i nomi degli antichi romani, una carta d` identita`
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I NOMI DEGLI ANTICHI ROMANI, UNA CARTA D’ IDENTITA’ Tra gli elementi più presenti nelle iscrizioni figura il nome dei personaggi sia pubblici che privati in veste di dedicanti o di destinatari. Subito notiamo che il nome dei Romani è espresso in maniera diversa rispetto al nostro che prevede il nome personale e il cognome della famiglia. Prendiamo ad esempio l’epigrafe n. 21 del I secolo d.C., una dedica votiva posta da L. VALERIUS L.F. IUSTUS che leggiamo L(ucius) Valerius L(ucii) f(ilius) Iustus La lex Iulia municipalis del 45 a.C. prevedeva infatti che l’onomastica completa di un cittadino romano, maschio e nato libero (ingenuus) si componesse dei tria nomina (praenomen, nomen, cognomen), cui poteva aggiungersi l’indicazione del patronimico e, talvolta, della tribù di appartenenza che qualificava la città di origine e che, nel caso di Ariminum, era la tribù Aniensis (vedi ad esempio l’epigrafe n. 38). I tria nomina comprendono: - praenomen, corrispondente in origine all'odierno “nome di battesimo” abbreviato nell'iniziale, in quanto facilmente riconoscibile. I praenomina infatti erano un numero ridotto: fra i più ricorrenti Marcus, Gaius, Titus, Publius, Manlius e Lucius. - nomen, chiamato anche nomen gentilicium in quanto indicava la gens, ovvero il nucleo familiare a cui apparteneva l'individuo. - cognomen, in origine il soprannome che poteva essere attribuito sin dalla nascita, per caratteristiche particolari della persona, per ordine di nascita, con riferimento al mestiere o al luogo di origine o, semplicemente, come augurio per una vita felice. Diffuso in maniera generalizzata dalla fine della repubblica, tenderà a diventare il nome personale in sostituzione del praenomen che, dal III secolo, inizia ad essere omesso. Torniamo al nostro esempio per capire meglio: L(ucius)Valerius L(ucii)f(ilius) Iustus Lucius Praenomen Valerius Nomen: Appartenente alla gens Valeria Iustus Lucii f (ilius) Patronimico: Figlio di Lucio Cognomen: A indicare una qualità morale, quella di essere un giusto Tutto ciò si applicava soltanto agli uomini di condizione libera. Le donne, sia libere che schiave liberate, possedevano soltanto il gentilizio (nomen) al femminile, talvolta seguito dal cognomen, e lo conservavano anche dopo il matrimonio. I liberti, gli schiavi liberati entrati a far parte della famiglia del padrone, che da dominus diveniva patronus, assumevano praenomen e nomen del padrone e, come cognomen, il loro nome originario. La legge imponeva che indicassero la loro condizione di liberti, inserendo, tra nomen e cognomen, l’indicazione al genitivo del praenomen del padrone abbreviato con il termine libertus/a, per lo più abbreviato in L., indicazione che andava a sostituire il patronimico. Nel caso del liberto di una domina, il praenomen era espresso da una C retroversa, da leggersi come mulieris La condizione servile è dichiarata dalla parola servus anche abbreviata in S o ser e accompagnata dal nome del padrone.
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