Commento al Rapporto
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Commento al Rapporto
COMMENTO AL RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL ‘WE HAD NOWHERE ELSE TO GO’ Forced displacement and demolitions in northern Syria di Martina Bianchi* INDICE 0.0. Introduzione e sommario dei contenuti 1.0. Analisi critica di alcuni elementi formali del rapporto di Amnesty International 2.0. Analisi critica di alcuni elementi sostanziali del rapporto di Amnesty International 2.1. Ricostruzione del quadro legislativo internazionale applicabile 2.2. Sulla valutazione della sussistenza delle imperative ragioni di carattere militari che avrebbero determinato il trasferimento dei civili 2.2.1 Sulla ricostruzione del quadro politico e sociale della regione del nord della Siria denominata Rojava 2.2.2 Sul quadro istituzionale del Cantone di Cezire 2.3. Sulla valutazione delle testimonianze incluse nel rapporto di Amnesty International a seguito dell’integrazione degli elementi del contesto istituzionale, sociale e politico. 2.4. Ricostruzione della prassi militare delle YPG e YPJ; 2.4.1 Intervista a Karim Franceschi; 2.4.2 Analisi dei contenuti dell’intervista e ricostruzione dell’effettivo contenuto degli imperanti motivi militari e di sicurezza che avrebbero indotto squadre delle YPG e YPJ a distruggere abitazioni o altri edifici civili, a requisire di beni di proprietà privata e a trasferire coercitivamente i civili 3.0 Sulle ipotesi di bilanciamento di diritti fondamentali 4.0 Sulle altre eventuali ipotesi di distruzione di abitazioni civili, saccheggi e allontanamenti forzati della popolazione non giustificati da imperanti motivi militari o dalla necessità di garantire la sicurezza dei civili in area di conflitto 5.0. Sulle conclusioni e sulle raccomandazioni del rapporto di Amnesty International. ALLEGATO A: Traduzione in lingua italiana del rapporto di Amnesty International ‘WE HAD NOWHERE ELSE TO GO’ , Forced displacement and demolitions in northern Syria, pubblicato in data 12 ottobre 2015, index MDE 24/2503/2015, a cura di Martina Bianchi. * Martina Bianchi è dottoranda di ricerca in Diritto Internazionale e dell’Unione Europea presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa. L’autrice desidera ringraziare Karim Franceschi per l’intervista da lui rilasciata ed inclusa nel presente commento. 1 0.0. Introduzione e sommario dei contenuti In data 12 Ottobre 2015, Amnesty International ha pubblicato un rapporto che documenta episodi di distruzione di edifici civili e di trasferimenti forzati di civili nei territori a maggioranza curda del nord della Siria, conosciuti come Rojava, posti sotto il controllo dell’Amministrazione Autonoma.1 Nei mesi di Luglio e Agosto 2015, la delegazione di osservatori di Amnesty International ha condotto ricerche nel nord della Siria in alcune aree del territorio del cantone di Cezire; essa ha inoltre raccolto interviste a testimoni nel sud della Turchia e nella Regione Autonoma del Kurdistan Iracheno. In particolare, il rapporto denuncia l’avvenuta perpetuazione da parte delle forze di sicurezza dell’Amministrazione Autonoma - YPG, YPJ e Asayish2 - di trasferimenti forzati di popolazione, demolizioni di case e confisca e distruzione di beni di proprietà privata, apparentemente come ritorsione per il supposto supporto da parte dei residenti arabi o turcomanni al gruppo auto-denominatosi Stato Islamico (IS) o ad altri gruppi armati non governativi. Secondo la ricostruzione del quadro giuridico offerta dal rapporto, tali azioni costituiscono illeciti e gravi violazioni dei diritti fondamentali e sono qualificabili come crimini di guerra in accordo con il diritto internazionale umanitario. Segue il prospetto riassuntivo delle aree ove avrebbero avuto luogo le suddette violazioni: Nome villaggio Popolazione Numero tot. di case/ Numero di case distrutte Numero testimoni 800? 91/90 4 Asaylem ? 103/100 1 Raneen ? 50/? 3 1400 famiglie turkmene 10 famiglie curde 1000/? 3 Al-Maghat ? ?/? 1 Al-Ghbein 100-120 famiglie ?/? 5 Mela Berho 800 turkmeni ?/? 1 Abdi Koy 500 persone, soprattutto arabi ?/? 2 Tel Fweida 63 persone? 100/? 2 Tel Diyab ? ?/2 2 Husseiniya Hammam al Turkman 1 Il testo integrale del rapporto di Amnesty International ‘WE HAD NOWHERE ELSE TO GO’, Forced displacement and demolitions in northern Syria, pubblicato in data 12 Ottobre 2015, index MDE 24/2503/2015, è consultabile alla pagina www.amnesty.org/en/documents/mde24/2503/2015/en/. 2 Le Unità di protezione del Popolo (YPG) e le Unità di protezione delle donne (YPJ) costituiscono l’esercito di autodifesa dell’Amministrazione Autonoma del Rojava. Con il termine Asayish sono individuate le forze di polizia. 2 Il presente commento si propone di effettuare un’analisi delle risultanze del rapporto di Amnesty International attraverso l’approfondimento del contesto storico, politico, sociale delle zone ove si sono verificate le supposte condotte illecite e mediante la valutazione degli strumenti di interpretazione ed analisi giuridica utilizzati dagli osservatori di Amnesty International. 1.0. Analisi critica di alcuni elementi formali del rapporto di Amnesty International A seguito di lettura della versione inglese del rapporto redatto dagli osservatori di Amnesty International,3 sono emersi alcuni elementi che si ritiene necessario sottolineare in quanto qualificabili quali carenze da un punto di vista formale del documento menzionato: Ø la forma ortografica, la struttura grammaticale e la correttezza e coerenza semantica della lingua inglese utilizzate nella compilazione del rapporto appaiono in numerosi passaggi scorrette e non appropriate. L’annotazione di tali imprecisioni, lungi dall’essere una valutazione del mero aspetto stilistico, diventa assai rilevante nel momento in cui si considera la difficoltà in cui si viene a trovare il lettore ed interprete del testo del rapporto. Invero, un certo utilizzo della lingua determina in colui che legge l’incapacità di comprendere a pieno la descrizione di alcuni fatti poi qualificati in fattispecie giuridiche rilevanti. In particolare, appaiono talvolta oscure la ricostruzione della linea temporale della cronaca degli eventi narrati e le esatte azioni compiute da coloro che sono indicati come testimoni e vittime delle denunciate violazioni. Ø Nelle note metodologiche4emerge l’assenza dell’indicazione dell’utilizzo del mezzo telefonico per la raccolta di alcune interviste, strumento poi menzionato in alcune note inserite nei capitoli successivi.5 Inoltre, non viene specificata la natura delle ONG e delle organizzazioni politiche a cui dovrebbero appartenere le 11 persone intervistate nella Regione Autonoma del Kurdistan iracheno. Tale omissione assume importanza agli occhi del lettore nel momento in cui rileva come non venga fatta alcuna menzione alle interviste raccolte in Iraq in tutto lo svolgimento del rapporto. Ø Nella ricostruzione delle violazioni che, in accordo con le allegazioni del rapporto hanno avuto luogo nel paese di Husseiniya, manca la specificazione del termine official attribuito ad uno dei principali testimoni dei fatti narrati: “A local Arab official from the Tel Hamees countryside said that the YPG first clashed with the FSA and other non-state armed groups in the Tel Hamees countryside in December 2013, and that the biggest confrontation between the FSA and the YPG took place in the village of Husseiniya in February 2014.3 The official said that at that time, a number of armed groups, including Ahrar al-Sham, Liwa’ 114, Forsan al-Sunna, and a group affiliated with IS forced the YPG to retreat. According to this official, the YPG sustained heavy losses in the clashes, with 13 YPG fighters being killed in the fighting, and others being killed when a suicide bomber attacked a YPG tank and killed all of the soldiers inside it.”6 3 Vedi nota 1. Pagina n. 7 del rapporto di Amnesty International, v. nota 1. 5 Si veda rif. a phone interviews in note 16 e 17 a pagina 13 del rapporto, v. nota 1. 6 Estratto dal capitolo, DEMOLITION OF ENTIRE VILLAGES, Husseiniya, Tel Hamees Countryside, pagine 10 e 11 del rapporto, v. nota 1. 4 3 “Un arabo pubblico ufficiale/funzionario locale proveniente dall’area vicino Tel Hamees ha riferito che le YPG dapprima hanno avuto scontri con l’FSA ed altri gruppi armati non governativi nell’area vicino Tel Hamees nel dicembre 2013, e che lo scontro più rilevante tra FSA e YPG ha avuto luogo nel villaggio di Husseiniya nel Febbraio 2014. Il pubblico ufficiale/funzionario ha inoltre riferito che, in quel periodo, un certo numero di gruppi armati, quali Ahrar al-Sham, Liwa’ 114, Forsan alSunna, e un gruppo affiliato all’IS ha costretto le YPG a ritirarsi. Secondo quanto riportato da questo pubblico ufficiale/funzionario, le YPG avrebbero sofferto gravi perdite negli scontri, con 13 combattenti delle YPG che sarebbero stati uccisi nei combattimenti, e altri che sarebbero stati uccisi quando un attacco bomba suicida ha colpito un tank delle YPG, uccidendo tutti coloro che si trovavano all’interno.”7 In questo caso, l’omissione assume un peso nella valutazione della rilevanza della fonte citata. Invero, appare ulteriormente difficile contestualizzare la testimonianza in questione se si considera il contenuto delle dichiarazioni rilasciate dal Consiglio delle tribù arabe del Cantone di Cezire,8 organo che, si deduce, dovrebbe essere rappresentativo di un pubblico ufficiale arabo residente nel Cantone. Inoltre, le dichiarazioni rilasciate dal testimone sono state oggetto di critica anche dal commando Generale delle YPG il quale, in un lungo commento rilasciato in data 19 Ottobre 2015,9 ha precisato come le YPG e YPJ non avessero conquistato il villaggio nel 2014: “Our YPG units did not enter the village of Husseiniya in 2014, which was under the terrorists’ control. Instead, they withdrew from the outskirt of the village after completing their combat mission, which was named “deterrence and dispersal operation.” The paragraph also clearly indicates that the area was witnessing armed clashes between different groups – clashes that are enough to destroy any village.” Ø Una delle supposte violazioni tra le più gravi di quelle menzionate nelle testimonianze incluse nel rapporto fa riferimento all’ingiusta detenzione di un minore di anni 14.10 “Amnesty International interviewed a second family from the city of Ras al-Ayn. Ahmad, a Ras al-Ayn resident, told Amnesty International that one of his three sons was a fighter with the FSA’s Farouq Brigade in Ras al-Ayn, which began fighting the YPG in Ras al-Ayn in 2013. In November 2013, a few months after the YPG took control of the area, he said they detained his 14-year-old son. When his son was released from detention 15 days later, the entire family left Ras al-Ayn. “We never went back home [from fear of reprisals] but our neighbours told us that the PKK [referring to the PYD] took our belongings and confiscated our home and shops.” Ahmad gave Amnesty International 11 the names of four other families from Ras al-Ayn who he said also had their properties confiscated.” 7 Traduzione in italiano dell’estratto originale inglese indicato in nota 6. Si veda il comunicato rilasciato dall’Assemblea delle tribù arabe del 16 ottobre 2015 : http://www.kurdishinfo.com/arab-tribes-in-rojava-say-amnesty-international-distorts-the-truths 9 Per il testo integrale del comunicato si veda: http://www.kurdishinfo.com/ypg-general-command-amnesty-international-report-is-contradictory 10 Rif. al Capitolo TARGET FORCED DISPLACEMENT AND DESTRUCTION OF HOMES, Suspected or actual affiliation with non-state armed groups, pagine 26 e 27 del rapporto, si veda nota 1. 11 Estratto dal Capitolo TARGET FORCED DISPLACEMENT AND DESTRUCTION OF HOMES, Suspected or actual affiliation with non-state armed groups, pagine 26 e 27 del rapporto, si veda nota 1. 8 4 “Amnesty International ha intervistato una seconda famiglia proveniente dalla città di Ras alAyn. Ahmad, un abitante di Ras al-Ayn, ha riferito ad Amnesty International che uno dei suoi tre figli era un combattente a Ras al-Ayn con la Brigata Farouq appartenente all FSA, che ha cominciato a scontrarsi con le YPG a Ras al-Ayn nel 2013. Lui ha riferito che nel Novembre 2013, pochi mesi dopo che le YPG avevano preso il controllo dell’area, loro hanno arrestato suo figlio di 14 anni. Quando suo figlio è stato rilasciato dopo 15 giorni di fermo, l’intera famiglia ha lasciato Ras al-Ayn. “Non siamo più tornati a casa (per paura di rappresaglie) ma i nostri vicini ci hanno riferito che il PKK (riferito al PYD) si è impossessato dei nostri averi e ha confiscato la nostra casa ed il nostro negozio.” Ahmad ha fornito ad Amnesty International i nomi di altre quattro famiglie di Ras al-Ayn che, a suo dire, si sono viste confiscare le loro proprietà.”12 In accordo con la ricostruzione offerta dal testimone, tale arresto dovrebbe essere oggetto di una valutazione assai grave nella determinazione dell’illecito, in quanto avvenuto ai danni di un minore, senza che venisse garantito il corollario delle garanzie di tutela di natura sostanziale e processuale e a scopo intimidatorio nei confronti della famiglia. Tuttavia, deve sottolinearsi come manchino alcuni elementi tali da poter attribuire il sufficiente grado di affidabilità alla testimonianza. Invero, né viene specificato in nota se il nome del testimone – Ahmad – sia un nome reale o fittizio, né viene dato modo al lettore di capire se il minore arrestato fosse la stessa persona sospettata di affiliazione a gruppi armati non statali o se tale soggetto sospetto fosse il fratello maggiore. L’intera testimonianza, a differenza delle altre citate nel rapporto, non è oggetto di specificazione circa il luogo e la data in cui sarebbe stata raccolta. Infine, appare incoerente con la ricostruzione offerta nella narrativa del rapporto l’assenza nel capitolo “conclusioni e raccomandazioni finali” 13 della condanna della violazione dei diritti dei minori 14 da parte delle forze di sicurezza riferibili all’Amministrazione Autonoma del Rojava. Se tali violazioni fossero state accertate, non si comprende come non siano divenute oggetto di specifico richiamo all’Amministrazione, trattandosi di comportamenti esecrabili tanto quanto, e forse maggiormente, la distruzione e la confisca di beni di proprietà privata. 2.0. Analisi critica di alcuni elementi sostanziali del rapporto di Amnesty International Il rapporto pubblicato da Amnesty International15individua l’avvenuta distruzione di abitazioni civili, il saccheggio di beni di proprietà privata ed il trasferimento forzato di persone quali azioni costituenti crimini di guerra in accordo con il diritto internazionale umanitario. La commissione di questi illeciti, nella ricostruzione operata nel menzionato rapporto, sarebbe stata aggravata sia dall’aver colpito in particolare appartenenti alle comunità arabe residenti nel cantone di Cezire sia dalla presenza di intenti ritorsivi e punitivi nelle azioni perpetuate dagli appartenenti alle forze di sicurezza, YPG, YPJ e Asayish. Sono stati già esposti nei paragrafi precedenti alcuni dei motivi per i quali tale ricostruzione appaia dubbia e, in alcuni casi, anche contraddittoria in molti passaggi del rapporto, ma anche considerando le ipotesi dell’avvenuta distruzione di case ed edifici civili, il trasferimento forzato delle persone ed il sequestro di beni di proprietà, appaiono comunque 12 Traduzione in italiano dell’estratto originale inglese indicato in nota 10. Si veda capitolo CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI inserito a pagina 32 del Rapporto, si veda nota 1. 14 A pagina 19 del rapporto (v. nota 1), viene fatto riferimento a colpi sparati da appartenenti alle YPG nei confronti di bambini: “Another resident, a man displaced from a nearby village, told Amnesty International that the YPG shot in the direction of two children when they approached an area bordering both the village and Suluk. Amnesty International spoke to the children, who confirmed the story. He said that by late July the YPG had visited the village on four occasions that he was aware of to tell villagers they had to leave.” 15 V. nota 1. 13 5 incoerenti i meccanismi di qualificazione giuridica utilizzati per definire tali attività come crimini di guerra, per di più aggravati dalla componente discriminatoria su base raziale e di appartenenza politica, attribuibili all’Amministrazione Autonoma. 2.1. Ricostruzione del quadro legislativo internazionale applicabile Ai fini di una ricostruzione più precisa del quadro legislativo applicabile, deve innanzitutto precisarsi come il conflitto in corso nel nord della Siria nell’area conosciuta come Rojava e posta sotto l’Amministrazione Autonoma sia stato definito quale un conflitto non internazionale.16 Si può, dunque, affermare che sono coerentemente applicabili le Quattro Convenzioni di Ginevra del 194917, limitatamente all’articolo 3, ed il II° Protocollo Aggiuntivo del 1977 che appunto si riferiscono ai conflitti armati non internazionali. Ai fini della determinazione dell’applicabilità dell’art. 3 alle parti, anche non statali, coinvolte nel conflitto in corso nel nord della Siria deve precisarsi come esso contenga un obbligo di garanzia degli standard minimi di trattamento della persona civile e che tale obbligo di protezione sia ormai parte del diritto internazionale cogente.18 Con particolare riferimento all’obbligo di protezione della popolazione civile, deve considerarsi il disposto del Titolo IV del II° Protocollo aggiuntivo del ’77.19 In materia di trasferimento di civili, si veda il dettato dell’articolo 17, titolato “Divieto del trasferimento forzato di persone civili”, ove al paragrafo 1. si precisa come “Il trasferimento della popolazione civile per motivi connessi con il conflitto non potrà essere ordinato, salvo il caso in cui lo esigano la sicurezza delle persone civili o ragioni militari imperiose. Se un tale trasferimento dovesse essere effettuato, saranno prese tutte le misure possibili affinché la popolazione civile sia accolta in condizioni soddisfacenti di alloggio, di salubrità, d'igiene, di sicurezza e di alimentazione”.20 Come più volte ricordato dallo stesso rapporto di Amnesty International,21il diritto internazionale umanitario descrive la fattispecie dell’illecito corrispondente al trasferimento 16 Si veda riferimenti alla pagina 31, Capitolo INTERNATIONAL LEGAL STANDARDS, Forced displacement, “International humanitarian law prohibits the displacement of civilians during noninternational armed conflicts except for their own security or for imperative military reasons”; alla pagina 32, Capitolo CONCLUSIONS AND RECCOMENDATIONS, “International humanitarian law also prohibits the displacement of civilians during non-international armed conflicts except for their own security or for imperative military reasons”, si veda nota 1. 17 Le Quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e i Protocolli aggiuntivi del 1977 rappresentano la fonte pattizia più rilevante e completa in materia di diritto internazionale umanitario. Il testo integrale delle Convenzioni è consultabile al sito https://www.eda.admin.ch/eda/it/dfae/politica-estera/dirittointernazionale-pubblico/diritto-internazionale-umanitario/convenzioni-ginevra.html. 18 Si veda la sentenza della Corte internazionale di Giustizia, 27 giugno 1986, Attività militari e paramilitari contro il Nicaragua, pagine 13 e ss, consultabile su http://www.icjcij.org/docket/files/70/9615.pdf, in senso affine, si veda in senso affine anche Tribunale Penale Internazionale per la ex Yugoslavia, Trial Chamber, 2 agosto 1995, The Prosecutor v. Dusko Tadič, consultabile al sito http://www.icty.org/x/cases/tadic/acdec/en/51002.htm 19 Il testo integrale in lingua italiana del II° Protocollo aggiuntivo del 1977 è consultabile al sito https://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/19770113/index.html 20 Estratto dalla versione italiana del testo del II° Protocollo aggiuntivo del 1977. Si veda nota 17. 21 Si veda pagina 31 del Rapporto di Amnesty International (v. nota 1), Capitolo intitolato FORCED DISPLACEMENT, “International humanitarian law prohibits the displacement of civilians during noninternational armed conflicts except for their own security or for imperative military reasons. When displacement occurs, international humanitarian law requires that all possible measures are taken to ensure that displaced civilians receive adequate shelter, and enjoy satisfactory hygiene health, safety and nutrition; and that families are not separated. Furthermore, displaced persons have the right to 6 forzato dei civili quale subordinata all’assenza d’imperative ragioni militari o di ragioni legate alla sicurezza degli stessi civili trasferiti. Si può dunque affermare che il comportamento individuato nel mero trasferimento dei civili non costituisca un illecito nel momento stesso in cui si concretizzi, a prescindere dalle circostanze, ma solo se avvenuto senza che ciò fosse imposto da imperative ragioni militari o per la sicurezza degli stessi civili. Al fine della qualificazione dell’illecito, appare, dunque, necessario comprendere come debba essere interpretato il significato delle locuzioni “imperative ragioni militari” e “tutela della sicurezza degli stessi civili”. Tale valutazione non può certamente prescindere dall’analisi delle circostanze attinenti al caso concreto e degli interessi fondamentali il cui bilanciamento determina la valutazione di carattere militare e poi giuridico. 2.2. Sulla valutazione della sussistenza delle imperative ragioni di carattere militari che avrebbero determinato il trasferimento dei civili. Il rapporto di Amnesty International mette a confronto le dichiarazioni rilasciate dai testimoni intervistati dai propri osservatori con le dichiarazioni rilasciate da due rappresentanti dell’Amministrazione Autonoma del Cantone di Cezire, Ciwan Ibrahim, un alto ufficiale dell’Asayish e Redur Xelil, portavoce delle YPG. Essi, chiamati a dare spiegazioni circa il trasferimento forzato dei civili dagli osservatori di Amnesty International, forniscono dettagli circa le esigenze militari che avrebbero portato al trasferimento dei civili.22 Dalle dichiarazioni da rilasciate da Ciwan Ibrahim emerge quanto segue: • • il numero dei casi in cui nuclei familiari sono stati obbligati ad allontanarsi definitivamente dal Rojava risultano assai limitati trattandosi di 25 famiglie; in tutti questi casi, le forze di sicurezza dell’Amministrazione Autonoma disponevano di prove documentali circostanziate che dimostravano come queste famiglie, o direttamente o tramite parenti impegnati a combattere, avessero stretti legami con le forze dell’autoproclamato Stato Islamico e con altri gruppi armati non statali. Dalle dichiarazioni da rilasciate da Redur Xelil,emerge quanto segue: • molti casi in cui sono stati trasferiti civili sono stati la conseguenza della necessità di salvaguardare la sicurezza dei civili stessi. Le cause di minaccia diretta alla sicurezza dei civili tali da imporre il loro trasferimento come unica alternativa possono essere individuate: 1) nell’alta presenza nelle aree interessate dai trasferimenti di dispositivi esplosivi del tipo IEDs; 2) nell’alto rischio del coinvolgimento dei civili nei combattimenti in corso tra YPG e YPJ e altri gruppi armati; Secondo la valutazione degli osservatori di Amnesty International, la ricostruzione voluntary return in safety to their homes as soon as the reason for their displacement ceases to exist (…).” 22 Si veda il Capitolo, RISPOSTA DELL’AMMINISTRAZIONE AUTONOMA, pagina 28 del rapporto, si veda nota 1. 7 dei fatti proposta dai due portavoce dell’Amministrazione Autonoma non appare convincente e coerente rispetto a quanto dichiarato dai testimoni intervistati dagli stessi osservatori. I testimoni, sostengono, infatti, che il loro trasferimento non fosse giustificato da ragioni di carattere militare o per la loro stessa sicurezza e, in molti casi, di essere stati colpiti da provvedimenti a mero scopo punitivo. Tra le due versioni, Amnesty International assume come veritiera quella dei civili intervistati e basa su di essa la qualificazione dei trasferimenti forzati della popolazione civile quali crimini di guerra.23 Tuttavia, appare di difficile comprensione l’assoluta certezza nel propendere per l’una o per l’altra versione dei fatti, soprattutto se si tiene conto sia del numero relativamente esiguo dei testimoni intervistati sia e soprattutto delle numerose contraddizioni ed omissioni che emergono al momento di una lettura completa delle stesse testimonianze.24 Inoltre, si ritiene che la ricostruzione del contesto entro cui collocare le suddette testimonianze non possa prescindere dalla valutazione del quadro legislativo, politico, sociale e militare interno al Rojava e della prassi generale delle forze di sicurezza YPG e YPJ. Tali elementi assumono un ruolo fondamentale nel momento in cui si ipotizza un nesso di responsabilità tra le supposte azioni condotte da singoli appartenenti alle YPG, YPJ e Asayish – in accordo con quanto ricostruito nel rapporto di Amnesty International – e gli organi dell’Amministrazione Autonoma del Rojava e delle sue forze di sicurezza. 2.2.1 Sulla ricostruzione del quadro politico e sociale della regione del nord della Siria denominata Rojava Nella Repubblica araba di Siria, nel Marzo 2011,25un’ondata di manifestazioni e proteste ha dato avvio all’escalation d’instabilità e violenze che è culminata in una guerra civile tra forze filo governative ed una coalizione eterogenea schierata contro il Presidente in carica Bashar al-Assad ed il suo entourage politico, militare ed amministrativo. Il conflitto si è ulteriormente allargato e aggravato con l’ingresso nel territorio siriano, tra la fine del 2013 e l’Agosto del 2014,26 delle forze armate dell’autoproclamato Stato Islamico che ha occupato militarmente, prendendone totalmente il controllo, città strategiche, quali Al-Raqqa, e intere province, soprattutto concentrate nel centro-nord-est del Paese. Tale frammentazione ha determinato il collasso del funzionamento delle strutture amministrative e politiche ed il crollo degli strumenti di garanzia legale e giurisdizionale. Contestualmente, si sono registrati migliaia di morti e feriti tra i civili e milioni di persone sia internally displaced sia profughe, in primis negli Stati confinanti in secundis verso altri Paesi stabili e con più alti standard di tutela, tra cui l’Unione Europea. In questo contesto di estrema instabilità, già alla fine del 2011 le regioni del nord della Siria a maggioranza kurda, denominate Rojava, i.e. Kurdistan occidentale, hanno dato avvio a forme di autogestione del territorio. 23 Si veda nota 22. veda supra capitolo 1.0. Analisi critica di alcuni elementi formali del rapporto di Amnesty International; si veda, inoltre, il commento ed analisi delle testimonianze citate nel rapporto di Amnesty International pubblicato dal Comando Generale delle YPG in data 19 Ottobre e consultabile al sito: http://www.kurdishinfo.com/ypg-general-command-amnesty-international-report-is-contradictory. 25 A titolo di esempio, si veda: http://www.bbc.com/news/world-middle-east-26116868 26 A titolo di esempio, si veda: http://www.bbc.com/news/world-middle-east-22798391 24 Si 8 Il Rojava è suddiviso in tre porzioni territoriali, 27 poi denominate Cantoni, corrispondenti a quello di Afrin - nell’estremo nord ovest-, Kobane, - nel centro nord – e Cezire – nel nord est -, con capitale Qamishlo, per un totale di circa 4 milioni di abitanti.28 I confini meridionali dei tre territori sono attualmente incerti a causa della presenza di forze militari sia riferibili al governo riconosciuto di Damasco sia a forze di occupazione espressione dello Stato Islamico e delle coalizioni antigovernative. Tra la fine del 2011 e la fine del 2013 tale autonomia esercitata de facto si è gradualmente dotata di strutture rappresentative organizzate dal punto vista istituzionale che hanno iniziato ad esercitare le proprie funzioni in ogni ambito dell’amministrazione civile e militare del territorio cantonale. Deve sottolinearsi come il processo di formazione democratico interno è stato portato avanti attraverso il metodo assembleare che ha coinvolto decine di soggetti ed associazioni rappresentative della vita sociale e civile, comprese molte dedicate alla valorizzazione e alla tutela del ruolo della donna nella società.29 Nel Gennaio 2014, tutti e tre i cantoni, rispettivamente Afrin il 29 Gennaio, Kobane il 27 Gennaio e Cezire il 21 Gennaio, hanno proclamato unilateralmente il proprio status di territori autonomi. I tre cantoni si auto amministrano nell’ambito di un sistema governativo confederale democratico (modello dell’autonomia democratica) che adotta i principi e le norme proclamate nella Carta del Contratto Sociale, approvata a fine Gennaio 2014.30 La Carta riconosce e tutela tutti i diritti fondamentali della persona ed i diritti civili e politici, adottando espressamente all’art 21 “la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, così come tutte le altre convenzioni internazionali sui diritti umani.”31 27 Il cantone di Kobane ed il Cantone di Cezire hanno ottenuto la contiguità territoriale a seguito della liberazione della città di Tel Abyad dalle forze di occupazione dell’autoproclamato Stato Islamico a metà del Giugno 2015. Si veda http://www.bbc.com/news/world-middle-east-33132809. 28 Canton Based Democratic Autonomy of Rojava (western Kurdistan – northern Syria). A transormation process from dictatorship to democracy. Information File, may 2014, pag. 14; Il testo integrale è consultabile alla pagina: https://peaceinkurdistancampaign.files.wordpress.com/2011/11/rojava-info-may-2014.pdf 29 Cfr.“The following are the names of the political parties and organizations that took a part in the founding meeting: Syriac Union Party; Syriac Youth Union; Syriac Cultural Association; Syriac Women's Union; Syriac Academics Union; National Coordination Committee; Syrian National Bloc; Arabic National Commission; Communist Labor Party; Kurdish Leftist Party; Kurdistan Democratic Party; Kurdish Democratic Left Party; Kurdish National Democratic Gathering in Syria; Kurdish Peace Democratic Party; Kurdistan Liberal Union; Kurdish Syrian Democratic Party; The Star Union of Kurdish Woman; Syrian Women's Initiative; Human Rights Activists of Western Kurdistan; Civil Peace Committee; Democratic Union Party (PYD); Shoresh Organization of Women; Management of the Diplomatic Relations of Western Kurdistan; People's Council of Western Kurdistan; Kurdistan Democratic Party in Syria; Organization of the State for the Society and Citizenship; Sarah Organization for the Elimination of Violence 11 against Women; Syria's Future Youth Gathering; Communist Party of Kurdistan; Movement of Democratic Society; Supreme Kurdish Council; Center of the Strategic Studies; Kurdish Students confederation; Revolutionary Youth Movement; Young Woman Revolutionary Movement.”. Fonte: Canton Based Democratic Autonomy of Rojava (western Kurdistan – northern Syria). A transormation process from dictatorship to democracy. Information File, may 2014, si veda nota 24. 30 Il testo integrale è consultabile sul sito: http://peaceinkurdistancampaign.com/resources/rojava/charter-of-the-social-contract/. 31 Tale disposizione appare interpretabile quale l’espressione della scelta da parte dell’Amministrazione Autonoma del Rojava di aderire ad una forma di adattamento al diritto internazionale dedicato alla protezione dei diritti umani basata sul rinvio materiale permanente e, dunque, sull’adozione del modello c.d. monista o perlomeno tendente al monista considerata la materia specifica, quella della 9 Sono, inoltre, presenti precisi riferimenti alla tutela delle minoranze etniche e religiose e al divieto di discriminazione per motivi di razza, religione o appartenenza politica.32 Attualmente, il governo dell’Amministrazione Autonoma del Rojava è guidato dal partito di maggioranza filo curdo denominato Partiya Yekîtiya Demokrat ( Democratic Union Party) –PYD-. 2.2.2 Sul quadro politico e istituzionale del Cantone di Cezire Il Cantone di Cezire è il più grande sia per estensione territoriale sia per numero di abitanti del Rojava (circa 1 milione e mezzo). Sono riconosciute tre lingue ufficiali, il curdo, l’arabo e l’assiro,33 e la popolazione si suddivide in varie minoranze sia di tipo etnico sia di tipo religioso.34 Al vertice dell’organizzazione istituzionale vi è il Legislative Council,35 a cui sono subordinati i seguenti organi istituzionali: Executive Council, Judicial Council, Supreme Costitutional Court, Hight Commission of Election. A livello cittadino, esistono inoltre i Local Administration Council, anch’essi votati direttamente a suffragio universale.36 In generale, si può affermare che si stia attuando un sistema democratico pieno (formale e sostanziale) ove la parità di genere e la parità nel trattamento delle minoranze etniche e religiose hanno assunto un ruolo chiave in tutti gli aspetti della vita pubblica, compreso l’esercizio della difesa militare.37 2.2.3 Il contesto economico ed internazionale dei Cantone di Cezire e le implicazioni sulla popolazione civile. tutela dei diritti umani; l’adozione di tale modello determina conseguenze dirette sulla rilevanza interna delle norme ed i principi che discendono dalle convenzioni a tutela dei diritti umani, a prescindere dal fatto che esprimano o meno norme cogenti erga omnes –jus cogens32 Si ricordano, a titolo di esempio, gli Articoli della Carta del Contratto Sociale numeri 6 “ Tutti gli individui e le comunità sono uguali davanti alla legge per diritti e doveri”; 22 “ Ognuno ha il diritto a manifestare liberamente la propria identità etnica, religiosa, di genere, linguistica e culturale.”; 25 “A. Ognuno gode del diritto alla libertà e alla sicurezza personale. B. Tutte le persone private della libertà devono essere trattate con umanità e rispetto per la dignità umana. Nessuno potrà essere sottoposto a tortura o a trattamenti e punizioni inumani e degradanti. C. I prigionieri hanno diritto a condizioni di detenzione umane, che salvaguardino la loro dignità. Le prigioni devono conformarsi all’implicito obiettivo della correzione, educazione e riabilitazione sociale dei prigionieri.”31, “Tutti i cittadini hanno la libertà di religione e di culto, a livello individuale e come collettivo. Sono proibite le persecuzioni per motivi religiosi.”, v. nota 30. 33 Carta del Contratto Sociale articolo 9, v. nota 30. 34 Carta del Contratto Sociale articolo 3, lett. c): The Canton of Jazirah is ethnically and religiously diverse, with Kurdish, Arab, Syriac, Chechen, Armenian, Muslim, Christian and Yazidi communities peacefully co-existing in brotherhood. The elected Legislative Assembly represents all three Cantons of the Autonomous Regions, v. nota 30. 35 The Legislative Council ha 101 membri eletti a suffragio universale diretto tra i cittadini con più di 18 anni, 40% minimo dei seggi sia per uomini sia per donne, un ufficio di presidenza composto da due deputati. 36 Cfr. Canton Based Democratic Autonomy of Rojava (western Kurdistan – northern Syria). A transormation process from dictatorship to democracy. Information File, may 2014, pag 15, v. nota 28. 37 Le uniche forze militari riconosciute per l’esercizio dell’auto difesa nel Rojava sono le YPG – Unità di difesa del popolo – a cui sono affiancate le YPJ -Unità di difesa femminili. Le donne sia combattono in piena parità con gli uomini sia rivestono importanti ruoli nella gerarchia di comando. Si veda Carta del contratto sociale, art 15, (v nota 30). Cfr. http://www.theweek.co.uk/middle-east/islamicstate/60758/ypj-the-kurdish-feminists-fighting-islamic-state#ixzz3GjjLHvDw. Inoltre, circa il 30% dei componenti delle YPG nel Cantone di Cezire sono di etnia araba. 10 Il territorio del cantone è principalmente pianeggiane e la principale attività produttiva - 80% - è l’agricoltura, principalmente di frumento e orzo. Storicamente la regione era sempre stata considerata il “granaio” della Syria.38 Vi sono, inoltre, ingenti risorse petrolifere, attualmente sfruttate per l’equivalente di 200 pozzi, al fine di soddisfare il bisogno interno compatibilmente con le dotazioni tecniche attualmente a disposizione.39 A causa della guerra civile gli scambi economici all’interno dello Stato sono drasticamente scesi sino al sostanziale azzeramento e la produzione interna dei generi di prima necessità non è sufficiente a soddisfare i bisogni primari della popolazione. La situazione è fortemente aggravata dallo status di embargo a cui è stato sottoposto il Rojava ed il cantone di Cezire da parte dei due Stati confinanti, la Turchia e la Regione Autonoma del Kurdisatan Iracheno (KRG).40 In particolare, la chiusura delle frontiere ed il contestuale status di guerra ha fatto drasticamente peggiorare le condizioni sanitarie e la possibilità di accedere al cibo e alle cure mediche, comprese quelle di base, e agli altri beni di prima necessità per la popolazione civile.41 Le donne ed i minori sono le prime categorie a soffrire delle conseguenze della carenza alimentare e, soprattutto, del funzionamento inadeguato delle strutture sanitarie. E’ possibile affermare che tale carenza non sia in alcun modo determinata da discriminazioni legislative e/o sociali de facto nei confronti delle categorie sociali più deboli o minoranza etniche e religiose, ma sia dovuto unicamente alle mancanze materiali di cui attualmente soffre l’intera regione. 2.3. Valutazione delle testimonianze incluse nel rapporto di Amnesty International a seguito dell’integrazione degli elementi del contesto istituzionale, sociale e politico. All’interno del rapporto di Amnesty International42 di tali valutazioni sembra non esserci quasi alcuna traccia 43 e, in alcuni passaggi, sembra piuttosto che sia l’Amministrazione Autonoma del Rojava sia le forze di sicurezza delle YPG e delle YPJ vengano descritte quali organi prettamente di etnia curda, non tutelativi delle minoranze, in particolare quella araba. In particolare, non viene menzionata l’esistenza di norme, di rango costituzionale, che fanno esplicito riferimento alla tutela delle minoranze così come non si pone l’accento sul coinvolgimento di numerosi esponenti della comunità araba negli organi amministrativi. L’unico riferimento presente è all’effettiva esistenza di numerosi villaggi a città dove curdi e arabi coesistono pacificamente.44 Tali elementi assumono un valore estremamente rilevante al fine di comprendere le politiche e gli obiettivi perseguiti dall’Amministrazione e di valutare la plausibilità del 38 Fonte: http://www.uikionlus.com/introduzione-alla-geografia-del-rojava/ Dati rilasciati da Abdurrahman Hemo, consulente per lo sviluppo economico del Cantone di Cizîre, Derik, si veda: http://www.uikionlus.com/la-triplice-economia-del-rojava/ e http://roarmag.org/2014/12/janet-biehl-report-rojava/. 40 Si veda: http://www.kurdishinstitute.be/kdp-strengthens-embargo-on-rojava-opens-fire-on-protesters/. e http://roarmag.org/2015/01/statement-academic-delegation-rojava/. 41 Si veda: https://rojavareport.wordpress.com/2014/06/03/rojava-in-need-of-medicine-and-othermedical-supplies/. 42 Si veda nota 1. 43 Si veda il capitolo intitolato BACKGROUND a pagina 8 del rapporto, si veda nota 1. 44 Cfr. Capitolo SOMMARIO, a pagina 6 del rapporto, (si veda nota 1), “Amnesty International researchers 39 also observed that Arab and Turkmen residents continued to reside unmolested in other areas under the control of the Autonomous Administration, including, for example, in the city of Ras al-Ayn, which is predominantly Arab.” 11 coinvolgimento o anche il mero favoreggiamento da parte dell’Amministrazione Autonoma nella commissione di abusi dei diritti di alcune comunità arabe. In particolare, alla luce di quanto esposto, anche supponendo che si siano verificati casi isolati di abusi perpetuati da appartenenti alle forze di sicurezza YPG, YPJ e Asayish, non si comprende come mai le vittime di tali abusi non abbiano chiesto idonea tutela alle autorità del Cantone 45 o abbiano comunque attivato gli altri numerosi organi di rappresentanza o singoli esponenti delle comunità araba che svolgono ruoli attivi e di rilievo nell’Amministrazione del Cantone del territorio. Invero, si precisa come la Carta del Contratto sociale prevede espressamente la possibilità di revocare specifici provvedimenti che violino i principi ed i diritti da essa tutelati. L’art. 16 della Carta del Contratto Sociale dispone, infatti, che: “Qualora un tribunale o un altro ente pubblico ritenga che una disposizione sia in conflitto con una disposizione di una legge fondamentale o con una disposizione di qualsiasi altra legge superiore, o che la procedura prevista sia stata messa da parte in qualche aspetto importante quando è stata introdotta la disposizione, la disposizione dovrà essere annullata.” Tuttavia, in un solo caso una delle testimoni riferisce di aver chiesto l’intervento dei capi tribali locali46nel momento in cui ufficiali delle forze di sicurezza le avrebbero intimato di lasciare la propria casa senza che ci fossero motivi legati alla sicurezza sua e della famiglia. Tuttavia non solo non c’è alcuna conferma di queste dichiarazioni da parte di questi soggetti, ma oltretutto in data 16 ottobre 2015, il Consiglio delle Tribù arabe nel Rojava ha rilasciato un comunicato in cui condanna fortemente il contenuto del Rapporto di Amnesty International47 Nonostante appaia estremamente difficile ritenere del tutto affidabile la ricostruzione dei fatti offerta dai principali testimoni del rapporto, rimangono altre evidenze che dimostrano come in alcuni casi villaggi e quartieri sono stato oggetto di distruzione, con il conseguente allontanamento della popolazione se ancora presente. Ci si riferisce sia alle prove video fotografiche menzionate dal rapporto di Amnesty International che mostrano le immagini delle zone abitate prima e dopo le devastazioni48sia alle dichiarazioni rilasciate dagli stessi portavoce dell’Amministrazione Autonoma. Appare dunque necessario acquisire ulteriori strumenti che aiutino a ricostruire il quadro in cui si sarebbero potute concretizzate le “imperative ragioni militari” e “le ragioni di sicurezza” , elementi che, come già precisato, determinano la liceità o illiceità dell’operato di alcune squadre delle YPG e YPJ. 45 Si confronti la testimonianza di Salman inserita a pagina 13 nel Capitolo DEMOLITION OF ENTIRE VILLAGES, Villages south of Suluk, “(…)We left to Turkey because we had nowhere else to go... We did not ask PYD for housing and they never offered.”, da cui si evince come le persone che hanno denunciato di aver patito il danno non abbiano mai attivato alcuno strumento per denunciare le violazioni subite o, comunque, non hanno mai informato dell’accaduto le autorità del Cantone. 46 Si fa qui riferimento alla testimonianza di Bassma circa gli allontanamenti forzati compiuti nel paese di Tel Diyab, pagine 23 a 26 del rapporto. (Si veda nota 1) In particolare, si veda l’estratto della pagina 26, “I told him it was late so I couldn’t leave. He said, ‘Then you leave tomorrow or I come and demolish it and clean the area of its garbage.’... I called ...local tribal leaders and others and asked them to come the next day. I wanted to resolve the issue. The next day they all came ... The YPG commander came between 11am and 12pm... There were more than 10 or 15 YPG guards with weapons...(…)”. 47 Si veda nota 6. 48 Si veda nota 1. 12 2.4. Ricostruzione della prassi militare delle YPG e YPJ 2.4.1 Intervista a Karim Franceschi Viene di seguito riportata l’intervista a Karim Franceschi,49 un cittadino italiano di 27 anni, nato in Marocco e residente in Italia. Karim Franceschi, nel periodo compreso tra il 10 Gennaio 2015 e il 9 Aprile 2015 ha volontariamente scelto di unirsi alle Unità di difesa del popolo del Rojava – YPG- durante la difesa della città di Kobane e le fasi di liberazione del cantone dalle milizie dell’auto-proclamato Stato Islamico. L’intervista racconta una serie di fatti in larga parte già pubblicati su organi di stampa e altri mezzi d’informazione. L’autrice ritiene che il contenuto dell’intervista offra un punto di vista privilegiato per meglio comprendere ed attualizzare il contesto politico, sociale e militare nel cui quadro hanno operato le forse di sicurezza denominate Unità di Protezione del Popolo - YPG - e Unità di Protezione delle donne – YPJ-. Si ritiene, inoltre, che le dichiarazioni di seguito riportate offrano all’interprete un’utile chiave di lettura per meglio analizzare i rapporti che si sono sviluppati tra le varie comunità espressione delle minoranze etniche e religiose presenti nel territorio posto sotto il controllo dell’Amministrazione Autonoma del Rojava. * Hai ricevuto indicazioni da qualcuno al fine di rilasciare questa intervista? No, parlo per mia libera scelta e riferisco di ciò di cui sono a conoscenza a seguito della mia esperienza come volontario nelle YPG nel territorio del Rojava. Un rapporto pubblicato da Amnesty International in data 12 Ottobre 2015 ha dato notizia circa l’avvenuto trasferimento forzato di civili di etnia araba nel cantone di Cezire da parte dalle forze di sicurezza dell’Amministrazione Autonoma, YPG, YPJ e Asayish. Vengono, inoltre, denunciati gravi episodi di distruzioni, danneggiamenti e razzie di beni di proprietà privata. Nel periodo in cui sei stato volontario insieme alle YPG, sei mai stato a Husseiniya, Suluk, Abdi Koy, Tel Fweida e Tell Diyab? No, dopo la liberazione di Kobane dapprima mi sono spinto ad ovest sul fronte verso l’Eufrate. In un secondo momento, quando si è intensificata l’offensiva ad est di Kobane, mi hanno spostato sul fronte che avanzava verso Tal Abyad. Tuttavia non ricordo di aver visto nessuno di questi villaggi nello specifico. In generale, qual è la prassi delle YPG e YPJ durante le fasi di avanzamento e o di scontro con il nemico con riferimento alle proprietà e alle abitazioni civili? Nella pratica militare, le YPG e YPJ tendono a distruggere facilmente le proprietà e gli edifici a tutela degli stessi combattenti. Se bisogna scegliere tra l’incolumità delle persone e la salvaguardia degli oggetti e degli edifici, veniva data sempre la priorità alla sicurezza. E’ accaduto in moltissime occasioni che venissero distrutti dalle YPG abitazioni e interi 49 Intervista raccolta in Italia in data Lunedì 19 ottobre 2015, ore 09.30. 13 quartieri. I combattenti dell’ISIS usavano come tattica quella di penetrare all’interno delle case aprendo dei passaggi nei muri delle case stesse, creando una rete di tunnel di casa in casa e posizionando dei propri manipoli all’interno. Quando lo scontro diretto per liberare queste abitazioni o altri edifici costituiva un rischio troppo altro per le nostre forze, si preferiva farle esplodere. E’ mai stata fatta differenza tra case ed edifici di proprietari curdi e case ed altri edifici appartenenti a esponenti di altre minoranze? Assolutamente no. La stragrande maggioranza degli edifici distrutti e/o danneggiati durante la difesa di Kobane e nel corso dell’avanzata che è seguita alla sua liberazione erano di proprietà di famiglie curde. Le YPG hanno addirittura deciso di far esplodere lo stesso ospedale di Kobane quando, durante l’attentato accaduto a fine Dicembre 2014, alcuni miliziani dell’ISIS travestiti sono entrati nella parte della città controllata dallo YPG, asserragliandosi proprio all’interno dell’ospedale. Piuttosto che rischiare delle vite nel tentativo di riprendere il controllo dell’edificio, si è preferito farlo esplodere. Anche nelle ultime fasi della liberazione della città, è stato scelto di chiedere l’intervento aereo della coalizione anti-ISIS affinché distruggessero un intero quartiere ove ancora erano arroccati i miliziani dell’ISIS. Era, infatti, stato valutato dalle YPG che avanzare e riprendere il controllo di quel quartiere avrebbe significato intraprendere una lotta casa per casa al prezzo di molte vite dei nostri combattenti. Sulla base di quali informazioni la coalizione anti-ISIS decideva o meno di dare avvio ai bombardamenti? Non ho informazioni precise a riguardo. Quello che so è che le YPG comunicavano alla coalizione le postazioni controllate da loro e quelle dove c’era l’ISIS. Certamente la coalizione disponeva di strumenti tali da sapere perfettamente cosa accadeva sul terreno. Puoi essere più preciso? C’erano tantissimo droni che volavano sull’area, compresi quelli dotati di dispositivi di visione notturna. Tramite questi droni, erano e sono in grado di individuare qualsiasi presenza umana sul territorio e il livello di precisione di questi dispositivi è tale che riescono anche a inquadrare i volti delle persone. Per quanto è a tua conoscenza, questi droni sorvolavano solo la zona di Kobane o anche altre zone? Sono sicuro che fossero presenti in tutto il Rojava, compreso il cantone di Cezire. Sapevano meglio loro la reale situazione sul campo di quanto ne sapessimo noi tramite la visuale delle nostre postazioni. Oltre alle ipotesi in cui è stato richiesto l’intervento dei bombardamenti aerei, c’erano altri casi in cui le YPG/YPJ ritenevano necessario distruggere delle abitazioni o altri edifici civili? Sì, veniva deciso di distruggere case almeno in altre due ipotesi: la prima era quando si sapeva per certo o si aveva il fondato timore che ci fossero dei dispositivi esplosivi (IEDs) lasciati dai combattenti dell’ISIS nel momento in cui lasciavano un quartiere o un villaggio arretrando le proprie linee. 14 Cosa sono le IEDs? Sono bombe controllate a distanza tramite un telecomando. Ce n’erano tantissime ed erano la prima causa di morte tra i combattenti delle YPG/YPJ, soprattutto nelle campagne quando c’è stata l’avanzata subito dopo la liberazione di Kobane. Quando ancora si faceva la resistenza in città, il pericolo più grande era rappresentato dai cecchini. Circa l’uso delle IEDs, posso dire che quelli dell’ISIS intercettavano le nostre frequenze radio con dispositivi del tipo radio scanner, ascoltavano le conversazioni e quando capivano che alcuni dei nostri si trovavano in prossimità di un edificio minato lo facevano esplodere. Ne ho l’assoluta certezza perché in alcuni casi abbiamo inscenato delle comunicazioni radio in cui dicevamo di essere entrati in un villaggio o in alcune case, senza che in realtà ci fosse nessuno, e queste immediatamente saltavano in aria. Per questo motivo era fondamentale distruggere gli edifici senza che nessuno potesse avvicinarcisi. Come facevate a stabilire quando gli edifici erano minati (e dunque da abbattere) e quando invece erano sicuri? Molto spesso non avevamo modo di sapere quali edifici fossero stati minati e quali no. In molti casi era l’esperienza e l’intuito dei comandanti che, valutando la situazione sul terreno, i luoghi dove si era in precedenza arroccato l’ISIS ed il valore più o meno strategico di una determinata casa o villaggio capivano se ci fosse il concreto rischio di IEDs. Di certo, ogni qual volta in cui avevamo il dubbio tra distruggere edifici e mettere a rischio l’incolumità delle persone si sceglieva sempre la prima ipotesi. Nessuno, nemmeno gli abitanti, potevano avere l’assoluta certezza se l’area fosse bonificata da esplosivi, oppure no. Hai fatto riferimento a due ipotesi in cui si rendeva necessario distruggere singole case, quartieri o villaggi. Oltre al pericolo di IEDs, quando si presentava questa situazione? Dopo la liberazione di Kobane, le YPG e YPJ hanno dato avvio all’avanzata per la liberazione dei villaggi del cantone. Alcuni sono stati distrutti dalle YPG. Praticamente tutti questi villaggi erano vuoti perché tutti gli abitanti o erano scappati o erano stati presi ostaggio o uccisi dall’ISIS. Ancora oggi tantissimi curdi sono ancora ostaggio dell’ISIS. Ricordo perfettamente che alcuni miei compagni delle YPG/YPJ non volevano essere fotografati o ripresi in volto perché temevano che, se fossero state divulgate le foto, quelli dell’ISIS avrebbero ucciso o torturato i loro parenti a scopo di ritorsione. Qual era l’etnia numericamente maggiore in questi villaggi? Questi erano villaggi a maggioranza curda. Perché era necessario distruggerli? Oltre al pericolo delle IEDs, le YPG e YPJ dovevano evitare di fornire all’ISIS la possibilità di lasciare manipoli di propri miliziani nelle retrovie in grado di attaccarci alle spalle nel momento dell’avanzata. Non avevamo combattenti a sufficienza per presidiare e difendere tutti i villaggi o gruppi isolati di case che incontravamo sul nostro percorso e, a volte, quando si temeva che l’ISIS ci avesse lasciato dentro proprie postazioni nascoste o potesse tornare di notte e compiere azioni dalle nostre retrovie, l’unica alternativa possibile era distruggerle, togliendo loro un possibile vantaggio strategico. 15 Durante la fase di avanzata, sei mai stato direttamente coinvolto o sei comunque stato testimone del sequestro di beni dalle abitazioni o dai villaggi abbandonati? Sì, accadeva di continuo. Le nostre unità di combattimento erano carenti di qualsiasi cosa. Ci mancava tutto, anche le cose più basilari. Io stesso, quando sono entrato a Kobane, ho diviso il piccolo bagaglio che ero riuscito a portarmi con i miei compagni. Quando si entrava in una casa vuota, i primi oggetti che attiravano la nostra attenzione erano le coperte, giacche ed altri indumenti invernali, torce e batterie. Ricordo, in particolare, che la cosa più preziosa erano i calzini pesanti. In quel contesto non avevamo alternativa. Dalle retrovie non ci arrivava nessun rifornimento di alcun genere. La stessa Kobane era ed è sotto embargo. Non ci sono mai stati saccheggi mirati o fatti per arricchimento personale. A volte è capitato di trovare denaro od oggetti preziosi, ma nulla di ciò è mai stato rubato o sequestrato. Ciò che si prendeva era ciò che era necessario per sopravvivere e continuare a combattere. In ogni caso, non si è mai fatta alcuna distinzione tra casa e casa: per noi, ciascuna casa vuota valeva l’altra, a prescindere da chi fosse il proprietario che in molti casi neppure si conosceva. L’importante era raccogliere tutto ciò che ritenevamo essenziale. Sei mai stato direttamente coinvolto o sei comunque stato testimone del trasferimento della popolazione dalle proprie case? Sì, mi ricordo di almeno due occasioni. La prima è quando insieme alla mia squadra siamo entrati in un villaggio vicino Jarablus. Il nostro compito originario era quello di cercare eventuali combattenti dell’ISIS rimasti appostati nel paese, ma non abbiamo trovato nessuno. Il paese era pressoché deserto. Abbiamo trovato solo un signore anziano quasi cieco ed altre quattro o cinque persone. Non rientrava nei nostri compiti specifici entrare in contatto con la popolazione locale, ma visto che parlo arabo e che non sembrava ci fossero pericoli, l’ho incontrato insieme ai miei compagni. Il signore anziano ci ha subito detto che quella era casa sua, che lui non aveva nulla a che fare con l’ISIS e che non se ne sarebbe andato da lì. “Potevamo anche sparargli, ma lui non si sarebbe mosso da lì”. Così ci ha detto. E quale è stata la vostra reazione? La nostra immediata reazione è stata di sorpresa e quasi di ilarità, non capendo per quale assurdo motivo avremmo dovuto sparare ad un signore anziano inerme. Quando lui si è reso conto della situazione, ha cominciato a raccontarci che per tutto il tempo in cui quelli dell’ISIS avevano tenuto il villaggio, avevano continuato a ripetere alla popolazione che, qualora fossimo arrivati, avremmo ucciso tutti per vendicare i morti di Kobane e che avremmo stuprato le donne e avremmo portato via loro le terre. Certamente, nessuna di queste cose corrispondeva al vero. Anzi, ci era stato detto chiaramente dai comandanti YPG che in nessun caso avremmo dovuto maltrattare la popolazione civile, curdi, arabi, o di altre minoranze che fossero. Da quanto ho potuto ricostruire dal racconto del signore anziano, proprio questa campagna di diffamazione nei nostri confronti ha convinto buona parte della popolazione araba del posto a scappare prima del nostro arrivo, anche se noi non avevamo alcuna intenzione di far loro del male in alcun modo. Non solo questo andrebbe completamente contro i principi del confederalismo democratico in cui crediamo, ma sarebbe stata una strategia assolutamente controproducente. Il progetto politico del Rojava si fonda sull’idea di una società ove tutte le minoranze convivano assieme pacificamente e democraticamente. Legittimare azioni di 16 rappresaglia nei confronti degli arabi avrebbe significato dare avvio ad una nuova guerra fratricida e ciò è esattamente l’opposto degli scopi sia delle YPG sia e soprattutto di tutto il sistema politico e sociale che amministra il cantone. Non è un caso che più avanzavamo più la popolazione civile ha cominciato a rendersi conto che non costituivamo alcun rischio per loro. Le persone hanno, dunque, smesso di fuggire, nonostante le false notizie che lasciava circolare l’ISIS. Dunque hai avuto modo di vedere villaggi a maggioranza araba ancora interamente abitati? Prima hai fatto riferimento a due episodi di cui hai un preciso ricordo… Sì, infatti. Mi riferisco a quando siamo arrivati al villaggio di Kun Heftar. Questo è un villaggio proprio sul confine del cantone di Kobane, sul fiume Eufrate. Kun Heftar era ancora interamente abitato quando sono arrivate le YPG e YPJ e gli abitanti erano tutti arabi. Abbiamo chiesto loro di evacuare il villaggio. Ricordi in che periodo è successo? E’ successo a fine Febbraio 2015. Perché avete deciso di chiedere agli abitanti di andarsene? Il paese si trova sulla sponda del fiume Eufrate. In quel periodo, la sponda opposta era controllata da ISIS i cui miliziani si erano arroccati su un’altura proprio davanti al paese. Noi controllavamo un’altra altura sulla nostra sponda. Avvenivano colpi incrociati da un’altura all’altra con il paese nel mezzo. Temevamo sia che il paese rimanesse coinvolto nel fuoco incrociato sia e soprattutto che quelli dell’ISIS potessero attraversare il fiume che in quel punto era molto stretto e facilmente guadabile. Se avessero occupato il villaggio e ci avessero attaccati da lì, noi ci saremmo trovati nella condizione di rischiare di colpire i civili per difenderci. Qual è stata la reazione degli abitanti quando hanno saputo di doversene andare? Abbiamo mandato alcuni locali e le donne dello YPJ a chieder loro di evacuare il villaggio. L’idea era quella di utilizzare il maggior tatto possibile, compatibilmente con la situazione. Abbiamo anche portato in paese acqua e cibo. Nonostante questo, gli abitanti hanno opposto un secco rifiuto a farsi trasferire. Era una situazione molto difficile per noi, ma alla fine è stato deciso di attendere l’intervento della brigata dell’FSA nostra alleata a Kobane, la brigata Jaysh Al Tuwar. Abbiamo atteso il loro intervento per due settimane. Trattandosi di una brigata composta interamente di arabi, sapevamo che avrebbero riscosso una maggior fiducia nella popolazione del paese. Solo loro, quindi, sono entrati in paese e noi ci siamo limitati a fornire loro appoggio esterno. Era opinione comune che la cosa più importante in quel momento fosse mantenere un buon rapporto con le comunità arabe: volevamo dimostrare che la propaganda ISIS fossero tutte menzogne e che eravamo venuti a liberare i villaggi e non come conquistatori animati da vendetta. Qual era il trattamento riservato alle persone a cui veniva richiesto di evacuare? Veniva fornita loro assistenza di qualche tipo dopo l’evacuazione? Alle persone evacuate veniva detto di andarsene o nelle campagne circostanti o nei campi profughi in Turchia e che avrebbero potuto fare ritorno non appena la situazione fosse tornata sicura. Non davamo loro delle soluzioni abitative alternative perché non avevamo alcuna soluzione da fornire. Kobane era totalmente distrutta e non avevamo rifornimenti necessari 17 per garantire le esigenze fondamentali neppure di quelli che combattevano con noi o dei feriti. Non era certamente una bella situazione, ma non avevamo alcuna alternativa. In ogni caso, anche alle famiglie curde evacuate o a cui era stata distrutta la casa in simili circostanze veniva detta la stessa cosa, cioè di andare, almeno temporaneamente, nei campi profughi in Turchia. Non ti dico le terribili condizioni in cui sono dovuti rimanere i primi civili che spontaneamente sono rientrati a Kobane dopo la liberazione. Mancava qualsiasi cosa. Venivano dati dei termini o delle condizioni specifiche alle persone a cui veniva chiesto di andarsene? In termini di tempo, dipendeva dalla necessità militare del momento. Per quanto riguarda i loro averi, potevano portarsi via tutto ciò che potevano o volevano. Sei stato testimone o esecutore materiale di arresti od interrogatori o allontanamenti forzati di persone per motivi di sicurezza? Sì, ho assistito ad alcuni arresti di curdi che militavano nelle YPG per diserzione o altri motivi che comunque non c’entravano con la sospetta affiliazione all’ISIS. In tutti i casi, la cosa si risolveva con tre giorni di prigione e poi venivano lasciati andare. Non si trattava di una vera e propria prigione: di fatto, venivano chiusi in una casa con una guardia armata davanti. La realtà è che né erano presenti edifici rimasti interi tali da poter essere usati come prigione né potevamo permetterci di spendere risorse umane e materiali per questi scopi. Hai notizia anche di altri casi in cui sono stati fatti prigionieri combattenti nemici o persone sospette di favorire in altro modo l’ISIS? Sì, a me non è mai capitato di prendere in consegna prigionieri, ma so che è successo. Come venivano trattati? Le direttive dei comandanti delle YPG erano molto chiare in queste senso. Nessuno aveva il permesso di maltrattare, torturare o uccidere i prigionieri nemici. Ricordo perfettamente che prima di una missione ove era alta la probabilità di fare prigionieri, il nostro comandante ha molto insistito su questo punto. Ci aveva persino proibito di insultarli qualora avessimo catturato qualcuno. Perché secondo te era necessaria questa insistenza nell’ordinare ai membri delle YPG impegnati in prima linea di non compiere ritorsioni o vendette? Nei giorni successivi alla liberazione di Kobane, la situazione era molto difficile. Molti compagni erano stati chiusi per mesi nella città sotto assedio ed erano stati testimoni di scene indicibili. Io non so se sia mai esistita una guerra del genere. Sembrava di essere tornati nel Medio Evo. Quelli dell’ISIS usavano catapulte improvvisate per lanciarci addosso i pezzi dei corpi dei nostri compagni. Man mano che riuscivamo ad avanzare, trovavamo le teste dei compagni morti decapitate e impalate su ciò che restava delle case distrutte. La cosa più difficile da sopportare era la guerra psicologica. Nel momento della massima emergenza per la città, quando ormai tutto il mondo la dava per caduta, molti si erano arruolati ed erano andati a combattere con pochissimo addestramento. Io stesso ho ricevuto un addestramento di soli quattro giorni prima che mi mandassero a combattere. Non è che le YPG preferissero gente impreparata, semplicemente non c’era alternativa alcuna. Con queste premesse, era plausibile il timore che qualcuno si lasciasse prendere da sentimenti di vendetta se messo a stretto contatto con un prigioniero dell’ISIS. 18 Esistevano strumenti adottati dai comandanti delle YPG per controllare l’operato dei propri sottoposti? E’ difficile spiegare l’esatta organizzazione interna delle YPG e delle YPJ a chi non ne ha avuta esperienza sul campo. Non esiste una vera e propria catena di comando diretta come possiamo immaginare essere quella dei classici eserciti professionali nazionali. Ci sono dei comandanti, ma le squadre sono dotate di autonomia, anche nel pianificare determinate operazioni. Alla logica dell’obbedire agli ordini a prescindere si preferisce la logica della formazione culturale e politica di coloro che si uniscono alle Unità di Protezione del Popolo. Il concetto è che ciascuno di quelli che combattono e rischiano la propria vita lo fa perché crede nello scopo di questa lotta e cioè nei valori del confederalismo democratico e nella necessità di creare una società più equa e giusta. Viene spiegato il rispetto per tutte le minoranze e il rispetto dei diritti fondamentali, civili e politici di tutti, a prescindere dall’etnia di appartenenza. Non bisognava maltrattare i civili o vendicarsi a sangue freddo sui prigionieri non solo perché così ci era stato ordinato, ma anche e soprattutto perché avrebbe voluto dire negare tutti i valori per cui stavamo combattendo. Compiere azioni di quel tipo sarebbe stato come mettersi al livello degli esseri disumani che combattevamo ogni giorno e che avevano ucciso e massacrato i nostri compagni e fratelli. Lo stesso addestramento, seppur di per sé breve, era appunto incentrato su questo tipo di formazione culturale e politica. Puoi cercare di spiegare in maniera più approfondita questo meccanismo di organizzazione interno alle YPG? Le forze di difesa sono suddivise in Tabur, gruppi che noi potremmo definire quali compagnie, ma che sono numericamente molto più piccole rispetto alla formazione della compagnia così come intesa nel gergo militare classico. I Tabur sono composti solitamente da 25 combattenti, massimo 40. Ciascun Tabur ha un comandante responsabile. Il Tabur è poi suddiviso in squadre da 5 componenti l’una. Le operazioni militari e le varie missioni venivano condotte da una o più squadre assieme. Dunque si può affermare che esista una forma di controllo dell’operato della singola squadra? Sì, come ho detto, il Tabur ha un comandante il quale viene informato dell’operato delle squadre attraverso il Tak mill. Cos’è il Taq mill? Una forma di rapporto scritto? No, assolutamente no. E’ una forma di riepilogo orale dello svolgimento della missione alla presenza di tutti i compagni disposti in cerchio. E’ il momento in cui ciascuno di quelli coinvolti nell’azione ha la possibilità di parlare, fornire la propria versione dei fatti e, all’occorrenza, manifestare le proprie critiche all’organizzazione o a singoli altri compagni. E’ uno dei momenti più importanti di elaborazione, analisi, critica e controllo dell’operato delle squadre. Esistono poi anche forme di sanzioni nei confronti di chi trasgredisce le regole. Esistono dunque tribunali militari? Non ne sono a conoscenza, tuttavia posso dire che in merito al trattamento degli eventuali prigionieri nemici, la linea delle YPG e dell’Amministrazione Autonoma era molto chiara. Il mio stesso comandante, prima della missione a cui ho accennato prima, ha detto esplicitamente che saremmo andati incontro a gravi conseguenze e alla prigione se avessimo 19 fatto del male a eventuali prigionieri. Come ho detto, però, io e la mia squadra non abbiamo catturato nessuno. Sino ad ora hai fatto riferimento a prigionieri nemici catturati. Ti risulta che siano stati arrestati e/o allontananti membri di gruppi familiari, o intere famiglie, sospettate di essere affiliate all’ISIS? Non sono stato direttamente coinvolto in questi episodi, ma posso dire che in alcuni casi è accaduto. Come era possibile accertare la reale affiliazione all’ISIS di queste persone? Inoltre, come era possibile distinguere tra coloro che erano effettivamente affiliati all’ISIS e coloro che avevano solo parenti militanti nell’ISIS o in altri gruppi armati? Non so come le YPG ottenessero queste informazioni, ma so che ogni volta che si entrava in un villaggio liberato loro sembravano sapere esattamente chi aveva stretti contatti con l’ISIS e chi invece si era semplicemente adattato a vivere sotto quell’occupazione come forma di sopravvivenza. Per quanto ne sei a conoscenza, perché è stato necessario allontanare i membri delle famiglie collegati più o meno strettamente all’ISIS o, in alcuni casi, interi nuclei familiari? In certi casi è l’unica scelta possibile. Da un lato queste persone possono costituire una minaccia diretta nei confronti dei combattenti delle YPG e delle YPJ e della restante popolazione civile. Possono, infatti, passare informazioni al nemico favorendo la commissione di attacchi. Tuttavia c’è di più di questo. Bisogna considerare il contesto: uno degli elementi che non bisogna assolutamente sottovalutare in questa guerra è il valore dei rapporti clanici, familiari e di sangue. Questi legami sono estremamente stretti e, in molti casi, sono molto più forti rispetto a qualsiasi altro sentimento di fedeltà a regole e principi derivanti dalla cittadinanza o dalla legge costituita. Lo stesso confine tra Iraq e Siria per parte della popolazione non ha alcun valore: parlano la stessa lingua, mangiano le stesse cose, hanno la stessa cultura. I confini sono solo segni tracciati su una carta dopo il Trattato di Sikes-Picot, ma vogliono dire molto poco in confronto ai legami di sangue. Sono legami quasi impossibili da spezzare, soprattutto se la persona ha compiuto il bajat al Califfo. Cosa intendi per bajat? E’ un giuramento di fedeltà assoluta ed è quel tipo di fedeltà cieca che in molti casi ha spinto a combattere centinaia e anche migliaia di persone per il proprio capo clan. Gli stessi meccanismi, su scala ridotta, si applicano anche nei singoli villaggi. Se c’è una famiglia che appoggiava l’ISIS o altri gruppi jihadisti durante l’occupazione, allora questa era una famiglia gerarchicamente importante, in grado di intimorire gli altri abitanti. Lasciarli continuare a vivere lì anche dopo la liberazione del paese, avrebbe significato permettergli di continuare ad esercitare la propria influenza sulle altre famiglie. La loro stessa presenza, di fatto, costituisce una minaccia perché più o meno implicitamente il messaggio che mandano è che, qualora tornasse l’ISIS, loro sono pronti a riferire ai miliziani del Califfato di tutti coloro che hanno accettato di vivere pacificamente sotto l’Amministrazione del Rojava. Si tratta, dunque, di una minaccia di morte. 20 La dimostrazione di quanto ti ho detto è che in certi casi, quando alcuni villaggi sono stati liberati e queste persone non sono state allontanate, hanno poi fatto rientrare l’ISIS non appena noi abbiamo sguarnito le nostre postazioni. Al di là dei casi ora menzionati, qual è il clima generale tra la comunità araba e la comunità curda e le altre minoranze in Rojava? Il rispetto, la convivenza pacifica e la cooperazione tra le varie comunità e minoranze nel Rojava non si limitano ad essere una mera dichiarazione di principio. In tutti gli organi politici e rappresentativi dell’Amministrazione Autonoma viene garantita la rappresentanza a tutte le minoranze, compresi turcomanni, yazidi e arabi. La stessa logica si applica anche nelle forze di sicurezza, tanto che il 30% circa dei combattenti delle YPG nel cantone di Cezire sono arabi. Io stesso sono per metà arabo da parte di madre e ho avuto la possibilità di unirmi alle YPG. Nonostante parlassi prevalentemente arabo con i locali, non sono mai stato discriminato in alcun modo né ho mai percepito di essere trattato con sospetto o diversamente dagli altri. Alla luce di quanto da te sin ora descritto, quale pensi sia il confine tra falsa o cattiva informazione e descrizione oggettiva della realtà nella narrazione dei rapporti tra curdi e arabi in Siria? Credo che uno degli scopi e strumenti principali dell’ISIS e di altri gruppo islamisti sia quello di fomentare la diffidenza e l’odio tra i gruppi etnici, specialmente tra arabi e curdi. L’errore più grande è quello di dipingere le YPG e l’Amministrazione Autonoma del Rojava quali forze curde di stampo nazionalistico. Si fa di tutto per far credere alle comunità arabe che il tentativo di rivoluzione democratica in atto nel Rojava sia solo una facciata che cela intenti conquistatori e di rivalsa dei curdi. Tutto ciò è falso quanto pericoloso perché rischia di riaccendere la miccia del conflitto e delle guerre intestine laddove si vuole creare forme di convivenza pacifica. Uno degli esempi più evidenti di queste strumentalizzazioni è quanto accade in questi giorni ad Aleppo: in città è presente un quartiere misto curdo e arabo, chiamato Sheiq Maqsud, difeso dalle YPG. Il quartiere è completamente isolato dal resto del Rojava, non ha vie di collegamento diretto con il cantone di Afrin, ed è circondato, da un lato, dalla zona controllata dalle forze fedeli al governo di Bashar Al-Assad e, dall’altro, dalle forze di Al-Nusra. Nelle scorse settimane ci sono stati diversi scontri tra le YPG e Al-Nusra, a cui quest’ultimi hanno fatto seguire campagne di disinformazione e manifestazioni in cui si accusavano i curdi di voler vendicarsi degli arabi e di progettare le peggiori ritorsioni. Tutte le accuse sono state smentite, anche dai cittadini arabi che vivono a Sheiq Maqsud.50 Addirittura, gli abitanti del quartiere, hanno organizzato una contro-manifestazione per chiedere l’apertura di un corridoio umanitario che permettesse l’ingresso di aiuti e generi di prima necessità nel quartiere stesso ormai allo stremo. Ciò nonostante, la tensione resta alta e pare che ci sia sempre qualcuno che tenta di strumentalizzare e cavalcare gli antichi rancori per perseguire il proprio scopo di destabilizzare la regione e aumentare le violenze. 50 L’esistenza di tensioni tra i gruppi riferibili ad Al-Nusra ed il quartiere misto curdo e arabo ad Aleppo, conosciuto con il nome di Sheiq Maqsud, è confermata da alcune fonti reperibili on-line. Cfr.: http://cantonafrin.com/en/news/view/1376.self-administration-condemns-attacks-against-sheikhmaksoud-we-will-not-stand-do-nothing-towards-these-criminal-polices-against-our-people-sheikh-issasaid.html. 21 * 2.4.2 Analisi dei contenuti dell’intervista e ricostruzione dell’effettivo contenuto degli imperanti motivi militari e di sicurezza che avrebbero indotto squadre delle YPG e YPJ a distruggere abitazioni o altri edifici civili, a requisire di beni di proprietà privata e a trasferire coercitivamente i civili Dal resoconto dell’esperienza di Karim Franceschi, emerge quanto segue: • In merito alle distruzioni di abitazioni o altri edifici civili, si può affermare che le unità di difesa YPG e YPJ siano ricorse in più di un’occasione a tali pratiche nei casi in cui: -‐ le abitazioni o altri edifici civili erano occupati da militari dell’autoproclamato Stato Islamico o di altri gruppi armati non statali e che il tentativo di conquistare quelle posizioni avrebbe rappresentato un pericolo grave ed imminente per i combattenti delle YPG e YPJ. Invero, dovendo scegliere tra la salvaguardia della vita dei propri combattenti ed la preservazione di beni immobili, le YPG e YPJ hanno sempre optato per tutelare la vita dei combattenti; -‐ esisteva la certezza o il fondato timore che le abitazioni o altri edifici civili fossero stati utilizzati per occultare dispositivi esplosivi di varia natura (IEDs), anche dotati di strumenti di attivazione a distanza del tipo radiotelecomando. Non essendoci strumenti per accertare la presenza delle IEDs o per disattivare i congegni esplosivi, la necessità di garantire la sicurezza dei combattenti e dei civili che avrebbero potuto avvicinarsi alle aree minate ha determinato la scelta di operare le demolizioni, anche con l’ausilio di bombardamenti aerei della c.d. coalizione anti-ISIS. -‐ durante le operazioni di avanzata delle unità di difesa, YPG e YPJ, le stesse si imbattevano in abitazioni o altri edifici civili che avrebbero potuto costituire un pericolo se riconquistati dal nemico. Invero, appare possibile affermare che le forze di sicurezza non avessero a disposizione mezzi e uomini sufficienti per presidiare tutto il territorio alle spalle della prima linea del fronte e che la distruzione di alcuni centri abitati posti in punti strategici fosse l’unica alternativa per prevenire pericolosi attacchi dalle retrovie. In accordo con la testimonianza di Karim Franceschi, in tutti questi casi, il fatto che la proprietà dei beni immobili danneggiati o distrutti fosse riferibile a famiglie curde, arabe, turcomanne o di altre minoranze non rappresentava un elemento tale da assumere alcun valore nelle valutazioni operate dai comandanti delle YPG e YPJ. • In merito alla prassi dei combattenti delle YPG e YPJ di sequestrare beni di proprietà all’interno delle abitazioni civili, si può affermare che le unità di difesa YPG e YPJ siano ricorse in più di un’occasione a tali pratiche nel caso in cui: -‐ le case o altri edifici civili si trovavano in evidente stato di abbandono essendo i proprietari e/o residenti delle abitazioni deceduti, fuggiti o vittime dei rapimenti perpetuati dalle milizie dell’autoproclamato Stato Islamico e 22 l’appropriazione di oggetti rispondesse all’impellente stato di necessità 51 materiale in cui versavano i combattenti delle YPG e YPJ. Invero, in accordo con quanto dichiarato da Karim Franceschi, questi non godevano di alcun rifornimento mentre erano impegnati nelle prime linee dei combattimenti e che fossero carenti anche di vestiti, coperti e altri beni essenziali per la sopravvivenza. In merito alla prassi di trasferimento forzato persone, si può affermare che le unità di difesa YPG e YPJ siano ricorse in più di un’occasione a tali pratiche nel caso in cui: -‐ i civili si trovassero in prossimità della linea dei combattimenti e fossero a rischio di essere colpiti dal fuoco incrociato; -‐ i civili si trovassero in aree dove era certa o altamente sospetta la presenza di IEDs; in entrambi i casi si è trattato di un allontanamento non definitivo in quanto è intenzione dell’Amministrazione Autonoma di permettere ai civili di fare ritorno ai propri villaggi una volta che siano venute meno le condizioni di pericolo. -‐ Alcune persone o interi nuclei familiari fossero ritenuti affiliati all’ISIS o ad altri gruppi combattenti non statali e ostili all’Amministrazione Autonoma del Rojava. In accordo con la ricostruzione fornita da Karim Franceschi e confermata dal portavoce delle YPG nelle dichiarazioni rilasciate agli osservatori di Amnesty International,52queste persone costituivano di per sé una minaccia all’incolumità dei combattenti delle YPG e YPJ e agli altri civili presenti nell’area in quanto fornivano informazioni sensibili alle milizie nemiche. Questi sono stati gli unici casi di allontanamenti forzati di abitanti in via definitiva dal Rojava. In ognuno dei casi menzionati, in accordo con le dichiarazioni di Karim Franceschi, l’appartenenza a minoranze diversa dall’etnia curda non ha mai costituito il motivo né ha mai facilitato la scelta di procedere al trasferimento e all’evacuazione dei civili dalle aree poste sotto il controllo dell’Amministrazione Autonoma del Rojava. -‐ • • In merito al trattamento delle persone destinatarie degli ordini di evacuazione, è possibile affermare che le squadre delle YPG e le YPJ, così come altri organi rappresentativi dell’Amministrazione Autonoma, in molti casi non abbiano potuto provvedere a reperire loro soluzioni abitative alternative o altri servizi di assistenza tali da soddisfare le necessità dei civili sfollati. Tale omissione da parte delle autorità, coerentemente con la ricostruzione data dal Franceschi, appare la diretta conseguenza della carenza o assoluta mancanza di risorse in termini di cibo, vestiario, medicinali e, soprattutto, soluzioni abitative a altre forme di riparo o alloggio sicuri per i civili53. 51 Lo stato di necessità è previsto nel catalogo delle cause escludenti la responsabilità per la commissione del fatto illecito, c.d. scriminanti, in accordo con quanto previsto dal Progetto di Articoli sulla Responsabilità degli Stati per illeciti internazionali. Si veda Capitolo V del Progetto di Articoli sulla responsabilità internazionale degli Stati, adottato dalla Commissione di Diritto internazionale durante la 53a sessione, 2001; Il testo integrale in inglese è consultabile all’indirizzo: http://legal.un.org/ilc/texts/instruments/english/commentaries/9_6_2001.pdf 52 Si veda il Capitolo del rapporto, RISPOSTA DELL’AMMINISTRAZIONE AUTONOMA, pagina 28 del rapporto, si veda nota 1. 53 Si veda nota 51. 23 Al di là delle osservazioni dell’ex combattente YPG, l’impossibilità di rifornire la popolazione civile dei beni primari ora elencati è coerente sia con le conseguenze del conflitto nelle regioni del nord della Siria sia con l’embargo imposto dalle confinanti Turchia e Regione Autonoma del Kurdistan iracheno. La condizione di embargo è stata più volte denunciata sia da Ong, da delegazioni di osservatori indipendenti, da giornalisti e dagli organi dell’Amministrazione del Rojava.54 E’ sufficiente ricordare che la stessa città di Kobane, simbolo della resistenza al sedicente Stato Islamico, sia stata distrutta per circa l’85% e l’amministrazione comunale non ha la possibilità di far giungere gli aiuti umanitari sia per l’assistenza alla popolazione sia per la ricostruzione degli edifici civili, la messa in funzione di reti idriche, elettriche e degli ospedali. Persino i carichi di aiuti umanitari inviati da organizzazioni senza scopo di lucro europee sono stati fermati alla frontiera turca e la loro consegna è stata molto ritardata e, in molti casi, del tutto impedita, anche quando il carico era accompagnato da esponenti di Parlamenti europei.55 Dovendo operare una scelta considerando tutti i profili menzionati, appare coerente con lo stato di necessità materiale la richiesta rivolta dalle YPG e YPJ agli abitanti di alcuni villaggi di recarsi temporaneamente nei campi profughi in Turchia. • In merito al trattamento dei prigionieri di guerra da parte degli appartenenti alle forze di sicurezza, YPG e YPJ, si evince che: -‐ i prigionieri nemici catturati sono tutelati dall’essere destinatari di trattamenti inumani o degradanti o da qualsiasi altra forma di ritorsione arbitraria lesiva dei diritti fondamentali da parte degli appartenenti delle forze di sicurezza che rispondono all’Amministrazione Autonoma del Rojava del proprio operato. Si sottolinea come tale tutela non solo sia confermata dalla tipologia di ordini impartiti dai comandanti delle YPG e YPJ così come descritti dal Franceschi, ma trova ampio riscontro nel dettato delle norme fondamentali vigente e applicate sul territorio.56 Invero, deve sottolinearsi come anche la pena di morte sia stata abolita in tutto il Rojava.57 54 A titolo di esempio, si riporta un estratto del comunicato della delegazione internazionale accademica che si è recata nel Cantone di Cezire nel dicembre 2014. “il Rojava subisce un embargo economico e politico impostole dai suoi vicini: Turchia e Governo Regionale del Kurdistan in Iraq. La sua economia, infrastrutture, e difesa soffrono tutte a causa dell’isolamento che consegue da questo.Anche se il KRG ha aperto il valico di confine di Semelka (Fishabour/Peshkhabour) per commerci limitati e per trasporto individuale, fin dall’accordo di Duhok nell’ottobre 2014, decide in maniera arbitraria riguardo agli attraversamenti di confine e ostacola gli aiuti umanitari per la Rojava, compresi quelli per il campo profughi di Newroz. Neanche i libri per l’Accademia della Mesopotamia possono attraversare il confine. L’embargo strangola la capacità che l’auto-governo fornisca alla popolazione anche gli aiuti medici e le elementari risorse umanitarie. E’ fondamentale che l’embargo venga tolto. Si deve esercitare una pressione internazionale sulla Turchia in particolare perché apra i suoi valichi di frontiera in modo che cibo, materiali vari, medicine e aiuti possano entrare.(…)”. Il testo integrale è consultabile all’indirizzo internet http://www.agoravox.it/Rojavadichiarazione-della.html. 55 Nel settembre 2015, una delegazione di attivisti, membri di ONG, avvocati e giornalisti, accompagnati da due membri del parlamento italiano, si sono recati al confine con Kobane per chiedere alle autorità turche l’apertura di un corridoio umanitario in favore della città simbolo della resistenza all’ISIS e per poter consegnare un carico di medicinali raccolti da volontari italiani. La delegazione si è vista, però, negare l’autorizzazione al superamento del confine. Per maggiori dettagli, si veda http://www.sinistraecologialiberta.it/notizie/la-denuncia-dei-parlamentari-di-sel-la-turchia-blocca-lacarovana-verso-kobane/. 56 Si veda sezione Sezione VIa della Carta del Contratto Sociale, articoli 63-75, si veda nota n. 30. 57 Si veda articolo 26 della Carta del Contratto Sociale, si veda nota n. 30. 24 E’ certamente ipotizzabile che in molti casi non siano state pienamente adottate le garanzie processuali tipiche degli ordinamenti europei o comunque richiesti per soddisfare tutti i requisiti del c.d. fair trial. Tuttavia, deve considerarsi come molte delle funzioni esercitate dall’Amministrazione Autonoma, compresa quella giurisdizionale, siano in una fase transitoria sia perché quasi totalmente riformate rispetto al sistema previgente sia e soprattutto perché l’assolvimento delle esigenze primarie dettate dal conflitto in corso hanno posto altri obiettivi nelle priorità dell’agenda dell’Amministrazione Autonoma. Nonostante queste precisazioni, non si può fare a meno di operare un’interpretazione comparata degli standard di garanzia dei diritti delle persone poste sotto arresto e dei prigionieri di guerra, soprattutto in considerazione dei trattamenti inumani e degradanti che costituiscono la prassi usuale degli altri gruppi armati non statali coinvolti nelle ostilità in corso in Siria.58 Allo stato attuale dei fatti, il trattamento riservato ai soggetti in condizione di detenzione nell’area nel nord della Siria denominata Rojava appare essere quello più garantista dei diritti fondamentali dei prigionieri all’interno dei confini siriani e a parità di condizioni.59 58 Cfr. a titolo di esempio http://www.panorama.it/news/esteri/isis-video-shock-bambino-decapitaprigioniero/#gallery-0=slide-6 e http://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/11752222/Isis--ucciso-ilpilota-giordano.html. 59 Valutazione simili sono state pronunciate dal consigliere speciale di Human Rights Watch, Fred Abrahams, nel corso di un’intervista rilasciata all’agenzia Rudaw nel Marzo 2014. “Rudaw: Politicians and local officials in the region claim that when some people are arrested because of criminal activities, they try to use a “political activist” label to prevent prosecution. Did you come across this? Fred Abrahams: Yes, I think that is right. Look, it is very easy to scream about a political attack and try to score a political point. So, that is why we have to investigate these cases and see -- just because you are a member of an opposition party, it does not mean that you can violate the law. The issue that we have is not if you are an opposition member, but did they respect the process of the law? That is the area that we saw a problem. For example, to be concrete with you, one of the problems we saw is that the local authorities are trying to change their laws. They are applying a combination of Syrian law, some other laws of some countries and what they are calling the social contract -- basically the constitutional document they have implemented. The problem is that there is a huge confusion among legal experts, among lawyers, among judges -- and even and especially among prisoners -- about what law is being applied. If it is not clear what laws are applied, it could open the door for abuse or arbitrary application of those laws. I think that is a big problem! (…) The country is in a war, the political situation is not stable. The court system -- they are revamping and changing the judicial system and now on the top of that you want to open a question of new laws! We think it is too soon. You can change laws in the future, but now it is not the time to open this question. Rather than making fast changes, this should be done step-by-step.(…) We visited two prisons, and I give them credit for opening the doors for those prisons -- I want to acknowledge the cooperation we had to visit those prisons. The conditions of the prisons were basically good. I mean, you know, it is a prison in Syria -- it is not a place you want to be. But we did not find an evidence of serious problems. Prisoners said they were treated well. They had enough food, they did not complain about physical violence and so on. But we did notice a problem because we interviewed a number of people who were arrested and released. There is definitely a problem of violence at the time of arrest. This is a tradition of the Syrian system, which relies on forced confessions and this is typical in the region! I understand that a part of the problem is that they do not have a professional police -- it is not like they have Crime Scene Investigation (CSI) or forensic laboratory for a professional police investigation over there! However, it is illegal! Beatings at the time of interrogation is against the social contract (regional constitution); it is even against Syrian law and it is against international standards. But it is happening! We talked about it with them. We said very directly that we think it is happening, and I will tell you that they did not deny it. They said, ‘Look, this is our transition. We have to do better, learn, improve,’ and so on. That is fine. I agree with that. But it is not an excuse. So we are going to press on that -- they can do better.”. L’intervista integrale in lingua inglese è consultabile all’indirizzo internet http://rudaw.net/english/interview/02032014. 25 A prescindere dal credito che si voglia attribuire alle dichiarazioni rilasciate da Karim Franceschi, ciò che appare più interessante nella sua esposizione è il continuo riferimento alla necessità per gli appartenenti delle YPG e YPJ di operare scelte sulla base degli interessi in gioco. Traducendo in concetti giuridici tali comportamenti, si ritiene plausibile affermare che sia stato operato un bilanciamento tra esigenze inconciliabili e dunque tra i diversi diritti dei soggetti a vario titolo coinvolte nel conflitto. In altri termini, sembra di poter affermare che sia stato operato, o almeno che questo fosse l’intento degli organi decisionali delle YPG e YPJ e dell’Amministrazione Autonoma, un continuo bilanciamento tra l’esigenza di sicurezza dei combattenti e dei civili in area di conflitto da un lato ed il diritto alla proprietà privata e al permanere nel proprio luogo di residenza abituale dall’altro. Tale bilanciamento ha determinato che l’esigenza di sicurezza e dunque il diritto alla vita rappresentasse l’interesse maggior degno di tutela. 3.0 Sulle ipotesi di bilanciamento di diritti fondamentali La giurisprudenza delle corti costituzionali degli Stati europei così come quella della Corte europea dei Diritti dell’Uomo presenta una prassi molto ricca in materia di bilanciamento di diritti fondamentali. L’assunto giuridico fondamentale è che quasi tutti i diritti fondamentali mantengono un margine di relatività e la loro tutela o libertà di esercizio può essere limitata al fine di tutelare altre situazioni giuridiche rilevanti. Si possono menzionare a titolo di esempio la possibilità da parte degli organi giurisdizionali di uno Stato di irrogare pene detentive ad un condannato titolare, in quanto soggetto dell’ordinamento, del diritto alla libertà personale così come la limitazione di cui è oggetto il diritto di libertà di stampa ai fini della tutela del diritto alla privacy. Nel caso ora in esame, appare sensato e giuridicamente coerente il ragionamento per cui il diritto alla proprietà ed il diritto a rimanere nel proprio luogo di residenza abituale siano diritti che possono essere oggetto di limitazioni qualora incompatibili con la tutela della sicurezza delle persone e della collettività, dunque incompatibili con il diritto alla vita. Più nello specifico, è opportuno ricordare che anche molti Stati membri dell’Unione Europea, compresa l’Italia, nel recepire il disposto normativo contenuto nei Trattati europei, prevedono l’ipotesi di allontanamento e di espulsione di soggetti mediante provvedimenti di autorità per ragioni di pubblica sicurezza, ordine pubblico e salute pubblica anche se cittadini comunitari. 60 In proposito, giurisprudenza pressoché costante della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha stabilito che il diritto alla libera circolazione così come il diritto alla residenza siano dei diritti suscettibili di limitazione in presenza di motivi attinenti all’ordine pubblico e alla pubblica sicurezza. Pur non entrando nel merito del contenuto dei motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, concetti che difficilmente possono essere oggetto di una definizione assoluta tale da prescindere dalle caratteristiche di natura temporali, politiche, sociali e culturali di un dato territorio, la Corte ha comunque espresso un corollario di principi il cui rispetto dovrebbe prevenire le ipotesi in cui gli allontanamenti disposti per tali ragioni siano il frutto di scelte arbitrarie o abusi dei diritti fondamentali delle persone allontanate. Si ricordano, in particolare, il principio di proporzionalità, per cui l’allontanamento deve essere una risposta proporzionale al pericolo rappresentato dal soggetto allontanato; il principio di non discriminazione, per cui il provvedimento non deve essere attuato per motivi di razza, religione, orientamento sessuale o appartenenza politica; il principio di necessità, per cui la minaccia deve costituire un pericolo 60 Si vedano articolo 45, paragrafo 3 e articolo 52 del Trattato sul Funzionamento Europeo (TFUE). 26 concreto e reale, tale per cui l’allontanamento non sia sostituibile con altre forme di prevenzione e tutela della sicurezza pubblica.61 E’ interessante notare come l’unico diritto individuato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea come assolutamente incomprimibile, dunque non limitabile, sia il diritto a non essere sottoposti a tortura e ad altri trattamenti inumani e degradanti previsto all’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.62 Nel caso Saadi v. Italia,63la Corte ha chiarito come non siano attuabili provvedimenti di estradizione, espulsione, o rimpatrio qualora esista il rischio attuale che il soggetto allontanato sia posto nella condizione di subire trattamenti inumani e degradanti. Alla luce del quadro ricostruito, appare possibile affermare che il bilanciamento tra diritti confliggenti operato dalle YPG e YPJ nel compimento di distruzione di edifici civili e allontanamento forzato ed evacuazione di civili sia coerente con la necessità di tutelare gli interessi meritevoli di maggior tutela, dunque la sicurezza dei combattenti e della collettività. In nessun caso, neppure in quelli presentati dalla ricostruzione di Amnesty International, viene fatto riferimento a episodi di tortura o trattamenti inumani e degradanti di cui viene chiamata a rispondere l’Amministrazione del Cantone. Nella restante prassi, gli allontanamenti di persone e la distruzione di case sembrano essere stati dettati da imperanti ragioni militari e dalla volontà di salvaguardare i civili. In particolare, nei casi di allontanamento definitivo di alcune persone o interi gruppi familiari ritenuti affiliati all’autoproclamato Stato Islamico o ad altri gruppi armati non statali, appare coerente affermare che la condotta dell’Amministrazione Autonoma e delle sue forze di sicurezza sia stata attuata in ottemperanza ai principi di proporzionalità, di non discriminazione e di necessità e che essa sia stata la conseguenza di una minaccia reale ed imminente alla sicurezza collettiva. Sembra dunque soddisfatta la clausola di esclusione dell’illecito apposta dal diritto internazionale umanitario nella descrizione di tali fattispecie che, così come appaiono essersi verificate nel caso concreto, non possono essere interpretate e qualificate come crimini di guerra. 4.0 Sulle altre eventuali ipotesi di distruzione di abitazioni di civili, saccheggi e allontanamenti forzati della popolazione non giustificati da imperanti motivi militari o dalla necessità di garantire la sicurezza dei civili in area di conflitto Una volta accertate le ipotesi di distruzioni di abitazioni civili e trasferimenti di civili di cui l’Amministrazione Autonoma ha fornito spiegazioni circa le proprie politiche e strategie adottate nel corso de conflitto, restano da analizzare le eventuali ipotesi in cui, effettivamente, alcuni edifici civili siano stati saccheggiati e distrutti e/o famiglie siano state 61 Per un approfondimento su tali argomenti si veda A.M. Calamia, Manuale Breve del Diritto dell’Unione Europea, ed. 2015, VIIa ed. Giuffrè e A.M. CALAMIA – M. DI FILIPPO – M. GESTRI (a cura di), Immigrazione, Diritto e diritti. Profili internazionalistici ed europei, CEDAM, 2012. 62 Il testo integrale della convenzione in lingua italiana è consultabile al sito http://www.echr.coe.int/Documents/Convention_ITA.pdf. 63 Sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 28 febbraio 2008, Saadi v. Italia, il testo è consultabile alla pagina: http://hudoc.echr.coe.int/eng#{"sort":["kpdateAscending"],"docname":["Saadi"],"documentcollectionid2":[ "GRANDCHAMBER","CHAMBER","DECISIONS"],"itemid":["001-‐85276"]}. 27 costrette ad allontanarsi dal territorio senza che sussistessero imperanti motivi di ordine militare e motivi di sicurezza pubblica. Pur ammettendo la plausibilità in astratto di tali casi, è necessario precisare che le testimonianze raccolte dagli osservatori di Amnesty International appaiono in più passaggi assai incerte nell’individuazione precisa dei perpetuatori delle supposte violazioni. In molti casi, o i testimoni non erano presenti al momento della distruzione delle case64 – limitandosi così a dedurre a chi fosse ascrivibile la responsabilità per il danno subito – o non sono stati in grado di accertare con sufficiente sicurezza l’appartenenza dei perpetuatori degli illeciti a organi rappresentativi delle forze di sicurezza che rispondono all’Amministrazione Autonoma.65 Risulta quindi dubbia la possibilità di dimostrare la responsabilità diretta di componenti delle forze di sicurezza YPG, YPJ e Asayish nella commissione di atti illeciti quali distruzione di abitazioni civili, saccheggi e trasferimenti forzati della popolazione. Tuttavia, pur prendendo in considerazione l’ipotesi in cui tali fatti sia siano realmente verificati nei termini in cui sono stati denunciati dai testimoni, è necessario precisare come appaiano in ogni caso carenti gli elementi sufficienti a imputare la responsabilità di tali illeciti sia alle strutture di comando delle YPG e YPJ sia e soprattutto agli organi di governo dell’Amministrazione Autonoma del Rojava. Il diritto internazionale prevede che un gruppo non statale, dotato di strutture di governo stabili, che eserciti un controllo effettivo su un determinato territorio, possa godere di una soggettività internazionale limitata. Tale definizione coincide, infatti, con la nozione di “insorti” che nel diritto internazionale pubblico rappresentano una delle tipologie di soggetti internazionali o, secondo la definizione data dal prof. Ronzitti, 66 di enti che comunque partecipano alla vita delle relazioni internazionali, in virtù del principio di effettività. Invero, nella ricostruzione giuridica comunemente accettata, “...la rilevanza internazionale degli insorti è legata al principio di effettività. Il movimento insurrezionale si caratterizza per essere un ente temporaneo, in quanto suscettibile di evoluzione o involuzione...”.67 Fin quando perdurano le condizioni tali da ritenere che il gruppo insurrezionale goda di una forma, seppur limitata, di soggettività internazionale, è possibile accertare il quadro degli obblighi di natura internazionale che tale gruppo è chiamato ad assolvere.68 64 A titolo di esempio, si veda la testimonianza di Farah circa la distruzione del centro abitato di Husseyinia, inserita nel Capitolo DEMOLITION OF ENTIRE VILLAGES, Husseyinia, Tel Hamees countruside, pagina 11, “In mid-February we heard that IS was retreating from the Tel Hamees countryside and the sound of coalition warplanes intensified so we decided to leave to Qamishli... We left before the YPG entered and returned in the beginning of March 2015. When we came back we saw our homes were demolished... We don’t know who did it, but who else was here other than YPG?”, ove emerge chiaramente come la testimone non avesse elementi precisi per ascrivere la responsibilità della distruzione delle case alle YPG e che questo collegamento sia stato il frutto solo di una sua deduzione. 65 A titolo di esempio, si veda la testimonianza di Yasser circa il trasferimento forzato degli abitanti di Al-Ghbein, inserita nel Capitolo FORCED DISPLACEMENT OF ENTIRE VILLAGES, Villages south of Suluk, pagina 19, “(…)After a week three men came around 12pm. They had shaved beards and spoke Arabic. They did not look like they were from the YPG. They were wearing green uniforms. (…)”. 66 Cfr. N. Ronzitti, Introduzione al diritto internazionale, quarta ed., Torino, 2013, capitolo 1 Enti che partecipano alla vita di relazione internazionale, sez. IIa Enti territoriali. 67 N. Ronzitti, op. cit. in nota 66. 68 Nel caso dell’Amministrazione Autonoma del Rojava deve inoltre precisarsi come risulti attualmente in dubbio l’attribuzione della sola qualità di insorti. Invero, sia gli enti rappresentativi dell’Amministrazione hanno dichiarato in più di un’occasione di agire in conformità al principio di autodeterminazione dei popoli, elemento che più li avvicinerebbe ai movimenti di liberazione nazionale, sia hanno più volte ribadito la propria volontà di non sovvertire l’unità territoriale dello Stato siriano, precisando come non abbiano alcuna volontà di tipo secessionista. In coerenza con 28 In primo luogo, l’autorità che eserciti un controllo stabile su un territorio è chiamata a rispettare le norme del diritto umanitario applicabili ai conflitti non internazionali e contenute nell’articolo 3 delle Quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e nel II° Protocollo aggiuntivo del 1977. In particolare, con riferimento ai casi ora oggetto di analisi, rileva l’obbligo di protezione che l’autorità di governo deve attuare nei confronti dei civili stanziati sul territorio da essa controllato.69 Per comprendere se tale obbligo sia stato o meno adempiuto, è necessario individuare i limiti entro cui si intende che l’obbligo di protezione nei confronti dei civili debba attuarsi. Invero, gli obblighi che il diritto internazionale fa discendere dalla necessità di tutelare i diritti umani sono normalmente ascrivibili agli Stati - dunque soggetti che godono di una soggettività piena - e tale catalogo di diritti non coincide interamente con il contenuto delle norme di diritto umanitario che, invece, regolano le condotte umane nel corso di un conflitto. Se non condivisibile appare l’asserzione per cui la totalità delle norme a difesa dei diritti umani si debba ritenere applicabile solo in tempo di pace e con riferimento agli Stati ed il contenuto del diritto umanitario debba essere invece l’unica fonte di obbligazioni giuridiche in tempo di guerra, soprattutto per gli enti a soggettività limitata, 70 deve comunque ammettersi che lo standard di protezione che deve essere garantito ai cittadini in condizioni di guerra si rivela allo stato dei fatti più limitato rispetto a quello che si ritiene debba essere attuato in tempo di pace. Tale valutazione non deriva solo dalla disamina delle fonti applicabili, ma anche e soprattutto dalla valutazione empirica per cui l’impegno nella tutela piena dei diritti umani che si richiede ad uno Stato nel pieno dell’esercizio delle sue funzioni legislative, esecutive e giudiziarie si rivela essere necessariamente più alto rispetto a quello che è legittimo aspettarsi da un’autorità transitoria o comunque da poco costituitasi e che esercita le proprie funzioni in condizioni di conflitto. In questo caso, il livello dell’aspettativa giuridica alla tutela dei diritti della persona dovrà necessariamente focalizzarsi sul nocciolo duro dei diritti fondamentali che, in nessun caso, è accettabile che sia suscettibile di violazione. Proprio per rimediare alla carenza di ponti giuridici tra il nucleo di norme a tutela dei diritti umani e quello costituente il diritto umanitario si siano ipotizzati una serie di casi che, per la loro gravità, possono essere definiti quali crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Tale corrente filosofico-giuridica, la quale ha cominciato a muovere i primi passi dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale con il processo di Norimberga, ha portato gradualmente all’accettazione della necessità di istituire organi giurisdizionali internazionali in grado di accertare e sanzionare i crimini più gravi, consistenti in crimini di guerra e crimini contro l’umanità, commessi da persone fisiche, laddove la giurisdizione interna dello Stato non fosse in grado o non avesse gli strumenti idonei a perseguire i colpevoli. 71 l’oggetto del tema trattato nel presente commento, si rimandano ad altra sede l’approfondimento delle questioni inerenti ai possibili sviluppi della soggettività internazionale dell’Amministrazione del Rojava e l’eventuale riconoscimento da parte di altri soggetti della comunità internazionale. 69 Si veda supra Capitolo 2.1 Ricostruzione del quadro legislativo internazionale applicabile. 70 Si veda in senso affine, A. Marchesi, Diritti umani e Nazioni Unite, Franco Angeli ed., 2007, pagina 18. 71 Si veda l’istituzione di tribunali ad hoc come il Tribunale speciale per i crimini commessi in ExJugoslavia e l’istituzione, mediante trattato, della Corte Penale Internazionale, la quale esercita attivamente la propria giurisdizione dal Luglio 2002. Lo Statuto della Corte Penale Internazionale, firmato a Roma nel luglio 1998, ad oggi è stato oggetto di ratifica da parte di 123 Stati che hanno dunque accettato la giurisdizione e la competenza della Corte. Si precisa come la Repubblica Araba Siriana non abbia mai ratificato lo Statuto di Roma, escludendo dunque che la sua funzione giurisdizionale sia applicabile a fatti che si siano verificati entro i confini di quello Stato. 29 Deve sottolinearsi che tali forme di giurisdizioni internazionali o miste si rivolgono alla persecuzione solo di singoli individui giudicati responsabili di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Per poter configurare un illecito ascrivibile al soggetto giuridico dotato di personalità giuridica internazionale, seppur limitata (in questo caso l’Amministrazione Autonoma del Rojava), si dovrebbe ricorrere ai criteri che permettono di proiettare la responsabilità dell’illecito dal singolo perpetuatore all’ente soggetto internazionale. Sulla base del contenuto del Progetto internazionale sulla responsabilità degli Stati72 e della giurisprudenza della Corte Internazionale di Giustizia,73 è possibile formulare alcune ipotesi: 1) qualora colui che è stato artefice della condotta illecita sia un soggetto - organo74 dell’ente dotato di personalità giuridica internazionale, sarebbe possibile ascrivere una responsabilità diretta di quest’ultimo nella commissione dell’illecito; tale ipotesi deve, tuttavia, tenere conto degli atti c.d. ultra vires, ovvero atti compiuti da un soggetto-organo eccedendo dai poteri lui conferiti per l’esercizio delle proprie funzioni o utilizzando quegli stessi poteri per scopi diversi dalle finalità attribuite alle sue funzioni. Applicando tale metodo ai fini dell’imputabilità della responsabilità, potrebbe configurarsi la responsabilità dell’Amministrazione Autonoma del Rojava ove le distruzioni di abitazioni civili, il sequestro dei beni di proprietà privata e il trasferimento forzato di civili avvenuto senza la sussistenza d’imperanti motivi militari o di sicurezza pubblica siano stati commessi da membri delle forze di sicurezza delle YPG e YPJ nel regolare esercizio delle proprie funzioni e nel perseguimento degli scopi del loro mandato. Tale circostanza non è dimostrata da alcuno degli elementi inseriti nel rapporto di Amnesty International. Invero, anche ammettendo che si siano verificati illeciti in assenza di imperanti motivi militari o di sicurezza pubblica, né la ricostruzione dei fatti operata dai testimoni citati nel rapporto è in grado di dimostrare che i perpetuatori del fatto illecito fossero membri effettivi delle forze di sicurezza YPG, YPJ e Asayish né, qualora fosse certa tale appartenenza, è stata fornita prova del fatto che i supposti membri delle YPG, YPJ e Asayish abbiano agito in conformità agli ordini ricevuti dall’Amministrazione, in ottemperanza degli obiettivi del proprio mandato o, comunque, previa accettazione o successiva approvazione delle condotte illecite da parte degli organi rappresentativi dell’Amministrazione Autonoma del Rojava. Al contrario, la ricostruzione del quadro legislativo, politico sociale e militare, operata nei capitoli precedenti, permette di sostenere la tesi esattamente opposta e cioè che le politiche intraprese dall’Amministrazione Autonoma siano state e sono tuttora finalizzate alla costruzione di un ambiente sociale pluralista, il più possibile garantista delle minoranze etniche e religiose, e in linea con gli standard democratici generalmente riconosciuti. 72 V. nota 51 Nella prassi della Corte, si fa particolare riferimento alla Sentenza CIG del 9 Aprile 1984 sulle attività militari e paramilitari in e contro il Nicaragua, Nicaragua v.s. Stati Uniti d’America. Il testo integrale della sentenza è consultabile della alla pagina http://www.icj-cij.org/docket/files/70/9615.pdf 74 Si intendono per soggetti organo quei soggetti che ricoprono un ruolo ufficiale e svolgono mansioni nell’apparato pubblico dell’ente tali per cui le loro azioni perseguono un mandato di natura pubblicistica e sono immediatamente riconoscibili dai terzi quali spendenti il nome dell’ente. Ad esempio, comandanti militari delle forze armate, capi di stato e di governo, ministri, etc. 73 30 In assenza della dimostrazione di fatti contrari, si ritiene di poter affermare che le eventuali condotte illecite commesse da appartenenti alle forze di sicurezza YPG, YPJ e Asayish, anche qualora si siano realmente verificate, debbano considerati atti ultra vires, dei quali l’Amministrazione Autonoma non può essere chiamata a rispondere. L’unico dovere a cui l’Amministrazione potrebbe essere chiamata ad assolvere, sempre che tali episodi fossero oggetto di accertamento, è quello di attivarsi ai fini della persecuzione dei colpevoli secondo le norme penali applicate nel territorio posto sotto il controllo dell’Amministrazione stessa. 2) qualora colui che è stato artefice della condotta illecita non sia un soggetto organo dell’ente dotato di personalità giuridica internazionale, l’unico criterio utilizzabile per determinare l’imputabilità dell’ente-soggetto di diritto internazionale è quello che si fonda sulla dimostrazione di un rapporto di istigazione, direzione o controllo tra l’ente- soggetto e le persone fisiche od altri organi che hanno perpetuato l’illecito.75 Applicando tale metodo ai fini dell’imputabilità della responsabilità, potrebbe configurarsi la responsabilità dell’Amministrazione Autonoma del Rojava ove le distruzioni di abitazioni civili, il sequestro dei beni di proprietà privata e il trasferimento forzato di civili avvenuto senza la sussistenza di imperanti motivi militari o di sicurezza pubblica, siano stati commessi da soggetti non membri effettivi delle forze di sicurezza, YPG, YPJ e Asayish, ma comunque in altro modo agenti dietro istigazione, direzione o controllo dell’Amministrazione Autonoma. Parimenti alla prima ipotesi presa in considerazione, anche questa seconda teoria appare assolutamente inidonea a fondare gli elementi della responsabilità del fatto illecito in capo all’Amministrazione Autonoma del Rojava. Invero, in nessun passaggio del rapporto di Amnesty International viene fatto riferimento a circostanze tali da dimostrare o anche solo lasciar intuire l’esistenza di un collegamento diretto tra i soggetti rappresentanti l’Amministrazione Autonoma e i presunti perpetuatori, la cui stessa esistenza o identità rimane incerta, degli illeciti configurati nel rapporto come crimini di guerra. 75 Si veda commentario al progetto di articoli sulla responsabilità internazionale degli Stati, v. nota 51, ove è specificato come “In theory, the conduct of all human beings, corporations or collectivities linked to the State by nationality, habitual residence or incorporation might be attributed to the State, whether or not they have any connection to the Government. In international law, such an approach is avoided, both with a view to limiting responsibility to conduct which engages the State as an organization, and also so as to recognize the autonomy of persons acting on their own account and not at the instigation of a public authority. Thus, the general rule is that the only conduct attributed to the State at the international level is that of its organs of government, or of others who have acted under the direction, instigation or control of those organs, i.e. as agents of the State.” In nota: “See, e.g., I. Brownlie, System of the Law of Nations: State Responsibility, Part I (Oxford, Clarendon Press, 1983), pp. 132– 166; D. D. Caron, “The basis of responsibility: attribution and other trans-substantive rules”, The Iran-United States Claims Tribunal: Its Contribution to the Law of State Responsibility, R. B. Lillich and D. B. Magraw, eds. (Irvington-on-Hudson, N.Y., Transnational, 1998), p. 109; L. Condorelli, “L’imputation à l’État d’un fait internationalement illicite : solutions classiques et nouvelles tendances”, Recueil des cours…, 1984–VI (Dordrecht, Martinus Nijhoff, 1988), vol. 189, p. 9; H. Dipla, La responsabilité de l’État pour violation des droits de l’homme: problèmes d’imputation (Paris, Pedone, 1994); A. V. Freeman, “Responsibility of States for unlawful acts of their armed forces”, Recueil des cours…, 1955–II (Leiden, Sijthoff, 1956), vol. 88, p. 261; and F. Przetacznik, “The international responsibility of States for the unauthorized acts of their organs”, Sri Lanka Journal of International Law, vol. 1 (June 1989), p. 151.” 31 In conclusione, alla luce di tutto quanto sopra esposto, si ritiene che gli episodi di distruzione di abitazioni o altri edifici civili, sequestro di beni di proprietà privata e allontanamento forzato o evacuazione di civili non possano essere definiti quali comportamenti illeciti qualificabili come crimini di guerra di cui sono responsabili l’Amministrazione Autonoma del Rojava e le forze di sicurezza ad essa rispondenti, YPG, YPJ e Asayish. Nei casi documentati, appare coerente con l’analisi della prassi affermare che sussistessero imperanti motivi di carattere militare e/o di pubblica sicurezza tali da giustificare le condotte ora menzionate. Sono carenti o del tutto assenti gli elementi che permettono di affermare con un sufficiente grado di certezza che si siano verificati casi analoghi senza che sussistessero le scriminanti (imperanti motivi militari e di pubblica sicurezza) o che comunque siano in grado di determinare in altro modo non solo la responsabilità diretta dell’Amministrazione Autonoma del Rojava, ma almeno una qualche forma di collegamento tra essa e i supposti perpetuatori dell’illecito. 5.0. Sulle conclusioni e sulle raccomandazioni del rapporto di Amnesty International.76 Coerentemente con gli elementi ora descritti e analizzati, si ritiene che il contenuto delle conclusioni e raccomandazioni del rapporto di Amnesty International77 appare essere affetto da errori, incoerenze e che sia non giuridicamente condivisibile nella parte ove vengono qualificate le fattispecie dei supposti illeciti. Invero, si è precisato come gli elementi inseriti nel rapporto non siano in alcun modo sufficienti a dimostrare che la distruzione di abitazioni civili, il sequestro di beni di proprietà privata ed il trasferimento forzato di civili non siano avvenuti per imperanti motivi di carattere militare o di pubblica sicurezza. Contrariamente a quanto sostenuto nel rapporto di Amnesty International, tali condotte non appaiono sostanziare fattispecie illegali né tanto meno crimini di guerra di cui poter chiamare a rispondere giuridicamente l’Amministrazione Autonoma del Rojava e/o le forze di sicurezza che ad essa rispondono, YPG, YPJ e Asayish. In particolare, non appare comprovata l’esistenza di un intento repressivo e dell’adozione di punizioni collettive nei confronti di esponenti di comunità arabe per motivi discriminatori legati all’appartenenza etnica, religiosa e di appartenenza politica. E’ stato, invece, oggetto di precisa argomentazione nel presente commento come i casi di allontanamento forzato di alcune persone fisiche o interi nuclei familiari siano stati la conseguenza diretta della minaccia che essi stessi rappresentavano per l’incolumità degli appartenenti alle forze di sicurezza e della restante collettività. Infine, sono stati ricostruiti i motivi per cui l’Amministrazione Autonoma non possa essere chiamata a rispondere di altri eventuali casi, ad oggi non accertati, in cui la distruzione di abitazioni civili, il sequestro di beni di proprietà privata ed il trasferimento forzato di civili siano avvenuti in assenza delle condizioni scriminanti. Al di là della sussistenza reale di tali ipotesi, il rapporto di Amnesty International non fornisce elementi sufficienti a ricostruire un nesso di causalità diretto tra la condotta attiva o omissiva dell’Amministrazione e gli atti illeciti denunciati da alcuni abitanti. La dimostrazione del nesso di causalità resta l’unico elemento idoneo per l’attribuzione della responsabilità dell’illecito. 76 Si veda capitolo CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI inserito a pagina 32 del Rapporto, si veda nota 1. 77 Si veda nota 1. 32 Si può dunque affermare come siano prive dei necessari presupposti giuridici le raccomandazioni 78 che Amnesty International rivolge all’Amministrazione Autonoma del Rojava. Ad adiuvando, sembra particolarmente immotivato il sollecito rivolto agli Stati che collaborano o comunque coordinano le proprie attività militari con l’Amministrazione Autonoma, in particolare agli Stati facenti parte della c.d. coalizione anti-ISIS guidata dagli Stati Uniti d’America.79 In primo luogo, appare non coerente e condivisibile la richiesta ad un gruppo di Stati terzi di condannare pubblicamente l’operato dell’Amministrazione Autonoma in relazione a fatti che, si ribadisce, o non sono configurabili come illeciti o comunque non sono ascrivibili alla stessa Amministrazione. In secondo luogo, la ricostruzione della prassi militare nell’area ha chiaramente indicato che gli appartenenti della coalizione siano già in possesso di tutti gli strumenti per effettuare un controllo capillare del territorio mediante l’utilizzo di dispositivi di sorveglianza tipo droni.80Di conseguenza, appare logico dedurre che la coalizione disponesse di tutte le indicazioni, a prescindere dal grado di collaborazione con le forze armate operanti a terra, al fine di evitare abusi nei confronti dei civili. Infine, il richiamo diretto al gruppo di Stati terzi sembra inappropriato nel momento in cui non si sollecita l’intervento degli organi internazionali deputati al monitoraggio degli illeciti internazionali e alle altre violazioni gravi del diritto umanitario, alla loro prevenzione e alla salvaguardia e all’assistenza delle vittime civili. Invero, la conseguenza logica delle violazioni documentate nel rapporto, oltre la formulazioni delle raccomandazioni all’autorità ritenuta responsabile, avrebbe dovuto essere il sollecito alle organizzazioni internazionali e altre autorità di garanzia operanti all’interno delle Nazioni Unite. Non si comprende come mai sia stato chiesto solo al gruppo di Stati terzi di condannare pubblicamente gli illeciti e lo stesso sollecito non sia stato rivolto alla Croce Rossa Internazionale, al Segretario Generale delle Nazioni Unite o ad altri soggetti di rilievo internazionale le cui funzioni sono riconosciute da tutti gli Stati appartenenti alla comunità internazionale. Di tali richiami non vi è traccia alcuna. 78 Si veda “TO THE AUTONOMOUS ADMINISTRATION, Amnesty International urges the Autonomous Administration to: Immediately cease the unlawful demolition of civilian homes; Compensate all civilians who have had their homes unlawfully demolished, confiscated, or looted by security forces; Allow civilians who have had their homes unlawfully demolished to rebuild or provide them with comparable alternative housing;n Cease the forced displacement of civilians except for their own security or for imperative military reasons;n Where displacement is unavoidable for imperative military reasons or the security of civilians, provide the displaced with essential food and potable water; basic shelter and housing; appropriate clothing; and essential medical services and sanitation; and ensure displacement is for the shortest time possible;n Allow civilians who have been subject to unlawful forced displacement to return to their homes;n Investigate and remove from the ranks all persons responsible for committing or ordering unlawful demolitions of homes, forced displacement, and other serious violations of international humanitarian law.”, estratto da pagina 32 del rapporto, si veda nota 74. 79 Si veda “TO ALL STATES SUPPORTING OR CO-ORDINATING WITH THE AUTONOMOUS ADMINISTRATION, Amnesty International urges all states supporting the Autonomous Administration or coordinating with it in military operations, such as those that form part of the US-led coalition fighting IS in Syria, to: Publicly condemn unlawful demolitions and forced displacement practices that violate international humanitarian law; Take urgent measures to ensure that the provision of military assistance, including military coordination with, the Autonomous Administration is not being misused to commit violations of international humanitarian law, including unlawful house demolitions and forced displacement.” estratto da pagina 33 del rapporto, si veda nota 74. 80 Si confronti il contenuto dell’intervista a Karim Franceschi, supra, capitolo 2.4.1. Intervista a Karim Franceschi, pagina 13. Si confronti anche con le fonti giornalistiche: http://www.washingtontimes.com/news/2015/oct/7/russian-jets-buzz-us-predator-drones-over-syria/; http://www.hurriyetdailynews.com/turkey-joins-anti-isil-coalition-opens-incirlik-for-logisticsops.aspx?PageID=238&NID=71511&NewsCatID=409; http://www.politico.com/magazine/story/2014/10/time-to-kick-turkey-out-of-nato-111734; 33 Non vi è dubbio che i civili debbano godere di un particolare regime di protezione e che debbano essere utilizzati tutti i mezzi a disposizione per mitigare le conseguenze del conflitto sui civili. Certamente, il diritto internazionale umanitario indica che responsabile dell’attuazione di tale obbligo di protezione sia lo Stato o comunque l’autorità di governo diversa dallo Stato che esercita il controllo su un determinato territorio. Tuttavia, è possibile parimenti affermare che l’obbligo in questione non debba intendersi in senso assolutistico e che esso sia invece suscettibile di limitazioni in accordo con quanto previsto dalle norme internazionali ed i principi di diritto generalmente riconosciuti. L’omissione degli opportuni bilanciamenti e dell’analisi approfondita del contesto in cui le condotte si sono attutate rischia di determinare l’errata qualificazione giuridica di quegli stessi comportamenti. Così è avvenuto nel rapporto di Amnesty International ove atti leciti o giustificati da cause che escludono la responsabilità o comunque non dimostrati e ascrivibili con certezza ad alcun soggetto sono stati qualificati come crimini di guerra imputabili all’Amministrazione Autonoma e alle forze di sicurezza ad essi rispondenti YPG, YPJ e Asayish. I rapporti e gli altri documenti formulati e pubblicati dall’organizzazione indipendente Amnesty International hanno assunto nel corso degli anni un alto grado di affidabilità sia tra gli addetti ai lavori sia e soprattutto in una platea più ampia che comprende altre associazioni, giornalisti e, in via più generale, l’opinione pubblica. L’importanza di tale materiale documentale nella difesa attiva dei diritti umani delle persone è oltretutto dimostrata dall’utilizzo delle osservazioni di Amnesty International anche nel corso di vicende processuali pendenti dinanzi a Corti nazionali e internazionali.81 Proprio il valore intrinseco del ruolo internazionale di Amnesty International impone una maggiore attenzione e l’esercizio di una maggiore sensibilità nel momento in cui si svolgono le indagini e si effettuano le valutazioni al fine di compilare un rapporto destinato alla pubblicazione. Nel caso di specie, quelli che si potrebbero definire come meri errori o parziali ricostruzioni di un fatto assumono una particolare gravità considerando le conseguenze in termini di danno all’immagine agli occhi dell’opinione pubblica e, soprattutto, dell’eventuale sfiducia e diffidenza fomentata tra le minoranze etniche residenti sul territorio. Cercando di ampliare l’orizzonte delle valutazioni, si ritiene che il principale obiettivo da perseguire al fine di meglio garantire la tutela dei diritti umani fondamentali dei civili in Siria sia quello di arrestare il conflitto, isolare e disarmare le forze estremiste che aumentano e si nutrono della stessa esistenza del conflitto e avviare forme di ricomposizione della società e di convivenza pacifica tra tutti i diversi gruppi etnici, religiosi e politici. Chi scrive ritiene che questo sia uno sforzo che debbano condividere tutti i membri della comunità internazionale e gli altri soggetti a vario titolo impegnati nella tutela e nell’implementazione dei diritti umani. 81 Cfr. a titolo di esempio la sentenza della Corte EDU, Saadi c. Italia, cit. nota 63, ove il rapporto di Amnesty International sulla Tunisia è risultato dirimente nella valutazione da parte dei giudici circa l’esistenza di un rischio concreto per il Sig. Saadi di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti in caso rimpatrio. 34