della subordinazione: volontà delle parti, nomen juris e novazione
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della subordinazione: volontà delle parti, nomen juris e novazione
Approfondimento Segni giuridici Indici “sintomatici” della subordinazione: volontà delle parti, nomen juris e novazione gabriella ambrosio L’importanza della tematica delle tecniche di qualificazione di un rapporto di lavoro è cresciuta in maniera direttamente proporzionale al moltiplicarsi di fattispecie ibride, non univocamente riconducibili all’area del lavoro subordinato. Per tali rapporti di lavoro, costituenti vere e proprie zone grigie, i tradizionali criteri di qualificazione, utilizzati a fini discretivi, risultano poco indicativi della loro natura. Per talune ipotesi, ex plurimis il lavoro a domicilio (L. n. 877/73), il lavoro sportivo (L. n. 91/81), il lavoro domestico (L. n. 339/58), il legislatore ha provveduto ad apprestare una disciplina regolamentare, a seguito delle numerose oscillazioni ed incertezze giurisprudenziali. Per tutte le altre fattispecie, di non poco momento è l’attività interpretativa, che si svolge attraverso l’individuazione di “indici” giurisprudenziali, la determinazione della loro adeguatezza al caso concreto, nonché l’attribuzione della diversa rilevanza degli stessi a fini qualificatori, secondo una scala di priorità che risente del momento storico e della mobile linea di demarcazione tra lavoro autonomo e subordinato, censurabile in sede di legittimità. Questa tormentata attività di elaborazione ermeneutica si affianca ad un intenso dibattito de jure condendo, avente ad oggetto la miglior redistribuzione delle 82 tutele in base alle effettive condizioni di debolezza del lavoratore, che oramai esulano dalla natura del rapporto. Il combinato disposto degli artt. 2094 e 2104, 2° comma, c.c. pone l’accento sulla caratteristica essenziale del lavoro subordinato, alla quale rimanda, per differenza, l’art. 2222 c.c., che detta la nozione di lavoratore autonomo: la eterodirezione dell’attività. Si tratta di una dipendenza tecnico-funzionale dall’organizzazione aziendale, ex art. 2082 c.c., dell’assoggettamento del lavoratore, limitatamente alla prestazione dedotta in contratto, alle modalità di svolgimento della stessa imposte dal datore, mediante ordini che il lavoratore è obbligato a rispettare. Escludendo, preliminarmente, l’esistenza di una presunzione di subordinazione, cui consegue che spetta al soggetto interessato allegare tempestivamente e provare ex art. 2697 c.c. gli elementi di fatto corrispondenti alla fattispecie astratta invocata, l’orientamento giurisprudenziale e dottrinale tutt’oggi dominante assume, quale principale termine di riferimento, l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro. All’interno di tale indirizzo, però, è possibile distinguere una lettura più estesa, che comprende anche le direttive dettate dal datore in via programmatica (cfr., tra le prime in tal senso, Cass. n. 1094/93) e un filone interpretativo restrittivo, per il quale occorrono direttive continue, dettagliate, strettamente vincolanti, ricollegabili all’esercizio del “potere di conformazione” del datore di lavoro (cfr. Cass. n. 7796/93), specifiche, reiterate e intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa (cfr., da ultimo, Cass. n. 26986/2009). Può solo farsi cenno, in questa sede, alla peculiarità dei rapporti a carattere intellettuale o ad alta professionalità, nei quali la giurisprudenza è solita ravvisare il vincolo di subordinazione anche ove si sia in presenza di direttive programmatiche, in quanto il potere direttivo del datore si manifesta in maniera meno intensa e pregnante, determinando una sorta di affievolimento dei tratti distintivi tipici della subordinazione: si pensi, per citare un caso di particolare interesse, alla figura del giornalista. Allorquando l’esistenza di un potere direttivo, requisito principe della subordinazione, non sia agevolmente apprezzabile, così come non siano d’aiuto altri criteri cd. essenziali o esterni, quali l’inserimento nell’organizzazione aziendale, la collaborazione, la continuità della prestazione ovvero l’incidenza soggettiva del rischio, la giurisprudenza di legit- numero 03 15 febbraio 2010 Segni giuridici Approfondimento timità ritiene di dover fare riferimento ad altri elementi, cd. residuali o sussidiari, considerati privi di un autonomo valore decisivo, che fungono, pertanto, da mero elemento indiziario. Gli indizi sussidiari della subordinazione, quali il vincolo di osservanza di un determinato orario, l’oggetto della prestazione, ossia se questa sia legata ad un risultato determinato ovvero si concretizzi nella messa a disposizione di energie lavorative - secondo la classica distinzione tra locatio operis e locatio operarum - invero superata, le modalità di erogazione della retribuzione, la proprietà degli strumenti di lavoro, hanno la sola funzione di rafforzare quelli essenziali, ma non sono idonei a sostituirli nel fondare, da soli, l’inclusione del rapporto di lavoro nell’uno o nell’altro schema contrattuale. In tale situazione di incertezza metodologica, che non migliora il suo grado di affidabilità per il fatto che si è soliti fare un uso congiunto dei diversi criteri, per molti anni si è dato rilievo preminente alla volontà delle parti nell’ambito dell’operazione qualificatoria del rapporto. Dagli anni ’80 in poi, si è assistito ad un’inversione di tendenza, con la dequotazione del valore della volontà cartolare, intesa quale mera manifestazione formale contenuta nella stipulazione originaria, e l’attribuzione di valore decisivo alle effettive modalità di svolgimento del rapporto (da ultimo, Cass. n. 25213/2009). Recentemente, la Suprema Corte, con la pronuncia n. 11589 del 12 maggio 2008, ha ribadito che l’iniziale contratto, la volontà che esso esprime ed il nomen juris corrispondente non costituiscono numero 03 15 febbraio 2010 fattori assorbenti, diventando, viceversa, il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto elemento necessario non solo ai fini della sua interpretazione, ma anche utilizzabile per l’accertamento di una nuova, diversa volontà, eventualmente intervenuta nel corso dell’attuazione del rapporto e diretta a modificare singole clausole contrattuali e, talora, la stessa natura del rapporto inizialmente prevista,. A ciò consegue che, in caso di contrasto tra dati formali e dati fattuali relativi alle modalità della prestazione, occorre dare prevalenza ai secondi (cfr. anche Cass. n. 16199/03 e Consiglio di stato, V sez., n. 8871/2009). Nel caso di specie, la Corte, in relazione al rifiuto opposto da una lavoratrice alla “regolarizzazione” del rapporto mediante formale assunzione, non ha ritenuto provata l’esistenza di un accordo caratterizzato da una precisa volontà di escludere la subordinazione e mantenere il rapporto nell’alveo della libera collaborazione. La valorizzazione dell’autonomia contrattuale delle parti, sia in riferimento al consenso contrattuale manifestato dalle parti al momento della costituzione del rapporto, sia riguardo alla fase attuativa dello stesso, trova il suo limite nell’indisponibilità del tipo, non solo alle parti, ma perfino al legislatore, alla luce del principio, affermato dal Giudice delle Leggi (cfr. Corte Cost. nn. 121/93 e 115/94), strettamente correlato a quello di parità di trattamento, della necessarietà delle tutele fondamentali del lavoro subordinato per un rapporto effettivamente tale, che non può essere qualificato impropriamente come autonomo. L’opposta tesi, portata avanti da autorevole dottrina, muove dalla considerazione che la qualificazione giudiziale del rapporto, sostituendosi alla personale valutazione del lavoratore, lederebbe quella libertà di scelta professata, all’art. 4, dalla carta fondamentale. La rivalutazione dell’autonomia individuale ha posto all’attenzione dell’interprete una nuova querelle: la configurabilità di una successione di rapporti di lavoro di diversa natura tra le stesse parti e per la medesima attività, ossia della novazione di un rapporto subordinato in autonomo. La giurisprudenza dominante (ex multis, cfr. Cass. n. 29000/2008) ritiene necessario, per il cambiamento di veste del rapporto di lavoro, unitamente all’univoca volontà delle parti di mutare il regime giuridico ed il nomen juris, un effettivo e concreto mutamento delle modalità di svolgimento del rapporto, conseguenza diretta del venir meno del vincolo di soggezione del lavoratore al datore di lavoro. In caso contrario, si ritiene applicabile la presunzione semplice per la quale il contratto sia proseguito col regime precedente (cfr. Cass. n. 14071/02; 7310/2002). In definitiva, in caso di contrasto tra dati formali e dati fattuali, deve darsi preminente rilievo ai secondi (cfr. Cass. n. 25666/07), in quanto, anche ai sensi del secondo comma dell’art. 1362, deve tenersi conto, in sede di interpretazione della volontà delle parti, del comportamento complessivo delle medesime, anche posteriore alla conclusione del contratto. Nel caso di specie è stata ritenuta l’unitarietà del rapporto di lavoro subordinato intercorso 83 Approfondimento Segni giuridici tra le parti, dato lo svolgimento regolare delle medesime mansioni, a fronte del mutamento solo nominativo del rapporto, da contratto di natura subordinata a rapporto di collaborazione co- 84 ordinata e continuativa. La tendenza evolutiva della dequotazione del dato formale, che attraversa trasversalmente l’intero panorama giuridico, è ancora più pregnante nella ma- teria che qui ci occupa, per il suo rilievo pubblicistico e costituzionale, nella quale non può revocarsi in dubbio l’oggettiva diseguaglianza di fatto tra prestatore e datore di lavoro. numero 03 15 febbraio 2010
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