Il timone a vento
Transcript
Il timone a vento
I segreti del marinaio Il timone a vento C i sono degli indizi precisi che connotano visivamente nelle darsene le barche-navi, quelle che di solito navigano a vela ovunque e con ogni tempo, o quantomeno sono attrezzate per farlo. Antenne, radar, pannelli solari, generatori eolici e, appeso a poppa, uno strano meccanismo: il timone a vento. Per chi naviga in Adriatico e più in generale in Mediterraneo, il timone a vento è un gadget fondamentalmente inutile e tendenzialmente pericoloso. Mentre per chi attraversa gli oceani è una dotazione molto utile: indispensabile poi per chi naviga in solitario o con equipaggio ridotto. Come dice la definizione italiana - diversamente dall’inglese che lo indica come “selfsteering wind vane”- è un timone automatico gestito dallo stesso vento. Più precisamente si tratta - di solito- di un servo-timone a compensazione, che agisce sul timone principale, ed è presente sul mercato in numerose varianti, con prezzi tra i mille e cinquecento e i cinquemila euro. Esistono peraltro numerosi disegni di timoni a vento, primitivi ma funzionanti, realizzabili in una qualsiasi officina meccanica. Va detto subito che il timone a vento non è un banale accessorio della barca a vela, bensì un ausilio alla navigazione di non semplice uso, di difficile regolazione e con molte serissime controindicazioni. Che implica un modo decisamente esperto dell’andar per mare. In cambio, una volta comprese la sua cultura e il suo carattere, avendo maturato piena coscienza dei suoi limiti, si scopre una sorta di magia: la barca “va da sola”, praticamente in ogni andatura, con quasi ogni vento e su quasi ogni mare. Sulle rotte degli alisei, i venti costanti dei Tropici che garantiscono la navigazione in poppa, si possono raggiungere i Caraibi o la Polinesia senza mai dover toccare la barra o la ruota del timone. Non sono escluse nemmeno le andature controvento o i laschi stretti. Lascio alla documentazione tecnica che si può trovare 2 comodamente su Internet la descrizione dei tipi e dei principi fisici che governano il timone a vento, e resto a parlare delle sue problematiche, dei suoi vantaggi e svantaggi. In primo luogo va compresa la differenza fondamentale rispetto al classico timone automatico. Quest’ultimo è un marchingegno elettrico o idraulico che sostituisce ciecamente il timoniere: si imposta una certa rotta sul plotter, si attiva il timone automatico (se in rete NMEA), e la barca arriva a destinazione da sola. Mai nulla a bordo si rompe più facilmente, Lagunamare 30 di Sergio Dall’Omo e un motivo c’è: il pilota automatico va usato solo quando serve, esclusivamente quando si va a motore e mai contro un mare formato. Sotto vela fondamentalmente non funziona: la sua ostinazione a tenere quella rotta senza tener conto che le condizioni iniziali possono cambiare (direzione del vento, moto ondoso in aumento, ecc.) può generare sforzi meccanici giganteschi e provocare danni all’attrezzatura. Il timone a vento è più furbo: è duttile, capisce la direzione del vento e riesce a mantenere il giusto assetto delle vele per quell’andatura. A costo però di portarti fuori rotta! Quindi: nel timone automatico la priorità è la rotta, nel timone a vento è l’angolo delle vele. Entrambi comunque hanno la loro specifica funzione, 1 e, in qualche caso, per i modelli a barra, si riesce anche a farli collaborare. Comunque a bordo ci sono entrambi. Vediamo di capire però la grande pericolosità del timone a vento. Giornata calma, brezza vivace. Uno lavora tranquillo a prua, ma stupidamente inciampa e cade in acqua: la barca sfila a quattro nodi e in pochi secondi è lontana. Nei dieci minuti di vita che restano è inutile stare a maledire il timone a vento (ma anche quello automatico). Regola numero uno: se si è soli in coperta mai girare senza cintura di sicurezza agganciata quando il timone a vento (o automatico) è in funzione. Eric Tabarly, buonanima, insegna. Con quel bravo timoniere all’opera ci si può impigrire. Stare di sotto a cucinare o a leggere, o peggio a dormire. Con la velocità delle navi di oggi ci sono mediamente 12 minuti tra la pace del mare e la tragedia di una collisione. Essenziale è la guardia (lo dicono tutti i libri, ma soprattutto la pratica), e il timone a vento può diventare una droga, anche con l’allarme del radar acceso. Nelle andature di poppa con tangone e spinnaker, a meno di non usare i fiocchi gemelli che si autocompensano (e che però rendono inutile il nostro marchingegno), la straorzata è sempre in agguato: basta un’onda “strana” che arriva da un’altra parte che il muso della barca gira: straorzare sotto timone a vento (difficile, ma capita) può significare dover dire addio all’albero. Poi ci sono situazioni in cui usarlo è criminale e potenzialmente suicida: nei porti e lungo le rotte delle navi. Nello Stretto di Sicilia, in Adriatico (avete mai notato come i grandi ferry greci compaiono e scompaiono in pochi minuti?), o a Gibilterra, per non dire della 27 I segreti del marinaio Manica o del Baltico, è solo timone manuale e guardia ininterrotta finchè non si è fuori. Infine, chi può montare questo oggetto magico? Non tutti e non tutte le barche. Il timone a vento, ben più di quello automatico, richiede preparazione, esperienza e cautela. Funziona benissimo, ma bisogna imparare come si comporta nelle diverse circostanze, andature, condizioni di vento e di mare. Quindi la barca. Quando un quarto di secolo fa feci costruire da Arrigo Petronio a Trieste la mia “Arzanà’”, un bellissimo (e snob) scafo in legno di Carlo Sciarelli, imparai molti dei misteri della vela. Quella piccola, difficile nave di 8 metri con la randa aurica e l’albero inclinato, con la chiglia lunga, un bompresso di 4 metri e un boma di 7, con l’esperienza era diventata manovrabile come una bicicletta, veloce come un monotipo da regata, e perfettamente equilibrata. Fuori dalla Bocca di Lido regolavo le vele, legavo il timone e andavo a stendermi a prua. La barca andava un po’ all’orza, la randa si sventava leggermente; il fiocco compensava e la faceva scadere alla puggia. Così da sola, come un pendolo, fino a Jesolo, o a Caorle. Il timone a vento – che non avevo - avrebbe evitato questo pendolare a destra e sinistra, mantenendo tutta la velocità. Ma quante barche riescono a tenere la rotta col timone legato? Quelle che sì, possono montare il timone a vento. Ammesso che abbiano almeno una lunghezza di 28 piedi (il nostro marchingegno non è leggerissimo), e non superino i 45 (oltre ai quali è quasi sempre inefficace). Capitolo maltempo. Fino a una decina di anni fa, avere un Aries significava, in caso di tempo brutto in mare aperto, dover rinunciare al timone a vento. Le pressofusioni del marchingegno danese (ma poi costruito anche in Olanda e Germania) si rompevano – o i supporti e i meccanismi si deformavano - sistematicamente con l’abbordaggio ininterrotto delle ondate. Oggi i nuovi modelli me li dicono più affidabili (http://www.selfsteer.dk). Il timone a vento più rinomato è l’americano Monitor (www.scanmar.com), insieme all’australiano Fleming (www.flemingselfsteering.co m.au). In Italia nel 1975 comparve il Mustafà (che aveva il vantaggio di essere anche un vero e proprio timone) di Doi Malingri, grandissimo 3 navigatore, che mi si dice ne costruisca ancora qualcuno se glielo si chiede. (http://www.malingri.com/barche/09_mustafa/ mustafa.htm) Morale della storia: tutti i marinai a vela del Novecento che hanno adottato il timone a vento dicono la stessa cosa che dice Doi: “Nelle più di 100 mila miglia che ho fatto, di cui almeno 20 000 in solitario, non credo di aver timonato per più di 1000, e tutte nella prima regata intorno al mondo in equipaggio. Non sono salito mai più su una barca senza timone a vento per più di un giorno. Timonare mi annoia profondamente senza contare il fatto che non puoi fare più niente altro. Mustafà è nato per queste ragioni e mi ha sempre servito fedelmente da allora. Da che la barca fa tre nodi al suo massimo, con qualsiasi tempo o andatura: bolina traverso o andature portanti Mustafà timona meglio dei suoi proprietari, per due ragioni molto semplici: reagisce potentemente alle deviazioni di direzione accorgendosene subito nell’acqua prima che per il vento, e non si distrae mai. Basta equilibrare la barca e non ha limiti. Quando il vento è troppo leggero, attacco il più piccolo degli Autohelm alla sua barra e mi porta con minimo dispendio di energia la barca più grossa perche la sua supercompensazione richiede per azionarlo un minimo sforzo. Certo bisogna avere una idea di cosa vuol voler dire equilibrare la barca. Immagini 5 1. L’ultimo modello della danese Aries, timone a vento ben conosciuto in Europa; 2. Il funzionamento del servo-pendolo dell’australiana Fleming; 3. Tre modelli differenti dall’americana Monitor; 4. Il Monitor non è proprio piccolissimo; 5. Lieve brezza verso la Polinesia, e il timone a vento tiene la rotta; 6. Il Mustafà di Doi Malingri; 7. Il Monitor governa bene anche di bolina. 7 4 28 6 agosto / settembre 2006