Un violoncello, una barca e un Maestro compositore in giro per il

Transcript

Un violoncello, una barca e un Maestro compositore in giro per il
Un violoncello, una barca e un Maestro compositore in giro per il mondo.
Roberto Soldatini aspira da tempo di far parte della confraternita della Costa, da cosi tanto
tempo che ho perso memoria dell'era del suo imbarco; in genere sono pignolo, mi dicono i
bene informati della mia vita, ma Roberto è uscito tante e tante volte in barca durante le
preparazione agli esami di patente che mi è parso fosse già un bel Fratello navigatore.
Alla fine si è deciso di dimostrare la sua valentia di navigante non solo a me, ma anche a
tutti coloro che ritenevano la sua impresa particolarmente adatta ad un suicida.
Barca, violoncello, spartiti, dischi, ed, macchine fotografiche infernali e tutte le diavolerie
elettroniche che solo lui sa governare e domare, sono partiti da soli verso le isole di Grecia.
Mi sono detto, allora perché non trascrivere per tutti i Fratelli della Costa il resoconto del
viaggio in solitario di un Maestro concertatore che, appena patentato, da solo se ne parte
dalla Francia, giunge a Fiumicino e da qui, dopo pochi giorni e sempre solo,dopo aver
salutato gli amici, veleggia verso le isole greche.
Il suo giornale di bordo, non corretto, uscito tale e quale dalle pagine di viaggio, eccolo qui.
Ecco ci siamo, sono riuscito a realizzare uno dei miei sogni.
E' diverso e al tempo stesso ancora più bello di come lo immaginavo.
Sono in mezzo al Mediterraneo ormai da quasi quattro mesi, veleggiando da
un'isola all'altra, da una baia all'altra, da un Paese all'altro, vedendo tali
bellezze che il mio cuore a volte sembra sul punto di scoppiare, come i
palloncini quando vengono lasciati volare troppo in alto.
Che sto vivendo proprio quel sogno me ne accorgo solo di tanto in tanto e me
ne stupisco, come in questo momento.
Sono al timone, ad occhi chiusi, per sentire i movimenti della barca e
anticiparli, per sentire il vento, per sentire il suono del mare, delle onde che si
frangono sulla prua della barca: un'armonia perfetta di suoni, odori, percezioni.
Solo una sinfonia di Mozart potrebbe raggiungere lo stesso grado di perfezione e
di equilibrio. Non voglio riaprire gli occhi, per paura che tutto ciò svanisca.
A volte i sogni si mischiano con la realtà.
La mia barca è fantastica, scivola sulle onde dolcemente e quando plana è un
piacere seguirne il movimento, non straorza, è molto docile, le sue diciotto
tonnellate si adagiano dolcemente sulle onde provocando un suono pieno e
morbido.
Con una sola vela aperta, il genoa, con dieci nodi di vento in poppa sto
solcando il mare dell'Egeo orientale a una velocità di otto nodi.
Tra non molto arriverò alla prossima isola, una breve traversata, qui le isole
distano poche miglia l'una dall'altra.
Nulla in confronto alla lunga rotta da Roma a Istanbul in solitario compiuta
da poco. Una navigazione da solo, con così poca esperienza, forse ho osato
troppo?
Ma no, è che oggi quasi nessuno vuole rischiare più niente, molti vivono
nell'illusione di poter assicurare la propria esistenza contro ogni rischio e di
vivere in un'area protetta, costruendo così quella che io chiamo "la società del
preservativo".
L'unico vero rischio oggi è quello di non volere correre nessun rischio.
E la vita scorre piatta, per paura di viverla ...
Chi l'avrebbe detto anni addietro che un giorno mi sarei ritrovato in mezzo al
mare da solo, veleggiando senza meta, con una barca come casa.
Se qualcuno, mentre ero impegnato nella interpretazione di una sinfonia,
nella rappresentazione di un'opera lirica o nella scrittura di una mia
composizione musicale mi avesse detto che in un futuro neanche tanto
lontano sarebbe accaduto tutto questo, avrei sicuramente pensato che era
un'assurdità.
Il mio piano è di puntare più a nord possibile, su una delle tre "dita", le tre
penisole della Calcidica, se riuscissi a trovare un ancoraggio sicuro a quella
più ad est sarebbe il massimo, così potrei tentare di visitare i monasteri sul
monte Athos.
Sto procedendo spedito di bolina con genoa e randa ma il vento rinforza,
allora chiudo la randa per evitare di doverla ridurre in condizioni critiche e
lascio solo il genoa ridotto.
Alzo gli occhi per controllare la regolazione della vela e ... oh, oh, scorgo il
radar penzolante appeso per il solo filo elettrico, le staffe si sono spaccate,
sono vecchie, avrei dovuto controllarle, ma si può controllare tutto?
Devo assolutamente staccare il filo elettrico e portare giù il radar prima che
cada sulla coperta e faccia un danno maggiore o che finisca in mare, ma con
questo vento è impossibile, devo trovare una baia riparata.
Sono al traverso della punta a nord di Panagia, leggo sul portolano che c'è
una profonda insenatura, Plantis, mi dirigo lì avvolgendo il genoa per evitare
che virando possa staccare definitivamente il radar.
Entro nella baia, ci sono già diverse barche, do fondo all'ancora e chiamo
urlando per superare il rumore del vento l'armatore della barca più vicina alla
mia, capisce, lo vedo scendere sul suo tender e dirigersi verso di me, è un
vecchio greco con barba e capelli bianchi, sembra uscito da un film di Michael
Cacoyannis, gentilissimo, come tutti i greci che ho incontrato.
Mi metto il bansigo e lui gira la manovella del verricello per tirarmi su con una
drizza, ma dobbiamo rinunciare, c'è davvero troppo vento, meglio non
peggiorare la situazione, quindi ci diamo appuntamento per l'indomani alle
sette.
Sempre parlando in inglese mi chiede di che nazionalità sono e quando gli
dico italiana mi risponde "Mia facia mia raza", come dicono sempre i greci.
Hanno ragione, siamo tutti figli dello stesso mare.
La notte la passo in pozzetto perché il vento rinforza sempre di più al punto
che svegliatomi all'improvviso vedo che la riva rocciosa ora è più vicina.
Non posso determinare con esattezza se è perché la barca si è girata avendo il
vento cambiato direzione o perché l'ancora sta arando, comunque sia metto in
moto il motore e mi sposto più sopravvento, il più possibile a ridosso della
collina.
Poco dopo vedo anche il vecchio greco che fa la mia stessa operazione, poi la
mattina alle sette in punto mi raggiunge come d'accordo, il vento è calato e
senza molte difficoltà salgo sull'albero, taglio il filo elettrico e discendo
abbracciato al radar.
Il vecchio scende lentamente dalla mia barca per salire sul suo tender dicendo
"I am too old to sail again" ... Mi si è stretto il cuore ... Poco dopo salpo
l'ancora e faccio un giro attorno alla sua bella barca dallo scafo blu e le linee
classiche per salutare lui e la moglie:
"Ephkaristo,
yassas!"
"Ciao Maestro!"
Ecco, sono a Istanbul!
Al mio arrivo c'è un delfino che nuota da solo lì in mezzo al Bosforo e alle
centinaia di traghetti che incessantemente lo attraversano: incredibile! Entro
nel corno d'oro, fino dove è possibile, cioè fino al Ponte di Galata, poi mi infilo
di nuovo nel Bosforo, passo il primo ponte e torno indietro. Denecia scivola
lentamente attraverso un mondo pieno di misteriosa bellezza:
Istanbul vista dal timone di una barca a vela è straordinaria, lo sguardo scorre
sul profilo dei palazzi, del Topkapi, dei minareti, delle moschee, e cerco di
individuare quelle più famose, mentre i battelli partono e arrivano senza
soluzione di continuità, emettendo segnali sonori per comunicare i loro
spostamenti, passando vicini alla mia barca da tutte le direzioni. E' come una
giostra!
Il bambino che è dentro di me è uscito fuori e si è seduto al mio fianco al
timone, si diverte e sorride felice in questo carosello.
Mi accorgo che dai traghetti che passano vicino lo fotografano in molti, in
effetti è seduto sull'unica barca a vela che è lì in mezzo.
Nell'euforia cerco di trovare una briciola di lucida razionalità, ma non ci
riesco. Sono a Istanbul!
E ci sono arrivato da solo in barca a vela!
Vorrei continuare a fare altri giri sulla giostra, ma dopo più di tre ore
purtroppo arriva il momento di uscire dal Bosforo, anche perché arriva una
motovedetta a "ricordarmi" che lì è vietato andare a vela ...
Sono da solo, vengo da Roma, sono in preda all'euforia, capiscono e lasciano
che io mi diriga a Fenerbahçe, dove c'è una delle due sole marine di Istanbul,
a quattro miglia dal ponte di Galata, sulla costa asiatica.
Nel porto di Astipalea l'ancora comincia a dare segni di scarsa tenuta alle
raffiche provenienti da nordovest che scendono dalla montagna sopravvento
all'ancora, quindi la banchina si trova ad essere sottovento: essendo questo
vento predominante il porto risulta non essere sufficientemente protetto,
inoltre il fondo in alcuni punti non è buon tenitore, mi sa che quando torno
faccio un bel falò con il portolano!
Ripeto l'ormeggio per tentare di assicurare meglio l'ancora ma inutilmente,
pochi minuti ancora e nel porto si scatena l'inferno, le raffiche aumentano
d'intensità, le barche si appoggiano l'una contro l'altra e qualcuno finisce con
la poppa in banchina, l'unica soluzione è la fuga!
Mollo gli ormeggi, motore avanti tutta, elica di prua e riesco a venirne fuori
senza danni. Il portolano indica un ormeggio molto protetto alla punta a
nordovest dell'isola, mi ci dirigo.
Prima del tramonto due piccoli delfini giocano a infilarsi nelle onde, come fa
la prua della mia barca, ma per loro è più facile: di bolina, con mare molto
mosso che rallenta l'andatura arrivo nel golfo con il buio.
Per fortuna c'è la luna che è quasi piena e riesco a vedere abbastanza bene: il
punto indicato come riparato è talmente stretto che se si getta l'ancora al
centro c'è il rischio di finire sugli scogli da una parte o dall'altra.
Maledetto portolano! Potrei tornare indietro, ma a giudicare dal mare e dal
vento credo che nel porto la situazione non sia cambiata. Non mi rimane che
andare avanti, con il buio, con questo mare, con questo vento ... non mi piace
avere paura, ma ancora meno mi piace che essa mi fermi, tenterò al Vathi
(fiordo) che ho visto sulla carta nautica all'interno dell'altra punta. Astipalea
è a forma di farfalla orientata a nordovest, quindi l'altra punta dell'ala è a
nordest rispetto a quella dove sono arrivato ora.
Devo fare otto miglia di notte con mare molto mosso al traverso e vento da
nordovest di trenta nodi. Le onde grosse al buio fanno paura, sollevano la
barca e quando sono passate dall'altra parte, illuminate dalla luna, mi rendo
conto di quanto siano alte.
Un'onda più arrabbiata delle altre faccio appena in tempo a vederla che si
frange contro il lato sinistro dello scafo, o immediatamente prima, non so, e
passa sopra la barca: il pozzetto è pieno d'acqua come una vasca da bagno e io
sono totalmente zuppo.
Finalmente arrivo allo stretto ingresso del fiordo, che imbrocco a stento verso
le ventidue, il mare e il vento via, via che mi addentro si placano, ma temo la
seconda fregatura, poi sulla sinistra scorgo una luce in un fiordo interno al
fiordo.
All'improvviso una calma surreale, il vento da trenta passa a zero e il mare da agitato
passa alla superficie calma di un lago. Magia. Tutto si placa, anche le mie
ansie. La luce intravista in lontananza proviene da una casa, dalle finestre
illuminate si intravedono le figure di tre o quattro persone, le sento ridere e
scherzare in lontananza, ma non sembra si accorgano del mio arrivo.
Con il motore al minimo arrivo in fondo al fiordo per studiare la situazione e
dare fondo all'ancora quando scorgo ai piedi di quella casa un piccolo molo in
cemento con due piccoli pescherecci e uno spazio libero della misura esatta
della mia barca!
Mi avvicino e vedo farsi avanti un ragazzo scuro di carnagione, alto, spalle
larghe, maglietta bianca che sembra fosforescente alla luce dalla luna:
Sorry, may I moor there?
Yes of course
There is noughdepth?
Yes ... tria
Great! Can you he1p me for the mooring lines lease?
Yes of course
Ormeggio facilissimo, in totale assenza di vento, all'inglese. Mentre fuori c'è l'inferno
sono approdato in paradiso. Una calma surreale che permea dolcemente
anche nella mia carne provata.
Appena finito di mangiare una doccia per levarmi il sale di dosso e senza
sistemare niente mi infilo a letto.
La barca è più ferma che in qualsiasi porto io sia mai stato, non un
movimento, non uno sciabordio, sembra sospesa nel nulla, come questo
posto. Le voci dal ristorante si sono spente e prima di addormentarmi sento il
suono dei campanacci provenire dalla collina.
Alle otto e trenta del dodici ottobre parto dalla marina di Atene, da solo, con
una gamba e mezzo, con un po' di preoccupazione per gli ormeggi nei porti, ma
non tanta: essere di nuovo in navigazione, riassaporare il vento mi dona
serenità e felicità. Camminare su una barca che si muove dovendo poggiare
solo il venti per cento del peso sulla gamba destra non è facilissimo in quanto
quel peso varia continuamente con il rollio. Dovendo fare attenzione ai
movimenti per correggere la posizione e il peso ci si accorge di quanti
aggiustamenti il corpo fa istintivamente senza che noi ce ne accorgiamo in
determinate situazioni!
Come supponevo, la difficoltà più grande è ormeggiare, ma ci sono riuscito, ora
sono attraccato all'inglese all'ingresso del Canale di Corinto in attesa del via
libera per attraversarlo.
La finestra di tempo favorevole si sta per chiudere, in tarda serata è prevista in
arrivo dall'Italia una perturbazione, si vedono già le nuvole in lontananza
provenire da est, quindi accendo il motore per sommarlo alla spinta della vela
e bruciare più velocemente miglia per arrivare a Lefkas prima che le condizioni
peggiorino, ma dopo poco vedo i lampi... poi odo i tuoni ... poi comincia a
gocciare... Le nuvole sono state più veloci di Denecia e hanno deciso di
raggiungere la Grecia prima delle previsioni degli uomini.
Chiudo il genoa in anticipo per non dovermi trovare a farlo sotto l'acquazzone
che sta per arrivare e mi rifugio sotto la cappottina para-schizzi, ma non è
sufficiente, le gocce arrivano fino lì spinte dal vento e non voglio che la gamba
ingessata si bagni, così mi metto a sedere in modo da poggiare i piedi sulle
scale, socchiudo il tambuccio, ci appoggio il gps per controllare la rotta e
rimango in attesa degli eventi. Mancano poco più di dieci miglia.
Il problema sarà stare al timone sotto la pioggia per attraversare lo stretto
canale di Lefkas, metterò la gamba nella sacca impermeabile a chiusura
ermetica comprata in un negozio di ortopedia ad Atene per fare la doccia, ma
solo quando sarà necessario, perché la pelle all'interno del gesso suderebbe
troppo rimanendo chiusa per lungo tempo.
Ed eccolo il temporale, a tre miglia dall'ingresso del canale, scendo
sottocoperta, metto la gamba ingessata nella sacca, taglio i pantaloni di una
cerata leggera per poterli infilare, salgo sopracoperta e trovo la grandine.
Grazie! Ci voleva proprio questo per stare al timone!
Mi è venuta anche la febbre e le mie forze si sono quasi esaurite, coraggio, sono
solo tre miglia da fare passando in mezzo alle mede.
Finalmente avvisto la marina, chiamo ma nessuno risponde, né al canale del
vhf, né al numero di telefono fisso: cazzo, ormeggiare da solo con questo
temporale, la coperta bagnata e scivolosa con una gamba sola, sarà
un'impresa.
La visibilità è ridotta a pochi metri, individuo a stento un posto libero e mi
c'infilo di poppa, cerco di legare la barca in qualche maniera a quella vicino per
fermarla ma non è facile e scivolo più di una volta, poi dalla fitta pioggia
emerge dal nulla una figura sul pontile con un impermeabile scuro di quelli dei
marinai di un tempo, salta senza dire niente sulla mia barca da poppa, prende
le cime e gli da volta alle bitte sul pontile, poi va a prua per fissare il corpo
morto ma non ho visto come l'ha preso, è andato troppo spedito per averlo
portato da poppa, non ho visto neanche il suo volto, il cappuccio lo copre fino
alla bocca il che però mi permette di vederlo sorridere un attimo prima che
svanisca, così com'era comparso, senza dire una parola, nel nulla.
Dopo dodici ore di sonno ininterrotto mi sveglio completamente bagnato dal
sudore, il naturale rimedio del corpo per guarirsi, non ho più la febbre, così mi
reco agli uffici della marina per registrare Denecia e per ringraziare
l'ormeggiatore che mi ha aiutato ma mi dicono che ieri sera non c'era nessuno
ai pontili a causa di una non meglio specificata urgenza.
Ma allora era un fantasma? Sarà stato il delirio delle febbre alta? E se così
fosse, come sono riuscito ad ormeggiare?
Mi rimetto a- letto per recuperare le forze, dovrò rimanere un paio di giorni
qui per aspettare che passi il cattivo tempo, ma non riesco a smettere di
pensare a quel misterioso marinaio mentre ascolto il picchiare della pioggia
sulla coperta.
E ora salpo per la mia ultima tappa, il mio ultimo giorno in mare prima di
rientrare, per questa volta. Volgo lo sguardo verso sudovest, fissando il blu
intenso del mare, seguendolo fino dove incontra il cielo e fino a dove il sole si
riflette sull'acqua, ignorando la terraferma che è dalla parte opposta a poche
miglia che mi aspetta.
Chissà quanto tempo passerà finché il vento tornerà a gonfiare di nuovo le
vele di Denecia per lunghe traversate.
Dovrei essere contento di tornare alla mia città, di tornare dai miei amici,
invece mi prende un leggero senso di melanconia nell'arrestare la corsa della
mia barca lungo il Mediterraneo.
Per un attimo mi viene la tentazione di mettere la prora verso ovest ed andare
oltre, uscire da questo mare verso un orizzonte infinito, senza fermate. Ma
non è ancora ora.
Devo sistemare alcune cose, e poi anche se non ho una famiglia ci sono i miei
amici, e non vedo l'ora di riabbracciarli.
Oggi il vento è calato, quindi a motore, ma quando mancano dieci miglia lo
spengo e apro le vele, non importa se ci metterò di più, voglio tornare
navigando a vela! Davanti al canale d'ingresso mi attardo, faccio ancora un
giro o due, non riesco a decidermi di chiudere le vele di Denecia, poi mi
chiama Suela: "You did it!" Si, ce l'ho fatta.
Dopo cinquemila miglia, centodiciannove giorni, sessantadue porti, trenta
isole,alle ore sedici e trenta del ventinove ottobre accosto per la Darsena da
dove sono partito, sulla punta del molo trovo i miei amici ad aspettarmi,
Clara ha portato un vecchio lenzuolo con scritto "Bentornato", e quando
comincio a fare la manovra per entrare nel mio posto ci sono già Marcello,
Luigi, Gianni e Claudio sulla prua delle barche tra le quali devo infilarmi
pronti ad aiutarmi.
In un attimo Denecia è ferma e "legata", così rimarrà per un po', fino al
prossimo richiamo del largo, e io scendo a terra, la mia terra.
5