Mia nonna era molto riluttante e restia a parlare di se stessa
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Mia nonna era molto riluttante e restia a parlare di se stessa
ANTAS 1 Col vento in poppa... La seconda volta non si scorda mai La nave Antas ha lasciato la darsena iniziando la lunga avventura alla scoperta dei tesori della musica e della cultura sarda. Il primo numero, pur non avendo ancora i riscontri di vendita, è già annoverabile come un successo: ci avete travolto col vostro entusiasmo, con la vostra sete di conoscenza, coi vostri post sui social network che, lo dico con sincerità, ci hanno riempito d’orgoglio. Un primo passo è stato fatto: progettare e divulgare un giornale che, partendo dalla musica, arrivi a valorizzare i nostri grandi artisti, i nostri scrittori, i nostri registi e attori. Antas come orgoglio d’appartenenza, Antas come agile libellula che vola per catturare tutte le bellezze e i colori dei nostri fiori all’occhiello della cultura, Antas (permettetemi questo piccolo vanto) come coraggiosa scommessa di un editore che ha sfidato la grave congiuntura economica per lanciare un giornale culturale. In quanti avrebbero avuto questo coraggio? Ed eccoci qui, a sfatare ogni mito! Sì perché se è vero che la prima volta non si scorda mai, improvvisamente travolto dalle emozioni, dalle aspettative, dal mistero affascinante di qualcosa che si scopre pian piano, che ti ha catturato e ti ha fatto fare anche scelte sbagliate o inopportune. Se la prima volta pensi di essere invincibile, di non aver bisogno di nessuno che ti dia un consiglio. Se la prima volta pensi che basta convincere qualcuno per buttarti in avventure prive di ogni rischio, qualcuno che come te è pronto a mettere da parte ansie e incertezze. Se la prima volta chiami al telefono un amico e gli dici: “Non ti preoccupare, c’è sempre una prima volta!”. E di nuovo ti ritrovi immerso per la prima volta in un meccanismo che ti avvolge, ti conquista, ti porta via tutte le energie ma sai che le energie le ritroverai perchè è la prima volta. Facile rimanere coinvolti la prima volta che prendi in mano una tua creatura, la guardi come si guarda un bambino appena nato e le prometti tutta la protezione che merita chi è indifeso e deve affrontare il mondo là fuori; pronto a portarti in trionfo per un acuto ben intonato e un attimo dopo dimenticarti nel primo cassonetto di un viale poco illuminato. Complicato non farsi travolgere la prima volta che hai assaporato il gusto di sentirti importante, parlare con persone che contano e immaginarti alla loro portata. Bello sentirti gratificato la prima volta per una tua passione che hai solo desiderio di condividere. Tutto assolutamente naturale e conseguente del fatto che è stata la prima volta. Sì, la prima volta per Antas è stato tutto questo: un vortice di emozioni che ci ha trascinato verso nuove conoscenze, nuovi contatti, nuovi entusiasmi. Eppure il sapore di questa seconda volta è incredibilmente diverso, più completo, più appagante: migliore in tutti i sensi! Poter dimostrare che siamo pronti a riprendere in mano con orgoglio un progetto che poteva essere uno dei tanti fuochi di paglia. Dimostrare che chi crede nel proprio lavoro è disposto a tutto, che fare impresa e provare a creare occupazione attraverso la diffusione della cultura in una terra come quella sarda che vive ancora di luoghi comuni (non perdete il pezzo di Claudia Aru e le sue esortazioni!) si può! Ritrovarsi ogni giorno a gridarlo ai quattro venti (giurerei che in Sardegna sono molti di più!) in tutti i modi possibili” è quello che questa seconda volta ci porta a perseguire. E allora diamo il benvenuto ai nuovi collaboratori, osservandoli con affetto muovere i primi passi insieme alla grande famiglia di Antas: chi emozionato della prima volta, chi felice ancora di più e orgoglioso della seconda volta. (Simone Riggio) ...è iniziata l’avventura di Antas COPERTINA DEDICATA ALLA FARADDA In questo numero la copertina è dedicata alla discesa dei Candelieri di Sassari, la Festha Manna della città, riconosciuta dall’Unesco, nel Dicembre del 2013, patrimonio immateriale dell’Umanità. Tre articoli scritti da chi la FARADDA la vive tutti i giorni e non solo il 14 Agosto con intensa emozione, con quello spirito che ha consegnato questa festa alla storia della città di Sassari. ESCLUSIVA GRAZIA DELEDDA Sarà un numero ricchissimo che conterrà un’altra piccola esclusiva di ANTAS: l’intervista all’unico nipote vivente della scrittrice nuorese Premio Nobel Grazia Deledda. Alessandro Madesani Deledda ci racconta sul filo della memoria alcuni episodi inediti della vita della nonna: scoprirete una Grazia Deledda per certi versi sconosciuta, molto ironica, ma anche amorevole e dolce. E poi le rubriche che tanto vi sono piaciute (Dicono di Noi con protagonista Eugenio Finardi, Primo Piano Letteratura con Flavio Soriga, Donne di Sardegna con Stefania Sergi, Claudia Aru e Maria Giovanna Cherchi). Ma vorrei segnalarvi anche alcune importanti “aperture” promesse nel mio editoriale del primo numero: si parlerà di cinema con Bonifacio Angius e Mauro Aragoni, di teatro con le LucidoSottile, di rapporto tra musica e sport con un curioso metodo per imparare a nuotare inventato dal musicista Dario Masala e ancora tanti articoli e interviste per un secondo numero ricco e variegato. Appello finale: dateci fiducia, chi vuole si abboni, chi preferisce scarichi la rivista online, ma diffondete ANTAS. Solo così possiamo offrirvi un giornale sempre più ricco e, chissà, in un futuro nemmeno tanto lontano, anche altre iniziative editoriali collaterali alla rivista. Buona Lettura! (Pierpaolo Fadda) Non me ne voglia l’Accademia della Crusca Un ringraziamento particolare da parte della redazione di ANTAS ad Alessandro Vozzo, Chiara Solinas, Salvatore Spada, Giovanni Porcu e Marco Dettori per la preziosa collaborazione nella realizzazione dello Speciale sui Candelieri di Sassari. editoriale ANTAS 03 Editoriale Pierpaolo Fadda e Simone Riggio 04 Sommario 05 In evidenza APPROFONDIMENTI 06 Mia nonna, Grazia Deledda Pierpaolo Fadda 10 Launeddas: il suono dell’alba del mondo Giuliano Marongiu DONNE DI SARDEGNA A N TA S Bimestrale di musica e cultura sarda N° 2 - Agosto 2014 - Anno 1 EDITORE PTM Editrice di Claudio Pia Via dei Mestieri, 14 09095 Mogoro (OR) Telefono 0783 463976 - Fax: 0783 463977 Email: [email protected] Orari: dal Lun. al Ven. 09.00 - 13.00 | 14.30 - 18.30 DIRETTORE Pierpaolo Fadda [email protected] ART DIRECTOR Simone Riggio [email protected] CONSULENTE ALLA REDAZIONE Manuela Polli HANNO COLLABORATORO A QUESTO NUMERO Sonia Monica Argiolas, Simone Cardia, Antonio Caria, Marco Dettori, Alessandra Ghiani, Claudio Loi, Mary Manghina, Giuliano Marongiu, Ghita Stefania Montalto, Matteo Mazzuzzi, Diego Pani, Valentina Pintor, Giovanni Porcu, Michele Sai, Chiara Solinas, Deborah Succa, Salvatore Taras, Giovanna Tedde, Alessandro Vozzo. PUBBLICITA’ E PROMOZIONE [email protected] FOTO COPERTINA Giovanni Porcu FOTO PAGINA ABBONAMENTI vgstudio / 123RF Archivio Fotografico STAMPA PTM - Prima Tipografia Mogorese di Claudio Pia Via dei Mestieri 14 - 09095 Mogoro (OR) ©Antas 2014 tutti i diritti di produzione sono riservati Registrazione tribunale di Oristano n° 1/2014 del 21/05/2014 12 Maria Giovanna Cherchi e Mango Giovanna Tedde 14 Claudia Aru Pierpaolo Fadda 16 Stefania Sergi Giovanna Tedde POLIVOCALITÁ 19 Su Coro de Piaghe Mary Manghina PERSONAGGI 20 Tonino Canu Antonio Caria GLI SPECIALI DI ANTAS 24 28 30 32 La Faradda, Festha Manna di Sassari Alessandro Vozzo Il paesaggio sonoro della Discesa dei Candelieri Chiara Solinas Il ritmo dei tamburini Marco Dettori Poster dei Gremi Giovanni Porcu INTERVISTE 34 Eugenio Finardi Pierpaolo Fadda 38 Flavio Soriga Pierpaolo Fadda FOCUS, ARTISTI IN VETRINA 42 44 46 48 52 Su Scannu Sessions Diego Pani Il teatro delle Lucido Sottile Matteo Mazzuzzi Quella sporca sacca nera Simone Cardia Bonifacio Angius Valentina Pintor Dario Masala Alessandra Ghiani SFUMATURE SONORE 55 SVM Trio Claudio Loi 56 Thank U for smoking Diego Pani RECENSIONI DISCOGRAFICHE 58 4 note in libertà con Francesco Piu Antonio Saba Michele Sai Entity Pierpaolo Fadda Terrorway Pierpaolo Fadda Niera Mary Manghina Plasma Expander Claudio Loi Infinita Quartet Claudio Loi RECENSIONI LIBRI 61 A colazione con Claudia Zedda Deborah Succa La metà gigante di Gianfranco Cambosu Sonia Monica Argiolas l cuore selvatico del ginepro di Vanessa Roggeri Alessandra Ghiani L’estate di Ulisse Mele di Roberto Alba Alessandra Ghiani Il piccole principe dell’isola alle stelle di Luciano Deiru Salvatore Taras L’ultimo battito del cuore di Valentina Cebeni Ghita Stefania Montalto in evidenza MIA NONNA, GRAZIA DELEDDA 06 Alessandro Madesani Deledda è l’unico nipote vivente della scrittrice Premio Nobel Grazia Deledda. Figlio di Franz, secondogenito di Grazia e Palmiro Madesani, non ha mai conosciuto sua nonna, essendo nato nel 1939, tre anni dopo la morte della grande scrittrice nuorese. POSTER DEI GREMI 32 34 Il 14 agosto a Sassari è festha manna (festa grande), ma per parlare della Faradda, come i Sassaresi chiamano la Discesa dei Candelieri... 10 ROBERTO TANGIANU 12 CHERCHI MANGO EUGENIO FINARDI Quando parli di Eugenio Finardi ti viene in mente la sua “musica ribelle”, il blues, il rock. Ma vederlo sul palco di una festa paesana della nostra terra vestito in velluto... 16 STEFANIA SERGI 20 Scarica la versione in pdf su www.antas.info e seguici sui maggiori social network! 38 FLAVIO SORIGA TONINO CANU 44 Parlare con Flavio Soriga è sempre un piacere e non smetteresti mai di farlo. Scrittore di successo, autore televisivo, direttore di festival letterari, giornalista... LUCIDO SOTTILE approfondimenti 6 ANTAS Sul filo della memoria Incontro con l’unico nipote vivente della scrittrice MIA NONNA, GRAZIA DELEDDA Alessandro Madesani Deledda racconta il suo legame con la scrittrice Premio Nobel testo di Pierpaolo Fadda “Mia nonna scriveva due ore al giorno, poi si dedicava alla famiglia. Non sopportava che i figli dicessero bugie. Quella volta che si negò a un giornalista fingendosi la donna di servizio...” Prima parte Alessandro Madesani Deledda è l’unico nipote vivente della scrittrice Premio Nobel Grazia Deledda. Figlio di Franz, secondogenito di Grazia e Palmiro Madesani, non ha mai conosciuto sua nonna, essendo nato nel 1939, tre anni dopo la morte della grande scrittrice nuorese. Con Alessandro, raggiunto telefonicamenete nella sua casa di Luino in Lombardia, abbiamo fatto una lunga chiacchierata, sul filo della memoria, per ricordare Grazia Deledda. Alessandro Madesani Deledda Attestato del Premio Nobel Mia nonna era molto riluttante e restia a parlare di se stessa... 7 Quindi sua nonna era una donna molto decisa? Molto determinata. Le descrizioni di papà non lasciano dubbi: aveva uno sguardo molto intenso e quando i suoi figli raccontavano qualche bugia lei se ne accorgeva immediatamente e diceva loro con estrema decisione: ”Vergognatevi”. Ma non era finita lì. Per punizione, nonna Grazia era capace di non rivolgere loro la parola anche per due o tre giorni: le bugie la facevano veramente arrabbiare. Altri ricordi che le vengono in mente? Raccontava papà che al mattino lei seguiva l’andamento e il governo della casa e - come detto prima - nel primo pomeriggio dedicava due ore alla scrittura. Ma era molto attenta anche al fatto che i figli si informassero adeguatamente, tant’è che successivamente procedeva alla lettura dei giornali e delle riviste e segnalava a Sardus e Franz gli articoli che secondo lei meritavano di essere conosciuti anche da loro. C’è da dire che nel quartiere dove la nonna viveva a Roma, in via Imperia, ANTAS Lei è nato tre anni dopo la morte di Grazia Deledda, ma suo padre Franz le avrà parlato di lei. Mi racconta qualche episodio curioso? Ho sempre avuto notizie di mia nonna da mamma e papà e i ricordi sono sempre emozionanti e bellissimi. Papà Franz mi raccontava che quando lui e lo zio Sardus (il primogenito di Grazia Deledda n.d.r.) erano bambini la nonna scriveva puntualmente, tutti i giorni e non più di due ore nel primo pomeriggio. Ma in quell’arco di tempo, in casa, regnava il silenzio assoluto perché lei doveva concentrarsi sulla scrittura. Bastavano poche parole, era una donna molto decisa: “Bambini, state buoni perché la mamma scrive”. Sia papà che lo zio vivevano questo momento della giornata come un fatto per certi versi misterioso, non riuscivano a comprendere bene il perché di quel silenzio. erano completamente diversi da oggi: bisognava davvero andare a verificare di persona le notizie e infatti un giornalista sardo, che di cognome faceva Sirigu, e che ebbi successivamente modo di conoscere, lo venne a sapere e cercò in tutti i modi di approfondire quella notizia così importante. Sirigu lavorava al Giornale d’Italia e si recò in via Imperia suonando al cancello della villetta dove abitava la nonna. Tenga anche presente che allora non esistevano molte immagini o fotografie e quindi lui Grazia Deledda non l’aveva mai vista: questo fu il suo grande svantaggio. Papà raccontava che suonò, gli venne aperto il cancello e gli si avvicinò una signora canuta (la nonna ormai aveva i capelli bianchi) dicendogli con tono risoluto: “Desidera”? “Guardi, io sono un giornalista. Vorrei parlare con la famosa scrittrice, Grazia Deledda”. E nonna senza esitazione rispose: “Mi dispiace, in questo momento non è in casa”. Il giornalista, stupito, replicò, cercando di non darsi per vinto: “Ma lei chi è”? “Io sono la donna di servizio”. (Alessandro si lascia sfuggire una lunga risata, commentando: ”Mia nonna era molto riluttante e restia a parlare di se stessa”). ANTAS 8 Grazia Deledda coi figli Sardus a sin. e Franz a destra (Quartiere Italia), fra l’Università e il cimitero del Verano, nel raggio di cento metri abitavano anche le sorelle Nicolina e Giuseppina: si vedevano quasi tutti i giorni e parlavano in sardo. Papà mi raccontava che lui il sardo lo capiva bene ascoltando i colloqui tra di loro, ma non lo parlava. Episodi divententi legati al premio Nobel? (risata) Questo che le racconto è davvero divertente e rende bene l’idea di quanto fosse anche carica d’ironia la nonna. Siamo nel 1927 e a Novembre si sparge la voce dell’assegnazione del premio Nobel per la letteratura a Grazia Deledda. Allora i mezzi d’informazione Prima ha parlato del 1927: ma negli annali risulta che il Nobel sia stato assegnato nel 1926. Ci può spiegare come mai? Ne approfitto per chiarire l’episodio. Negli annali, in effetti, il premio risulta assegnato nel 1926, ma la comunicazione è datata Novembre 1927, tant’è che lei poi andò a ritirarlo a Stoccolma il 10 Dicembre del 1927. Il problema è che nel 1926 il premio Nobel per la Letteratura non fu assegnato (ogni tanto capita) e lo statuto prevede che qualora il Premio Nobel un anno non venga assegnato possa essere attribuito l’anno successivo. Torniamo per un attimo ai ricordi di famiglia. Ho letto che sua mamma, il giorno in cui venne presentata al futuro Premio Nobel, era visibilmente emozionata, quasi intimidita: è vero? È verissimo, ha avuto timore o forse riverenza. Stiamo parlando del 1933, anno nel quale mamma e papà si erano fidanzati. Si erano conosciuti all’Università; lei stava studiando chimica, mentre papà era già laureato e faceva l’assistente: in pratica, per farla breve, lei era una studentessa di papà. A un certo punto, quando decisero di rendere ufficiale il fidanzamento e quindi di sposarsi, arrivò il giorno dell’incontro e la presentazione di mamma ai familiari. Lei mi raccontò che, trovandosi davanti alla futura suocera, rimase a una distanza di un metro e fu colpita da uno sguardo intenso che durò dieci secondi. Quegli occhi la guardavano fissa. Poi il momento più commovente: nonna Grazia si avvicinò abbracciandola forte e dicendo: ”Adesso chiamami mamma”. In pratica fu il suo primo incontro con nonna Grazia? Direi proprio di sì. Ero colpito dalla favola della mamma che descriveva la Grazia bambina che aveva studiato solo fino alla quarta elementare, ma possedeva dentro il sacro fuoco della scrittura. Mandava agli editori le sue novelline e pian piano era diventata famosa, tanto da conquistare il Premio Nobel. Quello è stato un giorno indimenticabile: nonna era entrata per sempre nella mia vita. Poi devo anche dire che Cervia ha avuto un grande rispetto per Grazia Deledda: il suo lungomare si divide in due parti, una dedicata a Gabriele D’Annunzio, l’altra alla Deledda. In comune le hanno conferito la cittadinanza onoraria dopo l’assegnazione del Nobel e in Municipio c’è una lapide nella quale si ricorda la presenza di Grazia Deledda in questa bellissima cittadina. Continua…. 9 Se le dico Cervia, 1947, cosa le viene in mente? Tanti bei ricordi. Come le ho detto, non avendo conosciuto la nonna, da bambino io non avevo ancora ben capito l’importanza della figura di Grazia Deledda. Forse ho iniziato a comprenderlo proprio in quel 1947 quando, coi miei genitori, ritornammo a Cervia, dove la nonna possedeva un piccolo villino vicino al mare. Ricordo benissimo la mia curiosità nel leggere, sul lato del villino, una targa che era stata apposta dal comune di Cervia l’anno prima in occasione del decennale della morte della nonna. Era un omaggio della città a Grazia Deledda, che dal 1920 al 1935 trascorse le vacanze estive nella cittadina romagnola. Leggendo quella targa rimasi molto incuriosito e chiesi finalmente alla mamma di raccontarmi della nonna. Furono momenti bellissimi ed emozionanti: come fosse una favola, mamma iniziò a descrivermi la storia di questa bambina che viveva in un paese al centro della Sardegna in tempi nei quali la società era maschilista e con dei canoni molto ferrei. ANTAS Mandava agli editori le sue novelline e pian piano era diventata famosa... approfondimenti Incontro con Roberto Tangianu LAUNEDDAS il suono dell’alba del mondo Il giovane musicista, che sta per pubblicare un libro dedicato all’antico strumento musicale sardo, ci racconta la straordinaria esperienza parigina dello scorso Maggio col grandissimo Luigi Lai e il giovane Fabio Vargiolu. Davanti alla sede dell’Unesco è stata l’apoteosi delle Launeddas. Mi viene difficile immaginare un mondo lontano e diverso di quello in cui viviamo, meno popolato e più verde, abitato da uomini e donne che parlavano una lingua che noi non potremmo capire, che spianavano la strada del tempo che avremmo percorso. C’è stato sicuramente un luogo vasto e disteso, puro e silenzioso, infranto con leggerezza dai suoni di una natura viva, disegno aperto al bello che si crea senza la mano di chi poi nei secoli ha costruito e trasformato. Tutti quelli che hanno attraversato il passato hanno preso qualcosa da chi li aveva preceduti e qualcosa hanno lasciato per tutti gli altri che sarebbero venuti poi. La grande catena dell’umanità segna il passaggio delle generazioni che, quando assumono i contorni più definiti di spazio e di tempo, diventano epoche e civiltà. Quando l’alba del mondo ha proiettato la sua prima luce, qualcuno ha pensato bene di cantare e qualcun altro di riempire l’aria di musica, dipingendo il futuro di poesia. Non sappiamo né dove né quando le launeddas hanno catturato le note nei respiri di chi le ha inventate, ma con certezza possiamo affermare che quel vento che ha mosso le prime armonie soffia da lontano. La Sardegna ha protetto il suono fin dal suo primo ascolto, ne ha delineato la potenza. La grande dimora, sospesa tra i mari, ha saputo conservare quell’impasto di culture che mani artigiane e abili suonatori hanno saputo trasferire con passione e sentimento dell’appartenere. La voce delle canne continua a narrare la musica di un’isola, solcando l’identità del suo popolo con fierezza rivelata. Ci sono diversi giovani, oggi, che raccolgono l’eredità e camminano con passione e verità sull’esempio dei grandi che prima di loro hanno seminato l’esperienza. Roberto Tangianu è uno di loro, innamorato di uno strumento antico che produce una lingua universale e senza tempo. Nel mese in cui fioriscono le rose, insieme al più grande suonatore vivente, Luigi Lai, il giovane musicista di origine foto di Photo Service di Roberto Moro ANTAS 10 testo di Giuliano Marongiu Il canto a tenore ha ottenuto il riconoscimento da parte dell’Unesco. L’arte del canto è sotto tutela. Cosa ostruisce il raggiungimento dello stesso fine per le launeddas? Intanto è molto importante che la Maison dell’Unesco abbia offerto la sua attenzione allo strumento più antico della nostra terra. Non era mai accaduto prima. È l’Unesco che attribuisce il riconoscimento alle bellezze tangibili e immateriali dell’esistente per farle diventare tutela di un patrimonio universale. L’Associazione Culturale “Cuncordia a launeddas” di Cagliari ha intrapreso da molto tempo il percorso utile e burocratico per guadagnare quel titolo e in tempi recenti la Regione Sardegna ha promosso alcune iniziative per accelerare il percorso. Ci sono dei tempi e il calendario probabilmente assegna delle priorità non dettate tanto dal valore in sé, quanto da una sorta di “riparto” con altre realtà che ambiscono allo stesso traguardo. C’è un comitato che esamina le candidature: la Sardegna merita un’altra soddisfazione e sono certo che l’avrà. Che cosa si prova a condividere il palco con Luigi Lai, considerato il grande erede della Scuola del Sarrabus dei suonatori di launeddas? Sono cresciuto alimentando la mia passione per la musica grazie ai suoni che il Maestro ha prodotto. Non sono stato un suo allievo, ma ho sempre avuto il desiderio di esserlo. Luigi Lai è stato allievo di Antonio Lara e di Efisio Melis, ha costruito la storia che noi giovani respiriamo insieme ad altre eccellenze come Aurelio Porcu di Villaputzu. Nel 2012 ha tagliato il nastro degli ottanta, ma la sua musica è come l’entusiasmo che sprigiona con energia: sempre nuova, sempre ricca di sfumature inedite. Stare su quel palco accanto a lui, per la prima volta nella mia vita, mi ha fatto sentire parte di un momento unico e irripetibile. Magico. Ci sono tanti giovani che oggi garantiscono un futuro allo strumento più antico. Soprattutto danno un significato al presente. Spesso facciamo riferimento ai grandi del passato, con giusto rispetto e gratitudine. Questo non deve distrarci dalle bellissime espressioni che oggi contribuiscono a rendere viva una tradizione più raffinata e virtuosa. Nel cassetto che tieni socchiuso, quali sogni rinchiudi? I sogni di tutti quelli che attraversano la mia età in un momento storico difficile. Vorremmo svegliarci senza le preoccupazioni che attanagliano i pensieri di domani e smettere di vivere nelle incertezze che creano angoscia. Sogno la serenità per le persone a cui voglio bene e che me ne vogliono e cerco, nel mio piccolo, di rendere migliore il mondo che mi circonda. Tra i sogni che sposano la musica c’è quello ancora incompiuto di un lavoro discografico tutto mio ma aperto al confronto. Tra i sogni che si stanno realizzando, invece, c’è la pubblicazione di un libro che ha per titolo “Launeddas. La voce delle canne nel vento”, dove raccolgo il mio amore per questo strumento e lo metto a disposizione di chi lo vuole condividere. In una frase c’è il senso di una vita. Roberto descrive brevemente cosa si prova quando si suona,ma con la potenza di un’immagine che cattura l’emozione e ce la restituisce: «Quando suono, gli occhi si chiudono piano. Il respiro si nutre di fiato e si trasforma in musica, cattura l’aria per rifiorire di note. È la magia delle launeddas. Le mie dita volano senza controllo e inseguono la poesia. Niente è più carnale di un’emozione pura. Trascorrono minuti che sembrano un’eternità. L’applauso esplode e la Sardegna che mi vive dentro grida il suo commosso orgoglio». 11 foto di Michelangelo Zanda (Desulo) Roberto, hai affidato ad uno scritto il tuo stato d’animo: “Mentre l’aereo per Parigi decolla e lo spazio tra la terra e il cielo accorcia le distanze, penso a tutti quelli che nel tempo hanno fatto viaggiare la Sardegna attraverso le tradizioni animate da passione”. Un pensiero che rincorre il tempo tra le note di una musica senza età. Soprattutto una musica che rincorre il tempo, ma che non può fare a meno di uno spazio per esistere, e su quel volo pensavo anche alla leggerezza con cui i suoni delle launeddas sono arrivati nei luoghi più lontani per raccontare la voce di un popolo che in un viaggio intrapreso da millenni ha seminato la sua storia musicale sempre fertile. La tappa di Parigi mi ha dato ancora una volta la dimensione di quanto la musica dei sardi sia apprezzata anche da chi sardo non è, ma soprattutto da chi la musica la conosce bene. La manifestazione si chiama “La Musique, la Culture, Les Traditions d’une ile dans la Mèditerranée: La Sardaigne” e riunisce le stelle internazionali della musica classica: elogi a scena aperta per la Sardegna che respirava la sua poesia che fioriva tra le canne. ANTAS ogliastrina ha varcato le soglie di uno dei luoghi più prestigiosi del mondo: la sede dell’Unesco di Parigi. Tra gli intrecci delle canne si è esibito con loro anche un altro giovane e valido suonatore di launeddas, Fabio Vargiolu. L’Unesco è il tempio della cultura che “misura” e riconosce l’arte e la bellezza del mondo nelle sue unicità. Quell’insieme di suoni ha scosso la grande sala, che ha poi vibrato sotto l’intensità dei lunghi applausi, convinti e interessati, di una platea altamente qualificata. foto di Pierpaolo Medda donne di Sardegna Abbiamo incontrato la cantante di Bolotana MARIA GIOVANNA CHERCHI No Potho reposare in duetto con MANGO ANTAS 12 testo di Giovanna Tedde Maria Giovanna Cherchi, il talento femminile che dal 1995 calca i palchi isolani con la continuità che è propria di chi brilla nel tempo senza perdere mai la luce artistica che la distingue. Sono passati ben 19 anni da quel timido ma chiaro esordio della sua voce a livello regionale. Una scoperta discografica che si riconferma negli anni come una delle più importanti realtà musicali della Sardegna. Oggi Maria Giovanna Cherchi aggiunge una nuova pagina al libro della sua carriera: la collaborazione al nuovo disco di editi storici nazionali del cantante Mango, L’amore è invisibile. Abbiamo seguito da vicino il sodalizio artistico che li ha condotti verso l’incisione di No potho reposare a due voci, attraverso il racconto della stessa cantante bolotanese. Maria Giovanna Cherchi, una donna che rappresenta la Sardegna sia per la sua bellezza che per la sua dote vocale. Una giovane artista che vive di musica esplorando il panorama nazionale con grande curiosità. Come nasce l’amicizia con Mango, voce della raffinata arte canora in Italia e nel mondo? Tre anni fa mi chiamarono per aprire il concerto di Mango il 1° Gennaio a San Teodoro. Lo incontrai in camerino, ci presentammo e io gli espressi il desiderio di unire le nostre voci. Con grande candore mi raccontò della sua passione per la Sardegna e soprattutto per la nostra canzone d’amore. Da quel giorno ci sentimmo spesso per parlare di musica e per condividere esperienze e emozioni. Io ero innamorata della Cosa le ha dato l’esperienza artistica insieme a Mango? Ho provato una grande emozione nel cantarla con questo arrangiamento: bella come sempre, rispettata nella sua essenza, ma ora più appassionata e ap- 13 presentazione qui in Sardegna con tantissimi fan: in una settimana era già tra i dischi più venduti e più scaricati. No potho reposare: un brano storico per la nostra isola. Come tutti i brani della nostra tradizione è legato a criteri di identificabilità che ne vincolano spesso anche quelli di arrangiamento ed esecuzione vocale. Con che approccio e spirito vi siete avvicinati all’interpretazione di questo pezzo? Sono veramente soddisfatta: i nostri canti vivono nel tempo solo perché c’è qualcuno che li canta. Penso che dare nuova vita alle canzoni sia possibile e stimolante. L’approccio deve essere serio e qualificato: non avrei mai permesso che venisse snaturata e Mango ha concentrato in questo brano tutte le sue energie, tutto il suo talento, perché era veramente innamorato dell’amore che in questo testo è contenuto. Io ho usato la mia voce per intonarla con tutta la passione possibile: in studio la intonavo con fierezza, mi sentivo fortissima, perché tutti dovevano percepire ciò che No potho reposare rappresenta per i sardi. Mango sarà presto in tournée e io sarò con lui; ci saranno alcune date anche in Sardegna. Io continuo comunque il mio tour qui nell’Isola e, assieme ai miei musicisti, la inserirò presto tra i brani dei miei concerti. ANTAS La collaborazione nel nuovo disco di Mango, L’amore è invisibile, è stata una sorpresa o un progetto consapevole? Da quanto tempo avete iniziato questo percorso? Niente è stato lasciato al caso e la qualità raggiunta mi ha dato serenità: tre anni per aspettarla, per riascoltarla senza farla sentire a nessuno, come un bellissimo segreto. Poi, finalmente, a fine Maggio la presentazione ufficiale a Milano, le radio che la trasmettono e la passionante. foto di Pierpaolo Medda sua voce da sempre e lui aveva scoperto e amato la mia. Quando mi propose un arrangiamento di No potho reposare inizialmente fui un po’ scettica (non è mai facile per noi sardi concedere a chi non lo è di rivestire di nuovi suoni i nostri classici), ma appena ascoltai il suo provino ne fui subito conquistata. Ho pensato al primo ascolto che si trattava di una nuova fioritura, una nuova vita, stranamente coinvolgente, una potenza: solo un grande talento come Pino poteva dare a questo brano una veste così radiofonicamente giovane, fresca. Mi recai a Lagonegro a casa sua spesso: lì abbiamo lavorato in studio braccio a braccio con i musicisti, notte e giorno, cantato e ricantato perché fosse perfetto nell’esecuzione. Pino è un perfezionista: il duetto non doveva essere solo l’abbraccio di due voci ma una strada in salita che arriva fino alla vetta, da dove si ammira un panorama mozzafiato. Questo il punto di partenza fisso: doveva restare l’inno che tutti conoscono e amano, ma le note la dovevano fare vibrare… ancora. donne di Sardegna 14 ANTAS CLAUDIA ARU Non saremo più Pocos, Locos y Mal Unidos testo di Pierpaolo Fadda Come sta andando A giru a giru? Sta andando abbastanza bene e lo dico sottovoce. Non ho mai puntato troppo in alto e al momento tutti i miei piccoli obiettivi sono stati raggiunti. C’è ancora molto da fare e si può e si deve sempre migliorare ma credo che, compatibilmente con questo periodo di grande crisi, possiamo ritenerci più che soddisfatti. Ti sei divertita a lavorare coi bambini? Lavorare con i bambini non è solo divertente: loro insegnano agli adulti molte cose da tanti punti di vista, hanno ancora quella spontaneità che noi abbiamo perso, sono sinceri, si emozionano senza freni, nel bene e nel male, e ti portano a capire che non esiste mai una verità, ce ne sono tante, e fossilizzarsi su un punto di vista è sbagliato. Noi crescendo questo l’abbiamo dimenticato; loro lo applicano ancora. E poi i bambini sono l’unica speranza di riscatto per questa terra: saranno loro a cambiarne le sorti col loro lavoro. Sono il mio pubblico di riferimento preferito: non ho alcun problema a dirlo. Hai in programma nuovi lavori discografici? Sì, in questi ultimi anni sono stata definita da molti una vera stakanovista della musica. Grazie al progetto acustico abbiamo prodotto due dischi a un solo anno l’uno dall’altro e per molti è stato da pazzi! Ma ho già in testa il prossimo lavoro e i bambini c’entrano molto.... Anche se non voglio dire troppo. Il mio è un lavoro bellissimo e io ho un sacco di cose da dire, fare, produrre, comporre. Per me non è mai stato un problema o uno stress, bensì una fortuna e un estremo piacere. 15 I bambini sono l’unica speranza di riscatto per questa terra, saranno loro a cambiarne le sorti col loro lavoro... Una caleidoscopio di sensazione magiche. Una ballata stupenda per il nuovo video musicale della cantautrice sarda Claudia Aru, che ancora una volta colpisce nel segno col brano Pocos, Locos y Mal Unidos tratto dal nuovo album A giru a giru, pubblicato lo scorso 14 Dicembre per la factory sarda Nootempo Records. Il testo, scritto interamente in sardo campidanese, ha come obiettivo quello di sfatare alcuni luoghi comuni che i non sardi, ma spesso anche i sardi stessi, utilizzano per descriversi e per giustificare eventuali mancanze o difetti. L’esortazione contenuta nel brano è tutta racchiusa in un pensiero: cominciamo a rimboccarci le maniche, cercando di non lamentarci per la situazione di disagio in cui viviamo. Si parte dai problemi linguistici che ci vedono divisi, dal fatto che siamo gelosi, che non collaboriamo tra di noi e che non abbiamo “mentalità imprenditoriale”. Giustifichiamo tutto con il detto “Pocos, Locos y malunidos”, ovvero che siamo pochi, matti e disuniti, espressione usata durante l’epoca di dominazione spagnola. Claudia Aru ha lavorato nel set con degli “attori” speciali: uno splendido gruppo di bambini della 3^ A della scuola elementare di via Farina di Villacidro che, dopo una lavoro accurato insieme ai loro insegnanti sul significato de “Sa die de Sa Sardigna”, hanno scritto dei messaggi di speranza per un futuro finalmente più roseo e positivo, perché sono e saranno i bambini il futuro della nostra Sardegna e del mondo. Il video è stato girato dal regista video-maker Roberto Pili per la produzione indipendente Fisheye Prod. Un’idea semplice che richiama la tecnica del Selfie-video, con un piano sequenza nel centro storico di Villacidro. Abbiamo avvicinato Claudia Aru per un primo bilancio del suo nuovo lavoro discografico. ANTAS Foto di Robertopili.it L’esortazione che arriva dal nuovo video della cantautrice di Villacidro foto di lorenzo Magistrato donne di Sardegna Poetessa, scrittrice, pittrice, scultrice, Antas apre le porte a... ANTAS 16 La forza simbolica dell’arte senza confini “La scultura di Stefania Sergi si vive a fior di pelle”. Questa l’emblematica descrizione dell’arte di Stefania Sergi fatta dalla poetessa e antropologa brasiliana Marcia Theophilo, candidata al Premio Nobel 2014 per la letteratura. Una descrizione che contiene tutto quanto necessario ad inquadrare l’immensa ricchezza di una delle più interessanti e poliedriche artiste sarde. Stefania Sergi è di Barumini. Dopo vari viaggi ha stabilito la sua residenza fissa in Toscana, dove attualmente vive e lavora. Donna dalle mirabili doti di scultrice, pittrice, poetessa, è in grado di scrivere attraverso un pennello, uno scalpello, una penna. La sua trama artistica è fitta di un intreccio tra la terra natia e il mondo-là-fuori, tra la vita umana e quella della natura. La sua massima espressione figurativa è la donna. Venticinque anni di mostre, testi poetici, antologie inedite e statue, dipinti, premi e riconoscimenti dalla critica nazionale e internazionale. STEFANIA SERGI testo di Giovanna Tedde Se dovesse definire con una parola la sua dote di artista, quale sarebbe? Non amo le definizioni e gli “ismi”, ma se devo, forse la curiosità, o il termine “die Suchende”, con insaziabile interesse verso la vita. Tra le righe della critica nazionale ed internazionale emerge l’intrinseco e riconoscibile elemento di “sunto del mondo contingente” che permea i suoi lavori. Filosoficamente potrebbe rapportarsi al triadico movimento hegeliano di tesi, antitesi e sintesi. Emerge dunque lo studio della realtà (tesi), la frattura di quest’ultima che si instaura nel momento della creazione (antitesi) ed il finale risultato, che è un plasmarsi di realtà e immaginazione in una “sintesi” che tutto contiene. Ci sono, in questo senso, delle opere che meglio rappresentano questo movimento di “decostruzione” e “ricostruzione” della realtà LEGGIAMO IL NUOVO LIBRO INCANTOS Incantos viene fuori dal silenzio della terra, dal sospiro lieve di una donna che guarda il mondo, lo osserva e lo ferma. Mondo che tenta di districarsi fra la rete di relazioni, di sentimenti, di emozioni, ma senza strappi, senza forzature: senza violenza. Esce dolcemente dal suo intrigo e ci tende una mano, ieraticamente, quasi a volerci offrire la possibilità di essere accompagnati dentro, di essere irretiti in un viaggio all’interno dell’animo, all’interno di noi stessi. Stefania Sergi semplifica gli eccessi: restituisce una sobrietà compositiva che sembra trasudare dall’interno stesso della forma materica, ma che scivola sulla superficie con una sensualità rara, e con una espressività lontana da quello sterile legame con la tradizione che vincolerebbe il suo lavoro scultoreo a canoni di maniera, auspicabili da pochi occhi non ancora rassegnati all’accettazione incondizionata della concettualità. Questo è il suo modo di rendere finita l’idea, un modo in cui non esiste un’altra scultura, perchè ci si sente sospesi al filo del tempo che si attorciglia in un intreccio indissolubile e che non lascia trapelare altre idee, altre soluzioni possibili. Incantos ne esce fuori così vittoriosa e fiera, bianca da un labirinto di fili, indicandoci “la strada”,protegendoci dai vicoli ciechi che conduconoa muri invalicabili. Si fa essa stessa via d’uscita, filo di Arianna che ci porta al “tesoro”, logica che svela il mistero del viaggio verso la catarsi, melagrana ricca di semi fertili e fruttuosi. Incantos osserva. Osserva e ci accompagna in questo viaggio a ritroso, arcano, che man mano progredisce verso il centro di noi stessi, ma pretendendone un ritorno, in un luogo dove quello sforzo umano intellettivo e carnale tramuta il caotico in materia prima. E’ un viaggio dove i suoi passeggeri cercheranno ogni volta di impossessarsi di quei fili invisibili che legano l’uomo alla sua stessa arte, svelandone dignità e consapevolezza. Dignità e consapevolezza che trasudano da Incantos mai artificiose. Espressioni pure di una fierezza del proprio essere: finalmente donna. Gino Fienga Editore Con-fine 17 Dalla sua biografia artistica emerge fortissimo il legame con la Sardegna, culla della sua creatività. Può essere definita come il “motore immobile” della sua arte? In che misura il rapporto con l’Isola influisce sulle sue opere? Ho lasciato la mia terra natia a diciotto anni, oltre i navigli cercavo forse il senso del mio fare. Dopo tanti anni mi sono resa conto che nelle mie opere avevo racchiuso quella donna bambina che gioca con i sassi, che parla alla luna, che abbraccia gli alberi. Qui in Toscana mi chiamano “la sarda”. Questo naturalmente mi fa sorridere, mi piace: anche se ho vissuto tanti anni all’estero mi sento sarda sino in fondo. Appartengo a un popolo che ha una chiara identità e storia con radici profonde, è un punto di forza nella mia arte. Anche se non è questo il mio intento, il legame si mostra chiaramente attraverso la poesia e la creazione. Mi lego a tutto ciò che incontro e la mia storia diviene un insieme di patrimoni. Incantos, la mia ultima opera di cui è appena uscita una monografia, rimanda col suo nome al quel mondo: è una dea madre, una Kore contemporanea che racchiude a livello simbolico altri richiami e significati. Diciamo che mi viene spontaneo vivere la mia sardità e mi piace farla incontrare a chi non la conosce. ANTAS foto di Lauro Castellano foto di lorenzo Magistrato Stefania Sergi è donna che si fa artista dentro la frattura tra meditazione e frenesia mondana. Medita e sa far miracolosamente meditare. La sua arte nasce dal rifiuto del compromesso con la distratta esperienza del reale. Le opere di Stefania ammaliano perché fruibili sia come opere finite, sia come contenitori di contenuti in continuo divenire, finestre su mondi passati, presenti e futuri. La sua arte è istigazione a percorrere vie ignote e ad immaginarne di ancora inesistenti. Abbiamo avuto la possibilità di raccogliere un’intervista in cui l’artista parla di sé e del suo modo di creare. ANTAS 18 Come nasce un’opera di Stefania Sergi? C’è un percorso preciso nella creazione di una scultura o una pittura, di una poesia? L’opera non nasce nel momento in cui penso di realizzarla. Nasce prima. L’idea metafisica è chiara e quando l’ispirazione è giusta ricerco i materiali per crearla. Spesso, con indulgenza, come una specie di carezza che mi regalo, come il vento che sveglia all’improvviso e ti leva la polvere di dosso, inizio così. Devo farlo e niente di più. Non si può spiegare tutto, so solo che attraverso la creazione vivo la mia sincerità e sento quella delle persone attor- foto di lorenzo Magistrato vissuta e immaginata? Quando lavoro mi obbligo a superare i miei schemi interpretativi, provo a non farmi condizionare da stereotipi e pregiudizi, riparto sempre dal mio zero. Di solito l’opera nasce quando sono pronta a raccontare una nuova storia. La realtà è quella che è, non posso fratturarla, provo altresì a trasformarla: un urlo è sempre un urlo, un albero resta sempre un albero, ma posso metaforicamente allargarne il senso e provare a rivelare ciò che in realtà non mostra. Forse l’opera Legami Slegami arriva a questa sintesi (...), provo a cercare un legame umano, spaziale, temporale che ci leghi alle persone e che ci liberi nello stesso tempo. Così, attraverso il tema del filo e dei nodi, se questo legame non avviene come noi desideriamo, resta appeso sulla nostra anima il nodo insoluto. È il conflitto, quindi, tra il desiderio di legarci e di slegarci. È il filo della vita che ci indica la via, apparentemente contraddittoria, di libertà o solitudine. Il legame con gli altri, col nostro kairos, con le nostre terre. Tuttavia, dall’unione di più fili dentro e fuori, dal loro intricarsi sono generati nodi, la cui presenza sulla corda tirata influenza tutto il corpo cui il filo si lega, trasformando l’eventuale rottura in legame; in eguale maniera i legami che continuiamo a creare nella vita ci rafforzano e ci formano eternamente. L’ultima fase dei lavori sono il frutto di una ricerca continua tra poesia e arti visive... no a me. Di solito prima di iniziare un lavoro sento il desiderio di instaurare un dialogo con la natura: guardando gli alberi, per esempio, riesco a percepire la mia vera identità, la mia vera immagine dell’umanità, della vita, della sua bellezza. Quando dialogo con la natura, la mia vita si espande e percepisco di essere parte di un tutt’uno. Incantos è nata quando ho provato con il mio corpo, in una performance, a legarmi con dei fili agli alberi, alla terra, alle case. Ho testato su di me con la mia vita, attraverso le linee dei miei confini, impedimenti, dolori, lutti, conflitti, trasformandoli poi in una nascita spirituale, in una nuova visione: il suo bianco rappresenta concretamente questo. Desideravo dire qualcosa e non sapevo come dirlo. Un giorno, mentre mi trovavo a passeg- giare su una costa di Follonica, una pietra con tutti i suoi filamenti millenari mi ha suggerito l’ispirazione. Una specie di tessuto in trame: sembrava l’ideale, come manto dell’anima, un intreccio di fili e nodi per comporre ciò che sarebbe divenuto la seconda pelle dell’opera. Quale tecnica o artista la ispira e sente vicina/o al suo modo di vivere e fare arte? Sono una creativa errante e autodidatta, per cui ho dovuto attraversare da sola tutte le fasi della sperimentazione. La necessità di provare quasi tutti i materiali e incontrare diverse culture mi ha concesso la libertà di passare tranquillamente, spinta anche da vicissitudini e soggiorni all0estero, dalla pittura, alla scultura, al murale, alla body art, alle installazioni e performance. L0ultima fase dei lavori è frutto di una ricerca continua tra poesia e arti visive, tutto intessuto dal vero filo conduttore, ovvero veri fili che intreccio e slego. Ho dentro di me l0impronta delle grandi monografie di Leonardo da Vinci, di G. Bernini, di Camille Claudell; ci sono poi artiste come Louise Bourgeois e Kiki Smith. Ma Maria Lai, per l’umana e straordinaria capacità di trasformare il sogno in opera concreta, col suo dolce invito a giocare seriamente, mi ha spinto a ricercare sempre più in fondo. Ancora un filo, l’ultimo che tira, che slega e annoda, tra le dita, il ricamo della storia, senza inizio, senza fine, cordone ineluttabile che in-tende e in-treccia le cose nelle parole dei sensi, mosaico di abbracci antichi, composizione in delirio di colori e forze gravide... ...senza potere e disegno legata alla trama della vita che chiede e spinge più forte di me. Stefania Sergi polivocalità SU CORO DE PIAGHE Una perla sonora nel cuore del Logudoro L’Associazione Culturale “Su Coro de Piaghe” nasce nel dicembre del 2003. Come spesso accade, la sua genesi è sostenuta dalla spinta e dal desiderio di condivisione di una passione comune: quella per la musica e il canto corale. La sua attività artistica si caratterizza per la costante ricerca e sperimentazione nell’interpretare il canto corale nelle varie forme, puntando non solo al puro diletto del canto stesso, ma anche allo sviluppo dell’educazione musicale. Con gli anni, grazie all’esperienza e soprattutto alla direzione, attenta e curata, fin dagli esordi, del Maestro Piero Concu, il coro di Ploaghe riesce a ritagliarsi uno spazio di tutto rispetto nel panorama delle formazioni corali sarde, distinguendosi nettamente da tutti gli “standard” classici. Pur conservando, infatti, determinati parametri armonici – così come spiega Piero Concu – la formazione è guidata sempre dall’intento di uscire dagli stereotipi, puntando a una costante impronta originale e perso- nale di ogni interpretazione: nel suo repertorio non ritroviamo solo i classici della tradizione musicale sarda, ma anche brani inediti, nati dall’importante collaborazione tra Antonio Strinna per i testi e lo stesso Piero Concu, che cura musiche e arrangiamenti. Da questo connubio sono nati prestigiosi traguardi, come il primo posto ottenuto per ben due volte Concorso Vadore Sini di Sarule: nel 2010, per la sezione “brani inediti per coro maschile”, con Faedda Terra Mia (testo di Antonio Strinna e musica di Piero Concu) e nel 2012, per la sezione “brani inediti”, con Domo Sacra. Il Coro, tra l’altro, ha all’attivo l’incisione di due album: Boghes Lontanas del 2007, che contiene il brano Bellesa est (testo e musica di P. Concu), dove la voce solista è di Maria Giovanna Cherchi, e Istorias del 2010, tra le cui tracce è presente anche il brano vincitore a Sarule. Tra i propositi del Coro c’è anche quello di valorizzare e riproporre in chiave corale poesie di autori ploaghesi come Antonio Satta, da cui nasce il brano A Manzanile e Nanni Salis, da cui viene Tres Bajanas, entrambe adattate musicalmente dal M° Piero Concu. Tra le varie attività, il fiore all’occhiello dell’associazione “Coro de Piaghe” è Il Festival di Canti e Suoni “SardignAere” – Arie di Sardegna, una rassegna che vuole dare spazio e voce ad ogni genere appartenente alla musica sarda. Il festival, il cui tema di questa edizione è “Raighinas”, si terrà il 10 agosto presso il Convento di Sant’Antonio a Ploaghe e sarà presentato, come ogni anno, da Tonino Sanna. Un appuntamento importantissimo per il Coro, che vive questa esperienza come un momento di confronto e approfondimento di tutto ciò che è il patrimonio della cultura sarda, nonché come occasione per la crescita e l’evoluzione comuni. Nel frattempo è in fase di progettazione anche il terzo album: attendiamo la conclusione di un altro importante obiettivo, sia per noi all’ascolto, sia per il coro stesso, fonte di piacevoli e straordinarie emozioni come solo l’armonia di voci e musica sa dare. ANTAS www.sardignaeras.it 19 testo di Mary Manghina personaggi Canto a chitarra TONINO CANU Ripercorriamo le tappe essenziali della straordinaria carriera dell’Usignolo di Perfugas ANTAS 20 testo di Antonio Caria foto archivio Fam. Canu «Appresso chi c’è? Tonino Canu di Perfugas. la voce candida, la voce potente, la voce forte, definiamola così». Con queste parole il grande Nicolino Cabizza presentava Tonino Canu in una gara svoltasi ad Ossi nel 1975. Tonino Canu nasce a Perfugas il 30 Agosto del 1932 ma già da giovanissimo si trasferisce a Sassari. Suo fratello Salvatore si dilettava a suonare il mandolino: è anche grazie al suo aiuto che in Tonino nasce la passione per il canto a chitarra. Dice di lui il figlio Pierfranco: «Le prime boghes di mio padre risalgono a quando aveva 15 anni, in occasione delle gare a chitarra che si svolgevano a Sassari o nel circondario. Secondo alcune ricerche, fu proprio nella città turritana che si unirono per la prima volta due voci su un palco. Aggiungo che gli capitava spesso di essere accompagnato da Antonio Marongiu, chitarrista allora agli esordi. Grazie alle mie ricerche personali, posso inoltre affermare con certezza che abbia frequentato il famoso locale La Pergola, allora gestito da Ciccheddu Mannoni». L’ESORDIO A SASSARI L’esordio ufficiale sui palchi avviene a Sassari nell’agosto del 1951, con due cantadores in quel periodo già affermati come Pietro Porqueddu, nei suoi ultimi anni di attività, e Mario Scanu, con l’accompagnamento alla chitarra di Emilio Oggiano. Nei primi anni di carriera il suo nome è stato abbinato a un altro cantadore che si sarebbe esibito qualche anno dopo: Giuseppe Chelo. Ed è proprio a fianco a tziu Giuseppe che nel 1961 Tonino Canu esordì discograficamente con la RCA, celebre casa discografica romana, mentre alla chitarra c’era Pietro Fara di Pozzomaggiore. Tali incisioni avrebbero dato vita al famoso Terzetto Sardo. I tre registrarono per la stessa casa discografica anche l’anno successivo, il 1962: un ottimo trampolino di lancio per Tonino Canu, che ormai diventava di diritto uno dei cantadores più richiesti di quegli anni. Nel 1963 il cambio di casa discografica in favore della Fonit Cetra di Torino, assieme ad Antonio Meloni e al chitarrista Peppino Doro. I tre incidono come Trio Logudoro. dall’allora Sottosegretario di Stato ai Trasporti e all’Aviazione Civile di origine sorsese Salvatore Cottoni. Nel 1974, sempre su invito del Sottosegretario, si esibisce per due serate all’Auditorium Cida di Roma dove, nel corso di una gara a premio, gli vieneconsegnata la coppa del primo classificato. Nel maggio del 1975 Tonino Canu si esibisce nei circoli di Varese e Parma. All’estero lo ritroviamo nel 1976 e 1977, precisamente in Germania, Belgio, Olanda e Svizzera. Il 4 Marzo del 1973 convola a nozze con Maria Grazia Meloni, sorella del famoso cantadore Antonio Meloni. Dal matrimonio nascono due figli: Pierfranco e Marco. 21 Secondo alcune ricerche, fu proprio nella città turritana che si unirono per la prima volta due voci su un palco... PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE ARTISTI DELLA SARDEGNA Nel 1980 assieme a vari cantadores partecipa all’inaugurazione della nuova sede di Videolina in piazza Marconi. Nello stesso anno diviene il presidente dell’ Associazione Artisti Sardegna, incarico che gli viene conferito tramite l’A.N.C.O. (Associazione Nazionale delle Comunità di Lavoro). Nel 1982 incide con Mario Mannu ancora per la Fonit Cetra, con l’accompagnamento di Pietrino Giallara alla chitarra e Peppino Pippia alla fisarmonica. Nel 1983 incide due musicassette per la Effe Eecords Studio di Sassari, avvalendosi dell’accompagnamento a chitarra di Nino Manca nella prima e di Bruno Maludrottu alla chitarra e di Claudio Dessena alla fisarmonica nella seconda. Del 1984 è, invece, una musicassetta incisa per la collana Boghes e Sonos de Sardinnya curata da Giampiero Marras, accompagnato nel canto da Angelo Mura e Tore Canu e da Antonio Cuccuru alla chitarra. Del 1985 è la sua ultima apparizione in sala discografica, la Medinas di Cagliari, dove incise la famosa audiocassetta dal titolo Sa diletta terra mia. Con lui cantò Francesco Falchi; alla chitarra c’era Antonio Marongiu, mentre alla fisarmonica Tamponeddu. Negli ANTAS IL SODALIZIO ARTISTICO CON LEONARDO CABIZZA Un’altra tappa fondamentale nella carriera di Tonino Canu è il sodalizio artistico creatosi verso la metà degli anni Sessanta con Leonardo Cabizza, Aldo Cabizza, Peppino Pippia e ancora Giuseppe Chelo. I cinque fanno un gran numero di serate. Nel 1966 e nel 1967 Tonino Canu rientra in sala d’incisione assieme a Leonardo Cabizza, Aldo Cabizza e Antonio Ruiu per la casa discografica Italmusica, con il nome di Quartetto Logudoro. Come tanti cantadores anche Tonino Canu varca i confini della Sardegna per andare a cantare nei circoli sardi, sia nella Penisola che all’estero. Pare che la prima esibizione oltralpe di Tonino Canu risalga al 1958 e più precisamente a Marsiglia, in Francia. Racconta il figlio Pierfranco: «Negli anni a cavallo tra il 1966 e il 1969 mio padre andò varie volte all’estero. Si esibì in Svizzera, Belgio, Germania, Francia e Olanda. Nel 1966, durante un’esibizione in Francia, ricevette un premio da parte delle autorità consolari». Degli anni ’70 sono alcune belle incisioni discografiche realizzate con Aldo Cabizza e Peppino Pippia per la casa discografica Tirsu mentre nel 1972 Tonino Canu viene invitato a Roma 22 ANTAS La prima esibizione oltralpe di Tonino Canu risale al 1958 e più precisamente a Marsiglia... anni 1980 appare in televisione a Sardegna Canta. Canu partecipò anche alla trasmissione Canto in re, in una serie di puntate condotte da Giovanni Perria che prevedevano la presenza in studio dei cantadores. Esordì con Leonardo Cabizza, Giuseppe Chelo, il chitarrista Aldo Cabizza e il fisarmonicista Peppino Pippia; la seconda volta con Mario Mannu e Francesco Cubeddu di Seneghe, con l’accompagnamento alla chitarra di Michele Senes e alla fisarmonica di Peppino Pippia. Si esibì nuovamente e varie volte anche a Sardegna Canta. «Posso affermare con certezza - mi dice ancora Pierfranco- che, stando alle testimonianze da me raccolte in questi anni, mio padre abbia cantato continuativamente fino agli anni ‘80». L’ULTIMA APPARIZIONE SUL PALCO La sua ultima apparizione sul palco risale al 26 Ottobre del 1991, quando fu invitato come ospite d’onore a Ploaghe in occasione della III Rassegna di voci nuove intitolata ad Antonio Desole. Tonino Canu muore il 1° Gennaio del 1992. È stato un cantadore che, a mio giudizio, ha creato un vero e proprio stile di canto. Se in molti, infatti, è possibile riscontrare stili che riportano ai cantadores anziani, Tonino non aveva alcun modello ispiratore. Dotato di un buon timbro vocale e di una metrica straordinaria, era capace, specie nelle serate di grazia, di incantare i suoi numerosi estimatori. Ultimamente il figlio Pierfranco ha avviato un lavoro di ricerca nel tentativo di valorizzare ancora di più la figura del padre: «In questi ultimi quattro anni ho condotto studi approfonditi su tutto il materiale audio e video di mio padre. Ringrazio in particolare gli appassionati che hanno messo a disposizione il proprio materiale. Chiunque lo desideri può visitare il sito internet www.toninocanu.it». Il 25 Gennaio di quest’anno, nella frazione di Sant’Orsola nord a Sassari, per iniziativa di un grande appassionato del canto sardo e di Tonino Canu in particolare, Attilio Deligios, si è svolta la cerimonia di intitolazione di una via al compianto cantadore. (SI RINGRAZIA PER LA COLLABORAZIONE PIERFRANCO CANU) ANTAS 23 gli speciali di Antas Viaggio nel tempo alla scoperta dei Gremi, dell’origine della Discesa dei candelieri e dei toccanti momenti dello scioglimento del voto alla Vergine Assunta LA FARADDA FESTHA MANNA DI SASSARI Dal 2013 è patrimonio immateriale dell’Umanità dell’UNESCO ANTAS 24 testo di Alessandro Vozzo* foto di Giovanni Porcu Il 14 Agosto a Sassari è festha manna (festa grande), ma per parlare della Faradda, come i Sassaresi chiamano la Discesa dei Candelieri, bisogna prima parlare di chi ha dato origine al momento più importante della tradizione di Sassari: i Gremi, le antiche associazioni di Arti e Mestieri, nate nel tardo medioevo sull’esempio dei più importanti centri cittadini europei e della Spagna in particolare. Alcuni di questi sono attivi ancora oggi e partecipano da sempre alla Faradda, associazioni talmente radicate nel contesto sociale e potenti economicamente da controllare l’economia della città e intraprendere iniziative che coinvolgevano tutta la popolazione. Non è un caso, infatti, se furono proprio loro a dare origine alla processione dei Candelieri. Si costituirono con lo scopo di regolamentare e tutelare l’attività lavorativa e del mutuo soccorso fra gli iscritti, dotandosi di uno statuto al quale attenersi sotto la guida di un consiglio composto dai “maggiorali” (majorales), scelti fra i migliori maestri dell’arte, un “clavario” (il cassiere) e un segretario assistito da un notaio. OGNI GREMIO VENERA UN SANTO PATRONO Ogni Gremio venera un Santo Patrono e ha una propria cappella intorno alla quale ruota ogni attività e dove si seppellivano i defunti. I gremianti hanno l’obbligo di partecipare alle feste patronali, contribuire alle spese, presenziare alle messe di suffragio per i defunti, alle esequie dei soci e dei loro parenti, non lavorare il giorno delle festività patronali e indossare in tali occasioni gli abiti più consoni. È prevista, inoltre, l’assistenza ai gremianti in condizioni disagiate, ai più anziani, alle vedove e agli orfani dei soci defunti. I maggiorali sono i supervisori di tutto, perfino dell’operato dei maestri. Il cassiere riscuote le quote associative, le tasse, le sanzioni pecuniarie e stabilisce i fondi per le feste religiose e per la beneficenza. Custodisce la cassa con i beni ed i documenti. Gli “obrieri” curano la cappella e organizzano le feste patronali. Convocano le assemblee e coordinano l’attività dell’associazione. L’obriere maggiore è la massima carica, col diritto di portare in processione lo stendardo della corporazione. Non è possibile stabilire con precisione quando ebbe inizio la Faradda durante l’invasione del 1527. Nel 1531 un’ordinanza stabilisce l’ingresso in chiesa degli otto candelieri. Il primo ad entrare è il candeliere degli Agricoltori (Massai), seguito da quello di Mercanti, Sarti, Calzolai, Muratori e Falegnami, Pastori, Ortolani e Carrettieri. Si continua a ripetere il voto con nuovo fervore quando altre pestilenze, oltre che nel 1504 e nel 1514, colpiscono la città nel 1580 e nel 1652, anno in cui la popolazione di Sassari si riduce da 25mila a 5mila abitanti. Anche allora il morbo cessa agli inizi di Agosto. Negli anni la processione assume toni sempre più popolari e goliardici, perdendo austerità e rigore. L’offerta della cera rimane invariata sotto forma di una grossa candela. Le “macchine” di legno diventano delle vere e proprie colonne dal largo basamento ed un capitello con in cima delle bandierine e dei cordoni per garantire stabilità. Dietro queste sfila la folla festante, forse in maniera eccessiva, insieme alle corporazioni: per questo motivo le autorità cercano di sopprimerla in più occasioni, dal 1694 fino al 1848. I “Candelieri” (come ormai li chiama la gente) assumono via via maggiore importanza rispetto ai ceri, che si riducono di dimensione. Nel 1856 una terribile epidemia di colera fa “slittare” la Faradda dal 14 Agosto al mese di Ottobre. Col tempo la manifestazione conosce alterne vicende, soprattutto tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, con la scomparsa di alcuni gremi e l’inserimento di altri. Nel 1921 i Falegnami partecipano per la prima volta col loro candeliere, realizzato dai fratelli Clemente. I Carrettieri spariscono perché il loro candeliere viene pignorato per un debito insoluto. Nel 1937 ai Contadini è assegnato il candeliere dei Pastori, mentre nel 1941 i Viandanti rilevano quello dei Carrettieri. Durante la Seconda Guerra Mondiale il pericolo dei bombardamenti impone una pausa dal 1942 al 1944. Nel 1955 i Piccapietre ottengono l’autorizzazione a realizzare un proprio candeliere e, quindi, a partecipare allo scioglimento del voto all’Assunta. L’ultimo ingresso è quello dei Fabbri nel 2007, frutto di una controversa e combattuta diatriba tra gremi, 25 L’ORIGINE La Discesa dei Candelieri verosimilmente è stata mutuata dai Pisani nel XIII secolo, secondo l’uso di offrire cera vergine alla Madonna nei primi vespri della festa dell’Assunta all’interno di “macchine” di legno. Col tempo questa usanza si radicò profondamente nel tessuto delle tradizioni cittadine, diventando la festa più importante e mantenendo immutato il rituale. Non è possibile stabilire con precisione quando ebbe inizio la Faradda, ma una delle poche certezze è che furono i Gremi a darle vita e farsene carico. La manifestazione ebbe un assetto definitivo nel Cinquecento, epoca di grandi pestilenze. La loro cessazione, avvenuta secondo la tradizione tra luglio ed agosto, fu attribuita all’intervento della Vergine. Perciò i Gremi, coinvolgendo gli amministratori, fecero solenne voto di offrire ogni anno in processione dei ceri di cento libbre (40 kg) ciascuno. In un documento del 1504 si parla già di questo rito, ma secondo alcuni il voto risalirebbe al 1528, in seguito ad una grave pestilenza diffusa da truppe francesi ANTAS COME SI DIVENTA MAESTRI DEL GREMIO Ciascun Gremio è formato da apprendisti (garzoni) e maestri. Per poter divenire tali bisogna svolgere apprendistato presso un maestro con un contratto che prevede vitto, vestiario, alloggio, insegnamento dell’arte ed un’indennità in denaro garantiti per tutta la durata. Trascorso questo periodo l’aspirante sostiene un esame davanti ad una commissione di maggiorali. Non si può lavorare in proprio senza superare l’esame. In seguito si riceve una licenza (patent certificatoria). Il nuovo maestro partecipa in toto all’attività del gremio. Ogni bottega riceve periodicamente una visita dei maggiorali, in particolare per i controlli sulla qualità dei manufatti, tutelando così sia la corporazione che i clienti. Nessuno può sottrarre il lavoro ad un altro, né accettare apprendisti di un’altra bottega. È anche vietato terminare un lavoro iniziato da altri. Il Gremio deve sottostare anche all’autorità regia e a quella ecclesiastica. Col passare del tempo e col dominio piemontese, le maestranze più importanti rinnovano i loro Statuti; non cambiano le norme religiose, ma quelle tecniche ed amministrative si adeguano a nuove esigenze socio – economiche. I Gremi controllano ancora tutto il mercato, riscuotono imposte e diritti di cappella e verificano la produzione, sostituendosi di fatto allo Stato. Per questo il 29 maggio 1864 il governo emana una legge di “soppressione”, privandoli di ogni potere. Essi modificano gli statuti, divenendo associazioni religioso – professionali con fini di culto ed assistenzialistici. Nel XX secolo le alterne vicende delle guerre e del regime fascista segnano la vita di queste associazioni che subiscono un’evoluzione significativa: oggi, infatti, non hanno più una connotazione professionale, ma culturale e religiosa, e in tutti gli ambienti cittadini è riconosciuta la loro importanza e rappresentatività. Le figure che rimangono sono: l’Obriere Maggiore, capo e rappresentante del gremio, cui spetta sempre l’onore di portare lo stendardo; l’Obriere di Candeliere, che provvede all’organizzazione della discesa del proprio candeliere, l’Obriere di Cappella e gli eletti (gli attuali maggiorali), cioè tutti quelli che hanno ricoperto la carica di Obriere Maggiore. Il 14 Agosto i Gremi sono in fermento dall’alba... ANTAS 26 curia ed amministrazione, che alla fine ha visto riconosciuta l’autorevolezza ed il valore storico dei Fabbri, portando così il numero dei ceri a dieci: Massai, Sarti, Muratori, Falegnami, Calzolai, Ortolani, Contadini, Viandanti, Piccapietre, Fabbri. 1979, NASCE L’INTERGREMIO Nel 1979 nasce l’Intergremio, l’associazione che riunisce e coordina i Gremi attivi ancora oggi: oltre ai titolari dei Candelieri (ad eccezione dei Massai), ne fanno parte anche Macellai, Facchini e Autoferrotranvieri. Oggi sono sempre i Gremi che organizzano la Faradda. Il percorso è rimasto immutato, così come il rito e l’ordine di ingresso in chiesa, insieme al simbolo più importante: l’offerta del cero alla Madonna Assunta. I preparativi alla festha manna iniziano già dalla fine di Luglio con la preparazione dell’occorrente per gli addobbi, l’abbigliamento, gli ultimi “ritocchi” alla squadra dei portatori e tutto il necessario per una degna conclusione conviviale, e quando i tamburini iniziano a provare i ritmi per i balli. Il 14 Agosto i Gremi sono in fermento dall’alba, impegnati nella “liturgia” di preparazione e allestimento del candeliere: la vestizione. Il cero è prelevato dalla cappella del Gremio e portato nei pressi della casa dell’Obriere di Candeliere dove, insieme a tutti i gremianti, sono in attesa ospiti di ogni genere e turisti delle più svariate provenienze. Le bandierine vanno in cima al capitello a formare una caratteristica “corona”, al centro della quale svetta quella con il nome dell’Obriere in carica, ornata con fiori di oleandro e rami di salice, oltre ai “bora-bora” (trad. it. vola–vola ), fantasiose composizioni di carta colorata. Alla base del capitello si attaccano nastri serici multicolori lunghi oltre quaranta metri, che dei ragazzini tenderanno durante il percorso. Si fissano, quindi, alla base quattro stanghe dove prendono posto gli otto portatori che, guidati dal Capocandeliere, porteranno il cero fino a S. Maria. Il Capocandeliere è incaricato dal Gremio ed ha il compito di scegliere i portatori, che in base all’altezza e corporatura prendono le stanghe “a braccia” o “a collo”; il tutto accompagnato dall’incessante rullare del tamburo. In origine la Discesa prendeva il via dallo spiazzo tra l’antico castello aragonese (abbattuto alla fine dell’Ottocento e sostituito da una caserma) e l’ormai scomparsa chiesa di S. Caterina (piazza Azuni) intorno alle tre del pomeriggio. IL FASCINO DELLA FARADDA Oggi i Gremi si radunano nello stesso punto un’ora e mezza più tardi, lasciano il candeliere in custodia al Capocan- deliere e, accompagnati dal tamburo, si recano alla vicina chiesa della Madonna del Rosario per un breve momento di preghiera; dopodiché ha inizio la “Faradda”. Per primi sfilano i Fabbri, quindi i Piccapietre, seguiti da Viandanti, Contadini, Falegnami, Ortolani, Calzolai, Muratori, Sarti e Massai. I Candelieri scendono lungo Corso Vittorio Emanuele compiendo le loro evoluzioni, fatte di balli e giri su se stessi al ritmo incalzante dei tamburi. Ogni candeliere è seguito dal Gremio, disposto secondo un ordine gerarchico al vertice del quale stanno l’Obriere Maggiore e l’Obriere di Candeliere, che porta un piccolo stendardo. A Palazzo Civico, sede dell’antico Municipio, si porge omaggio al Sindaco mentre danza il Candeliere. Qui i Massai celebrano l’investitura del nuovo Obriere, che riceve dal primo cittadino il gonfalone della città e l’augurio tradizionale «a zent’anni» (a cento anni), mentre il vecchio Obriere porta lo stendardo del Gremio. Quindi Sindaco e amministratori si uniscono al corteo fino a S. Maria di Betlem, dove sul sagrato li attendono gli altri Gremi: al loro arrivo, in segno di riverenza e saluto, i Candelieri danzano tutti assieme e poi entrano in chiesa. Li accoglie il padre guardiano del convento che, mentre il candeliere si dispone ai piedi del simulacro, consegna all’Obriere Maggiore il cero che ogni Gremio ha acquistato per deporlo acceso intorno al baldacchino dell’Assunta. La cerimonia si conclude con la preghiera e la benedizione del padre guardiano. La giornata termina a casa dell’Obriere di Candeliere con un momento di festa e convivialità che si protrae fino alle prime luci dell’alba. LO SCIOGLIMENTO DEL VOTO La mattina dopo tutti i protagonisti ed il popolo partecipano alla messa nella chiesa di S. Maria. Nel tardo pomeriggio si conclude lo scioglimento del voto: dalla Cattedrale di S. Nicola si snoda una processione per le vie del centro storico, con il simulacro della Madonna Assunta portato a turno da quattro gremianti, mentre gli Obrieri di Candeliere sfilano dietro la statua con in mano un cero. La processione è l’epilogo della festa e dopo otto giorni i Candelieri, accompagnati dal tamburo, torneranno nelle cappelle. È fondamentale il ruolo organizzativo svolto dall’Intergremio per la buona riuscita della manifestazione: dal 2006, insieme all’amministrazione comunale, ha intrapreso un percorso che nel dicembre del 2013 è culminato con la Discesa dei Candelieri, riconosciuta dall’UNESCO patrimonio immateriale dell’Umanità. L’obiettivo che l’associazione si propone a breve è sicuramente quello di superare gli individualismi che a volte, nella pluralità di vedute, traspaiono: la sfida che oggi si pone è fare in modo che questo patrimonio sia sempre più tutelato e valorizzato, arricchendolo di occasioni di crescita e sviluppo, creandogli intorno un circolo virtuoso fatto di manifestazioni di contorno, attività di studio, ricerca, produzione di materiale documentale e documentaristico, bibliografico e promozione a trecentosessanta gradi, in modo che la Faradda, con il suo plurisecolare bagaglio di tradizioni, sia per la città non solo il motore culturale, ma anche sociale ed economico; ancora, far sì che la stessa Sassari diventi una città a misura di Candeliere e i Candelieri siano visti dai Sassaresi come la loro risorsa più importante e prestigiosa. ANTAS 27 *Alessandro Vozzo - Etnoantropologo Presidente Commissione Cultura Intergremio Città di Sassari gli speciali di Antas IL PAESAGGIO SONORO della Discesa dei Candelieri testo di Chiara Solinas* foto di Giovanni Porcu ANTAS 28 Il “paesaggio” designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle persone, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni (Art.1 Convenzione europea del paesaggio, Firenze, 20 ottobre 2000). C’è una netta differenza tra ambiente (insieme di eventi acustici che si verificano in un luogo, indipendentemente dalla presenza umana) e paesaggio (insieme degli elementi caratterizzanti un preciso territorio e espressione di una data cultura). Il paesaggio non è solo “esperienza” visiva, ma anche auditiva, come dimostra il compositore canadese M. Shafer, che ha coniato il termine soundscape proprio per indicare quello che, in Italia e nell’ambito degli studi etnomusicologici, è ormai ben noto come paesaggio sonoro, vero e proprio “bene” e prodotto culturale da valorizzare e tutelare al pari delle altre espressioni di cultura, in virtù del fatto che ogni comunità, sia urbana, sia rurale, sia nelle attività lavorative sia nelle festività, ha una propria precisa identità sonora. Chi, anche solo una volta, ha avuto l’occasione di partecipare alla Faradda, ha ben chiaro nella mente il suo peculiare paesaggio sonoro costituito da diverse componenti che, brevemente, cercherò di individuare e descrivere. La festa dei Candelieri, con i suoi suoni e le musiche, è un evento che celebra e rappresenta la cultura sassarese, la storia della città e delle corporazioni di mestiere, mettendo in luce il sentimento di devozione dei suoi abitanti. Sin dagli inizi, la Discesa dei Candelieri è stata concepita come una festa barocca e, come spiega lo studioso Gino Stefani, si presenta come un complesso sistema multimediale all’interno del quale gli stimoli sonori hanno un’importanza fondamentale. Il 14 Agosto di ogni anno, con il lento e partecipato trasporto di dieci maestose macchine a spalla (li Candareri, appunto), una per ogni Gremio, dalla Piazza Castello fino ai piedi della Vergine Assunta, nella chiesa extra muros di S. Maria di Betlem, Sassari festeggia e rinnova il ringraziamento per la liberazione della città da una grave pestilenza. Si tratta di un evento collettivo, indotto e supportato da una complessa organizzazione scenico-rituale ricca di suoni e musica. Ogni Candeliere, nella percorrenza del tragitto, è accompagnato dal tamburo e, unicamente nel caso del Gremio dei Viandanti, anche dal piffàru. La funzione di questi strumenti è quella di coordinare i movimenti dei portatori e, di conseguenza, i balli dei Candelieri, ma è anche quella di dare solennità alla festa. dieci Candelieri baddariàni porta con sé un paesaggio sonoro composito e articolato, che pervade strade e cuori invitando alla festa. Dopo l’ingresso dei candelieri nella Chiesa di Santa Maria le bacchette dei tamburi restano ferme, il rullare tace; nessuno strumento profano come tamburi o trombe (simboli dell’autorità civile e, in questo caso, anche delle maestranze cittadine), entra nella chiesa. Il paesaggio sonoro muta e ci avverte che qualcosa, nel rito, sta cambiando: la dimensione più profana della festa, che emergeva maggiormente nello spazio cittadino, si abbandona. Dentro la chiesa, che accoglie i candelieri con canti sacri e le parole del Vescovo, ci si orienta alla contemplazione, al gesto di fede per l’Assunta. La devozione, espressa nell’esuberanza delle danze e delle musiche e nella fatica dei portatori, diventa gesto compassato e silenzioso: i ceri vengono portati ai piedi dell’Assunta per lo scioglimento del voto. *Chiara Solinas, Antropologa musicale 29 ...con i suoi suoni e le musiche, è un evento che celebra e rappresenta la cultura sassarese... lizzazione del passo di Samba. Questi e altri brani, udibili durante la discesa, rivestono un’importante funzione identitaria: identificano e, allo stesso tempo, consentono di distinguere un Gremio dall’altro proprio in virtù dei differenti balli effettuati dal Candeliere. Concorrono alla formazione del paesaggio sonoro rituale anche due formazioni bandistiche dislocate lungo il percorso della discesa. Una si trova davanti al Palazzo di Città e rappresenta acusticamente l’Amministrazione Comunale posizionata all’ingresso dell’edificio. La banda, con le sue marce allegre, accoglie e saluta ciascun Gremio. Qui il candeliere effettua una sosta per ballare sulle note dalla banda e, successivamente, ricambia il saluto con un ballo eseguito col solo accompagnamento del tamburo (e del piffero per i Viandanti) per poi riprendere la discesa. Uno dei brani più popolari e richiesti è l’imponente Marcia Sassari. Un altro corpo bandistico, invece, riceve i Candelieri all’arrivo sul sagrato della Chiesa di Santa Maria di Betlem. Le composite sonorità della festa invadono le strade deputate al rituale con effetti di assolvenza e dissolvenza, sovrapponendosi al clamore degli spettatori (sassaresi e turisti) che hanno anch’essi la loro parte nel rito e uno speciale modo di inserirsi nel paesaggio sonoro, ribadendo non solo la loro presenza, ma anche l’accorata partecipazione: incitano i portatori a far ballare il Candeliere intonando l’ormai celebre motto “fallu baddà, fallu baddà”. La presenza della voce si somma agli strumenti, il suono si rivela ancora elemento aggregante e socializzante per la comunità intera. Il corteo con i ANTAS Il tamburo di Sassari deriva sostanzialmente da quelli in uso nelle bande musicali dell’Ottocento e, in questo, differisce dagli altri tamburi usati in Sardegna sia per la foggia che per i materiali di costruzione. Il piffero ci riporta anch’esso alle bande militari o comunque alle formazioni orchestrali ed esattamente all’ottavino, piccolo flauto dal registro acuto che a Sassari recentemente è stato sostituito da un flauto appositamente costruito. Data la mancanza di fonti scritte non possiamo conoscere i repertori eseguiti in passato, ma le odierne melodie per piffàru e tamburo sono influenzate da moduli ritmici e melodici di varia provenienza, come è consueto in una ambiente culturale dinamico e aperto come quello urbano. L’accompagnamento musicale del tamburo (o della coppia piffàru-tamburo) è sostanziale: incita al movimento e conferisce solennità ai gesti dei portatori (per esempio quando un candeliere posato a terra deve essere sollevato, il tamburinaggiu suona la cosiddetta alzata); il ritmo del tamburo coordina inoltre i movimenti e i passi dei portatori, che eseguono i balli specifici del proprio Gremio. I brani musicali tipici della Faradda sono lu baddu saldu e la danza. Il primo ha un andamento ritmico e melodico che richiama il ballo sardo e viene utilizzato per far roteare su se stesso il Candeliere; il secondo, caratterizzato da un intenso rullato, accompagna gli spostamenti rapidi e la discesa a zig zag dei candelieri. Altro brano caratteristico è la raspa eseguita dal tamburo, che richiama il ritmo di una famosa polka messicana degli anni ’50. Questa guida i volteggi del candeliere portato a braccia (e quindi non sulle spalle) e si presta, a seconda del Gremio, alla rea- gli speciali di Antas Intervista a Francesco Simola, tamburino del Gremio dei falegnami ANTAS 30 testo di Marco Dettori* “IL RITMO DEI TAMBURI È IL MIO PANE QUOTIDIANO” Discesa dei Candelieri e tamburo: un binomio indissolubile che forse ha origine con la festa stessa. La testimonianza di uno dei tamburini più esperti ci offre un aspetto inedito e sconosciuto ai più della Faradda e della vita dei Gremi. Francesco Simola, classe 1988, tamburino del Gremio dei Falegnami, batterista, maestro di ritmica presso l’associazione “Passione, arte e ritmo del tamburo”, nonché esperto costruttore di tamburi tradizionali, ci aiuta a capire come nasce un tamburo e come si suona. facendo mi tengo sempre in allenamento. Come ti sei avvicinato alla tradizione dei Gremi e dei Candelieri? Ho sempre abitato al centro storico, sono nato lì, in mezzo al suono della festa, ai suoi colori, al ritmo dei tamburi ed a tutto ciò che rappresentano i Gremi e i Candelieri. Per me sono come il pane quotidiano. Da quanto tempo suoni il tamburo? Posso affermare di essere nato con il tamburo tra le mani. Faccio parte del Gremio dei Falegnami oramai da 13 anni; praticamente una vita. Cosa rappresenta e come si svolge per te la Discesa dei Candelieri? Per me è sempre un’emozione fortissima che vivo durante tutto l’anno; naturalmente più ci si avvicina alla festa, più cresce l’adrenalina e la voglia di dare il proprio contributo. Ci sono poi delle tappe simboliche importanti, come ad esempio il percorso in cui si porta il Candeliere in Piazza Castello prima della Faradda; ecco, questo è un momento molto particolare nel quale si accumula tutta la tensione per la preparazione all’evento. Come hai imparato a suonare? Sono autodidatta; certo è che come presupposto fondamentale bisogna avere tanto orecchio ed un senso della ritmica impeccabile, questa è la base. Ho comunque frequentato il conservatorio per avere delle nozioni di solfeggio, suono la batteria, impartisco lezioni di ritmica sul tamburo con la mia associazione e così Ci racconti com’è fatto e come si costruisce un tamburo? Il tamburo è composto da sei elementi: i cerchi di legno di faggio; la cassa di ottone; le pelli, che possono essere di capra, capretto o asino; la corda; il timpano; i tiranti di accordatura. Per quanto riguarda la costruzione, la prima fase è rappresentata dalla concia- Quanto è importante conoscere il proprio strumento e saperlo suonare? Più che importante è fondamentale: dall’inizio della costruzione fino all’accordatura tutto deve essere impeccabile. Lo strumento è soggetto al cambiamento delle condizioni atmosferiche e richiede quindi particolare cura ed attenzione, in modo tale che suonarlo sia sempre un vero piacere. tura delle pelli essiccate: una volta eliminate le impurità superficiali attraverso l’utilizzo di alcuni detergenti, vengono sistemate su un telaio per poter conferire loro una prima “forma”. Si passa così al secondo step: le pelli vengono messe a bagno in una soluzione di acqua e calce, in percentuali differenti, per 18-20 giorni; con l’utilizzo della pietra pomice, di alcuni raschietti, bisturi e tanto olio di gomito si continua la fase della conciatura per eliminare eventuali cisti ed imperfezioni. La seconda fase è rappresentata dalla calandratura del legno e dell’ottone, attraverso la quale si conferisce al tamburo la classica forma tonda e cilindrica. L’ultima fase è dedicata alla sistemazione delle corde, dei tiranti, del timpano e alle finiture (lucidatura, verniciatura, eliminazione imperfezioni). Mediamente per la costruzione di un tamburo ci sono necessari dai 6 ai 7 mesi di tempo. Ora che abbiamo costruito il tamburo descriveresti quali sono i ritmi che vengono affiancati alla bandiera e al Candeliere? I ritmi che accompagnano la bandiera sono “il passo”, “il passo di bandiera” e “il rientro della bandiera”, quest’ultimo utilizzato quando si riaccompagna a casa l’obriere al termine delle processioni; mentre per la discesa dei candelieri, che richiede un ritmo ben più cadenzato ed allegro, si eseguono “l’alzata”, “il passo”, “lo zigolo” e “la samba”. Marco Dettori, Segretario Commissione Cultura Intergremio Città di Sassari ANTAS 31 foto di Giovanni Porcu i fabbri i contadini i falegnami gli ortolani i massai I C A NDEL I ERI ANTAS 32 I GREMI foto di Giovanni Porcu i sarti i muratori i calzolai i viandanti i piccapietre ANTAS 33 D I S ASSA R I Un’esclusiva di A N TAS EUGENIO FINARDI ANTAS 34 Vi racconto il mio amore per la Sardegna “La vostra terra è bella come un diamante. Le Launeddas? Uno degli strumenti più antichi che esistano: in me risvegliano il ricordo del profumo di rosmarino e ginestra attorno ai Nuraghi.” testo di Pierpaolo Fadda foto di Rudy Amisano De Lespin come ci vedono A tu per tu col grande cantautore milanese. Tempo fa, durante una lunga chiacchierata, mi hai confessato che nelle pareti della tua casa conservi in bella vista le maschere del Carnevale Barbaricino… Mentre scrivo, nel mio studio, ho sopra la testa la maschera de Su Boe del Carnevale di Ottana… Grazie a una tua iniziativa è nata la compilation Arcu ‘e Chelu, con uno scopo ben preciso: aiutare la popolazione sarda colpita dal nubifragio. Quando è nata l’idea? L’idea mi è venuta il giorno dopo la terribile alluvione, leggendo i nomi delle località più colpite: tutti luoghi in cui ho suonato e la cui popolazione mi ha accolto come un fratello, nelle loro case, nella loro vita. Ho sentito il bisogno di 35 Se ti parlo delle Launeddas quali sensazioni ti vengono in mente? La Sardegna custodisce un tesoro: vi si possono ascoltare le antiche sonorità del bacino del Mediterraneo, antiche scale Fenicie, Greche, Catalane. Vocalità e modulazioni che hanno accom- pagnato i viaggi di Ulisse e di Teseo… Le Launeddas sono uno degli strumenti più antichi che esistano e in me risvegliano ricordi ancestrali che sembrano venire dal midollo: il vento che spingeva la nave di Ulisse, gli accampamenti Fenici, il profumo di rosmarino e ginestra attorno ai Nuraghi. Uno dei momenti più intensi della mia carriera è stato cantare AMORE DIVERSO in limba con Franca Masu, accompagnati dal suono primordiale delle Launeddas del grande Luigi Lai a Cagliari per l’evento “Sardegna Chi_Ama”. Ami molto anche il canto a Tenore: sbaglio o lo hai inserito in una tua produzione discografica? L’ho fatto proprio nell’incisione di AMORE DIVERSO in logudorese con Carla Denule, che ne ha curato la splendida traduzione. ANTAS Eugenio, la prima domanda è d’obbligo: cosa ti lega alla Sardegna? Quarant’anni di frequentazione che mi hanno portato ad una conoscenza profonda di ogni suo angolo. La Sardegna è un continente con realtà geografiche e culturali diversissime, anche se topograficamente vicine. Logudoro, Ogliastra, Campidano, Gallura o Barbagia sono molto diverse tra loro e all’interno hanno ulteriori micro realtà con sfaccettature sempre sorprendenti. Come un diamante. Io ho avuto l’opportunità e l’onore di essere invitato a conoscere queste diverse facce proprio nel momento più intimo: la festa, quando la comunità celebra la propria identità. Eugenio Finardi con Gigi Sanna degli Istentales e Tullio de Piscopo. Foto di Stefania Canu foto di Chiara Mirelli Quando parli di Eugenio Finardi ti viene in mente la sua “musica ribelle”, il blues, il rock. Ma vederlo sul palco di una festa paesana della nostra terra vestito in velluto ti fa pensare alla Sardegna. Perché Eugenio è uno di noi: milanese ma sardo d’adozione, come ci racconta in questa chiacchierata in esclusiva per Antas. fare qualcosa e ho condiviso questo sentimento sulla mia pagina Facebook. Hanno risposto centinaia di migliaia di persone e tantissimi colleghi di ogni genere musicale. Così, in meno di un mese questa “piccola idea” è diventata una realtà che ha già dato i suoi primi frutti. A Settembre, alla riapertura delle scuole, i bambini dell’istituto più colpito si accomoderanno in cinque aule ristrutturate con il frutto delle nostre voci! Con Carla Denule hai duettato in AMORE DIVERSO e naturalmente hai inserito le launeddas di Roberto Tangianu… Carla mi ha fatto il grande onore di tradurre una delle mie canzoni che mi è più cara: AMORE DIVERSO, scritta alla nascita della mia figlia primogenita Elettra. ANTAS 36 foto di Andrea Pintaldi Da alcuni anni hai stretto un sodalizio artistico con la band nuorese degli Istentales: ci racconti come li hai conosciuti? Me li ha presentati Roberto Vecchioni. Gigi Sanna è una mente vulcanica che continua ad eruttare idee, iniziative, collaborazioni ed è anche un grande amante e conoscitore delle tradizioni sarde. Indimenticabile la vista di Gigi sul ponte del naviglio ticinese a Milano vestito da capo a piedi in “velluto”, con i gambali e la sacca piena di pecorino di primissima qualità! [il sardo] ...una lingua nella quale mi sento a mio agio, espressiva e antica... L’abbiamo poi incisa d’inverno a Sassari con un gruppo di straordinari musicisti sardi e l’ho pubblicata nella mia compilation UN UOMO. Mia figlia Francesca, che aveva allora 7 anni, l’adorava e se l’è imparata tutta in perfetto logudorese! Il brano si apriva e chiudeva con le launeddas di Roberto Tangianu, bravissimo e caro amico. Andrea Parodi e Maria Carta: un tuo ritratto di questi due grandi artisti… Due delle più belle voci, se non addirittura le più belle voci in assoluto, della canzone italiana. Ho una versione di NO POTHO REPOSARE cantata da Andrea con Noa che non riesco ad ascol- ASCOLTIAMO ARCU ‘E CHELU è il doppio CD uscito anche in digitale il 17 Dicembre per raccogliere fondi a favore della Croce Bianca di Olbia che li devolverà alle scuole. Un obbiettivo semplice e realistico senza pastoie burocratiche e lungaggini che potrà portare in breve tempo un aiuto tangibile e concreto per il ritorno alla normalità dei bambini della nostra amata Sardegna. Dal vivo in tutta Italia con il suo suono inconfondibile EUGENIO FINARDI, considerato un guru nel panorama cantautorale italiano per il suo percorso unico, fatto di continue sperimentazioni ed esplorazioni artistiche, torna in scena in tutta Italia con il suo inconfondibile sound, reinterpretando live i grandi classici del suo repertorio e gli inediti del nuovo album “Fibrillante” (prodotto da Max Casacci dei Subsonica). Ad accompagnare sul palco Eugenio Finardi nel suo show energico e sorprendente, è la band con cui ha scritto e registrato “Fibrillante”: Giovanni “Giuvazza” Maggiore alla chitarra, Marco Lamagna al basso, Claudio Arfnengo alla batteria e Paolo Gambino alle tastiere. 37 Che emozioni provi a cantare in sardo? Ho sempre in mente la tua splendida interpretazione di “Deo ti ghe- ria Maria”… È una lingua nella quale mi sento a mio agio, espressiva e antica, alla quale la mia voce si adatta bene. Mi piace molto cantare in limba. Hai mai pensato di lasciare la tua Milano per trasferirti nella nostra isola? Magari! Se solo i collegamenti anche invernali fossero meno precari… Ma il sogno di una casetta a metà strada tra mare e montagna rimane. Forse un giorno, chissà… ANTAS tare senza che mi vengano le lacrime agli occhi! Maria Carta è colei che, come molte cantanti sarde, Franca Masu, Elena Ledda e altre, tengono viva in Italia la vocalità femminile che io chiamo “il canto della Madre”. Voci Mediterranee come Amalia Rodrigues e Dulce Pontes, Omm Calzum, Feiruz, Noa la cui tradizione in Italia è stata spazzata via dal modello vocale Yé Yé, come Mina per intenderci, che ha però perso molta della dolcezza e delle sfumature che le voci femminili dovrebbero avere. primo piano Abbiamo incontrato lo scrittore di Uta FLAVIO SORIGA Il mio mestiere è raccontare storie “Il Premio Calvino? È importante, l’inizio di un percorso, non un punto d’arrivo. Io scrittore affermato? Mi definisco uno scrittore onesto, faccio il mio lavoro e vendo abbastanza per essere pubblicato.” testo di Pierpaolo Fadda ANTAS 38 Parlare con Flavio Soriga è sempre un piacere e non smetteresti mai di farlo. Scrittore di successo, autore televisivo, direttore di festival letterari, giornalista, Flavio ha accettato col solito garbo e cortesia di rilasciare quest’intervista ai lettori di ANTAS. Partiamo da Uta, tuo paese natale: che ricordi hai della tua infanzia? Le infanzie nei paesi sono tutte meravigliose, è come crescere in un parco giochi. Adesso sono a Uta, nella casa dei miei genitori, davanti a un paesaggio meraviglioso, perché la Sardegna è anche la combinazione di certi colori, di certi alberi. Magari i colori della nostra natura non sono i piu rigogliosi del mondo, ma tu li ricordi bellissimi perché sono quelli che hai visto quando sei cresciuto. Quel fico piantato da mio nonno in una strada anonima della periferia di Uta per me è piu bello di qualsiasi albero del pane che si possa vedere sulla faccia della terra. Anche questa per me è letteratura: provare a raccontare per tutta la vita quello che hai vissuto da piccolo. E quando hai deciso che saresti andato via? Quando ho iniziato a star male la sera perché qualcosa mi bruciava dentro e mi portava a fare lunghe passeggiate da solo. Avevo capito che c’erano troppi fantasmi, troppo fuoco dentro: a un certo punto della vita capisci che il mondo è grande e lo vuoi esplorare. ANTAS 39 foto di Simona Toncelli per Caliles.com Mi suggerisci un’altra domanda: quando hai capito di essere diventato uno scrittore affermato? Io non sono uno scrittore affermato: mi definisco uno scrittore onesto, faccio il mio lavoro e vendo abbastanza per essere pubblicato. Gli scrittori affermati sono quelli spesso costretti a dire di no agli inviti all’estero, quelli assillati dagli editori e dai fan. Io, ribadisco, sono un scrittore onesto e l’ho capito quando, prima di scrivere il mio secondo libro, ho fatto questo ragionamento: mi prendo un anno, provo a scriverlo e se me lo pubblicano bene, altrimenti mi rimetto a studiare e cerco un lavoro. Avevo 25 anni e potevo ancora permettermelo. Tutto questo lo dico, sia chiaro, con la sana invidia per chi vende un milione di copie: dev’essere una bella sensazione… Nel tuo splendido romanzo del 2008 Sardinia Blues affronti il delicato problema della tua malattia, la talassemia. Perché hai sentito l’esigenza di farlo? Forse perché non l’aveva fatto nessuno e forse perché è la cosa più importante della mia vita assieme al fatto di essere un provinciale. Ecco, io mi considero un “sardo, provinciale e talassemico” e queste tre cose hanno persino dei legami. Io sono cresciuto con l’idea che la talassemia fosse una malattia “sarda”, finchè non sono arrivato a Londra. Lì ho ANTAS 40 ...la vita dello scrittore non è una sera al Premio Strega e un’altra in una terrazza a parlare di Proust... incontrato ciprioti, greci che, a loro volta, consideravano la talassemia come la loro malattia, esattamente come noi. Ti confronti scoprendo all’improvviso che nella faccia dei genitori dei tuoi coetanei trentenni turchi, indiani e ciprioti c’è la stessa angoscia, premura, lo stesso amore preoccupato dei tuoi parenti. Quindi in Sardinia Blues ho provato a scrivere di talassemia senza essere tragico perché non è tragico il mio modo di vivere la malattia. La letteratura sarda sta vivendo un momento di grande popolarità e successo: ti sei mai chiesto perché? Ce lo chiediamo tutti continuamente, ma non troviamo una sola risposta. Credo che ci siano una serie di motivi alla base del successo della letteratura sarda. Intanto trovo che sia una cosa incredibile, perché nella storia dell’umanità non c’erano mai stati una decina di scrittori sardi tradotti all’estero. Pensandoci bene c’è un dato comune a tutti: nessuno di noi scrittori sardi fa sperimentazione, anche nobile; tutti, semplicemente e in modo molto diverso, raccontiamo storie: forse questo è stato il vero motore per arrivare ai lettori. foto di Alessandro Cani Esordisci come scrittore nel 2000: cos’hai provato quando la tua raccolta di racconti Diavoli di Nuraiò ha vinto il premio Italo Calvino? Mi è sembrato già incredibile essere arrivato in finale. Ricordo che mi ha chiamato una signora dall’aria nobiliare preannunciandomi che sarei dovuto andare a Torino per la premiazione. Il Premio Calvino è stata una delle più belle esperienze della mia vita (tra l’altro la giuria è popolare) e quando mi è stato comunicato che avevo vinto si sono immediatamente precipitati i giornalisti per farmi delle domande. Però voglio dire a tutti gli aspiranti scrittori sardi che vogliono partecipare al Calvino che vincere un premio è l’inizio di un percorso, non un punto d’arrivo. Devono capire che la vita dello scrittore non è una sera al Premio Strega e un’altra in una terrazza a parlare di Proust: è quasi sempre consumare le scarpe per fare presentazioni in paesi dove magari vengono dieci persone o ancora conservare lo scontrino del taxi, altrimenti non ti rimborsano. LEGGIAMO METROPOLIS 2013 Bompiani pp. 256 € 17,00 Cagliari, fine estate. In una cabina del lido Kalaris Giulia Hernandez di San Raimondo, bella donna appartenente a una delle famiglie più importanti della città, viene ritrovata morta: qualcuno ha sfregiato il suo corpo con decine di coltellate, fuggendo poi nella notte. A indagare sull’omicidio è il capitano Martino Crissanti, un carabiniere quarantacinquenne con una laurea in antropologia e un grande amore per l’estate, la musica argentina e i tramonti visti dal quartiere di Castello. festival mettono in scena una sorta di spettacolo durante il quale il pubblico passa un’ora diversa, sentendo cose alle quali magari non aveva nemmeno pensato leggendo il libro. I reading sono diventati un vero e proprio lavoro per noi scrittori. A me piace moltissimo raccontare storie che magari stanno a margine del libro. tino Crissanti, capitano dei carabinieri barbaricino emigrato a Cagliari che indaga nell’alta borghesia cagliaritana per scoprire chi ha ucciso una donna. La mia idea è quella di scrivere una serie di gialli contemporanei ambientati in Sardegna: il prossimo libro, ti posso anticipare che molto probabilmente sarà ambientato nel Nord dell’Isola. Oltre a essere scrittore sei anche autore televisivo: ti piacerebbe lavorare alla scrittura di un film? Mi è anche capitato di farlo, poi il film non è stato realizzato. Credo che a tutti gli scrittori piaccia scrivere sceneggiature e non ti nascondo che non mi dispiacerebbe affatto scrivere un film per un grande regista. Tre titoli di libri sardi che Flavio Soriga consiglierebbe a tutti… Assandira di Giulio Angioni, Mal di Pietre di Milena Agus e La ragazza perduta di Salvatore Mannuzzu. 41 Parlaci del tuo ultimo romanzo Metropolis. È un classico romanzo giallo con Mar- Che suggerimento daresti a tutti i giovani che vogliono avvicinarsi alla scrittura? Leggere molto, viaggiare il più possibile e infine partecipare al premio Calvino. ANTAS Perché ami moltissimo i reading letterari e musicali? Io mi diverto a incontrare i lettori, a capire chi sono e se posso anche a leggere le storie che scrivo. Oggi gli scrittori, ma persino gli economisti, quando vanno in giro a presentare i libri nei foto di Alessandro Cani Il tuo impegno nella diffusione della cultura è ormai noto: direttore artistico del Festival “Sulla Terra leggeri” dell’Argentiera sopra tutti. Quest’ultimo lo hai definito una sorta di Woodstock sarda della cultura. Mi spieghi meglio? Tu pensa a un posto particolare, quasi assurdo, in riva al mare, in un vecchio borgo di minatori. Un posto alla fine del mondo dove arrivano tutti alla spicciolata finché non si riempie di gente. Ecco, immagina uno scrittore affermato che arriva in questo luogo deserto della Sardegna e pensa: “Soriga è matto perché mi ha portato in questo angolo di mondo sperduto dove ci sono solo le rovine di una miniera”. Poi la sera questo luogo si riempie di gente come per miracolo, com’è successo a Woodstock quando nessuno si attendeva la grande folla. Ecco, all’Argentiera capita un fenomeno simile: arriva una marea di gente e non capisci da dove provenga. E poi - credo di non sbagliarmi - è l’unico festival letterario al mondo dove c’è il dj set in spiaggia e peraltro la selezione dei dischi è curata da due scrittori, Federico Russo e Corrado Fortuna: quindi diventa un dj set letterario. focus musica L’originale idea di quattro ragazzi sardi Quando il palco è una vecchia sedia ANTAS 42 testo di Diego Pani foto di Sara Montalbano Non ci sono luci di scena, macchine del fumo, montaggi sincopati o effetti speciali. C’è solo un musicista, sta seduto su una vecchia sedia e suona la sua musica, e dietro di sé ha solo il paesaggio. Pochi elementi costituiscono i video de Su Scannu Sessions: brani acustici registrati in giro per Cagliari, assoluta novità made in Sardinia, che poco più di un mese fa ha fatto la sua prima comparsa sui social network. Su Scannu Sessions è un’idea che coinvolge quattro ragazzi sardi innamorati della musica: Alberto Murru, Marco Bocchetta, Antonio Congiu e Sara Montalbano. Da loro arriva questo progetto ispirato da nomi come Balcony Tv, Npr Sessions, Side Show Alley. Musica acustica, unplugged, immersa in contesti urbani e suburbani, angoli che diventano la scenografia ideale per la performance musicale. Al centro dell’esibizione un palco inusuale: una vecchia sedia di legno che diventa il baricentro delle esecuzioni musicali, filmate interamente dal vivo e caricate sulla rete. Per scoprirne di più ho contattato Alberto, uno dei ragazzi responsabili del progetto. Da dove nasce l’idea de Su Scannu Sessions? Tutto è nato in casa a Cagliari, dalla passione per i video, visti su YouTube, di sessioni live di diversi artisti registrate magari negli Stati Uniti o nel Regno Unito. Da qui l’idea di portare queste video sessions musicali in posti suggestivi di Cagliari, che non per forza dovevano essere degli spot esteticamente perfetti, ma potevamo rappresentare le diverse anime della città, anche grazie all’utilizzo di aree urbane abbandonate, viste attraverso la prospettiva della camera e trasformate grazie alla musica. Dietro Su Scannu Sessions operano ora quattro ragazzi che attraverso la musica riscoprono paesaggi e ambientazioni abbandonate o semplicemente nascoste dalla quotidianità. Attraverso gli artisti coinvolti, per qualche minuto, queste locations vengono trasformate in luoghi privilegiati, palcoscenici suggestivi. I primi video nascono a Cagliari, perché è questa la città in cui viviamo, il terreno che meglio conosciamo. Il legame con il territorio è quindi centrale per tutto il progetto… Il nostro vuol essere quasi un ringraziamento al territorio. La nostra scenografia principale è il posto in cui viviamo e queste sessioni sono, in qualche modo, una sua chiara celebrazione. Allo stesso modo, le sessioni possono essere una spinta verso un avvicinamento di molti artisti esteri verso la Sardegna. Speriamo vivamente di arrivare ad artisti che mai si sono esibiti in Sardegna, di essere i primi a portare nuova musica nell’Isola attraverso le sessioni. Che cosa riserverà il futuro per il vostro progetto? Adesso giriamo i nostri video per Cagliari, ma vogliamo in futuro uscire dalla città e cercare di organizzare sessioni in giro per la Sardegna. In seguito vorremmo stabilire delle collaborazioni con alcuni festival sardi, per organizzare delle sessioni all’interno di altre rassegne e, allo stesso tempo, creare un festival tutto nostro, in collaborazione con altre realtà sarde. Il fine ultimo è comunque dare risalto a tutti gli artisti che ci offrono la propria musica; riuscire a far sì che le nostre playlist si trasformino in proficui spazi di promozione culturale. Seguite le sessioni live di Su Scannu attraverso i social network. www.facebook.com/suscannu www.twitter.com/SuScannu http://instagram.com/ suscannusessions www.youtube.com/channel/ UCJ4ozOleHNpTb10BoyvyBxQ 43 Come mai Su Scannu? L’idea dello Scannu è innanzitutto relativa al suono della sua pronuncia e all’immagine di questa vecchia sedia immersa nel paesaggio che si trasforma in un piccolo palco, una scenografia portatile che diviene centrale per le performance artistiche a cui facciamo riferimento. La sedia viene usata in maniera differente a seconda di chi suona: l’artista ci si siede, ma può anche solo rimanerci vicino. In ogni caso rimane l’elemento al centro del video, il vero e proprio stage. Una scelta come la nostra è derivata anche dall’idea di spogliare la musica dalla grande infrastruttura del grosso concerto, del grosso palco, riportarla un po’ al suo lato più essenziale, scoprire come l’artista riesca a giocare con il solo paesaggio, con il contesto esecutivo con il quale è chiamato a raffrontarsi. ANTAS Come avete lavorato alla prima realizzazione del progetto? Abbiamo iniziato a lavorare sulla prima idea mettendo in gioco diverse possibilità di elaborazione, capendo su che elementi fare perno per dare continuità comunicativa al progetto. Quasi per gioco Marco ha proposto di usare come elemento centrale, presente in tutti i video, unu scannu, una vecchia sedia di legno che aveva trovato durante un trasloco. Da qui l’idea de Su Scannu Sessions. Abbiamo in seguito investito sul materiale tecnico, acquistando un microfono ad alta definizione, in modo da registrare gli artisti dal vivo con la maggiore qualità di ripresa possibile. Infine, ci siamo rivolti a diversi videomaker, illustrando le peculiarità e le richieste tecniche di un progetto come il nostro, che non sono poche. Abbiamo infine allargato la squadra con Antonio, che ha cominciato a occuparsi delle registrazioni dal vivo, e con Sara, che è diventata a tutti gli effetti la videomaker del progetto. Il primo artista coinvolto, il cagliaritano The Heart & The Void, si può dire che abbia fatto un po’ da cavia. Con la sua registrazione abbiamo sperimentato inquadrature e metodi di ripresa differenti e siamo molto contenti di questo primo risultato. Già dalle prime sessioni ci siamo dati una struttura: dalle inquadrature alla ripresa audio, abbiamo dato peso a ogni scelta tecnica, anche la più piccola. foto di Valentino Congia focus teatro Conosciamo meglio Michela Sale Musio e Tiziana Troja LUCIDOSOTTILE Le contaminazioni teatrali senza confini ANTAS 44 testo di Matteo Mazzuzzi Dal teatro alla danza, sino alla musica e alle arti figurative, attraversando con la stessa disinvoltura il dramma e la satira in una continua contaminazione proiettata al futuro. Potremmo definire così le LucidoSottile, compagnia cagliaritana che da oltre 10 anni contribuisce ad allargare gli orizzonti del teatro in Sardegna e in Italia. Potremmo ma non dovremmo. Solo loro stesse a dirlo: «Si tenta sempre di definire il nostro lavoro. È una sfida e ancora nessuno c’è riuscito. Noi pensiamo non sia necessario». SUCCESSO E BATTAGLIE Eppure ci si chiede perché Michela Sale Musio e Tiziana Troja, in arte “Le Lucide”, attirino l’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori tanto da aver convinto recentemente la direzione artistica del Fringe Festival di Madrid a invitarle (unica compagnia italiana) alla prestigiosa manifestazione spagnola. Loro ne fanno una questione di obiettivi: «Quando ci conoscemmo, il teatro-danza non attirava pubblico. Andavamo a vedere spettacoli con platee semivuote. Uno dei nostri primi foto di RigaNera + Ales&Ales BREVI CENNI BIOGRAFICI LucidoSottile è una compagnia teatrale, riconosciuta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali della Repubblica Italiana, attiva dal 2003 e diretta da Michela Sale Musio e Tiziana Troja, attrici, coreografe, cantanti, registe con un’esperienza ventennale alle spalle. Il loro lavoro spazia dalle arti visive alla musica, dal canto alla danza, fino al cinema e alla fotografia, toccando generi molto diversi fra loro quali il teatro-danza, il teatro comico e quello d’avanguardia, con risvolti di impegno sociale e di politica culturale. Per la loro capacità di mescolare i linguaggi artistici e per il loro peculiare stile comunicativo, spesso satirico e anticonformista, LucidoSottile costituisce un punto di riferimento importante per il movimento teatrale isolano. 45 IL DIRITTO DI ESISTERE Tra gli obiettivi futuri della compagnia ce n’è uno essenziale: la permanenza, insieme alle altre associazioni, all’ex Liceo Artistico di Piazza Dettori: «In questi anni abbiamo aperto questo spazio a chiunque ne facesse richiesta, restituendo al quartiere un indotto esagerato e fornendo un servizio sociale e culturale a prezzi popolarissimi. Verremo mandate via per motivi di sicurezza, eppure ci sembra che molti edifici scolastici siano nella stessa situazione dell’ex artistico». La speranza è quella di una conclusione positiva della faccenda: «L’associazionismo spontaneo che gestisce l’ExArt sta funzionando: insieme alle altre compagnia che occupano questi locali ci stiamo impegnando a metterli a disposizione di tutti, senza finanziamenti». ANTAS LUCIDA COMUNICAZIONE Gli spettacoli delle LucidoSottile sono spesso irriverenti, satirici, e creano dibattiti nella politica e nell’opinione pubblica. Come artiste sentono il dovere di provocare una reazione nella gente. Ma non si tratta sempre di strategie pianificate: «La nostra comunicazione è volutamente provocatoria, ma tutte le polemiche che ci hanno circondato non fanno parte di un piano. Per fare un esempio, quando non potemmo fare lo spettacolo “Holy Peep Show” all’orto botanico nel 2011, perdemmo molti soldi e questo non ci fece piacere. Quel tipo di comunicazione è stata incidentale, ma ovviamente noi abbiamo cercato di usarla a nostro favore». Michela e Tiziana rispediscono al mittente la definizione “grandi comunicatrici artisticamente deboli” e rivendicano la loro attenzione per la promozione degli eventi: «Siamo state le prime a usare i manifesti 6x3 per promuovere uno spettacolo teatrale e facciamo tutto senza un creativo ad hoc. Gli esperti stentano a credere che gestiamo in prima persona la comunicazione e cercano di capire le nostre strategie. Ma per noi è un processo naturale: una volta finita la creazione artistica, lavoriamo alla promozione». foto di P. Fusciani scopi è stato quello di riempire il teatro». Era il 2003, anno di fondazione della compagnia. Alle spalle, per Michela e Tiziana, carriere diverse ma con tante cose in comune e lo stesso linguaggio, fatto di mille espressioni differenti. Si capisce subito che qualcosa di nuovo è arrivato in Sardegna, una commistione di arti e generi mai vista prima. Ma la vera rivoluzione, per loro, è un’altra: «Siamo fiere di aver aperto nuovi percorsi artistici nella nostra regione. Tuttavia la novità è stata un’altra: unire le compagnie, creando alleanze per mettere fine alle eterne diatribe nel mondo teatrale sardo». Dietro alla considerazione c’è l’accusa (o la constatazione): «Per il poco tempo che ci siamo formate in Sardegna abbiamo osservato il peggio dell’ambiente teatrale isolano, in cui ognuno coltiva il suo orticello e manda avanti le sue persone, senza avere contaminazioni o altre influenze. LucidoSottile ha rotto queste barriere e ha creato un disequilibrio enorme». Perché quindi non unirsi, valorizzando le differenze e realizzando un prodotto artistico più brillante e appetibile? L’idea ha trovato terreno fertile negli attori delle altre compagnie, per troppo tempo abituati a lavorare in gruppi nettamente distinti e contenti di poter sperimentare. Ma il percorso non è facile, viziato com’è da decenni di pregiudizi: «Abbiamo combattuto contro il vero problema del teatro in Sardegna: la pratica quasi virale del disconoscimento della professionalità altrui, che parte dal nostro ambiente e giunge sino alla politica, che non allinea questo settore al pari delle altre imprese». focus cinema Un totale dell’attore Maurizio Pulina durante le riprese del film “Quella sporca sacca nera”, Presso il Tacco calcareo di Perda Liana. Gairo (Og) QUELLA sporca sacca NERA Lo spaghetti-western ogliastrino Una miniserie in quattro episodi diretta dal regista Mauro Aragoni ANTAS 46 testo di Simone Cardia foto di Fabio Anedda “Un freddo e spietato cacciatore di taglie è alla ricerca di 2 banditi. Le tracce lo portano in terra di confine, dove i problemi saranno i primi ad arrivare. Il contenuto della sacca nera che porta con sé verrà scoperto dalle persone sbagliate, che faranno di tutto per averlo”. Una sacca intorno alla quale ruota tutta la serie diretta da Mauro Aragoni, giovane regista di Tortolì, e scritta in collaborazione con Roberto Comida, come produzione indipendente della Pulp R. Studio. Il regista, fortemente appassionato del genere western e attirato dalla bellezza della sua terra, decide di far sposare lo stile cinematografico con gli scenari ogliastrini, ottenendo un risultato che certamente soddisferà il pubblico. Location suggestive immerse in una natura selvaggia come quella della vallata del Golgo a Baunei, caratterizzata da strapiombi e gole carsiche ricoperte dalla tipica macchia Backstage. Da sinistra: attori Maurizio Pulina e Giovanni Cabras durante le prove sul set Nella prima parte il western è intriso di una vena horror, mentre la storia ruota intorno al mistero della sacca, che svelerà il suo contenuto già dopo i primi minuti. Il secondo episodio inizierà a mutare nel genere, abbandonando le scene un po’ crude e richiamando progressivamente quel vecchio western in stile Clint Eastwood ma in confezione moderna e sempre ricca di colpi di scena, in cui l’onore sarà il tema centrale. Una rosa di attori professionisti e non compongono il cast scelto dal regista in collaborazione con Maurizio Pulina, anch’egli attore: Antonio Luvinetti, Giovanni Cabras, Francesco Palmieri, Valeria Secchi, Mauro Aragoni e Massimo Pes. Tra i collaboratori Alessandro Fele agli effetti speciali, Alessio Cuboni come aiuto regia, Alessandra Aragoni al make-up, Fabio Anedda alla fotografia di scena, Pier S.J e Francesca Farina Primo piano di Maurizio Pulina. Scena del film Backstage. In primo piano il regista Mauro Aragoni che riprende Maurizio Pulina a cavallo durante il tramonto nei pressi di Perda Liana. La maggior parte della musica è stata scritta prima del film per costumi e oggettistica. Fondamentale la colonna sonora, scritta e ideata da Antonio Manca in collaborazione con il regista. “La maggior parte della musica è stata scritta prima del film”, afferma Mauro Aragoni, “proprio per ricreare le sensazioni e le emozioni giuste per montare il video. In questo modo il film viene sviluppato seguendo la musica. Antonio, dopo avergli proposto il progetto, fu felicissimo perché disse che anche Morricone e Leone utilizzavano la stessa tecnica e io ne ero ignaro; mi ha fatto piacere che dei grandi del genere la pensassero come me. Non credo che il resto del cinema funzioni così: penso che i musicisti siano quasi sempre costretti a creare seguendo i sincroni di un video già pronto; il che va bene, penso sia la prassi. Infatti per la scena del saloon la musica è stata creata successivamente, ma per la maggior parte del film no: la colonna sonora era già pronta settimane prima di girare e questo ha suggestionato attori e macchinisti, aiutando tutti ad immedesimarsi nel vecchio west”. Musiche ispirate dalle creazioni di Ennio Morricone, l’emblema italiano della musica western, che compose la colonna sonora de “Il buono, il brutto, il cattivo” di Sergio Leone. Il musicista ha avuto modo di ascoltare i brani di Antonio Manca mostrando interesse e apprezzamento. Se il lavoro di Mauro Aragoni sia il punto di partenza per una rinascita dello spaghetti-western made in Italy, più precisamente made in Sardegna, sarà il pubblico a deciderlo. 47 Quattro episodi, rispettivamente di quindici minuti l’uno, compongono la serie. L’uscita del primo è prevista sul web a cavallo tra Luglio e Agosto 2014. Un’opera realizzata grazie ai duemi- la euro spesi da regista, produttori e co-produttori: Giovanni Cabras, Alessio Cuboni, Fabrizio Fanelli, Raffaella Meloni e l’azienda 3i Energia. ANTAS mediterranea, scelta in particolare per la caratteristica chiesa situata in un piccolo altipiano che rievoca le scene del film “Per qualche dollaro in più”. Perda Liana, formazione montuosa a tacco situata nel comune di Gairo, a cavallo tra Ogliastra e Barbagia di Seulo, rievoca i tipici scenari del western americano. Il Flumendosa scorre in profonde valli ricoperte da ricche e folte foreste, distese di pietre bianche e carcasse di animali, che naturalmente vanno a morire su quelle rive e risultano fondamentali per le scene tetre e cupe. L’Horse Country Resort di Arborea è stato scelto per le scene della città e del saloon: inizialmente era prevista la realizzazione di queste ultime scene nel villaggio di San Salvatore, già utilizzato per altre opere western, ma esso si è rivelato troppo dispendioso e difficilmente adattabile alla fotografia. foto di Grazia Porqueddu focus cinema BONIFACIO ANGIUS L’esordio del regista sardo al Festival di Locarno e la genesi di PERFIDIA, un film ambientato nella Sassari dei giorni nostri. ANTAS 48 testo di Valentina Pintor Classe 1982. Il suo secondo lungometraggio è in concorso quest’anno alla 67esima edizione del Festival del Cinema di Locarno, che si terrà dal 6 al 16 Agosto e che verrà inaugurato da Lucy, film di Luc Besson, con protagonista Scarlett Johansson. Bonifacio Angius presenta in grande Perfidia, unico film italiano in gara con altri 16 lungometraggi, già riconosciuto dal Ministero per i Beni Culturali come “Film di interesse culturale nazionale”. Abbiamo intervistato il regista sassarese a pochi giorni dalla presentazione del film in uno dei Festival più importanti del Cinema. La prima domanda (quasi sempre la più scontata) sorge spontanea: come ci si sente a rappresentare l’Italia, o ancor meglio, il cinema sardo, e ad essere l’unico regista italiano in gara ad un evento come la 67esima edizione del Festival del Cinema di Locarno? Quando mi è stato detto che avremmo partecipato al festival ho provato una grande gioia, soprattutto per il fatto di esserci con un film come Perfidia: una pellicola molto personale, che racconta un mondo fatto di personaggi abbandonati a loro stessi. La sensazione di avere la possibilità di aprire una finestra su questo mondo è motivo di grande soddisfazione. Il fatto di essere l’unico regista sardo o italiano, o del mio rione, non fa tanta differenza. Il tuo primo lungometraggio, Sa Grascia, ambientato anch’esso in Sardegna, è un road movie surreale e di formazione. È stato difficile passare da un film quasi onirico al realismo che impregna Perfidia? Sa Grascia è un film completamente diverso non solo per quanto riguarda la messa in scena, ma in ogni dettaglio. È completamente l’opposto dal punto di vista dell’approccio al lavoro. Non so se sia stato più difficile realizzare Perfidia che, sicuramente, è un racconto molto più crudo e violento. Perfidia è la storia di un padre e un figlio che si avvicinano quando ormai è troppo tardi. La storia di un padre assente, che solo dopo la perdita della moglie si rende conto di non essersi mai occupato del figlio, abbandonato a se stesso, senza speranze, senza futuro, senza sogni, senza un lavoro. Se Sa Grascia nasce da una foto di tuo sione autentica, mostrarlo in tutta la sua moltitudine di comportamenti ed espressioni, sentirne l’umanità nella sua cruda pienezza. Questo utilizzando il mezzo cinematografico con lo scopo di raggiungere un’esperienza singolare, un’emozione condivisa, un momento di sincerità che si produce solo in un evento irripetibile. Hai scelto di ambientare il film nella tua città nativa, Sassari. Omaggio alla tua città, esigenza, o Sassari è la città che ritenevi più congeniale per narrare la storia che avevi in mente? Considerando il fatto che preferisco sempre raccontare quello che conosco, Sassari era il luogo ideale per l’ambientazione del racconto, semplicemente perché è il posto dove sono nato e cresciuto. Ed essendo la narrazione frutto di situazioni vissute e di persone che conosco profondamente, non mi sono mai posto il problema del luogo in cui ANTAS padre, come è nato, invece, Perfidia? Hai affermato che tocca tematiche che riguardano la nostra generazione: quali? Mio padre e la mia famiglia sono la mia più grande fonte di ispirazione. Tuttavia, anche se il protagonista di Perfidia appartiene alla mia generazione, mi guarderei dal far passare il film come un racconto generazionale. Perfidia è una storia del nostro tempo, appartiene alla decadenza del mondo contemporaneo. Ne rappresenta il vuoto quotidiano, la violenza nascosta dietro una calma apparente e la ricerca da parte dell’essere umano di una “normalità” ormai lontana; ma soprattutto mi premeva raccontare il rapporto padre-figlio in una dimen- 49 Sicuramente Perfidia è un racconto molto più crudo e violento. ...illuminate dal ritmo dei punti e dei fili che s’incontrano, s’intrecciano e sembrano le stelle di una galassia... indietro, ho visto gente nascondersi dietro le idee politiche, l’alcool, l’ipocrisia. E io stesso ho fatto tutto questo, dunque posso capirli. Per chiunque, incluso me stesso, è difficile dire quello che davvero vuoi dire, quando quello che vuoi dire è doloroso. ANTAS 50 ambientare la storia. Mi interessava raccontare questo piccolo angolo di mondo, Sassari, una cittadina di provincia come ce ne sono tante in Italia, attraverso il problema della disoccupazione giovanile, il vuoto quotidiano che ne consegue e la visione clientelare come sua (non) risoluzione. La provincia vista anche come luogo fertile per sogni semplici e forse impossibili, ai quali però i personaggi si aggrappano come fossero la vita reale. Una vita fatta di attese incessanti, di invidia, di un desiderio di “normalità” che appare sempre più lontano. Insieme a Fabio Bonfanti e Maria Accardi hai curato anche la sceneggiatura del film. Quanto ciò che leggi, quel che vedi e che ti circonda, influenzano il tuo modo di raccontare una storia? Come dicevo, le esperienze di vita e le opinioni sul mondo che ti circonda sono tutto per chi vuole raccontare una storia. Non ho mai visto esplodere un elicottero. Non ho mai visto nessuno che faceva saltare la testa di un altro. Dunque perché dovrei fare un film su roba simile? Ho visto invece persone che distruggevano se stesse nei più impercettibili modi. Ho visto gente tirarsi Quasi tutto lo staff che ha preso parte al film, dagli attori ai tecnici che hanno lavorato alla sua realizzazione, sono sardi e molti di loro sassaresi. Scelta casuale o voluta? Hai pensato che questo potesse contribuire a dare merito alla bravura di tanti talenti isolani e che potessero trarne riconoscimento anche al di fuori dei confini regionali? Sembra che ci sia l’intenzione di promuovere il cinema sardo, tenendo conto anche del loro prezioso lavoro... In Sardegna ci sono tantissimi bravi artisti e tecnici. La scelta è stata abbastanza naturale. Di solito, la crescita della visibilità è proporzionale al peso della pressione che ne deriva: senti questo tipo di pressione da parte della critica cinematografica nel momento in cui termini un progetto e non sai che reazioni possa scatenare? Detto molto sinceramente, sono emozionato. Ma in fondo credo che nella vita ci siano cose più importanti di cui preoccuparsi. “Il secondo album è sempre più difficile nella carriera di un artista”, dice Caparezza in una sua celebre canzone. E il secondo film? Quando inizio un nuovo progetto ho Ho visto invece persone che distruggevano se stesse nei più impercettibili modi... sempre la sensazione di non avere imparato nulla dal precedente. Alla fine invece ti rendi conto che non è così e che il grado di difficoltà è sempre più elevato, perché tendi a pretendere sempre di più da te stesso. Nel lavorare alla seconda pellicola ti accorgi che fare un film, cioè raccontare la storia di un uomo, di una donna, di due o più persone, in meno di due ore, o in almeno due ore, è un’impresa terrificante. Quali sono le tue passioni, quelle di cui non potresti fare a meno e che ti fanno sentire vivo? In altri termini, il tuo pane quotidiano oltre al cinema? Ho un figlio di tre anni. Lui mi fa sentire più vivo che mai. ANTAS 51 approfodimenti Focus sport&musica La singolare attività inventata dal bassista del gruppo Getsemani DARIO MASALA Insegno a nuotare a ritmo di Swing ANTAS 52 ”Il metodo? Mi diverto a trascrivere ritmicamente le scelte tecniche di Rosolino, di Ian Thorpe, di Popov e di altri atleti. In pratica traduco le loro nuotate in ritmo e poi le riproduco”. Testo di Alessandra Ghiani foto di Sara Montalbano Una batteria da un lato, un basso dall’altro. E in mezzo una piscina. Dario Masala, col suo metodo Swim ‘n’ Swing, insegna a vincere la paura dell’acqua e a migliorare la tecnica natatoria a ritmo di swing, jazz e funk. In cosa consiste il metodo Swim ‘n’ Swing da te concepito? È un metodo che unisce due discipline: una artistica, la musica, e una sportiva, il nuoto. La musica, normalmente, è fonte di divertimento, ma nel mio metodo essa mira a raggiungere un Che tipo di persone frequenta le tue lezioni? Le mie lezioni sono frequentate in parte da persone che già praticavano uno sport ma, soprattutto, da coloro che sono interessati all’aspetto culturale del mio metodo. Si divertono a scoprire i segreti ritmici di un brano jazz suonato da Keith Jarrett, o di un basso suonato da Mark King; quando realizzano che c’è un nesso tra il ritmo musicale e il nuoto, la mente li trasporta in acqua e imparano a lasciarsi andare. L’acqua, infatti, sorregge se si è rilassati; se una persona non riesce in questo, non im- Come è stato accolto il tuo metodo quando l’hai presentato la prima volta? Diciamo che non c’è stata una vera presentazione ufficiale. Ho avuto la possibilità di parlare per centoventi secondi a una conferenza stampa indetta per presentare il Karel Music Expò, l’importante manifestazione culturale. Ho parlato del mio lavoro e in quei centoventi secondi è cambiato qualcosa. È stato l’aspetto culturale del metodo a suscitare interesse. Da quel momento i giornalisti mi hanno fatto tante domande, sono stato contattato dalle radio e da diverse testate regionali e nazionali. Alcune hanno ripreso la notizia fornita dall’Ansa, come La Gazzetta dello Sport. Stai applicando questo sistema già da qualche tempo. Facciamo un bilancio. Il bilancio è ottimo e più vado avanti, più i risultati mi danno ragione: il nuoto è ritmo e come tale va trattato. Non basta sapere che un nuotatore è più forte di un altro, perché non è solo merito della forza fisica, ma anche della sua espressione ritmica. Dico sempre ai miei allievi: «Pensate in grande, guardate gli atleti, osservate i loro ritmi». Questa è l’essenza del mio metodo. Quali sono i brani che consideri fondamentali per le tue lezioni? Seven days di Sting, Man dei Level 42, 53 Si divertono a scoprire i segreti ritmici di un brano jazz suonato da Keith Jarrett, o di un basso suonato da Mark King; quando realizzano che c’è un nesso tra il ritmo musicale e il nuoto, la mente li trasporta in acqua e imparano a lasciarsi andare. L’unione tra musica e nuoto esiste da tempo, come nel caso del nuoto sincronizzato. Come ti è venuta l’idea di usare la musica non coreograficamente, ma per vincere la paura dell’acqua? Quando a Roma studiavo il basso con Massimo Moriconi, ho assistito a delle lezioni di batteria. Mi ha colpito l’indipendenza ritmica tipica del batterista, che deve concentrarsi sul ritmo e muovere contemporaneamente gli arti. Lo stesso fanno i nuotatori: devono muovere tutti gli arti e respirare. Il batterista si divide in quattro, il nuotatore si divide in due o in quattro a seconda dello stile che pratica. Ma la vera scintilla è nata dalle parole di un allenatore austriaco incontrato a Ozieri durante uno stage: «Il nuoto è prima di tutto ritmo». Questa frase mi colpì tantissimo e, conoscendo il ritmo anche dal punto di vista strettamente tecnico, ho potuto associarlo al nuoto. para a nuotare. Uno dei miei obiettivi è di insegnare a non avere paura dell’acqua. Ho un background tradizionale che ovviamente non rinnego, però quando nuoto mi sento un bassista e ai miei allievi cerco di trasmettere questo. Sono più artisti che sportivi ma, mentre apprendono o approfondiscono le competenze musicali, fanno attività fisica. Dopo sei mesi sanno chi sono Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Miles Davis e, nel contempo, il loro corpo trae beneficio dal nuoto. Inoltre il mio metodo è adatto a tutte le età. In genere si ritiene che chi comincia a nuotare da adulto sia condannato a una nuotata standard. Io invece sono convinto che si possa esprimere una nuotata esteticamente apprezzabile anche in età adulta, partendo da principi che sono legati all’intenzione ritmica degli stili musicali, swing e funk in particolar modo. ANTAS determinato comportamento motorio, grazie alle formule ritmiche contenute nei pattern musicali di batteristi e bassisti. Sono un musicista e un ex atleta, quindi per me è stato quasi naturale unire le due discipline: io, letteralmente, suono ciò che nuoto e nuoto ciò che suono. Mi diverto a trascrivere ritmicamente le scelte tecniche di Rosolino, di Ian Thorpe, di Popov e di altri atleti. In pratica traduco le loro nuotate in ritmo e poi le riproduco. È un metodo puramente matematico, in cui la musica abdica al ruolo di mero intrattenimento per trasmettere, come un’onda, le sue vibrazioni ritmiche in funzione di un obiettivo specifico: insegnare il nuoto. Aras 24 dei Getsemani , Waltz for Debby di Bill Evans, I’m tweaked di Vinnie Colaiuta. È capitato che uno dei tuoi allievi decidesse di imparare a suonare uno strumento dopo aver seguito le tue lezioni? L’attività è ancora troppo giovane per questo, è partita a settembre. Però ho degli allievi che già suonano e che hanno imparato a nuotare attraverso le note del loro strumento. Nel mio metodo la musica non è mai fine a se stessa, è un mezzo per raggiungere un obiettivo: imparare a nuotare. ANTAS 54 Il metodo Swim ‘n’ Swing subirà delle evoluzioni? Se sì, quali sono i tuoi progetti per il futuro? Mi piacerebbe insegnare il nuoto ai non vedenti usando il suono. Io non ho bisogno di guardare i miei allievi per capire se stanno nuotando bene: ascolto il loro ritmo e capisco dove stanno sbagliando. Quindi i non vedenti pos- Il bassista dei Getsemani Dario Masala. sono tranquillamente imparare a nuotare con questo metodo. Dal punto di vista pratico, invece, mi piacerebbe poter fare lezione in vasche tecnologicamente adatte al Swim ‘n’ Swing, magari realizzando un modello da esportare nel mondo. Oggi lavoro con la batteria a un capo della vasca e il basso all’altro capo. Le lezioni però iniziano in palestra, dove insegno le basi del ritmo. Spero, in futuro, di poter trasformare quelle che definisco “aule acquatiche”, in modo da renderle in tutto e per tutto funzionali all’insegnamento del mio metodo. Questo sarà possibile soprattutto se incontrerò ancora persone con un pizzico di lucida follia, come Edoardo Piras, ad esempio, a cui devo un sincero ringraziamento per avermi dato l’opportunità di insegnare nella piscina del Centro Sportivo University a Quartu Sant’Elena, e per aver creduto, fin da subito, nella bontà del metodo Swim ‘n’ Swing. sfumature sonore SVM TRIO Tre giovani jazzisti sardi incantano a UMBRIA JAZZ (La pietra dell’elefante, Linea Laterale e Quiet), originariamente composti dai singoli musicisti, ma arrangiati e armonizzati per avere un suono comune. Andrea ci ha detto che a un certo punto si era persino dimenticato di questo concorso e quando la giuria (composta tra gli altri da Renzo Arbore, Giovanni Guidi, Luca Conti e altri addetti del settore) ha comunicato loro che avevano superato la selezione, non riusciva a crederci: tra l’altro, erano gli unici sardi. Da quel momento è arrivata la parte più impegnativa, fatta di lunghe sedute di prove, di studio e di conoscenza reciproca, per arrivare in Umbria con un suono coeso e preciso. Così sono riusciti a proporre un repertorio di 10 brani per circa un’ora di concerto, che si è tenuto il 14 Luglio nei Giardini Carducci nel centro storico di Perugia, uno spazio dedicato ad artisti emergenti, a nuove proposte di diversa natura e provenienza. Andrea mi ha confermato che la serata è andata benissimo nonostante la pioggia che è Ci piace suonare rock, jazz, blues, funky... scesa per tutta la mattina e il pomeriggi: la sera, alle 22, tutto è filato liscio e il trio ha potuto proporre la sua musica, fatta di diverse matrici che vanno dal jazz, al funk, al rock e altre storie musical,i ottenendo un ottimo riscontro da parte del numeroso pubblico presente. «Siamo musicisti aperti a tutte le influenze. Ci piace suonare rock, jazz, blues, funky. Insomma, non siamo dei jazzisti puri, ma ci piace guardarci intorno. Questa è la nostra proposta» Il Trio si ispira alle nuove correnti del jazz americano contemporaneo, a musicisti come Tigran Hamasyan, Robert Glasper e tanti altri che amano suonare senza limiti e senza rinchiudersi in gabbie di genere». D’altronde, se andiamo a controllare la tabella di marcia di questi tre giovani artisti, troviamo studi accademici importanti, ma anche esibizioni live con gruppi sempre diversi e con proposte nuove e variegate. «Sarebbe un peccato mollare adesso - dice Andrea - e quindi stiamo continuando a provare e a comporre. Contiamo di finire in breve tempo la masterizzazione dei 10 brani che andranno a finire in un cd». Proprio una bella storia, fatta di musica, motivazioni, fiducia nei propri mezzi, sacrifici, passione. ANTAS SVM Trio, ovvero le iniziali dei cognomi di Andrea Sanna, Nicola Vacca e Mauro Medde: una bella storia di musica e intraprendenza. La bella storia è la partecipazione del gruppo all’edizione 2014 di Umbria Jazz grazie al Conad Jazz Contest, concorso riservato a musicisti emergenti ai quali è stata data la possibilità di esibirsi durante il festival umbro, nello spazio allestito a Perugia nel Parco Giardini Carducci. Andrea Sanna (pianoforte e tastiere) e Mauro Medde (basso) si sono conosciuti e frequentati al tempo degli studi al Conservatorio di Cagliari, Nicola Vacca, il batterista, viene da una famiglia famosa nel Medio Campidano per sfornare musicisti da diverse generazioni (dal padre Franco al fratello Stefano, altro batterista di valore) e spesso hanno incrociato le loro strade fino alla creazione del trio SVM. Per capire meglio come è andata abbiamo parlato con Andrea Sanna, il tastierista, che ci ha raccontato alcuni risvolti di questa esperienza. Il concorso prevedeva la partecipazione di musicisti singoli o gruppi attraverso la presentazione di tre brani (originali o standard). Da qui la decisione di partecipare al contest, pur senza grandi aspettative, con tre brani originali 55 testo di Claudio Loi sfumature sonore Universi scuri. Yomi, il nuovo disco dei THANK U FOR SMOKING ANTAS 56 testo di Diego Pani foto e cover Nicola Olla www.blacktoothcollective.com I Thank U for Smoking lavorano alla costruzione del proprio suono dal 2009. Aurora Atzeni (chitarra e voce), Valerio Marras (chitarre, effetti) e Matteo Mereu (batteria) si sono incontrati a Cagliari, ed in questa città hanno maturato il bisogno di costruire un progetto musicale alquanto singolare, che sembra, ad un orecchio esterno, in continuo divenire, quasi come un percorso a tappe, che muta a seconda del tempo e del luogo d’esecuzione. Un trio di chitarre e batteria costruisce un interessante ibrido di suoni post-rock e suggestioni maggiormente sperimentali, che si ammantano di volta in volta d’influenze diverse, dall’ambient music fino al doom. Al costrutto puramente strumentale s’innesta la presenza eterea della voce, spettrale, che attraversa i brani dei TUFS legandosi prepotentemente alle melodie costruite dalle chitarre. Il “divenire” dei Thank U For Smoking ha portato in questi anni alla produzione di tre dischi: dopo un Ep d’esordio e il fortunato Dopo la Quiete, dato alle stampe in coppia con la sonorizzazione del documentario Island (prodotto dalla sarda Quadratino Pericoloso), è arrivato il momento del terzo capitolo discografico, uscito pochi mesi fa ed intitolato Yomi. Ho incontrato Valerio, chitarrista della band, a cui ho chiesto di introdurmi il mondo sonoro celato dietro l’ultima produzione del trio. Yomi è un disco gonfio di chitarre distorte e batterie a tratti molto violente. Ma, più di tutto, è secondo me un disco “scuro”. Ne convieni? Sono d’accordo nel definire Yomi come un disco scuro, ansioso: tutto gira intorno al concetto di tempo. Dal tempo che c’è voluto per realizzare il disco, al cambiamento delle nostre esistenze in questi anni, fino al tempo che ci è servito per portare il disco in giro con i concerti. Yomi ha avuto una gestazione molto differente rispetto a Dopo la Quiete, maggiormente legato a una fase compositiva forte delle prime esperienze dal vivo e di un lavoro di scrittura andato avanti per anni. Yomi è stato invece scritto tra un tour italiano e l’altro, in un periodo di densissima attività, ed è stato chiuso, a livello compositivo, in soli due mesi. Anche il processo di registrazione è stato molto veloce, proprio perché il concetto di “tempo” inseguiva il nostro lavoro: dovevamo far uscire questo disco a due anni di distanza da Dopo la quiete. Così è stato. Cos’è successo in questi ultimi due anni? Ci siamo tolti parecchie soddisfazioni. Siamo riusciti a far arrivare la nostra musica alle varie latitudini della Penisola, uscendo dalla Sardegna con frequenza. L’attività live ha portato a una maggiore consapevolezza del suono, che come noterai, è diventato più potente, ancora più gonfio di distorsioni e feedback, ma allo stesso tempo sempre più etereo. Il sudore sul palco ci ha portato a una ridefinizione del nostro stesso suono: abbiamo spinto all’estremo quello che era stato appena accennato nei precedenti dischi. C’è stato un approccio compositivo che più di altri ha denotato il disco? Sicuramente il trattamento della voce. Abbiamo cercato di costruire delle linee vocali il più possibile, come detto, eteree. Dovevano muoversi insieme alle parti strumentali in perfetta simbiosi, in compenetrazione totale tra cantato, chitarre e batterie. Penso che in questo senso il disco sia pienamente riuscito. In generale volevamo incattivire i suoni: la batteria è ora molto più violenta, spicca in maniera notevole rispetto al passato, e allo stesso modo le distorsioni sono state portate ancora di più verso la saturazione. Questo emisfero maggiormente violento è, però, sempre contrapposto all’altra sfera esecutiva propria dei TUFS: quella contraddistinta da suoni puliti, delay lunghi, dilatazioni temporali, che giocano un ruolo fondamentale in merito ad un gioco d’incastri con le punte più “rocciose” del nostro suono. L’effetto finale è appunto quello stato di cupezza, di oscuramento. Se dovessi definire i TUFS adesso, parlerei di una band che è riuscita a produrre un disco di cui si sente pienamente soddisfatta. I processi di registrazione e missaggio del disco sono stati suddivisi in diversi studi, dalla Sardegna a Roma. Come mai una simile scelta? Abbiamo cominciato dalla batteria. Esigenze artistiche precise ci hanno portato ad affidarci all’Audio Voltage Studio di Pier Giorgio Boi, a Settimo San Pietro (Ca). Per quanto riguarda le chitarre abbiamo invece Fin dal vostro esordio siete impegnati nella piena gestione della band: dal booking alla produzione dei dischi, tutto è curato in prima persona. Come avete affrontato la produzione di Yomi? Il nostro terzo disco è anche la nostra terza autoproduzione. C’erano delle etichette interessate a lavorare con noi, ma ci chiedevano di aspettare tempi di produzione che non volevamo rispettare. Il disco doveva uscire in tempo per Avete comunque accanto un grappolo di personalità esterne alla band che si rivelano centrali per la produzione dei vostri dischi… Negli anni agli sforzi della band si sono unite parecchie professionalità che hanno aiutato non poco il cammino dei TUFS. In questo senso Nicola Olla di Blacktooth Collective lavora a tutto ciò che riguarda l’aspetto visuale della band, dalle copertine dei dischi, ai poster dei tour, fino al merchandising. Ci siamo avvicinati a lui dai tempi di gestazione di Dopo la Quiete; il suo stile si è subito rivelato perfetto per il nostro immaginario. Per Yomi gli è bastato ascoltare qualche volta i brani del disco ancora in lavorazione per concepire un artwork che secondo me rappresenta al 100% il contenuto sonoro del disco. Copertina del Cd Yomi L’uscita del nuovo disco è stata accompagnata dal vostro primo tour europeo. Che cosa ha significato per voi questa esperienza? Siamo riusciti a produrre il disco e subito dopo partire per il tour europeo, bypassando tutte le normali trafile che vedono il tour nazionale come prima campagna di promozione da cui partire quando c’è da presentare un nuovo prodotto. Abbiamo fatto quattro date in Sardegna, dopodiché siamo partiti per due settimane, alla volta di sei nazioni diverse. La nostra normale attività si concentrava normalmente nella strutturazione di mini tour in giro per lo stivale dove, partendo il mercoledì e tornando la domenica, suonavamo serie di quattro, cinque date per volta. Il tour europeo ci ha messo davanti una gran quantità di date consecutive, in posti diversissimi tra loro. Passare dall’esibirti in Svizzera e Germania, arrivando poi all’Ungheria o alla Slovenia, è un’esperienza altamente formante, che difficilmente dimentichi. C’è un concerto o un momento che ricordi come particolarmente importante per la band? Non riesco a trovare una data in particolare. Ti posso dire che le emozioni più grandi le senti la prima volta che calchi grandi palchi, la prima volta che prendi la nave per varcare i confini isolani con la tua musica; ancora, la prima volta in cui attraversi la frontiera per cominciare un tour. Queste sono forse le tappe di un percorso fatto di alti e bassi, che nella sua totalità ti fa essere fiero della strada che hai battuto. Siamo partiti nel 2009 come progetto d’improvvisazione; siamo andati avanti con la stessa formazione fino ad ora, producendo brani su brani e suonando dappertutto, in Italia e all’estero. Questo è quello che vogliamo fare, il percorso su cui vogliamo camminare: con l’autunno arriverà un altro tour nazionale, contraddistinto dalla partecipazione ad un prestigioso festival italiano, mentre in inverno verrà invece un secondo tour europeo, e via così. L’aspetto più importante rimane quello del percorso, il tempo che scorre mentre noi suoniamo la nostra musica. 57 Yomi ospita, nel brano π, un musicista italiano di fama internazionale: il sassofonista Luca T. Mai degli Zu/Mombu. Com’è nata questa collaborazione? Abbiamo conosciuto Luca quando era in tour in Sardegna con i Mombu, cui abbiamo fatto da opener per una manciata di date. Ci siamo confrontati su dischi, band, passione per la musica: ne è nata una profonda amicizia e stima, che dura ormai da parecchio tempo. Lavorando a Yomi abbiamo notato come π rispecchiasse tutta una serie di peculiarità proprie dell’universo sonoro legato alla produzione musicale di Luca, i cui gruppi sono da sempre una profonda ispirazione per tutti noi. Da questo, ci è venuto quasi naturale chiedere il suo apporto alla traccia. Con il suo sassofono ha completamente stravolto il brano, lavorando però come ci aspettavamo, grazie a quelle particolari scelte espressivo-stilistiche che in questi anni hanno fatto grande il suo strumento. il tour, a due anni di distanza dal precedente, così come avevamo progettato. Abbiamo lavorato per l’ennesima volta alla completa organizzazione economica e logistica della produzione e della promozione del disco, avvalendoci di un’unica collaborazione esterna: quella dell’ufficio stampa Narcotica, che in questi mesi ci ha aiutato nella promozione dei disco sui magazine web e sulla carta stampata nazionale. Autoprodursi è faticoso, ma molto soddisfacente. Ogni singolo millimetro del disco rappresenta uno sforzo, un impegno preciso. Il disco diventa così ancor più personale, sempre più tuo. ANTAS fatto ricorso al Sonusville di William Cuccu, a Siliqua (Ca): lì avevamo già registrato interamente il precedente disco, e sapevamo di poter trovare sia requisiti tecnici che i presupposti umani (da non sottovalutare) di cui avevamo bisogno per completare Yomi in assoluta serenità. Con William Cuccu abbiamo registrato le chitarre, i bassi, la voce, e sempre con lui abbiamo fatto un primo mixaggio che è stato successivamente spedito all’Hombre Lobo di Valerio Fisik, a Roma. Qui è stato invece eseguito tutto il lavoro di mixaggio e master, che ci ha lasciato piacevolmente sorpresi. Pur lavorando a distanza, la professionalità di Valerio Fisik ha fatto sì che si raggiungesse un risultato ottimale fin dalle prime prove di mix. recensione dischi 4 NOTE IN LIBERTÀ con Francesco Piu Francesco Piu | Live at Bloom | 2014 | Groove Company A poco più di due anni dall’ultimo disco in studio Ma-moo Tones, che lo aveva visto avvalersi della produzione artistica della leggenda blues internazionale Eric Bibb, il bluesman osilese Francesco Piu licenzia un nuovo disco live, inanellando un’altra gemma in una ormai copiosa discografia che, oltre il già citato Ma-moo Tones (2012), comprende la prima prova Blues Journey (2007) e un altro disco dal vivo, Live at Amigdala Theatre (2010). Live at Bloom è stato registrato il 20 marzo 2014 al Bloom di Mezzago, locale storico in cui più volte il bluesman si è trovato ad esibirsi nel corso della sua fortunata carriera. Live at Bloom è il tuo quarto disco e il secondo dal vivo. Quanto è importante per te riuscire a catturare su Cd l’esperienza live? È importante perché il live è un momento magico: l’energia di chi suona si miscela all’energia di chi ascolta e partecipa attivamente alla riuscita del concerto. Perciò il disco dal vivo fotografa un momento del tour, va a documentare una particolare occasione in cui la musica viene condivisa. ANTAS 58 Dall’ascolto del disco emerge una dimensione maggiormente elettrica della tua musica rispetto alle prove precedenti. Ci dobbiamo abituare ad Electric Frank? Mi ritengo un bluesman moderno, che rispetta la tradizione ma guarda sempre avanti, miscela e sperimenta. Dopo dieci anni di sonorità acustiche ho voluto rispolverare i suoni dai quali son partito, quelli elettrici, che strizzano l’occhio al rock blues. In collaborazione col mio liutaio ho ideato una chitarra ibrida: due corde di basso e quattro di chitarra, con due segnali separati. Questo mi consente di portare la tecnica fingerstyle acquisita sulla chitarra acustica nel mondo elettrico, con l’aggiunta però di una vera e propria linea di basso. In più ho rispolverato la mitica Gibson “Diavoletto”, che uso collegata contemporaneamente all’amplificatore di basso e a quello della chitarra. Aumento così la potenza sonora e, di conseguenza, tutta la componente rock’n’roll dello show. Non lascio però a casa le sonorità usate sinora: nella scaletta c’è sempre spazio per dobro, acustica e weissenborn, parti fondamentali della mia anima chitarristica. I miei live sono comunque un continuo work in progress. Ora la bilancia pende sulla dimensione elettrica, domani chissà... Sei costantemente in tour, dall’Italia alla Francia, fino agli Stati Uniti, al Nord Europa, al Canada. C’è un palco a cui sei più legato di altri? Sicuramente ogni esperienza all’estero ha portato insegnamenti e crescite notevoli in me e nella mia musica. L’esperienza in USA mi ha cambiato la vita, suonare a El Mocambo di Toronto è stato un sogno, ma un pubblico al quale mi sento particolarmente legato è sicuramente quello francese, caloroso ed educato allo stesso tempo, che ha grande rispetto per la musica e per il musicista. Cosa prepari per il futuro? Stai già lavorando al seguito di Ma-moo Tones? Pian piano sto lavorando a dei provini per il prossimo album in studio. Ho delle bozze tutte da sviluppare e da riprendere alla fine del tour estivo. Vediamo un po’ cosa ne verrà fuori. Live at Bloom si compone di dodici brani in cui ci viene facile riconoscere quelle peculiarità esecutive che in questi anni hanno denotato il suono di Francesco Piu. La pulizia della tecnica fingerstyle, il richiamo ai passaggi melodici di matrice delta blues, una emissione vocale sempre più vicina al suono soul degli anni ’70. Allo stesso tempo, scorrendo tra le tracce di questo disco edito da Groove Company (management che da anni segue l’artista), si delinea davanti all’ascoltatore una nuova colorazione dell’anima blues del musicista osilese, stavolta maggiormente elettrica, in alcuni casi al confine tra blues e rock. I suoni distorti introducono un’inedita sfaccettatura al sound di Francesco Piu, che sembra calzargli a pennello; merito anche dell’ottimo lavoro fatto dietro le pelli dal batterista Pablo Leoni, motore ritmico del disco, impegnato nella stesura di un tappeto percussivo che incide fortemente sul carattere dei brani, soprattutto in quelli maggiormente elettrici. La tracklist è pensata per descrivere al meglio un concerto di Francesco Piu e si alterna tra brani scritti di proprio pugno dal bluesman come Down on my knees e Over You (contenute nel precedente disco Ma-moo Tones) e classici del genere come Motherless Child, Jesus on the Mainline o Trouble so Hard. Dodici tracce in bilico tra meditazione acustica e irruenza elettrica, tra shouting e riverberi, ancora una volta, nel nome del blues. Diego Pani recensione dischi Michele Sai Il “falso centro” degli Entity inizia a volteggiare nell’aria e la mente corre al Progressive: agli Emerson, Lake & Palmer, certo, ai King Crimson, agli Yes, ma c’è qualcosa di magico e originale in questo disco splendido che è il primo vero lavoro della band. È la ricerca quasi spasmodica di una forma musicale omogenea ma aperta alle contaminazioni, policromatica: un volteggiare di variegate atmosfere che ti catturano al primo ascolto. Gli Entity (Mauro Mulas tastiere, Gigi Longu basso e chitarra, Marco Panzino batteria, Marcello Mulas chitarre, Sergio Calafiura voce) sposano l’idea del concept-album, con testi mai banali e una costruzione dei singoli brani talmente accurata da rimandare alla sceneggiatura di un film. Un’architrave sonora dove non c’è spazio per alcuna forma di cedimento, ma sola tanta buona musica. Davanti allo specchio, che apre il lavoro discografico, ne è la riprova: virtuosismi melodici di gran classe che preparano il terreno alla lunghissima suite Il Desiderio, sedici minuti di sopraffina musica prog-rock che volteggia innervata da virtuosismi artistici di classe cristallina. Ci sanno fare gli Entity e questo brano, da solo, merita l’acquisto dell’album; ma anche Il Tempo non fa calare l’intensità del sound: una song particolarissima, come Il Trip dell’Ego e la successiva ANT. Molto ben strutturati anche il brano L’armatura, strapieno d’inventiva, e la conclusiva La notte oscura dell’anima. Per quanto mi riguarda, visto il mio dichiarato amore per il progressive, questo disco (che peraltro sta girando il mondo ottenendo lusinghiere recensioni) è caldamente consigliato. E attendo con curiosità il secondo lavoro. Pierpaolo Fadda TERRORWAY Blackwaters 2013 – Bakerteam Records Genere: Modern metal Una potenza terrificante. Adrenalina che vola via a dosi massicce, un’energia sonora travolgente e senza compromessi. Blackwaters, album d’esordio dei Terrorway di San Gavino (band formatasi nel 2009 con all’attivo il bellissimo Ep Absolute) è un pugno nello stomaco: modern metal estremo, riff potenti come un rombo di tuono, lapilli di un’eruzione sonora che sarà difficile scordare dopo il primo ascolto. Valentino “Sidh” Casarotti (voce), Ivan Fois (chitarra), Giovanni Serra (basso), Cosma Secchi (batteria) formano un quartetto davvero ben assortito: la voce di Valentino Casarotti è superba, l’ugola volteggia con invidiabile potenza, ma l’intera sezione ritmica è sorretta da una formidabile qualità: vibrante, imperiosa, tumultuosa. E che dire dei riff chitarristici dell’estroso Ivan Fois? Una scossa ad alta tensione! Lo dimostra l’iniziale Wretched, prima misteriosa, poi sorretta da un portentoso accompagnamento musicale della batteria, che esplode in un micidiale cocktail di riff chitarristici che paiono mitragliate. Superba esattamente come la title track Blackwaters, groove metal, una delle song meglio riuscite di un album assolutamente imperdibile per gli appassionati del genere. Lo dimostrano anche In a Swamp, Keep Walking Silent, The Inescapable Plot (terrificante il suo impatto) e Chained. Siamo a tre quarti del disco e il terremoto sonoro deve produrre ancora tre violente scosse: Renewal, A Cursed Race, e la conclusiva, splendida Ruins. Un piccolo capolavoro, dove i quattro danno una dimostrazione di grande affiatamento, ottima tecnica e grande creatività. Un disco d’esordio che gli amanti del metal estremo e moderno non devono assolutamente lasciarsi sfuggire. Bravi, bravissimi Terrorway. Pierpaolo Fadda 59 Sono trascorsi tanti anni da quando due ragazzini delle scuole medie salirono in cattedra per eseguire davanti a un severo professore un brano a due flauti. Scelto lo spartito lo eseguirono, beccandosi un sonante 10… E da quel momento non furono più interrogati! Uno di loro era Antonio Saba, che all’epoca aveva già scoperto i Black Sabbath, Jimi Hendrix, John Mayall e i Pink Floyd. Da lì la sua prima chitarra elettrica: ricordo in particolare una Gerson che - scommetto - è ancora in camera sua! A seguire negli anni l’instancabile ricerca tra Rock, Blues e Jazz, Fusion e New Age, con l’apporto di quella linfa della quale un musicista ha assoluta necessità : il groove! Otto non è una raccolta di brani musicali: è la condensazione di emozioni, del modo di pensare in musica. Nell’attimo in cui Antonio sonorizza le sue sensazioni e materializza le sue percezioni musicali ci regala discorsi che le parole non potrebbero mai esprimere, per raccontare, spiegare, fissare e immortalare immagini, percorsi, e sentieri intrapresi dall’animo. Il coinvolgente brano Fleeting Dreams apre l’album: instancabilmente mi diverto a seguirne le evoluzioni nel mio vecchio e fedele stereo. Si prosegue con On The Highway, splendido viaggio a due ruote attraverso un roccioso paesaggio musicale, per approdare a Number Eight, che dà il nome al cd. The Meet è l’emozione di un incontro, dall’attesa allo splendido sviluppo del discorso musicale. L’intensa preghiera in dialetto senegalese Wolof Prayer, cantata da Ibra, è dedicata al disastro di fine 2013 di Olbia. Poi ancora Mr PaM, bellissima ballata ricca di contenuti e di pensieri, e Drunks, dove le evoluzioni chitarristiche aprono la porta a temi musicalmente inebrianti. Dopo Psycho Blues si arriva alla meditabonda Free Soul, un’aria New Age che accompagna i pensieri attraverso ampi spazi in cui cavalcare la fantasia e lasciarsi trasportare. Over The Night chiude il lavoro e ci accompagna nei sogni più imprevedibili. Otto è già posizionato nel mobiletto dei miei cd preferiti. ENTITY Il falso centro 2013 – Lizard Records Genere: Progressive ANTAS ANTONIO SABA Otto Autoprodotto Genere: Rock - Fusion- New Age Elettronica - Progressive recensione dischi NIERA ANTAS 60 Niera Menhir Records - Alghero Genere: Pop Rock Tra le tante novità del panorama musicale isolano imperdibile è l’uscita dell’album di esordio dei NIERA, band fresca e attuale che ha come strumento principale quello della lingua sarda, esaltata e valorizzata nei testi e nelle melodie. Non vi aspettate di ritrovare richiami agli strumenti tipici dell’Isola: il progetto di Salvatore Chessa (guitar), Alessandro Damini (guitar), Angelo Pinna e Antonio Faedda (tastiere e synt.), Alberto Santoru (drum), Antonio Doro (bass) e Luca Mascia va ben oltre e vuole superare le barriere del tempo e dello spazio, ricercando sonorità originali e mai scontate. Il genere è un pop-rock ricercato e raffinato, che porta in sé influenze e importanti apporti di respiro internazionale, rivisitati e resi unici. L’album è composto da 10 songs: No est Fatzile, la prima di questo preziosissimo lavoro, racchiude in sé un po’ tutto il senso del “racconto” che attraverso l’ascolto, brano dopo brano, viene rivelato. Un racconto tessuto su una trama a tratti ancestrale, con richiami alla mitologia sarda come in Jana, dove musica e testo ci fanno immergere in un mondo antico, fatato ma ancora presente, dove le ombre e la paura dell’ignoto incutono ancora timore (Umbras) per poi riportarci con estrema maestria verso il presente, accompagnando l’evolversi della tessitura con note a tratti dolci e pacate come in Dansana, dove riecheggiano lo stupore e la meraviglia dei bambini da riscoprire e con note a tratti più dure e schiette, con riflessioni importanti e di estrema attualità (Vida ti cheria e Die). Ma non mancano anche excursus eleganti e geniali ispirati allo stile ”bossanoviano” che accompagnano un delicato messaggio d’amore di una madre verso un figlio, come in Amore e anima. L’ultimo pezzo, Lughe de triulas, chiude l’album e il racconto che a tratti parla di un amore complicato a tratti semplicemente della vita in generale, lasciando aperta la porta per una prossima ed entusiasmante storia da narrare. C’è un velo di malinconia che viene spazzato via dalla voglia di riscatto e dalla speranza che emerge per tutto il percorso, arricchito e valorizzato dalla magistrale interpretazione vocale di Luca Mascia. I testi sono di Salvatore Chessa e Alessandro Damini, mentre gli arrangiamenti musicali sono frutto di accurata ricerca e sperimentazione di tutti gli altri componenti. L’album è prodotto dalla Menhir Records, nuova e giovane etichetta discografica di Alghero che porta avanti un progetto incentrato proprio sul sardo e le sue diverse vesti musicali,mirato alla sua esportazione oltre i confini dell’Isola. Mary Manghina PLASMA EXPANDER Live3 Wallace Records - 2014 Genere: Noise, indie Rock I Plasma Expander arrivano alla quarta uscita discografica e ci sembra giusto fare un po’ di ripasso. Nati nel 2005 per opera del chitarrista Fabio Cerina (reduce dall’esperienza dei Bron y Aur) esordiscono nel 2007 con un cd che porta il titolo della band e che include Stefano Podda alla chitarra baritono e Andrea Siddu alla batteria. Il disco non passa inosservato grazie alla potente miscela di rock grezzo, psicotico, ipnotico, che fa riferimento alla vecchia scuola kraut e alle nuove sorgenti noise americane. Nel 2009 arriva Kimidanzeigen (in cd e vinile), con Marcello Pisanu che sostituisce Stefano Podda: disco della maturità che esplora nuove lande sonore e rende riconoscibile il sound del gruppo, grazie anche ad un’intensa attività live maturata in questi anni. Nel 2012 arriva Cube (o Plasma Expander3), un vinile con quattro tracce inedite e la presenza di Corrado Loi al posto di Pisanu. Ospite d’onore Simon Balestrazzi, che fornisce la sua immensa esperienza musicale e la giusta dose di rumore. Eccoci quindi al nuovo cd, chiamato semplicemente Live3 (o meglio Live Cube), registrato a Cagliari alla fine del 2013 dal vivo in studio, senza sovraincisioni e maneggiamenti postumi, contenente quattro versioni live di brani già editi e una traccia inedita, Otra Vez, che è una sorta di anticipazione per un progetto che dovrebbe vedere la luce a breve termine. Un disco che conferma la grande compattezza della band (che sembra abbia trovato la sua definitiva struttura) e soprattutto la sua vera forza, che è quella dell’esibizione dal vivo. I live dei Plasma (caratterizzati dall’originale presenza scenica, con i musicisti vestiti con divise ospedaliere verdi e mascherine antibatteriche) sono eventi unici e irripetibili e sembrano spesso sedute di meditazione extrasensoriale, prolungate iterazioni sonore dove i brani vengono sezionati, ripensati e rivisti grazie a massicce dosi di improvvisazione, che avvicinano questa band a certe esperienze di improjazz. Il senso di Live3 è proprio questo: restituire in studio la grande energia live e lasciare aperte nuove strade da percorrere. Missione compiuta. Claudio Loi INFINITA QUARTET Time Continuum CD Satnamusic - 2013 - Genere: Jazz Basta uno sguardo veloce ai protagonisti di questo quintetto sardo-finlandese per capire che cosa ci aspetta. Infinita è composto dal finlandese Tero Saarti alla tromba, già membro della prestigiosa UMO (Uuden Musiikin Orkesteri) Jazz Orchestra, dal tedesco (ma naturalizzato finlandese) Sid Hille al piano, uno dei più importanti jazzisti del nord Europa con oltre 30 anni di esperienza e numerose incisioni discografiche e poi dal terzetto sardo che comprende Massimo Carboni al sax, Gianni Filindeu alla batteria e Paolo Spanu al basso: tutti musicisti del giro dell’Orchestra Jazz della Sardegna di Sassari e di diverse formazioni (tra cui il Woodstore Quintet). Citiamo anche l’apporto non marginale di Jan Erik Kongshaug in fase di missaggio a Oslo, uno dei principali interpreti del suono ECM che in qualche modo ritroviamo anche in questo disco. Il progetto nasce nel 2008 in occasione del concorso biennale “Scrivere in Jazz”, organizzato dall’associazione sassarese Blue Note Orchestra, quando Massimo Carboni e Sid Hille (vincitore di quell’edizione del concorso per la Sezione B, composizioni originali e libere con il brano Tango morbido y cinico) si conoscono e capiscono di avere molte cose in comune; soprattutto il jazz e la sua capacità di fondere linguaggi diversi e di riuscire a dialogare su un terreno comune, come viene spiegato anche nel cd: “Il quintetto italo-finnico Infinita cerca di infrangere i limiti di tempo e spazio integrando concetti di diverse tradizioni europee e aree musicali”. Nelle 11 tracce dell’album (tutte originali, tranne una versione di Strawberry Fields Forever di Lennon/McCartney) troviamo tutte queste peculiarità: l’integrazione perfetta di culture geografiche differenti e apparentemente lontane come quelle sarde e finlandesi e anche stili e scuole musicali di diversa estrazione. Il miracolo è proprio questo e il risultato finale è eccellente con un suono pulito e levigato, discreto ed elegante, una grande sensibilità artistica e una tecnica ineccepibile. La cosa fantastica è che si riescano a percepire perfettamente le diverse anime dei musicisti, pur nella loro perfetta coesione stilistica. Ma questo è il jazz. Claudio Loi CLAUDIA ZEDDA L’amuleto Anno 2014 Casa Editrice Condaghes EURO 13,00 Claudia Zedda è una giovane cagliaritana con una laurea in Lettere Moderne e una grande passione per la riscoperta delle tradizioni sarde. Collabora in qualità di scrittrice freelance con la stampa regionale e nazionale e lavora come web content specialist. Nel 2009 ha pubblicato il suo primo saggio, L’Amuleto è un romanzo che si legge tutto d’un fiato, ambientato in un paese della Sardegna di cui non conosciamo il nome, ma di cui riconosciamo i paesaggi, i colori e i profumi. Un luogo dove il tempo sembra essersi fermato, per consentire alle antiche tradizioni di mantenersi ben vive e ispirare la vita di chi lo abita. I fatti narrati si rincorrono nel tempo grazie a preziose incursioni nel passato, attraverso sogni, ricordi e testimonianze scritte. Virginia, la protagonista, e tutte le altre donne della famiglia Tanca, ci accompagnano in un viaggio fatto di folklore, indissolubili legami familiari e amicizia, guidato dalla ricerca costante delle radici, base indissolubile per costruire un futuro più sereno e consapevole. Il tutto è condito da affascinanti elementi di mistero. Un libro assolutamente da consigliare. (Deborah Succa) recensioni libri Creature Fantastiche in Sardegna e nel 2011 il secondo, Est Antigòriu. L’abbiamo incontrata per parlare del suo primo romanzo, L’Amuleto. No, non direi: l’uno è stato prosecuzione logica dell’altro. Il saggio è stato lavoro di raccolta, il romanzo di sperimentazione, giacché mi domandavo se sarei stata in grado di scriverne uno. Capitolo dopo capitolo ho socializzato con gli ambienti e i personaggi e mi sono domandata perché mai avessi aspettato 30 anni a cimentarmi in questa impresa. Quanto credi sia importante per i giovani conoscere e tramandare le tradizioni? Se noi fossimo alberi, le tradizioni sarebbero le nostre radici. Reputo siano in grado di raccontarci qualcosa in più su noi stessi, possano creare affiatamento fra i sardi e stima per la nostra terra, che è bella, bella di una bellezza acerba e rara alla quale siamo tanto abituati, e che spesso viene data per scontata. Le donne protagoniste del tuo romanzo hanno delle personalità forti e definite. Ti sei ispirata a qualche persona reale? È stata l’Isola ad ispirarmi assieme alle donne che è in grado di partorire ed educare. Condizioni storiche hanno imposto per secoli alle donne di mostrare carattere, dolcezza, ma anche forza. Credo che quest’attitudine ci sia rimasta nel sangue e che tutte noi, quando la situazione lo richiede, siamo forti, forti come un toro. (Deborah Succa) È stato difficile passare dalla stesura del saggio a quella del romanzo? ANTAS Come ti sei avvicinata allo studio delle tradizioni sarde? Tutto merito del mio percorso di studi universitario. Pur abitandoci ho conosciuto la Sardegna, quella dei luoghi magici e delle tradizioni antiche, per caso. Ci siamo piaciute fin da subito, e io e la Sardegna del mito siamo diventate amiche. 61 A COLAZIONE CON... CLAUDIA ZEDDA GIANFRANCO CAMBOSU La metà del gigante Anno 2014 pp. 208 Barbera Editore EURO 16,50 Sassari, anni ’90. Pietro Aglientu è un trentenne che sogna di diventare scrittore. Il sogno pare realizzarsi quando l’editore della Sogni Esagerati, Golia, gli comunica l’intenzione di pubblicare il suo romanzo. La casa editrice organizza un corso di scrittura alla quale Aglientu parteciperà, pur non incontrando mai di persona Golia, col quale avrà solo contatti epistolari; suo punto di riferimento saranno due collaboratrici che inviteranno l’aspirante VANESSA ROGGERI Il cuore selvatico del ginepro Anno 2013 pp. 216 Garzanti EURO 14,90 Ianetta ha la sventura di nascere ultima di sette figlie la notte delle animeddas. Una sciagura per la famiglia Zara, che cerca di liberarsi di questo fardello odiato e temuto a un tempo. Ma la bambina sopravvive alla notte e la famiglia è costretta a tenerla, paventando future disgrazie. Agli occhi dei familiari e della comunità di Baghintos Ianetta ha ROBERTO ALBA L’estate di Ulisse Mele ANTAS 62 Anno 2014 pp. 208 Piemme EURO 14,50 Ulisse è un bambino con un dono speciale: è sagace e la verità non gli sfugge mai. Così, quando la sua famiglia viene colpita da un tragico evento, con il suo sguardo semplice e innocente, Ulisse sembra l’unico in grado di leggere correttamente i fatti e i comportamenti delle persone che lo circondano. Ambientata nella Sardegna rurale dei nostri giorni, la storia è narrata in prima persona dal giovane protagonista, con la nitidezza priva di fronzoli che solamente i bambini riescono scrittore a ripercorrere il suo passato e non sarà un’impresa facile. È il romanzo della ricerca di se stessi attraverso il passato e, soprattutto, grazie a quello strumento magico che sono le fotografie, capaci di immortalare istanti e sguardi che consentono di recuperare momenti distrattamente abbandonati, perché la vita è troppo veloce e insegna un’insana indifferenza verso i particolari, i quali – spesso - contengono l’essenza di un’esistenza. È presente l’acre sapore del crollo di certezze costruite lentamente: quando quell’impalcatura stabile inizia a scricchiolare ci si sente perduti, perché quello scricchiolio – lacerante e assordante – ci ricorda, in qualche modo, che bisogna ricominciare e ricominciare fa paura. Non manca una fine analisi psicologica di Pietro, un sognatore, quasi incapace di prendere decisioni importanti e che, spesso, si lascia vivere, si trascina una storia d’amore con una donna che forse non ama. Ma anche quella situazione precaria va bene a Pietro, perché è comunque un equilibrio. La metà del gigante, vincitore del premio Barney 2013, definito dall’autore un romanzo di formazione, dimostra ancora una volta l’abilità di Cambosu nel tessere trame articolate e non scevre, neanche stavolta, di un alone di mistero incalzante con uno stile elegante, curato e lineare, privo di fronzoli. (Sonia Monica Argiolas) tutti i segni: è una coga. Assunta, la madre, accecata dalla superstizione, attribuisce all’ultima nata le colpe di tutti gli eventi nefasti che colpiscono la famiglia; Pinella, una delle sorelle, col cuore gonfio di consapevole cattiveria, fomenta l’odio verso la creatura e ne strumentalizza la fragilità. Solo Lucia, la primogenita, si accorge della sua innocenza di bambina e instaura con la sventurata un rapporto tenero fatto di sguardi e di muta comprensione. È la fine dell’Ottocento e, con pennellate dense e materiche, Vanessa Roggeri dipinge una Sardegna arcaica e matriarcale, intrisa di superstizioni e riti ancestrali che uniscono sacro e profano. Indagatrice del profondo, la scrittrice utilizza un linguaggio robusto e coriaceo che permette al lettore di addentrarsi nell’ambiente rurale in cui si muovono i personaggi, tanto realistici da sembrare cesellati da mano d’artista. Nel contempo, la storia impartisce una profonda lezione sul pericolo dell’emarginazione, sul dolore che essa provoca in chi la subisce, sulla pochezza d’animo di chi la infligge. E la sofferenza di Ianetta, così viva da sommuovere il cuore, induce a riflettere su un male senza tempo di cui la natura umana è sempre gravida. (Alessandra Ghiani) a esternare. Nella drammaticità degli eventi emoziona la lucida consapevolezza di Ulisse, personaggio scolpito a tutto tondo, ironico, arguto e profondamente sensibile. Sembra quasi di vederlo correre d’estate nella campagna assolata e ruvida di Sardegna, mentre intorno a lui scorre la quotidianità della sua famiglia, turbata da eventi di cui un bambino non dovrebbe mai essere testimone. Ma sarà proprio il giovane protagonista a condurre il lettore fino al dipanamento della vicenda,con un finale originale in cui, ancora una volta, la straordinaria capacità di saper guardare oltre stupisce e incanta. Roberto Alba, alla sua seconda prova dopo La spiaggia delle anime pubblicato da Gremese, ci accompagna con un noir intelligente dal tono lieve e disincantato in quest’intimo viaggio nell’animo di Ulisse, osservatore instancabile di una realtà in cui i personaggi dovranno fare i conti con gli errori del passato e i dolori del presente. E in cui è sempre troppo presto per rendersi conto che diventare grandi può significare aver paura di crescere ancora. (Alessandra Ghiani) TRADUZIONE Il 16 maggio 1944 sulla pista aerea sotto Monte Doglia, a Fertilia, atterra un B-26 americano proveniente da Villacidro. Dalla scaletta si affaccia un pilota francese. Si chiama Antoine Saint-Exupéry, ed è già un personaggio celebre. Ma nemmeno lui immagina che il suo ultimo libro diverrà uno tra i più letti e tradotti al mondo: Il Piccolo Principe. Lo scrittore trascorre così in Sardegna l’ultimo periodo della sua vita, con altri aviatori francesi inquadrati nei ranghi dell’aviazione americana. “Eravamo in mezzo al nulla”, ricordano della Nurra i militari del gruppo II/33. A loro che erano appena stati trasferiti da Algeri, il territorio tra Sassari e Alghero sembrava più spopolato del deserto nordafricano. La storia, quasi inedita al grande pubblico, si tinge dei ricordi come gli amici VALENTINA CEBENI L’ultimo battito del cuore Anno 2013 pp. 304 Giunti Editore EURO 12,00 Capita di trovarsi tra le mani un libro, iniziare a leggerlo e, poco alla volta, riscoprirsi in esso vedendo riflessa una parte di sé: all’improvviso ci si ritrova immersi in luoghi e situazioni che sembrano appartenerci. Dolori, gioie, emozioni e pianti sembrano reali: viaggiano con te e con quello che hai dentro e quasi per magia ti accorgi che un personaggio ti è più affine di quanto immaginassi. È questo che accade leggendo L’ultimo battito del cuore, romanzo d’esordio della giovane scrittrice Valentina Cebeni, romana ma sarda d’adozione, per le origini che legano saldamente la sua famiglia a questa meravigliosa isola. Con la nudda”, s’ammentant gasi de sa Nurra sos militares de su grupu II/33. A issos chi fiant istados trasferidos agigu dae Algeri, sos saltos intre Tàtari e S’Alighera pariant prus pagu populados de su desertu africanu. S’istòria, agiomai inèdita a su pùblicu mannu, si tinghet de ammentos comente sos amigos s’aligheresos, sa pisca a sas aliustas, sas rebotas, sa domo de sos Mannazzu a Portu Conte e sas ispantosas intrinadas subra Cabu Catza. Su testu est arrichidu dae sos disignos de Paola Serra, ispirados a sas fotografias de John Philips, giornalista de “Life” chi at documentadu sos acadessimentos sardos de su babbu de su “Petìt Prince”. Sos ricognidores presentes in Fertìlia, comente su “Lightning” a coa dòpia, depiant frunire sos ùrtimos detàllios pro ammaniare s’isbarcu in Proventza. S’avieri-poete aiat 44 annos e at fatu de totu pro bolare cun s’iscuadrìllia sua, mancari chi sa règula impediat a unu pilota subra sos 30 de pigare in un’aèreu de gherra. Dae S’Alighera, Antoine si nche fiat trasferidu a sa Còrsica. Fiant 5 sos bolos de ricognitzione prevìdidos in su totu. Isse nd’aiat apidu a fàghere noe, ma dae s’ùrtimu non fiat torradu prus. algheresi, la pesca alle aragoste, i banchetti, la villa dei Mannazzu a Porto Conte e i favolosi tramonti su Capo Caccia. Il testo è arricchito dei disegni di Paola Serra, liberamente ispirati alle fotografie di John Phillips, giornalista di “Life” che documentò le vicende sarde del papà del “Petìt Prince”. I ricognitori presenti a Fertilia, come lo stupendo Lightning a doppia coda, dovevano fornire gli ultimi dettagli per preparare lo sbarco in Provenza. L’aviere-poeta aveva 44 anni e fece di tutto per volare con la sua squadriglia, nonostante la regola che impediva a un pilota sopra i 30 di salire su un aereo da combattimento. Da Alghero, Antoine si trasferì in Corsica. Erano cinque i voli di ricognizione previsti in totale. Lui ne avrebbe fatto nove, ma dall’ultimo non sarebbe mai tornato. (Salvatore Taras) storia di Penelope Valentina apre confini inesplorati, che solo la scrittura riesce a far superare e conoscere, perché scrivere è un viaggio interiore alla ricerca di se stessi, la stessa alla quale aspira Penelope nelle pagine di questo romanzo appassionante, nel quale mai nulla è scontato: una continua riscoperta di sensazioni, emozioni e pensieri che spesso si muovono all’unisono con quelli dei protagonisti. La scrittura della Cebeni può quindi definirsi evocativa, di profumi, immagini, sensazioni e luoghi che lentamente coinvolgono il lettore, al punto che egli è realmente in grado di dare un volto a ciò che sta leggendo. Straordinario è il modo in cui l’autrice utilizza le parole per descrivere luoghi, personaggi, o un’emozione fatta di sensualità e passione; lo fa con attenzione, utilizzando pennellate di colore che, delineando i tratti di un quadro, si muovono tra le pagine con naturalezza, senza sovrastrutture né giri di parole. L’autrice rende le emozioni della protagonista vere, tangibili, e la sua storia rapisce chi la legge. Penelope, il cui apparente distacco e la freddezza mostrata non sono altro che un’arma a protezione di abissi di parole mai dette, dimenticate, e sofferenze che spesso inaridiscono creando muri, è in realtà una donna fragile e forte insieme, il cui cuore è un fuoco che arde alla continua ricerca di sé e della propria strada, decisa ad amare ancora. Nonostante tutto. (Ghita Stefania Montalto) 63 Su 16 de maju de su 1944 in sa pista aèrea a pes de Monte Dòglia, a Fertìlia, aterrat unu B-26 americanu chi benit dae Biddacidru. Unu pilota frantzesu s’acarat dae s’iscalita. Si mutit Antoine de Saint-Exupéry, ed est giai unu personàgiu famadu. Ma nemmancu isse s’immàginat chi s’ùrtimu libru sou at a divènnere unu de sos prus lèghidos e tradùidos in su mundu: Su Prìntzipe Minore. S’iscritore colat gasi in Sardigna s’ùrtimu tempus de sa vida sua, cun àteros aviadores frantzesos incuadrados in sos rangos de s’aviatzione americana. “Fiamus in mesu a su Custa la leghimus in sardu ANTAS LUCIANO DERIU Il piccolo principe dall’isola alle stelle S’annu 2013 pp. 143 Carlo Delfino Editore EURO 18,00 recensioni libri recensioni libri