Mia nonna era molto riluttante e restia a parlare di se stessa

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Mia nonna era molto riluttante e restia a parlare di se stessa
ANTAS
1
Col vento
in poppa...
La seconda volta
non si scorda mai
La nave Antas ha lasciato la darsena iniziando la lunga
avventura alla scoperta dei tesori della musica e della
cultura sarda. Il primo numero, pur non avendo ancora i
riscontri di vendita, è già annoverabile come un successo: ci avete travolto col vostro entusiasmo, con la vostra
sete di conoscenza, coi vostri post sui social network
che, lo dico con sincerità, ci hanno riempito d’orgoglio.
Un primo passo è stato fatto: progettare e divulgare un
giornale che, partendo dalla musica, arrivi a valorizzare
i nostri grandi artisti, i nostri scrittori, i nostri registi e attori. Antas come orgoglio d’appartenenza, Antas come
agile libellula che vola per catturare tutte le bellezze e
i colori dei nostri fiori all’occhiello della cultura, Antas
(permettetemi questo piccolo vanto) come coraggiosa
scommessa di un editore che ha sfidato la grave congiuntura economica per lanciare un giornale culturale.
In quanti avrebbero avuto questo coraggio?
Ed eccoci qui, a sfatare ogni mito!
Sì perché se è vero che la prima volta non si scorda
mai, improvvisamente travolto dalle emozioni, dalle
aspettative, dal mistero affascinante di qualcosa che si
scopre pian piano, che ti ha catturato e ti ha fatto fare
anche scelte sbagliate o inopportune.
Se la prima volta pensi di essere invincibile, di non aver
bisogno di nessuno che ti dia un consiglio.
Se la prima volta pensi che basta convincere qualcuno
per buttarti in avventure prive di ogni rischio, qualcuno
che come te è pronto a mettere da parte ansie e incertezze.
Se la prima volta chiami al telefono un amico e gli dici:
“Non ti preoccupare, c’è sempre una prima volta!”.
E di nuovo ti ritrovi immerso per la prima volta in un
meccanismo che ti avvolge, ti conquista, ti porta via
tutte le energie ma sai che le energie le ritroverai perchè è la prima volta.
Facile rimanere coinvolti la prima volta che prendi in
mano una tua creatura, la guardi come si guarda un
bambino appena nato e le prometti tutta la protezione
che merita chi è indifeso e deve affrontare il mondo là
fuori; pronto a portarti in trionfo per un acuto ben intonato e un attimo dopo dimenticarti nel primo cassonetto di un viale poco illuminato. Complicato non farsi
travolgere la prima volta che hai assaporato il gusto di
sentirti importante, parlare con persone che contano e
immaginarti alla loro portata. Bello sentirti gratificato la
prima volta per una tua passione che hai solo desiderio
di condividere. Tutto assolutamente naturale e conseguente del fatto che è stata la prima volta.
Sì, la prima volta per Antas è stato tutto questo: un
vortice di emozioni che ci ha trascinato verso nuove conoscenze, nuovi contatti, nuovi entusiasmi.
Eppure il sapore di questa seconda volta è incredibilmente diverso, più completo, più appagante: migliore
in tutti i sensi! Poter dimostrare che siamo pronti a riprendere in mano con orgoglio un progetto che poteva essere uno dei tanti fuochi di paglia. Dimostrare che
chi crede nel proprio lavoro è disposto a tutto, che fare
impresa e provare a creare occupazione attraverso la
diffusione della cultura in una terra come quella sarda
che vive ancora di luoghi comuni (non perdete il pezzo
di Claudia Aru e le sue esortazioni!) si può!
Ritrovarsi ogni giorno a gridarlo ai quattro venti (giurerei che in Sardegna sono molti di più!) in tutti i modi
possibili” è quello che questa seconda volta ci porta a
perseguire. E allora diamo il benvenuto ai nuovi collaboratori, osservandoli con affetto muovere i primi passi
insieme alla grande famiglia di Antas: chi emozionato
della prima volta, chi felice ancora di più e orgoglioso
della seconda volta.
(Simone Riggio)
...è iniziata l’avventura di Antas
COPERTINA DEDICATA ALLA FARADDA
In questo numero la copertina è dedicata alla discesa
dei Candelieri di Sassari, la Festha Manna della città,
riconosciuta dall’Unesco, nel Dicembre del 2013, patrimonio immateriale dell’Umanità. Tre articoli scritti
da chi la FARADDA la vive tutti i giorni e non solo il 14
Agosto con intensa emozione, con quello spirito che ha
consegnato questa festa alla storia della città di Sassari.
ESCLUSIVA GRAZIA DELEDDA
Sarà un numero ricchissimo che conterrà un’altra piccola esclusiva di ANTAS: l’intervista all’unico nipote
vivente della scrittrice nuorese Premio Nobel Grazia
Deledda. Alessandro Madesani Deledda ci racconta sul
filo della memoria alcuni episodi inediti della vita della nonna: scoprirete una Grazia Deledda per certi versi
sconosciuta, molto ironica, ma anche amorevole e dolce. E poi le rubriche che tanto vi sono piaciute (Dicono
di Noi con protagonista Eugenio Finardi, Primo Piano
Letteratura con Flavio Soriga, Donne di Sardegna con
Stefania Sergi, Claudia Aru e Maria Giovanna Cherchi).
Ma vorrei segnalarvi anche alcune importanti “aperture” promesse nel mio editoriale del primo numero: si
parlerà di cinema con Bonifacio Angius e Mauro Aragoni, di teatro con le LucidoSottile, di rapporto tra musica
e sport con un curioso metodo per imparare a nuotare
inventato dal musicista Dario Masala e ancora tanti articoli e interviste per un secondo numero ricco e variegato. Appello finale: dateci fiducia, chi vuole si abboni,
chi preferisce scarichi la rivista online, ma diffondete
ANTAS. Solo così possiamo offrirvi un giornale sempre
più ricco e, chissà, in un futuro nemmeno tanto lontano, anche altre iniziative editoriali collaterali alla rivista.
Buona Lettura!
(Pierpaolo Fadda)
Non me ne voglia l’Accademia della Crusca
Un ringraziamento particolare da parte della redazione di ANTAS ad Alessandro Vozzo, Chiara Solinas, Salvatore
Spada, Giovanni Porcu e Marco Dettori per la preziosa collaborazione nella realizzazione dello Speciale sui
Candelieri di Sassari.
editoriale
ANTAS
03 Editoriale Pierpaolo Fadda e Simone Riggio
04 Sommario
05 In evidenza
APPROFONDIMENTI
06 Mia nonna, Grazia Deledda Pierpaolo Fadda
10 Launeddas: il suono dell’alba del mondo Giuliano Marongiu
DONNE DI SARDEGNA
A N TA S
Bimestrale di musica e cultura sarda
N° 2 - Agosto 2014 - Anno 1
EDITORE
PTM Editrice di Claudio Pia
Via dei Mestieri, 14 09095 Mogoro (OR)
Telefono 0783 463976 - Fax: 0783 463977
Email: [email protected]
Orari: dal Lun. al Ven. 09.00 - 13.00 | 14.30 - 18.30
DIRETTORE
Pierpaolo Fadda
[email protected]
ART DIRECTOR
Simone Riggio
[email protected]
CONSULENTE ALLA REDAZIONE
Manuela Polli
HANNO COLLABORATORO A QUESTO NUMERO
Sonia Monica Argiolas, Simone Cardia, Antonio
Caria, Marco Dettori, Alessandra Ghiani, Claudio
Loi, Mary Manghina, Giuliano Marongiu, Ghita
Stefania Montalto, Matteo Mazzuzzi, Diego Pani,
Valentina Pintor, Giovanni Porcu, Michele Sai,
Chiara Solinas, Deborah Succa, Salvatore Taras,
Giovanna Tedde, Alessandro Vozzo.
PUBBLICITA’ E PROMOZIONE
[email protected]
FOTO COPERTINA
Giovanni Porcu
FOTO PAGINA ABBONAMENTI
vgstudio / 123RF Archivio Fotografico
STAMPA
PTM - Prima Tipografia Mogorese di Claudio Pia Via dei Mestieri 14 - 09095 Mogoro (OR)
©Antas 2014
tutti i diritti di produzione sono riservati
Registrazione tribunale di Oristano
n° 1/2014 del 21/05/2014
12 Maria Giovanna Cherchi e Mango Giovanna Tedde
14 Claudia Aru Pierpaolo Fadda
16 Stefania Sergi Giovanna Tedde
POLIVOCALITÁ
19 Su Coro de Piaghe Mary Manghina
PERSONAGGI
20 Tonino Canu Antonio Caria
GLI SPECIALI DI ANTAS
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28
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La Faradda, Festha Manna di Sassari Alessandro Vozzo
Il paesaggio sonoro della Discesa dei Candelieri Chiara Solinas
Il ritmo dei tamburini Marco Dettori
Poster dei Gremi Giovanni Porcu
INTERVISTE
34 Eugenio Finardi Pierpaolo Fadda
38 Flavio Soriga Pierpaolo Fadda
FOCUS, ARTISTI IN VETRINA
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52
Su Scannu Sessions Diego Pani
Il teatro delle Lucido Sottile Matteo Mazzuzzi
Quella sporca sacca nera Simone Cardia
Bonifacio Angius Valentina Pintor
Dario Masala Alessandra Ghiani
SFUMATURE SONORE
55 SVM Trio Claudio Loi
56 Thank U for smoking Diego Pani
RECENSIONI DISCOGRAFICHE
58 4 note in libertà con Francesco Piu
Antonio Saba Michele Sai
Entity Pierpaolo Fadda
Terrorway Pierpaolo Fadda
Niera Mary Manghina
Plasma Expander Claudio Loi
Infinita Quartet Claudio Loi
RECENSIONI LIBRI
61 A colazione con Claudia Zedda Deborah Succa
La metà gigante di Gianfranco Cambosu Sonia Monica Argiolas
l cuore selvatico del ginepro di Vanessa Roggeri Alessandra Ghiani
L’estate di Ulisse Mele di Roberto Alba Alessandra Ghiani
Il piccole principe dell’isola alle stelle di Luciano Deiru Salvatore Taras
L’ultimo battito del cuore di Valentina Cebeni Ghita Stefania Montalto
in evidenza
MIA NONNA,
GRAZIA DELEDDA
06
Alessandro Madesani Deledda è l’unico nipote vivente della scrittrice Premio Nobel Grazia Deledda. Figlio di Franz,
secondogenito di Grazia e Palmiro Madesani, non ha mai conosciuto sua nonna, essendo nato nel 1939, tre anni dopo la morte
della grande scrittrice nuorese.
POSTER
DEI GREMI
32 34
Il 14 agosto a Sassari è festha manna (festa
grande), ma per parlare della Faradda,
come i Sassaresi chiamano la Discesa dei
Candelieri...
10
ROBERTO
TANGIANU
12
CHERCHI
MANGO
EUGENIO
FINARDI
Quando parli di Eugenio Finardi ti viene
in mente la sua “musica ribelle”, il blues, il
rock. Ma vederlo sul palco di una festa paesana della nostra terra vestito in velluto...
16
STEFANIA
SERGI
20
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38
FLAVIO
SORIGA
TONINO
CANU
44
Parlare con Flavio Soriga è sempre un piacere e non smetteresti mai di farlo. Scrittore di
successo, autore televisivo, direttore di festival
letterari, giornalista...
LUCIDO
SOTTILE
approfondimenti
6
ANTAS
Sul filo della memoria
Incontro con l’unico nipote vivente della scrittrice
MIA NONNA,
GRAZIA DELEDDA
Alessandro Madesani Deledda racconta il suo legame
con la scrittrice Premio Nobel
testo di Pierpaolo Fadda
“Mia nonna scriveva due ore al giorno, poi si dedicava alla famiglia.
Non sopportava che i figli dicessero bugie.
Quella volta che si negò a un giornalista fingendosi la donna di servizio...”
Prima parte
Alessandro Madesani Deledda è l’unico
nipote vivente della scrittrice Premio
Nobel Grazia Deledda. Figlio di Franz,
secondogenito di Grazia e Palmiro
Madesani, non ha mai conosciuto sua
nonna, essendo nato nel 1939, tre anni
dopo la morte della grande scrittrice
nuorese. Con Alessandro, raggiunto telefonicamenete nella sua casa di Luino
in Lombardia, abbiamo fatto una lunga
chiacchierata, sul filo della memoria,
per ricordare Grazia Deledda.
Alessandro Madesani Deledda
Attestato del Premio Nobel
Mia nonna era
molto riluttante
e restia a parlare
di se stessa...
7
Quindi sua nonna era una donna
molto decisa?
Molto determinata. Le descrizioni di
papà non lasciano dubbi: aveva uno
sguardo molto intenso e quando i suoi
figli raccontavano qualche bugia lei se
ne accorgeva immediatamente e diceva loro con estrema decisione: ”Vergognatevi”. Ma non era finita lì. Per punizione, nonna Grazia era capace di non
rivolgere loro la parola anche per due
o tre giorni: le bugie la facevano veramente arrabbiare.
Altri ricordi che le vengono in mente?
Raccontava papà che al mattino lei
seguiva l’andamento e il governo della casa e - come detto prima - nel primo pomeriggio dedicava due ore alla
scrittura. Ma era molto attenta anche
al fatto che i figli si informassero adeguatamente, tant’è che successivamente procedeva alla lettura dei giornali
e delle riviste e segnalava a Sardus e
Franz gli articoli che secondo lei meritavano di essere conosciuti anche da
loro. C’è da dire che nel quartiere dove
la nonna viveva a Roma, in via Imperia,
ANTAS
Lei è nato tre anni dopo la morte di
Grazia Deledda, ma suo padre Franz
le avrà parlato di lei. Mi racconta
qualche episodio curioso?
Ho sempre avuto notizie di mia nonna da mamma e papà e i ricordi sono
sempre emozionanti e bellissimi. Papà
Franz mi raccontava che quando lui e
lo zio Sardus (il primogenito di Grazia
Deledda n.d.r.) erano bambini la nonna
scriveva puntualmente, tutti i giorni e
non più di due ore nel primo pomeriggio. Ma in quell’arco di tempo, in casa,
regnava il silenzio assoluto perché lei
doveva concentrarsi sulla scrittura. Bastavano poche parole, era una donna
molto decisa: “Bambini, state buoni
perché la mamma scrive”. Sia papà che
lo zio vivevano questo momento della
giornata come un fatto per certi versi
misterioso, non riuscivano a comprendere bene il perché di quel silenzio.
erano completamente diversi da oggi:
bisognava davvero andare a verificare
di persona le notizie e infatti un giornalista sardo, che di cognome faceva
Sirigu, e che ebbi successivamente
modo di conoscere, lo venne a sapere
e cercò in tutti i modi di approfondire
quella notizia così importante. Sirigu lavorava al Giornale d’Italia e si recò in via
Imperia suonando al cancello della villetta dove abitava la nonna. Tenga anche presente che allora non esistevano
molte immagini o fotografie e quindi
lui Grazia Deledda non l’aveva mai vista: questo fu il suo grande svantaggio.
Papà raccontava che suonò, gli venne
aperto il cancello e gli si avvicinò una
signora canuta (la nonna ormai aveva
i capelli bianchi) dicendogli con tono
risoluto: “Desidera”?
“Guardi, io sono un giornalista. Vorrei
parlare con la famosa scrittrice, Grazia Deledda”.
E nonna senza esitazione rispose: “Mi
dispiace, in questo momento non è in
casa”.
Il giornalista, stupito, replicò, cercando
di non darsi per vinto: “Ma lei chi è”?
“Io sono la donna di servizio”.
(Alessandro si lascia sfuggire una lunga
risata, commentando: ”Mia nonna era
molto riluttante e restia a parlare di se
stessa”).
ANTAS
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Grazia Deledda coi figli Sardus a sin. e Franz a destra
(Quartiere Italia), fra l’Università e il cimitero del Verano, nel raggio di cento
metri abitavano anche le sorelle Nicolina e Giuseppina: si vedevano quasi
tutti i giorni e parlavano in sardo. Papà
mi raccontava che lui il sardo lo capiva
bene ascoltando i colloqui tra di loro,
ma non lo parlava.
Episodi divententi legati al premio
Nobel?
(risata) Questo che le racconto è davvero divertente e rende bene l’idea di
quanto fosse anche carica d’ironia la
nonna. Siamo nel 1927 e a Novembre
si sparge la voce dell’assegnazione del
premio Nobel per la letteratura a Grazia
Deledda. Allora i mezzi d’informazione
Prima ha parlato del 1927: ma negli
annali risulta che il Nobel sia stato
assegnato nel 1926. Ci può spiegare
come mai?
Ne approfitto per chiarire l’episodio.
Negli annali, in effetti, il premio risulta
assegnato nel 1926, ma la comunicazione è datata Novembre 1927, tant’è
che lei poi andò a ritirarlo a Stoccolma
il 10 Dicembre del 1927. Il problema è
che nel 1926 il premio Nobel per la Letteratura non fu assegnato (ogni tanto
capita) e lo statuto prevede che qualora
il Premio Nobel un anno non venga assegnato possa essere attribuito l’anno
successivo.
Torniamo per un attimo ai ricordi di
famiglia. Ho letto che sua mamma,
il giorno in cui venne presentata al
futuro Premio Nobel, era visibilmente emozionata, quasi intimidita: è
vero?
È verissimo, ha avuto timore o forse
riverenza. Stiamo parlando del 1933,
anno nel quale mamma e papà si erano fidanzati. Si erano conosciuti all’Università; lei stava studiando chimica,
mentre papà era già laureato e faceva
l’assistente: in pratica, per farla breve,
lei era una studentessa di papà. A un
certo punto, quando decisero di rendere ufficiale il fidanzamento e quindi
di sposarsi, arrivò il giorno dell’incontro
e la presentazione di mamma ai familiari. Lei mi raccontò che, trovandosi
davanti alla futura suocera, rimase a
una distanza di un metro e fu colpita
da uno sguardo intenso che durò dieci secondi. Quegli occhi la guardavano
fissa. Poi il momento più commovente:
nonna Grazia si avvicinò abbracciandola forte e dicendo: ”Adesso chiamami
mamma”.
In pratica fu il suo primo incontro
con nonna Grazia?
Direi proprio di sì. Ero colpito dalla favola della mamma che descriveva la
Grazia bambina che aveva studiato solo
fino alla quarta elementare, ma possedeva dentro il sacro fuoco della scrittura. Mandava agli editori le sue novelline e pian piano era diventata famosa,
tanto da conquistare il Premio Nobel.
Quello è stato un giorno indimenticabile: nonna era entrata per sempre nella
mia vita. Poi devo anche dire che Cervia
ha avuto un grande rispetto per Grazia
Deledda: il suo lungomare si divide in
due parti, una dedicata a Gabriele D’Annunzio, l’altra alla Deledda. In comune
le hanno conferito la cittadinanza onoraria dopo l’assegnazione del Nobel e
in Municipio c’è una lapide nella quale
si ricorda la presenza di Grazia Deledda
in questa bellissima cittadina.
Continua….
9
Se le dico Cervia, 1947, cosa le viene
in mente?
Tanti bei ricordi. Come le ho detto, non
avendo conosciuto la nonna, da bambino io non avevo ancora ben capito
l’importanza della figura di Grazia Deledda. Forse ho iniziato a comprenderlo
proprio in quel 1947 quando, coi miei
genitori, ritornammo a Cervia, dove
la nonna possedeva un piccolo villino
vicino al mare. Ricordo benissimo la
mia curiosità nel leggere, sul lato del
villino, una targa che era stata apposta
dal comune di Cervia l’anno prima in
occasione del decennale della morte
della nonna. Era un omaggio della città
a Grazia Deledda, che dal 1920 al 1935
trascorse le vacanze estive nella cittadina romagnola. Leggendo quella targa
rimasi molto incuriosito e chiesi finalmente alla mamma di raccontarmi della nonna. Furono momenti bellissimi
ed emozionanti: come fosse una favola,
mamma iniziò a descrivermi la storia di
questa bambina che viveva in un paese
al centro della Sardegna in tempi nei
quali la società era maschilista e con dei
canoni molto ferrei.
ANTAS
Mandava agli
editori le sue
novelline e
pian piano era
diventata famosa...
approfondimenti
Incontro con
Roberto
Tangianu
LAUNEDDAS
il suono dell’alba del mondo
Il giovane musicista, che sta per pubblicare un libro dedicato all’antico strumento musicale sardo,
ci racconta la straordinaria esperienza parigina dello scorso Maggio col grandissimo Luigi Lai e il
giovane Fabio Vargiolu. Davanti alla sede dell’Unesco è stata l’apoteosi delle Launeddas.
Mi viene difficile immaginare un mondo
lontano e diverso di quello in cui viviamo, meno popolato e più verde, abitato
da uomini e donne che parlavano una
lingua che noi non potremmo capire,
che spianavano la strada del tempo che
avremmo percorso.
C’è stato sicuramente un luogo vasto e
disteso, puro e silenzioso, infranto con
leggerezza dai suoni di una natura viva,
disegno aperto al bello che si crea senza
la mano di chi poi nei secoli ha costruito
e trasformato.
Tutti quelli che hanno attraversato il passato hanno preso qualcosa da chi li aveva preceduti e qualcosa hanno lasciato
per tutti gli altri che sarebbero venuti poi.
La grande catena dell’umanità segna il
passaggio delle generazioni che, quando
assumono i contorni più definiti di spazio
e di tempo, diventano epoche e civiltà.
Quando l’alba del mondo ha proiettato
la sua prima luce, qualcuno ha pensato
bene di cantare e qualcun altro di riempire l’aria di musica, dipingendo il futuro
di poesia.
Non sappiamo né dove né quando le
launeddas hanno catturato le note nei
respiri di chi le ha inventate, ma con certezza possiamo affermare che quel vento
che ha mosso le prime armonie soffia da
lontano.
La Sardegna ha protetto il suono fin dal
suo primo ascolto, ne ha delineato la potenza.
La grande dimora, sospesa tra i mari, ha
saputo conservare quell’impasto di culture che mani artigiane e abili suonatori
hanno saputo trasferire con passione e
sentimento dell’appartenere.
La voce delle canne continua a narrare la
musica di un’isola, solcando l’identità del
suo popolo con fierezza rivelata.
Ci sono diversi giovani, oggi, che raccolgono l’eredità e camminano con passione e verità sull’esempio dei grandi che
prima di loro hanno seminato l’esperienza.
Roberto Tangianu è uno di loro, innamorato di uno strumento antico che produce una lingua universale e senza tempo.
Nel mese in cui fioriscono le rose, insieme al più grande suonatore vivente,
Luigi Lai, il giovane musicista di origine
foto di Photo Service di Roberto Moro
ANTAS
10
testo di Giuliano Marongiu
Il canto a tenore ha ottenuto il riconoscimento da parte dell’Unesco.
L’arte del canto è sotto tutela. Cosa
ostruisce il raggiungimento dello
stesso fine per le launeddas?
Intanto è molto importante che la Maison dell’Unesco abbia offerto la sua attenzione allo strumento più antico della nostra terra. Non era mai accaduto
prima. È l’Unesco che attribuisce il riconoscimento alle bellezze tangibili e immateriali dell’esistente per farle diventare tutela di un patrimonio universale.
L’Associazione Culturale “Cuncordia a
launeddas” di Cagliari ha intrapreso da
molto tempo il percorso utile e burocratico per guadagnare quel titolo e in
tempi recenti la Regione Sardegna ha
promosso alcune iniziative per accelerare il percorso.
Ci sono dei tempi e il calendario probabilmente assegna delle priorità non
dettate tanto dal valore in sé, quanto
da una sorta di “riparto” con altre realtà
che ambiscono allo stesso traguardo.
C’è un comitato che esamina le candidature: la Sardegna merita un’altra soddisfazione e sono certo che l’avrà.
Che cosa si prova a condividere il
palco con Luigi Lai, considerato il
grande erede della Scuola del Sarrabus dei suonatori di launeddas?
Sono cresciuto alimentando la mia passione per la musica grazie ai suoni che
il Maestro ha prodotto. Non sono stato
un suo allievo, ma ho sempre avuto il
desiderio di esserlo. Luigi Lai è stato
allievo di Antonio Lara e di Efisio Melis,
ha costruito la storia che noi giovani
respiriamo insieme ad altre eccellenze
come Aurelio Porcu di Villaputzu.
Nel 2012 ha tagliato il nastro degli ottanta, ma la sua musica è come l’entusiasmo che sprigiona con energia: sempre nuova, sempre ricca di sfumature
inedite. Stare su quel palco accanto a
lui, per la prima volta nella mia vita, mi
ha fatto sentire parte di un momento
unico e irripetibile. Magico.
Ci sono tanti giovani che oggi garantiscono un futuro allo strumento più
antico.
Soprattutto danno un significato al presente. Spesso facciamo riferimento ai
grandi del passato, con giusto rispetto
e gratitudine. Questo non deve distrarci dalle bellissime espressioni che oggi
contribuiscono a rendere viva una tradizione più raffinata e virtuosa.
Nel cassetto che tieni socchiuso, quali sogni rinchiudi?
I sogni di tutti quelli che attraversano la
mia età in un momento storico difficile.
Vorremmo svegliarci senza le preoccupazioni che attanagliano i pensieri di
domani e smettere di vivere nelle incertezze che creano angoscia. Sogno
la serenità per le persone a cui voglio
bene e che me ne vogliono e cerco, nel
mio piccolo, di rendere migliore il mondo che mi circonda. Tra i sogni che sposano la musica c’è quello ancora incompiuto di un lavoro discografico tutto
mio ma aperto al confronto. Tra i sogni
che si stanno realizzando, invece, c’è la
pubblicazione di un libro che ha per
titolo “Launeddas. La voce delle canne
nel vento”, dove raccolgo il mio amore
per questo strumento e lo metto a disposizione di chi lo vuole condividere.
In una frase c’è il senso di una vita.
Roberto descrive brevemente cosa
si prova quando si suona,ma con la
potenza di un’immagine che cattura
l’emozione e ce la restituisce: «Quando suono, gli occhi si chiudono piano. Il
respiro si nutre di fiato e si trasforma in
musica, cattura l’aria per rifiorire di note.
È la magia delle launeddas. Le mie dita
volano senza controllo e inseguono la
poesia. Niente è più carnale di un’emozione pura. Trascorrono minuti che sembrano un’eternità. L’applauso esplode e la
Sardegna che mi vive dentro grida il suo
commosso orgoglio».
11
foto di Michelangelo Zanda (Desulo)
Roberto, hai affidato ad uno scritto
il tuo stato d’animo: “Mentre l’aereo
per Parigi decolla e lo spazio tra la terra e il cielo accorcia le distanze, penso
a tutti quelli che nel tempo hanno fatto viaggiare la Sardegna attraverso le
tradizioni animate da passione”. Un
pensiero che rincorre il tempo tra le
note di una musica senza età.
Soprattutto una musica che rincorre il
tempo, ma che non può fare a meno di
uno spazio per esistere, e su quel volo
pensavo anche alla leggerezza con cui
i suoni delle launeddas sono arrivati
nei luoghi più lontani per raccontare la
voce di un popolo che in un viaggio intrapreso da millenni ha seminato la sua
storia musicale sempre fertile. La tappa
di Parigi mi ha dato ancora una volta
la dimensione di quanto la musica dei
sardi sia apprezzata anche da chi sardo
non è, ma soprattutto da chi la musica
la conosce bene. La manifestazione si
chiama “La Musique, la Culture, Les Traditions d’une ile dans la Mèditerranée:
La Sardaigne” e riunisce le stelle internazionali della musica classica: elogi a
scena aperta per la Sardegna che respirava la sua poesia che fioriva tra le
canne.
ANTAS
ogliastrina ha varcato le soglie di uno dei
luoghi più prestigiosi del mondo: la sede
dell’Unesco di Parigi. Tra gli intrecci delle
canne si è esibito con loro anche un altro
giovane e valido suonatore di launeddas,
Fabio Vargiolu.
L’Unesco è il tempio della cultura che “misura” e riconosce l’arte e la bellezza del
mondo nelle sue unicità. Quell’insieme
di suoni ha scosso la grande sala, che ha
poi vibrato sotto l’intensità dei lunghi applausi, convinti e interessati, di una platea altamente qualificata.
foto di Pierpaolo Medda
donne di Sardegna
Abbiamo incontrato
la cantante di
Bolotana
MARIA GIOVANNA
CHERCHI
No Potho reposare in duetto con MANGO
ANTAS
12
testo di Giovanna Tedde
Maria Giovanna Cherchi, il talento femminile che dal 1995
calca i palchi isolani con la continuità che è propria di chi
brilla nel tempo senza perdere mai la luce artistica che la distingue. Sono passati ben 19 anni da quel timido ma chiaro
esordio della sua voce a livello regionale. Una scoperta discografica che si riconferma negli anni come una delle più importanti realtà musicali della Sardegna.
Oggi Maria Giovanna Cherchi aggiunge una nuova pagina
al libro della sua carriera: la collaborazione al nuovo disco di
editi storici nazionali del cantante Mango, L’amore è invisibile.
Abbiamo seguito da vicino il sodalizio artistico che li ha condotti verso l’incisione di No potho reposare a due voci, attraverso il racconto della stessa cantante bolotanese.
Maria Giovanna Cherchi, una donna che rappresenta la
Sardegna sia per la sua bellezza che per la sua dote vocale. Una giovane artista che vive di musica esplorando
il panorama nazionale con grande curiosità. Come nasce
l’amicizia con Mango, voce della raffinata arte canora in
Italia e nel mondo?
Tre anni fa mi chiamarono per aprire il concerto di Mango il
1° Gennaio a San Teodoro. Lo incontrai in camerino, ci presentammo e io gli espressi il desiderio di unire le nostre voci.
Con grande candore mi raccontò della sua passione per la
Sardegna e soprattutto per la nostra canzone d’amore. Da
quel giorno ci sentimmo spesso per parlare di musica e per
condividere esperienze e emozioni. Io ero innamorata della
Cosa le ha dato l’esperienza artistica
insieme a Mango? Ho provato una grande emozione nel
cantarla con questo arrangiamento:
bella come sempre, rispettata nella sua
essenza, ma ora più appassionata e ap-
13
presentazione qui in Sardegna con tantissimi fan: in una settimana era già tra i
dischi più venduti e più scaricati.
No potho reposare:
un brano storico per
la nostra isola. Come
tutti i brani della
nostra
tradizione
è legato a criteri di
identificabilità che
ne vincolano spesso anche quelli di
arrangiamento ed
esecuzione vocale.
Con che approccio e
spirito vi siete avvicinati all’interpretazione di questo
pezzo? Sono veramente soddisfatta: i nostri
canti vivono nel tempo solo perché c’è
qualcuno che li canta. Penso che dare
nuova vita alle canzoni sia possibile e
stimolante. L’approccio deve essere
serio e qualificato: non avrei mai permesso che venisse snaturata e Mango
ha concentrato in questo brano tutte le
sue energie, tutto il suo talento, perché
era veramente innamorato dell’amore che in questo testo è contenuto. Io
ho usato la mia voce per intonarla con
tutta la passione possibile: in studio la
intonavo con fierezza, mi sentivo fortissima, perché tutti dovevano percepire
ciò che No potho reposare rappresenta
per i sardi. Mango sarà presto in tournée e io sarò con lui; ci saranno alcune
date anche in Sardegna. Io continuo
comunque il mio tour qui nell’Isola e,
assieme ai miei musicisti, la inserirò
presto tra i brani dei miei concerti.
ANTAS
La collaborazione nel nuovo disco di
Mango, L’amore è invisibile, è stata
una sorpresa o un progetto consapevole? Da quanto tempo avete iniziato questo percorso?
Niente è stato lasciato al caso e la qualità raggiunta mi ha dato serenità: tre
anni per aspettarla, per riascoltarla
senza farla sentire a nessuno, come un
bellissimo segreto. Poi, finalmente, a
fine Maggio la presentazione ufficiale a
Milano, le radio che la trasmettono e la
passionante.
foto di Pierpaolo Medda
sua voce da sempre e lui aveva scoperto e amato la mia. Quando mi propose
un arrangiamento di No potho reposare
inizialmente fui un po’ scettica (non è
mai facile per noi sardi concedere a chi
non lo è di rivestire di nuovi suoni i nostri classici), ma appena ascoltai il suo
provino ne fui subito conquistata. Ho
pensato al primo ascolto che si trattava
di una nuova fioritura, una nuova vita,
stranamente coinvolgente, una potenza: solo un grande talento come Pino
poteva dare a questo brano una veste
così radiofonicamente giovane, fresca.
Mi recai a Lagonegro a casa sua spesso:
lì abbiamo lavorato in studio braccio a
braccio con i musicisti, notte e giorno,
cantato e ricantato perché fosse perfetto nell’esecuzione. Pino è un perfezionista: il duetto non doveva essere solo
l’abbraccio di due voci ma una strada in
salita che arriva fino alla vetta, da dove
si ammira un panorama mozzafiato.
Questo il punto di partenza fisso: doveva restare l’inno che tutti conoscono
e amano, ma le note la dovevano fare
vibrare… ancora.
donne di Sardegna
14
ANTAS
CLAUDIA
ARU
Non saremo più Pocos, Locos y Mal Unidos
testo di Pierpaolo Fadda
Come sta andando A giru a giru?
Sta andando abbastanza bene e lo dico
sottovoce. Non ho mai puntato troppo
in alto e al momento tutti i miei piccoli
obiettivi sono stati raggiunti. C’è ancora molto da fare e si può e si deve
sempre migliorare ma credo che, compatibilmente con questo periodo di
grande crisi, possiamo ritenerci più che
soddisfatti.
Ti sei divertita a lavorare coi bambini?
Lavorare con i bambini non è solo divertente: loro insegnano agli adulti
molte cose da tanti punti di vista, hanno ancora quella spontaneità che noi
abbiamo perso, sono sinceri, si emozionano senza freni, nel bene e nel male, e
ti portano a capire che non esiste mai
una verità, ce ne sono tante, e fossilizzarsi su un punto di vista è sbagliato.
Noi crescendo questo l’abbiamo dimenticato; loro lo applicano ancora. E
poi i bambini sono l’unica speranza di
riscatto per questa terra: saranno loro a
cambiarne le sorti col loro lavoro. Sono
il mio pubblico di riferimento preferito:
non ho alcun problema a dirlo.
Hai in programma nuovi lavori discografici?
Sì, in questi ultimi anni sono stata definita da molti una vera stakanovista della musica. Grazie al progetto acustico
abbiamo prodotto due dischi a un solo
anno l’uno dall’altro e per molti è stato
da pazzi! Ma ho già in testa il prossimo
lavoro e i bambini c’entrano molto....
Anche se non voglio dire troppo. Il mio
è un lavoro bellissimo e io ho un sacco
di cose da dire, fare, produrre, comporre. Per me non è mai stato un problema
o uno stress, bensì una fortuna e un
estremo piacere.
15
I bambini sono
l’unica speranza di
riscatto per questa
terra, saranno
loro a cambiarne
le sorti col loro
lavoro...
Una caleidoscopio di sensazione magiche. Una ballata stupenda per il nuovo
video musicale della cantautrice sarda
Claudia Aru, che ancora una volta colpisce nel segno col brano Pocos, Locos
y Mal Unidos tratto dal nuovo album A
giru a giru, pubblicato lo scorso 14 Dicembre per la factory sarda Nootempo
Records. Il testo, scritto interamente in
sardo campidanese, ha come obiettivo
quello di sfatare alcuni luoghi comuni che i non sardi, ma spesso anche i
sardi stessi, utilizzano per descriversi
e per giustificare eventuali mancanze
o difetti. L’esortazione contenuta nel
brano è tutta racchiusa in un pensiero:
cominciamo a rimboccarci le maniche,
cercando di non lamentarci per la situazione di disagio in cui viviamo. Si parte
dai problemi linguistici che ci vedono
divisi, dal fatto che siamo gelosi, che
non collaboriamo tra di noi e che non
abbiamo “mentalità imprenditoriale”.
Giustifichiamo tutto con il detto “Pocos,
Locos y malunidos”, ovvero che siamo
pochi, matti e disuniti, espressione usata durante l’epoca di dominazione spagnola. Claudia Aru ha lavorato nel set
con degli “attori” speciali: uno splendido gruppo di bambini della 3^ A della
scuola elementare di via Farina di Villacidro che, dopo una lavoro accurato insieme ai loro insegnanti sul significato
de “Sa die de Sa Sardigna”, hanno scritto
dei messaggi di speranza per un futuro
finalmente più roseo e positivo, perché
sono e saranno i bambini il futuro della
nostra Sardegna e del mondo. Il video
è stato girato dal regista video-maker
Roberto Pili per la produzione indipendente Fisheye Prod. Un’idea semplice
che richiama la tecnica del Selfie-video,
con un piano sequenza nel centro storico di Villacidro.
Abbiamo avvicinato Claudia Aru per un
primo bilancio del suo nuovo lavoro discografico.
ANTAS
Foto di Robertopili.it
L’esortazione che arriva dal nuovo
video della cantautrice di Villacidro
foto di lorenzo Magistrato
donne di Sardegna
Poetessa, scrittrice,
pittrice, scultrice,
Antas apre le porte a...
ANTAS
16
La forza simbolica
dell’arte senza confini
“La scultura di Stefania Sergi si vive a
fior di pelle”. Questa l’emblematica descrizione dell’arte di Stefania Sergi fatta
dalla poetessa e antropologa brasiliana
Marcia Theophilo, candidata al Premio
Nobel 2014 per la letteratura. Una descrizione che contiene tutto quanto
necessario ad inquadrare l’immensa
ricchezza di una delle più interessanti e
poliedriche artiste sarde.
Stefania Sergi è di Barumini. Dopo vari
viaggi ha stabilito la sua residenza fissa in Toscana, dove attualmente vive e
lavora.
Donna dalle mirabili doti di scultrice,
pittrice, poetessa, è in grado di scrivere
attraverso un pennello, uno scalpello,
una penna. La sua trama artistica è fitta
di un intreccio tra la terra natia e il mondo-là-fuori, tra la vita umana e quella
della natura. La sua massima espressione figurativa è la donna. Venticinque
anni di mostre, testi poetici, antologie
inedite e statue, dipinti, premi e riconoscimenti dalla critica nazionale e internazionale.
STEFANIA
SERGI
testo di Giovanna Tedde
Se dovesse definire con una parola
la sua dote di artista, quale sarebbe?
Non amo le definizioni e gli “ismi”, ma
se devo, forse la curiosità, o il termine
“die Suchende”, con insaziabile interesse verso la vita.
Tra le righe della critica nazionale ed
internazionale emerge l’intrinseco e
riconoscibile elemento di “sunto del
mondo contingente” che permea i
suoi lavori. Filosoficamente potrebbe rapportarsi al triadico movimento hegeliano di tesi, antitesi e sintesi.
Emerge dunque lo studio della realtà
(tesi), la frattura di quest’ultima che
si instaura nel momento della creazione (antitesi) ed il finale risultato,
che è un plasmarsi di realtà e immaginazione in una “sintesi” che tutto
contiene. Ci sono, in questo senso,
delle opere che meglio rappresentano questo movimento di “decostruzione” e “ricostruzione” della realtà
LEGGIAMO
IL NUOVO LIBRO INCANTOS
Incantos viene fuori dal silenzio della terra,
dal sospiro lieve di una donna che guarda il
mondo, lo osserva e lo ferma.
Mondo che tenta di districarsi fra la rete di
relazioni, di sentimenti, di emozioni, ma
senza strappi, senza forzature: senza violenza.
Esce dolcemente dal suo intrigo e ci tende
una mano, ieraticamente, quasi a volerci
offrire la possibilità di essere accompagnati
dentro, di essere irretiti in un viaggio all’interno dell’animo, all’interno di noi stessi.
Stefania Sergi semplifica gli eccessi: restituisce una sobrietà compositiva che sembra
trasudare dall’interno stesso della forma materica, ma che scivola sulla superficie con una
sensualità rara, e con una espressività lontana
da quello sterile legame con la tradizione che
vincolerebbe il suo lavoro scultoreo a canoni
di maniera, auspicabili da pochi occhi non
ancora rassegnati all’accettazione incondizionata della concettualità.
Questo è il suo modo di rendere finita l’idea,
un modo in cui non esiste un’altra scultura,
perchè ci si sente sospesi al filo del tempo
che si attorciglia in un intreccio indissolubile
e che non lascia trapelare altre idee, altre
soluzioni possibili.
Incantos ne esce fuori così vittoriosa e fiera,
bianca da un labirinto di fili, indicandoci
“la strada”,protegendoci dai vicoli ciechi
che conduconoa muri invalicabili. Si fa essa
stessa via d’uscita, filo di Arianna che ci porta
al “tesoro”, logica che svela il mistero del
viaggio verso la catarsi, melagrana ricca di
semi fertili e fruttuosi.
Incantos osserva. Osserva e ci accompagna
in questo viaggio a ritroso, arcano, che man
mano progredisce verso il centro di noi stessi,
ma pretendendone un ritorno, in un luogo
dove quello sforzo umano intellettivo e carnale tramuta il caotico in materia prima.
E’ un viaggio dove i suoi passeggeri cercheranno ogni volta di impossessarsi di quei fili
invisibili che legano l’uomo alla sua stessa
arte, svelandone dignità e consapevolezza.
Dignità e consapevolezza che trasudano da
Incantos mai artificiose. Espressioni pure di
una fierezza del proprio essere: finalmente
donna. Gino Fienga Editore Con-fine
17
Dalla sua biografia artistica emerge
fortissimo il legame con la Sardegna,
culla della sua creatività. Può essere
definita come il “motore immobile”
della sua arte? In che misura il rapporto con l’Isola influisce sulle sue
opere?
Ho lasciato la mia terra natia a diciotto anni, oltre i navigli cercavo forse il
senso del mio fare. Dopo tanti anni mi
sono resa conto che nelle mie opere
avevo racchiuso quella donna bambina
che gioca con i sassi, che parla alla luna,
che abbraccia gli alberi. Qui in Toscana
mi chiamano “la sarda”. Questo naturalmente mi fa sorridere, mi piace: anche
se ho vissuto tanti anni all’estero mi
sento sarda sino in fondo. Appartengo
a un popolo che ha una chiara identità
e storia con radici profonde, è un punto
di forza nella mia arte. Anche se non è
questo il mio intento, il legame si mostra chiaramente attraverso la poesia
e la creazione. Mi lego a tutto ciò che
incontro e la mia storia diviene un insieme di patrimoni. Incantos, la mia ultima
opera di cui è appena uscita una monografia, rimanda col suo nome al quel
mondo: è una dea madre, una Kore
contemporanea che racchiude a livello
simbolico altri richiami e significati. Diciamo che mi viene spontaneo vivere la
mia sardità e mi piace farla incontrare a
chi non la conosce.
ANTAS
foto di Lauro Castellano
foto di lorenzo Magistrato
Stefania Sergi è donna che si fa artista
dentro la frattura tra meditazione e frenesia mondana. Medita e sa far miracolosamente meditare. La sua arte nasce
dal rifiuto del compromesso con la distratta esperienza del reale. Le opere di
Stefania ammaliano perché fruibili sia
come opere finite, sia come contenitori
di contenuti in continuo divenire, finestre su mondi passati, presenti e futuri.
La sua arte è istigazione a percorrere
vie ignote e ad immaginarne di ancora
inesistenti.
Abbiamo avuto la possibilità di raccogliere un’intervista in cui l’artista parla
di sé e del suo modo di creare.
ANTAS
18
Come nasce un’opera di
Stefania Sergi? C’è un
percorso preciso nella
creazione di una scultura
o una pittura, di una poesia?
L’opera non nasce nel momento in cui penso di realizzarla. Nasce prima. L’idea
metafisica è chiara e quando l’ispirazione è giusta ricerco i materiali per crearla.
Spesso, con indulgenza,
come una specie di carezza che mi regalo, come il
vento che sveglia all’improvviso e ti leva la polvere
di dosso, inizio così. Devo
farlo e niente di più. Non si
può spiegare tutto, so solo
che attraverso la creazione
vivo la mia sincerità e sento
quella delle persone attor-
foto di lorenzo Magistrato
vissuta e immaginata?
Quando lavoro mi obbligo a superare i miei schemi interpretativi, provo a
non farmi condizionare da stereotipi e
pregiudizi, riparto sempre dal mio zero.
Di solito l’opera nasce quando sono
pronta a raccontare una nuova storia.
La realtà è quella che è, non posso fratturarla, provo altresì a trasformarla: un
urlo è sempre un urlo, un albero resta
sempre un albero, ma posso metaforicamente allargarne il senso e provare
a rivelare ciò che in realtà non mostra.
Forse l’opera Legami Slegami arriva a
questa sintesi (...), provo a cercare un
legame umano, spaziale, temporale
che ci leghi alle persone e che ci liberi
nello stesso tempo. Così, attraverso il
tema del filo e dei nodi, se questo legame non avviene come noi desideriamo, resta appeso sulla nostra anima il
nodo insoluto. È il conflitto, quindi, tra
il desiderio di legarci e di slegarci. È il
filo della vita che ci indica la via, apparentemente contraddittoria, di libertà
o solitudine. Il legame con gli altri, col
nostro kairos, con le nostre terre. Tuttavia, dall’unione di più fili dentro e fuori,
dal loro intricarsi sono generati nodi, la
cui presenza sulla corda tirata influenza
tutto il corpo cui il filo si lega, trasformando l’eventuale rottura in legame; in
eguale maniera i legami che continuiamo a creare nella vita ci rafforzano e ci
formano eternamente.
L’ultima fase
dei lavori sono
il frutto di una
ricerca continua
tra poesia e arti
visive...
no a me. Di solito prima di iniziare un
lavoro sento il desiderio di instaurare
un dialogo con la natura: guardando gli
alberi, per esempio, riesco a percepire
la mia vera identità, la mia vera immagine dell’umanità, della vita, della sua
bellezza. Quando dialogo con la natura, la mia vita si espande e percepisco di
essere parte di un tutt’uno. Incantos è
nata quando ho provato con il mio corpo, in una performance, a legarmi con
dei fili agli alberi, alla terra, alle case. Ho
testato su di me con la mia vita, attraverso le linee dei miei confini, impedimenti, dolori, lutti, conflitti, trasformandoli poi in una nascita spirituale, in una
nuova visione: il suo bianco rappresenta concretamente questo. Desideravo
dire qualcosa e non sapevo come dirlo.
Un giorno, mentre mi trovavo a passeg-
giare su una costa di Follonica, una pietra con tutti i suoi filamenti millenari mi
ha suggerito l’ispirazione. Una specie
di tessuto in trame: sembrava l’ideale,
come manto dell’anima, un intreccio di
fili e nodi per comporre ciò che sarebbe
divenuto la seconda pelle dell’opera.
Quale tecnica o artista la ispira e sente vicina/o al suo modo di vivere e
fare arte?
Sono una creativa errante e autodidatta, per cui ho dovuto attraversare da
sola tutte le fasi della sperimentazione.
La necessità di provare quasi tutti i materiali e incontrare diverse culture mi ha
concesso la libertà di passare tranquillamente, spinta anche da vicissitudini
e soggiorni all0estero, dalla pittura, alla
scultura, al murale, alla body art, alle
installazioni e performance. L0ultima
fase dei lavori è frutto di una ricerca
continua tra poesia e arti visive, tutto
intessuto dal vero filo conduttore, ovvero veri fili che intreccio e slego.
Ho dentro di me l0impronta delle grandi monografie di Leonardo da Vinci, di
G. Bernini, di Camille Claudell; ci sono
poi artiste come Louise Bourgeois e
Kiki Smith. Ma Maria Lai, per l’umana e
straordinaria capacità di trasformare il
sogno in opera concreta, col suo dolce
invito a giocare seriamente, mi ha spinto a ricercare sempre più in fondo.
Ancora un filo,
l’ultimo che tira,
che slega e annoda,
tra le dita,
il ricamo della storia,
senza inizio, senza fine,
cordone ineluttabile
che in-tende e in-treccia
le cose nelle parole dei sensi,
mosaico di abbracci antichi,
composizione in delirio
di colori e forze gravide...
...senza potere e disegno
legata alla trama della vita
che chiede e spinge più forte di me.
Stefania Sergi
polivocalità
SU CORO
DE PIAGHE
Una perla sonora nel cuore del Logudoro
L’Associazione Culturale “Su Coro de
Piaghe” nasce nel dicembre del 2003.
Come spesso accade, la sua genesi è
sostenuta dalla spinta e dal desiderio
di condivisione di una passione comune: quella per la musica e il canto corale. La sua attività artistica si caratterizza
per la costante ricerca e sperimentazione nell’interpretare il canto corale nelle
varie forme, puntando non solo al puro
diletto del canto stesso, ma anche allo
sviluppo dell’educazione musicale. Con
gli anni, grazie all’esperienza e soprattutto alla direzione, attenta e curata, fin
dagli esordi, del Maestro Piero Concu, il
coro di Ploaghe riesce a ritagliarsi uno
spazio di tutto rispetto nel panorama
delle formazioni corali sarde, distinguendosi nettamente da tutti gli “standard” classici. Pur conservando, infatti,
determinati parametri armonici – così
come spiega Piero Concu – la formazione è guidata sempre dall’intento di
uscire dagli stereotipi, puntando a una
costante impronta originale e perso-
nale di ogni interpretazione: nel suo
repertorio non ritroviamo solo i classici
della tradizione musicale sarda, ma anche brani inediti, nati dall’importante
collaborazione tra Antonio Strinna per
i testi e lo stesso Piero Concu, che cura
musiche e arrangiamenti. Da questo
connubio sono nati prestigiosi traguardi, come il primo posto ottenuto per
ben due volte Concorso Vadore Sini di
Sarule: nel 2010, per la sezione “brani
inediti per coro maschile”, con Faedda
Terra Mia (testo di Antonio Strinna e
musica di Piero Concu) e nel 2012, per
la sezione “brani inediti”, con Domo Sacra. Il Coro, tra l’altro, ha all’attivo l’incisione di due album: Boghes Lontanas
del 2007, che contiene il brano Bellesa
est (testo e musica di P. Concu), dove la
voce solista è di Maria Giovanna Cherchi, e Istorias del 2010, tra le cui tracce
è presente anche il brano vincitore a
Sarule. Tra i propositi del Coro c’è anche quello di valorizzare e riproporre
in chiave corale poesie di autori ploaghesi come Antonio Satta, da cui nasce
il brano A Manzanile e Nanni Salis, da
cui viene Tres Bajanas, entrambe adattate musicalmente dal M° Piero Concu.
Tra le varie attività, il fiore all’occhiello
dell’associazione “Coro de Piaghe” è Il
Festival di Canti e Suoni “SardignAere” – Arie di Sardegna, una rassegna
che vuole dare spazio e voce ad ogni
genere appartenente alla musica sarda.
Il festival, il cui tema di questa edizione
è “Raighinas”, si terrà il 10 agosto presso il Convento di Sant’Antonio a Ploaghe e sarà presentato, come ogni anno,
da Tonino Sanna. Un appuntamento
importantissimo per il Coro, che vive
questa esperienza come un momento
di confronto e approfondimento di tutto ciò che è il patrimonio della cultura
sarda, nonché come occasione per la
crescita e l’evoluzione comuni. Nel frattempo è in fase di progettazione anche
il terzo album: attendiamo la conclusione di un altro importante obiettivo, sia
per noi all’ascolto, sia per il coro stesso,
fonte di piacevoli e straordinarie emozioni come solo l’armonia di voci e musica sa dare.
ANTAS
www.sardignaeras.it
19
testo di Mary Manghina
personaggi
Canto a chitarra
TONINO
CANU
Ripercorriamo le tappe essenziali della straordinaria carriera
dell’Usignolo di Perfugas
ANTAS
20
testo di Antonio Caria foto archivio Fam. Canu
«Appresso chi c’è? Tonino Canu di Perfugas. la voce candida,
la voce potente, la voce forte, definiamola così». Con queste
parole il grande Nicolino Cabizza presentava Tonino Canu
in una gara svoltasi ad Ossi nel 1975. Tonino Canu nasce
a Perfugas il 30 Agosto del 1932 ma già da giovanissimo
si trasferisce a Sassari. Suo fratello Salvatore si dilettava a
suonare il mandolino: è anche grazie al suo aiuto che in
Tonino nasce la passione per il canto a chitarra. Dice di lui
il figlio Pierfranco: «Le prime boghes di mio padre risalgono a
quando aveva 15 anni, in occasione delle gare a chitarra che si
svolgevano a Sassari o nel circondario. Secondo alcune ricerche,
fu proprio nella città turritana che si unirono per la prima volta
due voci su un palco. Aggiungo che gli capitava spesso di essere
accompagnato da Antonio Marongiu, chitarrista allora agli
esordi. Grazie alle mie ricerche personali, posso inoltre affermare
con certezza che abbia frequentato il famoso locale La Pergola,
allora gestito da Ciccheddu Mannoni».
L’ESORDIO A SASSARI
L’esordio ufficiale sui palchi avviene a Sassari nell’agosto del
1951, con due cantadores in quel periodo già affermati come
Pietro Porqueddu, nei suoi ultimi anni di attività, e Mario Scanu, con l’accompagnamento alla chitarra di Emilio Oggiano.
Nei primi anni di carriera il suo nome è stato abbinato a un
altro cantadore che si sarebbe esibito qualche anno dopo:
Giuseppe Chelo. Ed è proprio a fianco a tziu Giuseppe che
nel 1961 Tonino Canu esordì discograficamente con la RCA,
celebre casa discografica romana, mentre alla chitarra c’era
Pietro Fara di Pozzomaggiore. Tali incisioni avrebbero dato
vita al famoso Terzetto Sardo. I tre registrarono per la stessa
casa discografica anche l’anno successivo, il 1962: un ottimo
trampolino di lancio per Tonino Canu, che ormai diventava
di diritto uno dei cantadores più richiesti di quegli anni. Nel
1963 il cambio di casa discografica in favore della Fonit Cetra
di Torino, assieme ad Antonio Meloni e al chitarrista Peppino
Doro. I tre incidono come Trio Logudoro.
dall’allora Sottosegretario di Stato ai
Trasporti e all’Aviazione Civile di origine sorsese Salvatore Cottoni. Nel 1974,
sempre su invito del Sottosegretario, si
esibisce per due serate all’Auditorium
Cida di Roma dove, nel corso di una
gara a premio, gli vieneconsegnata la
coppa del primo classificato. Nel maggio del 1975 Tonino Canu si esibisce
nei circoli di Varese e Parma. All’estero
lo ritroviamo nel 1976 e 1977, precisamente in Germania, Belgio, Olanda e
Svizzera. Il 4 Marzo del 1973 convola a
nozze con Maria Grazia Meloni, sorella
del famoso cantadore Antonio Meloni.
Dal matrimonio nascono due figli: Pierfranco e Marco.
21
Secondo alcune
ricerche, fu proprio
nella città turritana
che si unirono per
la prima volta due
voci su un palco...
PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE
ARTISTI DELLA SARDEGNA
Nel 1980 assieme a vari cantadores partecipa all’inaugurazione della nuova
sede di Videolina in piazza Marconi.
Nello stesso anno diviene il presidente dell’ Associazione Artisti Sardegna,
incarico che gli viene conferito tramite
l’A.N.C.O. (Associazione Nazionale delle
Comunità di Lavoro). Nel 1982 incide
con Mario Mannu ancora per la Fonit
Cetra, con l’accompagnamento di Pietrino Giallara alla chitarra e Peppino
Pippia alla fisarmonica. Nel 1983 incide
due musicassette per la Effe Eecords
Studio di Sassari, avvalendosi dell’accompagnamento a chitarra di Nino
Manca nella prima e di Bruno Maludrottu alla chitarra e di Claudio Dessena alla fisarmonica nella seconda. Del
1984 è, invece, una musicassetta incisa
per la collana Boghes e Sonos de Sardinnya curata da Giampiero Marras, accompagnato nel canto da Angelo Mura
e Tore Canu e da Antonio Cuccuru alla
chitarra. Del 1985 è la sua ultima apparizione in sala discografica, la Medinas di Cagliari, dove incise la famosa
audiocassetta dal titolo Sa diletta terra
mia. Con lui cantò Francesco Falchi; alla
chitarra c’era Antonio Marongiu, mentre alla fisarmonica Tamponeddu. Negli
ANTAS
IL SODALIZIO ARTISTICO CON LEONARDO CABIZZA
Un’altra tappa fondamentale nella carriera di Tonino Canu è il sodalizio artistico creatosi verso la metà degli anni
Sessanta con Leonardo Cabizza, Aldo
Cabizza, Peppino Pippia e ancora Giuseppe Chelo. I cinque fanno un gran
numero di serate. Nel 1966 e nel 1967
Tonino Canu rientra in sala d’incisione
assieme a Leonardo Cabizza, Aldo Cabizza e Antonio Ruiu per la casa discografica Italmusica, con il nome di Quartetto Logudoro.
Come tanti cantadores anche Tonino
Canu varca i confini della Sardegna per
andare a cantare nei circoli sardi, sia
nella Penisola che all’estero. Pare che
la prima esibizione oltralpe di Tonino
Canu risalga al 1958 e più precisamente a Marsiglia, in Francia. Racconta il
figlio Pierfranco: «Negli anni a cavallo
tra il 1966 e il 1969 mio padre andò varie
volte all’estero. Si esibì in Svizzera, Belgio,
Germania, Francia e Olanda. Nel 1966,
durante un’esibizione in Francia, ricevette un premio da parte delle autorità consolari». Degli anni ’70 sono alcune belle
incisioni discografiche realizzate con
Aldo Cabizza e Peppino Pippia per la
casa discografica Tirsu mentre nel 1972
Tonino Canu viene invitato a Roma
22
ANTAS
La prima
esibizione oltralpe
di Tonino Canu
risale al 1958 e
più precisamente
a Marsiglia...
anni 1980 appare in
televisione a Sardegna
Canta. Canu partecipò
anche alla trasmissione Canto in re, in una
serie di puntate condotte da Giovanni Perria che prevedevano
la presenza in studio
dei cantadores. Esordì
con Leonardo Cabizza, Giuseppe Chelo, il
chitarrista Aldo Cabizza e il fisarmonicista
Peppino Pippia; la seconda volta con
Mario Mannu e Francesco Cubeddu di
Seneghe, con l’accompagnamento alla
chitarra di Michele Senes e alla fisarmonica di Peppino Pippia. Si esibì nuovamente e varie volte anche a Sardegna
Canta.
«Posso affermare con certezza - mi dice
ancora Pierfranco- che, stando alle testimonianze da me raccolte in questi anni,
mio padre abbia cantato continuativamente fino agli anni ‘80».
L’ULTIMA APPARIZIONE SUL PALCO
La sua ultima apparizione sul palco risale al 26 Ottobre del 1991, quando fu
invitato come ospite d’onore a Ploaghe
in occasione della III Rassegna di voci
nuove intitolata ad Antonio Desole.
Tonino Canu muore il 1° Gennaio del
1992. È stato un cantadore che, a mio
giudizio, ha creato un vero e proprio
stile di canto. Se in molti, infatti, è possibile riscontrare stili che riportano ai
cantadores anziani, Tonino non aveva
alcun modello ispiratore. Dotato di un
buon timbro vocale e di una metrica
straordinaria, era capace, specie nelle
serate di grazia, di incantare i suoi numerosi estimatori. Ultimamente il figlio
Pierfranco ha avviato un lavoro di ricerca nel tentativo di valorizzare ancora di
più la figura del padre: «In questi ultimi
quattro anni ho condotto studi approfonditi su tutto il materiale audio e video
di mio padre. Ringrazio in particolare gli
appassionati che hanno messo a disposizione il proprio materiale. Chiunque
lo desideri può visitare il sito internet
www.toninocanu.it». Il 25 Gennaio di
quest’anno, nella frazione di Sant’Orsola nord a Sassari, per iniziativa di un
grande appassionato del canto sardo
e di Tonino Canu in particolare, Attilio
Deligios, si è svolta la cerimonia di intitolazione di una via al compianto cantadore.
(SI RINGRAZIA PER LA COLLABORAZIONE PIERFRANCO CANU)
ANTAS
23
gli speciali di Antas
Viaggio nel tempo alla
scoperta dei Gremi,
dell’origine della Discesa
dei candelieri e dei toccanti
momenti dello scioglimento
del voto alla Vergine Assunta
LA FARADDA
FESTHA MANNA
DI SASSARI
Dal 2013 è patrimonio immateriale dell’Umanità dell’UNESCO
ANTAS
24
testo di Alessandro Vozzo* foto di Giovanni Porcu
Il 14 Agosto a Sassari è festha manna (festa grande), ma per
parlare della Faradda, come i Sassaresi chiamano la Discesa
dei Candelieri, bisogna prima parlare di chi ha dato origine
al momento più importante della tradizione di Sassari: i Gremi, le antiche associazioni di Arti e Mestieri, nate nel tardo
medioevo sull’esempio dei più importanti centri cittadini
europei e della Spagna in particolare. Alcuni di questi sono
attivi ancora oggi e partecipano da sempre alla Faradda, associazioni talmente radicate nel contesto sociale e potenti
economicamente da controllare l’economia della città e intraprendere iniziative che coinvolgevano tutta la popolazione.
Non è un caso, infatti, se furono proprio loro a dare origine
alla processione dei Candelieri. Si costituirono con lo scopo
di regolamentare e tutelare l’attività lavorativa e del mutuo
soccorso fra gli iscritti, dotandosi di uno statuto al quale attenersi sotto la guida di un consiglio composto dai “maggiorali”
(majorales), scelti fra i migliori maestri dell’arte, un “clavario”
(il cassiere) e un segretario assistito da un notaio.
OGNI GREMIO VENERA UN SANTO PATRONO
Ogni Gremio venera un Santo Patrono e ha una propria cappella intorno alla quale ruota ogni attività e dove si seppellivano i defunti. I gremianti hanno l’obbligo di partecipare alle
feste patronali, contribuire alle spese, presenziare alle messe
di suffragio per i defunti, alle esequie dei soci e dei loro parenti, non lavorare il giorno delle festività patronali e indossare
in tali occasioni gli abiti più consoni. È prevista, inoltre, l’assistenza ai gremianti in condizioni disagiate, ai più anziani, alle
vedove e agli orfani dei soci defunti.
I maggiorali sono i supervisori di tutto, perfino dell’operato
dei maestri. Il cassiere riscuote le quote associative, le tasse,
le sanzioni pecuniarie e stabilisce i fondi per le feste religiose
e per la beneficenza. Custodisce la cassa con i beni ed i documenti.
Gli “obrieri” curano la cappella e organizzano le feste patronali. Convocano le assemblee e coordinano l’attività dell’associazione. L’obriere maggiore è la massima carica, col diritto di
portare in processione lo stendardo della corporazione.
Non è possibile
stabilire con precisione
quando ebbe inizio la
Faradda
durante l’invasione del 1527.
Nel 1531 un’ordinanza stabilisce l’ingresso in chiesa degli otto candelieri.
Il primo ad entrare è il candeliere degli
Agricoltori (Massai), seguito da quello di
Mercanti, Sarti, Calzolai, Muratori e Falegnami, Pastori, Ortolani e Carrettieri.
Si continua a ripetere il voto con nuovo
fervore quando altre pestilenze, oltre
che nel 1504 e nel 1514, colpiscono la
città nel 1580 e nel 1652, anno in cui
la popolazione di Sassari si riduce da
25mila a 5mila abitanti. Anche allora il
morbo cessa agli inizi di Agosto.
Negli anni la processione assume toni
sempre più popolari e goliardici, perdendo austerità e rigore. L’offerta della
cera rimane invariata sotto forma di una
grossa candela. Le “macchine” di legno
diventano delle vere e proprie colonne
dal largo basamento ed un capitello con
in cima delle bandierine e dei cordoni
per garantire stabilità. Dietro queste sfila
la folla festante, forse in maniera eccessiva, insieme alle corporazioni: per questo
motivo le autorità cercano di sopprimerla in più occasioni, dal 1694 fino al 1848.
I “Candelieri” (come ormai li chiama la
gente) assumono via via maggiore
importanza rispetto ai ceri, che si
riducono di dimensione. Nel 1856
una terribile epidemia di colera fa
“slittare” la Faradda dal 14 Agosto
al mese di Ottobre. Col tempo la
manifestazione conosce alterne
vicende, soprattutto tra la fine
dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, con la scomparsa di alcuni
gremi e l’inserimento di altri.
Nel 1921 i Falegnami partecipano
per la prima volta col loro candeliere, realizzato dai fratelli Clemente. I Carrettieri spariscono perché
il loro candeliere viene pignorato
per un debito insoluto. Nel 1937
ai Contadini è assegnato il candeliere dei Pastori, mentre nel 1941 i
Viandanti rilevano quello dei Carrettieri. Durante la Seconda Guerra
Mondiale il pericolo dei bombardamenti impone una pausa dal
1942 al 1944. Nel 1955 i Piccapietre ottengono l’autorizzazione a
realizzare un proprio candeliere
e, quindi, a partecipare allo scioglimento del voto all’Assunta. L’ultimo ingresso è quello dei Fabbri
nel 2007, frutto di una controversa
e combattuta diatriba tra gremi,
25
L’ORIGINE
La Discesa dei Candelieri verosimilmente è stata mutuata dai Pisani nel XIII secolo, secondo l’uso di offrire cera vergine alla Madonna nei primi vespri della
festa dell’Assunta all’interno di “macchine” di legno. Col tempo questa usanza si
radicò profondamente nel tessuto delle
tradizioni cittadine, diventando la festa
più importante e mantenendo immutato il rituale.
Non è possibile stabilire con precisione
quando ebbe inizio la Faradda, ma una
delle poche certezze è che furono i Gremi a darle vita e farsene carico.
La manifestazione ebbe un assetto definitivo nel Cinquecento, epoca di grandi
pestilenze. La loro cessazione, avvenuta secondo la tradizione tra luglio ed
agosto, fu attribuita all’intervento della
Vergine. Perciò i Gremi, coinvolgendo
gli amministratori, fecero solenne voto
di offrire ogni anno in processione dei
ceri di cento libbre (40 kg) ciascuno. In
un documento del 1504 si parla già di
questo rito, ma secondo alcuni il voto risalirebbe al 1528, in seguito ad una grave pestilenza diffusa da truppe francesi
ANTAS
COME SI DIVENTA MAESTRI DEL
GREMIO
Ciascun Gremio è formato da apprendisti (garzoni) e maestri. Per poter divenire tali bisogna svolgere apprendistato
presso un maestro con un contratto
che prevede vitto, vestiario, alloggio,
insegnamento dell’arte ed un’indennità
in denaro garantiti per tutta la durata.
Trascorso questo periodo l’aspirante
sostiene un esame davanti ad una commissione di maggiorali. Non si può lavorare in proprio senza superare l’esame.
In seguito si riceve una licenza (patent
certificatoria). Il nuovo maestro partecipa in toto all’attività del gremio.
Ogni bottega riceve periodicamente
una visita dei maggiorali, in particolare
per i controlli sulla qualità dei manufatti,
tutelando così sia la corporazione che i
clienti. Nessuno può sottrarre il lavoro
ad un altro, né accettare apprendisti di
un’altra bottega. È anche vietato terminare un lavoro iniziato da altri. Il Gremio
deve sottostare anche all’autorità regia
e a quella ecclesiastica.
Col passare del tempo e col dominio piemontese, le maestranze più importanti
rinnovano i loro Statuti; non cambiano
le norme religiose, ma quelle tecniche
ed amministrative si adeguano a nuove
esigenze socio – economiche. I Gremi
controllano ancora tutto il mercato, riscuotono imposte e diritti di cappella e
verificano la produzione, sostituendosi
di fatto allo Stato. Per questo il 29 maggio 1864 il governo emana una legge di
“soppressione”, privandoli di ogni potere. Essi modificano gli statuti, divenendo associazioni religioso – professionali
con fini di culto ed assistenzialistici.
Nel XX secolo le alterne vicende delle
guerre e del regime fascista segnano la
vita di queste associazioni che subiscono un’evoluzione significativa: oggi, infatti, non hanno più una connotazione
professionale, ma culturale e religiosa,
e in tutti gli ambienti cittadini è riconosciuta la loro importanza e rappresentatività. Le figure che rimangono sono:
l’Obriere Maggiore, capo e rappresentante del gremio, cui spetta sempre l’onore
di portare lo stendardo; l’Obriere di Candeliere, che provvede all’organizzazione
della discesa del proprio candeliere,
l’Obriere di Cappella e gli eletti (gli attuali
maggiorali), cioè tutti quelli che hanno
ricoperto la carica di Obriere Maggiore.
Il 14 Agosto i Gremi
sono in fermento
dall’alba...
ANTAS
26
curia ed amministrazione, che alla fine
ha visto riconosciuta l’autorevolezza
ed il valore storico dei Fabbri, portando
così il numero dei ceri a dieci: Massai,
Sarti, Muratori, Falegnami, Calzolai, Ortolani, Contadini, Viandanti, Piccapietre, Fabbri.
1979, NASCE L’INTERGREMIO
Nel 1979 nasce l’Intergremio, l’associazione che riunisce e coordina i Gremi
attivi ancora oggi: oltre ai titolari dei
Candelieri (ad eccezione dei Massai),
ne fanno parte anche Macellai, Facchini
e Autoferrotranvieri.
Oggi sono sempre i Gremi che organizzano la Faradda. Il percorso è rimasto
immutato, così come il rito e l’ordine di
ingresso in chiesa, insieme al simbolo
più importante: l’offerta del cero alla
Madonna Assunta.
I preparativi alla festha
manna iniziano già dalla
fine di Luglio con la preparazione dell’occorrente
per gli addobbi, l’abbigliamento, gli ultimi “ritocchi”
alla squadra dei portatori
e tutto il necessario per
una degna conclusione
conviviale, e quando i
tamburini iniziano a provare i ritmi per i balli.
Il 14 Agosto i Gremi sono
in fermento dall’alba, impegnati nella “liturgia”
di preparazione e allestimento del candeliere:
la vestizione. Il cero è
prelevato dalla cappella
del Gremio e portato nei
pressi della casa dell’Obriere di Candeliere dove,
insieme a tutti i gremianti, sono in attesa ospiti di
ogni genere e turisti delle
più svariate provenienze.
Le bandierine vanno in
cima al capitello a formare una caratteristica “corona”, al centro della quale
svetta quella con il nome dell’Obriere
in carica, ornata con fiori di oleandro e
rami di salice, oltre ai “bora-bora” (trad.
it. vola–vola ), fantasiose composizioni
di carta colorata. Alla base del capitello si attaccano nastri serici multicolori
lunghi oltre quaranta metri, che dei
ragazzini tenderanno durante il percorso. Si fissano, quindi, alla base quattro
stanghe dove prendono posto gli otto
portatori che, guidati dal Capocandeliere, porteranno il cero fino a S. Maria. Il
Capocandeliere è incaricato dal Gremio
ed ha il compito di scegliere i portatori, che in base all’altezza e corporatura
prendono le stanghe “a braccia” o “a
collo”; il tutto accompagnato dall’incessante rullare del tamburo.
In origine la Discesa prendeva il via dallo spiazzo tra l’antico castello aragonese (abbattuto alla fine dell’Ottocento
e sostituito da una caserma) e l’ormai
scomparsa chiesa di S. Caterina (piazza
Azuni) intorno alle tre del pomeriggio.
IL FASCINO DELLA FARADDA
Oggi i Gremi si radunano nello stesso
punto un’ora e mezza più tardi, lasciano il candeliere in custodia al Capocan-
deliere e, accompagnati dal tamburo, si
recano alla vicina chiesa della Madonna
del Rosario per un breve momento di
preghiera; dopodiché ha inizio la “Faradda”. Per primi sfilano i Fabbri, quindi
i Piccapietre, seguiti da Viandanti, Contadini, Falegnami, Ortolani, Calzolai,
Muratori, Sarti e Massai. I Candelieri
scendono lungo Corso Vittorio Emanuele compiendo le loro evoluzioni,
fatte di balli e giri su se stessi al ritmo
incalzante dei tamburi. Ogni candeliere
è seguito dal Gremio, disposto secondo
un ordine gerarchico al vertice del quale stanno l’Obriere Maggiore e l’Obriere di Candeliere, che porta un piccolo
stendardo.
A Palazzo Civico, sede dell’antico Municipio, si porge omaggio al Sindaco
mentre danza il Candeliere. Qui i Massai celebrano l’investitura del nuovo
Obriere, che riceve dal primo cittadino
il gonfalone della città e l’augurio tradizionale «a zent’anni» (a cento anni),
mentre il vecchio Obriere porta lo
stendardo del Gremio. Quindi Sindaco
e amministratori si uniscono al corteo
fino a S. Maria di Betlem, dove sul sagrato li attendono gli altri Gremi: al loro
arrivo, in segno di riverenza e saluto, i
Candelieri danzano tutti assieme e poi
entrano in chiesa. Li accoglie il padre
guardiano del convento che, mentre il
candeliere si dispone ai piedi del simulacro, consegna all’Obriere Maggiore il
cero che ogni Gremio ha acquistato per
deporlo acceso intorno al baldacchino
dell’Assunta. La cerimonia si conclude
con la preghiera e la benedizione del
padre guardiano.
La giornata termina a casa dell’Obriere
di Candeliere con un momento di festa
e convivialità che si protrae fino alle prime luci dell’alba.
LO SCIOGLIMENTO DEL VOTO
La mattina dopo tutti i protagonisti ed
il popolo partecipano alla messa nella
chiesa di S. Maria. Nel tardo pomeriggio si conclude lo scioglimento del
voto: dalla Cattedrale di S. Nicola si snoda una processione per le vie del centro
storico, con il simulacro della Madonna
Assunta portato a turno da quattro gremianti, mentre gli Obrieri di Candeliere
sfilano dietro la statua con in mano un
cero. La processione è l’epilogo della
festa e dopo otto giorni i Candelieri, accompagnati dal tamburo, torneranno
nelle cappelle.
È fondamentale il ruolo organizzativo
svolto dall’Intergremio per la buona riuscita della manifestazione: dal 2006, insieme all’amministrazione comunale, ha
intrapreso un percorso che nel dicembre
del 2013 è culminato con la Discesa dei
Candelieri, riconosciuta dall’UNESCO patrimonio immateriale dell’Umanità.
L’obiettivo che l’associazione si propone
a breve è sicuramente quello di superare
gli individualismi che a volte, nella pluralità di vedute, traspaiono: la sfida che
oggi si pone è fare in modo che questo
patrimonio sia sempre più tutelato e valorizzato, arricchendolo di occasioni di
crescita e sviluppo, creandogli intorno
un circolo virtuoso fatto di manifestazioni di contorno, attività di studio, ricerca,
produzione di materiale documentale e documentaristico, bibliografico e
promozione a trecentosessanta gradi,
in modo che la Faradda, con il suo plurisecolare bagaglio di tradizioni, sia per
la città non solo il motore culturale, ma
anche sociale ed economico; ancora, far
sì che la stessa Sassari diventi una città a
misura di Candeliere e i Candelieri siano
visti dai Sassaresi come la loro risorsa più
importante e prestigiosa.
ANTAS
27
*Alessandro Vozzo - Etnoantropologo
Presidente Commissione Cultura
Intergremio Città di Sassari
gli speciali di Antas
IL PAESAGGIO
SONORO
della Discesa dei Candelieri
testo di Chiara Solinas* foto di Giovanni Porcu
ANTAS
28
Il “paesaggio” designa una determinata
parte di territorio, così come è percepita
dalle persone, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle
loro interrelazioni (Art.1 Convenzione
europea del paesaggio, Firenze, 20 ottobre 2000).
C’è una netta differenza tra ambiente (insieme di eventi acustici che si verificano
in un luogo, indipendentemente dalla
presenza umana) e paesaggio (insieme
degli elementi caratterizzanti un preciso
territorio e espressione di una data cultura). Il paesaggio non è solo “esperienza” visiva, ma anche auditiva, come dimostra il compositore canadese M. Shafer, che ha coniato il termine soundscape
proprio per indicare quello che, in Italia
e nell’ambito degli studi etnomusicologici, è ormai ben noto come paesaggio
sonoro, vero e proprio “bene” e prodotto
culturale da valorizzare e tutelare al pari
delle altre espressioni di cultura, in virtù
del fatto che ogni comunità, sia urbana,
sia rurale, sia nelle attività lavorative sia
nelle festività, ha una propria precisa
identità sonora.
Chi, anche solo una volta, ha avuto l’occasione di partecipare alla Faradda, ha
ben chiaro nella mente il suo peculiare
paesaggio sonoro costituito da diverse
componenti che, brevemente, cercherò
di individuare e descrivere.
La festa dei Candelieri, con i suoi suoni
e le musiche, è un evento che celebra
e rappresenta la cultura sassarese, la
storia della città e delle corporazioni di
mestiere, mettendo in luce il sentimento di devozione dei suoi abitanti. Sin
dagli inizi, la Discesa dei Candelieri è
stata concepita come una festa barocca
e, come spiega lo studioso Gino Stefani,
si presenta come un complesso sistema multimediale all’interno del quale
gli stimoli sonori hanno un’importanza
fondamentale.
Il 14 Agosto di ogni anno, con il lento e
partecipato trasporto di dieci maestose
macchine a spalla (li Candareri, appunto), una per ogni Gremio, dalla Piazza
Castello fino ai piedi della Vergine Assunta, nella chiesa extra muros di S. Maria di Betlem, Sassari festeggia e rinnova
il ringraziamento per la liberazione della
città da una grave pestilenza. Si tratta di
un evento collettivo, indotto e supportato da una complessa organizzazione
scenico-rituale ricca di suoni e musica.
Ogni Candeliere, nella percorrenza del
tragitto, è accompagnato dal tamburo
e, unicamente nel caso del Gremio dei
Viandanti, anche dal piffàru. La funzione
di questi strumenti è quella di coordinare i movimenti dei portatori e, di conseguenza, i balli dei Candelieri, ma è anche
quella di dare solennità alla festa.
dieci Candelieri baddariàni porta con
sé un paesaggio sonoro composito e
articolato, che pervade strade e cuori
invitando alla festa. Dopo l’ingresso dei
candelieri nella Chiesa di Santa Maria le
bacchette dei tamburi restano ferme,
il rullare tace; nessuno strumento profano come tamburi o trombe (simboli
dell’autorità civile e, in questo caso, anche delle maestranze cittadine), entra
nella chiesa. Il paesaggio sonoro muta
e ci avverte che qualcosa, nel rito, sta
cambiando: la dimensione più profana
della festa, che emergeva maggiormente nello spazio cittadino, si abbandona. Dentro la chiesa, che accoglie
i candelieri con canti sacri e le parole
del Vescovo, ci si orienta alla contemplazione, al gesto di fede per l’Assunta.
La devozione, espressa nell’esuberanza
delle danze e delle musiche e nella fatica dei portatori, diventa gesto compassato e silenzioso: i ceri vengono portati
ai piedi dell’Assunta per lo scioglimento del voto.
*Chiara Solinas, Antropologa musicale
29
...con i suoi suoni
e le musiche, è un
evento che celebra
e rappresenta la
cultura sassarese...
lizzazione del passo
di Samba. Questi e
altri brani, udibili
durante la discesa,
rivestono un’importante funzione identitaria: identificano
e, allo stesso tempo,
consentono di distinguere un Gremio
dall’altro proprio in
virtù dei differenti
balli effettuati dal
Candeliere.
Concorrono alla formazione del paesaggio sonoro rituale
anche due formazioni bandistiche dislocate lungo il percorso della discesa.
Una si trova davanti
al Palazzo di Città e
rappresenta acusticamente l’Amministrazione Comunale
posizionata
all’ingresso dell’edificio.
La banda, con le sue
marce allegre, accoglie e saluta ciascun
Gremio. Qui il candeliere effettua una
sosta per ballare sulle note dalla banda
e, successivamente, ricambia il saluto
con un ballo eseguito col solo accompagnamento del tamburo (e del piffero
per i Viandanti) per poi riprendere la
discesa. Uno dei brani più popolari e richiesti è l’imponente Marcia Sassari. Un
altro corpo bandistico, invece, riceve i
Candelieri all’arrivo sul sagrato della
Chiesa di Santa Maria di Betlem.
Le composite sonorità della festa invadono le strade deputate al rituale
con effetti di assolvenza e dissolvenza, sovrapponendosi al clamore degli spettatori (sassaresi e turisti) che
hanno anch’essi la loro parte nel rito e
uno speciale modo di inserirsi nel paesaggio sonoro, ribadendo non solo la
loro presenza, ma anche l’accorata partecipazione: incitano i portatori a far
ballare il Candeliere intonando l’ormai
celebre motto “fallu baddà, fallu baddà”. La presenza della voce si somma
agli strumenti, il suono si rivela ancora
elemento aggregante e socializzante
per la comunità intera. Il corteo con i
ANTAS
Il tamburo di Sassari deriva sostanzialmente da quelli in uso nelle bande musicali dell’Ottocento e, in questo, differisce dagli altri tamburi usati in Sardegna
sia per la foggia che per i materiali di
costruzione. Il piffero ci riporta anch’esso alle bande militari o comunque alle
formazioni orchestrali ed esattamente
all’ottavino, piccolo flauto dal registro
acuto che a Sassari recentemente è stato sostituito da un flauto appositamente costruito.
Data la mancanza di fonti scritte non
possiamo conoscere i repertori eseguiti in passato, ma le odierne melodie
per piffàru e tamburo sono influenzate
da moduli ritmici e melodici di varia
provenienza, come è consueto in una
ambiente culturale dinamico e aperto
come quello urbano.
L’accompagnamento musicale del
tamburo (o della coppia piffàru-tamburo) è sostanziale: incita al movimento
e conferisce solennità ai gesti dei portatori (per esempio quando un candeliere posato a terra deve essere sollevato,
il tamburinaggiu suona la cosiddetta
alzata); il ritmo del tamburo coordina
inoltre i movimenti e i passi dei portatori, che eseguono i balli specifici del proprio Gremio. I brani musicali tipici della
Faradda sono lu baddu saldu e la danza. Il primo ha un andamento ritmico
e melodico che richiama il ballo sardo
e viene utilizzato per far roteare su se
stesso il Candeliere; il secondo, caratterizzato da un intenso rullato, accompagna gli spostamenti rapidi e la discesa a
zig zag dei candelieri. Altro brano caratteristico è la raspa eseguita dal tamburo, che richiama il ritmo di una famosa
polka messicana degli anni ’50. Questa
guida i volteggi del candeliere portato
a braccia (e quindi non sulle spalle) e si
presta, a seconda del Gremio, alla rea-
gli speciali di Antas
Intervista a Francesco Simola,
tamburino del Gremio dei falegnami
ANTAS
30
testo di Marco Dettori*
“IL RITMO
DEI TAMBURI
È IL MIO PANE
QUOTIDIANO”
Discesa dei Candelieri e tamburo: un
binomio indissolubile che forse ha
origine con la festa stessa. La testimonianza di uno dei tamburini più esperti
ci offre un aspetto inedito e sconosciuto ai più della Faradda e della vita dei
Gremi. Francesco Simola, classe 1988,
tamburino del Gremio dei Falegnami,
batterista, maestro di ritmica presso
l’associazione “Passione, arte e ritmo
del tamburo”, nonché esperto costruttore di tamburi tradizionali, ci aiuta a
capire come nasce un tamburo e come
si suona.
facendo mi tengo sempre in allenamento.
Come ti sei avvicinato alla tradizione
dei Gremi e dei Candelieri?
Ho sempre abitato al centro storico, sono
nato lì, in mezzo al suono della festa, ai
suoi colori, al ritmo dei tamburi ed a tutto
ciò che rappresentano i Gremi e i Candelieri. Per me sono come il pane quotidiano.
Da quanto tempo suoni il tamburo?
Posso affermare di essere nato con il tamburo tra le mani. Faccio parte del Gremio
dei Falegnami oramai da 13 anni; praticamente una vita.
Cosa rappresenta e come si svolge
per te la Discesa dei Candelieri?
Per me è sempre un’emozione fortissima
che vivo durante tutto l’anno; naturalmente più ci si avvicina alla festa, più
cresce l’adrenalina e la voglia di dare il
proprio contributo.
Ci sono poi delle tappe simboliche importanti, come ad esempio il percorso in cui
si porta il Candeliere in Piazza Castello
prima della Faradda; ecco, questo è un
momento molto particolare nel quale si
accumula tutta la tensione per la preparazione all’evento.
Come hai imparato a suonare?
Sono autodidatta; certo è che come presupposto fondamentale bisogna avere
tanto orecchio ed un senso della ritmica
impeccabile, questa è la base. Ho comunque frequentato il conservatorio per
avere delle nozioni di solfeggio, suono la
batteria, impartisco lezioni di ritmica sul
tamburo con la mia associazione e così
Ci racconti com’è fatto e come si costruisce un tamburo?
Il tamburo è composto da sei elementi: i
cerchi di legno di faggio; la cassa di ottone; le pelli, che possono essere di capra,
capretto o asino; la corda; il timpano; i
tiranti di accordatura.
Per quanto riguarda la costruzione, la
prima fase è rappresentata dalla concia-
Quanto è importante conoscere il
proprio strumento e saperlo suonare?
Più che importante è fondamentale:
dall’inizio della costruzione fino all’accordatura tutto deve essere impeccabile.
Lo strumento è soggetto al cambiamento
delle condizioni atmosferiche e richiede
quindi particolare cura ed attenzione, in
modo tale che suonarlo sia sempre un
vero piacere.
tura delle pelli essiccate: una volta eliminate le impurità superficiali attraverso
l’utilizzo di alcuni detergenti, vengono
sistemate su un telaio per poter conferire
loro una prima “forma”. Si passa così al
secondo step: le pelli vengono messe a
bagno in una soluzione di acqua e calce,
in percentuali differenti, per 18-20 giorni;
con l’utilizzo della pietra pomice, di alcuni raschietti, bisturi e tanto olio di gomito
si continua la fase della conciatura per
eliminare eventuali cisti ed imperfezioni.
La seconda fase è rappresentata dalla calandratura del legno e dell’ottone, attraverso la quale si conferisce al tamburo la
classica forma tonda e cilindrica.
L’ultima fase è dedicata alla sistemazione
delle corde, dei tiranti, del timpano e alle
finiture (lucidatura, verniciatura, eliminazione imperfezioni).
Mediamente per la costruzione di un
tamburo ci sono necessari dai 6 ai 7 mesi
di tempo.
Ora che abbiamo costruito il tamburo descriveresti quali sono i ritmi che
vengono affiancati alla bandiera e al
Candeliere?
I ritmi che accompagnano la bandiera
sono “il passo”, “il passo di bandiera” e
“il rientro della bandiera”, quest’ultimo
utilizzato quando si riaccompagna a
casa l’obriere al termine delle processioni;
mentre per la discesa dei candelieri, che
richiede un ritmo ben più cadenzato ed
allegro, si eseguono “l’alzata”, “il passo”,
“lo zigolo” e “la samba”.
Marco Dettori, Segretario Commissione
Cultura Intergremio Città di Sassari
ANTAS
31
foto di Giovanni Porcu
i fabbri
i contadini
i falegnami
gli ortolani
i massai
I C A NDEL I ERI
ANTAS
32
I GREMI
foto di Giovanni Porcu
i sarti
i muratori
i calzolai
i viandanti
i piccapietre
ANTAS 33
D I S ASSA R I
Un’esclusiva di
A N TAS
EUGENIO
FINARDI
ANTAS
34
Vi racconto il mio amore per la Sardegna
“La vostra terra è bella come un diamante.
Le Launeddas? Uno degli strumenti più antichi che esistano:
in me risvegliano il ricordo del profumo di rosmarino e ginestra attorno ai Nuraghi.”
testo di Pierpaolo Fadda
foto di Rudy Amisano De Lespin
come ci vedono
A tu per tu
col grande
cantautore
milanese.
Tempo fa, durante
una lunga chiacchierata, mi hai confessato che nelle
pareti della tua casa
conservi in bella
vista le maschere
del Carnevale Barbaricino…
Mentre scrivo, nel
mio studio, ho sopra
la testa la maschera de Su Boe del Carnevale di Ottana…
Grazie a una tua iniziativa è nata
la compilation Arcu ‘e Chelu, con
uno scopo ben preciso: aiutare la
popolazione sarda colpita dal nubifragio. Quando è nata l’idea?
L’idea mi è venuta il giorno dopo la terribile alluvione, leggendo i nomi delle
località più colpite: tutti luoghi in cui ho
suonato e la cui popolazione mi ha accolto come un fratello, nelle loro case,
nella loro vita. Ho sentito il bisogno di
35
Se ti parlo delle Launeddas quali
sensazioni ti vengono in mente?
La Sardegna custodisce un tesoro: vi si
possono ascoltare le antiche sonorità
del bacino del Mediterraneo, antiche
scale Fenicie, Greche, Catalane. Vocalità e modulazioni che hanno accom-
pagnato i viaggi di Ulisse e di Teseo…
Le Launeddas sono uno degli strumenti più antichi che esistano e in me
risvegliano ricordi ancestrali che sembrano venire dal midollo: il vento che
spingeva la nave di Ulisse, gli accampamenti Fenici, il profumo di rosmarino e
ginestra attorno ai Nuraghi.
Uno dei momenti più intensi della mia
carriera è stato cantare AMORE DIVERSO in limba con Franca Masu, accompagnati dal suono primordiale delle
Launeddas del grande Luigi Lai a Cagliari per l’evento “Sardegna Chi_Ama”.
Ami molto anche il canto a Tenore:
sbaglio o lo hai inserito in una tua
produzione discografica?
L’ho fatto proprio nell’incisione di
AMORE DIVERSO in
logudorese con Carla Denule, che ne ha
curato la splendida
traduzione.
ANTAS
Eugenio, la prima domanda è d’obbligo: cosa ti lega alla Sardegna?
Quarant’anni di frequentazione che
mi hanno portato ad una conoscenza
profonda di ogni suo angolo. La Sardegna è un continente con realtà geografiche e culturali diversissime, anche se
topograficamente vicine. Logudoro,
Ogliastra, Campidano, Gallura o Barbagia sono molto diverse tra loro e all’interno hanno ulteriori micro realtà con
sfaccettature sempre sorprendenti.
Come un diamante.
Io ho avuto l’opportunità e l’onore di
essere invitato a conoscere queste diverse facce proprio nel momento più
intimo: la festa, quando la comunità
celebra la propria identità.
Eugenio Finardi con Gigi Sanna
degli Istentales e Tullio de Piscopo.
Foto di Stefania Canu
foto di Chiara Mirelli
Quando parli di Eugenio Finardi ti viene
in mente la sua “musica ribelle”, il blues,
il rock. Ma vederlo sul palco di una festa
paesana della nostra terra vestito in velluto ti fa pensare alla Sardegna. Perché
Eugenio è uno di noi: milanese ma sardo
d’adozione, come ci racconta in questa
chiacchierata in esclusiva per Antas.
fare qualcosa e ho condiviso questo
sentimento sulla mia pagina Facebook.
Hanno risposto centinaia di migliaia di
persone e tantissimi colleghi di ogni
genere musicale. Così, in meno di un
mese questa “piccola idea” è diventata
una realtà che ha già dato i suoi primi
frutti. A Settembre, alla riapertura delle
scuole, i bambini dell’istituto più colpito si accomoderanno in cinque aule ristrutturate con il frutto delle nostre voci!
Con Carla Denule hai duettato in
AMORE DIVERSO e naturalmente
hai inserito le launeddas di Roberto
Tangianu…
Carla mi ha fatto il grande onore di tradurre una delle mie canzoni che mi è
più cara: AMORE DIVERSO, scritta alla
nascita della mia figlia primogenita
Elettra.
ANTAS
36
foto di Andrea Pintaldi
Da alcuni anni hai stretto un sodalizio artistico con la band nuorese degli Istentales: ci racconti come li hai
conosciuti?
Me li ha presentati Roberto Vecchioni.
Gigi Sanna è una mente vulcanica che
continua ad eruttare idee, iniziative,
collaborazioni ed è anche un grande
amante e conoscitore delle tradizioni
sarde. Indimenticabile la vista di Gigi
sul ponte del naviglio ticinese a Milano
vestito da capo a piedi in “velluto”, con
i gambali e la sacca piena di pecorino di
primissima qualità!
[il sardo]
...una lingua nella quale
mi sento a mio agio,
espressiva e antica...
L’abbiamo poi incisa d’inverno a Sassari
con un gruppo di straordinari musicisti
sardi e l’ho pubblicata nella mia compilation UN UOMO. Mia figlia Francesca, che aveva allora 7 anni, l’adorava e
se l’è imparata tutta in perfetto logudorese!
Il brano si apriva e chiudeva con le
launeddas di Roberto Tangianu, bravissimo e caro amico.
Andrea Parodi e Maria Carta: un tuo
ritratto di questi due grandi artisti…
Due delle più belle voci, se non addirittura le più belle voci in assoluto, della
canzone italiana. Ho una versione di
NO POTHO REPOSARE cantata da Andrea con Noa che non riesco ad ascol-
ASCOLTIAMO
ARCU ‘E CHELU è il doppio CD uscito anche in digitale
il 17 Dicembre per raccogliere fondi a favore della
Croce Bianca di Olbia che li devolverà alle scuole. Un
obbiettivo semplice e realistico senza pastoie burocratiche
e lungaggini che potrà portare in breve tempo un aiuto
tangibile e concreto per il ritorno alla normalità dei
bambini della nostra amata Sardegna.
Dal vivo in tutta Italia con il suo
suono inconfondibile
EUGENIO FINARDI, considerato un guru nel panorama cantautorale
italiano per il suo percorso unico, fatto di continue sperimentazioni ed
esplorazioni artistiche, torna in scena in tutta Italia con il suo inconfondibile
sound, reinterpretando live i grandi classici del suo repertorio e gli inediti
del nuovo album “Fibrillante” (prodotto da Max Casacci dei Subsonica).
Ad accompagnare sul palco Eugenio Finardi nel suo show energico e
sorprendente, è la band con cui ha scritto e registrato “Fibrillante”: Giovanni
“Giuvazza” Maggiore alla chitarra, Marco Lamagna al basso, Claudio
Arfnengo alla batteria e Paolo Gambino alle tastiere.
37
Che emozioni provi a cantare in sardo? Ho sempre in mente la tua splendida interpretazione di “Deo ti ghe-
ria Maria”…
È una lingua nella quale mi sento a mio
agio, espressiva e antica, alla quale la
mia voce si adatta bene. Mi piace molto
cantare in limba.
Hai mai pensato di lasciare la tua Milano per trasferirti nella nostra isola?
Magari! Se solo i collegamenti anche
invernali fossero meno precari…
Ma il sogno di una casetta a metà strada tra mare e montagna rimane. Forse
un giorno, chissà…
ANTAS
tare senza che mi vengano le lacrime
agli occhi! Maria Carta è colei che, come
molte cantanti sarde, Franca Masu, Elena Ledda e altre, tengono viva in Italia
la vocalità femminile che io chiamo “il
canto della Madre”.
Voci Mediterranee come Amalia Rodrigues e Dulce Pontes, Omm Calzum,
Feiruz, Noa la cui tradizione in Italia è
stata spazzata via dal modello vocale
Yé Yé, come Mina per intenderci, che
ha però perso molta della dolcezza e
delle sfumature che le voci femminili
dovrebbero avere.
primo piano
Abbiamo
incontrato lo
scrittore di Uta
FLAVIO
SORIGA
Il mio mestiere è raccontare storie
“Il Premio Calvino? È importante, l’inizio di un percorso, non un punto
d’arrivo. Io scrittore affermato? Mi definisco uno scrittore onesto,
faccio il mio lavoro e vendo abbastanza per essere pubblicato.”
testo di Pierpaolo Fadda
ANTAS
38
Parlare con Flavio Soriga è sempre un piacere e non smetteresti mai di farlo. Scrittore di successo, autore televisivo, direttore di festival letterari, giornalista, Flavio ha accettato col
solito garbo e cortesia di rilasciare quest’intervista ai lettori
di ANTAS.
Partiamo da Uta, tuo paese natale: che ricordi hai della
tua infanzia?
Le infanzie nei paesi sono tutte meravigliose, è come crescere in un parco giochi. Adesso sono a Uta, nella casa dei miei
genitori, davanti a un paesaggio meraviglioso, perché la Sardegna è anche la combinazione di certi colori, di certi alberi.
Magari i colori della nostra natura non sono i piu rigogliosi
del mondo, ma tu li ricordi bellissimi perché sono quelli che
hai visto quando sei cresciuto. Quel fico piantato da mio nonno in una strada anonima della periferia di Uta per me è piu
bello di qualsiasi albero del pane che si possa vedere sulla faccia della terra. Anche questa per me è letteratura: provare a
raccontare per tutta la vita quello che hai vissuto da piccolo.
E quando hai deciso che saresti andato via?
Quando ho iniziato a star male la sera perché qualcosa mi
bruciava dentro e mi portava a fare lunghe passeggiate da
solo. Avevo capito che c’erano troppi fantasmi, troppo fuoco dentro: a un certo punto della vita capisci che il mondo è
grande e lo vuoi esplorare.
ANTAS
39
foto di Simona Toncelli per Caliles.com
Mi suggerisci un’altra domanda:
quando hai capito di essere diventato uno scrittore affermato?
Io non sono uno scrittore affermato: mi
definisco uno scrittore onesto, faccio
il mio lavoro e vendo abbastanza per
essere pubblicato. Gli scrittori affermati
sono quelli spesso costretti a dire di no
agli inviti all’estero, quelli assillati dagli
editori e dai fan. Io, ribadisco, sono un
scrittore onesto e l’ho capito quando,
prima di scrivere il mio secondo libro,
ho fatto questo ragionamento: mi
prendo un anno, provo a scriverlo e se
me lo pubblicano bene, altrimenti mi
rimetto a studiare e cerco un lavoro.
Avevo 25 anni e potevo ancora permettermelo. Tutto questo lo dico, sia chiaro, con la sana invidia per chi vende un
milione di copie: dev’essere una bella
sensazione…
Nel tuo splendido romanzo del 2008
Sardinia Blues affronti il delicato problema della tua malattia, la talassemia. Perché hai sentito l’esigenza di
farlo?
Forse perché non l’aveva fatto nessuno
e forse perché è la cosa più importante
della mia vita assieme al fatto di essere
un provinciale. Ecco, io mi considero
un “sardo, provinciale e talassemico” e
queste tre cose hanno persino dei legami. Io sono cresciuto con l’idea che la
talassemia fosse una malattia “sarda”,
finchè non sono arrivato a Londra. Lì ho
ANTAS
40
...la vita dello scrittore non
è una sera al Premio Strega
e un’altra in una terrazza a
parlare di Proust...
incontrato ciprioti, greci che, a loro volta, consideravano la talassemia come
la loro malattia, esattamente come noi.
Ti confronti scoprendo all’improvviso
che nella faccia dei genitori dei tuoi
coetanei trentenni turchi, indiani e ciprioti c’è la stessa angoscia, premura,
lo stesso amore preoccupato dei tuoi
parenti. Quindi in Sardinia Blues ho provato a scrivere di talassemia senza essere tragico perché non è tragico il mio
modo di vivere la malattia.
La letteratura sarda sta vivendo un
momento di grande popolarità e
successo: ti sei mai chiesto perché?
Ce lo chiediamo tutti continuamente,
ma non troviamo una sola risposta.
Credo che ci siano una serie di motivi
alla base del successo della letteratura
sarda. Intanto trovo che sia una cosa
incredibile, perché nella storia dell’umanità non c’erano mai stati una decina di scrittori sardi tradotti all’estero.
Pensandoci bene c’è un dato comune
a tutti: nessuno di noi scrittori sardi fa
sperimentazione, anche nobile; tutti,
semplicemente e in modo molto diverso, raccontiamo storie: forse questo è
stato il vero motore per arrivare ai lettori.
foto di Alessandro Cani
Esordisci come scrittore nel 2000:
cos’hai provato quando la tua raccolta di racconti Diavoli di Nuraiò ha
vinto il premio Italo Calvino?
Mi è sembrato già incredibile essere
arrivato in finale. Ricordo che mi ha
chiamato una signora dall’aria nobiliare preannunciandomi che sarei dovuto andare a Torino per la premiazione.
Il Premio Calvino è stata una delle più
belle esperienze della mia vita (tra l’altro la giuria è popolare) e quando mi
è stato comunicato che avevo vinto
si sono immediatamente precipitati i
giornalisti per farmi delle domande.
Però voglio dire a tutti gli aspiranti
scrittori sardi che vogliono partecipare al Calvino che vincere un premio è
l’inizio di un percorso, non un punto
d’arrivo. Devono capire che la vita dello
scrittore non è una sera al Premio Strega e un’altra in una terrazza a parlare di
Proust: è quasi sempre consumare le
scarpe per fare presentazioni in paesi
dove magari vengono dieci persone o
ancora conservare lo scontrino del taxi,
altrimenti non ti rimborsano.
LEGGIAMO
METROPOLIS
2013
Bompiani
pp. 256
€ 17,00
Cagliari, fine estate. In una cabina del lido
Kalaris Giulia Hernandez di San Raimondo,
bella donna appartenente a una delle famiglie
più importanti della città, viene ritrovata morta:
qualcuno ha sfregiato il suo corpo con decine di
coltellate, fuggendo poi nella notte. A indagare
sull’omicidio è il capitano Martino Crissanti,
un carabiniere quarantacinquenne con una
laurea in antropologia e un grande amore per
l’estate, la musica argentina e i tramonti visti dal
quartiere di Castello.
festival mettono in scena una sorta di
spettacolo durante il quale il pubblico
passa un’ora diversa, sentendo cose
alle quali magari non aveva nemmeno pensato leggendo il libro. I reading
sono diventati un vero e proprio lavoro
per noi scrittori. A me piace moltissimo
raccontare storie che magari stanno a
margine del libro.
tino Crissanti, capitano dei carabinieri
barbaricino emigrato a Cagliari che
indaga nell’alta borghesia cagliaritana
per scoprire chi ha ucciso una donna.
La mia idea è quella di scrivere una serie di gialli contemporanei ambientati
in Sardegna: il prossimo libro, ti posso
anticipare che molto probabilmente
sarà ambientato nel Nord dell’Isola.
Oltre a essere scrittore sei anche autore televisivo: ti piacerebbe lavorare alla scrittura di un film?
Mi è anche capitato di farlo, poi il film
non è stato realizzato. Credo che a tutti
gli scrittori piaccia scrivere sceneggiature e non ti nascondo che non mi dispiacerebbe affatto scrivere un film per
un grande regista.
Tre titoli di libri sardi che Flavio Soriga consiglierebbe a tutti…
Assandira di Giulio Angioni, Mal di Pietre di Milena Agus e La ragazza perduta
di Salvatore Mannuzzu.
41
Parlaci del tuo ultimo romanzo Metropolis.
È un classico romanzo giallo con Mar-
Che suggerimento daresti a tutti i
giovani che vogliono avvicinarsi alla
scrittura?
Leggere molto, viaggiare il più possibile e infine partecipare al premio Calvino.
ANTAS
Perché ami moltissimo i reading letterari e musicali?
Io mi diverto a incontrare i lettori, a
capire chi sono e se posso anche a leggere le storie che scrivo. Oggi gli scrittori, ma persino gli economisti, quando
vanno in giro a presentare i libri nei
foto di Alessandro Cani
Il tuo impegno nella diffusione della cultura è ormai
noto: direttore artistico del
Festival “Sulla Terra leggeri” dell’Argentiera sopra
tutti. Quest’ultimo lo hai
definito una sorta di Woodstock sarda della cultura. Mi
spieghi meglio?
Tu pensa a un posto particolare, quasi assurdo, in riva al
mare, in un vecchio borgo di
minatori. Un posto alla fine
del mondo dove arrivano tutti alla spicciolata finché non si
riempie di gente. Ecco, immagina uno scrittore affermato
che arriva in questo luogo deserto della Sardegna e pensa:
“Soriga è matto perché mi ha
portato in questo angolo di
mondo sperduto dove ci sono solo le
rovine di una miniera”. Poi la sera questo luogo si riempie di gente come per
miracolo, com’è successo a Woodstock
quando nessuno si attendeva la grande folla. Ecco, all’Argentiera capita un
fenomeno simile: arriva una marea di
gente e non capisci da dove provenga.
E poi - credo di non sbagliarmi - è l’unico festival letterario al mondo dove
c’è il dj set in spiaggia e peraltro la selezione dei dischi è curata da due scrittori, Federico Russo e Corrado Fortuna:
quindi diventa un dj set letterario.
focus musica
L’originale idea
di quattro
ragazzi sardi
Quando il palco è una vecchia sedia
ANTAS
42
testo di Diego Pani foto di Sara Montalbano
Non ci sono luci di scena, macchine del fumo, montaggi sincopati o effetti speciali. C’è solo un musicista, sta seduto su
una vecchia sedia e suona la sua musica, e dietro di sé ha
solo il paesaggio. Pochi elementi costituiscono i video de Su
Scannu Sessions: brani acustici registrati in giro per Cagliari,
assoluta novità made in Sardinia, che poco più di un mese fa
ha fatto la sua prima comparsa sui social network. Su Scannu
Sessions è un’idea che coinvolge quattro ragazzi sardi innamorati della musica: Alberto Murru, Marco Bocchetta, Antonio Congiu e Sara Montalbano. Da loro arriva questo progetto ispirato da nomi come Balcony Tv, Npr Sessions, Side Show
Alley. Musica acustica, unplugged, immersa in contesti urbani
e suburbani, angoli che diventano la scenografia ideale per
la performance musicale. Al centro dell’esibizione un palco
inusuale: una vecchia sedia di legno che diventa il baricentro
delle esecuzioni musicali, filmate interamente dal vivo e caricate sulla rete. Per scoprirne di più ho contattato Alberto, uno
dei ragazzi responsabili del progetto.
Da dove nasce l’idea de Su Scannu Sessions?
Tutto è nato in casa a Cagliari, dalla passione per i video, visti
su YouTube, di sessioni live di diversi artisti registrate magari
negli Stati Uniti o nel Regno Unito. Da qui l’idea di portare
queste video sessions musicali in posti suggestivi di Cagliari,
che non per forza dovevano essere degli spot esteticamente
perfetti, ma potevamo rappresentare le diverse anime della
città, anche grazie all’utilizzo di aree urbane abbandonate,
viste attraverso la prospettiva della camera e trasformate grazie alla musica. Dietro Su Scannu Sessions operano ora quattro
ragazzi che attraverso la musica riscoprono paesaggi e ambientazioni abbandonate o semplicemente nascoste dalla
quotidianità. Attraverso gli artisti coinvolti, per qualche minuto, queste locations vengono trasformate in luoghi privilegiati, palcoscenici suggestivi. I primi video nascono a Cagliari,
perché è questa la città in cui viviamo, il terreno che meglio
conosciamo.
Il legame con il territorio è quindi
centrale per tutto il progetto…
Il nostro vuol essere quasi un ringraziamento al territorio. La nostra scenografia principale è il posto in cui viviamo e
queste sessioni sono, in qualche modo,
una sua chiara celebrazione. Allo stesso
modo, le sessioni possono essere una
spinta verso un avvicinamento di molti artisti esteri verso la Sardegna. Speriamo vivamente di arrivare ad artisti
che mai si sono esibiti in Sardegna, di
essere i primi a portare nuova musica
nell’Isola attraverso le sessioni.
Che cosa riserverà il futuro per il vostro progetto?
Adesso giriamo i nostri video per
Cagliari, ma vogliamo in futuro uscire
dalla città e cercare di organizzare
sessioni in giro per la Sardegna. In
seguito vorremmo stabilire delle
collaborazioni con alcuni festival
sardi, per organizzare delle sessioni
all’interno di altre rassegne e, allo
stesso tempo, creare un festival tutto
nostro, in collaborazione con altre
realtà sarde. Il fine ultimo è comunque
dare risalto a tutti gli artisti che ci
offrono la propria musica; riuscire a far
sì che le nostre playlist si trasformino in
proficui spazi di promozione culturale.
Seguite le sessioni live di Su
Scannu attraverso i social
network.
www.facebook.com/suscannu
www.twitter.com/SuScannu
http://instagram.com/
suscannusessions
www.youtube.com/channel/
UCJ4ozOleHNpTb10BoyvyBxQ
43
Come mai Su Scannu?
L’idea dello Scannu è innanzitutto relativa al suono della sua pronuncia e
all’immagine di questa vecchia sedia immersa nel paesaggio
che si trasforma in
un piccolo palco, una
scenografia portatile
che diviene centrale
per le performance
artistiche a cui facciamo riferimento.
La sedia viene usata
in maniera differente a seconda di chi
suona: l’artista ci si siede, ma può anche solo rimanerci vicino. In ogni caso
rimane l’elemento al centro del video,
il vero e proprio stage. Una scelta come
la nostra è derivata anche dall’idea di
spogliare la musica dalla grande infrastruttura del grosso concerto, del grosso palco, riportarla un po’ al suo lato
più essenziale, scoprire come l’artista
riesca a giocare con il solo paesaggio,
con il contesto esecutivo con il quale è
chiamato a raffrontarsi.
ANTAS
Come avete lavorato alla prima realizzazione del progetto?
Abbiamo iniziato a lavorare sulla prima
idea mettendo in gioco diverse possibilità di elaborazione, capendo su che
elementi fare perno per dare continuità comunicativa al progetto. Quasi per
gioco Marco ha proposto di usare come
elemento centrale, presente in tutti i
video, unu scannu, una vecchia sedia
di legno che aveva trovato durante
un trasloco. Da qui l’idea de Su Scannu
Sessions. Abbiamo in seguito investito
sul materiale tecnico, acquistando un
microfono ad alta definizione, in modo
da registrare gli artisti dal vivo con la
maggiore qualità di ripresa possibile.
Infine, ci siamo rivolti a diversi videomaker, illustrando le peculiarità e le richieste tecniche di un progetto come il
nostro, che non sono poche. Abbiamo
infine allargato la squadra con Antonio,
che ha cominciato a occuparsi delle registrazioni dal vivo, e con Sara, che è diventata a tutti gli effetti la videomaker
del progetto. Il primo artista coinvolto,
il cagliaritano The Heart & The Void, si
può dire che abbia fatto un po’ da cavia.
Con la sua registrazione abbiamo sperimentato inquadrature e metodi di ripresa differenti e siamo molto contenti
di questo primo risultato. Già dalle prime sessioni ci siamo dati una struttura:
dalle inquadrature alla ripresa audio,
abbiamo dato peso a ogni scelta tecnica, anche la più piccola.
foto di Valentino Congia
focus teatro
Conosciamo
meglio
Michela Sale Musio
e Tiziana Troja
LUCIDOSOTTILE
Le contaminazioni teatrali senza confini
ANTAS
44
testo di Matteo Mazzuzzi
Dal teatro alla danza, sino alla musica e alle arti figurative, attraversando con la stessa disinvoltura il dramma e la satira in
una continua contaminazione proiettata al futuro. Potremmo
definire così le LucidoSottile, compagnia cagliaritana che da
oltre 10 anni contribuisce ad allargare gli orizzonti del teatro
in Sardegna e in Italia. Potremmo ma non dovremmo. Solo
loro stesse a dirlo: «Si tenta sempre di definire il nostro lavoro.
È una sfida e ancora nessuno c’è riuscito. Noi pensiamo non sia
necessario».
SUCCESSO E BATTAGLIE
Eppure ci si chiede perché Michela Sale Musio e Tiziana Troja,
in arte “Le Lucide”, attirino l’attenzione del pubblico e degli
addetti ai lavori tanto da aver convinto recentemente la direzione artistica del Fringe Festival di Madrid a invitarle (unica
compagnia italiana) alla prestigiosa manifestazione spagnola. Loro ne fanno una questione di obiettivi: «Quando ci conoscemmo, il teatro-danza non attirava pubblico. Andavamo
a vedere spettacoli con platee semivuote. Uno dei nostri primi
foto di RigaNera + Ales&Ales
BREVI CENNI BIOGRAFICI
LucidoSottile è una compagnia teatrale,
riconosciuta dal Ministero per i Beni e le
Attività Culturali della Repubblica Italiana,
attiva dal 2003 e diretta da Michela Sale
Musio e Tiziana Troja, attrici, coreografe,
cantanti, registe con un’esperienza ventennale alle spalle. Il loro lavoro spazia dalle
arti visive alla musica, dal canto alla danza,
fino al cinema e alla fotografia, toccando
generi molto diversi fra loro quali il teatro-danza, il teatro comico e quello d’avanguardia, con risvolti di impegno sociale e
di politica culturale. Per la loro capacità di
mescolare i linguaggi artistici e per il loro
peculiare stile comunicativo, spesso satirico
e anticonformista, LucidoSottile costituisce
un punto di riferimento importante per il
movimento teatrale isolano.
45
IL DIRITTO DI ESISTERE
Tra gli obiettivi futuri della compagnia
ce n’è uno essenziale: la permanenza,
insieme alle altre associazioni, all’ex Liceo Artistico di Piazza Dettori: «In questi
anni abbiamo aperto questo spazio a
chiunque ne facesse richiesta, restituendo al quartiere un indotto esagerato e
fornendo un servizio sociale e culturale
a prezzi popolarissimi. Verremo mandate via per motivi di sicurezza, eppure ci
sembra che molti edifici scolastici siano
nella stessa situazione dell’ex artistico».
La speranza è quella di una conclusione
positiva della faccenda: «L’associazionismo spontaneo che gestisce l’ExArt sta
funzionando: insieme alle altre compagnia che occupano questi locali ci stiamo
impegnando a metterli a disposizione di
tutti, senza finanziamenti».
ANTAS
LUCIDA COMUNICAZIONE
Gli spettacoli delle LucidoSottile sono
spesso irriverenti, satirici, e creano dibattiti nella politica e nell’opinione
pubblica. Come artiste sentono il dovere di provocare una reazione nella gente. Ma non si tratta sempre di strategie
pianificate: «La nostra comunicazione
è volutamente provocatoria, ma tutte
le polemiche che ci hanno circondato
non fanno parte di un piano. Per fare un
esempio, quando non potemmo fare lo
spettacolo “Holy Peep Show” all’orto botanico nel 2011, perdemmo molti soldi e
questo non ci fece piacere. Quel tipo di
comunicazione è stata incidentale, ma
ovviamente noi abbiamo cercato di usarla a nostro favore». Michela e Tiziana
rispediscono al mittente la definizione
“grandi comunicatrici artisticamente
deboli” e rivendicano la loro attenzione
per la promozione degli eventi: «Siamo
state le prime a usare i manifesti 6x3 per
promuovere uno spettacolo teatrale e
facciamo tutto senza un creativo ad hoc.
Gli esperti stentano a credere che gestiamo in prima persona la comunicazione e
cercano di capire le nostre strategie. Ma
per noi è un processo naturale: una volta finita la creazione artistica, lavoriamo
alla promozione».
foto di P. Fusciani
scopi è stato quello di riempire il teatro».
Era il 2003, anno di fondazione della
compagnia. Alle spalle, per Michela e
Tiziana, carriere diverse ma con tante
cose in comune e lo stesso linguaggio,
fatto di mille espressioni differenti. Si
capisce subito che qualcosa di nuovo
è arrivato in Sardegna, una commistione di arti e generi mai vista prima. Ma
la vera rivoluzione, per loro, è un’altra:
«Siamo fiere di aver aperto nuovi percorsi
artistici nella nostra regione. Tuttavia la
novità è stata un’altra: unire le compagnie, creando alleanze per mettere fine
alle eterne diatribe nel mondo teatrale
sardo». Dietro alla considerazione c’è
l’accusa (o la constatazione): «Per il
poco tempo che ci siamo formate in
Sardegna abbiamo osservato il
peggio dell’ambiente teatrale
isolano, in cui ognuno coltiva il suo orticello e manda avanti le sue persone, senza avere contaminazioni o altre
influenze. LucidoSottile ha rotto
queste barriere e ha creato un disequilibrio enorme». Perché quindi non unirsi,
valorizzando le differenze e realizzando
un prodotto artistico più brillante e appetibile? L’idea ha trovato terreno fertile negli attori delle altre compagnie,
per troppo tempo abituati a lavorare in
gruppi nettamente distinti e contenti di
poter sperimentare. Ma il percorso non
è facile, viziato com’è da decenni di pregiudizi: «Abbiamo combattuto contro il
vero problema del teatro in Sardegna: la
pratica quasi virale del disconoscimento
della professionalità altrui, che parte dal
nostro ambiente e giunge sino alla politica, che non allinea questo settore al pari
delle altre imprese».
focus cinema
Un totale dell’attore Maurizio Pulina durante
le riprese del film “Quella sporca sacca nera”,
Presso il Tacco calcareo di Perda Liana. Gairo
(Og)
QUELLA sporca
sacca NERA
Lo spaghetti-western ogliastrino
Una miniserie in quattro episodi diretta dal regista Mauro Aragoni
ANTAS
46
testo di Simone Cardia foto di Fabio Anedda
“Un freddo e spietato cacciatore di taglie è alla ricerca di 2 banditi. Le tracce lo portano in terra di confine, dove
i problemi saranno i primi ad arrivare.
Il contenuto della sacca nera che porta con sé verrà scoperto dalle persone
sbagliate, che faranno di tutto per averlo”.
Una sacca intorno alla quale ruota tutta
la serie diretta da Mauro Aragoni, giovane regista di Tortolì, e scritta in collaborazione con Roberto Comida, come
produzione indipendente della Pulp
R. Studio. Il regista, fortemente appassionato del genere western e attirato
dalla bellezza della sua terra, decide
di far sposare lo stile cinematografico
con gli scenari ogliastrini, ottenendo
un risultato che certamente soddisferà
il pubblico. Location suggestive immerse in una natura selvaggia come
quella della vallata del Golgo a Baunei,
caratterizzata da strapiombi e gole
carsiche ricoperte dalla tipica macchia
Backstage. Da sinistra: attori Maurizio Pulina e
Giovanni Cabras durante le prove sul set
Nella prima parte il western è intriso di
una vena horror, mentre la storia ruota
intorno al mistero della sacca, che svelerà il suo contenuto già dopo i primi
minuti. Il secondo episodio inizierà a
mutare nel genere, abbandonando le
scene un po’ crude e richiamando progressivamente quel vecchio western in
stile Clint Eastwood ma in confezione
moderna e sempre ricca di colpi di scena, in cui l’onore sarà il tema centrale.
Una rosa di attori professionisti e non
compongono il cast scelto dal regista
in collaborazione con Maurizio Pulina, anch’egli attore: Antonio Luvinetti,
Giovanni Cabras, Francesco Palmieri,
Valeria Secchi, Mauro Aragoni e Massimo Pes. Tra i collaboratori Alessandro
Fele agli effetti speciali, Alessio Cuboni
come aiuto regia, Alessandra Aragoni
al make-up, Fabio Anedda alla fotografia di scena, Pier S.J e Francesca Farina
Primo piano di Maurizio Pulina. Scena del film
Backstage. In primo piano il regista Mauro Aragoni che riprende Maurizio Pulina a cavallo durante
il tramonto nei pressi di Perda Liana.
La maggior parte
della musica è stata
scritta prima del film
per costumi e oggettistica.
Fondamentale la colonna sonora, scritta e ideata da Antonio Manca in collaborazione con il regista. “La maggior
parte della musica è stata scritta prima del film”, afferma Mauro Aragoni,
“proprio per ricreare le sensazioni e le
emozioni giuste per montare il video.
In questo modo il film viene sviluppato seguendo la musica. Antonio, dopo
avergli proposto il progetto, fu felicissimo perché disse che anche Morricone
e Leone utilizzavano la stessa tecnica
e io ne ero ignaro; mi ha fatto piacere
che dei grandi del genere la pensassero come me. Non credo che il resto
del cinema funzioni così: penso che i
musicisti siano quasi sempre costretti a
creare seguendo i sincroni di un video
già pronto; il che va bene, penso sia la
prassi. Infatti per la scena del saloon la
musica è stata creata successivamente,
ma per la maggior parte del film no: la
colonna sonora era già pronta settimane prima di girare e questo ha suggestionato attori e macchinisti, aiutando
tutti ad immedesimarsi nel vecchio
west”.
Musiche ispirate dalle creazioni di
Ennio Morricone, l’emblema italiano
della musica western, che compose la
colonna sonora de “Il buono, il brutto,
il cattivo” di Sergio Leone. Il musicista
ha avuto modo di ascoltare i brani di
Antonio Manca mostrando interesse e
apprezzamento.
Se il lavoro di Mauro Aragoni sia il punto di partenza per una rinascita dello
spaghetti-western made in Italy, più
precisamente made in Sardegna, sarà il
pubblico a deciderlo.
47
Quattro episodi, rispettivamente di
quindici minuti l’uno, compongono la
serie. L’uscita del primo è prevista sul
web a cavallo tra Luglio e Agosto 2014.
Un’opera realizzata grazie ai duemi-
la euro spesi da regista, produttori e
co-produttori: Giovanni Cabras, Alessio
Cuboni, Fabrizio Fanelli, Raffaella Meloni e l’azienda 3i Energia.
ANTAS
mediterranea, scelta in particolare per
la caratteristica chiesa situata in un piccolo altipiano che rievoca le scene del
film “Per qualche dollaro in più”. Perda
Liana, formazione montuosa a tacco situata nel comune di Gairo, a cavallo tra
Ogliastra e Barbagia di Seulo, rievoca i
tipici scenari del western americano.
Il Flumendosa scorre in profonde valli
ricoperte da ricche e folte foreste, distese di pietre bianche e carcasse di animali, che naturalmente vanno a morire
su quelle rive e risultano fondamentali
per le scene tetre e cupe. L’Horse Country Resort di Arborea è stato scelto per
le scene della città e del saloon: inizialmente era prevista la realizzazione di
queste ultime scene nel villaggio di San
Salvatore, già utilizzato per altre opere
western, ma esso si è rivelato troppo
dispendioso e difficilmente adattabile
alla fotografia.
foto di Grazia Porqueddu
focus cinema
BONIFACIO
ANGIUS
L’esordio del regista sardo al Festival di Locarno e la genesi di
PERFIDIA, un film ambientato nella Sassari dei giorni nostri.
ANTAS
48
testo di Valentina Pintor
Classe 1982. Il suo secondo lungometraggio è in concorso
quest’anno alla 67esima edizione del Festival del Cinema di
Locarno, che si terrà dal 6 al 16 Agosto e che verrà inaugurato
da Lucy, film di Luc Besson, con protagonista Scarlett Johansson. Bonifacio Angius presenta in grande Perfidia, unico film
italiano in gara con altri 16 lungometraggi, già riconosciuto
dal Ministero per i Beni Culturali come “Film di interesse culturale nazionale”. Abbiamo intervistato il regista sassarese a
pochi giorni dalla presentazione del film in uno dei Festival
più importanti del Cinema.
La prima domanda (quasi sempre la più scontata) sorge
spontanea: come ci si sente a rappresentare l’Italia, o ancor meglio, il cinema sardo, e ad essere l’unico regista italiano in gara ad un evento come la 67esima edizione del
Festival del Cinema di Locarno?
Quando mi è stato detto che avremmo partecipato al festival
ho provato una grande gioia, soprattutto per il fatto di esserci con un film come Perfidia: una pellicola molto personale,
che racconta un mondo fatto di personaggi abbandonati a
loro stessi. La sensazione di avere la possibilità di aprire una
finestra su questo mondo è motivo di
grande soddisfazione. Il fatto di essere
l’unico regista sardo o italiano, o del mio
rione, non fa tanta differenza.
Il tuo primo lungometraggio, Sa Grascia, ambientato anch’esso in Sardegna, è un road movie surreale e di formazione. È stato difficile passare da
un film quasi onirico al realismo che
impregna Perfidia?
Sa Grascia è un film completamente diverso non solo per quanto riguarda la
messa in scena, ma in ogni dettaglio. È
completamente l’opposto dal punto di
vista dell’approccio al lavoro. Non so se
sia stato più difficile realizzare Perfidia
che, sicuramente, è un racconto molto
più crudo e violento.
Perfidia è la storia di un padre e un figlio che si avvicinano quando ormai è
troppo tardi. La storia di un padre assente, che solo dopo la perdita della
moglie si rende conto di non essersi
mai occupato del figlio, abbandonato a se stesso, senza speranze, senza
futuro, senza sogni, senza un lavoro.
Se Sa Grascia nasce da una foto di tuo
sione autentica, mostrarlo in tutta la
sua moltitudine di comportamenti ed
espressioni, sentirne l’umanità nella
sua cruda pienezza. Questo utilizzando
il mezzo cinematografico con lo scopo
di raggiungere un’esperienza singolare,
un’emozione condivisa, un momento di
sincerità che si produce solo in un evento irripetibile.
Hai scelto di ambientare il film nella
tua città nativa, Sassari. Omaggio alla
tua città, esigenza, o Sassari è la città
che ritenevi più congeniale per narrare la storia che avevi in mente?
Considerando il fatto che preferisco
sempre raccontare quello che conosco,
Sassari era il luogo ideale per l’ambientazione del racconto, semplicemente
perché è il posto dove sono nato e cresciuto. Ed essendo la narrazione frutto
di situazioni vissute e di persone che
conosco profondamente, non mi sono
mai posto il problema del luogo in cui
ANTAS
padre, come è nato, invece, Perfidia?
Hai affermato che tocca tematiche
che riguardano la nostra generazione: quali?
Mio padre e la mia famiglia sono la mia
più grande fonte di ispirazione. Tuttavia, anche se il protagonista di Perfidia
appartiene alla mia generazione, mi
guarderei dal far passare il film come un
racconto generazionale. Perfidia è una
storia del nostro tempo, appartiene alla
decadenza del mondo contemporaneo.
Ne rappresenta il vuoto quotidiano, la
violenza nascosta dietro una calma apparente e la ricerca da parte dell’essere
umano di una “normalità” ormai lontana;
ma soprattutto mi premeva raccontare
il rapporto padre-figlio in una dimen-
49
Sicuramente
Perfidia è un
racconto molto
più crudo e
violento.
...illuminate dal
ritmo dei punti
e dei fili che
s’incontrano,
s’intrecciano e
sembrano le stelle
di una galassia...
indietro, ho visto gente nascondersi
dietro le idee politiche, l’alcool, l’ipocrisia. E io stesso ho fatto tutto questo,
dunque posso capirli. Per chiunque,
incluso me stesso, è difficile dire quello
che davvero vuoi dire, quando quello
che vuoi dire è doloroso.
ANTAS
50
ambientare la storia. Mi interessava
raccontare questo piccolo angolo di
mondo, Sassari, una cittadina di provincia come ce ne sono tante in Italia,
attraverso il problema della disoccupazione giovanile, il vuoto quotidiano
che ne consegue e la visione clientelare
come sua (non) risoluzione. La provincia vista anche come luogo fertile per
sogni semplici e forse impossibili, ai
quali però i personaggi si aggrappano
come fossero la vita reale. Una vita fatta
di attese incessanti, di invidia, di un desiderio di “normalità” che appare sempre più lontano.
Insieme a Fabio Bonfanti e Maria Accardi hai curato anche la sceneggiatura del film. Quanto ciò che leggi,
quel che vedi e che ti circonda, influenzano il tuo modo di raccontare
una storia?
Come dicevo, le esperienze di vita e
le opinioni sul mondo che ti circonda
sono tutto per chi vuole raccontare una
storia. Non ho mai visto esplodere un
elicottero. Non ho mai visto nessuno
che faceva saltare la testa di un altro.
Dunque perché dovrei fare un film su
roba simile? Ho visto invece persone
che distruggevano se stesse nei più impercettibili modi. Ho visto gente tirarsi
Quasi tutto lo staff che ha preso parte al film, dagli attori ai tecnici che
hanno lavorato alla sua realizzazione, sono sardi e molti di loro sassaresi. Scelta casuale o voluta? Hai pensato che questo potesse contribuire
a dare merito alla bravura di tanti
talenti isolani e che potessero trarne
riconoscimento anche al di fuori dei
confini regionali? Sembra che ci sia
l’intenzione di promuovere il cinema
sardo, tenendo conto anche del loro
prezioso lavoro...
In Sardegna ci sono tantissimi bravi artisti e tecnici. La scelta è stata abbastanza naturale.
Di solito, la crescita della visibilità è
proporzionale al peso della pressione che ne deriva: senti questo tipo
di pressione da parte della critica
cinematografica nel momento in cui
termini un progetto e non sai che reazioni possa scatenare?
Detto molto sinceramente, sono emozionato. Ma in fondo credo che nella
vita ci siano cose più importanti di cui
preoccuparsi.
“Il secondo album è sempre più difficile nella carriera di un artista”, dice
Caparezza in una sua celebre canzone. E il secondo film?
Quando inizio un nuovo progetto ho
Ho visto invece
persone che
distruggevano
se stesse nei più
impercettibili
modi...
sempre la sensazione di non avere imparato nulla dal precedente. Alla fine
invece ti rendi conto che non è così e
che il grado di difficoltà è sempre più
elevato, perché tendi a pretendere
sempre di più da te stesso. Nel lavorare
alla seconda pellicola ti accorgi che fare
un film, cioè raccontare la storia di un
uomo, di una donna, di due o più persone, in meno di due ore, o in almeno
due ore, è un’impresa terrificante.
Quali sono le tue passioni, quelle di
cui non potresti fare a meno e che ti
fanno sentire vivo? In altri termini,
il tuo pane quotidiano oltre al cinema?
Ho un figlio di tre anni. Lui mi fa sentire
più vivo che mai.
ANTAS
51
approfodimenti
Focus sport&musica
La singolare
attività inventata
dal bassista
del gruppo
Getsemani
DARIO MASALA
Insegno a nuotare a ritmo di Swing
ANTAS
52
”Il metodo? Mi diverto a trascrivere ritmicamente le scelte tecniche di
Rosolino, di Ian Thorpe, di Popov e di altri atleti. In pratica traduco le loro
nuotate in ritmo e poi le riproduco”.
Testo di Alessandra Ghiani foto di Sara Montalbano
Una batteria da un lato, un basso dall’altro. E in mezzo una piscina. Dario Masala, col suo metodo Swim ‘n’ Swing, insegna a
vincere la paura dell’acqua e a migliorare la tecnica natatoria
a ritmo di swing, jazz e funk.
In cosa consiste il metodo Swim ‘n’ Swing da te concepito?
È un metodo che unisce due discipline: una artistica, la musica,
e una sportiva, il nuoto. La musica, normalmente, è fonte di
divertimento, ma nel mio metodo essa mira a raggiungere un
Che tipo di persone frequenta le tue
lezioni?
Le mie lezioni sono frequentate in parte da persone che già praticavano uno
sport ma, soprattutto, da coloro che
sono interessati all’aspetto culturale del
mio metodo. Si divertono a scoprire i
segreti ritmici di un brano jazz suonato
da Keith Jarrett, o di un basso suonato
da Mark King; quando realizzano che
c’è un nesso tra il ritmo musicale e il
nuoto, la mente li trasporta in acqua e
imparano a lasciarsi andare. L’acqua,
infatti, sorregge se si è rilassati; se una
persona non riesce in questo, non im-
Come è stato accolto il tuo metodo
quando l’hai presentato la prima volta?
Diciamo che non c’è stata una vera presentazione ufficiale. Ho avuto la possibilità di parlare per centoventi secondi
a una conferenza stampa indetta per
presentare il Karel Music Expò, l’importante manifestazione culturale. Ho
parlato del mio lavoro e in quei centoventi secondi è cambiato qualcosa. È
stato l’aspetto culturale del metodo a
suscitare interesse. Da quel momento i
giornalisti mi hanno fatto tante domande, sono stato contattato dalle radio e
da diverse testate regionali e nazionali.
Alcune hanno ripreso la notizia fornita
dall’Ansa, come La Gazzetta dello Sport.
Stai applicando questo sistema già
da qualche tempo. Facciamo un bilancio.
Il bilancio è ottimo e più vado avanti, più i risultati mi danno ragione: il
nuoto è ritmo e come tale va trattato.
Non basta sapere che un nuotatore è
più forte di un altro, perché non è solo
merito della forza fisica, ma anche della
sua espressione ritmica. Dico sempre ai
miei allievi: «Pensate in grande, guardate gli atleti, osservate i loro ritmi». Questa è l’essenza del mio metodo.
Quali sono i brani che consideri fondamentali per le tue lezioni?
Seven days di Sting, Man dei Level 42,
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Si divertono
a scoprire i
segreti ritmici
di un brano
jazz suonato da
Keith Jarrett,
o di un basso
suonato da
Mark King;
quando
realizzano che
c’è un nesso
tra il ritmo
musicale e il
nuoto, la mente
li trasporta
in acqua e
imparano
a lasciarsi
andare.
L’unione tra musica e nuoto esiste
da tempo, come nel caso del nuoto
sincronizzato. Come ti è venuta l’idea di usare la musica non coreograficamente, ma per vincere la paura
dell’acqua?
Quando a Roma studiavo il basso con
Massimo Moriconi, ho assistito a delle
lezioni di batteria. Mi ha colpito l’indipendenza ritmica tipica del batterista, che deve concentrarsi sul ritmo
e muovere contemporaneamente gli
arti. Lo stesso fanno i nuotatori: devono
muovere tutti gli arti e respirare. Il batterista si divide in quattro, il nuotatore
si divide in due o in quattro a seconda
dello stile che pratica. Ma la vera scintilla è nata dalle parole di un allenatore
austriaco incontrato a Ozieri durante
uno stage: «Il nuoto è prima di tutto
ritmo». Questa frase mi colpì tantissimo
e, conoscendo il ritmo anche dal punto
di vista strettamente tecnico, ho potuto
associarlo al nuoto.
para a nuotare. Uno dei miei obiettivi è
di insegnare a non avere paura dell’acqua. Ho un background tradizionale
che ovviamente non rinnego, però
quando nuoto mi sento un bassista e ai
miei allievi cerco di trasmettere questo.
Sono più artisti che sportivi ma, mentre apprendono o approfondiscono le
competenze musicali, fanno attività fisica. Dopo sei mesi sanno chi sono Dizzy
Gillespie, Charlie Parker, Miles Davis e,
nel contempo, il loro corpo trae beneficio dal nuoto. Inoltre il mio metodo è
adatto a tutte le età. In genere si ritiene
che chi comincia a nuotare da adulto
sia condannato a una nuotata standard.
Io invece sono convinto che si possa
esprimere una nuotata esteticamente
apprezzabile anche in età adulta, partendo da principi che sono legati all’intenzione ritmica degli stili musicali,
swing e funk in particolar modo.
ANTAS
determinato comportamento motorio,
grazie alle formule ritmiche contenute
nei pattern musicali di batteristi e
bassisti.
Sono un musicista e un ex atleta, quindi
per me è stato quasi naturale unire le
due discipline: io, letteralmente, suono
ciò che nuoto e nuoto ciò che suono.
Mi diverto a trascrivere ritmicamente le
scelte tecniche di Rosolino, di Ian Thorpe, di Popov e di altri atleti. In pratica
traduco le loro nuotate in ritmo e poi
le riproduco. È un metodo puramente
matematico, in cui la musica abdica al
ruolo di mero intrattenimento per trasmettere, come un’onda, le sue vibrazioni ritmiche in funzione di un obiettivo specifico: insegnare il nuoto.
Aras 24 dei Getsemani , Waltz for Debby di Bill Evans, I’m tweaked di Vinnie
Colaiuta.
È capitato che uno dei tuoi allievi
decidesse di imparare a suonare uno
strumento dopo aver seguito le tue
lezioni?
L’attività è ancora troppo giovane per
questo, è partita a settembre. Però ho
degli allievi che già suonano e che hanno imparato a nuotare attraverso le
note del loro strumento. Nel mio metodo la musica non è mai fine a se stessa,
è un mezzo per raggiungere un obiettivo: imparare a nuotare.
ANTAS
54
Il metodo Swim ‘n’ Swing subirà delle evoluzioni? Se sì, quali sono i tuoi
progetti per il futuro?
Mi piacerebbe insegnare il nuoto ai
non vedenti usando il suono. Io non ho
bisogno di guardare i miei allievi per
capire se stanno nuotando bene: ascolto il loro ritmo e capisco dove stanno
sbagliando. Quindi i non vedenti pos-
Il bassista dei Getsemani
Dario Masala.
sono tranquillamente imparare a nuotare con questo metodo.
Dal punto di vista pratico, invece, mi
piacerebbe poter fare lezione in vasche
tecnologicamente adatte al Swim ‘n’
Swing, magari realizzando un modello
da esportare nel mondo.
Oggi lavoro con la batteria a un capo
della vasca e il basso all’altro capo. Le
lezioni però iniziano in palestra,
dove insegno le
basi del ritmo.
Spero, in futuro,
di poter trasformare quelle che
definisco “aule
acquatiche”, in
modo da renderle in tutto e
per tutto funzionali all’insegnamento del mio
metodo. Questo
sarà possibile soprattutto se incontrerò
ancora persone con un pizzico di lucida
follia, come Edoardo Piras, ad esempio,
a cui devo un sincero ringraziamento
per avermi dato l’opportunità di insegnare nella piscina del Centro Sportivo
University a Quartu Sant’Elena, e per
aver creduto, fin da subito, nella bontà
del metodo Swim ‘n’ Swing.
sfumature sonore
SVM TRIO
Tre giovani jazzisti sardi incantano a UMBRIA JAZZ
(La pietra dell’elefante, Linea Laterale
e Quiet), originariamente composti
dai singoli musicisti, ma arrangiati
e armonizzati per avere un suono
comune. Andrea ci ha detto che a un
certo punto si era persino dimenticato
di questo concorso e quando la giuria
(composta tra gli altri da Renzo Arbore,
Giovanni Guidi, Luca Conti e altri
addetti del settore) ha comunicato
loro che avevano superato la selezione,
non riusciva a crederci: tra l’altro, erano
gli unici sardi. Da quel momento è
arrivata la parte più impegnativa, fatta
di lunghe sedute di prove, di studio e
di conoscenza reciproca, per arrivare
in Umbria con un suono coeso e
preciso. Così sono riusciti a proporre un
repertorio di 10 brani per circa un’ora di
concerto, che si è tenuto il 14 Luglio nei
Giardini Carducci nel centro storico di
Perugia, uno spazio dedicato ad artisti
emergenti, a nuove proposte di diversa
natura e provenienza. Andrea mi ha
confermato che la serata è andata
benissimo nonostante la pioggia che è
Ci piace suonare
rock, jazz, blues,
funky...
scesa per tutta la mattina e il pomeriggi:
la sera, alle 22, tutto è filato liscio e il trio
ha potuto proporre la sua musica, fatta
di diverse matrici che vanno dal jazz,
al funk, al rock e altre storie musical,i
ottenendo un ottimo riscontro da
parte del numeroso pubblico presente.
«Siamo musicisti aperti a tutte le
influenze. Ci piace suonare rock, jazz,
blues, funky. Insomma, non siamo
dei jazzisti puri, ma ci piace guardarci
intorno. Questa è la nostra proposta» Il
Trio si ispira alle nuove correnti del jazz
americano contemporaneo, a musicisti
come Tigran Hamasyan, Robert
Glasper e tanti altri che amano suonare
senza limiti e senza rinchiudersi in
gabbie di genere». D’altronde, se
andiamo a controllare la tabella di
marcia di questi tre giovani artisti,
troviamo studi accademici importanti,
ma anche esibizioni live con gruppi
sempre diversi e con proposte nuove
e variegate. «Sarebbe un peccato
mollare adesso - dice Andrea - e
quindi stiamo continuando a provare
e a comporre. Contiamo di finire in
breve tempo la masterizzazione dei 10
brani che andranno a finire in un cd».
Proprio una bella storia, fatta di musica,
motivazioni, fiducia nei propri mezzi,
sacrifici, passione.
ANTAS
SVM Trio, ovvero le iniziali dei
cognomi di Andrea Sanna, Nicola
Vacca e Mauro Medde: una bella storia
di musica e intraprendenza. La bella
storia è la partecipazione del gruppo
all’edizione 2014 di Umbria Jazz grazie
al Conad Jazz Contest, concorso
riservato a musicisti emergenti ai quali
è stata data la possibilità di esibirsi
durante il festival umbro, nello spazio
allestito a Perugia nel Parco Giardini
Carducci. Andrea Sanna (pianoforte
e tastiere) e Mauro Medde (basso) si
sono conosciuti e frequentati al tempo
degli studi al Conservatorio di Cagliari,
Nicola Vacca, il batterista, viene
da una famiglia famosa nel Medio
Campidano per sfornare musicisti da
diverse generazioni (dal padre Franco
al fratello Stefano, altro batterista di
valore) e spesso hanno incrociato le
loro strade fino alla creazione del trio
SVM. Per capire meglio come è andata
abbiamo parlato con Andrea Sanna,
il tastierista, che ci ha raccontato
alcuni risvolti di questa esperienza. Il
concorso prevedeva la partecipazione
di musicisti singoli o gruppi attraverso
la presentazione di tre brani (originali
o standard). Da qui la decisione di
partecipare al contest, pur senza grandi
aspettative, con tre brani originali
55
testo di Claudio Loi
sfumature sonore
Universi scuri. Yomi, il nuovo disco dei
THANK U FOR SMOKING
ANTAS
56
testo di Diego Pani foto e cover Nicola Olla www.blacktoothcollective.com
I Thank U for Smoking lavorano alla costruzione del proprio suono dal 2009. Aurora
Atzeni (chitarra e voce), Valerio Marras (chitarre, effetti) e Matteo Mereu (batteria) si
sono incontrati a Cagliari, ed in questa città
hanno maturato il bisogno di costruire un
progetto musicale alquanto singolare, che
sembra, ad un orecchio esterno, in continuo
divenire, quasi come un percorso a tappe,
che muta a seconda del tempo e del luogo
d’esecuzione. Un trio di chitarre e batteria
costruisce un interessante ibrido di suoni post-rock e suggestioni maggiormente
sperimentali, che si ammantano di volta in
volta d’influenze diverse, dall’ambient music
fino al doom. Al costrutto puramente strumentale s’innesta la presenza eterea della
voce, spettrale, che attraversa i brani dei
TUFS legandosi prepotentemente alle melodie costruite dalle chitarre. Il “divenire” dei
Thank U For Smoking ha portato in questi
anni alla produzione di tre dischi: dopo un
Ep d’esordio e il fortunato Dopo la Quiete,
dato alle stampe in coppia con la sonorizzazione del documentario Island (prodotto
dalla sarda Quadratino Pericoloso), è arrivato
il momento del terzo capitolo discografico,
uscito pochi mesi fa ed intitolato Yomi. Ho
incontrato Valerio, chitarrista della band, a
cui ho chiesto di introdurmi il mondo sonoro celato dietro l’ultima produzione del trio.
Yomi è un disco gonfio di chitarre distorte
e batterie a tratti molto violente. Ma, più
di tutto, è secondo me un disco “scuro”.
Ne convieni?
Sono d’accordo nel definire Yomi come un
disco scuro, ansioso: tutto gira intorno al
concetto di tempo. Dal tempo che c’è voluto
per realizzare il disco, al cambiamento delle
nostre esistenze in questi anni, fino al tempo che ci è servito per portare il disco in giro
con i concerti. Yomi ha avuto una gestazione
molto differente rispetto a Dopo la Quiete,
maggiormente legato a una fase compositiva forte delle prime esperienze dal vivo e
di un lavoro di scrittura andato avanti per
anni. Yomi è stato invece scritto tra un tour
italiano e l’altro, in un periodo di densissima
attività, ed è stato chiuso, a livello compositivo, in soli due mesi. Anche il processo di
registrazione è stato molto veloce, proprio
perché il concetto di “tempo” inseguiva il
nostro lavoro: dovevamo far uscire questo
disco a due anni di distanza da Dopo la quiete. Così è stato.
Cos’è successo in questi ultimi due anni?
Ci siamo tolti parecchie soddisfazioni. Siamo riusciti a far arrivare la nostra musica
alle varie latitudini della Penisola, uscendo
dalla Sardegna con frequenza. L’attività live
ha portato a una maggiore consapevolezza
del suono, che come noterai, è diventato
più potente, ancora più gonfio di distorsioni e feedback, ma allo stesso tempo sempre
più etereo. Il sudore sul palco ci ha portato
a una ridefinizione del nostro stesso suono:
abbiamo spinto all’estremo quello che era
stato appena accennato nei precedenti dischi.
C’è stato un approccio compositivo che
più di altri ha denotato il disco?
Sicuramente il trattamento della voce. Abbiamo cercato di costruire delle linee vocali
il più possibile, come detto, eteree. Dovevano muoversi insieme alle parti strumentali
in perfetta simbiosi, in compenetrazione
totale tra cantato, chitarre e batterie. Penso
che in questo senso il disco sia pienamente
riuscito. In generale volevamo incattivire i
suoni: la batteria è ora molto più violenta,
spicca in maniera notevole rispetto al passato, e allo stesso modo le distorsioni sono
state portate ancora di più verso la saturazione. Questo emisfero maggiormente violento è, però, sempre contrapposto all’altra
sfera esecutiva propria dei TUFS: quella
contraddistinta da suoni puliti, delay lunghi, dilatazioni temporali, che giocano un
ruolo fondamentale in merito ad un gioco
d’incastri con le punte più “rocciose” del nostro suono. L’effetto finale è appunto quello
stato di cupezza, di oscuramento. Se dovessi
definire i TUFS adesso, parlerei di una band
che è riuscita a produrre un disco di cui si
sente pienamente soddisfatta.
I processi di registrazione e missaggio
del disco sono stati suddivisi in diversi
studi, dalla Sardegna a Roma. Come mai
una simile scelta?
Abbiamo cominciato dalla batteria. Esigenze artistiche precise ci hanno portato
ad affidarci all’Audio Voltage Studio di Pier
Giorgio Boi, a Settimo San Pietro (Ca). Per
quanto riguarda le chitarre abbiamo invece
Fin dal vostro esordio siete impegnati nella piena gestione della
band: dal booking alla produzione
dei dischi, tutto è curato in prima
persona. Come avete affrontato la
produzione di Yomi?
Il nostro terzo disco è anche la nostra
terza autoproduzione. C’erano delle
etichette interessate a lavorare con
noi, ma ci chiedevano di aspettare
tempi di produzione che non volevamo rispettare. Il disco doveva uscire in tempo per
Avete comunque accanto un grappolo di
personalità esterne alla band che si rivelano centrali per la produzione dei vostri
dischi…
Negli anni agli sforzi della band si sono unite
parecchie professionalità che hanno aiutato
non poco il cammino dei TUFS. In questo
senso Nicola Olla di Blacktooth Collective lavora a tutto ciò che riguarda l’aspetto visuale della band, dalle copertine dei dischi, ai
poster dei tour, fino al merchandising. Ci siamo avvicinati a lui dai tempi di gestazione di
Dopo la Quiete; il suo stile si è subito rivelato
perfetto per il nostro immaginario. Per Yomi
gli è bastato ascoltare qualche volta i brani
del disco ancora in lavorazione per concepire un artwork che secondo me rappresenta
al 100% il contenuto sonoro del disco.
Copertina del Cd Yomi
L’uscita del nuovo disco è stata accompagnata dal vostro primo tour europeo.
Che cosa ha significato per voi questa
esperienza?
Siamo riusciti a produrre il disco e subito
dopo partire per il tour europeo, bypassando tutte le normali trafile che vedono
il tour nazionale come prima campagna di
promozione da cui partire quando c’è da
presentare un nuovo prodotto. Abbiamo
fatto quattro date in Sardegna, dopodiché
siamo partiti per due settimane, alla volta
di sei nazioni diverse. La nostra normale
attività si concentrava normalmente nella
strutturazione di mini tour in giro per lo stivale dove, partendo il mercoledì e tornando
la domenica, suonavamo serie di quattro,
cinque date per volta. Il tour europeo ci ha
messo davanti una gran quantità di date
consecutive, in posti diversissimi tra loro.
Passare dall’esibirti in Svizzera e Germania,
arrivando poi all’Ungheria o alla Slovenia, è
un’esperienza altamente formante, che difficilmente dimentichi.
C’è un concerto o un momento che ricordi
come particolarmente importante per la
band?
Non riesco a trovare una data in particolare.
Ti posso dire che le emozioni più grandi le
senti la prima volta che calchi grandi palchi,
la prima volta che prendi la nave per varcare
i confini isolani con la tua musica; ancora, la prima volta in cui attraversi la
frontiera per cominciare un tour. Queste sono forse le tappe di un percorso
fatto di alti e bassi, che nella sua totalità ti fa essere fiero della strada che hai
battuto. Siamo partiti nel 2009 come
progetto d’improvvisazione; siamo
andati avanti con la stessa formazione
fino ad ora, producendo brani su brani e suonando dappertutto, in Italia e
all’estero. Questo è quello che vogliamo fare, il percorso su cui vogliamo
camminare: con l’autunno arriverà un
altro tour nazionale, contraddistinto
dalla partecipazione ad un prestigioso
festival italiano, mentre in inverno verrà invece un secondo tour europeo, e
via così. L’aspetto più importante rimane quello del percorso, il tempo che scorre
mentre noi suoniamo la nostra musica.
57
Yomi ospita, nel brano π, un musicista italiano di fama internazionale: il sassofonista Luca T. Mai degli Zu/Mombu. Com’è
nata questa collaborazione?
Abbiamo conosciuto Luca quando era in
tour in Sardegna con i Mombu, cui abbiamo
fatto da opener per una manciata di date. Ci
siamo confrontati su dischi, band, passione
per la musica: ne è nata una profonda amicizia e stima, che dura ormai da parecchio
tempo. Lavorando a Yomi abbiamo notato
come π rispecchiasse tutta una serie di peculiarità proprie dell’universo sonoro legato
alla produzione musicale di Luca, i cui gruppi sono da sempre una profonda ispirazione
per tutti noi. Da questo, ci è venuto
quasi naturale chiedere il suo apporto alla traccia. Con il suo sassofono
ha completamente stravolto il brano,
lavorando però come ci aspettavamo, grazie a quelle particolari scelte
espressivo-stilistiche che in questi anni
hanno fatto grande il suo strumento.
il tour, a due anni di distanza dal precedente, così come avevamo progettato. Abbiamo lavorato per l’ennesima volta alla completa organizzazione economica e logistica
della produzione e della promozione del disco, avvalendoci di un’unica collaborazione
esterna: quella dell’ufficio stampa Narcotica,
che in questi mesi ci ha aiutato nella promozione dei disco sui magazine web e sulla carta stampata nazionale. Autoprodursi è faticoso, ma molto soddisfacente. Ogni singolo
millimetro del disco rappresenta uno sforzo,
un impegno preciso. Il disco diventa così ancor più personale, sempre più tuo.
ANTAS
fatto ricorso al Sonusville di William Cuccu, a
Siliqua (Ca): lì avevamo già registrato interamente il precedente disco, e sapevamo di
poter trovare sia requisiti tecnici che i presupposti umani (da non sottovalutare) di
cui avevamo bisogno per completare Yomi
in assoluta serenità. Con William Cuccu abbiamo registrato le chitarre, i bassi, la voce,
e sempre con lui abbiamo fatto un primo
mixaggio che è stato successivamente spedito all’Hombre Lobo di Valerio Fisik, a Roma.
Qui è stato invece eseguito tutto il lavoro di
mixaggio e master, che ci ha lasciato piacevolmente sorpresi. Pur lavorando a distanza,
la professionalità di Valerio Fisik ha fatto sì
che si raggiungesse un risultato ottimale fin
dalle prime prove di mix.
recensione dischi
4 NOTE IN LIBERTÀ con Francesco Piu
Francesco Piu | Live at Bloom | 2014 | Groove Company
A poco più di due anni dall’ultimo disco in studio Ma-moo
Tones, che lo aveva visto avvalersi della produzione artistica
della leggenda blues internazionale Eric Bibb, il bluesman
osilese Francesco Piu licenzia un nuovo disco live, inanellando un’altra gemma in una ormai copiosa discografia che,
oltre il già citato Ma-moo Tones (2012), comprende la prima
prova Blues Journey (2007) e un altro disco dal vivo, Live at
Amigdala Theatre (2010). Live at Bloom è stato registrato il
20 marzo 2014 al Bloom di Mezzago, locale storico in cui più
volte il bluesman si è trovato ad esibirsi nel corso della sua
fortunata carriera.
Live at Bloom è il tuo quarto disco e il secondo dal vivo.
Quanto è importante per te riuscire a catturare su Cd
l’esperienza live?
È importante perché il live è un momento magico: l’energia
di chi suona si miscela all’energia di chi ascolta e partecipa attivamente alla riuscita del concerto. Perciò il disco dal
vivo fotografa un momento del tour, va a documentare una
particolare occasione in cui la musica viene condivisa.
ANTAS
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Dall’ascolto del disco emerge una dimensione maggiormente elettrica della tua musica rispetto alle prove precedenti. Ci dobbiamo abituare ad Electric Frank?
Mi ritengo un bluesman moderno, che rispetta la tradizione
ma guarda sempre avanti, miscela e sperimenta. Dopo dieci anni di sonorità acustiche ho voluto rispolverare i suoni
dai quali son partito, quelli elettrici, che strizzano l’occhio al
rock blues. In collaborazione col mio liutaio ho ideato una
chitarra ibrida: due corde di basso e quattro di chitarra, con
due segnali separati. Questo mi consente di portare la tecnica fingerstyle acquisita sulla chitarra acustica nel mondo
elettrico, con l’aggiunta però di una vera e propria linea di
basso. In più ho rispolverato la mitica Gibson “Diavoletto”,
che uso collegata contemporaneamente all’amplificatore
di basso e a quello della chitarra. Aumento così la potenza
sonora e, di conseguenza, tutta la componente rock’n’roll
dello show. Non lascio però a casa le sonorità usate sinora:
nella scaletta c’è sempre spazio per dobro, acustica e weissenborn, parti fondamentali della mia anima chitarristica. I
miei live sono comunque un continuo work in progress. Ora
la bilancia pende sulla dimensione elettrica, domani chissà...
Sei costantemente in tour, dall’Italia alla Francia, fino
agli Stati Uniti, al Nord Europa, al Canada. C’è un palco a
cui sei più legato di altri?
Sicuramente ogni esperienza all’estero ha portato insegnamenti e crescite notevoli in me e nella mia musica. L’esperienza in USA mi ha cambiato la vita, suonare a El Mocambo
di Toronto è stato un sogno, ma un pubblico al quale mi
sento particolarmente legato è sicuramente quello francese, caloroso ed educato allo stesso tempo, che ha grande
rispetto per la musica e per il musicista.
Cosa prepari per il futuro? Stai già lavorando al seguito
di Ma-moo Tones?
Pian piano sto lavorando a dei provini per il prossimo album
in studio. Ho delle bozze tutte da sviluppare e da riprendere
alla fine del tour estivo. Vediamo un po’ cosa ne verrà fuori.
Live at Bloom si compone di dodici brani in cui ci viene facile riconoscere quelle peculiarità esecutive che in questi
anni hanno denotato il suono di Francesco Piu. La pulizia
della tecnica fingerstyle, il richiamo ai passaggi melodici di
matrice delta blues, una emissione vocale sempre più vicina
al suono soul degli anni ’70. Allo stesso tempo, scorrendo
tra le tracce di questo disco edito da Groove Company (management che da anni segue l’artista),
si delinea davanti all’ascoltatore una nuova colorazione dell’anima blues del musicista osilese,
stavolta maggiormente elettrica, in alcuni casi al
confine tra blues e rock. I suoni distorti introducono un’inedita sfaccettatura al sound di Francesco
Piu, che sembra calzargli a pennello; merito anche
dell’ottimo lavoro fatto dietro le pelli dal batterista
Pablo Leoni, motore ritmico del disco, impegnato
nella stesura di un tappeto percussivo che incide
fortemente sul carattere dei brani, soprattutto in
quelli maggiormente elettrici. La tracklist è pensata per descrivere al meglio un concerto di Francesco Piu e si alterna tra brani scritti di proprio pugno
dal bluesman come Down on my knees e Over You
(contenute nel precedente disco Ma-moo Tones) e
classici del genere come Motherless Child, Jesus on
the Mainline o Trouble so Hard. Dodici tracce in bilico tra meditazione acustica e irruenza elettrica, tra
shouting e riverberi, ancora una volta, nel nome del
blues. Diego Pani
recensione dischi
Michele Sai
Il “falso centro” degli Entity inizia a volteggiare nell’aria e la mente corre al Progressive: agli Emerson, Lake & Palmer, certo, ai
King Crimson, agli Yes, ma c’è qualcosa di
magico e originale in questo disco splendido che è il primo vero lavoro della band.
È la ricerca quasi spasmodica di una forma
musicale omogenea ma aperta alle contaminazioni, policromatica: un volteggiare
di variegate atmosfere che ti catturano al
primo ascolto. Gli Entity (Mauro Mulas tastiere, Gigi Longu basso e chitarra, Marco
Panzino batteria, Marcello Mulas chitarre,
Sergio Calafiura voce) sposano l’idea del
concept-album, con testi mai banali e una
costruzione dei singoli brani talmente accurata da rimandare alla sceneggiatura
di un film. Un’architrave sonora dove non
c’è spazio per alcuna forma di cedimento,
ma sola tanta buona musica. Davanti allo
specchio, che apre il lavoro discografico,
ne è la riprova: virtuosismi melodici di
gran classe che preparano il terreno alla
lunghissima suite Il Desiderio, sedici minuti di sopraffina musica prog-rock che
volteggia innervata da virtuosismi artistici
di classe cristallina. Ci sanno fare gli Entity
e questo brano, da solo, merita l’acquisto
dell’album; ma anche Il Tempo non fa calare l’intensità del sound: una song particolarissima, come Il Trip dell’Ego e la successiva ANT. Molto ben strutturati anche il
brano L’armatura, strapieno d’inventiva,
e la conclusiva La notte oscura dell’anima. Per quanto mi riguarda, visto il mio
dichiarato amore per il progressive, questo
disco (che peraltro sta girando il mondo
ottenendo lusinghiere recensioni) è caldamente consigliato. E attendo con curiosità
il secondo lavoro.
Pierpaolo Fadda
TERRORWAY
Blackwaters
2013 – Bakerteam Records
Genere: Modern metal
Una potenza terrificante. Adrenalina
che vola via a dosi massicce, un’energia
sonora travolgente e senza compromessi.
Blackwaters, album d’esordio dei
Terrorway di San Gavino (band formatasi
nel 2009 con all’attivo il bellissimo Ep
Absolute) è un pugno nello stomaco:
modern metal estremo, riff potenti come
un rombo di tuono, lapilli di un’eruzione
sonora che sarà difficile scordare dopo il
primo ascolto. Valentino “Sidh” Casarotti
(voce), Ivan Fois (chitarra), Giovanni Serra
(basso), Cosma Secchi (batteria) formano
un quartetto davvero ben assortito: la voce
di Valentino Casarotti è superba, l’ugola
volteggia con invidiabile potenza, ma
l’intera sezione ritmica è sorretta da una
formidabile qualità: vibrante, imperiosa,
tumultuosa. E che dire dei riff chitarristici
dell’estroso Ivan Fois? Una scossa ad alta
tensione! Lo dimostra l’iniziale Wretched,
prima misteriosa, poi sorretta da un
portentoso accompagnamento musicale
della batteria, che esplode in un micidiale
cocktail di riff chitarristici che paiono
mitragliate. Superba esattamente come
la title track Blackwaters, groove metal,
una delle song meglio riuscite di un
album assolutamente imperdibile per gli
appassionati del genere. Lo dimostrano
anche In a Swamp, Keep Walking Silent,
The Inescapable Plot (terrificante il suo
impatto) e Chained. Siamo a tre quarti
del disco e il terremoto sonoro deve
produrre ancora tre violente scosse:
Renewal, A Cursed Race, e la conclusiva,
splendida Ruins. Un piccolo capolavoro,
dove i quattro danno una dimostrazione
di grande affiatamento, ottima tecnica e
grande creatività. Un disco d’esordio che
gli amanti del metal estremo e moderno
non devono assolutamente lasciarsi
sfuggire. Bravi, bravissimi Terrorway.
Pierpaolo Fadda
59
Sono trascorsi tanti anni da quando due
ragazzini delle scuole medie salirono in
cattedra per eseguire davanti a un severo
professore un brano a due flauti. Scelto lo
spartito lo eseguirono, beccandosi un sonante 10… E da quel momento non furono più interrogati! Uno di loro era Antonio
Saba, che all’epoca aveva già scoperto i
Black Sabbath, Jimi Hendrix, John Mayall
e i Pink Floyd. Da lì la sua prima chitarra
elettrica: ricordo in particolare una Gerson
che - scommetto - è ancora in camera sua!
A seguire negli anni l’instancabile ricerca
tra Rock, Blues e Jazz, Fusion e New Age,
con l’apporto di quella linfa della quale un
musicista ha assoluta necessità : il groove!
Otto non è una raccolta di brani musicali:
è la condensazione di emozioni, del modo
di pensare in musica. Nell’attimo in cui Antonio sonorizza le sue sensazioni e materializza le sue percezioni musicali ci regala discorsi che le parole non potrebbero
mai esprimere, per raccontare, spiegare,
fissare e immortalare immagini, percorsi,
e sentieri intrapresi dall’animo. Il coinvolgente brano Fleeting Dreams apre l’album:
instancabilmente mi diverto a seguirne le
evoluzioni nel mio vecchio e fedele stereo.
Si prosegue con On The Highway, splendido viaggio a due ruote attraverso un roccioso paesaggio musicale, per approdare
a Number Eight, che dà il nome al cd. The
Meet è l’emozione di un incontro, dall’attesa allo splendido sviluppo del discorso
musicale. L’intensa preghiera in dialetto
senegalese Wolof Prayer, cantata da Ibra,
è dedicata al disastro di fine 2013 di Olbia.
Poi ancora Mr PaM, bellissima ballata ricca
di contenuti e di pensieri, e Drunks, dove
le evoluzioni chitarristiche aprono la porta a temi musicalmente inebrianti. Dopo
Psycho Blues si arriva alla meditabonda Free
Soul, un’aria New Age che accompagna i
pensieri attraverso ampi spazi in cui cavalcare la fantasia e lasciarsi trasportare. Over
The Night chiude il lavoro e ci accompagna
nei sogni più imprevedibili. Otto è già posizionato nel mobiletto dei miei cd preferiti.
ENTITY
Il falso centro
2013 – Lizard Records
Genere: Progressive
ANTAS
ANTONIO SABA
Otto
Autoprodotto
Genere: Rock - Fusion- New Age Elettronica - Progressive
recensione dischi
NIERA
ANTAS
60
Niera
Menhir Records - Alghero
Genere: Pop Rock
Tra le tante novità del panorama musicale
isolano imperdibile è l’uscita dell’album di
esordio dei NIERA, band fresca e attuale che
ha come strumento principale quello della
lingua sarda, esaltata e valorizzata nei testi
e nelle melodie. Non vi aspettate di ritrovare
richiami agli strumenti tipici dell’Isola: il progetto di Salvatore Chessa (guitar), Alessandro Damini (guitar), Angelo Pinna e Antonio
Faedda (tastiere e synt.), Alberto Santoru
(drum), Antonio Doro (bass) e Luca Mascia
va ben oltre e vuole superare le barriere del
tempo e dello spazio, ricercando sonorità originali e mai scontate. Il genere è un pop-rock
ricercato e raffinato, che porta in sé influenze
e importanti apporti di respiro internazionale,
rivisitati e resi unici. L’album è composto da 10
songs: No est Fatzile, la prima di questo preziosissimo lavoro, racchiude in sé un po’ tutto
il senso del “racconto” che attraverso l’ascolto,
brano dopo brano, viene rivelato. Un racconto tessuto su una trama a tratti ancestrale, con
richiami alla mitologia sarda come in Jana,
dove musica e testo ci fanno immergere in
un mondo antico, fatato ma ancora presente,
dove le ombre e la paura dell’ignoto incutono
ancora timore (Umbras) per poi riportarci con
estrema maestria verso il presente, accompagnando l’evolversi della tessitura con note a
tratti dolci e pacate come in Dansana, dove
riecheggiano lo stupore e la meraviglia dei
bambini da riscoprire e con note a tratti più
dure e schiette, con riflessioni importanti e
di estrema attualità (Vida ti cheria e Die). Ma
non mancano anche excursus eleganti e geniali ispirati allo stile ”bossanoviano” che accompagnano un delicato messaggio d’amore
di una madre verso un figlio, come in Amore e
anima. L’ultimo pezzo, Lughe de triulas, chiude l’album e il racconto che a tratti parla di un
amore complicato a tratti semplicemente della vita in generale, lasciando aperta la porta
per una prossima ed entusiasmante storia da
narrare. C’è un velo di malinconia che viene
spazzato via dalla voglia di riscatto e dalla
speranza che emerge per tutto il percorso,
arricchito e valorizzato dalla magistrale interpretazione vocale di Luca Mascia. I testi sono
di Salvatore Chessa e Alessandro Damini,
mentre gli arrangiamenti musicali sono frutto
di accurata ricerca e sperimentazione di tutti
gli altri componenti. L’album è prodotto dalla
Menhir Records, nuova e giovane etichetta
discografica di Alghero che porta avanti un
progetto incentrato proprio sul sardo e le sue
diverse vesti musicali,mirato alla sua esportazione oltre i confini dell’Isola. Mary Manghina
PLASMA EXPANDER
Live3
Wallace Records - 2014
Genere: Noise, indie Rock
I Plasma Expander arrivano alla quarta
uscita discografica e ci sembra giusto
fare un po’ di ripasso. Nati nel 2005 per
opera del chitarrista Fabio Cerina (reduce
dall’esperienza dei Bron y Aur) esordiscono nel 2007 con un cd che porta il titolo
della band e che include Stefano Podda
alla chitarra baritono e Andrea Siddu alla
batteria. Il disco non passa inosservato
grazie alla potente miscela di rock grezzo,
psicotico, ipnotico, che fa riferimento alla
vecchia scuola kraut e alle nuove sorgenti
noise americane. Nel 2009 arriva Kimidanzeigen (in cd e vinile), con Marcello Pisanu
che sostituisce Stefano Podda: disco della
maturità che esplora nuove lande sonore
e rende riconoscibile il sound del gruppo,
grazie anche ad un’intensa attività live maturata in questi anni. Nel 2012 arriva Cube
(o Plasma Expander3), un vinile con quattro
tracce inedite e la presenza di Corrado Loi
al posto di Pisanu. Ospite d’onore Simon
Balestrazzi, che fornisce la sua immensa
esperienza musicale e la giusta dose di rumore. Eccoci quindi al nuovo cd, chiamato
semplicemente Live3 (o meglio Live Cube),
registrato a Cagliari alla fine del 2013 dal
vivo in studio, senza sovraincisioni e maneggiamenti postumi, contenente quattro
versioni live di brani già editi e una traccia
inedita, Otra Vez, che è una sorta di anticipazione per un progetto che dovrebbe
vedere la luce a breve termine. Un disco
che conferma la grande compattezza della
band (che sembra abbia trovato la sua definitiva struttura) e soprattutto la sua vera
forza, che è quella dell’esibizione dal vivo. I
live dei Plasma (caratterizzati dall’originale
presenza scenica, con i musicisti vestiti con
divise ospedaliere verdi e mascherine antibatteriche) sono eventi unici e irripetibili
e sembrano spesso sedute di meditazione extrasensoriale, prolungate iterazioni
sonore dove i brani vengono sezionati,
ripensati e rivisti grazie a massicce dosi di
improvvisazione, che avvicinano questa
band a certe esperienze di improjazz. Il
senso di Live3 è proprio questo: restituire
in studio la grande energia live e lasciare
aperte nuove strade da percorrere. Missione compiuta. Claudio Loi
INFINITA QUARTET
Time Continuum
CD Satnamusic - 2013 - Genere: Jazz
Basta uno sguardo veloce ai protagonisti
di questo quintetto sardo-finlandese
per capire che cosa ci aspetta. Infinita è
composto dal finlandese Tero Saarti alla
tromba, già membro della prestigiosa
UMO (Uuden Musiikin Orkesteri) Jazz
Orchestra, dal tedesco (ma naturalizzato
finlandese) Sid Hille al piano, uno dei più
importanti jazzisti del nord Europa con oltre
30 anni di esperienza e numerose incisioni
discografiche e poi dal terzetto sardo che
comprende Massimo Carboni al sax, Gianni
Filindeu alla batteria e Paolo Spanu al
basso: tutti musicisti del giro dell’Orchestra
Jazz della Sardegna di Sassari e di diverse
formazioni (tra cui il Woodstore Quintet).
Citiamo anche l’apporto non marginale di
Jan Erik Kongshaug in fase di missaggio a
Oslo, uno dei principali interpreti del suono
ECM che in qualche modo ritroviamo anche
in questo disco. Il progetto nasce nel 2008 in
occasione del concorso biennale “Scrivere
in Jazz”, organizzato dall’associazione
sassarese Blue Note Orchestra, quando
Massimo Carboni e Sid Hille (vincitore di
quell’edizione del concorso per la Sezione
B, composizioni originali e libere con il
brano Tango morbido y cinico) si conoscono
e capiscono di avere molte cose in comune;
soprattutto il jazz e la sua capacità di fondere
linguaggi diversi e di riuscire a dialogare su
un terreno comune, come viene spiegato
anche nel cd: “Il quintetto italo-finnico
Infinita cerca di infrangere i limiti di tempo
e spazio integrando concetti di diverse
tradizioni europee e aree musicali”. Nelle
11 tracce dell’album (tutte originali, tranne
una versione di Strawberry Fields Forever di
Lennon/McCartney) troviamo tutte queste
peculiarità: l’integrazione perfetta di culture
geografiche differenti e apparentemente
lontane come quelle sarde e finlandesi
e anche stili e scuole musicali di diversa
estrazione. Il miracolo è proprio questo e
il risultato finale è eccellente con un suono
pulito e levigato, discreto ed elegante, una
grande sensibilità artistica e una tecnica
ineccepibile. La cosa fantastica è che si
riescano a percepire perfettamente le
diverse anime dei musicisti, pur nella loro
perfetta coesione stilistica. Ma questo è il
jazz. Claudio Loi
CLAUDIA ZEDDA
L’amuleto
Anno 2014
Casa Editrice Condaghes
EURO 13,00
Claudia Zedda è una giovane cagliaritana con una laurea in
Lettere Moderne e una grande passione per la riscoperta delle tradizioni sarde. Collabora in qualità di scrittrice freelance
con la stampa regionale e nazionale e lavora come web content specialist. Nel 2009 ha pubblicato il suo primo saggio,
L’Amuleto è un romanzo che si legge tutto d’un fiato, ambientato in un paese della Sardegna di cui non conosciamo il
nome, ma di cui riconosciamo i paesaggi, i colori e i profumi.
Un luogo dove il tempo sembra essersi fermato, per consentire alle antiche tradizioni di mantenersi ben vive e ispirare la
vita di chi lo abita. I fatti narrati si rincorrono nel tempo grazie
a preziose incursioni nel passato, attraverso sogni, ricordi e
testimonianze scritte. Virginia, la protagonista, e tutte le altre
donne della famiglia Tanca, ci accompagnano in un viaggio
fatto di folklore, indissolubili legami familiari e amicizia, guidato dalla ricerca costante delle radici, base indissolubile per
costruire un futuro più sereno e consapevole. Il tutto è condito da affascinanti elementi di mistero. Un libro assolutamente
da consigliare.
(Deborah Succa)
recensioni libri
Creature Fantastiche in Sardegna e nel 2011 il secondo, Est
Antigòriu. L’abbiamo incontrata per parlare del suo primo romanzo, L’Amuleto.
No, non direi: l’uno è stato
prosecuzione logica dell’altro.
Il saggio è stato lavoro di raccolta, il romanzo di sperimentazione, giacché mi domandavo se sarei stata in grado di
scriverne uno. Capitolo dopo
capitolo ho socializzato con
gli ambienti e i personaggi e
mi sono domandata perché
mai avessi aspettato 30 anni a
cimentarmi in questa impresa.
Quanto credi sia importante
per i giovani conoscere e tramandare le tradizioni?
Se noi fossimo alberi, le tradizioni sarebbero le nostre
radici. Reputo siano in grado
di raccontarci qualcosa in più
su noi stessi, possano creare
affiatamento fra i sardi e stima
per la nostra terra, che è bella,
bella di una bellezza acerba e
rara alla quale siamo tanto abituati, e che spesso viene data
per scontata.
Le donne protagoniste del
tuo romanzo hanno delle
personalità forti e definite.
Ti sei ispirata a qualche persona reale?
È stata l’Isola ad ispirarmi assieme alle donne che è in
grado di partorire ed educare. Condizioni storiche hanno
imposto per secoli alle donne
di mostrare carattere, dolcezza, ma anche forza. Credo che
quest’attitudine ci sia rimasta
nel sangue e che tutte noi,
quando la situazione lo richiede, siamo forti, forti come un
toro.
(Deborah Succa)
È stato difficile passare dalla
stesura del saggio a quella
del romanzo?
ANTAS
Come ti sei avvicinata allo
studio delle tradizioni sarde?
Tutto merito del mio percorso
di studi universitario. Pur abitandoci ho conosciuto la Sardegna, quella dei luoghi magici e delle tradizioni antiche,
per caso. Ci siamo piaciute fin
da subito, e io e la Sardegna
del mito siamo diventate amiche.
61
A COLAZIONE CON...
CLAUDIA ZEDDA
GIANFRANCO CAMBOSU
La metà del gigante
Anno 2014
pp. 208
Barbera Editore
EURO 16,50
Sassari, anni ’90. Pietro Aglientu è un trentenne che sogna di diventare scrittore. Il sogno pare realizzarsi quando l’editore della
Sogni Esagerati, Golia, gli comunica l’intenzione di pubblicare il
suo romanzo. La casa editrice organizza un corso di scrittura alla
quale Aglientu parteciperà, pur non incontrando mai di persona Golia, col quale avrà solo contatti epistolari; suo punto di riferimento saranno due collaboratrici che inviteranno l’aspirante
VANESSA ROGGERI
Il cuore selvatico del
ginepro
Anno 2013
pp. 216
Garzanti
EURO 14,90
Ianetta ha la sventura di nascere ultima di sette figlie la notte
delle animeddas. Una sciagura per la famiglia Zara, che cerca di
liberarsi di questo fardello odiato e temuto a un tempo. Ma la
bambina sopravvive alla notte e la famiglia è costretta a tenerla,
paventando future disgrazie.
Agli occhi dei familiari e della comunità di Baghintos Ianetta ha
ROBERTO ALBA
L’estate di Ulisse Mele
ANTAS
62
Anno 2014
pp. 208
Piemme
EURO 14,50
Ulisse è un bambino con un dono
speciale: è sagace e la verità non
gli sfugge mai. Così, quando la sua
famiglia viene colpita da un tragico evento, con il suo sguardo
semplice e innocente, Ulisse sembra l’unico in grado di leggere
correttamente i fatti e i comportamenti delle persone che lo circondano. Ambientata nella Sardegna rurale dei nostri giorni, la
storia è narrata in prima persona dal giovane protagonista, con
la nitidezza priva di fronzoli che solamente i bambini riescono
scrittore a ripercorrere il suo passato e non sarà un’impresa facile.
È il romanzo della ricerca di se stessi attraverso il passato e, soprattutto, grazie a quello strumento magico che sono le fotografie, capaci di immortalare istanti e sguardi che consentono di recuperare momenti distrattamente abbandonati, perché la vita è
troppo veloce e insegna un’insana indifferenza verso i particolari,
i quali – spesso - contengono l’essenza di un’esistenza. È presente
l’acre sapore del crollo di certezze costruite lentamente: quando
quell’impalcatura stabile inizia a scricchiolare ci si sente perduti,
perché quello scricchiolio – lacerante e assordante – ci ricorda, in
qualche modo, che bisogna ricominciare e ricominciare fa paura.
Non manca una fine analisi psicologica di Pietro, un sognatore,
quasi incapace di prendere decisioni importanti e che, spesso,
si lascia vivere, si trascina una storia d’amore con una donna che
forse non ama. Ma anche quella situazione precaria va bene a
Pietro, perché è comunque un equilibrio. La metà del gigante,
vincitore del premio Barney 2013, definito dall’autore un romanzo di formazione, dimostra ancora una volta l’abilità di Cambosu
nel tessere trame articolate e non scevre, neanche stavolta, di un
alone di mistero incalzante con uno stile elegante, curato e lineare, privo di fronzoli. (Sonia Monica Argiolas)
tutti i segni: è una coga. Assunta, la madre, accecata dalla superstizione, attribuisce all’ultima nata le colpe di tutti gli eventi nefasti che colpiscono la famiglia; Pinella, una delle sorelle, col cuore
gonfio di consapevole cattiveria, fomenta l’odio verso la creatura
e ne strumentalizza la fragilità. Solo Lucia, la primogenita, si accorge della sua innocenza di bambina e instaura con la sventurata un rapporto tenero fatto di sguardi e di muta comprensione.
È la fine dell’Ottocento e, con pennellate dense e materiche, Vanessa Roggeri dipinge una Sardegna arcaica e matriarcale, intrisa
di superstizioni e riti ancestrali che uniscono sacro e profano.
Indagatrice del profondo, la scrittrice utilizza un linguaggio robusto e coriaceo che permette al lettore di addentrarsi nell’ambiente rurale in cui si muovono i personaggi, tanto realistici da
sembrare cesellati da mano d’artista. Nel contempo, la storia
impartisce una profonda lezione sul pericolo dell’emarginazione, sul dolore che essa provoca in chi la subisce, sulla pochezza
d’animo di chi la infligge. E la sofferenza di Ianetta, così viva da
sommuovere il cuore, induce a riflettere su un male senza tempo
di cui la natura umana è sempre gravida. (Alessandra Ghiani)
a esternare. Nella drammaticità degli eventi emoziona la lucida
consapevolezza di Ulisse, personaggio scolpito a tutto tondo,
ironico, arguto e profondamente sensibile. Sembra quasi di
vederlo correre d’estate nella campagna assolata e ruvida di
Sardegna, mentre intorno a lui scorre la quotidianità della sua
famiglia, turbata da eventi di cui un bambino non dovrebbe
mai essere testimone. Ma sarà proprio il giovane protagonista
a condurre il lettore fino al dipanamento della vicenda,con un
finale originale in cui, ancora una volta, la straordinaria capacità
di saper guardare oltre stupisce e incanta. Roberto Alba, alla
sua seconda prova dopo La spiaggia delle anime pubblicato da
Gremese, ci accompagna con un noir intelligente dal tono lieve
e disincantato in quest’intimo viaggio nell’animo di Ulisse, osservatore instancabile di una realtà in cui i personaggi dovranno fare i conti con gli errori del passato e i dolori del presente. E
in cui è sempre troppo presto per rendersi conto che diventare
grandi può significare aver paura di crescere ancora.
(Alessandra Ghiani)
TRADUZIONE
Il 16 maggio 1944 sulla pista aerea sotto Monte Doglia, a Fertilia,
atterra un B-26 americano proveniente da Villacidro. Dalla scaletta si affaccia un pilota francese. Si chiama Antoine Saint-Exupéry,
ed è già un personaggio celebre. Ma nemmeno lui immagina che
il suo ultimo libro diverrà uno tra i più letti e tradotti al mondo:
Il Piccolo Principe. Lo scrittore trascorre così in Sardegna l’ultimo
periodo della sua vita, con altri aviatori francesi inquadrati nei
ranghi dell’aviazione americana. “Eravamo in mezzo al nulla”, ricordano della Nurra i militari del gruppo II/33. A loro che erano
appena stati trasferiti da Algeri, il territorio tra Sassari e Alghero
sembrava più spopolato del deserto nordafricano. La storia, quasi inedita al grande pubblico, si tinge dei ricordi come gli amici
VALENTINA CEBENI
L’ultimo battito del cuore
Anno 2013
pp. 304
Giunti Editore
EURO 12,00
Capita di trovarsi tra le mani un libro, iniziare a leggerlo e, poco
alla volta, riscoprirsi in esso vedendo riflessa una parte di sé:
all’improvviso ci si ritrova immersi in luoghi e situazioni che
sembrano appartenerci. Dolori, gioie, emozioni e pianti sembrano reali: viaggiano con te e con quello che hai dentro e quasi
per magia ti accorgi che un personaggio ti è più affine di quanto immaginassi. È questo che accade leggendo L’ultimo battito
del cuore, romanzo d’esordio della giovane scrittrice Valentina
Cebeni, romana ma sarda d’adozione, per le origini che legano
saldamente la sua famiglia a questa meravigliosa isola. Con la
nudda”, s’ammentant gasi de sa Nurra sos militares de su grupu
II/33. A issos chi fiant istados trasferidos agigu dae Algeri, sos saltos intre Tàtari e S’Alighera pariant prus pagu populados de su
desertu africanu. S’istòria, agiomai inèdita a su pùblicu mannu,
si tinghet de ammentos comente sos amigos s’aligheresos, sa pisca a sas aliustas, sas rebotas, sa domo de sos Mannazzu a Portu
Conte e sas ispantosas intrinadas subra Cabu Catza. Su testu est
arrichidu dae sos disignos de Paola Serra, ispirados a sas fotografias de John Philips, giornalista de “Life” chi at documentadu
sos acadessimentos sardos de su babbu de su “Petìt Prince”. Sos
ricognidores presentes in Fertìlia, comente su “Lightning” a coa
dòpia, depiant frunire sos ùrtimos detàllios pro ammaniare s’isbarcu in Proventza. S’avieri-poete aiat 44 annos e at fatu de totu
pro bolare cun s’iscuadrìllia sua, mancari chi sa règula impediat
a unu pilota subra sos 30 de pigare in un’aèreu de gherra. Dae
S’Alighera, Antoine si nche fiat trasferidu a sa Còrsica. Fiant 5 sos
bolos de ricognitzione prevìdidos in su totu. Isse nd’aiat apidu a
fàghere noe, ma dae s’ùrtimu non fiat torradu prus.
algheresi, la pesca alle aragoste, i banchetti, la villa dei Mannazzu
a Porto Conte e i favolosi tramonti su Capo Caccia. Il testo è arricchito dei disegni di Paola Serra, liberamente ispirati alle fotografie di John Phillips, giornalista di “Life” che documentò le vicende
sarde del papà del “Petìt Prince”. I ricognitori presenti a Fertilia,
come lo stupendo Lightning a doppia coda, dovevano fornire gli
ultimi dettagli per preparare lo sbarco in Provenza. L’aviere-poeta aveva 44 anni e fece di tutto per volare con la sua squadriglia,
nonostante la regola che impediva a un pilota sopra i 30 di salire
su un aereo da combattimento. Da Alghero, Antoine si trasferì in
Corsica. Erano cinque i voli di ricognizione previsti in totale. Lui
ne avrebbe fatto nove, ma dall’ultimo non sarebbe mai tornato.
(Salvatore Taras)
storia di Penelope Valentina apre confini inesplorati, che solo
la scrittura riesce a far superare e conoscere, perché scrivere è
un viaggio interiore alla ricerca di se stessi, la stessa alla quale
aspira Penelope nelle pagine di questo romanzo appassionante,
nel quale mai nulla è scontato: una continua riscoperta di sensazioni, emozioni e pensieri che spesso si muovono all’unisono
con quelli dei protagonisti. La scrittura della Cebeni può quindi
definirsi evocativa, di profumi, immagini, sensazioni e luoghi che
lentamente coinvolgono il lettore, al punto che egli è realmente
in grado di dare un volto a ciò che sta leggendo. Straordinario
è il modo in cui l’autrice utilizza le parole per descrivere luoghi,
personaggi, o un’emozione fatta di sensualità e passione; lo fa
con attenzione, utilizzando pennellate di colore che, delineando
i tratti di un quadro, si muovono tra le pagine con naturalezza,
senza sovrastrutture né giri di parole. L’autrice rende le emozioni della protagonista vere, tangibili, e la sua storia rapisce chi la
legge. Penelope, il cui apparente distacco e la freddezza mostrata
non sono altro che un’arma a protezione di abissi di parole mai
dette, dimenticate, e sofferenze che spesso inaridiscono creando
muri, è in realtà una donna fragile e forte insieme, il cui cuore è
un fuoco che arde alla continua ricerca di sé e della propria strada, decisa ad amare ancora. Nonostante tutto.
(Ghita Stefania Montalto)
63
Su 16 de maju de su 1944
in sa pista aèrea a pes de
Monte Dòglia, a Fertìlia,
aterrat unu B-26 americanu chi benit dae Biddacidru. Unu pilota frantzesu s’acarat dae s’iscalita.
Si mutit Antoine de Saint-Exupéry, ed est giai unu personàgiu
famadu. Ma nemmancu isse s’immàginat chi s’ùrtimu libru sou at
a divènnere unu de sos prus lèghidos e tradùidos in su mundu:
Su Prìntzipe Minore. S’iscritore colat gasi in Sardigna s’ùrtimu tempus de sa vida sua, cun àteros aviadores frantzesos incuadrados
in sos rangos de s’aviatzione americana. “Fiamus in mesu a su
Custa la leghimus in sardu
ANTAS
LUCIANO DERIU
Il piccolo principe
dall’isola alle stelle
S’annu 2013
pp. 143
Carlo Delfino Editore
EURO 18,00
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