza del tempo. Memoria e insegnamento della storia, EGA, Torino 2003. 5 Vedi la rivista on line dell’INSMLI www.novecento.org. Didattica della storia in rete. Dossier La storia nell’era digitale. 6 M.T. SEGA, La storia scritta con la luce. La fotografia come fonte, www.bibliolab/laboratorio di storia/gli interventi degli esperti. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 156 156 Maria Teresa Sega 3. Alunni e insegnanti della Scuola media ebraica. Si riconoscono l'alunna Lia Finzi e il preside Augusto Levi, Venezia, 1939 (archivio privato L. Finzi). e perciò fedele della realtà: ciò che è testimoniato visivamente appare più veritiero di ciò che è narrato. Fondamentale è acquisire consapevolezza che l’operazione del fotografare, anche quando si vuol ottenere il massimo di realismo, ritaglia un frammento di spazio, di movimento, e fissa una sequenza temporale. Essa è essenzialmente un punto di vista sulla realtà. Se proviamo a descrivere fatti, situazioni e relazioni tra i soggetti presenti in una foto (chi sono, dove si trovano, cosa pensano?) senz’altra informazione, il risultato prevedibile è che ognuno immagina situazioni diverse, con maggiore o minore approssimazione a seconda delle preconoscenze possedute e della capacità di ricavare in- formazioni. Priva di contesto la foto è muta, inutilizzabile come fonte. Stendiamo quindi un elenco di domande e progettiamo una scheda che raccolga i dati che dobbiamo conoscere per la ricerca, a partire dalle informazioni minime (data, luogo, soggetto, autore, scopo, archivio di provenienza), dati che possono essere ampliati fino a comprendere la tecnica di produzione, elementi della composizione, appartenenza ad una serie, all’uso privato/pubblico dell’immagine nel tempo, informazioni ricavabili dalla foto stessa, da altre fonti (orali o scritte) o da inferenze. a questo punto siamo in grado di stendere una esauriente didascalia. Il secondo passo è quello di considerare ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 157 La fotografia come documento nella didattica della storia 157 4. Alunni e insegnanti del Liceo ebraico. Si riconoscono l’alunna Alba Finzi e il preside Augusto Levi, Venezia, 1939 (archivio privato L. Finzi). l’evoluzione storica dei mezzi di produzione, mettendo in relazione il prodotto con lo strumento: saper distinguere un’immagine digitale da una analogica, un originale da una copia è un requisito fondamentale, così come capire come l’evoluzione delle prime macchine fotografiche, ingombranti e che richiedevano lunghe esposizioni, alle più maneggevoli piccole camere tipo Leica con pellicola avvolgibile, hanno reso possibile la nascita del reportage fotografico. ampliamo il discorso alla lettura dell’immagine: composizione (ad esempio analizzare le relazioni tra persone nelle foto di famiglia o di gruppo, gli ambienti, la disposizione degli oggetti); distinzione tra posa e istantanea. altro dato importante è la ricostruzione di una serie: fotografie dello stesso autore in contesti e tempi diversi; fotografie che rappresentano la stessa occasione (foto di classe) in tempi diversi, ecc. È indispensabile l’operazione della tematizzazione (la scelta di un tema di analisi) e l’individuazione delle fonti sulle quali basare la propria indagine. Come reperire le fotografie? Ricognizione negli archivi presenti nel territorio, archivi informatici, archivi privati, pubblicazioni. Ci troveremo a disposizione materiale eterogeneo che dovremmo selezionare per procedere a una schedatura della singola o di una serie omogenea di foto. La costruzione di una linea del tempo dove ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 158 158 Maria Teresa Sega 5. Quaderno di Lia Finzi, con foto ricordo delle compagne dell’Istituto Montebello di Castagnola (Lugano), dove ha vissuto durante la sua permanenza in Svizzera, 1945 (archivio privato L. Finzi). collocare le fotografie si rivela uno strumento molto utile per storicizzarle e contestualizzarle, tanto più se le informazioni sono attinte dalla rete in cui il percorso reticolare sostituisce quello lineare: essa evidenzia, in una lettura in orizzontale, i cambiamenti, in una lettura verticale, consente di fare confronti e mettere in relazione, ad esempio fotografia e altre tecniche di produzione di immagini (pittura), strumenti di divulgazione (giornali illustrati), contesto politico. Possono essere inventati altri strumenti ordinatori per evidenziare le relazioni, come grafici ad albero (foto di famiglia), a rete o a stella. Se scegliamo di analizzare ad esempio le trasformazioni del territorio, il percorso può iniziare da una visita agli archivi locali, per prendere visione della documentazione conservata, che consente anche un contatto con la fotografia originale nella sua materialità. Si prosegue con la visita ai luoghi per realizzare un reportage fotografico e se è pos- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 159 La fotografia come documento nella didattica della storia sibile incontrare testimoni: scelta di alcuni siti significativi per comprendere le trasformazioni del paesaggio opera della natura e opera dell’intervento umano (ad esempio il corso di un fiume), o il riuso di un edificio nel tempo, ecc. abbiamo bisogno di acquisire mappe attuali e storiche dei luoghi e di costruire una linea del tempo in cui collocare eventi e periodi: lunghe, medie o brevi durate a seconda di ciò che si vuole osservare. Si attivano diverse operazioni cognitive: confronto presente/ passato; relazioni tra oggetto e contesto, micro e macrostoria; relazioni tra fonti diverse; ed infine progettazione di un prodotto di sintesi e comunicazione (power point, mostra, video). Per la ricerca in classe un utile suggerimento è attingere all’archivio stesso della scuola, che può riservare interessanti sorprese, e agli archivi privati conservati dalle famiglie degli studenti, che si rivelano spesso di grande interesse. Entrambi hanno il vantaggio di essere accessibili e prossimi, 159 6. Libretto di rifugiata di Lia Finzi, con foto identificativa rilasciato dal Governo federale elvetico (archivio privato L. Finzi). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 160 160 Maria Teresa Sega 7. Classe V della Scuola elementare ebraica in Ghetto. Tra gli alunni Angelo Grassini, deportato ad Auschwitz e non tornato, Venezia, 1940 (archivio privato Lidia Dina). 7 M.T. SEGA (a cura di), La scuola fa la storia. Gli archivi scolastici per la ricerca e la didattica, Nuova Dimensione, Portogruaro (VE) 2002. 8 www.imago.rimini.unibo.it, responsabile prof. Paolo Sorcinelli, documentazione sulla memoria del quotidiano con una sezione fotografica, immagini tratte da album di famiglia. cioè di stabilire una relazione diretta tra il sé e la storia7. La ricerca coordinata dal prof. Sorcinelli all’Università di Bologna - sede di Rimini si propone proprio di valorizzare questi archivi, attraverso la realizzazione di un archivio on-line, in cui le fotografie raccolte sono documenti per analizzare i cambiamenti generazionali. Leggiamo: Le esperienze didattiche condotte all’interno dell’insegnamento di Storia Sociale hanno dimostrato che la ricostruzione del passato attraverso le fotografie conservate in famiglia, contribuisce a creare attorno alle immagini di bisnonni, nonni e genitori un interesse che può trasformarsi in un reticolo di conoscenze storiche che vanno aldilà del nucleo familiare, per abbracciare l’intera società, le visioni e le rappresentazioni del mondo. E ancora: La scomposizione dei diversi tasselli di un’immagine permette ad una èquipe di ricercatori di fornire di ciascuna immagine una lettura diacronica e comparativa delle mutazioni strutturali, della cultura e delle mentalità collettive attraverso i cicli generazionali8. Con le foto portate dai ragazzi si possono costruire insiemi, serie, confronti, analizzare le pose, scoprendo come ogni soggetto è fotografato nei rituali sociali di passaggio, ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 161 La fotografia come documento nella didattica della storia laici e religiosi, con modalità analoghe che si ripetono nello spazio e nel tempo, ma che la sua individualità è irriducibile, non viene del tutto cancellata. Nei ritratti la soggettività parla attraverso il corpo, l’atteggiamento, l‘espressione, ma è anche caricata di riferimenti, sia da parte del fotografato sia del fotografo, a modelli dominanti, stereotipi di genere, di generazione, di classe sociale di cultura (la maschera); e questo ci aiuta a capire che ci sono diversi piani di lettura di ogni singola fotografia: rappresentazione, autorappresentazione, informazione. Nelle classi multietniche di oggi questo lavoro può presentare aspetti problematici, come l’accentuazione delle differenze, ma anche può rappresentare un arricchimento. Si porrà ad esempio il problema di che cosa è fotografabile, e quindi mostrabile, in un determinato contesto sociale e culturale, ciò che la foto cela o non dice, oltre a ciò che mostra. Scuola e Shoah: un percorso conoscitivo Da alcuni anni propongo alle scuole – di ogni ordine e grado – un approccio conoscitivo sulla Shoah attraverso la storia della scuola: un approccio che vede protagonisti bambini e ragazzi ebrei veneziani, cacciati dalla scuola pubblica, e ne segue le vicende 161 8. Multiclasse della Scuola elementare ebraica, con la maestra Alba Finzi e il Rabbino Elio Toaff, Venezia, 1946 (archivio privato A. Finzi). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 162 162 Maria Teresa Sega 9. Classe II della Scuola elementare ebraica con la maestra Lia Finzi, Venezia, 1950 (archivio privato L. Finzi). fino alla fine della guerra e il ritorno a scuola, in un percorso che si snoda nell’arco di un decennio, dalla promulgazione delle leggi razziali (1938) al dopoguerra (1948)9. Partiamo da una ricognizione sull’immaginario: a quali immagini viene spontanea- mente associato il tema Shoah? Solitamente vengono alla mente immagini dell’orrore, i corpi aggrappati a fili spinati nei lager, o buttati per terra; ma se parliamo di infanzia è la foto del bambino con le mani alzate arrestato con altre persone nel Ghetto di Varsavia, presente in ogni manuale, ad essere conosciuta. Nella nostra ricerca non ci sono foto dell’orrore, ma ritratti di bambini/e, ragazzi/e, foto di classe, immagini della normalità che risultano emotivamente toccanti se veniamo a conoscere i soggetti prima e dopo l’abbattersi delle leggi razziali nelle loro vite. Un modello di ricerca storica e didattica a cui fare riferimento è il lavoro realizzato a cura di Maria Bacchi e Fernanda Goffetti nell’Istituto comprensivo Luisa Levi di Mantova, al cui centro c’è la bambina ebrea a cui è stato intitolato10. Seguendo la storia di Luisa si giunge a comprendere che cosa avviene agli ebrei in Italia e in Europa tra leggi razziste e soluzione finale. Il libro che illustra la proposta didattica inizia mostrando le foto incollate in una pagina di album di Luisa da piccola (in costume regionale, con la bambola, mentre fa le bolle di sapone), dove appare come una bambina felice come tante, una ‘bambina e basta’11; veniamo però a conoscere dalla didascalia che l’album è stato trovato sepolto nel giardino di casa Levi12, dove era stato nascosto: da questo spaesamento iniziale e dall’interesse che suscita prende avvio la ricerca. Nel lavoro didattico, che porta progressivamente i bambini ad allargare le conoscenze a partire dalle loro domande, ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 163 La fotografia come documento nella didattica della storia le fotografie hanno un ruolo fondamentale di fonti, analizzate e collocate all’interno di strumenti ordinatori (tempo e spazio): seguiamo così la crescita della bambina Luisa, le relazioni con i familiari e con altri bambini, i luoghi della sua infanzia e adolescenza e infine i luoghi lontani della deportazione (auschwitz, Ravensbruck, Bergen Belsen) dove è stata e da cui non è tornata. «Sulla strada che mi ha portato verso Luisa, dopo i racconti dei coetanei, sono riaffiorate decine di fotografie», afferma Maria Bacchi, autrice della ricerca, e prosegue: Dai primi giorni di vita agli ultimi di libertà, Luisa deve essere stata il soggetto preferito della passione fotografica di una famiglia numerosa: era la più piccola e la più burlona. Queste foto, le dediche scritte sul retro, l’usura delle superfici, la memoria di chi me l’affidava, i luoghi in cui erano riposte contribuirono a costruire meglio la conoscenza dei contesti della sua vita e, soprattutto, le caratteristiche della sua personalità. […] Fotografie che affiorano, colme di intatta freschezza, da un passato reso ancor più remoto dalla guerra e dallo sterminio degli ebrei. Come quelle contenute in una valigetta sepolta nel giardino della casa nell’autunno 1943, prima della fuga. Le ritrovò Franco, il 163 10. Album con foto degli alunni della Classe I della Scuola elementare ebraica della maestra Lia Finzi, Venezia, a.s. 1950-1951 (archivio privato L. Finzi). 9 Sulla ricerca ho curato una mostra e relativo catalogo: Ritorno a scuola. L’educazione dei bambini e dei ragazzi ebrei a Venezia tra leggi razziali e dopoguerra, Nuova Dimensione, Portogruaro (VE) 2012. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 164 164 Maria Teresa Sega 11. Pannello della mostra Ritorno a scuola. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 165 La fotografia come documento nella didattica della storia fratello maggiore, l’unico sopravvissuto della famiglia; e le portò con sé in Israele, dove ho potuto vederle13. anche nella nostra ricerca veneziana le fotografie conservate dai testimoni hanno un ruolo fondamentale. La nostra indagine prende avvio proprio da alcune foto di classe, prima (foto 1 e 2) e dopo le Leggi razziali (foto 3 e 4), e prosegue con la ricostruzione dei destini di alcuni alunni e alunne ebrei, per la quale ci avvaliamo di testimonianze orali dei testimoni che siamo riusciti a rintracciare e documenti da loro conservati. Un ruolo importante ha l’esplorazione dell’archivio scolastico, dove si può trovare traccia delle Leggi razziali nelle circolari dell’epoca e delle conseguenze nella vita scolastica: allontanamento di alunni e insegnanti ebrei, istituzione di classi speciali con ingressi separati. Ci hanno guidato in questo percorso due sorelle, alba e Lia, che hanno raccontato la loro storia e fornito i loro documenti e le loro fotografie. Ci hanno anche aiutato a identificare le persone (maestre e allievi) presenti nelle foto, alcuni dei quali a loro volta ci hanno messo a disposizione i loro ricordi, orali o scritti. Incrociando le foto di classe con i registri conservati nell’archivio scolastico abbiamo verificato i nomi degli alunni delle classi. Con grande emozione abbiamo dato un volto ad angelo, un bambino deportato ad auschwitz con la famiglia e mai più tornato (foto 7)14, di cui avevamo raccolto i ricordi di un compagno di giochi. Il pannello della mostra finale evidenzia le relazioni tra fonti (foto 11). Nella nostra ricerca le fotografie hanno valore di fonti primarie, poiché hanno fornito informazioni essenziali che hanno arricchito e in alcuni casi provocato la ricerca. Temi cruciali e difficili come la Shoah sono stati affrontati con gli studenti, anche di scuola primaria, a partire dal vicino (la propria scuola e città), ricostruendo le storie di bambini e ragazzi come loro e inserendole nella storia del Novecento. La fotografia come fonte è importante anche dal punto di vista didattico, poiché consente di dare concretezza, associando ai racconti ascoltati i volti e i corpi di persone reali, di entrare in contatto diretto con loro e di comprendere l’importanza che ricoprono le immagini fotografiche nell’identità e nella memoria delle persone. Per questo, spesso fortunosamente salvate, sono state conservate con cura, come oggetti preziosi, per ricomporre le vite spezzate. 165 10 M. BACCHI, F. GOFFETTI, Storia di Luisa. Una bambina ebrea a Mantova, Arcari, Mantova 2011. Il libro contiene lo SCHEDARIO: schede per un laboratorio storico-didattico sperimentato in classi di scuola primaria. 11 L. LEVI, Una bambina e basta, Edizioni e/o, Roma 1997. Vedi il laboratorio didattico realizzato dall’ISTORETO Bambini e basta. 1938 ‘Via dalla scuola, sei ebreo’, nella rivista on-line www.novecento.org. 12 M. Bacchi ha trovato l’album in Israele, conservato dai discendenti del fratello di Luisa. 13 M. BACCHI, F. GOFFETTI, Storia di Luisa… cit., p. 25. Maria Bacchi ha scritto Cercando Luisa. Storie di bambini in guerra 1938-1945, Sansoni, Milano 2000. 14 I volti della memoria. Le fotografie degli ebrei deportati dall’Italia, progetto del Centro documentazione ebraica contemporanea (CDEC) per dare un volto, oltre al nome, agli ebrei deportati. Visita il sito. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 166 1. Umberto Antonelli, Una giovane madre posa insieme ai suoi cinque figli nello studio del fotografo a Enemonzo, inizi del Novecento (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 167 La fototeca in classe Adriana Stroili La fototeca in classe L’Istituto Comprensivo di Tolmezzo persegue da anni l’obiettivo di suscitare nei ragazzi interesse per la terra d’origine, affrontando argomenti di studio che siano collegati alla realtà locale. Nella prospettiva di una gestione aperta della scuola, la ‘fotografia d’epoca’ fa parte dei temi che meritano un approfondimento con il supporto di esperti esterni. Dino Zanier – insegnante, precursore nella didattica della scuola media con il laboratorio di Educazione all’immagine, socio fondatore del Circolo Culturale Fotografico Carnico (CCFC) – è l’insostituibile promotore delle iniziative e la figura fondamentale di collegamento tra la scuola e l’esterno – in questo caso il Circolo e la Fototeca territoriale CarniaFotografia. Per parlare di foto d’epoca con i giovani allievi, viene adottato l’approccio dal ‘basso verso l’alto’, come sovente si dice oggi in diversi contesti, che consente di spiegare cos’è una fototeca a partire dalle immagini custodite nel cassetto di casa; un’impresa un po’ meno difficile che iniziare illustrando concetti di storia e filosofia della fotografia. Ritengo sia saggio semplificare (che non significa banalizzare) il percorso conoscitivo: le foto di famiglia hanno un interesse anche emotivo, oltre che oggettivo, e quindi possono far scattare molle inattese, che si tramutano in conoscenza e coinvolgimento. L’intento generale è di far comprendere che le immagini – come i documenti, gli oggetti, le opere d’arte e d’artigianato, gli edifici e persino il paesaggio antropizzato – non sono qualcosa di astratto dalla collocazione indefinibile, ma tracce nella storia di coloro che ci hanno preceduto, orme che continuiamo a generare. In classe, la presentazione dell’argomento ‘foto d’epoca’, esposto ovviamente con il supporto di immagini proiettate, inizia con una breve introduzione teorica su cos’è una fototeca, partendo dall’analogia con la più 167 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 168 168 Adriana Stroili nota biblioteca; qualche informazione sulla storia della fotografia è d’obbligo, per collocare temporalmente l’argomento in modo corretto; alcune brevi note sull’aspetto tecnico (i tempi di esposizione, per esempio) sono funzionali alla comprensione delle foto che verranno mostrate in seguito, inclusi gli ‘errori’, come il ‘mosso’, spesso rilevabile nelle immagini dei bambini. Un accenno a come sono cambiati i materiali e le attrezzature per ‘scrivere con la luce’ consente di mettere in rilievo le differenze tecniche tra passato e presente: per fare qualche esempio, il passaggio dallo scatto analogico al digitale, dalla stampa fotografica al file, dal bianco e nero al colore. Si sospende deliberatamente il giudizio sull’aspetto estetico della fotografia, argomento molto dibattuto e complesso, nonché sulle scelte artistiche del fotografo (punto di vista, inquadratura della foto...), che sollecitano altre considerazioni, non oggetto dell’esposizione in corso, e meritano di essere affrontate separatamente. Un punto fondamentale riguarda le indicazioni sui dati minimi da raccogliere, per ogni singola foto, in fase di ricerca: – dove = il luogo della ripresa fotografica; – quando = la data della foto; – chi/cosa compare nella foto = la descrizione dell’immagine; – chi ha scattato la foto = il nome del fotografo, quando è possibile. ogni altra notizia è preziosa, quindi si invitano i ragazzi a trascrivere tutte le informazioni, anche se al momento non sembrano fondamentali. L’esposizione prosegue per argomenti, solitamente dal particolare al generale, ovvero dai ritratti di famiglia alle foto di paesaggio, possibilmente carnico e quindi abbastanza noto agli alunni delle scuole del territorio, proprio per rendere le osservazioni più vicine all’esperienza quotidiana. Molto significativo risulta il confronto con la realtà odierna, che dovrebbe, possibilmente, essere anche visivo, grazie alla proiezione di foto contemporanee. Si ricorda sempre che la raccolta delle foto e dei dati fa parte dell’analisi e non dei risultati di una ricerca: le conclusioni, infatti, verranno in seguito, anche perché necessitano di approfondimenti ben maggiori. Questo, invece, è il momento dell’osservazione e della comprensione del documento fotografico, da ‘leggere’ come un testo scritto purché se ne impari il linguaggio. Iniziando dunque dalle foto di famiglia, si evidenzia fin da subito una differenza quantitativa: oggi moltissime foto (selfie compresi); un tempo cinque o sei scatti nel corso di una vita – in occasione del battesimo, della comunione o della cresima, del servizio militare o peggio della imminente partenza per il fronte, del matrimonio, della riunione di famiglia da nonni con nipoti e pronipoti. Guardando le foto di collezioni private soprattutto si possono fare alcune considerazioni di carattere generale, per esempio com’è cambiata nel tempo la consistenza e la struttura della popolazione. L’osservazione risulta pressoché spontanea quando l’attenzione si sofferma su una foto di bam- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 169 La fototeca in classe bini d’asilo o di scuola elementare: potremmo dividere come minimo in quattro parti la foto scattata davanti all’asilo di Mediis per ottenere lo stesso numero di bambini che c’è oggi in paese! Sollecitati dalla proiezione di foto di gruppi familiari, si può iniziare un ragionamento sulla composizione della famiglia attuale (nucleo ridotto composto da tre o quattro persone al massimo) rispetto a quella allargata di un tempo (con nonni, genitori, zii e numerosi bambini conviventi sotto un unico tetto). Classica tra le immagini ‘nel cassetto’ è la foto di matrimonio, fino agli anni ’50 realizzata in studio magari il giorno precedente o successivo alla cerimonia, che vede la coppia di sposi ritratti a mezzo busto (come amava fare antonelli), oppure con i testimoni e i genitori; una notevole differenza rispetto alla ripresa in esterno con tutti gli invitati, per non parlare dell’odierno reportage fotografico composto da innumerevoli scatti. Tra i pochi momenti immortalati, nelle collezioni è frequente trovare lo scatto in stu- 169 2. Le maestre e i numerosi bambini posano nel cortile dell’asilo infantile, Mediis (Socchieve, Ud), 1925 (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 170 170 Adriana Stroili 3. Un emigrante carnico e due amici posano scherzosamente dietro ad un aereo di cartone, Parigi, 1925 ca. (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). dio di una famiglia ‘incompleta’: una donna sola con i figli. Probabilmente è l’immagine spedita al marito-padre emigrante, un messaggio per inviare notizie ‘concrete’ sulla salute, aggiungendo magari un più esplicito ma laconico «quando torni?». Nel ‘messaggio di risposta’ inviato a casa, la foto ritrae il marito-padre con altri operai sul luogo di lavoro, oppure con indosso l’abito ‘buono’ nello studio di un fotografo straniero, quasi a voler ostentare una certa agiatezza (chissà, poi, se reale), o ancora con amici in un’ambientazione scherzosa con fondali in cartone che rappresentano aerei, cavalli e altre simpatiche diavolerie mai viste in patria. Di solito le parole che accompagnano le fotografie sono ben poche, quando ci sono: la durezza del carattere e la poca dimestichezza con la scrittura lasciano spazio di espressione all’immagine, piuttosto che alla penna. Dagli emigranti al capitolo del ‘lavoro’ il collegamento è immediato. Le immagini, a partire da fine ottocento, testimoniano in modo più diretto di qualsiasi descrizione i mestieri di un tempo e consentono una riflessione su come è cambiata la realtà lavorativa. Il fondo fotografico dell’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Tolmezzo (catalogato in parte nella campagna appena conclusa), ad esempio, offre numerosissimi spunti in questo senso; vi sono documentati ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 171 La fototeca in classe 171 4. Il laboratorio di edilizia della ‘Regia Scuola d’Arte Professionale Carnica Albino Candoni’, Tolmezzo (Ud) (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). 5. Opere idraulico-forestali: «Rio Neval di sopra - frana a destra briglia in costruzione1930» (archivio Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Tolmezzo, Ud). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 172 172 Adriana Stroili 6a. La piazza principale di Zuglio nel 1935 circa. In primo piano il monumento ai caduti, ora spostato sul lato est della piazza. Dietro al monumento un edificio, successivamente demolito, che si trovava di fronte a palazzo Tommasi Leschiutta, Zuglio (Ud), 1935 ca. (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). 6b. La piazza principale di Zuglio nel 1976-78 circa. Il seicentesco palazzo Tommasi Leschiutta fotografato dopo il sisma del 1976, Zuglio (Ud), 1976/78 ca. (collezione del Comune di Zuglio). lavori incredibili di risanamento di frane e di costruzione di briglie sui torrenti, eseguiti a ‘pala e piccone’, con ai piedi scarpets (le tipiche calzature carniche con la suola di stracci trapuntati e la tomaia di tela o velluto), pantaloni spesso alla zuava e calzettoni di lana pesante, camicia chiara e gilè, cappello a larga tesa per proteggersi un minimo dal sole; e le donne, con gli abiti a mezzo polpaccio almeno, il grembiule e il fazzoletto legato sulla nuca a coprire i capelli, impegnate con l’immancabile gerla nello spostamento della ghiaia, dei sassi, dei cavi di una costruenda teleferica, oppure nel trasporto del cibo per gli operai in cantiere. Tra le immagini particolari proiettate in classe non possono mancare i bellissimi scatti del laboratorio Edilizia della ‘Regia Scuola d’arte Professionale Carnica albino Candoni’ di Tolmezzo. anche in questo caso si può spaziare nell’evidenza delle diversità rispetto ad oggi: dagli edifici che ospitavano i laboratori (demoliti), al modo di abbigliarsi di insegnanti e allievi, agli attrezzi utilizzati. Di questo fondo è curiosa anche la modalità di acquisizione in fototeca: le lastre fotografiche originali sono state consegnate da una terza persona, che ha voluto rimanere anonima e quindi non si sa nemmeno chi ringraziare per questo gesto, sorprendente quanto generoso. Il capitolo delle trasformazioni edilizie e territoriali viene trattato per ultimo nell’incontro in classe, iniziando dall’edificato per concludere con il paesaggio; come ausilio si utilizzano immagini di soggetti potenzial- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 173 La fototeca in classe mente noti ai ragazzi. ad esempio, si fa osservare la foto d’epoca di un edificio che ha subito delle modifiche, oscurando la didascalia, e si chiede ai ragazzi di effettuare il riconoscimento; se non c’è una risposta immediata si svelano via via alcuni particolari, invitando a guardare l’immagine completa, sfondo compreso, fino a identificare il soggetto della ripresa; quando è possibile si facilita il processo con l’aiuto di immagini odierne. In ogni caso i ragazzi sono sollecitati a partecipare attivamente, osservando, chiedendo spiegazioni, commentando e mettendo in evidenza i cambiamenti rilevati. Lo stesso esercizio si può ripetere prendendo come soggetto il tessuto urbano. Una ripresa aerea della zona dell’ex stazione ferroviaria di Tolmezzo, risalente agli anni della Grande guerra (foto interessan- tissima, acquisita dalla fototeca grazie al prestito di una collezione privata) viene messa a confronto con una foto aerea attuale. Ciò consente di rilevare lo sviluppo dell’edificato in quell’area, ma non solo: si può ragionare sul motivo per cui si scattavano le foto delle strade principali e delle linee ferroviarie durante la guerra, avviare un discorso sulla storia della prima Guerra Mondiale, oppure sulle vie e i mezzi di trasporto del periodo, o ancora su quali edifici erano già presenti all’epoca, e magari completare l’esperienza con il riconoscimento diretto delle caratteristiche architettoniche degli edifici stessi. Sempre patrimonio culturale della fototeca, ma provenienti da un altro fondo fotografico, sono due bellissime immagini, risalenti agli anni ’20 circa, del mercato del bestiame 173 6c. La piazza principale di Zuglio nel 2011. Il Palazzo Tommasi Leschiutta restaurato. Dal 1995 il Palazzo è sede del Civico Museo Archeologico ‘Iulium Carnicum’, dove sono esposti numerosi reperti preromani, romani e alto medioevali rinvenuti nel corso di scavi sistematici o ritrovamenti casuali nell’area di Zuglio e della Carnia, Zuglio (Ud), 2011 (© A. Stroili). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 174 174 Adriana Stroili 7a. Attilio Vidussoni, Ripresa aerea di Tolmezzo (Ud), 1915-1917 (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). 7b. Ortofoto di Tolmezzo (2011). In evidenza il tracciato della ferrovia dismessa e la ex stazione (Immagini TerraItaly™ - © CGR SpA – Parma www.terraitaly.it, p.g.c. di CGR s.p.a. di Parma autorizzazione del 24.07.2015). 8a. Il mercato del bestiame a Tolmezzo, con la cappella Linussio e l’antica fabbrica di tessuti sullo sfondo, Tolmezzo (Ud), anni ‘20 (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). 8b. Il mercato del bestiame a Tolmezzo. A sinistra si vede l’asilo infantile ‘Don G. B. De Marchi’ inaugurato nel 1912, sullo sfondo Pracastello e la Torre Picotta verso nord, Tolmezzo (Ud), anni ‘20 (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 175 La fototeca in classe di Tolmezzo, che si svolgeva proprio nella zona inclusa nella ripresa aerea sopra citata. Componendo le informazioni dedotte da queste immagini diverse dello stesso sog- getto si inizia a disegnare il quadro conoscitivo, che in questo caso riguarda un frammento di storia, con la consapevolezza che la composizione di più frammenti dà una 175 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 176 176 Adriana Stroili 9a. Attilio Vidussoni, Panorama della Conca Tolmezzina nel periodo della Grande Guerra, Verzegnis (Ud), 1915-17 (collezione privata / Fototeca territoriale CarniaFotografia). 9b. Panorama della Conca Tolmezzina, 2005 (© A. Stroili). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 177 La fototeca in classe visione d’insieme sempre più completa. La lettura delle foto di paesaggio, infine, offre numerosi spunti. Due riprese della Conca tolmezzina, ad esempio, scattate a circa novant’anni di distanza, sono ottimali per discutere svariate tematiche: come si siano sviluppati i centri abitati, come l’opera dell’uomo abbia cambiato l’ambiente, come sia cambiato l’assetto territoriale e anche socio-economico. oppure, detto con termini più ‘indigeni’, come Tolmezzo si sia espanso sulle rive del fiume Tagliamento e le frazioni di Verzegnis sui rilievi della sponda destra, come il lago artificiale di Verzegnis della fine degli anni ’50 abbia cambiato l’aspetto della vallata (lo spunto, tra l’altro, è perfetto per parlare di energia rinnovabile), quanto si siano ridotte le superfici a prato e siano invece aumen- tate le aree a bosco anche in questa zona della Carnia; come, infine, l’abbandono dell’agricoltura abbia causato la quasi totale scomparsa degli agricoltori, del bestiame nei prati e nelle stalle, nonché dei prati e delle stalle stesse. Imparare a leggere le immagini e a concatenare le informazioni reperite consente di accrescere la conoscenza e, di conseguenza, più aumenta la consistenza del patrimonio fotografico e più si incrementa il bagaglio culturale collettivo. Si potrebbe obiettare che sono solo fotografie. È vero, ma la lettura delle immagini contribuisce ad affinare il senso critico, l’attenzione, la curiosità e la capacità di collegare dati e situazioni, di acquisire strumenti intellettivi che aiutano a crescere e a coltivare il libero pensiero. 177 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 178 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 179 Educazione all’immagine nella Scuola Media ‘Gian Francesco da Tolmezzo’: presupposti teorici ed esperienze 179 Silvia Marcolini Educazione all’immagine nella Scuola Media ‘Gian Francesco da Tolmezzo’: presupposti teorici ed esperienze Parlare di Educazione all’immagine per e nella scuola media, non significa riferirsi ad un ambito specificatamente disciplinare, significa invece richiamarsi ad uno dei percorsi più interdisciplinari, significativi e fondanti del nostro operare per l’insegnamento. Due sono gli ordini di motivi: l’uno strutturale tiene conto delle qualità intrinseche al tempo ed allo spazio all’interno dei quali caliamo la nostra azione, l’altro metodologico tiene conto delle dinamiche attraverso le quali avviene l’apprendimento. attraverso le immagini è veicolata la maggior parte dei messaggi che quotidianamente riceviamo, nelle immagini riconosciamo sempre più spesso la nostra dimensione sociale, con le immagini misuriamo la nostra capacità di comprendere i fatti, per immagini sempre più abitualmente ci esprimiamo o raccogliamo informazioni. I giovani in particolare vivono immersi nelle immagini fin dalla più tenera età: libri illustrati, cartoni animati, documentari, video clip, giochi virtuali, pubblicità, istantanee, riviste e conformazione dei testi scolastici, costituiscono lo sfondo della loro esperienza della realtà, indistinta1. Se l’obiettivo primario della scuola «è quello di formare saldamente ogni persona sul piano cognitivo e culturale, affinché possa affrontare positivamente l’incertezza e la mutevolezza degli scenari sociali e professionali, presenti e futuri»2 e se «è compito della scuola offrire agli studenti occasioni di apprendimento dei saperi e dei linguaggi di base»3, un percorso condiviso e graduale di educazione all’immagine non può mancare in una scuola calata nel presente, poiché offre uno strumento indispensabile per approcciare alla realtà attuale. a chi nella scuola opera, ma non solo, risulta evidente quanto rilievo abbiano le immagini per gli adolescenti e quante ricadute comporti l’eccesso del loro uso (ma più spesso abuso) nell’ambito delle difficoltà di apprendimento. Deficit attentivi, altera- 1 Spesso trascuriamo quanta importanza abbia sulle dinamiche dell’apprendimento questo approccio massivo ed invasivo dei segni rispetto all’esperienza reale. A livello editoriale risulta significativo il successo di collane che associano alla trascrizione grafica delle parole anche una connotazione spaziale, mediante uso di grassetto, variazioni grafiche o della dimensione dei caratteri, inibendo però un apprendimento personalizzato o fortemente condizionando le ricadute sulla interiorizzazione dei concetti. 2 Indicazioni per il curricolo: per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione, Ministero della pubblica istruzione, Roma 2007, p. 16. 3 Ibid. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 180 180 Silvia Marcolini 4 Anche la percezione della scrittura risulta rilevante in relazione al mezzo attraverso il quale essa si compone, computer e tablet hanno preso il posto di carta e penna e la percezione che il cervello ha della scrittura sembra stia cambiando con conseguenze non del tutto trascurabili. B. KEIM, La scienza della scrittura, in «Mente e cervello», n. 117 (settembre 2014), p. 34. 5 Secondo lo studioso canadese Derrick de Kerckhove, teorico legato ai brain frames, esiste una stretta correlazione fra cervello e tecnologia, tanto che l’attività del cervello può essere orientata nelle sue prestazioni dall’ambiente tecnologico nel quale si trova ad operare ed è così possibile assistere a delle modificazioni nel modo con cui usiamo la nostra mente ed i nostri sensi, cfr. I. DOMANIN, Antropologia della scrittura, http://www.extramuseum.it/ mondobit/p2.htm. 6 Il funzionamento del sistema visivo ha una sua relativa autonomia e segue alcune regole di impostazione che, condizionando i processi visivi, di fatto rendono l’inesperto (il giovane) ‘vittima’ dell’organizzazione dello spazio percettivo, cfr. L. LUMBELLI, Il ruolo della percezione visiva nell’apprendimento con animazioni, in «Form@are», n. 80. 7 Indicazioni per il curricolo... cit., p. 22. 8 Sono le regole in base alle quali regoliamo la nostra selezione visiva mediante contrasto, in particolare in base alle quali arriviamo alla distinzione fra figura e sfondo, attraverso una focalizzazione di oggetti (per immagini fisse) o di eventi (per immagini in movimento). 9 Inizialmente il ragazzo vive oggettivamente, riguardo al suo approccio, esperienze che interiorizza senza subirle come mancanze (di fronte ad immagini in 3D nascoste ad esempio verifica la sua effica- zioni nella memoria di lavoro, diversa percezione della scrittura4, problemi di gestione di un metodo di studio, ma anche e soprattutto confusione fra reale e virtuale5, sono tutte problematiche note agli insegnanti ma già ascritte dalla psicologia cognitiva ad una alterazione nei processi di elaborazione dei concetti mediata dalle immagini6. Se conoscere e favorire la funzionalità dei processi costituisce un imperativo metodologico per garantire «l’elaborazione dei saperi necessari»7, educare all’immagine diventa un imperativo metodologico per condurre alla capacità di riflettere sul mondo e su se stessi, poiché per immagini apprendiamo (la nostra mente è un immenso archivio di immagini) e dalle immagini siamo avvolti. Nel momento in cui parliamo di educazione, ci riferiamo ad un’azione che, per la sua dimensione temporale di durata (e-ducare, condurre fuori riporta ad un’idea di spostamento), reca impliciti i concetti di gradualità (ossia passaggio da un prima ad un dopo per fasi) e di efficacia (l’effetto educativo deve esplicitarsi nell’acquisizione di una competenza spendibile negli ambiti più diversi). Trattandosi inoltre di un percorso, ossia di un processo dinamico, è opportuno riferirsi all’esercizio di abilità (ricorsive e progressive) testate concretamente non solo attraverso esercitazioni guidate, ma – e soprattutto – attraverso esperienze creative. Passaggi fondamentali per arrivare a percepire, discernere, decostruire e strutturare (rielaborare) il contesto esterno, sono la lettura, la descrizione, la comprensione e l’interpretazione delle immagini fisse od in movimento che spesso ce lo mediano. L’apprendimento prende avvio dalla percezione, prima fase di un complesso processo per il quale è importante essere addestrati, nel caso delle immagini essere addestrati significa essere avviati alla conoscenza ed all’uso delle strategie di contatto con la realtà, alla conoscenza e gestione quindi delle modalità di percezione e nello specifico delle salience rules8, così da interagire in modo esperto con ciò che ci appare. La percezione umana si basa su processi di selezione e pre-attenzione che determinano pesantemente l’elaborazione cognitiva che ne segue: solo ciò che è stato selezionato passa alla memoria di lavoro per essere elaborato. offrire la possibilità di esercitarsi a governare la fase attentava ed a guidare in maniera sistematica quella selettiva, significa aprire alla curiosità verso i meccanismi dell’apprendimento, significa offrire la possibilità di rilevare carenze nelle procedure, significa far riflettere in modo partecipe sui meccanismi attraverso i quali agiamo nei confronti di ciò di cui facciamo esperienza9. È attraverso la direzione dell’attenzione che impariamo a raccogliere le informazioni che illusoriamente sono per noi secondarie, ma che si possono rivelare determinanti per una conoscenza approfondita della realtà oggettiva. È compito della scuola favorire lo sviluppo della capacità di cogliere tutto quanto è presente in un’immagine, cioè i suoi elementi e il suo significato di insieme. attraverso domande guida o stimoli alla de- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 181 Educazione all’immagine nella Scuola Media ‘Gian Francesco da Tolmezzo’: presupposti teorici ed esperienze scrizione si favorirà l’integrazione o la connessione di una serie di differenti funzioni cerebrali con un duplice vantaggio: stimolare un apprendimento generativo e contenere i danni conseguenti alla riduzione dei tempi di attenzione ed alla fluttuanza e superficialità di quelli della concentrazione. Guidare all’osservazione porta a consolidare la formazione dei concetti, attraverso lo sviluppo partecipe dei processi induttivi e deduttivi: osservare, ordinare, classificare e attraverso la generalizzazione passare al concetto astratto10. Favorire queste operazioni a livello di classe offre la possibilità di ottenere forme più omogenee di apprendimento, inoltre proporle in forma inversa abitua ad attribuire un’immagine alle parole e quindi a gestire meglio attenzione e ritenzione. Considerato che il cervello umano ricorda le immagini più di qualsiasi altra cosa e che circa l’80% delle informazioni nel cervello sono di tipo visivo11 partire da immagini per raccogliere, dedurre, ipotizzare e confrontarsi dialetticamente, apre ad una naturale e positiva ricaduta sui processi di assimilazione e ritenzione, così da favorire un apprendimento costruttivo, reticolare, trasferibile, attivo, collaborativo, situato e metacognitivo12, in poche parole efficace. Nella scuola media ‘Gian Francesco da Tolmezzo’, il percorso di Educazione all’immagine nasce intorno agli anni ’70, sulla scorta delle esperienze di sperimentazione laboratoriale collegate all’avvio del tempo pieno. In quegli anni si cercava di adattare l’insegnamento alle mutate condizioni dell’am- biente, di passare concretamente dalla scuola della parola e del libro, fino a quel momento cuore della didattica come acquisizione e trasmissione del sapere, alla scuola dei media, con il progressivo diffondersi di una serie di mezzi che porgevano in modo visivo e audiovisivo il materiale didattico (diapositive, lettori di cassette, televisioni), promuovendo la scuola come co-costruzione del sapere. Erano gli anni della Preside Maria Fabro Comoretto, mente attiva e propositiva attenta allo sviluppo congiunto della persona e dell’allievo, a lei sono riconducibili le Libere attività e l’organizzazione di esperienze nuove all’interno delle quali si esplicavano i corsi relativi all’immagine, in particolare Cineforum e Fotografia. Cineforum era sostenuto da mons. Giuseppe Faidutti (all’epoca conosciuto come don Bepi) e dalla prof.ssa di Lettere Lia Durigon; l’attività avviava l’allievo alla lettura e commento delle pellicole cinematografiche attraverso un approccio testuale (scomposizione in sequenze e sviluppo di un apparato critico relativo a regia ed interpreti, con contestualizzazione a livello di genere e comparazione stilistica). Il corso di Fotografia approcciava all’utilizzo di una reflex e misurazione con esposimetro, con successivo sviluppo dei rullini e stampa su carata fotografica. Si trattava di percorsi con adesione libera (unica eccezione Cineforum per le classi guidate da insegnanti di riferimento) che si garantivano la continuità attraverso la formazione interna con preparazione dei docenti in in- 181 cia nel focalizzare sguardo e concentrazione e la confronta fra pari), successivamente manifesta poi un atteggiamento di partecipazione più consapevole riguardo alle metodologie e ai contenuti proposti più in generale. 10 Si pianifica così la trasformazione di un ostacolo in una facilitazione del processo di apprendimento. 11 Le ultime ricerche di settore hanno portato all’elaborazione di uno schema detto ‘Cono di apprendimento’ o cono di Dale, che distingue le informazioni che la mente raccoglie relazionandole ai tempi di ritenzione ed alle modalità di apprendimento. Dallo schema si evince che guardare una foto porta a un ricordo ed apprendimento del 30%, mentre guardare un film alza la percentuale al 50%. 12 Gli aggettivi citati rappresentano una sintesi efficace che raccoglie le sollecitazioni teoriche della psicologia dell’apprendimento di M. Cole e L.S. Vigotskij fatte proprie da Luisa Bartoli in occasione di un seminario organizzato a Udine nel 1999 presso l’Istituto ‘Bertoni’ dal titolo Per una ‘lettura strategica’ delle indicazioni curricolari relative alla scuola di base. 13 Attività operative erano la ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 182 182 Silvia Marcolini stampa a contatto in prima, fotografia con creazione di una camera a foro stenopeico in seconda, realizzazione di frasi-video in seconda e talkshow in terza (con utilizzo di cinepresa e macchina per il montaggio). Attività teoriche erano la teoria dei campi e dei piani ed i movimenti di macchina. Un’integrazione successiva ha tenuto conto delle Tic e ha riguardato la produzione e gestione delle immagini mediante computer ed in rete. 14 L’elaborazione digitale delle fotografie è diventata parte integrante del programma di seconda e il passaggio da immagine fissa ad immagini in movimento si è codificato nella schedatura fotografica con successivo passaggio al documentario storico attualmente in uso in terza. È inoltre stato integrato un intervento di riflessione sulle fotografie storiche di paesaggio, gestito dal Circolo Culturale Fotografico Carnico. gresso e condivisione delle metodologie. Negli anni ’80 il percorso ha raggiunto una sua definizione progettuale ed è entrato a far parte degli assi portanti dell’offerta formativa, attraverso la duplice referenza della prof.ssa Ilda Durigon e dell’operatore Tecnologico prof. Dino Zanier. organizzato secondo una sequenza stabilita di ore ed attività, il percorso prevedeva uno sviluppo progressivo nei tre anni dell’obbligo e comprendeva attività pratico-creative13 unitamente ad attività teoriche gestite in condivisione con gli insegnanti di Lettere e Tecnologia, ma con il contributo di tutte le discipline. anche in questo periodo è stato possibile garantire continuità attraverso la formazione, l’individuazione di una referenza e la possibilità di compresenze costruttive in classe. Nell’ultimo decennio il percorso ha subito un’ulteriore variazione, con un’integrazione consistente nella conoscenza ed uso delle immagini mediate da computer (con utilizzo di programmi quali Slide show o Cabrì), si è passati inoltre alla telecamera digitale per le riprese e la macchina di montaggio è stata sostituita dal programma iMovie della apple. Gli insegnanti di Lettere e Tecnologia (per due anni anche gli insegnati di arte ed Immagine sono stati coinvolti a seguito di un corso sulla produzione di cartoni animati con tecnica dello slow motion), hanno gestito il percorso con l’apporto esterno del prof. Dino Zanier (come esperto) e del Circolo Culturale Fotografico Carnico14. Negli ultimi anni i tagli alle compresenze ed al monte ore hanno portato ad un obbligato ridimensionamento dell’attività, collegato anche alla variabilità e fluttuanza del corpo docenti; sono venuti a mancare continuità e formazione e la concorrenza delle diverse discipline si esplica nella sfera dei singoli ambiti. Prodotti particolari sono diventati esemplari come modello, ma sono frutto di singole potenzialità o dello sviluppo di stimoli legati all’intervento di esperti esterni. Nonostante le difficoltà, l’Educazione all’immagine resiste nella scuola ‘Gian Francesco’, offrendo soddisfazioni e raccogliendo il riconoscimento anche all’esterno del mondo scolastico. La scelta di ritagliare uno spazio specifico nell’ambito della didattica delle singole discipline, ha nascosto e nasconde ancora oggi la volontà di prendere atto di una urgenza metodologica e trasversale alle discipline, così da offrire un approccio comune traducibile nelle specificità delle singole materie. Leggere ed interpretare un paesaggio (in Geografia o Tecnologia), così come una fonte (in Storia, od in arte ed Immagine), piuttosto che un’opera, diventano stimolo alla gestione di una mole di dati attraverso un atteggiamento che non sia passivo. Il passaggio da passivo ad attivo costituisce uno dei punti nodali di questo percorso, in quanto consente innanzitutto di distinguere tra realtà oggettiva e realtà virtuale, inoltre recupera la consapevolezza e l’attenzione nei confronti di ciò che è mondo e infine potenzia la capacità creativa, che da sempre è stata motore per ogni forma di evoluzione umana. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 183 La schedatura fotografica: ipotesi per un archivio d’Istituto 183 Margherita Grosso, Dino Zanier La schedatura fotografica: ipotesi per un archivio d’Istituto L’approccio tecnico alla schedatura La Scuola Media Statale di Tolmezzo all’interno del progetto sull’educazione all’immagine «si è sempre confrontata con i nuovi linguaggi espressivi […] adattando le diverse tecnologie alla lettura e alla produzione di codici espressivi specifici, ampliando di anno in anno la sua offerta formativa»1. Per quanto riguarda la fotografia, fin dagli anni ’70, il nostro Istituto si è avvalso di un laboratorio attrezzato che è stato implementato e arricchito nel corso degli anni. Era interamente gestito dall’allora insegnante di ‘educazione tecnica’ che, con un approccio operativo-costruttivo, coinvolgeva i ragazzi nella produzione tecnica dell’immagine producendone la prima schedatura. Elemento centrale di questo percorso didattico era la macchina fotografica, punto di partenza per la scoperta di tutti i mezzi di comunicazione di massa. Innanzitutto gli alunni dovevano apprendere le basi funzionali degli elementi tecnici che la componevano, quali il diaframma e l’otturatore in relazione alla sensibilità della pellicola. Si passava quindi ad alcune nozioni sulla tipologia degli obiettivi e venivano fornite le informazioni fondamentali sullo sviluppo e la stampa in camera oscura. Gli alunni, infatti, dopo l’uscita per le riprese, erano tenuti a dimostrare le conoscenze tecniche acquisite attraverso l’uso autonomo del laboratorio, sviluppando il negativo e la stampa del positivo per l’ingrandimento. Il risultato dell’operazione serviva all’insegnante per controllare le conoscenze apprese (valutazione didattica) e, in base alla qualità del risultato, ipotizzare l’eventuale applicazione di correttivi. Come si può notare quindi, si trattava di un approccio essenzialmente meccanicistico in linea con le finalità disciplinari specifiche2. 1 D. ZANIER, I laboratori per i progetti, in D. ZANIER (a cura di), Sulle orme di Giorgio Ferigo. Un anno in classe: percorsi didattici multidisciplinari, Scuola Media Statale ‘G.F. da Tolmezzo’, Tolmezzo 2011, pp. 177-181. 2 Si veda anche D. ZANIER, La fotografia stenopeica. Un itinerario didattico nella Scuola Media, in Lo specifico stenopeico, filosofia e pratica della fotografia stenopeica, atti del convegno nazionale, Senigallia 19 maggio 2012, MUSIF (Quaderni dell’archivio italiano di fotografia storica), online: http://issuu.com/ osservatoriofotografiancona/docs/fotografia__stenopeica_atti_i__convegno_2012 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 184 184 Margherita Grosso, Dino Zanier 3 D. ZANIER, I laboratori... cit., pp. 177-181. 4 C. FANTI (a cura di), L’immagine, storia e critica, bollettino n. 3, Consorzio provinciale per la pubblica lettura, Ravenna 1981. Anche in C. FANTI, La fotografia storica, in P. BERTOLUCCI e R. PENSATO (a cura di), La memoria lunga, atti del convegno realizzati in collaborazione con l’Istituto regionale superiore etnografico di Nuoro e l’Associazione nazionale biblioteche, Cagliari 28-30 aprile 1984, Regione Autonoma della Sardegna / Assessorato alla pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport, settore beni librari, 1985. 5 Richiesta di finanziamento della prof.ssa Patrizia Casanova al Consiglio d’Istituto della Scuola Media ‘G. Cantore’ di Gemona. La domanda prevedeva di «concludere l’attività con una piccola mostra fotografica…». 6 Per una simile descrizione relativa ai ritratti pittorici si veda il contributo di A.M. BRECCIA CIPOLAT, Ritratti di Carnia, la didattica, in Ritratti di Carnia tra ’600 e ’800. Costumi e tessuti nella tradizione, Museo Carnico delle Arti Popolari ‘Michele Gortani’, Tolmezzo 1990. La fotografia come documento Dagli ultimi decenni del Novecento la sensibilità verso la fotografia d’epoca ha avuto notevole rilevanza sociale. Su quest’ondata di interesse la Scuola si è organizzata per l’attività di raccolta e di archiviazione: gli alunni sono stati invitati a riprodurre fotografie portate da casa, scelte dal loro archivio familiare. Tale attività si era proposta diverse finalità: sensibilizzare i ragazzi verso un bene culturale qual è la fotografia; insegnare ad utilizzare l’immagine fotografica come fonte documentaria per ricavare da essa tutte quelle informazioni necessarie alla sua collocazione storico-antropologica; abituare i più giovani a confrontare la realtà storica di una fotografia d’epoca con il presente. «Con la schedatura fotografica l’immagine entra in relazione con la scrittura: i due codici comunicano e si completano. È un circuito che produce un’intensificazione di significato: ciò che non dice l’immagine lo indica la scrittura e viceversa»3. La schedatura fotografica - cronistoria La prima schedatura fotografica d’immagini portate dagli alunni è stata realizzata dall’allora insegnante di educazione tecnica Dino Zanier nell’a.s. 1983/1984 con un gruppo di classe seconda della Scuola Media di arta Terme. Questa esperienza ha prodotto circa una trentina di schede che sostanzialmente sono rimaste invariate nelle compilazioni successive. Il prototipo, stampato su foglio formato a4, è stato ripreso da un modello simile di dimensione maggiore proposto dal prof. Corrado Fanti uti- lizzato per l’archiviazione di fotografie d’epoca in Emilia Romagna4. Per questa unità didattica gli alunni hanno dovuto fotografare nuovamente le istantanee portate da casa, stamparne una copia utilizzando l’ingranditore fotografico e compilare la scheda chiedendo le informazioni necessarie ai genitori. La stessa scheda, nell’anno scolastico 1993/1994, è stata utilizzata dell’insegnante di lettere prof.ssa Patrizia Casanova nella Scuola Media di Venzone in una classe seconda. L’attività proposta aveva come obiettivo non solo quello di «sensibilizzare i ragazzi verso un bene culturale quale la fotografia» e «insegnare ad utilizzare l’immagine fotografica come fonte documentaria», ma anche «ricevere informazioni che riguardavano l’evoluzione dell’abbigliamento infantile nell’ultimo secolo»5. L’insegnante, in questo caso, aveva dato agli alunni un compito supplementare: cercare negli archivi familiari le fotografie di bambini con particolare attenzione all’abbigliamento. In questo modo lo sguardo si sarebbe spostato sui contenuti dell’immagine diventando non solo un patrimonio da tutelare, ma un documento per la ricerca e fonte di conoscenza. Le 50 schede realizzate sono state disposte sulle due facce del foglio: da un lato la riproduzione fotografica e i dati tecnici, sul retro il disegno del capo di vestiario del bambino ottenuto scontornandolo dalla fotografia. L’abbigliamento veniva così evidenziato e descritto dettagliatamente6. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 185 La schedatura fotografica: ipotesi per un archivio d’Istituto Schedatura come lettura dell’oggetto La scheda, originariamente ideata nell’ambito archivistico da Corrado Fanti per tutelare un bene facilmente deperibile come la fotografia e utilizzata in ambito scolastico con simili finalità, ha dimostrato una duttilità inaspettata: si è rivelata, infatti, mezzo ideale per aiutare gli alunni a descrivere oggetti e cicli di lavorazione in modo articolato e completo. Tra le due unità didattiche sopra considerate sono passati ben dieci anni. In questo periodo la schedatura fotografica è stata utilizzata in modo rilevante da molti insegnanti di diverse discipline, ma non per schedare fotografie d’epoca. Gli insegnanti di lettere hanno iniziato a schedare gli oggetti di alcune sezioni del Museo Carnico ‘Michele Gortani’ di Tolmezzo; scelta la sezione, veniva affidato a ogni alunno uno o più manufatti da descrivere. In questo modo sono stati rappresentati i reperti della stoviglieria ceramica tradizionale, dell’alpeggio, dell’oreficeria e della tessitura. Lo stesso vale per l’insegnante di religione che l’ha utilizzata per quelli della religiosità popolare. Nel progetto Illegio una comunità numerosi insegnanti hanno partecipato alla schedatura di oggetti della cucina, di strumenti di lavoro, di ancone votive, ecc.7. Corso di fotografia di rilievo Poiché inizialmente le fotografie che illustravano l’oggetto erano scattate dall’operatore Tecnologico, è stato ideato, da alcuni insegnanti, un breve corso di fotografia di rilievo8 al fine di rendere l’alunno autonomo anche nella fase di ripresa. In sei ore curricolari ed alcune a casa, gli alunni si dovevano esercitare sui quattro aspetti della ripresa fotografica: lo sfondo, il punto di vista, l’inquadratura e la luce9. Con l’acquisizione della capacità fotografica, avevano la possibilità di utilizzare la scheda anche fuori dall’ambito dell’Istituto per descrivere oggetti della tradizione ovunque si trovassero. Itinerario di schedatura Contemporaneamente veniva messo a punto l’itinerario di schedatura fotografica. Gli oggetti più complessi ed i cicli di lavoro erano descritti in modo da affidare parti del rilievo ad un singolo o a gruppi di alunni. In questo caso era di fondamentale importanza la progettazione per organizzare la classe secondo un percorso di descrizione che avrebbe coperto tutta l’area d’indagine dell’oggetto o del processo di produzione. L’attività ha preso avvio dalla schedatura di un mulino tradizionale a energia idraulica sotto la guida degli insegnanti di educazione tecnica e di lettere10 e ha permesso, in un secondo tempo, di descrivere le abitazioni storiche del centro di Tolmezzo e della frazione di Illegio in collaborazione con l’ufficio tecnico comunale. Gli insegnanti di scienze hanno invece approfondito alcuni aspetti della riproduzione animale ed il ciclo della lavorazione del latte con l’insegnante di lettere11. altre schede sono state redatte per archiviare itinerari di lavoro prodotti nei laboratori della scuola di ceramica e di fotografia. 185 7 D. ZANIER (a cura di), Illegio una comunità, CD proposto da: Patrizia Pati - educazione interculturale, Dino Zanier educazione all’immagine, grafica - informatica prof. Mario L. Coco, realizzato con uscite protratte nei due a.s. 2000/2001 e 2001/2002 edito dalla Scuola Media Statale ‘Gian Francesco da Tolmezzo’. 8 In quel periodo la fotografia di rilievo era al centro del dibattito sull’archeologia industriale. Gli edifici di grandi aree industriali dismesse erano fotografati per porre all’attenzione dell’amministrazione pubblica il loro possibile riutilizzo. Abbiamo preso spunto dalla rivista semestrale «Scuola Officina» del Museo del Patrimonio Industriale di Bologna che dava spazio al dibattito e indicava gli elementi fondamentali per la ripresa fotografica. 9 L’esercitazione prevede di scattare fotografie per ognuno di questi punti; per lo sfondo, per esempio, lo stesso oggetto è fotografato sul banco e su uno sfondo neutro. In questo modo l’alunno si abitua a considerare lo sfondo come elemento importante della fotografia e a tenerne conto durante la ripresa e questo anche per gli altri tre aspetti. Il corso si trova nel CD di D. ZANIER (a cura di), Il mulino di Illegio. Itinerari didattici monotematici – noi lavoriamo così – il rilevo fotografico, Istituto Comprensivo di Tolmezzo, 2001. 10 D. ZANIER, Un bene ambientale per la scuola. La schedatura fotografica come metodo d’indagine sul campo, in «Scuola e didattica», a. XLV, n. 11 del 19/02/2000, pp. 71-77. 11 CD D. ZANIER (a cura di), Il mulino di Illegio – Itinerari didattici monotematici, Istituto Comprensivo di Tolmezzo 2001. C. DE MICHELIS, G. DELL’OSTE, Casa De Corte a Ovasta, Ovaro, Itinerari di schedatura, (classe 2^C), in D. ZANIER (a cura di), Sulle orme di Giorgio Ferigo... cit., pp. 90-93 e D. ZANIER, I laboratori per i progetti... cit. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 186 186 Margherita Grosso, Dino Zanier 12 M. MORASSI, Storia e archivi familiari, in D, ZANIER (a cura di), Sulle orme di Giorgio Ferigo... cit., pp. 70-83. 13 Durante questa settimana l’orario didattico è riorganizzato in modo che le classi possano utilizzare il laboratorio di fotografia e informatica con gli insegnanti esperti; per le classi prime: sperimentazione di pre-cine, film di animazione e uscita per le riprese con la macchina fotografica foro stenopeico; per le classi seconde, esperimenti di stampa a contatto di semplici oggetti (nel laboratorio fotografico), la grammatica filmica, le riprese per il breve film a soggetto (frase video); per le classi terze: montaggio d’immagini statiche in aula di informatica. La ripresa della schedatura di fotografie d’epoca Nell’anno scolastico 2008/2009, con l’unità didattica I bambini di ieri nell’ambito del Progetto Giorgio Ferigo12, l’insegnante di lettere Maddalena Morassi ha ripreso l’attività di archiviazione fotografica, in continuità con quella già citata di Patrizia Casanova, poiché circoscriveva l’oggetto di descrizione e organizzava l’attività d’indagine sull’abbigliamento infantile. Un archivio d’Istituto Nell’anno scolastico 2012/2013 tale esperienza è diventata un vero e proprio progetto d’Istituto dal titolo Storia e archivi fotografici: la fotografia come documento storico, che ha coinvolto tutte le classi prime (sei classi in tutto) interamente gestite dagli insegnanti di italiano. L’obiettivo finale era quello di insegnare ad osservare la realtà attraverso la lettura delle immagini. La fotografia è stata quindi presentata come uno strumento che fissa ‘un attimo fuggente’ della realtà e va elaborata e compresa. L’unico prerequisito richiesto era la capacità di leggere e descrivere una fotografia, passando da una visione globale ad una analitica. Da qui la speranza di educare i ragazzi ad una fruizione dell’immagine più consapevole e ragionata, che con il tempo avvii alla maturazione dello spirito critico e della riflessione autonoma. Tappe dell’esperienza Il primo intervento è stato condotto dai singoli insegnanti di italiano delle classi prime che hanno anticipato ai ragazzi alcune informazioni sul progetto inserito nella Settimana dell’Immagine13 e che li avrebbe visti coinvolti nei mesi successivi. Tale premessa descriveva loro il valore della fotografia come immagine/copia di una particolare realtà storica e sottolineava l’importanza del sistema di archiviazione delle fotografie (per la loro catalogazione, conservazione, condivisione, ecc.) motivandoli con l’allettante proposta di organizzare una sorta di archivio fotografico della classe e magari, in seguito, della scuola. È stato quindi chiesto ai ragazzi di cercare in famiglia o presso parenti alcune fotografie in bianco e nero risalenti a non oltre gli anni ’60, con lo scopo di procedere alla loro schedatura tecnica. Per non limitare la raccolta, volutamente non è stato definito un tema in particolare, lasciando liberi gli allievi di scegliere il materiale richiesto. La raccolta delle fotografie Il secondo intervento è stato condotto dalla responsabile della Fototeca territoriale CarniaFotografia, adriana Stroili, che ha presentato ufficialmente il progetto alle classi. In quest’occasione l’esperta ha definito il significato e il ruolo della nostra Fototeca come luogo della memoria d’immagini, sito dove si conservano le fotografie, si riproducono gli originali e si definiscono prestiti e donazioni. ha messo in evidenza, grazie all’uso di molti esempi fotografici, il ruolo della fotografia per ricostruire luoghi, ambienti, mestieri e attività produttive ormai scomparsi. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 187 La schedatura fotografica: ipotesi per un archivio d’Istituto Si è soffermata poi sulle informazioni necessarie e indispensabili che danno alla fotografia la possibilità di essere utilizzata come fonte documentale: dai dati squisitamente tecnici (nome del proprietario, dimensioni, tipo di supporto, fotografo, ecc.), a quelli relativi al contenuto (chi e che cosa è stato ritratto e breve descrizione, perché, dove, quando, ecc.). L’attività è proseguita con un’attenta analisi comparativa di esempi fotografici al fine di abituare gli alunni all’osservazione e al confronto visivo. Per questo motivo i ragazzi sono stati chiamati ad esprimere le proprie sensazioni e ad interagire con le immagini proiettate per ricavare più informazioni possibili. La ricerca delle immagini negli archivi familiari è stata preceduta da una lettera ai genitori per informarli del progetto. Nel comunicato si specificava il motivo della richiesta, la finalità didattica dello stesso e si garantiva la restituzione a breve termine delle fotografie originali. Le istantanee, portate in classe nelle buste recanti il nome dell’alunno, sono state veramente molte, a dimostrazione di un notevole interesse e partecipazione delle famiglie all’attività. Questa mole ingente di fotografie non poteva essere digitalizzata dagli insegnanti, che hanno quindi chiesto al Circolo Culturale Fotografico Carnico (CCFC di seguito nel testo) di espletare questa incombenza. L’incarico ha richiesto un notevole impegno in termini di tempo. La compilazione della scheda fotografica Dai file digitali si sono stampate le fotografie in formato cartolina 10x15 cm, che gli alunni hanno incollato sulla scheda predisposta per la raccolta dei dati. Non essendo stato dato un limite al numero di fotografie da raccogliere, la quantità di schede che ogni alunno doveva compilare variava sensibilmente, ma si è provveduto a distribuire gli incarichi in modo che, comunque, ognuno avesse del lavoro da compiere. L’impegno iniziale è stato quello di chiedere le informazioni ai propri genitori e/o parenti e riportarle sulla scheda in modo corretto: nome e data di nascita di chi vi era rappresentato, luogo dello scatto, data e motivo di origine della foto. Sono dati importanti che permettono di collocare l’immagine nel giusto contesto temporale e ambientale. Questa è stata la parte più difficile, ma al tempo stesso anche la più stimolante, visto che ha implicato una sorta di intervista ai propri parenti. Per fare in modo che le immagini d’epoca diventino patrimonio comune e oggetto di studio, la Scuola ha infine predisposto un documento da sottoscrivere alle famiglie al fine di chiedere l’autorizzazione al deposito dei file digitali delle fotografie nella Fototeca territoriale CarniaFotografia limitandone l’uso all’ambito puramente culturale. Conclusioni I punti di forza dell’attività sono stati molteplici: l’esperienza è stata recepita dai ragazzi come stimolante e ‘alternativa’ e ha coinvolto positivamente anche gli alunni 187 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 188 188 Margherita Grosso, Dino Zanier 14 Le schede selezionate sono state inserite nella mostra secondo questa successione: matrimoni, bambini, gruppi familiari, scuola, prima comunione, giochi, agricoltura, emigrazione, trasporti, militari. 15 M.T. SEGA, ‘Lo specchio dotato di memoria’: la fotografia, in P. FALTERI, G. LAZZARIN (a cura di), Tempo, Memoria, Identità. Orientamenti per la formazione storica di base raccolti e proposti del Gruppo nazionale di antropologia culturale MCE, La Nuova Italia, Firenze 1986. più agitati e poco motivati; la fotografia, molto spesso inclusa nei testi come semplice illustrazione e/o elemento di decoro, è stata presentata come testimone di una realtà storica da indagare e quindi come documento storico; l’attività ha permesso l’integrazione degli alunni in difficoltà e/o con handicap (aiutati e supportati dagli insegnanti di sostegno); il percorso, infine, ha favorito ed arricchito il programma di lettere, introducendo in maniera pratica il lavoro sul testo descrittivo. Le criticità, invece, sono state le seguenti: la mancanza di una tematica precisa ha reso il lavoro piuttosto gravoso e di difficile gestione vista la molteplicità delle fotografie raccolte; il numero delle fotografie era eccessivo per un’attività che doveva essere precisa e puntuale nella descrizione; la datazione delle foto era troppo vaga (non oltre gli anni ’60 del Novecento), sarebbe stato necessario stabilire un arco di tempo più limitato; il progetto, affidato interamente all’insegnante di italiano e senza la prevista collaborazione di quello di storia, è stato recepito dai ragazzi come un’attività puramente disciplinare e non dal taglio fortemente interdisciplinare. L’aspetto quantitativo però è anche stato l’elemento che ha distinto questo progetto, perché ha permesso di fare osservazioni sulla tipologia fotografica, che nelle schedature precedenti non era stato possibile effettuare. La mostra fotografica Gli insegnanti avevano stabilito di ultimare l’attività con una mostra che rendesse conto ai genitori del lavoro svolto. Poiché era necessaria una scelta tra fotografie simili, in collaborazione con il CCFC sono state esaminate tutte le schede individuando quelle più rappresentative. Ci siamo accorti che man mano che proseguiva la cernita delle diverse tipologie fotografiche (matrimoni, bambini, prime comunioni ecc.14), prendeva forma una sorta di memoria collettiva che seguiva a grandi linee i momenti rilevanti del ciclo di vita, anche se la provenienza delle famiglie era di diversa dislocazione geografica. Ciò che era difficilmente riconoscibile nelle immagini delle singole classi, dove l’estrema varietà di casi particolari nascondeva l’omogeneità di fondo, emergeva con evidenza nella selezione di un numero consistente di fotografie. Le famiglie avevano scelto di immortalare gli stessi momenti di vita unanimemente ritenuti degni di essere ricordati. La memoria condivisa «[…] la fotografia ha sostituito nella nostra epoca il racconto orale nella trasmissione della memoria familiare delle classi popolari; più precisamente: la memoria non è più unicamente orale […], ma affidata a un oggetto, che è nello stesso tempo strumento e modello con cui la famiglia o l’individuo, riconoscendosi e celebrandosi come tale, adempiendo i riti di iniziazione sociale, si integra»15. Quindi è facilmente comprensibile che i riti, alla base dell’identità culturale, siano gli stessi documentati dalle fotografie degli archivi familiari nel periodo storico preso in considerazione. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 189 La schedatura fotografica: ipotesi per un archivio d’Istituto 189 1. Prima schedatura fotografica: una delle trentacinque schede realizzate con un gruppo classe di 2^ della scuola media di Arta Terme, a.s. 1983/1984, insegnante prof. Dino Zanier. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 190 190 Margherita Grosso, Dino Zanier 2. Schedatura tematica: quarantasette schede di catalogazione realizzata dall’insegnante di lettere prof.ssa Patrizia Casanova in una classe seconda della Scuola Media di Venzone, a.s. 1993/1994. Esempio con sul recto i dati di analisi della foto, sul verso le osservazioni sull’abbigliamento dei bambini e il disegno schematico dell’immagine. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 191 La schedatura fotografica: ipotesi per un archivio d’Istituto 191 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 192 192 Margherita Grosso, Dino Zanier 3. Schedatura in museo: esempio di una delle cinquanta schede relativa agli oggetti della collezione di stoviglieria ceramica conservata al Museo Carnico delle Arti Popolari ‘Michele Gortani’ di Tolmezzo (Udine). Scuola Media Statale ‘G.F. da Tolmezzo’, a.s. 1996/1997. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 193 La schedatura fotografica: ipotesi per un archivio d’Istituto 193 4. Itinerario di schedatura fotografica: esempio di una delle 31 schede con cui è stato descritto il mulino a energia idraulico di Illegio (Tolmezzo). Scuola Media Statale ‘G.F. da Tolmezzo’, a.s. 1990/1991. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 194 194 Margherita Grosso, Dino Zanier 5. Esempio di schedatura fotografica: ‘Matrimonio’. Progetto d’Istituto ‘Storia e archivi fotografici: la fotografia come documento storico’, Istituto Comprensivo di Tolmezzo, a.s. 2012/2013, classi prime con gli insegnanti di italiano. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 195 La schedatura fotografica: ipotesi per un archivio d’Istituto 195 6. Esempio di schedatura fotografica: ‘Bambini’. Progetto d’Istituto “Storia e archivi fotografici: la fotografia come documento storico”, Istituto Comprensivo di Tolmezzo, a.s. 2012/2013, classi prime con gli insegnanti di italiano. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 196 196 Margherita Grosso, Dino Zanier 7. Esempio di schedatura fotografica: ‘Scuola’. Progetto d’Istituto “Storia e archivi fotografici: la fotografia come documento storico”, Istituto Comprensivo di Tolmezzo, a.s. 2012/2013, classi prime con gli insegnanti di italiano. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 197 La schedatura fotografica: ipotesi per un archivio d’Istituto 197 8. Esempio di schedatura fotografica: ‘Gruppi familiari’. Progetto d’Istituto “Storia e archivi fotografici: la fotografia come documento storico”, Istituto Comprensivo di Tolmezzo, a.s. 2012/2013, classi prime con gli insegnanti di italiano. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 198 198 Margherita Grosso, Dino Zanier 9. Esempio di schedatura fotografica: ‘Prima Comunione’. Progetto d’Istituto “Storia e archivi fotografici: la fotografia come documento storico”, Istituto Comprensivo di Tolmezzo, a.s. 2012/2013, classi prime con gli insegnanti di italiano. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 199 La schedatura fotografica: ipotesi per un archivio d’Istituto 199 10. Esempio di schedatura fotografica: ‘Giochi’. Progetto d’Istituto “Storia e archivi fotografici: la fotografia come documento storico”, Istituto Comprensivo di Tolmezzo, a.s. 2012/2013, classi prime con gli insegnanti di italiano. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 200 200 Margherita Grosso, Dino Zanier 11. Esempio di schedatura fotografica: ‘Agricoltura’. Progetto d’Istituto “Storia e archivi fotografici: la fotografia come documento storico”, Istituto Comprensivo di Tolmezzo, a.s. 2012/2013, classi prime con gli insegnanti di italiano. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 201 La schedatura fotografica: ipotesi per un archivio d’Istituto 201 12. Esempio di schedatura fotografica: ‘Emigrazione’. Progetto d’Istituto “Storia e archivi fotografici: la fotografia come documento storico”, Istituto Comprensivo di Tolmezzo, a.s. 2012/2013, classi prime con gli insegnanti di italiano. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 202 202 Margherita Grosso, Dino Zanier 13. Esempio di schedatura fotografica: ‘Trasporti’. Progetto d’Istituto “Storia e archivi fotografici: la fotografia come documento storico”, Istituto Comprensivo di Tolmezzo, a.s. 2012/2013, classi prime con gli insegnanti di italiano. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 203 La schedatura fotografica: ipotesi per un archivio d’Istituto 203 14. Esempio di schedatura fotografica: ‘Militari’. Progetto d’Istituto “Storia e archivi fotografici: la fotografia come documento storico”, Istituto Comprensivo di Tolmezzo, a.s. 2012/2013, classi prime con gli insegnanti di italiano. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 204 1. Fâ modòn - schedatura di una foto d’epoca, fotografia utilizzata come fonte primaria per la realizzazione del dia-tape, a.s. 1988/1989. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 205 Animare la fotografia. La costruzione di un audiovisivo con immagini d’archivio 205 Maddalena Morassi, Dino Zanier Animare la fotografia. La costruzione di un audiovisivo con immagini d’archivio Il documento fotografico La tipologia di audiovisivo presa in considerazione ha segnato un importante momento di svolta nella produzione di documentari, perché riduce il tempo d’esecuzione ed è un’esperienza efficace per gli insegnati a cui interessa affrontare il problema della storia con i ragazzi come protagonisti della ricerca. Di seguito faremo il punto sulla produzione di documentari costruiti con fotografie d’epoca e in particolare sul primo realizzato nel nostro Istituto: La fotografia di Natalina. Un racconto per immagini (foto 2). La scelta di utilizzare un documento fotografico come base per l’indagine storica è in linea con l’attività del nostro Istituto, che da sempre lavora sull’educazione all’immagine. affermare che l’immagine è più vicina alla sensibilità degli studenti di un documento scritto è quindi soltanto parte delle motivazioni. Punto di inizio è l’osservazione dell’immagine fotografica e la relativa descrizione ac- curata, considerando che «a differenza di qualsiasi altra immagine visiva, una foto non è una riproduzione, un’imitazione o interpretazione del soggetto, ma una sua traccia. Nessun dipinto o disegno, per quanto naturalistico, appartiene al soggetto quanto una fotografia»1. Dal momento che la fotografia «Isola, preserva e presenta un istante sottratto alla continuità»2, la descrizione di questa impronta è il nucleo d’indagine per la ricostruzione del contesto, portandoci ad interrogarci su quello che non c’è, ad indagare sul continuum che l’istantanea ha interrotto, a ricostruire il filo spezzato della storia. Analogico e digitale Tracciare una storia della produzione audiovisiva all’interno del sistema di educazione all’immagine dell’Istituto Comprensivo di Tolmezzo vuol dire isolare un unico percorso da un’attività organica, quale appunto l’educazione all’immagine, che si in- 1 J. BERGER, Capire una fotografia, Contrasto, Roma 2014, p. 73. 2 Ivi, p. 36. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 206 206 Maddalena Morassi, Dino Zanier 3 Si pensi all’itinerario di schedatura fotografica, che per certi versi ripercorre la descrizione di uno stesso oggetto con più fotografie commentate o ai documentari di soggetto antropologico. 4 C. FANTI, La fotografia come estensione della memoria. Riflessioni sul passato analogico e problemi per un futuro digitale, in questa pubblicazione a p. 109. treccia con altre unità operative simili per obiettivi, ma non convergenti sullo stesso mezzo espressivo3. Cercheremo, quindi, di concentrarci sui percorsi per la produzione di audiovisivi che sono direttamente connessi alla costruzione di documentari con fotografie d’epoca per non allargare eccessivamente l’ambito tematico. Un antesignano dei documentari prodotti con fotografie è senza dubbio quello che si avvaleva delle diapositive sonorizzate. Negli anni ’90 non era facile produrre audiovisivi con telecamera e montaggio video. L’attrezzatura non era ancora digitale e i pochi audiovisivi che si realizzavano erano prodotti nelle libere attività complementari. Per produrre un audiovisivo a classe intera con una tecnologia semplice, veniva utilizzato il diatape: le diapositiva sincronizzate con testo e musica sono state lo strumento più efficace e immediato per lungo tempo. Rispetto ad una ripresa video analogica la diapositiva è molto più maneggiabile: si può spostare, togliere e sostituire senza che questo implichi il rifacimento di parte o di tutto l’audiovisivo. a ben guardare il rapporto tra la produzione di brevi documentari con diapositive che avevano come oggetto temi curricolari e la produzione del documentario fotografico ci sono più analogie che differenze. In entrambi i casi si opera con immagini statiche, il testo a commento è registrato e mixato con la musica, la sincronizzazione viene abbinata al commento parlato con le immagini. anche la progettazione segue lo stesso itinerario di lavoro di qualsiasi prodotto audiovisivo, fungendo da anello di congiunzione tra le due tipologie di elaborati. Infatti la scelta del tema, la divisione dello stesso in parti omogenee (scaletta), la produzione del documento scritto (relazione) e la creazione dello storyboard sono le stesse. Ciò che cambia in modo macroscopico è la tecnologia: da un’immagine prodotta su pellicola (analogica) a un’immagine digitale. Questa metamorfosi ha facilitato enormemente l’attività di produzione audiovisiva semplificandone la creazione nell’attività a classe intera. Discontinuità Nella produzione del documentario La fotografia di Natalina c’è un fatto nuovo: si pone all’attenzione della classe un documento fotografico da decifrare, il tema è sconosciuto. Partendo da una fotografia sono da scoprire, descrivere e commentarne il contenuto, il contesto e il motivo che ne ha dato origine. Questo documentario e quelli che seguiranno sono stati realizzati dalla classe con un obiettivo semplice: fare in modo che ogni alunno si ponga delle domande sul contenuto della foto e cerchi delle risposte: «Chi ha esperienza d’insegnamento, sa bene come la maggiore difficoltà nella didattica della storia non sia tanto far apprendere fatti e nozioni come oggetti da esibire con erudizione quanto educare al ‘senso’ della storia, alla presenza del passato e alla storicità del presente»4. Come si sceglie la fotografia da analizzare L’insegnante sceglie la fotografia all’interno di un orizzonte che è dato dall’ambito della ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 207 Animare la fotografia. La costruzione di un audiovisivo con immagini d’archivio sua disciplina, dalla conoscenza del territorio in cui è inserita la scuola e dai suoi interessi personali. La fotografia, così com’è stata utilizzata fino ad ora, fa parte del patrimonio storico del territorio e quindi l’attività s’inserisce all’interno del curricolo locale. Se l’insegnante di storia considera quest’attività come estensione o approfondimento della disciplina, le sue preferenze cadranno verso immagini che si collegano direttamente al programma curricolare, fotografie quindi legate alla prima o seconda guerra mondiale o riguardanti l’emigrazione, ecc. Ma comprendere la storia è anche immergersi nella vita quotidiana del passato non necessariamente collegato ad un evento eclatante: «Una storia ‘dal basso e del basso’, come si dice, che nasceva anche dalla volontà di risarcire quanti sono stati fin qui trascurati dalla storiografia tradizionale e condannati all’insignificanza»5. La vita materiale e il suo riprodursi sono il contesto in cui si genera l’evento; la scelta della fotografia si allarga quindi a tutte quelle immagini che riprendono aspetti della vita quotidiana relativa al lavoro agricolo e artigianale, ai modi di vivere e di abitare fino all’assetto urbanistico e di costume. La fotografia deve avere contenuti evidenti, facilmente individuabili e che si organizzano su uno stesso argomento. L’immagine della squadra di fornaciai, che prenderemo in considerazione tra poco (foto 1), e la fotografia della signora Natalina Tolazzi ne sono un esempio. Entrambe le immagini rappresentano un gruppo di persone volte ad uno scopo comune. Ma anche l’abitazione tradizionale di Forni di Sopra (foto 7), scelta per un documentario sulle case tradizionali, ha una notevole forza evocativa. In questo caso l’immagine rimanda ad un unico argomento: chi, come e perché si costruivano queste abitazioni. Lo stesso si può dire per la scelta dell’immagine della fanfara militare che sta suonando in piazza (foto 6) con la quale è stato prodotto il documentario sulle bande musicali in Carnia. Il disordine è solo apparente, la fotografia infatti rimanda alla disposizione che si crea quando una banda suona in pubblico: uomini, donne e bambini disposti in ogni dove, la banda militare, gli altri gradi dell’esercito. Tutti gli elementi partecipano a formare l’unità del contenuto. alla luce di quanto detto risulta evidente che non è necessario optare per un’immagine che abbia attinenza con il curricolo disciplinare. Il più delle volte questa scelta rassicura l’insegnante che più facilmente si orienta nel trattare un’immagine il cui contenuto a grandi linee gli è noto, di fatto però ha almeno una controindicazione riguardante l’obiettivo principale che con questa indagine si vuole raggiungere: l’acquisizione della dimensione storica a partire da una attività individuale e di classe propositiva. Se i contenuti devono essere appresi dagli alunni autonomamente, passo dopo passo, è importante che ci sia la disponibilità a porsi di fronte ad un evento sconosciuto con curiosità verso ciò che non è dato. I contenuti non dovrebbero essere offerti dall’insegnante o appresi attraverso letture 207 5 G.P. GRI, Lettera alle ragazze e ai ragazzi della scuola media di Tolmezzo in Giorgio Ferigo nella didattica, Scuola Media Statale ‘G.F. da Tolmezzo’, Tolmezzo 2011, p. 6. Il testo è la trascrizione dell’intervento dell’autore a Tolmezzo, l’11 giugno 2011, alla presentazione del volume D. ZANIER, Sulle orme di Giorgio Ferigo, Scuola Media Statale ‘Gian Francesco da Tolmezzo’, Tolmezzo 2011. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 208 208 Maddalena Morassi, Dino Zanier di gruppo o altro. Scegliendo una fotografia di argomento conosciuto, anche se involontariamente, l’insegnante riproporrà la lezione frontale: anziché orientare gli alunni verso la ricerca di soluzioni originali, si daranno loro risposte già confezionate. L’insegnante avrà il ruolo di conduttore del percorso e la sua funzione principale sarà quella di verificare che tutti gli allievi raggiungano gli obiettivi stabiliti secondo le rispettive capacità e competenze. La lettura della foto L’uso della scaletta consente di leggere la fotografia in tutti i suoi aspetti ed evitare di privilegiare un singolo elemento a discapito di altri considerati erroneamente marginali. Questo elenco di oggetti (cose, persone, ambienti, relazioni, ecc.) viene organizzo in modo da coprire tutta la superficie fisica e concettuale dell’immagine per definire l’ambito di approfondimento del documento. Essendo l’immagine interpretabile in modo plurimo, l’indagine sarà rivolta verso gli aspetti di contenuto piuttosto che di composizione artistica o della cultura storico fotografica. Se ogni alunno deve porsi in modo interrogativo rispetto alla fotografia è necessario che abbia lo spazio su cui investigare, fare ipotesi e attivarsi rispetto al documento da interpretare. È quindi importante isolare le macro aree che compongono il documento per affidarle alla descrizione dei singoli allievi o di piccoli gruppi di alunni. Questa divisione può essere a tema o a oggetto: se, per esempio, un gruppo di alunni s’incarica dell’abbigliamento di una o più persone ritratte nella foto, lo stesso gruppo di persone può essere indagato, da un altro alunno o gruppo, per ciò che riguarda l’aspetto sociale o relazionale. Nel documentario La fotografia di Natalina le persone ritratte sono state descritte sia rispetto alle loro relazioni, ai ruoli nella famiglia e all’attività lavorativa, sia rispetto all’abbigliamento e agli oggetti trasportati. Esempi di lettura dell’immagine Per far capire alla classe qual era il modo di affrontare la descrizione dell’immagine senza dilungarci in analisi concettuali sul ruolo della fotografia come documento storico, abbiamo proposto due interventi mirati. Il primo è stato quello della responsabile della fototeca CarniaFotografia adriana Stroili, alla quale abbiamo chiesto di chiarire cos’è una fototeca e di fare alcuni esempi di utilizzo di fotografie nei diversi ambiti di ricerca: urbanistico, emigrazione, guerra, lavoro e di costume. L’intervento, della durata di un’ora circa, è stato recepito positivamente dalla classe che ha assistito alla proiezione di fotografie d’epoca commentate nel confronto con la situazione odierna. Nel secondo intervento è stato proiettato in classe il dia-tape Fâ modòn (foto 1). Questo audiovisivo, della durata di 9 minuti, è stato ideato per chiarire come un’immagine fotografica possa essere letta ed interpretata. Indaga, infatti, su un’unica fotografia che ritrae una squadra di operai in posa addetti alla produzione di mattoni, presumibil- ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 209 Animare la fotografia. La costruzione di un audiovisivo con immagini d’archivio mente in austria all’inizio del Novecento. L’audiovisivo è composto da due sequenze: la prima descrive il modo di fabbricazione dei mattoni partendo dagli strumenti di lavoro che i singoli operai hanno in mano, la seconda descrive i ruoli che gli stessi hanno nel gruppo. Fondamentale è stata la scelta di proiettare la fotografia originale prima della visione dell’audiovisivo. La classe, invitata ad esprimere la propria opinione riguardo all’attività svolta dalla squadra dei lavoratori, seppure incuriosita, non è riuscita nemmeno approssimativamente a capire né la professione né il periodo dello scatto. Molti non hanno nemmeno riconosciuto il gruppo di bambini sulla destra che pure è consistente. Dopo la proiezione è stato sottoposto un questionario per la verifica di quanto recepito riguardo al ciclo di lavoro e alla condizione degli operai. Tutti gli allievi hanno dimostrato di aver compreso gli elementi fondamentali della lettura dell’immagine. Presentazione della fotografia Con la presentazione alla classe del documento fotografico scelto si vuole stimolare l’attitudine al gioco dell’indagine, «imparare a osservare, riconoscere, fiutare, confrontare, immaginare, prefigurare, interpretare, con pazienza e costanza»6. Si chiede loro di indicare di getto, senza troppe riflessioni, quello che li colpisce di più: non ci sono risposte giuste o errate. Gli alunni sono invitati a prendere atto del contenuto generale dell’immagine descrivendo e formulando delle ipotesi sugli aspetti più evidenti. Se si chiede ai ragazzi la partecipazione alla lettura del documento non si deve mettere loro fretta: è importante aspettare che la maggior parte della classe s’inserisca nel gioco. L’insegnante non spiega, non propone contenuti, ma sollecita gli alunni a guardare, a cogliere i particolari e le relazioni tra gli oggetti e le persone. Questo primo approccio è importante anche per l’insegnante che individua le potenzialità interpretative e di approfondimento della classe. Temi d’interesse e approfondimento Dagli interrogativi suscitati dal documento originano i temi d’interesse e di approfondimento, che formeranno i capitoli della relazione finale. Partendo da un particolare aspetto trasformato in domanda, si procede in un movimento a spirale la cui risposta ritorna a spiegare l’immagine in forma più approfondita. Questo insieme di notizie, che si organizzano a partire dai singoli temi, danno una visione più completa del contesto in cui è stata scattata la fotografia. Didatticamente è il modo più efficace per ridare un passato e un futuro a quella frazione di secondo che la macchina fotografica ha congelato. La fotografia di Natalina La fotografia di Natalina (foto 2), qui presa ad esempio, è stata la prima esperienza di questo genere. Si tratta di un gruppo in cammino: il movimento lento, continuo e incessante che caratterizza gran parte della 6 Ivi, p.10. 209 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 210 210 Maddalena Morassi, Dino Zanier 7 M. MORASSI, D. ZANIER, Il formaggio: saperi e sapori. Il Col Gentile e i sette formaggi capitali - strumento didattico per il territorio, Scuola Media Statale ‘Gian Francesco da Tolmezzo’ e Associazione Culturale La biblioteca dei Sapori, 2008. vita di lavoro della società rurale. Gli interrogativi suscitati dall’immagine sono immediati: da dove vengono e dove vanno queste persone? Che cosa trasportano? Perché sono accompagnate dagli animali? Chi sono? Che cosa stanno facendo? Perché sono lì? In che anno è stata scattata la fotografia e dove? La descrizione fatta dagli alunni ha portato alle seguenti considerazioni: è un gruppo di persone in movimento, sono le donne che fanno l’azione e non gli uomini che s’intravvedono nello sfondo, hanno tutte la gerla, all’interno delle gerle si riconoscono alcuni oggetti, sono vestite tutte uguali, anche se davanti ci sono due giovani donne e una più anziana dietro, è un gruppo che procede con gli animali, capre, pecore e mucche, non si sa in che anno il gruppo è stato fotografato. Dalle osservazioni emerse vengono definiti i seguenti temi di approfondimento: Chi sono le persone ritratte nella foto? Dove sono state ritratte? Da dove vengono? Che oggetti trasportano? Che vestiti indossano? Che posto avevano gli animali nella vita rurale? Dove stanno andando? Come vivevano nella comunità? I temi, così come sopra elencati, sono stati messi in ordine logico in funzione della relazione finale. Ieri e oggi Descrivendo l’atteggiamento delle persone, degli animali che le accompagnano e delle cose che trasportano, si prende coscienza della distanza che ci separa da un modo di vivere tanto diverso rispetto al nostro, pur non essendo passati tanti anni. abbiamo sottolineato alla classe che le due giovani donne in primo piano, all’epoca della fotografia, avevano 14 anni: la loro stessa età. Se si considera che questa fotografia è stata scattata nel 1949, si può immediatamente riflettere su quanta differenza esista tra le due ragazze in primo piano nella foto e gli alunni della classe. Dal problema alle domande La fotografia di Natalina è stata da noi notata nell’ambito della produzione di un documentario che aveva come oggetto la lavorazione tradizionale del latte7. In quel periodo sono state visionate numerose fotografie concernenti l’alpeggio, ma questa, rispetto alle altre dello stesso genere, è organizzata in modo più chiaro ed evidente. Gli aspetti che caratterizzano la transumanza sono messi in evidenza in forma didascalica: la prospettiva pone in primo piano le due giovani donne che non sembrano affaticate ma contente di quello che stanno facendo, con lo sguardo diritto e sicuro verso la macchina fotografica, in contrasto con il viso reclinato della donna in secondo piano, più anziana e pensierosa. Le capre tra le due giovani e le mucche in secondo piano mostrano in maniera plastica un aspetto non secondario della vita quotidiana tradizionale: l’interdipendenza tra uomini e animali che condizionava all’epoca gran parte della vita delle famiglie. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 211 Animare la fotografia. La costruzione di un audiovisivo con immagini d’archivio Di questa fotografia siamo riusciti a risalire alla proprietaria, signora Natalina Tolazzi, che è la seconda da sinistra. Quando l’abbiamo contattata si è detta disponibile a raccontare alla classe la storia della fotografia. Con la sua testimonianza abbiamo potuto dare un nome alle persone e alle cose nell’immagine e, quello che più conta, ricostruire l’ambiente che l’ha generata. Come fare l’intervista Ci è sembrato che il modo più semplice e diretto di coinvolgere gli alunni nell’indagine fotografica fosse di proporre loro di fare l’intervista alla signora Natalina Tolazzi. Era anche il modo più efficace per incentivare la classe a formulare le domande e a raccogliere le informazioni. Per far capire come si organizza un’intervista abbiamo chiesto la collaborazione di un giornalista. Nell’arco di due ore l’esperto ha dato alla classe gli strumenti pratici per formulare domande partendo da un tema assegnato. Sostanzialmente le domande devono essere sempre dirette, semplici e chiare, in modo che le risposte ottenute siano esaurienti per tutti gli aspetti trattati. Con questi suggerimenti gli alunni si sono esercitati con i propri compagni di banco e sono riusciti ad ottenere risposte pertinenti ed esaustive rispetto agli argomenti assegnati. Il questionario I temi di approfondimento individuati sono stati assegnati ad altrettanti gruppi di alunni che avevano il compito di formulare quattro/cinque domande ciascuno al fine di chiarire l’argomento loro affidato. Le domande erano necessariamente limitate, perché il tempo dedicato all’intervista era già stato stabilito in precedenza e non doveva superare le due ore. La classe ha quindi costruito il questionario per l’intervista. Il primo gruppo, ad esempio, che aveva come tema: ‘Chi sono le persone ritratte nella foto?’, ha suddiviso la propria sezione nelle seguenti domande: – quando è stata scattata la foto e dove? – come si chiamavano le persone ritratte nella foto? – quale era il grado di parentela? – che cosa stavano facendo? La signora Natalina Tolazzi non si è limitata a rispondere a quanto richiesto, ma ha aggiunto ulteriori informazioni riguardanti i componenti della propria famiglia, anche se non presenti nella foto. Gli allievi si sono così trovati a dover gestire un’altra sequenza non prevista (la famiglia dell’intervistata all’epoca della foto), ma comunque importante per capire il contesto del periodo del gruppo fotografato. L’intervista L’intervista è stata condotta in classe dagli alunni coordinati dall’insegnante di lettere. In primo luogo ci si è accordati su chi avrebbe fatto il portavoce del gruppo e in che successione si sarebbero alternati durante l’intervista. ogni gruppo avrebbe dovuto registrare gli appunti relativi alle proprie domande, ma durante l’intervista non sempre le risposte erano puntuali e spesso trattavano argomenti di pertinenza di altri settori. 211 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 212 212 Maddalena Morassi, Dino Zanier La difficoltà è stata quella di far cogliere agli allievi gli aspetti relativi al proprio approfondimento anche se erano in risposta ad una domanda fatta da un altro gruppo. Mentre gli argomenti e le domande erano stati organizzati in modo sufficientemente esaustivo, purtroppo non è stato altrettanto ponderato l’andamento dell’intervista. I due aspetti che sono carenti riguardano il mancato controllo sulle risposte che i gruppi andavano annotando e la incapacità di orientare l’intervistata sul terreno delle domande. Di fatto gli appunti degli allievi sono stati spesso imprecisi e il ruolo di moderatore dell’insegnante presente poco efficace. Per correggere questo aspetto bastava intervenire durante l’intervista chiedendo ai gruppi che cosa stavano registrando o perché non lo stavano facendo. Inoltre era necessario considerare che la classe non era in presenza di un insegnante che ‘detta’, ma di una persona esterna che ‘racconta’. Tra dettato e racconto c’è in mezzo la capacità, non banale, di selezionare le informazioni pertinenti alla propria domanda. Era quindi necessario che l’insegnante interloquisse di più con l’intervistata, dando modo al gruppo di individuare l’aspetto essenziale della risposta. Fondamentale anche prendere più tempo tra una domanda e l’altra per registrare le informazioni e verificare se le notizie importanti erano state rilevate. Le carenze sopra descritte si sono ripresentate anche negli anni successivi, quando in altre classi sono stati intervistati storici e studiosi abituati a parlare agli studenti. La difficoltà nella regi- strazione degli appunti indica che non è l’intervistato il problema, ma la gestione della classe durante questa fase delicata che va organizzata ad hoc. Il riordino degli appunti ogni gruppo di alunni ha confrontato ciò che è stato rilevato singolarmente e scritto una nuova relazione partendo dagli appunti più completi. La composizione dei gruppi, che deve essere omogenea, prevede che in ognuno ci sia almeno uno con buone competenze nella scrittura. Il lavoro in classe è stato di confronto continuo tra insegnante e gruppi che cercavano conferme sulle informazioni rilevate da inserire nella propria relazione. L’insegnante spesso ha dovuto intervenire per spostare informazioni da una relazione all’altra e per eliminare le ripetizioni. Mano a mano che i gruppi concludevano la loro relazione venivano invitati a leggerla pubblicamente. È il sistema più semplice per uniformare la scrittura, eliminare le ridondanze e arrivare ad una relazione di classe omogenea e completa. La relazione collettiva finale è il frutto di continue correzioni, riscritture del testo, spostamento di capitoli e aggregazione di argomenti simili per uniformare il testo. a conclusione di questa prima frase i gruppi hanno rilevato che mancavano dati per completare la descrizione dell’immagine. Erano carenti informazioni sulla vita della signora Natalina Tolazzi, il rapporto con la malga, il tragitto, la vita di paese. Si è reso necessario un supplemento di intervista che è stato realizzato l’anno successivo, ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 213 Animare la fotografia. La costruzione di un audiovisivo con immagini d’archivio quando la classe era in terza media. La signora Natalina si è così sobbarcata altre due ore di colloquio con la classe. a questo punto è stata rivista la successione delle sequenze, si sono inserite quelle mancanti e ridistribuiti i compiti. La realizzazione di questa seconda fase è stata più semplice dato che si trattava di introdurre le informazioni mancanti in una relazione già scritta. Le sequenze finali dell’audiovisivo sono le seguenti: 01. introduzione sulla fotografia 02. persone ritratte nella foto 04. alpeggio 05. oggetti trasportati 06. vestiario 07. animali 08. tragitto 03. vita di paese: adulti e ragazzi8 Per dare l’idea di quanto ogni gruppo ha scritto per completare la sua relazione, di seguito riportiamo le prime due sequenze: La fotografia di Natalina Un racconto per immagini 01. INTRODUZIONE Alesia Carretta - Gabriele Moser Questa foto è stata scattata nel 1949, precisamente l’8 settembre, dal fotografo di Paularo Giacomo Segalla, in località Rosa dei Venti. Al centro, tra la madre e un’amica coetanea, è inquadrata la proprietaria della foto Natalina Tolazzi, allora 14enne, originaria di Rinc, borgata nel comune di Arta. Ora risiede a Colza di Enemonzo. Dietro sono ritratti uno zio paterno, quello con la bicicletta, ed il fratello Andrea, il ragazzo che chiude la comitiva e si intravede in fondo. Tra le persone alcune mucche e capre. Attraverso la descrizione di questa immagine Natalina ci ha raccontato a scuola la sua vita ed alcuni aspetti del modo di vivere la sua giovinezza. 02. PERSONE RITRATTE NELLA FOTO Giulia Sanna - Erica Iob Natalina si chiama così perché è nata il 25 dicembre nel 1935; Maria, tuttora sua grande amica, a quel tempo aveva 15 anni. Questa è la famiglia di Natalina. Lo zio paterno viveva nella loro famiglia perché celibe. Il fratello Andrea aveva trascorso la sua prima estate in malga. Natalina lo ricorda contento per il primo compenso guadagnato. Il padre costruiva gerle e faceva il boscaiolo, la madre cuciva ‘scarpets’ e si occupava della casa, dei terreni in campagna e della stalla, una sorella filava la lana. La loro casa era molto piccola, infatti la cucina era solo 4x4 m. Per scaldarsi e cucinare avevano lo ‘spolert’ e per questo motivo la cucina era la stanza più calda. Nelle camere non c’era il riscaldamento così, per non avere freddo, si usava mettere nel letto un mattone caldo. La relazione finale è la parte più consistente del progetto e di gran lunga la più complessa e significativa. Tutti gli alunni hanno approfondito i singoli argomenti suggeriti dalla fotografia, sono entrati nella dimensione storica facendo delle ipotesi e proponendo delle domande verificate attraverso le risposte. Secondo le competenze individuali gli al- 213 8 La sequenza ‘03. Vita di paese’ è stata spostata alla fine del documentario, in fase di montaggio, per dare l’idea complessiva delle condizioni di vita come conclusione generale. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 214 214 Maddalena Morassi, Dino Zanier 9 Per quanto riguarda la datazione, per alcuni è stato difficile individuarla anche in modo approssimativo. lievi hanno fatto relazioni socio economiche e culturali complesse, confrontando il proprio modo di vivere con quello raffigurato nell’immagine. La fotografia è stata analizzata in tutti i suoi punti e, per sommi capi, è stato ricreato il contesto che l’ha generata. Di fatto l’intera classe è stata coinvolta nella partecipazione all’indagine. Per loro, le fotografie hanno acquisito importanza documentale, non saranno più oggetti che si possono buttare via, che non hanno valore. La storia si trova anche lì, in quelle immagini che tanto spesso hanno visto senza guardare. Dalla relazione al documentario Finora i documentari dell’Istituto Comprensivo di Tolmezzo erano stati realizzati con immagini in movimento riprese con la telecamera e montate in successione secondo lo storyboard. Per questo audiovisivo invece, sono state utilizzate solo fotografie che si riferivano al periodo relativo alla fotografia di Natalina, sostanzialmente quello tra le due guerre mondiali. Raccontare un’immagine attraverso altre immagini è stato un rischio, ma ne è valsa la pena: non dover fare riprese in esterno avrebbe ridotto notevolmente i tempi di produzione e l’attività sarebbe divenuta possibile anche nelle classi a tempo normale. Tramite l’intervista poi, si poteva evitare il lungo lavoro della ricerca dei dati indispensabili al commento parlato. Sicuramente la lunga esperienza passata con la produzione del dia-tape sonorizzato ha permesso di affinare il rapporto imma- gine statica e commento parlato e l’uso delle fotografie all’interno dei documentari ha fornito l’esperienza necessaria per affrontare questa nuova sfida. Immaginare il testo Il testo era stato costruito, ora dovevamo abbinare le immagini. La richiesta fatta alla classe era uno sforzo di fantasia: dividere il testo in frasi ed immaginare quale fotografia sarebbe stata più appropriata per commentare quanto scritto. In poco tempo i gruppi hanno risolto il problema scrivendo accanto alla frase l’immagine ideale ritenuta più adatta. L’esercizio successivo era leggermente più complicato: si trattava di trovare concretamente la fotografia che più si avvicinava a quanto ipotizzato in precedenza. In classe abbiamo portato una trentina di libri fotografici realizzati da associazioni culturali che avevano raccolto le immagini negli archivi familiari del proprio comune ed alcune opere di fotografi, sempre della nostra zona. Le immagini di questi testi coprivano pressappoco il periodo che va dagli anni ’20 agli anni ’50 del secolo scorso. ogni gruppo, sfogliando i libri, doveva scegliere una o più fotografie dello stesso periodo storico della fotografia principale9; queste dovevano essere adatte a commentare la frase, e segnalate attraverso un postit nella pagina con annotato il nome del gruppo, la fotografia scelta nella pagina e il numero della frase che avrebbe dovuto commentare. Gli allievi erano tenuti, inoltre, a trascrivere le analoghe informazioni ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 215 Animare la fotografia. La costruzione di un audiovisivo con immagini d’archivio comprensive del titolo e dell’autore del libro in calce allo storyboard. La seconda parte della richiesta aveva lo scopo di tener conto della bibliografia da inserire nei titoli di coda del documentario. Di seguito presentiamo lo storybard delle tre sequenze: alpeggio, oggetti trasportati e il vestiario. 04. ALPEGGIO Piazza Simone - Forabosco Martina - Fabiani Antonia commento parlato n. immagini Natalina, la sua amica e sua madre sono qui riprese a Paularo località campo sportivo. È l’8 settembre e stanno rientrando dopo aver dormito in malga. 01 Foto Natalina; zoomata da sua madre e la sua amica alla foto intera Scendevano da ‘Cueste Robie’, malga di proprietà della famiglia Tarussio di Paularo, dove avevano portato gli animali per l’estate. 02 Malga ‘Queste Robie’ foto archivio Segalla La malga è un complesso di più edifici collocati ad una altitudine minima di 800 metri, 03 Malga ‘Queste Robie’ foto archivio Segalla alcuni adibiti al ricovero di bovini e ovini, 04 Malga Promosio - Se chi rioni altri a quello dei pastori e alla produzione del formaggio nel periodo estivo. 05 Malga Promosio - Se chi rioni panoramica orizzontale I tre mesi, da giugno a settembre, come scritto nel contratto con il proprietario, 06 Gruppo di pastori - foto archivio Segalla garantivano la fornitura di una certa quantità di forme di formaggio ‘di malga’, 07 In casera - foto Segalla diverso da quello che si produceva a valle per il tipo di alimentazione delle mucche: erba fresca ricca di essenze naturali. 08 Mucca che bruca - primo piano - fermo immagine Il padrone pesava il latte 3 volte nella stagione (mattina e sera): dopo la prima settimana, 09 Interno malga (‘musce’ con pastore) - Se chi rioni due mesi dopo l’arrivo in malga e una settimana prima del rientro; 10 Mucca al pascolo - fermo immagine a queste pesate solitamente assistevano i proprietari delle mucche e delle capre. 11 Interno malga con pastori - Tracce di storia per immagini La media di queste tre pesate moltiplicata per i giorni di alpeggio dava il latte complessivo prodotto. 12 Interno malga, la cottura del latte - Carnia - Da Pozzo Metà di questo latte andava al padrone della malga e metà al proprietario delle mucche. 13 Persone fuori dalla malga Cjabie - Memories in blanc e… Da questa quantità di latte si facevano derivare i kg di formaggio spettanti al proprietario del bestiame. 14 Forme di formaggio in stagionatura - fermo immagine. 215 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 216 216 Maddalena Morassi, Dino Zanier 05. OGGETTI TRASPORTATI Cortiula Riccardo - Pillinini Arianna commento parlato n. immagini Il gruppo sta trasportando a valle i prodotti della malga; formaggio 01 Malgaro con forma di formaggio - Se chi rioni e ricotta. 02 Ricotte fresche - fermo imm. Come era abitudine in tutto l’arco alpino, il modo più consueto per spostare la maggior parte dei materiali era la gerla. 03 Ragazze con gerla - La Carnia di Antonelli In quella della madre di Natalina si intravedono le forme di formaggio e due ombrelli utili in caso di maltempo. 04 Foto di Natalina - primo piano madre di Natalina La gerla, come la cesta, si realizzava intrecciando fibre di varie essenze legnose. 05 Uomo che intreccia - Intrecciatura tradizionale a seconda delle vallate e del carico da trasportare avevano forma diversa, più o meno allargata. 06 Donna con gerla - archivio Segalla Solitamente venivano costruite in famiglia, per risparmiare; 07 Cungiò veciu paîs infatti le gerle nella foto sono state intrecciate dal padre di Natalina. 08 Foto Natalina - particolare Natalina e amica attrezzate di bretelle, si riempivano dei materiali più diversi, 09 Donna con gerla e pentolone - Cungiò veciu paîs dal corredo nuziale alle foglie, al fieno, alla legna, al letame e così via. 10 Trasporto corredo nunziale archivio Socchieve Già da bambine, le donne venivano abituate al trasporto su schiena, con gerle piccole chiamate ‘geuts’. 11 Bambini con gerla Cungiò veciu paîs Un altro mezzo, per trasportare a valle materiali più pesanti e voluminosi, era la slitta. 12 Slitta in primo - Noles e lops È uno strumento leggero e allo steso tempo resistente. 13 Donne con slitta - Noles e lops Dalla gerla dell’amica di Natalina fuoriesce una ‘crame’ 14 Particolare gerla amica Natalina o cassettiera per trasportare indumenti, alimenti e altro materiale fragile. 15 Primo piano foto di ‘crascjgne’ (Museo) ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 217 Animare la fotografia. La costruzione di un audiovisivo con immagini d’archivio 217 06. IL VESTIARIO Bortolotti Thomas - Tirelli Alice - Valle Eliana commento parlato n. immagini Nella foto le tre donne indossano camicie pesanti, gonne lunghe fino alle ginocchia 01 Foto Natalina - panoramica sulle tre donne e grembiuli scuri, calze di lana e ‘scarpez’. 02 Panoramica madre Natalina all’epoca si possedevano due soli vestiti a persona, 03 Gruppo con abiti da festa archivio Natalina uno per le feste e uno per tutti i giorni, 04 Idem che si lavava la sera per essere indossato nuovamente l’indomani. 05 Gruppo donne in abito da lavoro - Tracce di storia per… Gli anziani portavano vestiti scuri, 06 Donna anziana - idem mentre i ragazzi ne avevano di più chiari e a fantasia, come si vede dalla classe di Natalina. 07 Classe di bambini - Cungiò veciu paîs Le famiglie tenevano una pecora bianca e una nera da cui ricavavano la lana per le maglie e le calze. 08 Donne che sgranano - Cungiò veciu paîs anche la mamma di Natalina cuciva in casa i vestiti per la famiglia. 09 Donne al corso di cucito - I faremos In inverno si usavano giacche, golf di lana e maglie pesanti. 10 Persone anziane - archivio Segalla Con la pioggia e nei pavimenti bagnati delle stalle si calzavano ‘las dalbidas’, 11 Donna con biancheria - Cungiò veciu paîs degli zoccoli di legno. 12 Zoccoli - Il lavoro dei contadini Dalla scansione al montaggio video ogni gruppo aveva la propria cartella con le fotografie scelte, che sono state scansionate dagli alunni e in parte dall’o.T. La fase di montaggio video è stata dimostrata in classe e fatta eseguire dalla maggioranza degli allievi. Da questo momento in poi l’attività è stata eseguita da piccoli gruppi di alunni, all’esterno della classe, guidati dall’operatore tecnologico e/o dall’insegnante di lettere. Gli alunni hanno utilizzato lo stesso programma semplice ed efficace impiegato per l’attività di montaggio video degli elaborati prodotti nella classe seconda10, usando l’effetto ‘Ken Burns’, che permette di simulare panoramiche e zoomate su immagini fisse. Il gruppo di montaggio video era composto da tre alunni: uno operava con il programma di montaggio vero e proprio, il secondo, con un altro computer, aggiornava lo storyboard con eventuali altri abbinamenti fotografici e modifiche. Un terzo alunno leggeva la frase per dar modo al montatore di allungare o diminuire la durata dell’immagine così da sin- 10 Le classi seconde producono un breve film della durata di 3-4 minuti che abbiamo chiamato la ‘frase video’. Il format prevede che il soggetto sia un argomento che si sviluppa in classe e che tutte le fasi di progettazione e produzione vengano realizzate in aula. La scelta delle inquadrature, le riprese il microfono ecc. sono realizzate dagli alunni. Alla fine le riprese vengono montate con lo stesso programma con cui si realizzano i documentari. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 218 218 Maddalena Morassi, Dino Zanier 11 J. BERGER, Capire... cit., p. 75. cronizzare testo e foto. alla fine di questa operazione si è passati alla registrazione del commento parlato. L’insegnante ha specificato alla classe in che modo doveva essere letto un testo per la registrazione di un documentario. Dopo le dovute prove, l’insegnante ha scelto l’alunno che meglio interpretava il testo, rispetto al giusto ritmo ed intonazione. La registrazione è stata incisa in tre incontri nell’aula meglio isolata acusticamente: la biblioteca. La fase di sincronizzazione è una fase prevalentemente tecnica e gli alunni sono stati veloci nel realizzarla, ma con tempi di persistenza dell’immagine troppo rapidi. Durante la prima visione del documentario questo difetto si è rivelato in modo evidente: le immagini ‘scappavano via’ dallo schermo e davano una sensazione di fastidio a causa della velocità eccessiva di panoramiche e zoomate. Sono state, quindi, eliminate alcune foto e rallentata la visione complessiva delle audiovisivo. In conclusione, in tredici minuti e trenta secondi di proiezione si vedono 145 immagini, per una media di 6-7 secondi di persistenza ciascuna. Documentare la Carnia Dopo un anno di riflessione il progetto, seppure con ancora alcuni aspetti da approfondire, è stato proposto a tutte le 7 classi terze dell’Istituto durante il primo Collegio Docenti dell’anno scolastico 2012/2013. Rispetto alle fasi sviluppate per la produzione del documentario La fotografia di Natalina abbiamo apportato alcune modifiche. Innanzitutto per il reperimento delle informazioni sulla foto da analizzare si è pensato ad uno storico o, comunque, ad una persona informata sul suo contenuto per non vincolare l’attività solo alle fotografie che avevano un testimone diretto. Esistono due tipi di fotografie: «Ci sono le fotografie che appartengono alla sfera privata e fotografie di uso pubblico. […] La fotografia privata […] è apprezzata e letta in un contesto che è coerente con quello da cui la macchina fotografica l’ha rimosso. […] La foto è un promemoria tratto da una vita mentre viene vissuta […] In generale la fotografia pubblica contemporanea presenta un evento, cattura una serie di apparenze che non hanno nulla a che fare con noi, suoi lettori, o con il significato originale dell’evento»11. Se riannodare i fili di un evento alla presenza di un testimone diretto è molto più facile, perché è impossibile sbagliare l’interpretazione, è altrettanto vero che la maggiore parte di fotografie significative non ne dispongono e, in questo caso, l’intervista con lo storico garantisce un’interpretazione ampia e articolata dell’evento. La seconda variazione all’itinerario didattico precedente è stato eliminare l’incontro con il giornalista. Poiché l’intervistato sarebbe diventato una persona che ha approfondito scientificamente l’argomento trattato, non era più necessario preoccuparsi di come impostare un eventuale colloquio e si è ritenuto sufficiente concentrarsi sulle domande. Un ulteriore aspetto, non secondario, era la programmazione dei tempi di realizzazione ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 219 Animare la fotografia. La costruzione di un audiovisivo con immagini d’archivio dei progetti. Si ricorderà che l’audiovisivo La fotografia di Natalina è stato realizzato in due anni, ma era la prima esperienza e aveva bisogno di una riflessione più lunga per affrontare i problemi che via via si presentavano. La soluzione di alcuni aspetti rilevanti ci hanno permesso di progettare la costruzione di un audiovisivo in tempi molto ridotti senza rinunciare agli obiettivi formativi. L’itinerario di produzione definitivo proposto al Collegio Docenti è stato il seguente: STORIA E FOTOGRAFIA La fotografia come documento storico classi terze Itinerario delle attività in classe 1. Scelta del tema fotografico L’insegnante sceglie la fotografia da descrivere che farà da guida a tutto il percorso di approfondimento. I criteri per la scelta possono essere diversi: dall’interesse documentale (storico-antropologico), al collegamento con il programma curricolare, ecc. Non scegliere temi conosciuti, ma lasciare alla classe il compito di approfondire l’argomento. 2. Presentazione della foto in classe come documento storico Proiezione di esempi di descrizione fotografica. Dopo un breve commento sulla foto scelta, ad ogni alunno verrà consegnata una copia per una descrizione individuale. 3. Divisione, per argomenti, del contenuto della foto La fotografia verrà divisa in 8-10 temi o unità di contenuto che saranno sviluppati autonomamente dai gruppi in cui la classe verrà divisa. È necessario assegnare un numero ad ogni tema in modo che vi sia un percorso logico di lettura (dal generale al particolare). 4. Divisione della classe in gruppi I gruppi di lavoro saranno di due, massimo tre alunni, possibilmente eterogenei. 5. Domande per l’intervista (lavoro di gruppo) ogni gruppo avrà il compito di formulare 56 domande sul tema definito, che dovranno essere mirate al fine di chiarire in maniera esaustiva la descrizione dell’argomento. Le domande dovranno essere consegnate all’esperto almeno una settimana prima dell’intervista in classe. 6. Intervista con l’esperto L’autore del libro fotografico in classe risponderà alle domande formulate dai singoli gruppi. È importante che gli alunni sappiano prendere appunti, tenendo conto delle informazioni che vengono loro date. L’insegnante condurrà l’intervista. 7. Sistemazione degli appunti (lavoro di gruppo) ogni gruppo organizzerà gli appunti in modo organico unendo le informazioni avute senza omettere aspetti importanti o fare ripetizioni. L’insegnante verificherà che l’insieme del lavoro dei gruppi sia coerente, correggerà gli appunti che verranno riscritti definitivamente dai gruppi in un testo unitario. 8. Scelta delle immagini per il commento del testo (lavoro di gruppo) Il testo di ogni singolo gruppo verrà diviso 219 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 220 220 Maddalena Morassi, Dino Zanier 21 alunni Esperto Dr. Erminio Polo Durata 19 minuti in frasi a cui gli alunni faranno corrispondere una fotografia scelta dai libri fotografici a disposizione in classe. SCELTa DEL MEZZo PIÙ oPPoRTUNo PER TRaSMETTERE I CoNTENUTI a questo punto il testo e le foto del contenuto verranno abbinati per la visione conclusiva. Si potrà scegliere il mezzo più adatto al lavoro svolto (power point, schede fotografiche, video, ecc.). Durante l’anno scolastico le classi terze hanno prodotto i seguenti documentari partendo dalla fotografia scelta. IIIa L’emigrazione in Carnia tra fine ’800 e inizio ’900 Prof.ssa Elisa Blasio tempo prolungato 24 alunni Esperto Dr. Denis Baron Durata 17 minuti IIIB Il senatore Michele Gortani Prof.ssa Silva Marcolini tempo prolungato 24 alunni Esperto Dr. Denis Baron Durata 8 minuti IIIC Alcune tradizioni in Carnia Prof.ssa Tiziana Tomat tempo normale 22 alunni Esperto Dr. Bruno Mongiat Durata 10 minuti IIID Suonare insieme - Le bande musicali in Carnia Prof.ssa Marta Colle - sez. musicale IIIE La casa tradizionale dell’Alta Val Tagliamento Prof.ssa Veronica Gasparini 19 alunni Esperto Dr. Erminio Polo Durata 14 minuti IIIF I luoghi dell’incontro Osterie fontane e lavatoi Prof. David Brunner 22 alunni Esperto Sig. alfio anziutti Durata 27 minuti IIIG L’occupazione cosacca in Carnia Prof.ssa Rosa Maria Pascale 25 alunni Esperto Dott.ssa Marina Di Ronco Durata 22 minutia L’itinerario dell’attività è descritto nella breve pubblicazione allegata al cofanetto contenente i 7 DVD La scuola documenta la Carnia. La produzione di documentari con fotografie d’epoca, edito dal nostro Istituto. Qui abbiamo inserito le fotografie che sono all’origine della prima esperienza di lettura dell’immagine (Fâ modòn), del racconto della storia personale e collettiva di Natalina Tolazzi, della produzione dei sette documentari più recenti, con una breve sintesi del contenuto, un breve riassunto del percorso didattico sullo sviluppo di un tema partendo da una fotografia. ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 221 Animare la fotografia. La costruzione di un audiovisivo con immagini d’archivio 221 1. Fâ modòn - schedatura di una foto d’epoca - a.s. 1988/1989 Prof. Dino Zanier - dia-tape di 49 diapositive - durata 9 minuti Come si legge una fotografia? La risposta a questa domanda è l’obiettivo che ci si propone di raggiungere attraverso l’audiovisivo. È la descrizione di una squadra di operai in posa durante una pausa di lavoro per la produzione di mattoni, probabilmente in una fornace austriaca all’inizio del ’900. Le due sequenze che lo compongono prendono in considerazione gli strumenti di lavoro, le mansioni nel ciclo produttivo ed i rapporti gerarchici all’interno del gruppo. Inizio del Novecento (collezione privata Antonella Cappelletti, Udine). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 222 222 Maddalena Morassi, Dino Zanier 2. La fotografia di Natalina. Un racconto per immagini - a.s. 2010/2011 classe 3A Prof.ssa Maddalena Morassi - O.T. Dino Zanier - tempo prolungato - durata 18 minuti È il 1949, tre donne con capre, mucche e pecore stanno percorrendo la strada che dalla malga le porterà al proprio paese. La seconda da sinistra è Natalina Tolazzi, nata nel 1935, all’epoca quattordicenne, che racconterà alla classe la storia di quel tragitto: che cosa veniva trasportato, la vita della sua famiglia e la quotidianità di una borgata alpina. 1949 (collezione privata Natalina Tolazzi, Enemonzo - Ud). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 223 Animare la fotografia. La costruzione di un audiovisivo con immagini d’archivio 3. L’emigrazione in Carnia tra fine ’800 e inizio ’900 - a.s. 2012/2013 classe 3A Prof.ssa Elisa Blasio - tempo prolungato - Esperto Dr. Denis Baron - durata 17 minuti L’emigrazione è una realtà diffusa e persistente che ha coinvolto gran parte della popolazione e ha condizionato la vita del nucleo familiare e dei paesi della Carnia. Sono state ricercate le cause, il modo e i luoghi dell’emigrazione, le conseguenze di chi rimane in paese: la donna sulle cui spalle gravava il peso della conduzione della casa e del lavoro agricolo e i bambini che si trovavano nella condizione di essere abbandonati a se stessi. Inizio del Novecento (collezione privata Tolmezzo - Ud). 223 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 224 224 Maddalena Morassi, Dino Zanier 4. Il senatore Michele Gortani - a.s. 2012/2013 classe 3B Prof.ssa Silva Marcolini - tempo prolungato - Esperto Dr. Denis Baron - durata 8 minuti È una veloce biografia della vita di Michele Gortani che, iniziando dalla sua infanzia, attraversa gli studi giovanili, l’università e il mondo accademico per approdare alla docenza di geologia di fama internazionale. Ricercatore per la compagnia petrolifera italiana in africa orientale, per tanti anni parlamentare a Roma, grazie al suo impegno politico diviene uno dei padri costituenti, ma anche difensore delle ragioni di chi vive in montagna. L’interesse per la cultura e le tradizioni del suo territorio lo porteranno a fondare il Museo carnico delle arti e tradizioni popolari che a lui è stato intitolato. 5. Alcune tradizioni in Carnia/a.s. 2012/2013 classe 3C Prof.ssa Tiziana Tomat - tempo normale - Esperto Dr. Bruno Mongiat - durata 10 minuti Il documentario prende spunto da una semplice fotografia dove è ritratto il nonno di un alunno mentre pranza all’esterno di un casolare in alta montagna. Da qui parte la descrizione di alcuni aspetti della cultura materiale della Carnia, principalmente dei prodotti alimentari più tipici, come quelli derivati dal latte proveniente dalle malghe o dalla lavorazione delle carni del maiale. Si passa, quindi, alla cucina per un breve excursus sulla storia della produzione della polenta e su alcuni piatti che accompagnavano questo alimento di base. 1900 (Archivio del Museo delle Arti Popolari ‘Michele Gortani’, Tolmezzo - Ud). Primi anni ’60 del Novecento (Archivio dell’Istituto Comprensivo di Tolmezzo - Ud). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 225 Animare la fotografia. La costruzione di un audiovisivo con immagini d’archivio 6. Le bande musicali in Carnia - Suonare insieme per tutti - a.s. 2012/2013 classe 3D Prof.ssa Marta Colle - sez. musicale - Esperto Dr. Erminio Polo - durata 19 minuti Come sono nate le bande, quali sono le differenze fra banda e fanfara, quali gli strumenti che le caratterizzano, dove e in che occasione suonano, qual è l’importanza per la comunità locale in cui sono presenti? Questi sono alcuni degli interrogativi a cui il documentario cerca di rispondere non trascurando gli ideali e le aspirazioni che hanno motivato tante persone a suonare e a sostenere questi gruppi musicali. Inizio Novecento (Archivio fotografico famiglia Schiava-Doriguzzi, Sutrio - Ud). 225 7. Le case tradizionali dell’Alta Val Tagliamento - a.s. 2012/2013 classe 3E Prof.ssa Veronica Gasparini - tempo normale Esperto Dr. Erminio Polo - durata 14 minuti Le abitazioni tradizionali dell’alta Val Tagliamento - Forni di Sopra, Forni di Sotto, ampezzo - hanno caratteristiche peculiari che le differenziano dalle altre per l’uso consistente di legno nella facciata. L’audiovisivo descrive i materiali da costruzione, le caratteristiche delle stanze e il loro utilizzo. Prende in considerazione, inoltre, il modo tradizionale di costruzione e le relazioni di paese che hanno favorito la realizzazione degli edifici. Anni ’60 del Novecento (dal volume: Adriano Alpago Novello, fotografie di Giovanni Edoardo Nogaro, Carnia – Architettura spontanea e costume, Görlich editore, Paderno Dugnano – Mi, 1973, p. 119). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 226 226 Maddalena Morassi, Dino Zanier 8. I luoghi dell’incontro - Osterie fontane e lavatoi a.s. 2012/2013 classe 3F Prof. David Brunner - tempo normale - Esperto Sig. Alfio Anziutti - durata 27 minuti L’audiovisivo descrive due luoghi che forse più di altri erano deputati allo scambio d’informazioni sulla vita quotidiana del paese: le osterie, ambiente di svago e gioco per gli uomini, e le fontane e i lavatoi, ad esclusivo uso delle donne. In questi spazi la concentrazione delle persone favoriva la diffusione delle notizie, ma anche il perpetuarsi di modi di dire, di fare e del comportamento della comunità. Uomini in osteria, metà anni ’30 del Novecento Donne al lavatoio, 1929 (Archivio fotografico famiglia Schiava-Doriguzzi, Sutrio - Ud). ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 227 Animare la fotografia. La costruzione di un audiovisivo con immagini d’archivio 9. L’occupazione cosacca in Carnia - a.s. 2012/2013 classe 3G Prof.ssa Rosa M. Pascale - tempo normale - Esperto Dott.ssa M. Di Ronco - durata 22 minuti La Carnia, durante la seconda guerra mondiale, dall’ottobre 1944 al primo maggio 1945, è stata occupata dai cosacchi. Un’occupazione militare, ma anche civile con donne, bambini e anziani provenienti da una zona, anche culturalmente, tanto distante dalla nostra. I cosacchi, stabiliti nelle case dei carnici, hanno obbligato le famiglie ad una convivenza difficile ed estenuante. L’audiovisivo racconta come si è arrivati a tanto e quali sono stati gli esiti di questa relazione forzata. 1944-1945 (collezione privata ‘Capelin’, Cavazzo Carnico - Ud). 227 ••libro storia e archivi fotografici mod. _Layout 1 24/08/15 17:58 Pagina 228 228 Biografie Donatella Cozzi è ricercatrice di antropologia culturale presso l’Università degli Studi di Udine. Fra i suoi principali interessi di ricerca vi sono gli ambiti medico e psichiatrico, nei quali va annoverato Le imperfezioni del silenzio. Riflessioni antropologiche sulla depressione femminile in un’area alpina (acireale 2007). assieme a Domenico Isabella ed Elisabetta Navarra è stata curatrice delle ricerche raccolte in Sauris/Zahre. Una comunità delle Alpi carniche (Udine 1998-1999). Roberto Del Grande opera come consulente per l’Istituto Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia. Esperto nella gestione e nella valorizzazione degli archivi fotografici ha ideato e curato mostre e volumi relativi alla fotografia storica e contemporanea. ha conseguito il dottorato di ricerca in ‘Storia dell’arte’, specializzandosi nello studio dei fotografi d’arte della seconda metà del Novecento. È docente a contratto di Storia e tecnica della fotografia al DaMS di Gorizia. Corrado Fanti, autore e studioso della fotografia come espressione storica e artistica, bene culturale e comunicazione, alterna quest’attività con l’insegnamento della filosofia di cui è titolare di cattedra. ha svolto attività di ricerca e di didattica in qualità di relatore e docente in convegni e corsi anche universitari - professore a contratto. Come autore e direttore artistico ha pubblicato più di ottanta fra saggi e volumi, dei quali ha interamente ideato e realizzato immagini ed è stato presente in più di sessanta esposizioni fra personali e collettive, ottenendo riconoscimenti, a livello europeo. È presente con altri autori in un centinaio di pubblicazioni e sue immagini sono riportate nella in Storia d’Italia. Annali. L’Immagine Fotografica 1945-2000 (Torino 2004). Margherita Grosso, insegnante di Lettere presso l’Istituto Comprensivo di Tolmezzo da tre anni, è tuttora referente del gruppo di Educazione all’Immagine. ha lavorato sull’indagine storica attraverso la scheda fotografica e con la sua classe ha prodotto brevi filmati a soggetto. Teresa Kostner, laureata presso l’Università degli Studi di Udine in ‘Storia dell’arte e conser- vazione dei beni artistici e architettonici’, collabora da alcuni anni con il Circolo Culturale Fotografico Carnico e con la Comunità Montana della Carnia per la promozione degli interventi di recupero, studio, catalogazione e conservazione del patrimonio fotografico locale. Claudio Lorenzini si è formato presso l’Università degli Studi di Udine, dove ha conseguito il dottorato di ricerca in ‘Storia: culture e strutture delle aree di frontiera’. Le sue ricerche sono concentrate sulla cultura, la società e l’economia dell’area alpina. Fra le sue ultime pubblicazioni: Assenti più o meno illustri: «Comunità alpine» e il bosco. Il caso delle Alpi orientali (con G. Bernardin, in «Storia delle alpi», 2013). Fa parte dell’associazione culturale Giorgio Ferigo (Comeglians). Silvia Marcolini è insegnante di Lettere presso l’Istituto Comprensivo di Tolmezzo. Nell’ambito dell’educazione all’immagine è stata referente del Gruppo immagine, Tutor per la formazione interna docenti (a.s. 2007/2008), Tutor per il Centro di Formazione GoLD (2010). ha collaborato a diversi progetti interni a partire dall’a.s. 2000/2001. Si occupa di ricerca storica, di arte e cultur a, ambiti nei quali ha pubblicato e pubblica libri ed articoli in collaborazione con diversi Enti pubblici e privati. Franca Merluzzi svolge la sua attività presso l’Istituto Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia con il ruolo di coordinatore. Si è occupata di progetti tematici di censimento e schedatura tra cui: le opere musive in Friuli Venezia Giulia, le collezioni d’arte di enti pubblici e privati, i parchi e giardini storici sul territorio regionale. Nel 2011 ha curato il volume I beni culturali del Friuli Venezia Giulia. Il catalogo in rete, nel 2013 I beni culturali del Friuli Venezia Giulia. La catalogazione partecipata in rete. Adolfo Mignemi si occupa da anni del rapporto tra fotografia e storiografia; collabora con l’INSMLI di Milano e ha insegnato all’accademia albertina di Belle arti di Torino. Tra i suoi numerosi studi sul tema ricordiamo: La storia fotografica della Resistenza (Torino 1995); Lo sguardo e l’immagine. La fotografia come docu- mento storico (Torino 2003); Un’immagine dell’Italia. Resistenza e ricostruzione (con G. Solaro e a. Steiner, Milano 2005). Maddalena Morassi, insegnante di Lettere presso l’Istituto Comprensivo di Tolmezzo da dieci anni, è stata referente del gruppo di Educazione all’Immagine. ha prodotto all’interno delle sue classi alcuni documentari, schede fotografiche e brevi filmati a soggetto. Maria Teresa Sega è ricercatrice presso l’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società Contemporanea e Presidente dell’associazione rEsistenze - memoria e storia delle donne in Veneto. Studiosa dei movimenti delle donne e di storia della scuola, per anni si è occupata di didattica della storia. ha curato, tra gli altri, le pubblicazioni La scuola fa la storia. Gli archivi scolastici per la ricerca e la didattica (Portogruaro 2002), Se questa è una donna. Violenza memoria narrazione (SommacampagnaVenezia 2010); Ritorno a scuola. L’educazione dei bambini e dei ragazzi ebrei a Venezia tra leggi razziali e dopoguerra (con L. Voghera Luzzatto, Portogruaro 2012). Adriana Stroili è architetto e responsabile della Fototeca territoriale ‘CarniaFotografia’ gestita, senza fini di lucro, dal Circolo Culturale Fotografico Carnico. Studiosa di architettura e paesaggio rurale, è autrice, tra l’altro, di Verzegnis, territorio e architettura rurale (Tolmezzo 1992), e La via storica del marmo di Verzegnis. (Verzegnis 2007). Recentemente ha curato la pubblicazione I primi cent’anni del Ponte Avons (amaro, Cavazzo Carnico, Tolmezzo e Verzegnis 2013). Dino Zanier, laureato in sociologia a Trento negli anni ’70, ha insegnato Educazione Tecnica nella scuola secondaria di primo grado per poi assumere, nella stessa, il ruolo di operatore Tecnologico. appassionato dell’Educazione all’immagine. Con i colleghi di tutte le discipline, ha approfondito l’indagine sul territorio progettando percorsi fotografici e documentari. È socio fondatore del Gruppo ‘Gli Ultimi’ e del Circolo Culturale Fotografico Carnico, che da anni collabora con l’Istituto Comprensivo di Tolmezzo. x stampa cop archivi fotografici_Layout 1 24/08/15 18:46 Pagina 1 STORIA E ARCHIVI FOTOGRAFICI La fotografia e le immagini hanno oggi un posto autorevole nella ‘cassetta degli attrezzi’ degli storici e della strumentazione di cui si dotano tutti coloro che ambiscono a comprendere il rapporto tra presente e passato. Ogni passo in avanti ci fa tuttavia comprendere quanta strada può esserci ancora da percorrere. È per tutte queste ragioni che abbiamo voluto rammentare, a chi avrà la pazienza e l’interesse a seguirci, come la fotografia sia una modalità di comunicazione da cui non si può prescindere per la conoscenza della società in tutti i suoi innumerevoli aspetti. Si può guardare ad essa da diversi punti di vista: artistico, informativo, documentale. Tutti parimenti rilevanti, coinvolgenti, capaci di narrare, complessi sul piano del metodo. ADOLFO MIGNEMI STORIA E ARCHIVI FOTOGRAFICI
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