Il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali tra sentenze

Transcript

Il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali tra sentenze
Riccardo Conte1
Il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali
tra sentenze della Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo, Corte Costituzionale e Corte di
Cassazione e progetti di Legge
1. Negli ultimi mesi si sono moltiplicate le notizie di stampa in relazione a questioni
giuridiche che riguardano le coppie omosessuali.
Recentemente, come è noto, si è posto il problema – sollevato da alcuni Sindaci, in
particolare quelli di Roma e Milano – se si possa riconoscere o no in Italia il matrimonio
contratto all’estero tra persone dello stesso sesso. E se la Suprema Corte di cassazione è
stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità (affermata) del rifiuto dell’ufficiale di stato
civile di procedere alla pubblicazione di una richiesta di celebrazione di matrimonio tra
omosessuali (sentenza n. 2400 del 9 febbraio 2015), vedremo al § 3, tuttavia, come in
precedenza (nel marzo 2012), su analoga questione, la stessa Corte avesse già richiamato il
Parlamento sulla necessità di intervenire sulla questione, essendo il regime normativo
attuale in contrasto con norme costituzionali2.
1 Avvocato in Milano. Docente di diritto processuale civile nella Scuola forense del Consiglio dell’Ordine degli
Avvocati di Milano. E’ autore, tra l’altro, di articoli di diritto civile e di diritto pubblico.
2 La tutela degli omosessuali è oggi particolarmente avvertita. In tal senso la Corte di cassazione penale annullò una
sentenza del Tribunale di Teramo che aveva ritenuto non lesivo dell’onore appellare una persona con la parola “frocio”
ed affermò che «il giudice edulcora e svaluta la portata lesiva della frase pronunciata, contravvenendo patentemente alla
logica ed alla sensibilità sociale, che ravvisa nel termine "frocio" un chiaro intento di derisione e di scherno, espresso in
forma graffiante» (Cass. pen., 17 luglio 2006, n. 24513). Con sentenza n. 1126del 22 gennaio 2015, la Corte di
cassazione civile, sanzionata come illegittima la decisione della Pubblica Amministrazione di avviare la procedura di
revisione del provvedimento di concessione della patente di guida nei confronti di persona soltanto a motivo della sua
tendenza omosessuale, ha annullato la decisione della Corte d’appello di Catania che, minimizzando il fatto, aveva
liquidato a favore del cittadino la somma a titolo di risarcimento del danno di € 20.000, in riforma della sentenza del
1
Nel corso dell’anno 2014 la Corte costituzionale, con la sentenza n. 170, ha dichiarato
l’incostituzionalità delle norme della legge L. 14 aprile 1982, n. 164 (recante disposizioni in
materia di rettificazione di attribuzione di sesso) nella parte in cui prevedevano che la
sentenza con cui viene disposta la rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi
provocava ipso iure lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili
conseguenti alla trascrizione del matrimonio, senza consentire, laddove entrambi i coniugi
lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra
forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia
medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore. La Corte costituzionale ha, quindi,
con la stessa sentenza sollecitato il Parlamento ad intervenire a disciplinare la materia
(questa Corte, infatti, può dichiarare l’incostituzionalità di norme di legge, ma non può
sostituirsi al Parlamento. introducendo essa una disciplina legislativa ex novo).
2. Non è la prima volta che il Parlamento è sollecitato ad intervenire nella materia.
La Corte costituzionale già lo fece nel 2010, con la sentenza n. 138, con la quale
dichiarò inammissibile (attenzione: non infondata!) la questione di incostituzionalità relativa
alle norme del codice civile che vietano che sia contratto matrimonio tra persone dello
stesso sesso. Inammissibile, non rientrando nei poteri di questa Corte introdurre mediante
una sentenza una disciplina legislativa. La Corte, tuttavia, ebbe cura di evidenziare che l'art.
2 della nostra Costituzione dispone che «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale». Ciò ricordato, affermò che «per formazione sociale deve intendersi
ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero
sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello
pluralistico»; e precisò che «in tale nozione è da annoverare anche l'unione omosessuale,
intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto
fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei
modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e
Tribunale che, invece, aveva determinato tale risarcimento nella somma di € 100.000, considerando particolarmente
grave quanto era accaduto.
2
doveri». Poiché, tuttavia, «l'aspirazione a tale riconoscimento – che necessariamente postula
una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti
della coppia –» può essere realizzata, sia con l’equiparazione al matrimonio (come avviene
in alcuni Paesi), sia con l’istituzione di una nuova figura giuridica di relazione
interpersonale, la Corte precisò che «spetta al Parlamento, nell'esercizio della sua piena
discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette»
mentre ad essa resta riservata la possibilità d'intervenire laddove, in relazione ad ipotesi
particolari, la disciplina legislativa dovesse introdurre irragionevolmente trattamenti
disomogenei tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale.
3. Sollecitazioni al Parlamento perché sia introdotta nel nostro ordinamento giuridico
una disciplina legislativa delle unioni tra omosessuali pervennero, successivamente, anche
dalla Corte di cassazione. Con la sentenza n. 4184 del 2012, pur dichiarando che, allo stato
attuale della legislazione, non sia possibile la trascrizione nei registri dello stato civile del
matrimonio contratto all’estero, la Corte di cassazione sottolineò che questa realtà giuridica
era (ed è) in contrasto con norme dettate dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo
(che è legge dello Stato italiano fin dal 1955) e, in particolare, con l’art. 8 secondo il quale
«ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare … [e] non può aversi
interferenza di una autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto a meno che questa
ingerenza costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la
sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei
reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà
altrui».
4. La sentenza della Corte di cassazione richiamò la decisione della Corte europea dei
diritti dell’uomo del 24 giugno 2010 con cui fu rigettato un ricorso proposto, nel corso
dell’anno 2004, da due cittadini austriaci, dello stesso sesso, che chiedevano la condanna del
loro Paese, per violazione dei diritti umani sanciti dalla Convenzione europea, non essendo
stato loro consentito, in forza di disposizioni di diritto interno, di contrarre matrimonio.
Occorre, peraltro, precisare subito che la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo
3
(la cui motivazione è molto articolata e di grande respiro) non respinse sic et simpliciter il
ricorso: anzi, la Corte affermò il diritto delle coppie omosessuali ad un riconoscimento
giuridico. Ed infatti l’esito negativo della domanda fu dovuto alla circostanza che, medio
tempore, l’Austria, pur non consentendo il matrimonio tra omosessuali, tuttavia, a partire dal
1° gennaio 2010, aveva conferito, in forza della legge sulla Relazione registrata (Registered
Partnership Act – Eingetragene Partnerschaft-Gesetz), una rilevanza giuridica anche alle
relazioni stabili tra persone dello stesso sesso.
Tuttavia – secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo – se lo Stato non deve
garantire alle coppie omosessuali l’accesso al matrimonio, nondimeno deve assicurare un
riconoscimento legale alla loro unione.
La Corte pervenne a tale conclusione, ritenendo, alla luce dell’evoluzione normativa
negli Stati membri, che il principio per cui ognuno ha al diritto al rispetto della propria vita
familiare, enunciato dall’art. 8 della Convenzione, sia applicabile non solo alle coppie
«tradizionali», composte cioè da partners eterosessuali, ma anche a quelle composte da
partners omosessuali. Le «coppie omosessuali – precisò La Corte – sono capaci come le
coppie eterosessuali di costituire una stabile e impegnata relazione. Conseguentemente, esse
sono in una situazione sostanzialmente similare a quella di una coppia eterosessuale in
merito alla loro necessità di un riconoscimento legale e protezione della loro relazione» (§
99 della sentenza).
Sulla base di questa affermazione ogni discriminazione delle coppie omosessuali sotto
il profilo qui considerato (cioè del riconoscimento legale) sarebbe illegittima non essendo
fondata su un’obiettiva e ragionevole giustificazione (cioè, secondo le pregnanti parole della
Corte, «se essa non persegue uno scopo legittimo o se non c’è una ragionevole relazione di
proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo che si cerca di realizzare»).
Si tenga conto che, nonostante la sentenza esaminata sia stata pronunciata nell’àmbito
di una controversia tra due cittadini austriaci e l’Austria, essa ha riflessi sul nostro
ordinamento nazionale. A prescindere dagli obblighi che derivano all’Italia in forza delle
convenzioni internazionali che essa ratifica (l’art. 117, comma 1, Cost. nel testo attuale –
come modificato dalla riforma del titolo V della Costituzione del 2001 – dispone che che «la
potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione,
4
nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali»),
è chiaro che la mancata introduzione di una legge che disciplini l’unione delle coppie
omosessuali potrebbe comportare, prima o poi, una condanna dell’Italia da parte della Corte
di Strasburgo per violazione dei diritti umani sanciti dalla Convenzione europea dei diritti
dell’uomo.
5. In tale contesto normativo e giurisprudenziale possiamo meglio comprendere il
recente disegno di legge approvato dal Senato nello scorso mese di marzo, recante la
«regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle
convivenze».
Si tratta, alla luce di quanto si è detto, di un disegno di legge, per così dire,
«necessitato». Non è possibile non avere in Italia una disciplina che regoli l’unione di
coppie omosessuali. Ciò potrà non piacere ad alcuni in virtù di considerazioni eticoreligiose, ma queste – pur legittimamente esprimibili, sempre che non sconfinino
nell’omofobia – non possono più impedire l’introduzione di una norma che è imposta
dall’ordinamento internazionale e dalla nostra stessa Costituzione.
Il disegno di legge approvato dal Senato (e che prossimamente dovrà essere esaminato
dalla Camera dei Deputati) riguarda, come risulta dall’intitolazione stessa della legge, sia le
unioni tra persone dello stesso sesso (articoli da 1 a 7), sia le convivenze tra persone di sesso
diverso (articoli da 8 a 19).
In questa sede noi prenderemo in esame brevemente solo gli articoli che regolamentano
le unioni tra coppie di persone dello stesso sesso.
L’art. 1 del disegno di legge dispone che due persone dello stesso sesso possono
costituire un’unione civile tra loro (la nozione di matrimonio – per il legislatore italiano –
resta vincolata all’unione tra persone di sesso diverso) mediante una dichiarazione da
rendere di fronte all’ufficiale di stato civile, alla presenza di due testimoni. La norma
prevede che presso gli uffici dello stato civile di ogni Comune italiano dovrà essere istituito
un registro ad hoc.
5
Il disegno di legge contempla cinque casi impeditivi di questa unione civile e
precisamente:
a) la sussistenza di un precedente vincolo, sia esso matrimoniale ovvero di altra unione civile;
b) la minore età di uno o di entrambi i contraenti (come avviene per il matrimonio: l’art. 84 del
codice civile dispone che i minori di età non possono contrarre matrimonio; tuttavia «il tribunale, su
istanza dell'interessato, accertata la sua maturità psico-fisica e la fondatezza delle ragioni addotte,
sentito il pubblico ministero, i genitori o il tutore, può con decreto emesso in camera di consiglio
ammettere per gravi motivi al matrimonio chi abbia compiuto i sedici anni»);
c) l’interdizione per infermità di mente (in conformità a quanto prevede il codice civile all’art.
85 per il matrimonio);
d) la sussistenza tra i due soggetti dell’unione di rapporti di parentela (es., rapporti tra padri e
figli, fratelli e sorelle, zii e nipoti). Anche in questo caso, come per il matrimonio, sono previste
eccezioni, su autorizzazione del tribunale (es.: tra zii e nipoti);
e) la condanna di uno dei due soggetti dell’unione per omicidio (anche solo tentato) sul
coniuge dell’altro.
Mentre l’art. 143 bis del codice civile prevede che «la moglie aggiunge al proprio
cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove
nozze», l’ultimo comma dell’art. 1 del progetto di legge de quo prevede che «mediante
dichiarazione all’ufficiale di stato civile le parti possono stabilire il cognome dell’unione
civile scegliendo tra i loro cognomi. Lo stesso [cognome] è conservato durante lo stato
vedovile, fino a nuove nozze o al perfezionamento di una nuova unione civile tra persone
dello stesso sesso. La parte può anteporre o posporre allo stesso il proprio cognome, se
diverso, facendone dichiarazione all’ufficiale di stato civile».
L’art. 3 del disegno di legge enumera una serie di norme dettate dal codice civile in
materia di matrimonio e che trovano applicazione nel caso dell’unione civile tra persone
dello stesso sesso (per comodità di lettura e maggior comprensione del testo del progetto di
legge, nel richiamare le principali norme – non tutte, per non appesantire l’esposizione –, ne
riporterò il relativo testo). Si applicano in particolare:
a) l’art. 143: «Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i
medesimi doveri. // Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e
materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione. // Entrambi i coniugi
6
sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro
professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia» [N.d.A.: il segno // alla fine di una
proposizione indica che quella successiva contraddistingue un nuovo comma];
b) l’art. 144: «I coniugi concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la
residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa. //
A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato»;
c) l’art. 146: «Il diritto all'assistenza morale e materiale previsto dall'articolo 143 è sospeso nei
confronti del coniuge che, allontanatosi senza giusta causa dalla residenza familiare rifiuta di
tornarvi // … (omissis)»;
d) l’art. 147: «Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire,
educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e
aspirazioni …».
Sono, inoltre, richiamate le norme in materia di ordini di protezione contro gli abusi
familiari (gli articoli 342 bis e 342 ter cod. civ. prevedono alcuni provvedimenti giudiziali
che possono essere emessi «quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di
grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o
convivente»), e si prevede che, come nel matrimonio uno dei due coniugi può chiedere i
provvedimenti a tutela dell’altro che sia diventato incapace di intendere e di volere, lo stesso
possa avvenire tra coloro che hanno dato vita all’unione civile.
Infine, va ricordato che ai soggetti che hanno dato vita ad un’unione civile, si
applicano, secondo il progetto di legge, le norme previste dal codice civile in materia
testamentaria per il coniuge. In particolare, alla stessa stregua del coniuge, il partner
dell’unione civile che sopravvive all’altro è erede legittimo e legittimario (il che significa
che non solo, in caso di successione senza testamento, è erede ex lege del defunto, almeno
per una quota – laddove vi siano altri eredi per legge, quali, per es., figli, fratelli –, ma che,
essendo legittimario, nemmeno potrebbe essere escluso da una disposizione testamentaria,
se non per una delle gravi cause d’indegnità – per es., aver attentato alla vita del testatore).
6. Non mi sembra sia il caso di soffermarsi su ulteriori richiami a norme del codice
civile, pur interessantissimi per l’operatore del diritto.
7
Mi limito a ricordare che il disegno di legge prevede espressamente che, nel caso di
morte di uno dei due partner, l’altro ha diritto – alla stregua di un coniuge – ad alcune
indennità relative ai rapporti di lavoro del defunto, in primo luogo all’indennità di fine
rapporto (quella che, generalmente, vien definita la liquidazione).
E’ opportuno, invece, segnalare che il comma 3 dell’art. 3 del disegno di legge prevede
che «le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi”, “marito” e “moglie”,
ovunque ricorrano nelle leggi, nei decreti e nei regolamenti, si applicano anche» a colui che
fa parte di un’unione civile. Facciamo un esempio per chiarezza: in materia di locazione di
immobili adibiti ad uso abitativo è previsto che «in caso di morte del conduttore, gli
succedono nel contratto il coniuge, gli eredi ed i parenti ed affini con lui abitualmente
conviventi» (art. 6, comma 1, della L. 392 del 1978, cosiddetta legge sull’equo canone); è
chiaro che, questa disposizione, in virtù della previsione appena ricordata dell’art. 3, comma
3, del progetto di legge in esame, si applicherà anche al partner superstite dell’unione civile.
Sempre a mo’ d’esempio, mi sembra che analogo discorso possa essere fatto in
relazione all’art. 570 del codice penale. Detta norma punisce «chiunque, abbandonando il
domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all'ordine o alla morale
delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, o
alla qualità di coniuge». Mi sembra chiara l’applicazione della disposizione penale pure al
rapporto inerente l’unione civile, considerato anche quanto si è detto al § 5 relativamente
all’applicabilità ad essa del precetto enunciato dal citato art. 143 codice civile.
Quanto prescritto dall’art. 3, comma 3 del progetto di legge sulle unioni civili, tuttavia,
non si applica, per espressa previsione, alle altre norme del codice civile non espressamente
richiamate. E ciò può essere finanche ovvio, per esempio, con riferimento ad una norma
qual è quella dell’art. 243 bis del codice civile (secondo cui «l’azione di disconoscimento di
paternità del figlio nato nel matrimonio può essere esercitata dal marito …»), essendo chiaro
che una simile ipotesi non può verificarsi nell’ambito di un’unione tra persone dello stesso
sesso.
Tuttavia va detto che la tecnica legislativa incentrata sui rimandi ad altre disposizioni di
legge può dar luogo a problemi di coordinamento. Ma non mi sembra il caso di indugiare in
questa sede su tali aspetti.
8
7. Un’altra disposizione espressamente esclusa dal disposto dell’art. 3, comma 3, del
progetto di legge sulle unioni civili è l’art. 6 della legge sulle adozioni (L. 4 maggio 1983, n.
184), secondo cui «l'adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni.
Tra i coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre anni
separazione personale neppure di fatto».
Chiara è la ratio legis: il legislatore italiano non vuol consentire adozioni alle coppie
omosessuali. E questa mi sembra la grande differenza tra il matrimonio tra persone
eterosessuali e le unioni civili tra coppie omosessuali.
Tuttavia è sempre possibile, ai sensi dell’art. 5 del progetto di legge, per uno dei due
partner adottare il figlio (anche adottivo) dell’altro (si pensi al caso in cui uno dei due
partner abbia avuto un figlio da una precedente relazione eterosessuale).
Non è questa la sede per entrare nella valutazione della coerenza di tale distinzione, che
è contestata da più parti (vi è un serrato dibattito culturale in merito, che ha trovato
espressione anche in noti film3).
8. Il legislatore si è fatto carico, infine, di disciplinare anche lo scioglimento dell’unione
civile.
L’art. 6 del disegno di legge richiama sul punto le norme del codice civile dettate in
materia di separazione tra i coniugi, nonché le norme in materia di scioglimento del
matrimonio (divorzio).
Non è il caso di diffondersi in un esame dettagliato di queste norme, che, come è ovvio,
hanno un particolare riguardo ai rapporti economici.
3 Si pensi a Any Day Now, film del 2012 diretto da Travis Fine, basato su una storia vera che tocca questioni legali e
sociali nel corso degli anni settanta e a Baby Love, film del 2008 diretto da Vincent Garenq.
9