Autobiografia - Leo d`Alessandro

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Autobiografia - Leo d`Alessandro
I cattolici sotto il potere anglicano
JOHN GERARD
Autobiografia di un gesuita dei tempi di
Elisabetta
Titolo originale:
JOHN GERARD
The Autobiography of an Elizabethan
EDIZIONI PAOLINE – ROMA 1963
INDICE
Presentazione di Graham Greene
Introduzione di Philip Caraman
Prefazione dell'Autore
I Primi anni
II Lo sbarco
III Grimston
IV Lawshall
V Braddocks
VI Perquisizione a Baddesley Clinton
VII Padre Oldcorne
VIII “Peine forte et dure”
IX Perquisizione a Braddocks
X Arresto
XI In carcere
XIIClin
XIII Il sillogismo del Decano
XIV Alternativa mortale
XV Tortura nella torre
XVI Corrispondenza clandestina
XVII La fuga
XVIII Londra e Harrowden
XIX Il prete John
XX Partita a carte con Sir Everard
XXI Amici a corte
XXII Ultimi giorni di fatiche
XXIII La congiura delle polveri
Appendice A - Cronologia dei primi anni di Gerard
Appendice B - La residenza di campagna di Padre Garnet
Appendice C –I l pozzo di S. Winefrid
Appendice D - Braddocks
Appendice E - Difesa di Padre Southwell del ricorso all'equivoco
Appendice F - Relazione dell'interrogatorio di Padre Gerard sull'equivoco
Appendice G - La paglia di Padre Garnet
Appendice H - Vita di Padre Gerard dopo la sua fuga dall'Inghilterra
Appendice I - Descrizioni contemporanee di Padre Gerard
ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI
C.R.S. Catholic Record Society
C.S.P.D. Calendar of State Papers Domestic
D.N.B. Dictionary of National Biography
FOLEY Records of the English Province of the Society of Jesus
HAT. CAL. Calendar of Manuscripts of the Marquess of Salisbury
preserved at Hatfield House
JESSOP
One Generation of a Norfolk House (ed. 1879)
MORRIS
John Gerard (ed. 1881)
NARRATIVE A Narrative of the Gunpowder Plot di John Gerard,
stampato in The Conditions of Catholics under James I (1871)
S.P.D.State Papers Domestic: Elizabeth
TROUBLES Troubles of Our Catholic Forefathers (ed. John Morris)
PRESENTAZIONE
di GRAHAM GREENE
“Questa ultima era di un mondo ansimante nel suo declino”. Con queste
parole Gerard descrive nella sua modesta prefazione lo sfondo storico che
fa da cornice all'Autobiografia. Quanto barbara sarebbe suonata questa
frase alle orecchie di un personaggio vittoriano, a quelle, per esempio, dell'arcidiacono Grantly oppure a quelle di Mr. Micawber! Essa sarebbe apparsa loro così strana come i particolari dell'avventura di Gerard (che sarebbe più esatto chiamare la sua passione, quando si considerino le sue
fughe miracolose, le delusioni, i tradimenti e la lunga e terribile scena della sua tortura). Questa storia sarebbe stata per loro così remota come un
romanzo storico. Ma anche in fatto di romanzi storici essi avrebbero preferito Esmond, col suo vecchio romanticismo, quello cioè del “dandysmo”
da tabacchiera e da bastoncino. Essi si sarebbero sentiti alquanto molestati
dalla storia d'amore scritta da Gerard. Proprio così, perché, quando ben si
rifletta, questa è una storia d'amore: la storia di un uomo che amò i suoi
sino all'estremo limite della sofferenza.
Remota, sì. Ma già da un quarto di secolo noi stiamo tornando lentamente
verso quei tempi infidi, in cui Gerard si muoveva sotto mentite spoglie
con i suoi discorsi di caccia e di carte. Non possiamo leggere l'Autobiografia come un documento contemporaneo o, anche, come qualcosa ancora da avvenire nel tempo, quasi che ci sia stato concesso in sogno di leggere una cronaca di vita dell'anno 1970: quella vita che tra breve vivremo.
Questo è quel che conferisce al libro, nella sua eccellente traduzione dal
latino, un così profondo senso di commozione e di immediatezza. Ascoltiamo il racconto in cui Gerard descrive il suo arrivo nel paese nativo: il
pericolo dei sentieri familiari, la morte dappertutto in agguato in quella
pur placida contrada.
“Dopo la traversata, risalimmo lungo la costa inglese. Il terzo giorno, il
mio compagno ed io avvistammo un posto che sembrava ottimo per lo
sbarco. Ma siccome consideravamo pericoloso raggiungere la costa tutti
insieme, ci riunimmo in preghiera per invocare l'aiuto di Dio. Dopo esserci consultati, ordinammo che la nave gettasse l'ancora al largo fino al calar
della notte. Alla prima ora di notte fummo portati a riva in barca ed ivi
fummo lasciati. Quindi, la nave spiegò le vele e si allontanò. Ci raccogliemmo in preghiera per pochi istanti e ci affidammo alla protezione di
Dio. Quindi, ci incamminammo alla ricerca di un sentiero che ci condu-
cesse il più possibile nell'entroterra e ci permettesse di porre alle nostre
spalle la maggiore distanza dalla costa, prima dell'alba. Ma la notte era
buia ed il cielo coperto di nuvole, perciò non potemmo trovare il sentiero
voluto per inoltrarci nei campi. Tutte le piste che battevamo conducevano
a qualche casa, come potevamo constatare allorché i cani cominciavano ad
abbaiare. Ciò avvenne due o tre volte. Temendo di svegliare gli abitanti e
di essere inseguiti come ladri, decidemmo di riparare in un bosco vicino e
di riposare ivi fino al mattino. Si era alla fine di un ottobre umido e piovoso e noi passammo una notte insonne. Non osavamo neanche parlare, perché attigua al bosco vi era una casa. Tuttavia, in meno di un baleno, tenemmo un consulto. Sarebbe stato meglio incamminarci assieme alla volta
di Londra o separarci in maniera che, se l'uno fosse preso, l'altro potesse
scampare? Esaminammo attentamente entrambe le possibilità. Alla fine
decidemmo di separarci e di andarcene ognuno per conto proprio”.
Questa scena di rimpatrio si è verificata in molti paesi durante questo secolo, da quando Padre Pro (un Beato martire messicano della persecuzione
contro i Cristeros, NdR) approdò a Vera Cruz in giacca a maglia con una
cravatta striata e con un paio di scarpe marroni. Ma qui, nel racconto di
Gerard, la cosa avviene nel nostro Norfolk, in mezzo a noi.
La prosa di Padre Gerard è semplice, vivida, accurata. L'azione dello scrittore somiglia molto a quella dello scultore. Ci si trova davanti un informe
blocco di fatti, dal quale si deve scolpire solo il particolare che interessa.
“Avvincente come un romanzo”: quanto spesso abbiamo letto questa frase
mentitrice nella presentazione di un editore; e quanto raramente, invece, il
romanzo è attraente. Quanto è raro trovare un romanziere che, come Gerard, sappia scolpire debitamente dalla pietra originaria il suo argomento, i
suoi personaggi, il suo ambiente e le sue scene.
Nella narrazione del suo sbarco abbiamo visto con quanta modestia Gerard ambienti la sua scena e come descriva nei termini più semplici l'atmosfera di incertezza e di inseguimento: una notte scura, un casolare sospetto, l'abbaiare dei cani. Si potrebbero citare episodi ancor più drammatici: la Messa di Padre Southwell interrotta dai cacciatori di preti, l'arresto
e la tortura di Gerard, la sua evasione dalla Torre. Molti, infatti, sono nel
corso della narrazione gli esempi che mettono in evidenza la sua abilità nel
ritrarre concisamente un personaggio. Padre Southwell, che a molti lettori
sarà noto solo come il poeta che scrisse The Burning Babe, come un personaggio laico alla stregua di altri poeti suoi contemporanei dei quali conosciamo così poco, balza vivido nella narrazione di Gerard, tutto intento
ad apprendere l'uso corretto del linguaggio tecnico, per poter recitare con
disinvoltura la parte del gentiluomo di campagna.
“Quando se ne presentò l'occasione, presi a parlare di caccia e di falconeria, cosa che non si può fare con proprietà di linguaggio tecnico, a meno
che non sia un appassionato di tali sport. È facile errare nell'uso di tali
termini, come spesso si lamentava Padre Southwell. Sovente, in seguito,
quando ci trovammo a viaggiare insieme, questi soleva pregarmi di insegnargli la terminologia propria e si rammaricava perché non riusciva a ricordarla o non la sapeva usare, presentandosene il bisogno: come, ad esempio, quando egli si imbatteva in signori protestanti che non avessero in
pratica altri argomenti di conversazione, eccetto aneddoti scurrili ed ingiurie contro i santi e la fede cattolica. In occasioni come queste, si dà spesso
il caso di fuorviare il discorso semplicemente con una osservazione qualsiasi su cavalli, cani e cose simili”.
Era forse un'esperienza del genere che ispirava le immagini della caccia
nelle poesie del Beato Henry Walpole, del quale Gerard doveva più tardi
occupare la cella nella Torre?
The falkener seeks to see a flight
the hunter beates to see his gamme
Longe thou my soule to see that sight
and labour to enjoy the some.
Southwell è uno dei personaggi principali nella storia di Gerard. Ma con
quanta disinvoltura egli abbozza le figure anonime, come il carceriere che
pianse per la sua tortura! Altrettanto si dica di quel convertito, identificato
da Padre Caraman come sir Oliver Manners e tratteggiato così vividamente, anche se in margine alla narrazione. Sembra quasi di vederlo nella realtà: lo stesso taglio del suo farsetto, la forma delle sue gambe, la positura
delle sue lunghe dita elisabettiane sul libro, sebbene Gerard non abbia usato una sola frase per descriverlo fisicamente.
“Avreste dovuto vederlo a corte o nella sala delle adunanze, specie quando
questa era gremita di cortigiani e di nobildonne famose. Egli si avvicinava
ad una finestra e leggeva un capitolo dell'Imitazione di Cristo di Tommaso
da Kempis, libro che conosceva dalla prima all'ultima pagina. Dopo quella
breve lettura ritornava tra la folla, ma la sua mente vagava altrove, assorta
com'era nei propri pensieri. La gente immaginava che stesse ammirando
qualche bella signora o che fosse intento a studiare la maniera di raggiungere un posto più elevato”.
Paragonato a questi, Topcliffe potrebbe sembrare un personaggio facile a
delinearsi. Ma il cacciatore di preti è stato lo spauracchio di tante storie,
che proviamo una certa sorpresa nel trovarlo tanto malvagio nella realtà
quanto nella finzione. Egli indossa la toga e si cinge di una spada che gli
pende sul fianco, quasi “un canuto veterano del male”. (Sembra quasi che
Mr. Hyde sia uscito dalle pagine di Stevenson per aggirarsi realmente per
le strade di Edimburgo).
“Farò in modo che siate portato presso di me e posto in mio potere. Vi appenderò in aria e non avrò pietà di voi; poi attenderò per vedere se Dio vi
strapperà alla mia stretta”.
In questa galleria, purtroppo, dobbiamo lamentare l'assenza di un quadro.
Il 14 aprile 1597 cinque uomini presentarono un resoconto dell'interrogatorio di Gerard nella Torre: di essi soltanto due erano noti a Gerard ed uno,
come apprendiamo da Padre Caraman, era Francesco Bacone. Per un momento vorremmo quasi immaginarci seguaci dell'eresia baconiana e credere che lo stesso William Shakespeare interrogasse Gerard dall'alto della
tribuna. Ed infatti non è vero che noi avvertiamo la mancanza di un intero
settore della vita elisabettiana finanche nell'ampio scenario shakespeariano, sul quale domina o la commedia o la disperazione? Parlano i re, parlano gli avventurieri (tanto che possiamo indovinare lo stesso linguaggio di
Francis Drake sotto i toni aspri di Faulconbridge), parlano i pazzi e gli
amanti, i soldati ed i poeti; ma i martiri tacciono. Si potrebbe asserire,
quasi, che i cristiani non fiatino, ove si prescinda dalle parole diplomatiche di un Wolsey o di un Pandolfo, oppure dall'improvviso risveglio di coscienza che si nota nelle preghiere dello zio di Amleto. A quale francescano poteva mai somigliare Padre Lorenzo con i suoi piccoli apoftegmi morali, con le sue massime latine e con le sue erbe? Già nelle opere di Shakespeare si sarebbe potuto intuire la presenza di un vuoto che prima era stato
occupato dalla fede. Il rumore e l'animazione dei pellegrinaggi sono stati
eliminati: passiamo dal mondo vivace di Chaucer al silenzio della corte di
Amleto dopo la partenza del principe, dalla policromia di Canterbury all'aere livido della brughiera ventosa di re Lear. Una vecchia Roma ha preso
il posto della Roma cristiana. Pare che siano tornati i filosofi e gli dèi pagani. I personaggi parlano con gli accenti degli stoici e rivolgono parole
ipocrite a Bacco ed a Venere. Quanto sono lontani dagli usi della camera
di tortura!
“Quando il luogotenente vide che potevo parlare di nuovo, disse: "Non
vedete quanto sarebbe meglio sottomettervi alla regina, invece di morire in
tal modo?".
Dio mi aiutò ed io fui in grado di rispondere con maggior vigore di quanto
ne avessi sentito fino a quel momento.
"No, non lo faccio!", dissi. "Preferisco morire mille volte piuttosto che fare
quello che essi mi suggeriscono".
"Così non volete confessare, allora?".
"No, non voglio", dissi, "e non lo vorrò, finché nel mio corpo rimarrà un
alito di vita".
"Molto bene. Allora dobbiamo appendervi di nuovo, adesso, ed una terza
volta, dopo pranzo".
Egli parlava come se fosse spiacente di dover eseguire gli ordini.
"Eamus in nomine Domini!", dissi. "Ho solo una vita; ma anche se ne avessi parecchie, le sacrificherei tutte per la stessa causa".
Mi sforzai di alzarmi e tentai di portarmi presso la colonna, ma dovetti essere aiutato. Ormai ero molto debole. Se avevo ancora un po' di forza, mi
era data da Dio, perché ero membro della Compagnia, per quanto ne fossi
veramente indegno. Fui appeso di nuovo. Adesso il dolore era intenso; ma
sentivo una grande consolazione di spirito, che mi sembrava provenire dal
desiderio della morte. Dio solo sa se esso scaturiva da un vero desiderio
della sofferenza per amore di Cristo, oppure da una bramosia egoistica di
essere con Lui. Ma allora ero convinto che stessi per morire. Ed il mio
cuore si riempiva di grande gioia, mentre mi abbandonavo alla Sua volontà ed alla Sua protezione, disprezzando il volere degli uomini”.
Se Shakespeare si fosse seduto al posto di Bacone ed avesse impartito
l'ordine di tortura, sarebbe lecito domandarsi se nei grandi drammi che,
nonostante la violenza esteriore della follia di Lear e della dissolutezza di
Antonio, presentano un substrato così suasivo ed ambiguo, sarebbe penetrato un dubbio più profondo di quello di Amleto ed una passione d'amore
più forte di quella di Romeo.
GRAHAM GREENE
INTRODUZIONE
di PHILIP CARAMAN
Nella sua prefazione John Gerard dice di aver scritto per ordine dei suoi
superiori questo resoconto dei diciotto anni da lui trascorsi in Inghilterra.
Tale ordine fu impartito probabilmente nella primavera del 1609, quattro
anni dopo l'esecuzione di Henry Garnet, ultimo evento menzionato nel testo. Ristabilitosi dalla tensione fisica e mentale degli ultimi mesi trascorsi
in Inghilterra, John Gerard si trovava, a quel tempo, a Lovanio, dove cooperava a preparare i novizi inglesi della Compagnia di Gesù per la missione che egli aveva appena abbandonato. Nulla sappiamo dell'origine di
questo ordine. È probabile però che, nelle conversazioni coi novizi, Gerard
raccontasse frequentemente episodi di preti perseguitati, di torture e di eroismi quotidiani, di cui furono protagonisti i suoi amici appartenenti al
laicato inglese. Può darsi benissimo che uno dei suoi ascoltatori abbia
avuto la felice idea di suggerire al Generale dei gesuiti di ordinargli di
scrivere un resoconto della sua vita missionaria in Inghilterra.
Dal testo risulta evidente che Gerard stava già scrivendo in privato la narrazione delle sue avventure per i suoi confratelli gesuiti e, forse in primo
luogo, per i novizi da lui diretti. Di conseguenza, si notano in diversi passi
una certa compiacenza ed un esprit de corps piuttosto ingenui, che sono
del tutto naturali nell'ambiente di un noviziato, ma che stonano alquanto
in un'opera destinata ad un pubblico più vasto. Con lealtà Gerard insiste
che molti erano i sacerdoti le cui realizzazioni erano state più cospicue
delle sue. A questo riguardo, egli era restio a narrare le sue esperienze. Inoltre, egli era un uomo di azione; la sua formazione negli studi era stata
interrotta dalla malattia, dalla prigione e da continui spostamenti. Sebbene, come egli stesso afferma, “arrossisse del suo Latino”, scrisse in quella
lingua nell'intento, forse, di rendere accessibile la sua opera ai suoi amici
stranieri, che avevano assistito la comunità inglese nel continente. Fortunatamente per il traduttore, la sua lingua è il latino pratico e disadorno della corrispondenza ecclesiastica e si lascia volgere facilmente nell'idioma di
uno scrittore contemporaneo. Non ci è stato possibile avere il testo latino,
e quindi la nostra traduzione ha dovuto forzatamente basarsi su quella inglese di Philip Caraman (N. d. T.).
Ad una prima lettura, potrebbe sembrare che Gerard nutrisse un interesse
indebito per le conversioni reclutate tra le classi nobili e facoltose. Tale fu
appunto l'accusa lanciatagli, quando ancora era in vita, dal prete apostata
Watson. Bisogna riconoscere, tuttavia, che non era possibile riconquistare
al cattolicesimo la campagna inglese, senza quella tattica così brillantemente attuata da Gerard. Nelle contee, in cui Gerard operò, sarebbe stata
una follia per un estraneo privo di ogni mezzo di sussistenza stabilirsi in
una piccola dimora o in una casa di campagna, per intraprendere l'apostolato sacerdotale tra gente che conosceva tutti gli affari dei propri vicini.
Come Gerard e tutti i preti inglesi sapevano per esperienza, condurre una
vita semplice tra il popolo minuto sarebbe stato come sollecitare l'arresto.
Soltanto le case dei nobili potevano fornire ospitalità e rifugio; solo queste, inoltre, col loro continuo afflusso di ospiti, potevano mascherare le
piccole ed occasionali riunioni dei cattolici ed i frequenti visitatori che
venivano a domandare l'aiuto del sacerdote. In situazioni come queste, il
raggio di azione di un prete dipendeva, per la maggior parte, dalla volontaria cooperazione dei suoi ospiti nell'affrontare i suoi stessi rischi e nel
condividere il suo stesso lavoro. Il loro zelo era, così, la misura della sua
riuscita. Perché era solo sotto le spoglie di un gentiluomo alla moda ed in
compagnia di altri gentiluomini che un prete poteva muoversi, senza pericolo di essere molestato. Di conseguenza, dipendeva dal suo ospite invitarlo a cavalcare con lui, organizzare delle partite di caccia con la partecipazione di persone che davano affidamento di conversione ed introdurlo,
senza alcun rischio, nella società del vicinato. In molti casi i laici giungevano a subordinare tutte le loro relazioni sociali all'attività del sacerdote,
sacrificando anche l'intimità delle loro case, per assicurargli un asilo sicuro. Tutto ciò presupponeva la ricerca di un'alta perfezione cristiana e Gerard non esitava ad esigerla dai suoi amici. E nella loro dedizione a questa
opera di assistenza, gli amici di Gerard, per la maggior parte appartenenti
alla nobiltà, trovavano un succedaneo per la vita religiosa che essi non potevano più praticare nel loro paese.
D'altra parte, vi erano preti, come il primo cappellano di William Wiseman, che restavano relegati in un angolo remoto della casa e raramente si
avventuravano fuori, eccetto di notte su richiesta di qualche ammalato. Se
si esigeva da un prete che non si rendesse intromettente e non facesse nessun passo che avrebbe potuto compromettere o incomodare il suo ospite,
ben poco era quello che egli poteva realizzare, nonostante l'ardore del suo
zelo. Solo quando il fuoco dell'entusiasmo divampava tra la nobiltà, l'opera del sacerdote diventava meravigliosa. Nell'est dell'Inghilterra, nel Northamptonshire, nell'Oxfordshire e nel Buckinghamshire, con l'aiuto dei
suoi coadiutori laici, Gerard aprì un vasto campo di missione, che più tar-
di fu esteso sia dai gesuiti che dal clero secolare. È chiaro che, sotto la
saggia direzione di Garnet, ciò costituì la missione speciale di Gerard, il
quale riportò un grande successo. Sembra che solo dopo aver trascorso diversi mesi nel Norfolk abbia incontrato il suo primo compagno di sacerdozio, un uomo anziano che era sopravvissuto al regno della regina Maria.
Ma, quando egli abbandonò l'Inghilterra, almeno dodici erano i gesuiti e
forse più erano i secolari, che “lavoravano con buoni frutti” nelle residenze che egli aveva stabilito nell'est dell'Inghilterra.
Il testo latino dell'Autobiografia di Gerard è stato utilizzato fin dai primordi del secolo decimo settimo dagli storici della Compagnia di Gesù.
Tuttavia, la prima traduzione inglese fu pubblicata solo circa ottant'anni fa
da Padre John Morris. Si tratta di una traduzione precisa ma antiquata,
specialmente perché l'autore volle volgere il Latino di Gerard in un Inglese
elisabettiano. Curando una nuova traduzione, io ho inserito tutti i passi
tralasciati da Padre Morris, sia perché li considerava indelicati, sia perché
si riferivano a dispute che al suo tempo erano ancora attuali. Quando Gerard descrive la cosiddetta Controversia dell'Arciprete come una contesa
tra i gesuiti ed un “gruppo di preti irrequieti”, egli fa una distinzione tra il
grande corpo del clero secolare ed una combriccola di mestatori. Sebbene
la storia della controversia non sia stata ancora scritta, è chiaro ormai che
la distinzione di Gerard è esatta. Non pochi erano i casi in cui i capi di
questo gruppo si godevano un confortevole esilio e fruivano di benefici
stranieri, senza condividere per un sol giorno le difficoltà dei loro fratelli
in missione. Altri vivevano senza alcuna molestia in Inghilterra sotto la
protezione di un governo, che si serviva di loro per fomentare il dissenso
nella comunità cattolica. Era inevitabile che questo gruppo favorisse un'intesa col governo in termini che i non-conformisti non potevano conciliare
la loro coscienza e che tradivano la posizione presa in prima istanza da S.
Tommaso Moro e da S. Giovanni Fisher. Quello di Gerard era il pensiero
genuino dei non-conformisti. Nessuna discussione era possibile, finché il
governo non avesse manifestato segni di un sincero desiderio di rispettare
la coscienza dei cattolici, di dispensarli dalla frequenza alle funzioni protestanti, di accordare loro almeno limitate agevolazioni per poter ascoltare
la Messa e di educare i loro figli secondo la loro religione. Nella convinzione che non si potesse scendere a compromessi su questi punti, Gerard e
la massima parte del clero secolare esortavano alla pazienza e si astenevano dalla politica ecclesiastica.
Gerard accenna soltanto di sfuggita alla controversia e nomina il prete fa-
zioso solo quando questi recita una parte nella sua storia personale. Tuttavia, a Gerard, per il quale era un punto d'onore subire ogni tormento piuttosto che rivelare i nomi dei suoi amici laici, doveva sembrare un tradimento inescusabile quello del prete Watson, il quale, nell'ambito di una
controversia domestica, stampò a spese del governo un'intera lista di uomini e donne che avevano avuto relazioni con lui, fornendo particolari dei
donativi, reali o immaginari, che quelli gli avevano fatto. Gerard, comunque, parla con moderazione quando ha occasione di riferirsi ad uno qualsiasi di questo gruppo, ben sapendo che la loro pretesa di rappresentare il
clero inglese era semplicemente frutto di fantasia. Nonostante ciò, nel parziale successo di questa pretesa sono riposte e la vera tragedia della causa
dei non-conformisti e la ragione ultima del suo disastro finale. Garnet fu
uno dei primi sacerdoti che rilevarono la distinzione. “Questi non rappresentano il clero inglese: sono uomini sediziosi pieni di invidia e di menzogne. Il vero clero inglese è costituito da uomini che per modestia, comportamento, discrezione, dottrina e bontà risplendono agli occhi di tutto il
mondo. In Inghilterra il loro numero è molto elevato ed essi ci hanno mostrato sempre la più calda affezione” (Arch. S. J. Roma, Anglia, 30, II,
364, c. marzo 1598). Dalla parte del clero secolare la stessa distinzione
viene fatta dal Dr. Bavant, amico del Card. Allen ed uno dei più venerati
sacerdoti d'Inghilterra. Questi scriveva nel novembre 1608: “Essi definiscono se stessi, ed alcuni altri con loro, la comunità del clero in Inghilterra; ma sotto questa auto definizione essi possono fare molte cose a grande
pregiudizio dei loro fratelli e di molti altri” (C.R.S., vol. XLI, p. 83). Si
tratta di una distinzione essenziale che è stata trascurata, fino alla mistificazione della storia dei non-conformisti, sia dagli storici cattolici che da
quelli protestanti, e che finì in un malinteso tra clero secolare e regolare,
ancora in vita ai tempi di Morris.
Gerard non si occupa di questa controversia più di quanto sia richiesto
dalla sua narrazione, né si sofferma senza necessità sui casi dei preti “lapsi”. La missione inglese esigeva una grande resistenza fisica e morale,
mentre ci furono sempre in ogni strato del clero dei preti che si arresero alla persecuzione, che caddero vittime delle loro deficienze morali o che
vennero in Inghilterra senza guida e senza autorità, allo scopo di sottrarsi
alla disciplina regolare della vita ecclesiastica. Nell'Autobiografia questi
lapsi vengono giustamente annoverati tra i rischi inevitabili di una simile
impresa; e nessuna narrazione che trattava di prima mano le condizioni
dell'Inghilterra poteva tralasciare di trattare l'argomento dei preti che di-
ventavano traditori e che mandavano alla forca i loro primitivi fratelli.
Ogni prete in Inghilterra sapeva che il missionario lapso poteva costituire
una delle più sinistre minacce ed uno dei più grandi pericoli alla propria
sicurezza.
Se Gerard avesse scritto la storia della Chiesa, invece delle sue avventure,
avrebbe senz'altro menzionato il caso del suo confratello gesuita, Padre
Christopher Perkins, che abbandonò la Compagnia ed entrò al servizio del
governo, all'estero.
Nel tradurre di nuovo l'Autobiografia, non ho tralasciato, quindi, nessuno
dei passi che riguardano il triste o il più sordido aspetto della vita di un
missionario nell'Inghilterra elisabettiana. Il testo da me seguito è il manoscritto di Stonyhurst del secolo decimottavo. È il più antico, fra i testi
completi, che io sia riuscito a scoprire e vi sono tutte le ragioni per ritenere, secondo quanto sostiene il copista, che sia tratto da “la versione autentica di S. Andrea”, il noviziato romano dei gesuiti. Quando nel 1773 fu
soppressa la Compagnia di Gesù, gli archivi di S. Andrea furono dispersi e
l'originale del testo di Stonyhurst andò perduto. La fedeltà del testo, comunque, può essere controllata e confermata mediante altri documenti.
Anzitutto vi è un secondo manoscritto di Stonyhurst, che è stato trascritto
da un testo incompleto del secolo decimosettimo, tuttora conservato negli
archivi dei gesuiti a Roma. In secondo luogo, esistono lunghi passi, tratti
da manoscritti ancora anteriori, che furono incorporati nelle cronache della
Compagnia pubblicate durante la vita dello stesso Gerard. Solo nella cronologia degli eventi relativi alla sua fanciullezza è difficile accordare il
manoscritto di Stonyhurst con le fonti indipendenti dell'Autobiografia. È
probabile, tuttavia, che non si tratti di errori del copista, giacché le stesse
date ricorrono nei primissimi libri che attinsero dall'Autobiografia di Gerard.
Il manoscritto procede dalla prima all'ultima pagina senza alcuna suddivisione per capitoli. Per motivi di convenienza ho diviso la traduzione in capitoli, e questi in paragrafi, provvedendo i primi di titolo. Passando, però,
ad annotare il testo, nessuno dei metodi consueti mi è parso soddisfacente.
Dall'epoca della prima traduzione, fatta nel 1871, è stata pubblicata una
grande quantità di documenti - incartamenti di Stato, i manoscritti di Cecil
ed una collezione miscellanea raccolta nei volumi della Catholic Record
Society - che aggiungono colore e interesse alla narrazione. Introdurre tutto questo materiale in note di fondo pagina avrebbe significato distruggere
l'effetto artistico della narrazione.
Fu Padre Martin D'Arcy, provinciale dei gesuiti inglesi, che mi suggerì di
fare una traduzione aggiornata e di curare una nuova edizione dell'Autobiografia; a lui, perciò vanno i miei ringraziamenti. Ringrazio, inoltre,
Graham Green per la sua presentazione e molti altri ai quali sono ricorso
per consiglio: innanzitutto Padre Basil Fitz Gibbon, che, aiutandomi ad
annotare il testo, ha donato al presente volume tutto il valore ch'esso può
avere agli occhi dello storico; Padre Godfrey Anstruther, O.P., che mi ha
permesso di leggere e di usare senza alcuna restrizione il suo pregiatissimo
lavoro sulla famiglia Vaux, che spero venga presto pubblicato; Padre Leo
Hicks che mi risparmiò lunghe ore di lavoro mettendo a mia disposizione
tutte le copie delle lettere e tutti i documenti relativi alla storia di Gerard.
A tutti questi il libro deve moltissimo.
PHILIP CARAMAN
A.M.D.G.
PREFAZIONE DELL'AUTORE
Gli ordini dei superiori vengono da Dio, “da cui procede ogni potere”. È
per loro ordine che io mi accingo ad esporre in una narrazione semplice e
fedele tutto quello che, per provvidenza di Dio, mi accadde durante i diciotto anni in cui operai nella missione inglese. E in ciò non è proprio il
caso di vedere un'impresa insolita e straordinaria.
Ciò che ho realizzato è cosa insignificante, se viene paragonato all'opera
di altri che si sono dimostrati più validi strumenti di Cristo. Tuttavia, è
“cosa lodevole far conoscere le opere di Dio”, ed anche per questo motivo
non temo di peccare di modestia nel riferire i risultati dei miei poveri sforzi.
La mia dotazione di talenti e di doni naturali era ben poca cosa, mentre
ancor più esigua era la mia riserva di virtù. Inoltre, ero ben lungi dall'avere
un'intima unione con Dio; e poiché questa è la fonte di ogni progresso nello spirito e il segreto del successo nell'apostolato delle anime, c'era da aspettarsi che per mezzo mio Dio operasse meno di quanto ha realizzato
mediante gli altri. Difettavo di iniziativa ed ero tardo nel rispondere agli
inviti della grazia di Dio; non c'è quindi da meravigliarsi se mi lasciai
sfuggire molte occasioni e se altre ne rovinai. Quello che ho fatto è stato
operato da Dio. Ed a mio giudizio Egli ha scelto di operarlo per mezzo
mio perché io ero membro - un membro indegno, lo riconosco - di quel
corpo che ha ricevuto da Gesù, suo capo, un meraviglioso effluvio del suo
Spirito per la salvezza delle anime in questa ultima era di un mondo ansimante nel suo declino. Questo è quanto penso di quel che Dio si è compiaciuto di compiere in me e per mezzo di me.
I PRIMI ANNI
1564-1588
I miei genitori erano sempre stati cattolici e per questo motivo avevano
molto sofferto sotto la sferza di un governo eretico. Io non ero che un
bimbo di cinque anni e mio fratello non era molto più grande di me, quando fummo strappati dalla casa paterna e posti in una strana abitazione tra
eretici. Ciò fu allorché mio padre e due altri gentiluomini (1) furono imprigionati nella Torre di Londra sotto l'accusa di aver ordito un complotto
per liberare Maria, regina di Scozia, e restituirla al trono. A quel tempo,
ella si trovava in prigione a circa due miglia da noi, nel Derbyshire (2).
Allo scadere del terzo anno, mio padre sborsò una somma per la sua liberazione, ed appena fu libero ci richiamò a casa. La nostra fede era rimasta
illesa, giacché egli s'era preoccupato di affidarci alle cure di un tutore cattolico.
Più tardi, quando avevo ormai l'età di dodici anni, fui mandato a Oxford,
all'Exeter College (3), dove il mio istitutore fu Mr. Lewknor, uomo buono
e dotto, le cui idee e simpatie andavano al cattolicesimo. Vi rimasi, però,
meno di un anno, poiché nel tempo pasquale tentarono di costringerci ad
andare in Chiesa e a ricevere il Sacramento protestante. Così, ritornai alla
casa paterna insieme a mio fratello. Ci accompagnò Mr. Lewknor, il quale
desiderava divenire cattolico e condurre una vita cattolica, cessando di
praticarla solo col desiderio, come aveva fatto in passato (4).
Noi lo tenemmo in casa per molti anni in qualità di insegnante di latino. In
seguito si trasferì in Belgio, dove visse a lungo e morì santamente. Per il
greco vi era un sacerdote zelante, Padre William Sutton, il quale viveva
apertamente in casa nostra sotto le vesti di istitutore. Più tardi, entrò nella
Compagnia ed annegò in un naufragio al largo della costa del Belgio, dove
era stato inviato dai suoi superiori (5).
All'età di quattordici anni, ottenni il permesso di visitare la Francia per
imparare la lingua francese; perciò mi stabilii a Reims per tre anni (6).
Sebbene fossi ancora ragazzo e non avessi una sufficiente preparazione
negli studi umanistici, intrapresi lo studio della Sacra Scrittura. Consultavo i commentari sui passi più difficili e stendevo annotazioni durante le
conferenze pubbliche, tenute agli studenti di teologia della città. Ma, essendo maestro di me stesso, seguivo le mie preferenze e, di conseguenza,
non mi procurai quella solida formazione che mi sarebbe stata necessaria.
Leggevo attentamente le opere di San Bernardo, di San Bonaventura e di
altri scrittori ascetici. Fu proprio a quel tempo che, per Provvidenza divina, incontrai un santo giovane. Questi era entrato nella Compagnia a Roma, ma l'aveva dovuta abbandonare temporaneamente a causa della sua
malferma salute e si era stabilito a Reims (7). Egli mi parlò della sua vita
passata; possa Dio ricompensarlo di ciò! Mi narrò come era stato allevato
nella “Casa di Dio”, e mi disse quanto bello e salutare sia l'aver portato il
Suo giogo fin dai primi anni. Egli, inoltre, mi insegnò a pregare e, col
tempo, cominciammo ad incontrarci regolarmente per attendere alla preghiera mentale, perché noi due non abitavamo nel Collegio, bensì a pensione in città. Fu così - avevo a quel tempo circa quindici anni - che sentii
per la prima volta Dio nella Sua infinita misericordia e bontà chiamarmi
dai torti sentieri del mondo per guidarmi sul giusto cammino verso l'imitazione perfetta di Cristo nella Compagnia.
Dopo tre anni di permanenza a Reims, mi recai alla scuola di Clermont a
Parigi (8). Il mio intento era quello di studiare da vicino la vita gesuitica e
di procurarmi un'ulteriore formazione in latino e filosofia. Ma dopo appena un anno mi ammalai gravemente. Verso la fine della mia convalescenza
accompagnai Padre Thomas Darbyshire (9) a Rouen per incontrare Padre
Persons. Questi era appena arrivato dall'Inghilterra e dimorava segretamente in quella città, al fine di completare il suo Direttorio cristiano e di
assisterlo durante la stampa. Era, il suo, un libro stupendo e di grande utilità, che, a mio avviso, convertì più anime a Dio di quante pagine contenesse. Questo lavoro fu apprezzato moltissimo dagli stessi protestanti,
come si può constatare dalla recente edizione curata da uno dei loro ecclesiastici, il quale ha perfino tentato di appropriarsene il merito (10). In
quella circostanza parlai a Padre Persons della mia vocazione e del mio
desiderio di entrare nella Compagnia. Ma ero ancora molto debole e non
potevo continuare gli studi. Inoltre, avevo in Inghilterra delle proprietà di
cui disporre ed altre faccende da sistemare. Perciò, egli mi suggerì di tornare in patria, dove mi sarebbe stato più agevole recuperare le forze all'aria
nativa e sbrigare, nel contempo, le mie faccende, al fine di rendermi libero
di seguire la mia vocazione religiosa. Così, mi recai in Inghilterra (11), sistemai i miei affari e dopo circa un anno fui di ritorno. Questa volta non
feci formale richiesta per ottenere l'autorizzazione né potevo sperare di ottenerla, dal momento che non avevo osato informare i genitori delle mie
intenzioni.
Salpai con alcuni altri cattolici. Il vento, però, ci era contrario e, dopo cinque giorni di mare, fummo costretti ad approdare a Dover (12). Ivi fummo
tutti arrestati dalle guardie e dai funzionari doganali, quindi fummo rinviati a Londra sotto scorta (13). Mentre gli altri furono imprigionati per decisioni del Consiglio Privato della regina, io, sebbene mi fossi confessato
cattolico ed avessi rifiutato di partecipare alle funzioni eretiche, fui posto
in libertà grazie ai buoni uffici di alcuni membri del Consiglio, che sembravano essere ben disposti verso la mia famiglia. Costoro erano gli stessi
che nella precedente occasione mi avevano procurato l'autorizzazione per
recarmi all'estero (14). Essi speravano, suppongo, che la mia conversione
sarebbe stata semplicemente questione di tempo; infatti, con l'intenzione
di indurmi all'apostasia, mi inviarono dallo zio materno, che era protestante, per essere da lui tenuto in custodia (15).
Al termine di tre mesi, egli presentò al Consiglio una petizione per il mio
definitivo rilascio e, forse, si offrì a versare una cauzione. Ma quando gli
fu chiesto se io fossi “andato in chiesa”, secondo la loro espressione, dovette rispondere che tutti i suoi sforzi erano stati vani.
Quindi, il Consiglio mi inviò con una lettera di accompagnamento dal vescovo di Londra (16). Questi, dopo averla letta, mi chiese se fossi disposto
a discutere con lui sulla mia religione. Mi rifiutai, adducendo che non avevo dubbi di sorta sulla mia fede.
“In tal caso”, disse il vescovo, “dovrete rimanere qui prigioniero”.
Io gli feci osservare che non avevo voce alcuna in capitolo, essendo alla
mercé dei magistrati. Comunque, egli mi trattò con molta gentilezza, sperando, forse, di guadagnarmi all'eresia. Quindi, ordinò che fosse portato
nella mia camera il letto del suo cappellano. A più riprese evitai di trattare
con lui. Io comprendevo la mia fede e non intendevo affatto porla in discussione; tanto meno mi allettava l'idea di dover apprendere da lui ciò
che avrei dovuto credere. Ma poiché egli non cessava di bestemmiare e di
imprecare contro i santi e la Chiesa, fui costretto a difendere la mia religione. Passammo quasi un'intera nottata in argomentazioni e, con mia
grande sorpresa, constatai che il mio avversario non era in grado di opporre una, benché minima, difesa. Mi fu, perciò, facile convincerlo di errore.
Dopo due giorni si posero l'anima in pace e mi rinviarono al Consiglio con
quella che, a quanto mi dissero, era una lettera di raccomandazione. Infatti
il vescovo mi aveva assicurato di aver fatto per me tutto quello che era
nelle sue possibilità e si era detto fiducioso della mia liberazione. Ma quella, di cui ero latore, si dimostrò nient'altro che la lettera di Uria. Il Consiglio, infatti, dopo averla letta, ordinò che fossi imprigionato finché non
diventassi un suddito ligio alle leggi; giacché, secondo le loro concezioni,
colui che non si sottomette all'eresia e non frequenta le funzioni di rito
protestante è un suddito ribelle. Così, fui mandato a Marshalsea (17) ove
ebbi modo di conoscere un gran numero di cattolici e parecchi sacerdoti, i
quali con grande serenità di spirito attendevano la sentenza di morte o l'esecuzione. Il luogo era come una scuola di Cristo (18). Io vi rimasi dall'inizio della Quaresima sino alla fine della medesima nell'anno successivo.
Non ne fui minimamente rattristato, tanto più che avevo tutta la possibilità
di portare avanti i miei studi.
Durante questo periodo, fummo condotti davanti ai giudici in due occasioni. Non fummo processati per delitti capitali; ma, secondo le norme statutarie, ci fu inflitta una multa per aver rifiutato di andare in chiesa. Io dovetti sborsare duemila fiorini. Di ritorno da una di queste sedute, che aveva avuto luogo in campagna a circa sei miglia da Londra (19), mi fu concesso il permesso di visitare un amico, a condizione che tornassi in prigione prima di sera. Desideravo moltissimo vederlo. Egli era segretario nella
ripugnante prigione di Bridewell ed avevo saputo che era malato. È una
persona di cui non posso tacere. In precedenza era stato al seguito di Padre
Campion, quindi era stato catturato e recluso per lungo tempo nella mia
stessa prigione. Ivi lo avevo trovato in catene, per essersi lasciato sfuggire
alcune espressioni di lode nei confronti di quel padre. Le sue gambe erano
avvinte dai ceppi ed egli indossava un rude cilicio del quale non si liberava mai. Era molto mite e pieno di gentilezza. Ricordo di essere stato presente allorché un secondino lo percosse ripetutamente in viso, senza che il
brav'uomo proferisse una parola di lamento. Infine, fu trasferito insieme
ad altri tre a Bridewell, ove uno di essi pochi giorni dopo morì di fame
(20). Quando lo visitai (si chiamava John (21) ) era ridotto ad uno scheletro e si trovava in uno stato di estrema spossatezza, cagionata dal suo lavoro alla macina. Fu uno spettacolo pietoso: di lui non restavano che pelle ed
ossa, divorate, per giunta, dai pidocchi, che brulicavano come formiche su
una tana di talpe; nondimeno era paziente. Che io ricordi, non ho visto
mai più nulla di simile.
Ogni tanto si invadevano le nostre celle e si facevano perquisizioni nella
speranza di rinvenire vasi sacri, Agnus Dei (22) e reliquie. Una volta
fummo denunciati (quasi tutti) da un traditore, che fingeva di essere cattolico (23). Egli indicò i nostri nascondigli alle autorità della prigione, le
quali riempirono quasi un carro con i libri e i vasi sacri che ci furono sequestrati. Nella mia cella fu trovato tutto quello che era necessario per la
celebrazione della Messa. Infatti, in quella accanto era detenuto un buon
sacerdote e noi avevamo trovato il modo di aprire la porta che ci separava,
così che avevamo la possibilità di ascoltare la Messa nelle primissime ore
del mattino. Col tempo, riuscimmo a procurare di nuovo quanto ci era stato sequestrato e così neanche il demonio riuscì a privarci una seconda volta di questa grande consolazione.
L'anno successivo, le continue istanze dei miei amici mi procurarono la liberazione. In compenso, però, essi dovettero garantire, mediante una cauzione liquida, che io non sarei fuggito dal paese, mentre da parte mia dovetti impegnarmi a ricostituirmi in prigione allo scadere di ogni trimestre.
Tali garanzie si dovettero rinnovare tre o quattro volte, prima che potessi
procedere all'attuazione dei miei piani. Alla fine, però, si presentò l'occasione che andavo cercando. Un mio carissimo amico si presentò e si offrì
di andare personalmente in ostaggio, nel caso che io mancassi di costituirmi al tempo stabilito (24). In seguito, dopo che ebbi lasciato l'Inghilterra, egli pagò ben più di quanto la sua garanzia non comportasse: ci rimise,
infatti, la vita, essendo uno dei più in vista in quel gruppo di quattordici
nobili, che furono uccisi in quanto implicati nel processo di Maria, regina
di Scozia (25), e la cui esecuzione non fu altro che il preludio del dramma
che stroncò la stessa regina, come gli eventi ulteriori dovevano dimostrare.
Libero, alfine, mi recai in Francia. A Parigi trovai Padre William Holt (26)
che era giunto di recente dalla Scozia. Questi stava facendo preparativi per
recarsi a Roma col provinciale francese ed io mi unii alla comitiva.
A Roma mi fu consigliato di ultimare gli studi al Collegio Inglese e di ricevere gli ordini prima di entrare nella Compagnia. Misi in pratica il consiglio, sebbene desiderassi ardentemente entrare quanto prima in religione,
come ebbi a dichiarare a Padre Persons ed a Padre Holt; quest'ultimo era
allora rettore. Ma il clima romano non mi si confaceva ed io diventavo
sempre più impaziente di ritornare in Inghilterra. Essi lo compresero e mi
fecero cominciare l'anno con il corso di teologia morale e di apologetica; e
affrontai tutto il programma di teologia positiva. Quando finii - era proprio il tempo in cui la flotta spagnola veleggiava verso l'Inghilterra - il celebre Cardinal Allen, per un complesso di ragioni connesse con la causa
cattolica, chiese di farmi inviare in Inghilterra. Ma, poiché mi mancavano
ancora alcuni mesi per raggiungere l'età canonica indispensabile per ricevere gli ordini sacri, mi fu ottenuta la dispensa pontificia (27). Tuttavia,
non volevo abbandonare Roma prima di essere ammesso alla Compagnia.
In quella circostanza Padre Persons mi dimostrò ancora una volta la sua
gentilezza e mi ottenne il permesso di iniziare subito il noviziato per poi
completarlo in Inghilterra. Al Collegio Inglese vi erano altri che desideravano, come me, entrare nella Compagnia; così facemmo tutti del nostro
meglio per seguire la vita del noviziato a Sant'Andrea, offrendo spesso la
nostra opera in cucina e visitando gli ospedali della città. Per la festa dell'Assunzione di Maria Vergine, nell'anno 1588, Padre Aquaviva (28), allora Generale, ammise alla Compagnia il caro Padre Oldcorne e me e ci impartì la sua benedizione per la missione inglese.
Con Padre Oldcorne e due altri sacerdoti (29) del Collegio Inglese intrapresi il viaggio di ritorno in patria.
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NOTE AL CAPITOLO I
1 Gli altri due gentiluomini erano Sir Thomas Stanley e Francis Rolleston. Il complotto
fu svelato dal figlio di quest'ultimo George Rolleston. I loro interrogatori sono riprodotti nello Hatfield Calendar, vol. I, pp. 508-11. Nell'anno 1585 Maria Stuart, regina
di Scozia, ancora menzionava la lealtà del padre di J. G. e, lasciando Tutbury, chiese
di andare nella casa di lui ad Etwall.
2 Quando, nel 1603 nella città di York, Giacomo I conferì il titolo di cavaliere al fratello maggiore di J. G., questi scrisse: “ciò non costituì per lui avanzamento alcuno,
giacché i suoi antenati erano stati tali da sedici generazioni” (MORRIS, p. 1.). La famiglia era originaria di Kingsley, nel Cheshire, e, tra il 1331 ed il 1340, entrò in possesso di Bryn, l'ancestrale dimora di J. G., situata a circa cinque miglia a sud di Wigan,
allorché Joan, ereditiera di Thomas de Burnull, sposò William Gerard di Kingsley. Una
descrizione di Bryn Hall e dello stato rovinoso in cui si trovava circa centocinquant'anni or sono ci viene offerta dal Baine nella sua History of Lancashire (vol. III, p. 639).
Senza dubbio, non fu qui che J. G. vide la luce il 4 ottobre 1564, bensì nella dimora di
sua madre Elizabeth, ereditiera di Sir John Port. Suo padre Sir Thomas Gerard fu nominato cavaliere nel 1553 e fu sceriffo del Lancashire nel 1558. Come suo figlio John,
sembra che avesse sortito un carattere romantico ed avventuroso. L'impresa di salvare
Maria, regina di Scozia, quando fu imprigionata a Tutbury nello Staftordshire a poche
miglia da Etwall, e di portarla nell'isola di Man è argomento di numerose pagine del
manoscritto di Hatfield. L'inizio del complotto si può far risalire all'anno 1569, allorché
J. G. aveva cinque anni, sebbene fu solo nel 1571 che suo padre fu imprigionato nella
Torre. Alla sua liberazione nel 1573 (Acts of the Privy Council, 29 maggio 1573), Sir
Thomas Gerard riportò i figli a Bryn (Hat. Cal., I, p. 595). Il denaro, che egli sborsò
per riacquistare la libertà, fu fornito dalla vendita forzata del castello di Bromley a suo
cugino Sir Gilbert Gerard, procuratore generale. Dall'agosto del 1586 all'ottobre del
1588 Sir Thomas fu imprigionato di nuovo per presunta complicità nel complotto di
Babington e sembra che dopo il suo rilascio abbia abbandonato la pratica della fede,
sebbene vi ritornasse prima della morte, avvenuta nel 1601. Da allora la sua famiglia
rimase fermamente cattolica e si mantenne fedele alla causa degli Stuart. A York, nel
1603, durante il suo viaggio alla volta di Londra, Giacomo I espresse la sua gratitudine
a Thomas, fratello di J. G., per la lealtà che la sua famiglia aveva mostrato verso sua
madre. Egli disse: “Sono particolarmente obbligato ad amare il vostro sangue per la
persecuzione che avete sopportato per me”. Più tardi, nel 1611, quando fece di Thomas un baronetto gli consegnò la somma di mille sterline in considerazione di tutto
quello che suo padre aveva sofferto per Maria, regina di Scozia. Per la storia della famiglia, vedi MORRIS, passim; Victoria County History of Lancaster, vol. IV, pp.
143-146; J. S. LEATHERBARRow, Lancashire Elizabethan Recusants (Chetham
Society, 1947, vol. CX); Lancashire Register C.R.S., vol. XXXVI, passim.
3 J. G. vi fu immatricolato insieme al fratello Thomas il 3 dicembre 1575. Vedi appendice A, Cronologia dell'infanzia di Gerard.
4 Edmund Lewknor, nativo di Chichester, consegui il baccellierato in lettere a Cambridge e divenne membro dell'Exeter College di Oxford nel 1566. Egli si dimise il 26
novembre 1577. Cfr. la cronologia dell'infanzia di J. G., appendice A, p. 261.
5 William Sutton entrò nella Compagnia a Parigi il 26 marzo 1582. Cobham, l'ambasciatore inglese a Parigi, rilevò il suo arrivo in un dispaccio del 12 marzo. “Egli è di alta statura, alquanto rosso in viso, di circa venticinque anni (allora aveva, probabilmente, trent'anni); è tutto vestito a nuovo a spese dei papisti di Parigi con un lungo mantello nero dai baveri di velluto, con un corpetto di raso nero e con un paio di veneziane e
di calze nere”. C.S.P., Foreign, 1581-1582, p. 551.
6 Al seminario fondato a Douai dal Cardo Allen nel 1568. J. G. arrivò a Douai il 29
agosto 1577. Nel marzo successivo l'istituto si trasferì a Reims. T. F. KNox, Douai
Diaries, p. 129.
7 Questi era probabilmente “un giovane nobile di nome Lavel”, che giunse a Reims il
9 luglio 1579 e ne riparti il 9 ottobre dello stesso anno per studiare a Parigi. Di li andò
a Roma, dove entrò nel Collegio Inglese; in seguito, però, fu dimesso perché rifiutò di
pronunciare il giuramento dei missionari. T. F. KNOX. Douai Diaries, pp. 155-157.
8 La scuola famosa dei gesuiti francesi, fondata nel 1564.
9 Nipote del vescovo Bonner, percorse a grandi passi la carriera ecclesiastica sotto
Maria Tudor, e divenne arcidiacono di Essex, canonico di S. Paolo e cancelliere della
diocesi di Londra. Quando salì al trono Elisabetta, fu destituito da tali cariche e divenne uno dei primi gesuiti inglesi, entrando a far parte della Compagnia a Roma il 10
maggio 1563. Probabilmente fu considerato troppo vecchio per tornare in Inghilterra
con Persons e Campion. Per la maggior parte del tempo rimase a Parigi, dove molti
cattolici inglesi, tra cui Southwell e J. G., beneficiarono della sua influenza. Dispensa-
va il suo tempo insegnando il catechismo ai ragazzi poveri e tenendo conferenze teologiche alla Sorbona, ove, come attesta Anthony Wood, “insegnò con molto successo e
col plauso degli uomini più dotti della città”. Morì a Pont-à-Mousson il 6 aprile 1604.
FOLEY, III, p. 703 sg.
10 Nell'autunno del 1581 Padre Persons si trovava a Rouen. II Direttorio cristiano fu
pubblicato l'anno seguente e fu l'opera più popolare di Persons. Fu letta sia dai cattolici
che dai protestanti e fu, in quel periodo, il libro più venduto della letteratura ascetica
inglese. Allo scopo di limitarne l'influenza, Edmund Bunny, noto teologo protestante,
ne pubblicò nel 1584 un'edizione in cui il trattato di Persons veniva purgato “delle sue
corruzioni e dei suoi errori”. Almeno una dozzina di edizioni protestanti erano state
stampate prima del 1600. Quella a cui J. G. si riferisce è l'edizione di Bunny del 1609.
Il Direttorio cristiano rimase il libro di devozione preferito dai protestanti inglesi, finché non furono pubblicati il Saints' Everlasting Rest di BAXTER e lo Holy Dying di
JEREMY TAYLOR. Cfr. H. THURSTON, Catholic Writers and Elizabethan Readers,
The Month, December 1894.
11 Era ancora a Parigi nel marzo 1582, allorché suo padre gli venne in aiuto; forse con
medicine o con denaro per il suo viaggio di ritorno. In una lunga lettera del 28 marzo,
Cobham scrisse a Walsingham: “Mi si dice che Sir Thomas Jarret ha un figlio che vive
qui nel collegio dei gesuiti. A questo un uomo di fiducia ha recato l'altro giorno degli
aiuti”. C.S.P., Foreign, 1581-1582, p. 585.
12 J. G. s'imbarcò a Gravesend. A bordo, però, vi era una spia che sicuramente inviò
un rapporto non appena essi sbarcarono a Dover. La spia era Thomas Dodwell. In una
relazione, inviata al governo senza data alcuna, questi riferiva che “Raindall, un doganiere di Gravesend, riceveva denaro dai passeggeri e li lasciava passare senza alcun
controllo. lo stesso sfuggii due volte in questo modo [essendo in compagnia di] Hunt,
che adesso si trova a Marshalsea, del secondogenito di Sir Thomas Gerrat Kt. [J. G.],
di Berington, di Alfield, di Pansfoote, figlio ed erede di Mr. Pansfoote di Gloucestershire...”. FOLEY, VI, p. 726; citando S.P.D., vol. CLXVIII, n. 35.
13 Il 9 novembre Edward Stephens, un ufficiale di dogana, ricevette un compenso in
denaro per aver scortato otto persone da Dover a Londra. Si trattava di J. G. e del suo
gruppo. P.R.O., Treasury Chamber Accounts.
14 Probabilmente si trattava del suo parente Sir Gilbert Gerard di Bromley, Staffordshire, magistrato che era allora il responsabile degli Archivi dell'Alta Corte di Giustizia. D.N.B., XXI, p. 218.
15 Siccome sua madre non aveva fratelli, è probabile che J. G. si riferisca al marito di
una sorella di lei. Questi fu, molto probabilmente, George Hastings che nel 1595 successe a suo fratello quale quarto conte di Huntington. Egli aveva sposato Dorothy, una
sorella di Elizabeth Port, madre di J. G. Suo fratello, il terzo conte, era presidente del
Consiglio del Nord e si dimostrò un accanito persecutore dei cattolici.
16 John Aylmer, vescovo di Londra dal 1577 al 1594.
17 J. G. entrò a Marshalsea il 5 marzo 1584. C.R.S., vol. II, p. 233.
18 “Una banda di bricconi”, diceva lo Aylmer dei quarantasette prigionieri cattolici,
che allora si trovavano a Marshalsea. Questa descrizione di Marshalsea è tratta da una
lettera inviata dal Vescovo Aylmer a Burghley in data 5 dicembre 1583 (British Museum, Landsdowne MSS, 38, n. 37). Aylmer conferma il racconto circostanziato di J.
G. circa la Messa. “Questi preti miserabili, scrive, di solito celebrano la Messa in prigione”. Diciassette dei prigionieri erano sacerdoti; di questi, Hartley, Stephen Rowsham e John Adams furono più tardi uccisi, mentre il quarto, Thomas Crowther, mori
in prigione. MORRIS, p. 20.
19 Il tribunale si era riunito in campagna, perché a Londra, allora, infuriava la peste.
20 Bartholomew Temple. Un giorno del 1585, mentre la regina passeggiava nel suo
parco a Greenwich, un laico cattolico, Richard Shelley, le presentò una petizione affinché fossero alleviate le pene dei cattolici. Questi fu arrestato e processato. Alla domanda “Chi sono quelli che sono morti di fame in prigione?” diede la seguente risposta, riportata da Burghley: “Temple è morto di fame a Bridewell”. British Museum,
Sansd. 45, n. 76, foi. 178. Il nome di Bartholomew Temple si trova scritto accanto a
quello di J. G. in un elenco dei prigionieri del carcere di Marshalsea, stilato il 22 marzo 1583. C.R. S., vol. II, p. 233.
21 John Jacob, musicista d'Oxford. Arrestato a Lyford Grange nel luglio del 1581, insieme ad Edmund Campion, John Jacob si trovava nella prigione di Marshalsea quando nel 1583 vi fu mandato J. G. Il 17 maggio 1584 fu trasferito a Bridewell. Siccome
non si sa nulla di lui dopo la visita di J. G., può darsi che vi sia morto a causa del cattivo trattamento. R. SIMPSON, Edmund Campion, p. 246; C.RS., vol. II, p. 233; ST.
G. HYLAND, A century of Persecution, p. 405.
22 Dischi di cera, benedetti dal Papa, su cui erano impresse la croce e l'immagine dell'agnello. L'Agnus Dei viene portato di solito attorno al collo come una medaglia. Le
sue origini risalgono probabilmente al quinto secolo ed è simbolo di Cristo, l'Agnello
del Nuovo Testamento. La croce, associata all'agnello, indica che l'oggetto sacro serviva a proteggere chi lo portava da ogni influenza malvagia, come il sangue dell'agnello pasquale protesse le famiglie ebraiche dall'angelo distruttore.
23 Questi fu la stessa spia, Dodwell. In una relazione, scritta probabilmente nel febbraio del 1594, egli si riferisce alle perquisizioni periodiche menzionate da J. G. “In
una stanza vi sono quattro sacerdoti del seminario... ma nonostante che essi vengano
spesso perquisiti, sanno nascondere le cianfrusaglie necessarie per la Messa in luoghi
così segreti che a stento si possono trovare; spesso, perciò, celebrano la Messa. Siccome Sir George Carey, e i suoi uomini avevano loro sequestrato a più riprese i calici
d'argento, essi si sono provveduti di un calice di stagno”. FOLEY, VI, p. 726 citando
S.P.D., vol. CLXVIII, n. 35.
24 Anthony Babington, che si trovava a Parigi con J. G. nel 1580 e che garantì all'ultimo rinnovamento del 30 aprile 1586. Poco dopo aver visitato a Denham sua sorella
sposata, Lady Peckham, durante la Pentecoste seguente, J. G. riparò in continente. J.
G. afferma che le garanzie furono rinnovate tre o quattro volte. Ma con tutta probabilità egli si è sbagliato, giacché arriveremmo al 1585 e non 1586. Cfr. a p. 244 dell'opera
di SAMUEL HARNETT, A Declaration of Egregious Popish Impostures (1603) la
deposizione fatta da Anne Smith il 12 marzo 1598, ma relativa agli avvenimenti del
1586. “Il mercoledì della settimana di Pentecoste [25 maggio 1586], mentre ella stava
a Denham [in casa di Lady Peckham, sorella di J. G.] giunsero il signor Salisbury che
fu ucciso [Thomas Salisbury, ucciso il 21 settembre 1586], il signor John Gerard ed il
signor George Peckbam”. J. G. fuggì probabilmente alla fine di maggio o ai primi di
giugno. Esistono le copie autentiche delle garanzie alle quali egli si riferisce nel
S.P.D., come, ad esempio, quelle del quinto rinnovamento. “31 ottobre 1585. John
Gerrard (sic) di Brinne, nella contea di Lincoln (sic), gentiluomo, deve ritornare prigioniero a Marshalsea fra tre mesi”. (MORRIS, p. 23). È interessante notare che quell'anno nacque Robert, figlio di Lady Peckham. All'età di quattordici anni Robert andò a
St. Omers; in seguito, nel 1613, entrò nella Compagnia a Lovanio, dove suo zio, J. G.,
era a quel tempo maestro dei novizi. Egli morì nel Leicestershire nel 1621. C.RS., vol.
XXX, p. 82.
25 Anthony Babington fu ucciso il 20 settembre 1586, circa tre settimane dopo l'arrivo
di J. G. a Roma. Padre Weston, che J. G. menziona più tardi nella narrazione, lo descrive “attraente tanto nel volto che nella persona, di intelligenza vivace, simpatico e
gaio; aveva un talento letterario non comune tra gli uomini di mondo. Quando fu ucciso non aveva che venticinque anni”. J. H. POLLEN, Mary Stuart and the Babington
Plot (Scottish Historical Society, serie III), vol. III, p. 106.
26 Nato ad Ashworth, nel Lancashire, fu inviato in Inghilterra nel 1581 per continuare
il lavoro cominciato da Persons e Campion. Come il padre di J. G., egli era un ardente
sostenitore di Maria Stuart. Quando J. G. lo incontrò a Parigi, era appena ritornato dalla Scozia alla volta di Roma, dove doveva assumere la direzione del Collegio Inglese.
Morì in Spagna nel 1599. D.N.B., XXVII, pp. 208-209.
27 La dispensa di J. G. è registrata nel Liber Ruber del Collegio Inglese: “Il permesso
di ricevere la sacra ordinazione, nonostante la sua età, fu concesso da Papa Sisto V;
ciò avvenne dietro petizione dell'illustre Card. Allen”. c.R.S., vol. XXXVII, p. 62.
28 Padre Aquaviva, uno dei migliori Generali della Compagnia. Fu eletto il 19 febbraio
del 1581 e morì il 31 gennaio 1615. Mostrò grande interesse per l'Inghilterra e ripose
una speciale fiducia in Padre Persons, tanto per gli affari d'Inghilterra, quanto per la
composizione delle difficoltà incontrate dalla Compagnia in terra di Spagna. Grazie alla sua influenza su Filippo II, Persons seppe indurre il re a sostenere Aquaviva e a non
sottomettere la Compagnia all'Inquisizione. PASTOR, Storia dei Papi, vol. XXIXXIV.
29 Ralph Buckland e Arthur Stratford.
II. LO SBARCO
Novembre 1588
Attraversando la Svizzera, passammo una notte a Basilea e decidemmo di
visitare i vecchi edifici cattolici della città: normalmente i luterani li lasciano intatti, mentre i calvinisti li distruggono. Stavamo voltando all'angolo di una chiesa, quando ci raggiunse un uomo il quale si offrì a farci da
guida per mostrarci tutte le cose degne di essere viste. Naturalmente,
fummo alquanto sorpresi dell'inaspettata cortesia di un luterano nei confronti di preti cattolici: indossavamo, infatti, la talare. E siccome egli sapeva il francese, gli chiesi di dove fosse. Risultò che era della Lorena. Gli
chiesi poi perché avesse abbandonato il suo paese e la sua vecchia fede; a
ciò rispose dicendo che non poteva vivere sotto un regime cattolico. Quindi, gli domandai quali fossero le leggi cattoliche che egli trovava particolarmente dure, giacché la Chiesa Cattolica insegna il Vangelo di Cristo, il
cui giogo è dolce ed il cui peso è leggero. Alla fine, scoprii che era un sacerdote e che era fuggito a Basilea. Ivi viveva con una donna, che spacciava per sua moglie, nella stessa casa nella quale avevamo alloggiato la notte
precedente e manteneva sé e lei praticando l'usura. Perciò, lo esortai seriamente ad abbandonare quella strada infernale e a volgere nuovamente i
suoi passi verso il sentiero celeste. Gli consigliai di provvedere alla donna,
di non dare più danaro ad interesse illecito e di lavorare per guadagnarsi la
vita o di mantenersi in qualche altra maniera onesta. Alla fine promise di
attenersi al mio consiglio; quindi, mi incaricò di recare al suo vescovo una
lettera nella quale chiedeva la riconciliazione. Passando per la Lorena,
consegnai la lettera e voglio sperare che il poveretto non abbia desistito
dal suo buon proposito.
Come meglio potemmo, passammo in incognito per Reims (1), ove a quel
tempo sorgeva il seminario inglese, quindi per Parigi (2), e giungemmo ad
Eu. Ivi era stata aperta una scuola per ragazzi inglesi, scuola che più tardi
fu chiusa, sia a causa delle guerre, sia per il fatto che era stata inaugurata a
St. Omers una migliore e più fiorente fondazione. I nostri confratelli del
luogo consultarono i sacerdoti che dirigevano l'istituto (3), i quali furono
unanimi nello sconsigliare il ritorno in Inghilterra, mentre le cose si trovavano a quel modo. La flotta spagnola aveva esasperato la gente contro i
cattolici. Dovunque si organizzavano cacce contro di essi e le loro case
venivano perquisite, mentre in ogni villaggio e lungo tutte le strade e tutti i
sentieri si faceva buona guardia per catturarli. Il Conte di Leicester, allora
all'apice della sua potenza, aveva giurato che per la fine dell'anno non sarebbe rimasta ombra di cattolico nel paese; ma il poveretto non aveva ben
calcolato i suoi giorni, perché fu sotterrato proprio in quello stesso anno
(4).
Quindi decidemmo con riluttanza di trattenerci lì per un certo tempo, finché da Roma non avessimo ricevuto una risposta da Padre Persons, il quale, infatti, ci scrisse a nome del Padre Generale. La situazione, egli diceva,
era molto cambiata da quando avevamo lasciato Roma, ma il lavoro che ci
era destinato era opera di Dio; di conseguenza, eravamo liberi di continuare l'impresa o di indugiare finché in Inghilterra le cose non si fossero ricomposte. Questa era la risposta che desideravamo. Vi fu una piccola discussione, quindi trovammo una nave pronta a recarci oltre la Manica per
lasciarci sulle coste settentrionali dell'Inghilterra, che sembravano rappresentare la parte più calma. Si unirono a noi due sacerdoti di Reims, che erano ansiosi di trovare un passaggio, e noi li accogliemmo a bordo. I nostri
compagni di viaggio decisero, però, di rimandare alquanto la partenza,
giacché non intendevano gettarsi a capofitto in un tale pericolo.
Noi quattro sacerdoti ci imbarcammo (5). La nostra fu una spedizione fortunata se si esclude la mia persona, poiché la mia indegnità mi privò della
corona del martirio. Gli altri tre morirono martiri per la loro fede. I due sacerdoti di Reims furono subito catturati: consummati in brevi impleverunt
tempora multa. I loro nomi erano Christopher Bales e George Beesley (6).
Ma il mio compagno, Padre Oldcorne, lavorò alacremente per circa diciotto anni prima che, anch'egli, irrorasse col suo sangue la vigna del Signore.
Dopo la traversata, risalimmo lungo la costa inglese. Il terzo giorno, il mio
compagno ed io avvistammo un posto che sembrava ottimo per lo sbarco.
Ma siccome consideravamo pericoloso raggiungere la costa tutti insieme,
ci riunimmo in preghiera per invocare l'aiuto di Dio. Dopo esserci consultati, ordinammo che la nave gettasse l'ancora al largo fino al calar della
notte (7). Alla prima ora di notte fummo portati a riva in barca ed ivi
fummo lasciati. Quindi, la nave spiegò le vele e si allontanò.
Ci raccogliemmo in preghiera per pochi istanti e ci affidammo alla protezione di Dio. Quindi, ci incamminammo alla ricerca di un sentiero che ci
conducesse il più possibile nell'entroterra e ci permettesse di porre alle nostre spalle la maggior distanza dalla costa, prima dell'alba. Ma la notte era
buia ed il cielo coperto di nuvole, perciò non potemmo trovare il sentiero
voluto per inoltrarci nei campi. Tutte le piste che battevamo conducevano
a qualche casa, come potevamo constatare allorché i cani cominciavano ad
abbaiare. Ciò avvenne due o tre volte. Temendo di svegliare gli abitanti e
di essere inseguiti come ladri, decidemmo di riparare in un bosco vicino e
di riposare ivi fino al mattino. Si era alla fine di un ottobre umido e piovoso e noi passammo una notte insonne (8). Non osavamo neanche parlare,
perché attigua al bosco vi era una casa. Tuttavia, in meno di un baleno, tenemmo un consulto. Sarebbe stato meglio incamminarci assieme alla volta
di Londra o separarci in maniera che, se l'uno fosse preso, l'altro potesse
scampare? Esaminammo attentamente entrambe le possibilità. Alla fine
decidemmo di separarci e di andarcene ognuno per conto proprio.
Alle prime luci dell'alba sorteggiammo chi di noi dovesse abbandonare per
primo il bosco. La sorte cadde su Padre Oldcorne, il quale fu anche il primo ad abbandonare questo mondo per il cielo. Quindi dividemmo in parti
uguali il nostro danaro, ci abbracciammo e ci impartimmo reciprocamente
la benedizione (9).
Il futuro martire si allontanò. Costeggiando la spiaggia in direzione della
città più vicina, si imbatté in un gruppo di marinai e di pescatori in cammino verso Londra (10). Egli si unì ad essi e, essendo uomo di grande tatto e discrezione riuscì ad adattarsi alla loro mentalità, quando essi parlavano di cose di nessuna importanza. Ma in due o tre occasioni il buon padre dovette redarguirli, quando essi cominciarono a bestemmiare ed a scivolare in lubriche conversazioni. Ciò, naturalmente, era una cosa pericolosa, come egli ebbe a dirmi in seguito. Ma il suo zelo, in queste cose, era
ammirevole. Di questo ho molti esempi a disposizione, ma uno basterà per
tutti.
Una volta, a Londra, visitò la casa di un cattolico, che era suo strettissimo
amico. Nella finestra della sua camera egli vide un pannello di vetro sul
quale erano raffigurati Marte e Venere. La scena era indecente, e sebbene
la casa non appartenesse al suo amico - l'aveva infatti presa in fitto - Padre
Oldcorne, incapace di sopportare quella vista, colpì il vetro con un pugno
e disse al suo amico che era inconcepibile da parte sua tollerare una cosa
del genere nella sua abitazione. Questo era un tratto tipico del suo zelo per
l'onore di Dio e per la verità.
Il buon padre, quindi, si unì ai marinai. Egli sapeva come combinare la
prudenza del serpente con la semplicità della colomba, e si comportò in
maniera da far trasparire quanto egli disapprovasse le loro conversazioni.
Tuttavia, nonostante la loro rozzezza, riuscì a conquistarsene l'affezione; e,
mediante l'aiuto che essi inconsciamente gli fornirono, raggiunse felicemente Londra. Vi erano guardie in quasi ogni villaggio per il quale passa-
rono (11); ma queste lo presero per uno della compagnia, composta di persone il cui abito ed il cui comportamento non aveva nulla in comune con
la gente di cui essi erano a caccia.
Non appena il mio compagno si fu allontanato, uscii dal bosco per un sentiero diverso. Avevo coperto una breve distanza, quando mi imbattei in alcuni contadini che venivano verso di me. Mi avvicinai subito ad essi e
chiesi loro se sapessero nulla di un falco randagio; forse essi avevano udito il tintinnio del suo piccolo campanello mentre volava nei paraggi. Volevo indurli a credere che avevo smarrito il mio volatile e che stavo battendo
la contrada nel tentativo di rintracciarlo. Ciò, infatti, è quanto fanno i falconieri. Ed essi non si sarebbero sorpresi del fatto che ero un estraneo, ignaro dei sentieri e della zona circostante; con questa gherminella avrebbero facilmente creduto che ero arrivato fin lì nella mia battuta. Mi risposero che non avevano né visto né udito alcun falco di recente, e dal loro
volto compresi quanto fossero dispiaciuti per non essere in grado di pormi
sulla giusta traccia. Quindi, mi allontanai con una smorfia di disappunto
fingendo di riprendere le ricerche tra gli alberi ed i cespugli circostanti. In
tal modo, mi allontanai dalla strada senza destare i loro sospetti. Infatti, mi
osservarono con un senso di partecipazione mentre mi inoltravo nelle siepi, allontanandomi, nel contempo, dal mare. Ogni qualvolta avvistavo
qualcuno nei campi, mi dirigevo verso di lui e gli rivolgevo le stesse domande intorno al falco, tenendo celato il mio vero proposito. Tutto ciò era
inteso ad evitare i villaggi e le strade di traffico e ad allontanarmi dalla costa, luoghi che ben sapevo muniti di guardie, che presidiavano i passaggi
obbligatori per catturare gli stranieri (12). Passai così la maggior parte della giornata sforzandomi di coprire nel complesso dalle otto alle dieci miglia, camminando naturalmente non in linea retta ma diagonalmente, e rifacendo spesso la strada per la quale ero venuto. Alla fine della giornata
ero fradicio ed affamato. Avevo avuto una difficile traversata e non mi era
stato possibile a bordo né mangiare né dormire; perciò mi decisi a passare
la notte in un albergo del villaggio nel quale ero di passaggio, ritenendo
molto improbabile che si facessero delle domande ad un uomo che entrasse in esso.
Mi feci portare del cibo e non tardai a constatare che la gente era molto
cordiale, specialmente allorché mi dissi pronto a comprare un pony delle
loro stalle. Acquistai l'animale da un pover'uomo ad un prezzo conveniente e ragionevole. A cavallo speravo di muovermi più rapidamente e con
maggior sicurezza, poiché chi viaggia a piedi viene creduto spesso un gi-
rovago ed è passibile di arresto anche in tempi di calma.
La mattina successiva montai a cavallo e presi la strada di Norwich, la città più importante di quella contea. Non avevo coperto neanche due miglia,
allorché all'entrata di un villaggio dovetti passare attraverso un gruppo di
guardie. Mi ordinarono di scendere e mi chiesero chi fossi e donde venissi.
Risposi loro che mi trovavo a servizio di un certo Lord che viveva in un'altra contea - in realtà questi mi conosceva molto bene, benché le guardie
non ne avessero sentito parlare - e spiegai loro come il mio falco fosse
fuggito e come fossi in giro nel tentativo di rintracciarlo.
Nelle mie parole non poterono trovare nulla da eccepire; tuttavia non mi
lasciarono passare. Quindi, dissero che dovevo presentarmi dal governatore e dall'ufficiale delle guardie, i quali entrambi in quel momento si trovavano in chiesa per assistere alle funzioni eretiche (13).
Mi avvidi subito che non potevo fuggire e che ogni mia resistenza sarebbe
stata fuori posto. Non potendo convincerli, mi assoggettai a seguirli nel
cimitero circostante la chiesa. Dissi loro di andare e di annunziarmi all'ufficiale. Una delle guardie si recò in chiesa e ne tornò dicendo che l'ufficiale voleva che io lo raggiungessi all'interno della chiesa, dove intendeva
parlarmi al termine della funzione.
“Se egli non desidera uscire”, dissi, “lo attenderò qui”.
“No, vi dovete recare in chiesa”.
Io tentai di nuovo.
“Non desidero abbandonare il mio cavallo, e perciò resterò qui”.
“In altre parole, non volete recarvi ad ascoltare la santa parola di Dio. Vi
avverto che, se vi rifiutate, complicherete la vostra situazione. Il vostro cavallo non è tale da destare preoccupazioni. Se è necessario, ve ne otterrò
uno migliore”.
“Andate a dire all'ufficiale”, ripetei, “che, se egli desidera vedermi, o deve
permettermi di aspettarlo qui, o deve venir fuori immediatamente”.
Il messaggero ritornò con questa risposta e l'ufficiale usci all'istante con
alcuni attendenti e cominciò ad interrogarmi. Dall'espressione del viso mi
accorsi che era adirato. Per prima cosa mi chiese donde venissi ed io elencai un buon numero di località che sapevo non molto distanti. Quindi mi
domandò quali fossero il mio nome, la mia professione, il mio paese di origine e la ragione del mio viaggio; a ciò diedi le stesse risposte di prima.
Quando, finalmente, mi chiese se ero latore di qualche lettera, lo invitai a
perquisirmi in maniera da convincersi, ma egli non volle. Comunque, insisté dicendo che era suo dovere portarmi davanti al giudice di pace. Per tut-
ta risposta mi professai pronto a seguirlo, nel caso che fosse realmente necessario; altrimenti intendevo affrettarmi, poiché era ormai molto tempo
dacché avevo lasciato il mio signore. Lo pregai, quindi, di volermi far proseguire. Dapprima oppose un netto rifiuto: sembrava che non si potesse fare a meno di comparire davanti all'ufficiale superiore per esser da lui gettato in prigione, come certamente sarebbe accaduto. Poi mi guardò con un'espressione più mite.
“Voi avete l'espressione di una persona onesta. Proseguite, quindi, in nome di Dio. Non desidero trattenervi oltre”.
Né la Provvidenza divina mi abbandonò dopo ciò. Mentre cavalcavo, avvicinandomi sempre di più alla città, scorsi davanti a me un giovane a cavallo che portava un grosso pacco. Decisi di giungere alla sua altezza per
ricevere da lui maggiori informazioni circa la città e, in particolare, per
sapere quale fosse il miglior luogo per alloggiare. Sembrava proprio il tipo
al quale potessi fare delle domande senza destare sospetti. Ma il suo cavallo era migliore del mio e, sebbene spronassi insistentemente la mia bestia,
non riuscivo a colmare la distanza che mi separava da lui. Lo seguii per
due o tre miglia; poi, in maniera provvidenziale, gli scivolò il pacco sulla
strada ed egli dovette fermarsi, scendere da cavallo e ricaricarlo. Appena
lo raggiunsi, potei constatare che si trattava di un giovane rozzo, proprio il
tipo di cui avevo bisogno. Egli mi disse molte cose che mi sarebbero state
utili nel caso che mi fossi trovato in pericolo; infatti, sebbene ne fossi inconscio, Dio per mezzo di lui mi stava tirando fuori da ulteriori pericoli.
Per prima cosa, gli chiesi se poteva raccomandarmi un buon albergo vicino alla porta della città, per evitare di trascinarmi il cavallo per le strade
nel tentativo di trovarne uno. Mi rispose che vi era un albergo all'altro capo della città e che io vi sarei potuto giungere cavalcando lungo i sobborghi. Alla fine lo indussi a mostrarmi la strada ed a descrivermi l'insegna
dell'albergo. Quindi lo lasciai procedere più speditamente lungo la strada
che conduceva direttamente alla città, strada che io avrei certamente preso
qualora non lo avessi incontrato. Essa mi avrebbe condotto senz'altro in
trappola, e così non sarei stato protagonista di quelle vicende che mi sono
occorse per la maggior gloria di Dio e per il bene di molte anime.
Seguii le istruzioni di quel giovane. Costeggiando le mura della città giunsi alla porta che egli aveva descritto. Al di là di questa scorsi l'albergo
(14).
Mi trovavo lì da poco tempo, quando entrò un uomo che sembrava ben
noto ai presenti. Questi mi salutò cortesemente e si pose a sedere accanto
al fuoco per riscaldarsi. Poi cominciò a parlare di alcuni nobili cattolici
imprigionati nella città e proferì il nome di una persona, della quale sette
anni prima avevo conosciuto un parente nel carcere di Marshalsea a Londra (15). Ascoltai attentamente senza interloquire. Dopo che quegli uscì,
domandai di lui all'uomo con cui stavo parlando.
“È un'ottima persona”, mi disse quello, “solo che è un papista”.
“Come lo sapete?”, continuai.
“Ha trascorso diversi anni nelle prigioni della città”. (Queste si trovavano
soltanto a due passi dall'albergo). “Ivi si trovano molti altri nobili cattolici
(16) e quest'uomo è stato rilasciato solo da poco tempo”.
“È stato rilasciato”, chiesi, “perché ha abbandonato la vecchia fede?”.
“No, e non lo farà mai, poiché è molto ostinato. Ne è uscito solo perché ha
versato una cauzione; ma deve presentarsi in prigione ogni qualvolta venga richiamato (17). Vi è un certo affare che egli sbriga per una persona detenuta in prigione e che lo obbliga a venire qui frequentemente”.
Me ne stetti tranquillo finché l'uomo non tornò; e, quando gli altri uscirono, gli dissi che desideravo scambiare qualche parola con lui in un luogo
sicuro. Avevo udito che egli era cattolico, gli dissi, ed ero molto lieto di
ciò perché tale ero anch'io. Poi gli spiegai la ragione per cui mi trovavo lì.
Aggiunsi che desideravo recarmi a Londra e che, se mi avesse usato la
cortesia di presentarmi a delle persone conosciute lungo la strada in maniera da aggregarmi a loro e divenire un membro della loro comitiva, avrebbe fatto un buon servizio da buon cattolico. Gli feci notare che ero in
grado di sostenere le mie spese e che non sarei stato loro di peso in alcun
modo.
Tuttavia, egli non conosceva nessuno che stesse in procinto di andare a
Londra; perciò gli chiesi se poteva fornirmi il nome di qualche persona
che potesse scortarmi dietro compenso. Mi rispose che avrebbe chiesto informazioni; tuttavia, soggiunse di conoscere un signore che proprio allora
si trovava in città e che sarebbe stato in grado di trarmi d'impaccio.
Egli uscì per cercarlo. In breve fu di ritorno e mi chiese di seguirlo in città.
Mi condusse in un mercato brulicante, quasi dovesse fare qualche acquisto. In realtà, tra tutta quella gente vi era il signore in oggetto, il quale aveva scelto quel posto perché gli offriva l'opportunità di squadrarmi per
bene prima di manifestarsi. Alla fine si appressò a noi e, di sfuggita, sussurrò al suo amico che, secondo lui, ero un prete. Quindi ci condusse alla
cattedrale, dove mi rivolse molte domande; alla fine mi pregò di rivelargli
in tutta sincerità se ero un sacerdote, aggiungendo che, se lo fossi, mi a-
vrebbe fornito tutto l'aiuto necessario.
Da parte mia, chiesi alla mia guida chi fosse quel signore, e, quando ne
conobbi il nome (18) e la posizione, compresi quale buon amico la Provvidenza divina mi avesse mandato. Confessai subito che ero un prete gesuita e che ero appena giunto da Roma. Egli mi fornì subito di nuovi vestiti e di un buon cavallo, poi mi condusse nel casolare di un suo amico fuori
della città, ordinando ad un servo che portasse il mio pony dietro di me. Il
giorno successivo ci recammo nella casa (19), in cui viveva con la sua famiglia e suo fratello che era eretico.
Siccome questi due fratelli avevano una sorella vedova, anch'essa eretica,
che aveva la cura della casa (20), dovevo usare molta prudenza per non
dare loro alcun motivo di sospettare della mia persona. Il fratello protestante si dimostrò sospettoso fin dal mio arrivo, perché ero uno straniero
ed ero venuto in compagnia del suo fratello cattolico: certo, secondo lui,
non vi poteva essere altra ragione che spiegasse la cortesia di suo fratello
nei miei riguardi. Dopo due o tre giorni i suoi sospetti svanirono. Quando
se ne presentò l'occasione, presi a parlare di caccia e di falconeria, cosa
che nessuno poteva fare con proprietà di linguaggio tecnico, a meno che
non fosse un appassionato di tali sport. È facile errare nell'uso di tali termini, come spesso si lamentava Padre Southwell (21). Sovente, in seguito,
quando ci trovavamo a viaggiare insieme, questi soleva pregarmi di insegnargli la terminologia propria e si rammaricava perché non riusciva a ricordarla o non la sapeva usare, presentandosene il bisogno: come, ad esempio, quando egli si imbatteva in signori protestanti che non avessero in
pratica altri argomenti di conversazione, eccetto aneddoti scurrili ed ingiurie contro i santi e la fede cattolica. In occasioni come queste, si dà spesso
il caso di fuorviare il discorso semplicemente con una osservazione qualsiasi su cavalli, cani e cose simili. Così, come ebbi a sperimentare in quella circostanza, una battuta insignificante può risultare una buona maschera
di protezione.
Dopo alcuni giorni, dissi al mio nuovo amico, il fratello cattolico, che dovevo andare a Londra per incontrare il mio superiore. Egli acconsentì e mi
diede i cavalli ed un servo. Inoltre mi chiese di ottenere dal mio superiore
il permesso di tornare nella sua contea e di restare in casa sua. Si diceva
sicuro di poter riportare molta gente alla fede solo che io parlassi e mi
comportassi come avevo fatto fino a quel momento (22).
Gli promisi di sottoporre la sua richiesta all'attenzione del mio superiore e
gli dissi che, per parte mia, sarei stato lietissimo di ritornare, se egli mi
avesse di nuovo accettato. Quindi partii e, senza incidenti di sorta, arrivai
felicemente a Londra.
Mi sono soffermato in tutti questi particolari per porre in evidenza come la
Provvidenza mi soccorse subito dopo lo sbarco. Non conoscevo assolutamente nessuno nell'intera contea; non vi ero mai stato ed era una regione
molto distante dai luoghi nei quali ero nato ed ero stato allevato. Tuttavia,
il giorno stesso dello sbarco trovai un amico che mi sottrasse al pericolo e
in seguito, avendomi presentato alle famiglie più in vista della contea,
diede l'avvio a molte conversioni. Attraverso la sua amicizia molti cattolici
di quella zona vennero a sapere della mia presenza; e questo, come apprenderete in seguito, fu l'inizio di quanto Dio si compiacque più tardi di
operare per mezzo del Suo povero servo.
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NOTE AL CAPITOLO II
1 J. G. giunse a Reims il 21 settembre con Ralph Buckland, Arthur Stratford ed Edward Oldcorne. Tutti e quattro ripresero il viaggio il 26 dello stesso mese. F. T.
KNox, Douai Diaries, p. 220.
2 Il suo passaggio per Parigi fu tuttavia segnalato a Londra da una delle spie di Walsingham. S.P.D., CCXIX, n. 26.
3 Una scuola per i figli dei cattolici inglesi fu fondata ad Eu nel 1582 da Padre Persons
e da questi affidata ad un prete secolare di nome Mann o Chambers. Nella narrazione
di J. G., l'espressione “i nostri confratelli del luogo” si riferisce ai gesuiti della provincia di Francia, i quali pure avevano una propria scuola in quella città. J. G. attesta chiaramente che St. Omers, che aveva preceduto l'attuale collegio di Stonyhurst, era una
fondazione distinta da quella di Eu. Siccome J. G. si trattenne a Reims dal 21 al 26 settembre, probabilmente arrivò ad Eu alla fine dello stesso mese. Cfr. L. HICKS, Letters
and Memorials of Fr. Robert Persons; c.R.S., vol. XXXIX, p. 1; T. F. KNOX, Douai
Diaries, p. 220; L. HICKS, “The Foundation of the College of St. Omers”, in
Archivium Historicum S. J. vol. XIX.
4 Il conte di Leicester morì il 4 settembre 1588 nella sua casa di Cornbury, nell'Oxonshire, sulla strada da Londra a Kenilworth. Si sospettò che fosse stato avvelenato.
5 J. G. s'imbarcò ai primi di novembre, e non, come afferma più oltre, in ottobre. I
“due sacerdoti di Reims” lasciarono Reims il 24 ottobre [O. S.]. I due che restarono
dietro si chiamavano Ralph Buckland e Arthur Stratford. T. F. KNOX, Douai Diaries,
pp. 220-221.
6 Tutti e due furono uccisi in Fleet Street: Christopher Bales il 4 marzo 1590 e George
Beesley il 2 luglio 1591.
7 “Avendo avvistato una spiaggia adatta allo sbarco ed avendo notato come non vi
fossero attorno né paesi né casolari da cui si potessero spiare le loro mosse, dissero ai
marinai di gettare l'ancora fino al calar della notte e, quindi, di condurli a riva in barca”. Narrative, p. 280. Ciò avvenne presso Happisburgh, a metà strada circa tra Great
Yarmouth e Cromer. JESSOP, p. 134.
8 “Si inoltrarono in un bosco ove trascorsero tutta la notte sotto una pioggia insistente.
Tuttavia erano oltremodo felici ed erano soddisfatti del loro umido riparo”. Narrative,
p. 280. J. G. sbarcò sabato 29 ottobre [O. S.].
9 “Calcolarono le loro provviste di denaro; e colui che aveva di più ne donò all'altro, in
maniera da dividerlo in parti uguali”. Narrative, p. 281.
10 Era la città di Mundesley. I marinai erano probabilmente quelli congedati dopo la
sconfitta dell'Armada. JESSOP, ibid.
11 Soltanto nel Norfolk, in quest'anno 1588, furono addestrati ed armati più di duemila
uomini. Hat. cal., vol. VI, p. 223.
12 Il 17 luglio 1588 il Consiglio privato aveva ordinato ai Lord Luogotenenti di Norfolk e di Suffolk “di istituire dei corpi di guardia in ciascuna città di passaggio, per setacciare ed arrestare tutti i girovaghi e i vagabondi che si aggirassero allo scopo di seminare disordine; e, qualora se ne trovasse qualcuno manifestamente colpevole di crimini intesi a fomentare il disordine e la ribellione, che fosse ucciso secondo la legge
marziale”. Hist. MSS. Commission, Foljambe MSS., p. 53.
13 “Ciò avvenne una domenica mattina”. Narrative, p. 281.
14 Jessop suppone che J. G. attraversò il fiume Yare a Hellesdon e aggirò la città finché giunse ad una delle principali vie di Londra; e che, per evitare la lunga strada che
conduce alle porte di St. Stephen, egli cavalcò per la campagna fuori delle mura ed entrò attraverso le “Brazen Doors”. Questa supposizione è quasi sicura. Jessop fornisce
anche le ragioni per cui ritiene che Stalham, oppure Sloley, fosse il luogo in cui J. G.
passò la notte nell'albergo e che Worstead fosse il villaggio in cui fu arrestato.
JESSOP, pp. 134-136, 148.
15 Robert de Grey di Merton, antenato dell'attuale Lord Walsingham, era a quel tempo
nella prigione di Norwich. Suo “parente” sarebbe stato John de Grey di East Harling, il
quale fu imprigionato a Marshalsea nel gennaio del 1577 e vi si trovava ancora, quan-
do nel marzo 1583 fu imprigionato J. G. Egli morì nel 1600 all'età di 70 anni. C.R.S.,
vol. XXII, p. 56. Dopo il settembre del 1588 il suo nome scompare dalle liste.
JESSOP, p. 149; C.R.S., vol. II, pp. 232, 283.
16 I nomi dei principali detenuti cattolici della prigione di Norwich sono forniti da Jessop. Costoro furono arrestati durante il viaggio della regina nell'Inghilterra orientale nel
1578. Poco prima dell'arrivo di J. G., il Consiglio aveva dato ordine che venissero trasferiti a Wisbeach perché “essi recano molto danno ed infettano il paese a causa della
libertà di cui godono”. Tuttavia l'ordine fu eseguito soltanto nell'aprile del 1590.
JESSOP, p. 148.
17 Questo signore cattolico che J. G. ebbe la fortuna d'incontrare fu quasi certamente
Robert Downes di Melton. Fu arrestato nel luglio del 1578 durante il viaggio della regina nell'Inghilterra orientale. Ad intervalli, gli fu permesso di uscire dietro cauzione;
ma doveva ripresentarsi in prigione quando non poteva far fronte alle gravi multe che
era forzato a pagare per la sua insubordinazione alla legge. Nel settembre del 1598,
dieci anni dopo quest'incontro, egli era ancora nella prigione di Norwich. JESSOP,
passim.
18 Edward Yelverton, uno degli uomini più ricchi del Norfolk. JESSOP, p. 137.
19 Grimston, a sei miglia e mezzo a nord-est di King's Lynn.
20 Edward Yelverton era il figlio maggiore di William Yelverton di Roughan per parte
della sua seconda moglie Jane, figlia di Edmund Cocket di Hempton, nel Suffolk. Alla
morte di suo padre, aveva ereditato a Grimston una proprietà dai due ai tremila acri di
superficie. Ivi, secondo l'uso del tempo, era molto ospitale e viveva con la propria famiglia, come pure col fratello minore, con una sorella vedova, che si prendeva cura
della casa, e con un cognato che non si conosce. Quando J. G. lo incontrò, aveva circa
trent'anni ed era vedovo. Più tardi si sposò di nuovo. La seconda moglie fu Nazareth
Bedingfeld “un'ostinata dissidente”, il padre della quale era uno dei prigionieri deI castello di Norwich. Egli morì nel 1623. JESSOP, pp. 137, 150.
21 Nei suoi scritti, tuttavia, Southwell faceva frequente uso di immagini tratte dalla
falconeria; per esempio: “Siccome le copie di questi scritti volavano in circolazione
così velocemente e così falsificate, che c'era pericolo che venissero corrotte nella
stampa; sembrava minor male lasciarle volare al cospetto di tutti nel loro piumaggio originale e con le loro ali, che lasciarle ricoprire di un manto di piume non genuine oppure lasciarle passare per le mani di un correttore che avrebbe senz'altro potuto eliminare le penne sane e sostituirle con quelle malate e scadenti della sua fantasia”. Mary
Magdalen's Funerali Teares, Epistle to the Reader.
22 Durante le prime settimane del soggiorno di J. G. a Grimston, a Londra Padre Gar-
net aspettava ansiosamente sue notizie. Quando s'incontrarono, Garnet lo rimproverò.
“Fu piuttosto per errato consiglio che per cattiva volontà che non gli venne in mente di
porsi in contatto con me dopo il suo arrivo”. (GARNET ad Aquaviva, Arch. S. I. Roma, Fondo Gesuitico, 651). Facendo di Grimston il suo primo centro, J. G. iniziava il
suo apostolato nella regione alla quale, sette anni innanzi, Padre Persons aveva destinato Edmund Campion poco tempo prima che questi fosse arrestato.
III. GRIMSTON
Natale 1588 - Estate 1589
Quando raggiunsi Londra, alcuni cattolici mi aiutarono a trovare Padre
Henry Garnet che allora era superiore. Oltre questo, i soli preti gesuiti in
Inghilterra a quel tempo erano Padre Edmund Weston (1), incarcerato nella prigione di Wisbeach (sarebbe stato lui il superiore, se fosse stato in libertà), Padre Robert Southwell e noi due che eravamo appena sbarcati.
Il mio compagno, Padre Oldcorne, era già arrivato. Il superiore, invece,
non aveva ricevuto notizie di me e ne era preoccupato. D'altra parte, per
questa stessa ragione, essi nutrivano speranze che tutto fosse andato bene.
Quando io giunsi vi fu grande contentezza.
Passai un po' di tempo con i padri e con loro ebbi frequenti discussioni
circa i metodi che avremmo dovuto impiegare nel nostro lavoro. Sia da
Padre Garnet come da Padre Southwell ricevemmo ammirevoli consigli
circa i modi di aiutare e di salvare le anime (2). Il secondo eccelleva in
maniera particolare in questa opera ed era saggio e buono, gentile ed amabile. Ma si stava avvicinando il Natale e noi dovevamo separarci. Infatti, il
pericolo della cattura si rendeva maggiore nel periodo delle feste e, inoltre,
i fedeli avevano bisogno del nostro ministero.
Così, fui rinviato nella stessa contea nella quale ero sbarcato, presso lo
stesso signore che per primo mi aveva offerto aiuto e riparo. Il superiore
mi fornì di abiti e di altre cose necessarie, giacché non intendeva che fossi
di peso al mio ospite fin dall'inizio. In seguito, tuttavia, e per tutta la mia
vita missionaria, la Provvidenza sovvenne in maniera sufficiente sia alle
mie che alle altrui necessità. I miei abiti furono sempre quelli di un signore di medie possibilità, e ciò si dimostrò più tardi cosa saggia in più di una
circostanza. A quegli abiti, infatti, mi ero abituato prima di diventare gesuita e, di conseguenza, mi ci trovavo a mio agio più di quanto non mi ci
fossi trovato, se avessi assunto un ruolo che mi era estraneo e poco familiare. Inoltre, mi trovavo nella necessità di comparire in pubblico e di incontrare molti nobili protestanti; e non avrei mai potuto unirmi a loro né
riportarli lentamente all'amore della fede e della vita virtuosa, qualora mi
fossi vestito in maniera diversa. Prescindendo dal fatto che ciò mi consentiva di muovermi nella società con maggiore disinvoltura e sicurezza, oltre
che con maggiore autorità, avevo così la possibilità di frequentare più a
lungo e senza eccessivo pericolo qualsiasi casa e qualsiasi salotto aristocratico in cui il mio ospite mi avrebbe introdotto come suo amico o cono-
scente (3).
Ciò fu quanto accadde. Senza pericolo e con molto profitto, rimasi apertamente sei o otto mesi nella casa di quel signore che era stato il mio primo ospite. Durante quel periodo egli mi introdusse nelle case e nei circoli
di quasi tutta la nobiltà di Norfolk; e, prima della fine di quegli otto mesi,
restituii alla Chiesa molta gente, tra cui un fratello del mio ospite, due sorelle e, in seguito, il cognato (4). Una delle sue sorelle, come ho già riferito, era vedova ed amministrava la casa in sua vece. Ella era stata una calvinista arrabbiata ed un suo fratello, il giudice, è ancor oggi uno dei capi
del calvinismo in Inghilterra (5).
Questa signora era stata educata nella casa di lui e ne aveva assimilato la
detestabile eresia. Poco tempo prima che io la incontrassi, era capitato un
fatto significativo. Essendo preoccupata dello stato della sua anima, si era
recata a consultare un dottore di Cambridge chiamato Perne (6). Era risaputo che questi aveva cambiato tre o quattro volte la sua religione per conformarsi al regime, ora cattolico ed ora protestante; tuttavia godeva ancora
una grande reputazione per il suo sapere. Questo dottor Perne era un suo
intimo amico ed ella gli chiese di dirle onestamente e chiaramente quale
fosse la santa religione che le avrebbe assicurato la salvezza in cielo. Il
dottore non era abituato ad accogliere appelli così urgenti come quello rivoltogli da quella donna di buon senso. Egli disse: “Vi prego di non rivelare mai ad alcuno ciò che sto per dirvi. Tuttavia, dal momento che avete
rivolto una tale domanda a me, in quanto responsabile della vostra salvezza, ve lo dirò. Se lo volete, potete vivere nella religione professata dalla regina e dall'intero regno; avrete così un'esistenza tranquilla e non andrete
incontro a nessuna delle vessazioni alle quali vengono assoggettati i cattolici. Ma fate in modo di non morire in essa. Se desiderate salvare la vostra
anima, morite in comunione con la Chiesa Cattolica”. Così aveva risposto
il nostro dottore; ma cosa gli capitò? Il poveretto aveva rimandato la sua
conversione da un giorno all'altro. Quando meno se l'aspettava, morì improvvisamente mentre ritornava nella sua stanza dopo aver pranzato con
l'Arcivescovo di Canterbury nel suo palazzo (7). Non aveva mostrato alcun segno di pentimento né di cristiana speranza nella felicità eterna. Si
era dimostrato troppo semplicista nel prometterla sempre a se stesso ed agli altri, ma nella sua vita non vi era nulla che rivelasse una solida speranza di quella. La signora che lo aveva consultato, tuttavia, fu più fortunata.
Dapprima non voleva accettare le affermazioni di quello circa la verità
della fede cattolica; ma in seguito, quando mi sentì affermare ripetutamen-
te che la fede cattolica era l'unica vera e buona, cominciò a nutrire dei
dubbi; e fu in questo stato di ansietà che un giorno mi portò un libro eretico che più di ogni altra cosa l'aveva confermata nell'eresia. Ella mi espose
tutte le ragioni e tutti gli argomenti che quello conteneva; ed io, per tutta
risposta, le mostrai tutte le false citazioni della Scrittura e dei Padri, gli innumerevoli cavilli ed i travisamenti dei fatti. In tal modo, con l'aiuto di
Dio, estrassi dallo scorpione l'antidoto contro il suo stesso veleno. Da quel
giorno ella è rimasta costante nella sua professione di fede (8).
Vi è un altro fatto considerevole che non posso tralasciare: esso riguarda la
sorella sposata del mio ospite (9) ed illustra la meravigliosa efficacia dei
sacramenti. Questa signora era coniugata con un uomo di rango e, grazie a
suo fratello, era ben disposta verso la fede cattolica; di conseguenza non
faticai molto ad indurla a divenire figlia della Chiesa. Subito dopo la conversione, ella rifiutò di professare il culto protestante e suo marito cominciò a trattarla molto aspramente, ma alla fine la sua pazienza prevalse. A
quel tempo ella attendeva un bambino; quindi ebbe un parto molto difficile, tanto che dopo aver dato alla luce un maschio si ammalò gravemente e
fece disperare della sua vita. Fu chiamato subito da Cambridge un dottore
molto abile. Questi, dopo aver visitato l'ammalata, disse che poteva soltanto prescriverle delle medicine ma che non poteva formulare nessuna speranza di guarigione. Quindi, dopo avergliele somministrate, se ne andò.
In quel momento io mi trovavo in casa, poiché spesso mi ci recavo con
suo fratello. Il marito fu lieto di vederci, sebbene sapesse che noi eravamo
cattolici. Con lui avevo discusso ripetutamente di religione ed in pratica lo
avevo ormai convinto: sul piano teorico era persuaso, ma la sua volontà
aderiva ancora alle cose della terra perché “i suoi averi erano ingenti”.
Amava sua moglie intensamente, ed ora che non vi era più speranza di vita
per lei, fu persuaso dal cognato a lasciarle piena libertà di prepararsi per
l'altra vita. Per questo, non oppose alcuna difficoltà quando la sera successiva conducemmo in visita un vecchio sacerdote, uno di quelli ordinati
prima dell'inizio del regno di Elisabetta (10). Siccome tali preti non erano
esposti allo stesso pericolo di vita che incombeva sugli altri, in quella circostanza ricorremmo a lui per munire la signora di tutti gli estremi conforti della Chiesa. Dopo la confessione, ella ricevette l'Estrema Unzione ed il
Viatico; e, cosa meravigliosa, dopo mezz'ora era migliorata così da essere
fuori pericolo. L'unica cosa che restava era di farle riprendere le forze: la
malattia era completamente sparita.
Quando il gentiluomo constatò che sua moglie era stata improvvisamente
strappata agli artigli della morte, si chiese con stupore come ciò fosse accaduto. Gli spiegammo, allora, che uno degli effetti del santo sacramento
dell'Estrema Unzione era di restituire la salute fisica, quando Dio lo giudicasse utile al bene dell'anima. Questo completò la conversione del marito.
Stupito che i sacramenti della vera Chiesa avessero il potere di effettuare
simili cambiamenti, si lasciò indurre alla fine a cercare nella stessa Chiesa
la salute della propria anima. Siccome intendevo battere mentre il ferro era
caldo, cominciai a spiegargli come dovesse prepararsi alla confessione.
Non intendevo ancora comunicargli che ero sacerdote, perciò gli dissi che
lo avrei istruito secondo quanto mi era stato insegnato da un prete. Egli si
preparò, quindi attese che fosse introdotto il sacerdote. Suo fratello ed io
gli dicemmo che sarebbe stato necessario fare tutto di notte; perciò egli
mandò i servi che lo assistevano nel suo guardaroba, quindi salì in biblioteca. Ivi lo lasciai intento alla preghiera, dicendogli che sarei tornato quasi
subito con un prete. Sceso nel piano inferiore, indossai la talare e tornai
completamente trasformato. Egli ammutolì dallo stupore: non si sarebbe
mai aspettato una cosa del genere. Suo fratello ed io gli spiegammo come
mi trovassi nella necessità di agire in tal modo per garantire la mia sicurezza e, ancor più, per ingannare il demonio e strappare le anime dalle sue
grinfie. Egli lo comprese molto bene. Quella era l'unica maniera mediante
la quale io avrei dovuto avvicinare liberamente tanto lui quanto gli uomini
del suo rango; e, qualora non avessi agito così, non avrei mai potuto ricondurli alla Chiesa, specie se essi fossero mal disposti. Ricorrendo allo
stesso argomento, lo liberai da ogni preoccupazione circa le conseguenze
che egli temeva dalla mia visita. Feci appello alla sua stessa esperienza.
Sebbene fossi stato per tutto quel tempo a così stretto contatto con lui, egli
non aveva sospettato nemmeno una volta che io potessi essere un prete.
Così divenne cattolico, e sua moglie, grata per questa duplice benedizione
di Dio, persevera ancora nella fede, benché abbia avuto d'allora in poi
molte sofferenze (11).
Durante il tempo in cui fui in libertà, oltre queste persone, riconciliai con
la Chiesa molti padri e molte madri di famiglia, più di venti in tutto. Questi appartenevano alla stessa condizione sociale ed anche a ceti più elevati
(12), ma la prudenza mi induce a non menzionarli per nome. Inoltre, riconciliai un gran numero di servi e di persone disagiate di cui non ricordo
il numero preciso; e, mediante la grazia di Dio, confermai molte anime incerte nella loro pratica ed ascoltai numerose confessioni generali.
In quel breve periodo, infine, vi furono alcuni che mostrarono di avere la
vocazione alla vita religiosa, tra questi l'attuale Padre Edward Walpole.
Allorché lo conobbi, potei constatare che egli conduceva un santo tenore
di vita e che per vivere secondo coscienza sopportava molte persecuzioni,
e non già da parte di estranei, “perché i suoi nemici erano quelli della sua
casa”. Sebbene fosse erede di un grande patrimonio, ne fu privato dal padre sul letto di morte: questi era calvinista mentre sua madre e suo fratello
erano protestanti. Il patrimonio fu diviso tra la madre ed il più giovane fratello protestante (13). Tutto ciò che il figlio cattolico ricevette durante la
vita della madre fu un sussidio annuo di quattrocento fiorini (14) col quale
allora viveva. La sua abitazione era divenuta più una prigione che una casa, giacché non vedeva né parlava ad alcuno eccetto durante i pasti, mentre passava il resto del giorno nella sua stanza. Egli aveva fatto gli studi
classici e filosofici a Cambridge ed allora era tutto dedito alla lettura dei
Padri. A quel tempo cominciò a farmi delle visite regolari e a venire frequentemente per ricevere i sacramenti; e Dio gli donò la vocazione. L'anno
successivo si recò a Roma dove entrò nella Compagnia. Grazie al suo influsso, vi si recò anche il suo cugino Michael Walpole che ora è sacerdote
professo. Michael era allora al mio seguito e mi accompagnava normalmente nei viaggi in qualità di domestico privato, ogni qualvolta mi recavo
in una casa ove la mia presunta posizione mi imponeva di averne uno. Entrambi stanno lavorando egregiamente nella missione e con il loro zelo e
con i loro più segnalati doni stanno recuperando ciò che era andato perduto a causa della mia insufficiente intraprendenza e capacità (15).
Dopo aver trascorso in quel luogo sei o sette mesi, venne a visitarmi da un'altra contea un gentiluomo cattolico (16). Questi era parente di uno del
mio gregge ed era ansioso di incontrare un gesuita. Era un giovane devoto
ed erede di un considerevole patrimonio. Di questo egli aveva ereditato la
metà alla morte del fratello, mentre l'altra metà era andata alla madre per il
resto della vita. Questa signora, che era vedova, era una buona cattolica e
viveva nella casa del figlio, ove entrambi mantenevano un sacerdote. Dopo aver trascorso con lui pochi giorni, mi avvidi che il suo unico desiderio
era quello di condurre una vita più perfetta. Perciò gli parlai di certi esercizi spirituali che potevano condurre un'anima generosa su quella strada,
mostrandole quanto in essa vi fosse di buono ed aiutandola a fare la migliore scelta per la vita (17).
Egli mi pregò subito insistentemente di concedergli il permesso di farli. Io
acconsentii ed egli ne trasse tanto profitto che decise di fare quella che riteneva la cosa migliore, cioè di entrare nella Compagnia col minimo indu-
gio possibile e di sistemare nel frattempo i suoi affari, badando a non perdere nulla del suo fervore.
Dopo aver completato il ritiro implorò che mi trasferissi a casa sua e non
mi diede tregua finché non gli promisi che avrei sottoposto la sua proposta
all'attenzione del superiore. Io riflettei sulla sua proposta. La maniera nella
quale mi ero mosso tra il pubblico aveva dei vantaggi all'inizio, ma non
poteva continuare per sempre, poiché il pericolo di un'identificazione cresceva man mano che conoscevo altra gente. Allora non ero più al sicuro ed
avevo molti motivi di preoccuparmi; perciò conclusi che quella occasione
era provvidenziale. Siccome Padre Garnet lo approvò, quando lo consultai,
mi trasferii nella casa di questo gentiluomo nella contea vicina; prima, però, mi congedai da tutti i miei amici e lasciai un sacerdote là dove sarebbe
stato nella miglior posizione per aiutare i cattolici della contea. A tutt'oggi
egli è ancora sul posto, ove esplica un'intensa attività sopportando molti
travagli.
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NOTE AL CAPITOLO III
1 Padre Edmund Weston, nato a Maidstone nel 1550, entrò nella Compagnia nel 1575
ed arrivò in Inghilterra il 20 settembre 1584, allorché non un solo gesuita era in libertà.
Egli accolse nella chiesa Philip Howard, conte di Arundel. Catturato nell'agosto del
1586, rimase prigioniero finché non venne esiliato nel 1603. Cfr. William Weston (ed.
Philip Caraman).
2 Padre Southwell era tornato di recente a Londra da un giro missionario. “In questo
inverno molto rigido ho attraversato a cavallo una gran parte dell'Inghilterra ed ho preferito sopportare la sferza del vento e i rigori dell'inverno piuttosto che attendere una
stagione più propizia, quando i persecutori - di gran lunga peggiori di qualsiasi inzuppata e di qualsiasi tempesta - si trovano sguinzagliati dappertutto. Ho visitato molti
cattolici che erano ansiosi di ricevere la nostra assistenza. Ovunque sono andato... ho
predicato e li ho confortati nel miglior modo possibile... e, all'occasione, sono entrato
nelle case dei magistrati eretici, che essi chiamano sceriffi, per aiutare alcuni cattolici
che in esse vivevano occulti”. SOUTHWELL ad Aquaviva, 28 dicembre 1588. Arch.
S. J. Roma, Fondo Gesuitico, 651.
3 Vedi nell'appendice I la descrizione che la spia Byrd fa di J. G.
4 Il fratello era Charles Yelverton, che più tardi ottenne un posto a corte. Le due sorelle erano Jane Lumner (cfr. sotto nota 8) e Martha che era sposata con John Heigham di
Giffords, nel Suffolk. Il cognato, del quale si parla più oltre, era Sir Philip Wodehouse
di Kimberley.
5 Sir Christopher Yelverton che era fratellastro di lei. In qualità di sergente della regina, prese parte al processo contro il conte di Essex. Nel 1601 fu nominato giudice della regia corte.
6 Andrew Perne, direttore di Peterhouse dal 1554 al 1589, fu forse il più celebre rinnegato del suo tempo. Fu conosciuto come Andrew Ambo e come Old Father Palinode; si diceva che la sigla A.P.A.P., impressa sulla banderuola della chiesa di S. Pietro,
si poteva interpretare sia: Andrew Perne a Papist (Andrea Perne Papista); sia: Andrew
Perne a Protestant (Andrea Perne Protestante); sia: Andrew Perne a Puritan (Andrea
Perne Puritano). Il suo nome divenne proverbiale tanto che di un pastrano o di un mantello rivoltati si diceva che erano “Pearned”. Edward Yelverton, Henry ed Edward
Walpole ed altri menzionati nella narrazione di J. G. furono a Peterhouse nel periodo
in cui era preposto Perne. COOPER, Athen. Cantab., vol. II, pp. 45-50.
7 Morì a Lambeth il 26 aprile 1589; la sua tomba si trova nella chiesa parrocchiale del
luogo. STRYPE, Life of Whitgift, vol. I, p. 619.
8 Questa sorella, Jane Lumner, fu scarsamente provveduta da suo marito che morì lasciandole diversi debiti. Ella continuò ad essere designata quale “ostinata nonconformista” nelle liste inviate annualmente al vescovo di Norwich. Il suo nome appare per l'ultima volta nel 1615. Durante questo periodo mutò più volte residenza e sembra che sia divenuta sempre più povera a causa delle gravi esazioni a cui fu sottoposta.
JESSOP, p. 151.
9 Grisell, che sposò Sir Philip Wodehouse di Kimberley, antenato dell'attuale conte.
10 In una “Nota sui papisti e non-conformisti di alcune contee inglesi”, compilata nel
1588, anno dello sbarco di J. G., si elencavano “due vecchi preti” che vivevano a Norfolk, Fisher e Hall, alias Fox. C.R.S., vol. XXII, p. 127.
11 J. G. lascia intendere che la conversione di Sir Philip Wodehouse non riuscì così
completa come in un primo tempo egli aveva ritenuto. Sapeva che egli aveva abbandonato la fede, ma non aveva sentito dire che anche sua moglie aveva fatto lo stesso.
Nella descrizione dei primi tempi della sua carriera, che fece nel 1601 allorché entrò
nel Collegio Inglese a Roma, Charles Yelverton attesta che sua zia, “la moglie di Sir
Philip Wodehouse, a causa delle escandescenze del marito che molto frequentemente
insorgeva contro di lei, aveva di recente abbandonato la chiesa”. FOLEY, I, p. 143.
12 Jessop, il quale ha sottoposto ad accurato esame il lavoro apostolico svolto da J. G.
a Norfolk, commenta che egli non aveva esaltato una sola volta i suoi rilevanti successi
e che, per giunta, ciò non era che il principio delle sue fatiche. JESSOP, p. 209.
13 Calibut Walpole, dal quale le proprietà passarono a Sir Robert Walpole, ministro
dei primi due re della casa di Hannover, che era nato nella dimora di famiglia di Haughton, nel Norfolk, nel 1676.
14 Per “fiorino” J. G. intende il “gulden” o fiorino d'argento delle Fiandre, che valeva
circa due scellini della moneta inglese del tempo.
15 Edward Walpole entrò nel Collegio Inglese di Roma il 23 ottobre 1590; suo cugino
Michael vi era entrato nel maggio precedente. Edward fu missionario in Inghilterra per
quarant'anni. Mori a Londra il 3 novembre 1637. Per la vita di questi due sacerdoti vedi JESSOP, passim.
16 Henry Drury di Lawshall a sei miglia a sud-est di Bury Saint Edmunds, nel Suffolk.
La famiglia Drury era stata sempre decisamente non-conformista. Henry sopravvisse a
suo fratello maggiore William ed ereditò da lui il castello di Lawshall, dove la regina
aveva accettato ospitalità il 4 agosto 1578, durante il suo viaggio nell'Inghilterra orientale. Fu in prigione nel 1587 e in una lista di prigionieri non-conformisti di quell'anno è
descritto come “un grande ostinato... patrono di preti e di persone sospette, che rifiutano di familiarizzare con qualsiasi predicatore e di ascoltare qualsiasi predica”.
JESSOP, p. 78; c.R.S., voI. II, p. 276.
17 Gli “Esercizi Spirituali” di S. Ignazio di Loyola, che J. G. menziona frequentemente
in seguito. Essi costituiscono un complesso sistematico di meditazioni su argomenti
spirituali intesi ad aiutare le persone a fare la scelta migliore per la loro vita.
IV. LAWSHALL
Estate 1589 - Inverno 1591
In questo nuovo posto la vita mi fu più quieta e congeniale. Quasi tutti
nella casa erano cattolici e mi riusciva più facile condurre la vita del gesuita anche nei dettagli esteriori dell'abbigliamento e nella ripartizione del
tempo. Fui anche in grado di dedicarmi molto alla lettura.
Comunque, nella casa vi era un certo numero di cose che richiedevano attenzione. Anzitutto, gli arredi dell'altare erano vecchi e logori e non conciliavano affatto la devozione. In questo, però, dovevo usare molta cautela.
Il cappellano era stato per parecchio tempo in quella famiglia e si sarebbe
potuto facilmente offendere, qualora incominciassi ad apportare una serie
di cambiamenti, specie se si accorgeva che il padrone di casa seguiva ogni
mio minimo suggerimento. Ma, grazie a Dio, tutto andò bene. Feci in modo che tutti i cambiamenti che ritenevo urgenti fossero proposti e realizzati dallo stesso padrone di casa. Quindi, misi a disposizione dei nuovi paramenti che mi erano stati regalati e ciò invogliò la buona vedova a farne
degli altri simili. Per quanto riguarda quel sacerdote, egli chiese di fare gli
Esercizi, che aveva sentito lodare molto dal mio ospite, e li praticò con
grande profitto. Infatti, a detta di chi lo aveva udito, egli affermò più tardi
che prima di allora non aveva mai compreso pienamente gli obblighi del
sacerdozio. In seguito, mi dimostrò sempre una grande affezione, di cui mi
diede prova più tardi quando fui imprigionato, portandomi delle elemosine
ed usandomi altre gentilezze. Egli prese a consultarmi nei suoi affari e
guadagnò a Dio ed alla Chiesa il triplo delle anime di prima; perciò fu tenuto da tutti in maggiore considerazione. Nell'anno in cui fu nominato
1'arciprete, egli fu eletto tra i suoi assistenti ed ancora oggi mantiene questo ufficio (1).
Durante la mia permanenza, che durò quasi due anni, dedicai molto tempo
allo studio, ma non trascurai di viaggiare. Oltre a riconciliare alcuni eretici
e scismatici, potei confermare nella fede diverse famiglie cattoliche e collocare due sacerdoti in luoghi dove potevano svolgere un ottimo lavoro.
Ascoltai un gran numero di confessioni generali. Una penitente, una vedova di elevata posizione, dedicò il resto della vita ad opere pie e, per non
menzionare gli altri suoi regali, fece alla Compagnia una donazione annua
di mille fiorini (2); un'altra vedova (3) ne offrì quattrocento.
In questo periodo, inoltre, impartii gli Esercizi spirituali ad un certo numero di persone con ottimi risultati. I primi a farli furono due uomini impa-
rentati tra loro: entrambi decisero di entrare nella Compagnia, sistemarono
le loro faccende e si recarono in Francia. Alla fine dei loro studi uno entrò
nella Compagnia ed è attualmente un sacerdote zelante nella missione inglese. Si tratta di Padre Thomas Everett. L'altro fu ordinato ma si mostrò
pusillanime: dapprima volle ritornare in Inghilterra, ma alla fine non fece
una buona riuscita (4).
Sotto la mia direzione fecero contemporaneamente il ritiro due altri ottimi
giovani (5). Essi erano fratelli e decisero entrambi di diventare gesuiti. Il
maggiore aveva fatto gli studi classici e filosofici a Cambridge e aveva
passato gli ultimi nove anni a studiare diritto a Londra. Dotato di eccezionale talento ed intraprendenza, si era procurato una tale rinomanza che
delle persone di equo giudizio, secondo che io stesso udii, non esitarono a
paragonarlo agli eminenti giuristi del passato. Era un uomo serio e prudente; e già prima che egli pensasse di entrare nella Compagnia, Padre Southwell mi aveva suggerito che, se egli fosse giunto ad una tale decisione,
sarebbe stato il miglior superiore che noi avremmo potuto sperare.
Così, dietro suggerimento del mio ospite che li conosceva molto bene,
quest'uomo e suo fratello iniziarono un ritiro sotto la mia direzione. Col
più giovane non ci fu alcuna difficoltà; ma l'altro per tutta la prima settimana (6) stentò molto. Quindi ne scoprì la ragione e mise a posto le cose.
Ciò che capitò è quanto segue. Gli avevo consigliato di fare certe penitenze, insignificanti in se stesse; egli però mi chiese di dispensarlo a causa
della sua salute. Siccome la ragione era buona, acconsentii. Più tardi, però,
egli sospettò che la sua mancanza di buona volontà in cose così secondarie
potesse essere la causa della sua aridità; e quando un giorno mi recai nella
sua stanza a confortarlo, cadde ai miei piedi ed implorò il mio perdono dicendo che non si sarebbe alzato, finché non gli avessi permesso di baciarmi i piedi in segno del mio perdono. Dopo ciò, fu inondato da una grande
consolazione di spirito e la luce della grazia divina risplendette così chiaramente, che non rimase ombra di dubbio circa la sua vocazione. Ebbe
molto da fare per sistemare i suoi affari e quelli degli altri, prima di poter
lasciare l'Inghilterra! Aveva stabilito di vendere il suo patrimonio, temendo la tentazione di ritornare sulla sua decisione; sbrigò ogni cosa in brevissimo tempo e dopo cinque o sei settimane, insieme al fratello, si pose in
viaggio verso Roma. Prima di partire, per tacere degli altri donativi e delle
altre opere buone, regalò alla Compagnia tra gli undici e i dodicimila fiorini.
Provvidenzialmente ciò avvenne al tempo in cui la Compagnia comincia-
va a diffondersi in Inghilterra (7), poco dopo la cattura di Padre Southwell.
Padre Southwell era vissuto a Londra e, quando fu imprigionato Padre
Garnet, dovette trasferirsi in quella città, in maniera da restare in contatto
con tutti noi, dispersi come eravamo su e giù per il paese, e da essere, in
questa posizione centrale, più accessibile quando noi desideravamo vederlo. Ma ciò implicava delle spese ingenti. A Londra la persecuzione era
molto aspra e Padre Garnet doveva mantenere con i suoi modesti fondi
due o tre case nello stesso tempo. Allora, avevamo pochi amici in grado di
aiutarci. Solo Padre Southwell aveva una grande benefattrice (8); e, finché
fu con noi, egli poté con l'aiuto di quella mantenere sé ed alcuni altri preti,
come pure prendere in affitto una casa nella quale riceveva normalmente il
superiore quando veniva in visita a Londra. Fu ivi che li incontrai entrambi, la prima volta; ed in quello stesso luogo Padre Southwell aveva la tipografia, nella quale furono stampati i suoi ammirevoli libri (9). Ma, dopo la
perdita di Padre Southwell, noi ci saremmo trovati in gravissime difficoltà
se questi due signori, cioè il gentiluomo di cui ho appena accennato ed il
mio ospite, non fossero venuti in nostro aiuto. Il secondo donò quasi la
metà del suo patrimonio alla Compagnia (10).
Subito dopo il loro arrivo a Roma, i due fratelli entrarono nel noviziato di
Sant'Andrea, scegliendo i nomi di Starkey e Standish. Questi erano i due
nomi, sotto i quali mi ero celato nelle due contee in cui avevo lavorato; ed
essi li assunsero come nomi di professione in segno di gratitudine verso di
me. Il fratello minore, mi si dice, fece una santa morte a Sant'Andrea; l'altro fu alquanto sconsiderato nella sua applicazione agli studi al collegio
romano e divenne tisico. Fu mandato in Belgio, ma era troppo tardi. La
sua morte avvenne a St. Omers e fu considerata una grande perdita da tutti
coloro che lo conoscevano (11).
Oltre che a questi due, durante la mia permanenza in quel luogo, impartii
gli Esercizi ad altri, che ne trassero molto profitto. Due di questi signori
erano i cattolici più in vista della contea. Uno di essi era giunto fino al penultimo giorno della seconda “settimana” senza alcuna emozione spirituale: quindi il vento del sud, mi sia concessa la metafora, si abbatté improvvisamente sul giardino dell'anima sua e vi riversò tali torrenti di lacrime,
che continuò a piangere senza interruzione per tre o quattro giorni. Anche
quando gli affari gli imponevano di uscire, egli poteva parlare soltanto con
una voce rotta da singhiozzi. Mi seguiva dappertutto come un bimbo di un
anno, ed il cappellano, a cui ho sopra accennato, prese a chiamarlo il
“piangente”, e quando mi scriveva delle lettere diceva “John il piangente
vuole questo e questo” oppure “vi offre questa cosa”. D'allora in poi la sua
vita fu piena di opere buone, ed ebbe una morte felice.
Circa lo stesso tempo, persuasi un altro Walpole, il cui nome era Christopher, a partirsi da Cambridge per visitarmi. Quindi lo ricevetti nella Chiesa e, dopo averlo fornito di danaro per il viaggio, lo mandai a Roma. Ivi,
dopo aver completato gli studi, entrò nella Compagnia e ricevette gli Ordini. Successivamente fu mandato in Spagna ove morì. La sua morte causò a tutti noi un grande dolore e fu una grave perdita per il suo paese (12).
Poco fa ho fatto menzione di due fratelli. Il maggiore di essi, prima di lasciare l'Inghilterra riuscì a persuadere il primogenito dei fratelli (13), che
gli portava grande rispetto, a tentare gli Esercizi Spirituali. Anch'egli era
cattolico, ma i suoi pensieri erano molto lontani dalla perfezione cristiana.
Di recente gli era morto il padre ed egli aveva ereditato il patrimonio familiare e l'annesso castello (14). Ivi viveva con la moglie e i figli ai quali era
profondamente affezionato. Aveva fatto allestire un parco di daini, o una
specie di recinto, e godeva tutta l'indipendenza di un piccolo principe.
Siccome si teneva a distanza dai “preti seminaristi”, non era disturbato
dalle autorità e non sopportava nulla del “calore e del fardello del giorno”
(15). A quel tempo la persecuzione era diretta principalmente contro i
“preti seminaristi” e, nel complesso, risparmiava i vecchi sacerdoti, ordinati prima dell'avvento al trono di Elisabetta. Si trattava di una distinzione
simile a quella odierna tra preti secolari e gesuiti, giacché oggi la persecuzione è molto più violenta contro di noi ed i nostri amici, come si può giudicare dalla maniera in cui viene trattata la buona gente che ci offre rifugio. La ragione, ritengo, è che il nostro numero è cresciuto. A ciò non sono
estranee le contese che sono scoppiate tra noi ed uno strato del clero secolare, prima nei seminari e poi in Inghilterra; il che rende il governo impaziente di schiacciare la parte più intransigente comminando pene terribili
alla gente che ci ospita e ci protegge. Ma gli Israeliti crescevano nonostante la rabbia di Faraone che li cercava a morte (16).
Come stavo dicendo, questo signore e la sua famiglia vivevano pacificamente del loro patrimonio. Egli, in particolare, cercava di stornare con ogni cura l'attenzione del governo. I suoi occhi erano ciechi alle insidie di
satana ed egli neanche le temeva. Ma, nonostante ciò, si ritrovò irretito
nelle maglie della grazia. Cadde dritto dritto nella rete, vi rimase impaniato e non mostrò alcun desiderio di districarsene.
Ciò avvenne dopo il primo o il secondo giorno. Aveva meditato profondamente sugli scopi che Dio si era proposto nel crearlo e su tutto il resto,
quando incominciò ad avvertire il rimescolio delle acque: si tuffò subito
nella piscina e ne fu guarito. D'allora in poi, fece con molto impegno le
sue meditazioni, come si può constatare dal profitto che ne trasse. Per
l'avvenire si propose di dedicare tutta la vita per procacciare la maggior
gloria di Dio. Per quanto riguarda i beni che Dio gli aveva donato, prese a
considerarli come un tesoro affidato alla sua custodia, e non come cose di
sua proprietà; analogamente prese a riguardare la sua stessa famiglia come
un pegno affidatogli da Dio. Decise, inoltre, di accogliere due altri sacerdoti ed insistette che uno di essi fosse un gesuita, perché assumesse la direzione spirituale di lui e della sua famiglia. Se, poi, l'amministrazione del
patrimonio gli lasciava del tempo libero, soleva dedicarlo alla lettura ed alla traduzione di libri ascetici. Egli era un letterato e tradusse, infatti, molte
opere utili, tra cui la vita del nostro santo fondatore (17), i Dialoghi di S.
Gregorio, il De bono statu religiosi di Girolamo Platus (18) ed altri ancora. Per sé formulò delle regole di condotta che lo avrebbero dovuto guidare
nelle sue relazioni con gli altri, nell'intento di aiutarli ed incoraggiarli a
condurre una buona vita.
Queste furono le sue risoluzioni ed egli le mantenne. Dovette superare
molte difficoltà che aveva chiaramente previsto fin dall'inizio. Anzitutto,
la maggior parte della servitù era protestante. In secondo luogo, vi erano
sua moglie, dalla quale non ci si poteva aspettare che accondiscendesse ai
suoi piani, ed il suo cappellano, uno di quei vecchi preti che erano sempre
alle prese con i giovani, specialmente con i gesuiti, ch'essi consideravano
come innovatori indiscreti. Non era una cosa facile, come egli stesso pienamente comprendeva. Tuttavia era determinato, nonostante quanto sarebbe potuto accadere, a sostituire (ma in maniera delicata e generosa) i
suoi servi protestanti con altri cattolici accuratamente scelti ed a convincere tanto sua moglie che il cappellano, possibilmente mediante un'amorevole opera di persuasione, oppure, se questa fosse riuscita vana, ricorrendo
alla sua dottrina di capofamiglia.
Allorché ciò fu realizzato, egli mi pregò con molta insistenza di trasferirmi
in casa sua. Le ragioni che addusse erano convincenti. Ivi mi ero recato
per amore del mio ospite. Questi, adesso era in procinto di partire, giacché
Padre Garnet aveva deciso che egli si trasferisse presso di lui, finché non
gli fosse possibile recarsi nel continente. Inoltre, il buon prete, che era sul
posto allorché io ero giunto, vi sarebbe rimasto e si sarebbe preso cura della madre di quel gentiluomo. Nel trasferimento vi era, infine, il vantaggio
che io sarei stato più vicino a Londra e che nella nuova dimora, dopo la
partenza del mio ospite, avrei potuto fare maggior bene che restando dove
mi trovavo. Tutte ragioni, queste, che sottoposi alla considerazione del
mio superiore, allorché mi recai a presentargli il mio ospite ed a lasciarlo
in casa sua (19).
Padre Garnet mi esortò a non lasciarmi sfuggire l'occasione, dal momento
che mi si presentava spontaneamente. Nella mia nuova residenza, però,
ebbi cura di far effettuare, nei limiti del possibile, ogni mutamento prima
del mio arrivo. Non avevo intenzione alcuna di divenire motivo di contesa; perciò indugiai per ben due mesi prima di trasferirmi. Fu scelto un
corpo di buoni e capaci servitori, per la maggior parte uomini che avevo
conosciuto in altri luoghi e di cui sapevo che mi sarei potuto fidare. Né mi
risultò così difficile, come avevo temuto, indurre la padrona di casa ed il
vecchio sacerdote ad accettare i cambiamenti; anzi essi mi offrirono un
valido aiuto per condurli a compimento, specialmente la signora, che superava tutti nelle cure che prodigava alla cappella e nella sensibilità che
aveva per i miei bisogni. Ella era di temperamento abbastanza vivace e le
riusciva difficile mantenere la pazienza con i servi e con gli altri. Tuttavia,
la frenavo sempre e l'ammonivo di volta in volta, di solito naturalmente in
sede privata, ma talvolta anche davanti agli altri, quando le circostanze lo
esigevano. Mi comportai così per tutto il tempo che trascorsi nella sua famiglia. Ella prendeva ciò in buona parte e si sforzava seriamente di tenere
il suo temperamento sotto controllo. Ogni giorno sembrava volermi dare
nuove prove del suo rispetto e della sua affezione, come si potrà constatare
in seguito.
Quanto al cappellano (20), egli divenne mio buon amico, quando si accorse che la sua posizione era migliorata in seguito alla mia venuta, e spesso
manifestò la sua soddisfazione con parole e con fatti. Del resto, era naturale che il rispetto nei suoi confronti aumentasse con l'incremento della pietà
e della devozione nella famiglia. Di fatto, era trattato meglio di quanto non
lo fosse stato in precedenza; e sebbene non tardasse ad accorgersi che la
mia persona era alla base dei cambiamenti, riconobbe che egli stesso aveva più influenza di prima.
Ivi viveva anche la madre del mio ospite; questa era vedova e persona di
meravigliosa bontà. Il suo costante conforto erano i suoi figli, quattro maschi e quattro femmine. Tutte le figlie si fecero suore; due erano già entrate nell'ordine delle Brigidine prima del mio arrivo (21): una di esse è ora
badessa a Lisbona. Le altre due furono da me aiutate a recarsi nelle Fiandre, dove sono entrate nel convento delle Agostiniane a Lovanio (22). An-
che i maschi erano tutti bravi giovani. Due di essi, come ho sopra riferito,
morirono nella Compagnia. Un terzo (23) intraprese la carriera militare.
Questi si distinse in battaglia contro gli eretici nei Paesi Bassi e fu ucciso
poco tempo fa combattendo valorosamente fino alla morte, mentre tutti gli
altri intorno a lui si erano arresi. Il quarto divenne l'erede del casato e, con
grande gioia della madre, si dedicò ad ogni genere di opere buone. Questa
signora era un'anima di tale santità, che affermava che il mondo non aveva
più nulla da darle. Il giorno in cui arrivai nella casa, ella chiese al figlio di
portarmi nella sua stanza. Appena entrai, ella cadde ai miei piedi ed implorò che le permettessi di baciarmeli, giacché, ella affermava, io ero il
primo membro della Compagnia che ella avesse mai visto. Io rifiutai ed allora ella baciò il pavimento sul quale stavo. Quel giorno ella fu inondata di
una consolazione di spirito che non l'ha più abbandonata. Adesso, vive
lontana dal figlio e mantiene nella sua casa due sacerdoti gesuiti. Quello
che lei ebbe a soffrire nel frattempo sarà narrato in altro luogo.
NOTE AL CAPITOLO IV
1 Questi fu probabilmente William Hanse, fratello di Padre Everard Hanse, che fu ucciso a Tyburne, perché era prete, il 31 luglio 1581. Nella lista dei “papisti e nonconformisti in alcune contee dell'Inghilterra” (1588) figura un certo “Draiton, alias
Hanse del Suffolk”, che è probabilmente quel William Hanse che fu uno degli assistenti dell'arciprete. C.R.S., vol. XXII, p. 127; Camden Society, Archpriest Controversy,
vol. I, p. 206.
2 William Watson, nel suo Quodlibets, elenca un gran numero di signore che consegnarono a J. G. del denaro da distribuire tra i cattolici bisognosi. JESSOP, p. 220.
3 Isabella, vedova di Edmund Fortescue di Sawston e cognata di Thomas Wiseman.
JESSOP, p. 220.
4 Padre Anthony Rowse, che apostatò. Giunse a Douai il 12 settembre 1591 e vi fu
ordinato sacerdote il 21 maggio 1592 insieme a Padre Thomas Everett. Tornato in Inghilterra, lavorò bene per molti anni, ma apostatò nel 1605 per timore della persecuzione. Nel 1608 tradì il nipote di Padre Henry Garnet, Padre Thomas Garnet, che fu
ucciso a Tyburn il 23 giugno dello stesso anno. In seguito, quando pensava di pentirsi,
un suo parente gesuita (probabilmente Padre Everett) ardì visitarlo per riconciliarlo alla
Chiesa. Nel 1613 si recò in Belgio e fu accolto a Lovanio nella casa dei gesuiti inglesi
dov'era rettore J. G. R. BELVEDERT, Bentivoglio Diplomatico, vol. II, pp. 282-283.
5 Thomas e John Wiseman.
6 Gli Esercizi Spirituali sono programmati in maniera da occupare un intero mese e le
meditazioni sono divise in quattro settimane. Nella prima sono contemplati lo scopo
della creazione, il peccato e l'inferno; nella seconda il ministero di Nostro Signore, nella terza la Passione, e nella quarta la vita risorta.
7 Quando J. G. sbarcò per la prima volta nel 1588, c'erano, secondo quanto egli attesta, soltanto altri quattro gesuiti nel paese. Nel 1606, anno in cui egli lasciò l'Inghilterra, il numero era salito a quarantacinque; nel 1614 raggiunse i cinquantanove e nel
1620 i centocinque. Nel 1632 il numero dei gesuiti inglesi, sia in patria che all'estero,
era di trecentoquarantaquattro. Cfr. FOLEY, passim.
8 Anne, contessa d'Arundel.
9 Questa “casa privata”, in cui Southwell aveva la sua tipografia, era probabilmente la
casa di Arundel, nello Strand, dove la contessa di Arundel visse durante la detenzione
di suo marito nella Torre. Cfr. CHRISTOPHER DEVLIN, Southwell and the MarPrelates, The Month, febbraio 1948.
10 Padre Garnet divideva questo denaro “tra gli ecclesiastici, prigionieri o comunque
bisognosi, e tra gli altri poveri cattolici, che soffrivano sotto la persecuzione”. Cfr. il
volume manoscritto di THOMAS HUNTER, conservato a Stonyhurst ed intitolato A
modest Defence of the Clergy and Religious. In una nota alle Letters of Thomas Fitzherbert (1608-1610) (C.R.S., vol. XLI, pp. 131-133), Padre L. HICKS tratta delle
finanze della missione. In quei primi tempi dominava uno spirito di generosa cooperazione e tanto J. G. quanto Padre Garnet assistevano tutti i sacerdoti che si rivolgevano
a loro per aiuto. Nei dieci anni che egli trascorse in missione, scriveva Garnet nel 1596
in una lettera privata al Generale, sarebbe stato difficile trovare un solo sacerdote entrato in Inghilterra senza che non fosse stato soccorso fino alla sua sistemazione. Siccome le elemosine ricevute non coprivano le spese, Garnet fu autorizzato a dispensare
il patrimonio di alcuni suoi dipendenti per provvedere al mantenimento del clero inglese. A quel tempo il Dr. Barrett, preside di Douai, dichiarò che aveva ricevuto più denaro da Garnet e da Southwell che da tutti i preti secolari d'Inghilterra. Lo stesso Garnet,
quando fu accusato di avarizia, si dichiarò pronto a cambiare il denaro che la Compagnia aveva in Inghilterra con quello posseduto da un prete qualsiasi scelto a sorte tra
tutti.
11 Il fratello minore, John Wiseman, morì novizio nel 1592 all'età di ventun anni; il
fratello maggiore, Thomas, morì a St. Omers 1'11 agosto 1596 a ventiquattro. Le annotazioni del registro di Sant'Andrea mostrano che i fratelli assunsero i due soprannomi
di J. G.: John prese il nome di Starkey e Thomas quello di Standish. Stonyhurst MSS,
Catalogus Primorum Patrum, FOLEY, VII, parte 2, pp. 853-854.
12 Christopher Walpole, iscritto come pensionante al Caius College 1'8 dicembre
1587, entrò nel Collegio Inglese di Roma il 2 febbraio 1592. Mori a Valladolid nel
1606. FOLEY, VI, p. 188.
13 William Wiseman.
14 Braddocks, tra Thaxted e Saffron Walden, nell'Essex. La casa fu costruita intorno al
1560 su una pianta a mezza H ed esposta ad est. Ciò che oggi ne rimane è l'ala nord
che è stata adibita a fattoria. Royal Commission Hist. Monuments, Essex N. W., pp.
353-354.
15 J. G. fu probabilmente ingannato dalla modestia di Wiseman e fu indotto a credere
che questo suo nuovo amico mancasse di entusiasmo per la sua fede. Nel settembre del
1586, un anno dopo la morte di suo padre e cinque anni prima d'incontrare J. G., William Wiseman era già stato arrestato ed imprigionato per aver ascoltato la Messa.
P.R.O., Treasury Chamber Accounts, 2 ott. 1586.
16 J. G. si riferisce alla “Appellant Controversy”, che seminò discordia in seno ai nonconformisti e la cui propagazione procurò alla causa cattolica più danno che tutta la
persecuzione. Cfr. L. HICKS, The letters of Thomas Fitzherbert, c.R.S., vol. XLI.
17 S. Ignazio, fondatore della Compagnia di Gesù.
18 L'autore, Girolamo Platus, o Piatti, era maestro dei novizi a Sant'Andrea, quando J.
G. iniziò il suo noviziato nel 1588. L'opera fu pubblicata l'anno seguente e finché non
fu sostituita dalla Perfezione cristiana di Alfonso Rodriguez, rimase il testo classico
per l'istruzione dei novizi agli inizi della vita religiosa.
19 Henry Drury entrò nella Compagnia come Fratello e morì novizio ad Anversa il 10
settembre 1593. Arch. S. J., Roma, Germ. 171, fo1. 273.
20 Questi fu Padre Richard Jackson, secondo quanto risulta dall'atto di accusa della
madre di William Wiseman. (Cfr. infra, cap. VIII).
21 Anne e Barbara Wiseman. Barbara morì a Lisbona nel 1649; Anne nello stesso luogo, l'anno seguente. C.R.S., IX, p. 1.
22 Jane e Bridget Wiseman. Entrambe entrarono a Lovanio nel convento fiammingo
delle canonichesse di Sant'Agostino nella “Mi-Rue”. In questo convento, nel 1606, c'erano ventidue monache inglesi sotto la guida di una priora inglese, Madre Margaret
Clement, figlia di John Clement e Margaret Griggs. Nel 1609 Jane Wiseman fondò a
Lovanio, con l'aiuto di J. G., un convento inglese dello stesso ordine, Santa Monica, e
lo diresse per ventiquattro anni. Di tutti i conventi inglesi quello di Santa Monica fu di
gran lunga il più ligio alla casa Stuart, e nella lista delle monache professe di questo
convento è rappresentata quasi ogni preminente famiglia inglese del partito giacobita.
La chiesa del convento era, a quanto si dice, una delle più belle della città. Quando i
Francesi invasero i Paesi Bassi nel 1794, la comunità emigrò in Inghilterra ed ora si
trova stabilita a Newton Abbot. Bridget Wiseman morì nel convento di Santa Monica
nel 1627; nello stesso convento morì pure Jane sei anni dopo. PETER GUILDAY,
English Catholic Refugees, pp. 282-285.
23 Robert Wiseman.
V. BRADDOCKS
Inverno 1591 - Primavera 1594
Quando la famiglia si adattò a questa nuova vita, io potei trovare del tempo per lo studio (1) e per alcuni viaggi missionari. Il mio impegno, comunque, fu quello di curare che tutta la famiglia si avvicinasse frequentemente ai sacramenti. Ad eccezione della vedova, gli altri usavano accostarsi ad essi al massimo quattro volte all'anno: adesso ciò avveniva ogni
settimana. Nei giorni festivi, e normalmente nelle domeniche, io predicavo
in cappella ed istruivo tutti sul modo di esaminare la coscienza ed insegnavo, a coloro che ne avevano il tempo, la maniera di meditare. Un'altra
pratica che avviai fu la lettura di libri ascetici, cosa che noi attuavamo perfino a tavola quando non erano presenti né ospiti né visitatori. Quelli erano i tempi in cui i preti erano soliti prendere i pasti insieme alla famiglia e
spesso in abiti ecclesiastici. Naturalmente, io avevo con me una talare ed
una beretta; ma Padre Garnet ci proibì di indossarle fuori della cappella.
Quasi in ogni viaggio cercavo di condurre della gente in chiesa. Ma vi è
una grande differenza tra questi paesi, in cui stavo allora lavorando, e le
altre parti dell'Inghilterra. Negli altri luoghi, in cui una gran parte della
popolazione è cattolica e quasi tutti hanno un'inclinazione per il cattolicesimo, è facile fare molte conversioni e radunare grandi assemblee alle prediche. Nel Lancashire, ad esempio, ho visto con i miei occhi più di duecento persone che ascoltavano la Messa e la predica. Questa gente viene in
chiesa senza difficoltà, ma si dilegua quando scoppia la persecuzione.
Quando cessa l'allarme, essa torna di nuovo. Invece, nei distretti in cui allora vivevo, i cattolici, erano molto pochi. La maggior parte di essi apparteneva alle classi più elevate; nessuno o pochissimi, apparteneva al popolo
minuto, giacché per i popolani è impossibile vivere in pace, circondati
come sono da protestanti molto fanatici. L'unico modo di operare conversioni, da queste parti, è quello di conquistare prima la nobiltà, quindi la
servitù, perché i nobili cattolici debbono avere servi cattolici.
A quel tempo, accolsi nella Chiesa il fratello della mia ospite (2). Egli era
l'unico figlio di un cavaliere e si dimostrò sempre uno dei miei più cari
amici. In seguito, sposò una cugina del famoso duca di Feria, ed entrambi
sono molto devoti ai nostri padri. Essi ne tengono sempre uno nella loro
casa, talvolta anche due o tre, senza curarsi affatto del pericolo dei tempi.
Nello stesso anno inviai felicemente in Francia la figlia e tre figli di un
gentiluomo cattolico (3). La ragazza (4) entrò nel convento agostiniano di
Lovanio e divenne la favola del luogo per la sua santità. Anche adesso,
dopo la sua morte, parlano di lei con venerazione e si riferiscono a lei come alla “santa”. La sua stima ed il suo amore per la vita religiosa era veramente grande e mi si dimostrava grata in maniera imbarazzante per la
piccola parte che io avevo avuto nella sua vocazione. Era solita decantare i
miei pregi alla comunità ed in maniera così entusiastica, che quando giunsi in visita a Lovanio la folla si accalcava per vedermi. Scoprii perfino che
una delle suore fiamminghe, che le era molto affezionata mentre era in vita, si era impegnata ad imparare l'inglese, semplicemente per fare con me
la sua confessione. Altre stavano facendo lo stesso. Che la Provvidenza
fosse qui in opera, posso accertarlo dal fatto che ciò procurò la salvezza di
alcune anime che altrimenti non si sarebbero mai confidate con me.
I suoi tre fratelli appartennero al primo stuolo di allievi a St. Omers. Uno
di essi morì in Spagna subito dopo aver lasciato la scuola; il secondo, erede del patrimonio familiare, fu ucciso dietro accusa di tradimento, ma in
realtà morì martire per la fede (5); il terzo vive e lavora ancor oggi in Inghilterra, dove è un buon prete ed un grande amico dei nostri padri (6).
Più sopra ho accennato alle sorelle del mio ospite. Ci volle alquanto tempo
per organizzare la loro partenza per l'estero. Prima che partissero, avevo
persuaso la loro madre che sarebbe stata cosa buona se ella, tornando nella
propria casa (7), vi ospitasse un prete che le avevo raccomandato. Avevo
intuito che quest'anima così nobile e generosa sarebbe diventata il sostegno di molti, cosa che infatti si avverò. La sua casa fu un rifugio ed una
sicura fortezza per i gesuiti e per tutti i preti; e quando io e gli altri la visitavamo, ella ci accoglieva con grande gioia. Talvolta cominciava a battere
le mani o a dare qualche altro segno della sua contentezza. Era una vera
vedova, dedita ad ogni buona opera e piena di zelo.
Per non menzionare molte persone di inferiore posizione sociale, che ella
condusse a me per farle riconciliare, ci fu una nobile signora che ella era
quasi riuscita a convertire (8). Questa era una sua vicina. Era la sorella del
conte di Essex (allora al culmine del suo favore presso la regina) ed era
sposata con il più ricco signore dell'intero paese. Sebbene conducesse una
vita di frivolezze, fu condotta al punto di dichiararsi pronta ad incontrare
un sacerdote, purché questi potesse venire all'insaputa di tutti. La buona
vedova mi comunicò la cosa. Così mi recai apertamente a casa sua e, secondo un accordo che avevamo fatto, mi rivolsi a lei fingendo di portarle
un messaggio da parte di un'altra nobile signora, che era sua parente (9).
Pranzai alla sua tavola con tutti i familiari e quindi le parlai in privato per
tre ore abbondanti. Prima sciolsi tutti i dubbi che ella sollevò sulla fede;
quindi tentai di stimolare la sua volontà. Prima della mia partenza, ella mi
chiese di insegnarle a prepararsi per la confessione e fissammo un giorno.
Quindi mi scrisse protestando seriamente che non c'era nulla al mondo che
ella desiderasse tanto, quanto manifestarmi i segreti più profondi del suo
cuore.
Ma i giudizi di Dio sono insondabili ed è terribile esporsi alla tentazione
di peccare. A Londra c'era un gentiluomo, che l'amava di un amore profondo e paziente (10). Ella gli scrisse per comunicargli il passo che si era
proposta di fare, intendendo, forse, romperla con lui. Ma ella destò una vipera addormentata. Egli si precipitò immediatamente da lei e cominciò a
dissuaderla dal suo proposito con ogni mezzo a sua disposizione. Era un
protestante abbastanza colto e la persuase abilmente a chiedere alla sua
“guida” la soluzione di certi dubbi che egli stesso nutriva intorno alla fede
(11). Le assicurò che, se ne fosse convinto, anch'egli sarebbe divenuto cattolico. Intanto, la supplicò a non fare nessun passo irrevocabile, se desiderava che egli non si suicidasse. Egli riempì due interi fogli sul papa, sul
culto dei santi e su questioni del genere. Nella lettera di lui la signora accluse una nota vergata di proprio pugno, in cui mi pregava di farle la gentilezza di rispondere, perché sarebbe stato un gran guadagno se fossimo
riusciti a convertirlo. Ma l'uomo non aveva alcuna intenzione di apprendere la verità; desiderava soltanto rimandare la conversione di lei. Egli ricevette tutte le mie soluzioni, che erano anche molto lunghe, ma non diede
alcuna risposta. Nel frattempo tentò di condurla a Londra. Riuscì prima a
persuaderla a rimandare la sua riconciliazione e poi ad abbandonare del
tutto l'idea.
In tutto questo tempo, egli lavorava alla sua rovina. Più tardi ritornò trionfatore dall'Irlanda. Aveva ben amministrato il paese ed aveva sconfitto le
forze spagnole che vi erano sbarcate (in quella occasione condusse prigioniero il conte di Tyrone, il più valido oppositore dell'eresia nell'isola ed il
più saldo sostegno della vecchia fede) e per i suoi meriti fu creato conte da
Sua Maestà regnante. Ma il pover'uomo che aveva conquistato gli altri
non fu capace di conquistare se stesso! L'amore che nutriva per questa
donna lo riduceva uno schiavo impotente. La sua follia lo spinse ad eccessi; la cosa si riseppe a corte e cadde in pubblica disgrazia. Ciò fu più di
quanto potesse sopportare. Incapace di liberarsi da questa infatuazione,
morì di crepacuore. Con l'ultimo respiro egli invocò, non Dio, ma la sua
dea, il suo “angelo”, come la chiamava, e la lasciò sua unica erede. Una
fine miserabile, in verità, dopo aver rovinato il suo buon nome.
Sebbene la donna fosse ora più ricca che mai, i suoi pensieri tornavano
spesso al dimenticato proposito. Spesso cominciava a parlare di me con
una delle sue damigelle d'onore che era cattolica. E quando, circa tre anni
fa, questa ragazza si trasferì in Belgio per farsi suora (12), mi narrò la cosa
e mi suggerì di scriverle per vedere se fosse possibile suscitare la fiamma
dalla cenere (13). Stavo infatti scrivendo una lettera, quando venni a sapere che ella era morta di febbre. Per fortuna era stata riconciliata con la
Chiesa sul letto di morte da uno dei nostri padri.
Mi accorgo che ho indugiato troppo in questa storia, ma desideravo mostrare come la Provvidenza di Dio avesse agito nei suoi riguardi e come il
Suo giudizio fosse ricaduto sull'amante che aveva ritardato la conversione
di lei.
NOTE AL CAPITOLO V.
1 Probabilmente, J. G. lavorava allora alla traduzione dell'Esortazione di Gesù Cristo
all'anima fedele del certosino LANSPERGIO (Johann Landsberger), che fu pubblicata
clandestinamente a Londra nel 1598. NATHANIEL SOUTHWELL, Bibl. Scriptorum
Soc. Jesu, p. 452.
2 Henry Huddlestone, di Sawston, presso Cambridge. Dal tempo di J. G. fino ad oggi
Sawston, a circa cinque miglia a sud di Cambridge, è rimasta un centro cattolico.
Henry Huddlestone sposò Dorothy, figlia di Robert, primo Lord Dormer. Questa era
cugina del duca di Feria, ma solo per affinità per parte del marito. MORRIS, p. 97.
3 Richard Rookwood, di Coldham, vicino Bury St. Edmunds. Coldham, a cinque miglia e mezzo a sud-est di Bury St. Edmunds, fu un altro centro cattolico stabilito da J.
G. e continuò a prosperare durante tutta la persecuzione. I Rookwood furono tra i primi allievi della scuola di St. Omers. Henry Walpole, che passò da St. Omers il 13 novembre 1593, dichiarò nel suo interrogatorio che “a St. Omers c'erano anche tre o
quattro Rookwood, tutti fratelli, e quattro Mallet, ovvero Ilesleys, che erano arrivati di
recente”. C.R.S., vol. V, p. 262.
4 Dorothy Rookwood. Era stata due anni nel Belgio prima di entrare in religione. Il 5
giugno 1595 aveva fatto la professione nel convento fiammingo di Sant'Orsola a Lovanio insieme a Bridget Wiseman e Margaret Garnet, sorella di Padre Garnet. Morì nel
1607 “dolcemente come visse, perché era un'anima mite e virtuosa, dolce ed affabile
nella conversazione ed amata da tutte le sorelle”. ADAM HAMILTON, Chronicle of
St. Monica's Convent, vol. I, p. 23.
5 Ambrose Rookwood. Fu ucciso al tempo della congiura delle polveri. “Ma ciò che
spinse [i cospiratori] a scegliere specialmente Mr. Rookwood, scrive J. G. nel suo
Narrative of the Gunpowder Plot, fu, suppongo, non tanto il desiderio di fruire del suo
aiuto mediante la sua vita e la sua persona, e di un'abbondante riserva di cavalli che
quello possedeva in gran numero e di ottima qualità, ma perché lui stesso era conosciuto come uomo di grande virtù e di pari coraggio e di non minore segretezza. Era, inoltre, uomo di grande talento e di profonda cultura, avendo trascorso nello studio molto
tempo della sua giovinezza. A quel tempo (1606), aveva, ritengo, non più di ventisei o
venti sette anni ed aveva sposato una ragazza cattolica molto virtuosa, appartenente ad
un grande casato, dalla quale ebbe numerosi bambini. Fu ucciso nel cortile del Palazzo
Vecchio a Westminster il 31 gennaio 1606. Narrative, pp. 85.86.
6 Costui è Robert Rookwood. Questi entrò nel Collegio Inglese nell'ottobre 1598, all'età di sedici anni, e fu ordinato il 1° agosto 1604. Nel 1613 (dopo che J. G. aveva
scritto l'autobiografia), entrò nella Compagnia ed operò per molti anni nel distretto del
Suffolk. Nel 1624 la spia Gee lo descrive come “un uomo piccolo e bruno, molto sensibile e galante, che abitava a metà di Drury Lane ed era in relazione con delle nobildonne decadute”. FOLEY, I, p. 676; VII, parte 2, p. 670; C.R.S., XXXVII, p. 110.
7 A Northend, nella parrocchia di Great Waltham, Essex.
8 Penelope Rich, la più celebre bellezza del suo tempo. Era figlia di Walter Devereux,
primo conte di Essex. Fu costretta ad un matrimonio infelice con Robert, terzo Lord
Rich, in seguito conte di Warwich. Sir Philip Sidney in uno dei sonetti dedicati alla sua
“Stella” fa allusione a questo matrimonio, giocando sul nome del marito: “Ella non ebbe sfortuna alcuna, tranne quella di essere Ricca”. Era vicina dei Wiseman e le due
famiglie erano imparentate. Quando la casa della signora Wiseman a Northend fu attaccata, la vedova percorse tutta la strada a cavallo fino alla casa di Lord Rich a
Leighs, nella stessa contea. Poco prima che J. G. la incontrasse, Penelope era divenuta
l'amante di Lord Mountjoy, dal quale ebbe tre figlie e due figli. Morì circa dodici mesi
dopo Mountjoy. D.N.B., XLVIII, p. 120.
9 Dorothy, moglie di Henry Perey, nono conte di Northumberland.
10 Charles Blount, ottavo Lord Mountjoy. Nel giugno del 1603, al suo ritorno dall'Irlanda, Montjoy condusse con sé, a Wanstead, O' Neil, conte di Tyrone, per consentirgli di fare atto di personale sottomissione a Giacomo I. Egli fu allora nominato conte
del Devonshire e il 26 dicembre 1605 sposò Lady Rich dopo la sentenza di divorzio,
che la separava dal marito ancor vivente. Qualche mese dopo, il 3 aprile 1606, morì di
polmonite e non, come dice J. G., di crepacuore. Siccome il matrimonio fu celebrato
sfidando le recenti disposizioni di disciplina ecclesiastica decretate nel 1604, ciò recò
una grave offesa al re e ritardò la promozione di William Land, che, quale cappellano
del conte, aveva celebrato il matrimonio nella sua casa di Wanstead. Fynes Moryson,
segretario di Mountjoy (1600-1602), lo descrive come uomo “di alta statura, di proporzioni armoniose e dai capelli nerastri. La fronte era larga ed alta, i grandi occhi neri
e belli, il naso alquanto basso, corto e un po' schiacciato all'estremità, le guance paffute, rotonde e rubiconde, l'aspetto gaio”. The Complete Peerage, vol. IX, p. 346.
11 “Il suo più grande piacere era lo studio della Teologia e, in particolar modo, la lettura dei Padri e degli Scolastici... ed oserei dire che, pur trattandosi di un laico, egli fu
(secondo il mio giudizio) il miglior predicatore che io avessi mai ascoltato, specialmente nelle controversie con i papisti”. FYNES MORYSON, History of Ireland (ed.
1735), vol. I, p. 110.
12 Tra le professe del convento inglese di Bruxelles si trovava “Mistress Deacon, in
precedenza dama di compagnia di Lady Rich”. Edmondes a Salisbury, 16 aprile 1617.
S. P. Flanders, vol. VIII, p. 274.
13 Nata nel 1581 a Huggerstone, nel Middlesex, la Deacon entrò nel convento di Bruxelles 1'11 gennaio 1606, proprio un anno prima che Edmondes inviasse questa informazione a Salisbury. Fece la professione il 29 aprile 1608 e mori a Cambrai nel 1645.
Suo padre divenne cistercense. C.R.S., vol. XIV, p. 179; BIRT, Obit Book O.S.B., p.
214.
VI. PERQUISIZIONE A BADDESLEY CLINTON
Ottobre 1591
Durante questa mia permanenza feci, all'occasione, dei lunghi viaggi nelle
regioni del nord. La rotta che facevo passava per la mia casa e per molti
luoghi che appartenevano a parenti e a gente che ben conoscevo. Tuttavia,
potei realizzare ben poca cosa in quelle contrade, sebbene molte persone
mi professassero una calda amicizia. Infatti, ho sperimentato personalmente la verità di quel detto di Nostro Signore secondo il quale “nessuno è
profeta nella sua patria”; ed io non fui mai desideroso di trattenermi molto
a lungo con loro (1).
Durante uno di questi viaggi mi capitò di invertire la rotta e visitare un parente cattolico. Giunsi da lui, proprio mentre stava uscendo per unirsi ad
una grande caccia, per la quale si erano radunati tutti i suoi amici. Egli mi
invitò ad andare con lui, giacché era ansioso che io convertissi un gentiluomo che recentemente aveva sposato una nostra cugina. Risposi che sarebbe stato meglio rimandare ciò ad un altro giorno. Egli insistette, tuttavia, dicendo che se non afferravo adesso l'occasione, non sarei stato mai
più in grado di avvicinarlo. Così risolsi di andare e di avvicinare quell'uomo; cavalcai tutto il giorno in sua compagnia, improvvisandomi io
stesso cacciatore di un cacciatore. Ogni qualvolta la muta perdeva la pista
e cessava di abbaiare, usavo la pausa per fare la mia piccola caccia e cominciavo a parlare con tutta serietà. Dal discorso sull'affanno che ci stavamo prendendo per cacciare un povero animale, sviai la conversazione
sulla necessità di ricercare un premio eterno e di escogitare la maniera di
accaparrarcelo, nonostante tutte le pene e le fatiche che questo richiedeva.
Il demonio, dissi, non si concedeva riposo ma tentava sempre, come un
cane, di metterci alle strette: l'uomo, naturalmente, era più scismatico che
eretico ed era necessaria un po' di polemica. Ma fu solo dopo molto discutere che riuscii ad influenzare la sua volontà. Per tutto quel giorno e durante il successivo, lavorai attorno a lui. Il quarto giorno si arrese e divenne
cattolico. Egli pratica ancora la sua religione e spesso alloggia dei sacerdoti nella sua casa e li introduce presso altre famiglie.
Prima di proseguire debbo narrare un' altra storia riguardo allo stesso gentiluomo. Si tratta di una storia interessante. Un giorno gli capitò di andare
a visitare un suo amico che era a letto ammalato. Sapendo egli che quel
gentiluomo non era un eretico pervicace, bensì un brav'uomo che si era lasciato sviare, cominciò ad istruirlo sulla fede. Lo persuase che, siccome
egli era gravemente ammalato, era tempo che cominciasse a pensare alla
sua eterna salvezza. Le sue parole centrarono il bersaglio ed il malato lo
pregò di trovare un prete che ascoltasse la sua confessione. Nel frattempo
il suo amico lo istruiva sul modo di stimolare il dolore dei suoi peccati e di
prepararsi ad una confessione generale. Quindi se ne andò. A quel tempo,
egli non aveva nessun prete in casa sua e non ne poté trovare subito uno.
Intanto il gentiluomo morì, naturalmente con un grande desiderio di confessarsi, giacché domandava continuamente quando sarebbe tornato il suo
amico che gli aveva promesso di portare con sé un medico. (I sacerdoti
passano normalmente per medici, quando visitano le case dei malati).
Sembra che questi pii desideri abbiano reso un buon servigio al morente.
Dopo la sua morte, la moglie vedeva ogni notte una specie di luce solcare
l'aria della sua stanza e passare per le cortine del letto. Impaurita, ordinò
alle cameriere di portare i loro letti nella sua stanza e di restare con lei durante la notte. Ma esse non videro assolutamente nulla. Solo la padrona
continuava a vederla ogni notte e ne restava turbata. Alla fine ella mandò a
chiamare l'amico cattolico di suo marito, gli narrò tutto quello che stava
accadendo e gli chiese di recarsi da qualche dotto per conoscere il suo parere. Questi, a sua volta, si rivolse ad un prete, il quale gli consigliò di dire
alla signora che la strana luce significava, probabilmente, che ella sarebbe
pervenuta alla luce della fede. Il suo amico tornò con questa risposta ed ella si fece cattolica. Dopo la conversazione fece celebrare la Messa per lungo tempo in quella stanza. Tuttavia, la luce continuava ad apparire ogni
notte, e la vedova era più preoccupata che mai. Il prete, quindi, prese a
consultare altri sacerdoti. La risposta che essi diedero fu la seguente: probabilmente suo marito si trovava sulla strada del cielo (in cuor suo egli era
stato cattolico ed aveva desiderato ricevere i sacramenti), ma aveva ancora
bisogno di preghiere per purificare la sua anima. Egli suggerì quindi che si
celebrasse per lui la Messa per trenta giorni, secondo la vecchia usanza del
paese. La signora provvide a ciò ed ella stessa fece più volte la comunione
con questa intenzione. La notte dopo la celebrazione dell'ultima Messa in
quella stanza, apparvero tre luci invece di quella solita, e sembrava che le
due esterne sostenessero fra loro la terza. Tutt'e tre passarono per le cortine
del letto e, dopo essersi soffermate per pochi secondi, si innalzarono verso
il cielo passando attraverso la copertura del baldacchino, lasciando nel suo
cuore un grande conforto. Non apparve più nulla del genere ed ella interpretò la cosa come un segno che l'anima di suo marito era stata liberata
dalle sofferenze ed era stata portata in cielo dagli angeli.
Ciò accadde nella contea di Stafford.
Lo scopo di questi viaggi verso l'estremo nord era sempre quello di visitare
e di incoraggiare certe persone che fornivano un grande appoggio alla nostra causa comune.
Tra la gente che solevo visitare vi erano due sorelle. Erano le figlie di uno
dei più vecchi conti del paese che era morto martire per la fede (2). A quel
tempo, le due donne vivevano nella stessa casa e volevano che io restassi
definitivamente con loro, non che mi limitassi a visitarle solo occasionalmente. Ciò era impossibile; tuttavia, esse si posero sotto la mia direzione
spirituale. La sorella maggiore era madre di famiglia e diventò un vero e
proprio pilastro a sostegno della chiesa perseguitata in quelle parti (3). Ella albergava nella sua casa due sacerdoti ed accoglieva con grande gentilezza tutti gli altri che si trovavano di passaggio (e ve n'erano molti, perché quella parte del paese era ben fornita di preti; ed i cattolici erano numerosi, sebbene appartenessero per la maggior parte alle classi basse). Di
fatto, ogni volta che mi recavo da lei, incontravo sempre dai sei ai sette
sacerdoti, prima di ripartire. I suoi aiuti si estendevano sull'intero distretto,
almeno fino al tempo in cui fui catturato e gettato in prigione. Successivamente, suo marito la persuase a trasferirsi a Londra. Nessuno dei due
trasse vantaggio da questo trasferimento ed i poveri cattolici del distretto
patirono una grave perdita.
L'altra sorella, Dio la riservò a sé. Ella era nubile, molto umile e modesta
ed aveva una profonda inclinazione per le cose celesti. Passava molto del
suo tempo in preghiera, e sembrava che il mondo perdesse ai suoi occhi
ogni attrattiva e che solo il cielo le risplendesse. In seguito la mandai in
Belgio da Padre Holt, il quale mi scrisse queste parole: “Nessuna persona,
che sia mai venuta qui dal nostro paese, ha destato maggiore edificazione,
né ha fatto di più per innalzare il buon nome dell'Inghilterra”. Ella fu la
principale fondatrice del convento delle benedettine inglesi a Bruxelles,
dove vive ancora oggi (4). Ella ha raggiunto una grande santità ed un
grande rinnegamento di sé; ed è suo costante desiderio condurre una vita
più ritirata. Chiede spesso al suo direttore il permesso di diventare una reclusa; ma questi non è del suo avviso ed ella si è sottomessa al suo parere.
All'inizio, solevo portare con me tutto l'occorrente per la Messa. Esso era
semplice, ma decoroso; ed era fatto in maniera da essere facilmente trasportato, insieme alle altre cose di cui avevo bisogno, dall'uomo che fungeva da mio servitore. In tal modo potevo celebrar Messa, al mattino, dovunque alloggiassi; prima, però, mi preoccupavo di esaminare ogni angolo
della stanza per accertarmi che nessuno mi osservasse attraverso le fessure. Debbo aggiungere che solo raramente i miei ospiti potevano fornirmi le
cose necessarie alla Messa e che, di conseguenza, dovevo portarle io stesso. Ma, dopo pochi anni, non ci fu più bisogno di far ciò. Quasi in tutte le
case che visitavo trovavo pronti ormai i paramenti ed ogni altra suppellettile. Inoltre, non passò molto che ebbi sulla mia rotta tanti amici, e così vicini l'uno all'altro, che non avevo mai bisogno di fermarmi in una locanda
in un viaggio di centocinquanta miglia. Negli ultimi due anni non ricordo
di aver dormito una sola notte in una di esse.
Nel corso dell'anno, ero solito vedere il mio superiore diverse volte. Spesso
avevo delle questioni importanti da trattare con lui. E regolarmente due
volte all'anno, tutti noi ci incontravamo per fornirgli il rendiconto semestrale della nostra coscienza e per offrire a Nostro Signore Gesù la rinnovazione dei voti. Posso testimoniare che questa buona pratica della Compagnia fu di grande aiuto agli altri (5), e, per parlare soltanto di me, (vi esprimo semplicemente il mio sentimento), io non trovai mai nulla che mi
facesse maggior bene. Essa confermò il mio spirito nel proposito di soddisfare a tutti gli obblighi della mia condizione di gesuita e a tutti i doveri di
un prete di missione. Prescindendo dalla consolazione che mi proveniva
dal rinnovamento dei voti, sperimentai un nuovo vigore ed uno zelo ardente e rinnovellato. Se, quindi, fallivo nel mio lavoro, non dipendeva da un
difetto della Compagnia, che mi provvedeva di mezzi del genere e mi offriva tutta l'assistenza per tendere alla perfezione, che rappresenta il suo
fine.
In una occasione, eravamo tutti radunati nella casa in cui viveva Padre
Garnet (6), giacché a quel tempo egli era ancora nel paese. Avevamo tenuto diverse conferenze ed il superiore ci aveva ricevuti singolarmente per
un colloquio privato. Improvvisamente, uno di noi sollevò la questione:
che cosa avremmo dovuto fare, se i “cacciatori di preti” avessero fatto irruzione senza un preallarme? (Noi eravamo parecchi, mentre il numero dei
nascondigli era insufficiente per riparare tutti: eravamo, infatti, nove o
dieci gesuiti ed alcuni altri preti, oltre pochi laici che erano costretti a vivere nascosti). Padre Garnet rispose: “È vero, non dovremmo incontrarci
tutti allo stesso tempo, ora che le nostre file si accrescono di giorno in
giorno. Tuttavia, siamo riuniti per la gloria di Dio. Finché non avremo
rinnovato i voti, la responsabilità sarà mia; dopo sarà vostra”. Fino al
giorno in cui rinnovammo i voti, egli non diede alcun segno di apprensione; ma subito dopo ci invitò a badare a noi stessi ed a non soffermarci
senza una ragione più che plausibile. “Io non posso garantire più a lungo
la vostra incolumità”, ci disse. A quelle parole, subito dopo il pranzo, una
parte del gruppo montò subito a cavallo e si allontanò. Rimasero cinque
gesuiti e due preti secolari (7).
Erano le cinque del mattino seguente. lo stavo facendo la meditazione, Padre Southwell stava iniziando la Messa e gli altri erano in preghiera,
quando improvvisamente avvertii un grande strepito fuori della porta principale. Quindi udii una voce che urlava ed imprecava contro un servo che
voleva impedire l'entrata. Erano i “cacciatori di preti” o persecutori, come
venivano chiamati. In tutto erano quattro, avevano brandito le spade ed
avevano cominciato ad abbattere la porta per forzare l'accesso. Ma un servo fedele li tenne a bada, altrimenti saremmo stati tutti catturati.
Padre Southwell avvertì il frastuono. Indovinò subito di che si trattava, si
spogliò dei paramenti e denudò l'altare. Nel mentre, noi afferrammo tutti
gli oggetti personali: non fu lasciato nulla che potesse tradire la presenza
di un prete. Furono nascosti perfino i nostri stivali e le nostre spade: tali
cose avrebbero destato sospetti, se non fossero state trovate le persone alle
quali appartenevano. I letti rappresentavano un problema. Siccome erano
ancora caldi ed appena coperti alla maniera in cui si lasciano prima di farli
riassettare, alcuni di noi si precipitarono a rivoltarli, volgendo al soffitto la
superficie fredda, al fine di trarre in inganno chiunque intendesse palparli.
Fuori, quegli scalmanati continuavano a schiamazzare e ad abbaiare, ma i
servi tenevano serrata la porta. Essi dissero che la padrona di casa che era
vedova non era ancora alzata, ma sarebbe venuta giù subito per rispondere
loro. Questo ci concesse il tempo sufficiente per occultarci insieme con le
nostre cose in una specie di antro sotterraneo.
Alla fine quei leopardi poterono entrare. Si dispersero all'impazzata per
tutta la casa, frugarono dappertutto, rovistarono alla luce delle candele negli angoli più oscuri. Impiegarono quattro ore in questa ricerca, ma fortunatamente non riuscirono a nulla. Ciò che essi fecero fu di mostrare quanto potessero essere pervicaci e dispettosi, e quanto i cattolici fossero pazienti. Alla fine se ne andarono, ma solo dopo essere stati pagati per il loro
incomodo. Già, perché tale è la sorte miseranda dei cattolici: quando degli
uomini arrivano con l'autorizzazione di rovesciare le loro case in questa o
in quell'altra maniera, sono essi, i cattolici, e non le autorità che li mandano, quelli che debbono pagare. Come se non fosse sufficiente soffrire, essi
debbono pagare le loro sofferenze.
Quando si furono ben bene allontanati, così che non vi era alcun pericolo
che potessero tornare improvvisamente indietro, come talvolta sono soliti
fare, una donna venne a chiamarci fuori del nostro ricettacolo, che aveva
ospitato non uno ma diversi Danieli. Il nascondiglio si trovava sotto il livello del suolo; il pavimento era allagato ed io rimasi per tutto il tempo
con i piedi a bagno. Con me c'erano Padre Garnet, Padre Southwell e Padre Oldcorne (tre futuri martiri), Padre Stanney (8), due preti secolari e
due o tre laici. Così, quel giorno, fummo tutti salvi.
Il giorno seguente Padre Southwell ed io partimmo insieme a cavallo, come eravamo venuti. Ma Padre Oldcorne rimase, poiché il luogo dove abitava non era molto distante (9)
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NOTE AL CAPITOLO VI.
1 In compagnia di William Wiseman e del suo domestico Richard Fulwood, J. G. si
trovava a Bryn, nel Lancashire, presso Lady Gerard qualche tempo prima della festa di
S. Michele del 1592. S.P.D., CCXLVIII, n. 103.
2 Thomas Percy, conte di Northumberland, decapitato a York nel 1572.
3 Lady Elizabeth Percy, moglie di Richard Woodroff di Wooley, Royston, nel West
Riding. I rapporti del 1592-1593 la segnalano come ostinata non-conformista. C.R.S.,
vol. XVIII, p. 79.
4 “Lady Mary Percy, figlia del grande conte di Northumberland, e molte altre persone
insigni lasciarono il proprio paese e si ritirarono nelle Fiandre, vivendo a Bruxelles in
grande ritiratezza e devozione. Quindi passarono alla determinazione di condurre vita
religiosa e di fondare un monastero. Dopo aver conferito su tali buoni propositi col
molto Rev. Padre Holt della Compagnia di Gesù, riuscirono presto, mediante il suo
consiglio, in questa grande opera. Adottarono la regola di San Benedetto e scelsero il
suo santo ordine, che fra tutti gli altri era stato fino a quel tempo il più fiorente in quel
regno ormai eretico, sperando che in futuro esso potesse tornare di nuovo per loro un
paese felice ed ospitale”. Annals of the English Benedictine Nuns (C.R.S., vol. VI, p.
2). Questo fu il primo convento inglese fondato dopo la Riforma. Nel 1794 la comunità
si trasferì a Winchester, quindi, nel 1857, a East Bergholt e infine, nel 1863, a Teignmoutb.
5 In una lettera dell'8 marzo 1590 Padre Southwell descrive una riunione precedente
del genere. “Abbiamo insieme rinnovato con grande contentezza i nostri voti...
Aperuimus ora et attraximus spiritum. Mi sembra d'intravvedere in Inghilterra l'instaurazione di una nuova vita religiosa, della quale ora noi spargiamo i semi in lacrime, affinché altri possano poi con gioia ammassare i covoni nei granai celesti. Abbiamo can-
tato gl'inni del Signore in una terra straniera e nel deserto abbiamo succhiato il miele
dalla roccia e l'olio dalle dure pietre. Ma queste nostre gioie si sono mutate in dolori,
mentre timori improvvisi ci hanno dispersi in luoghi differenti. Alla fin fine, però siamo
più impauriti che danneggiati, perché tutti siamo scampati”. R. CHALLONER, Memoirs of Missionary Priests, pp. 213-214.
6 “Noi avevamo scelto la stessa abitazione che in precedenza avevamo sempre utilizzato a tale scopo, appartenente a due sorelle, una vedova [Mrs. Eleonor Brooksby] e
una nubile (Miss Anne Vaux)”, poiché aveva “un rifugio molto sicuro e una cantina
ben nascosta”. La riunione durò dal 14 al 19 ottobre 1591. Garnet ad Aquaviva, 17
marzo 1594. Stonyhurst MSS, Anglia, I, n. 73.
7 “A tavola, nella festa di San Luca, - afferma Padre Garnet - non so quale ispirazione
mi fece parlare come segue. Dissi, infatti, che avevo fino allora preso sopra di me ogni
responsabilità, ma non intendevo più garantire la loro incolumità dopo la fine del pranzo”. Stonyhurst MSS, ibid.
8 Originario del Wiltshire, Padre Stanney entrò nella Compagnia come sacerdote nell'aprile 1589. Più tardi successe a Padre Southwell come cappellano della contessa di
Arundel. Al tempo della congiura delle polveri fu sconvolto mentalmente per un certo
periodo e fu esiliato nella primavera del 1606. Morì a St. Omers il 19 maggio 1617.
9 Una descrizione del nascondiglio sotterraneo si trova nell'appendice B. Padre Garnet
fornisce una relazione più dettagliata di questa perquisizione in una lunga lettera scritta
in latino al suo generale, Padre Aquaviva, in data 19 novembre 1593. Egli racconta
come al sopraggiungere dei persecutori, tutto era stato preparato per la partenza dei
sacerdoti. “Si era pensato ai cavalli... i servi e le serve erano occupati in diverse faccende... alcuni preparavano la colazione, altri pulivano gli stivali, altri tiravano fuori i
mantelli e tutto il necessario per il viaggio. Ad un tratto, un giovane, uscito dalla casa,
notò uno sconosciuto e si ritirò subito serrando a chiave la porta davanti a lui. Nel
mentre, due servi cattolici si accorsero di quello che stava succedendo. Scesero di corsa nelle stalle e ne tornarono armati di attrezzi agricoli. Con questi presero a minacciare gli ufficiali che intanto avevano gentilmente chiesto di entrare. All'interno nel frattempo si provvedeva a sbarrare la porta che era già stata chiusa a chiave. Allorché fu
tutto nascosto, furono ammessi gli ufficiali. Con grande abilità Miss Vaux evitò che il
gruppo dei perquisitori entrasse nella stalla, dove avrebbero trovato tutti i cavalli pronti
per la partenza dei sacerdoti. Alla fine della perquisizione questi uscirono tutti dal loro
nascondiglio e celebrarono la Messa”. Questa narrazione consta di circa 2.500 parole
e rappresenta quasi un quarto dell'intera lettera. Stonyhurst MSS, Anglia, I, n. 73.
VII. PADRE OLDCORNE
Dopo aver menzionato Padre Oldcorne, debbo spiegare brevemente come
egli andò a vivere lì. Appena giunto in Inghilterra, egli si trattenne presso
il superiore, poiché non aveva una casa propria nella quale andare. A pochissima distanza da questo luogo, sorgeva una bellissima abitazione appartenente ad un gentiluomo cattolico (1). A quel tempo costui era imprigionato per la fede nella Torre di Londra. Sua sorella (2) era protestante.
Ella era stata educata alla corte della regina ed ivi aveva attinto così abbondantemente all'eresia, che non si poteva trovare nessuno che fosse in
grado di guarirla. Molti, infatti, avevano tentato, giacché ella amava conversare di religione, senza avere, però, la minima intenzione di apprendere
alcunché: si è che ella si dilettava di un buon argomento. A causa della sua
ostinazione, quella buona casa cattolica ci fu preclusa, finché ella l'amministrò in assenza del fratello; e non c'era una casa più bella in tutto il paese. Ben costruita e situata al centro di una piacevolissima contrada, rappresentava l'ideale come centro cattolico (3).
Dopo che un buon numero di preti aveva tentato senza successo di convertire la gentildonna, Padre Garnet pensò a Padre Oldcorne e lo pregò di operare un ulteriore tentativo. Il padre andò, ma la trovò ostinata come non
mai. Egli tentò gli argomenti tratti dalla Scrittura, gli argomenti di ragione
e di autorità, ma non approdò a nulla. Tuttavia, la sua insistenza prevalse
sull'ostinazione della donna, giacché, rivolgendosi a Dio, egli volle provare se riusciva a scacciare il demonio muto con la preghiera e con il digiuno. La signora notò che il padre non aveva mangiato nulla per l'intera
giornata, e quindi ancora per un'altra. Ciò la fece meravigliare, ma ella
continuò a mantenere la maschera dell'ostinazione. “Forse non è un uomo,
ma un angelo”, disse a se stessa. Quindi, con una curiosità prettamente
femminile si propose: “Voglio vedere se riesce a vivere come gli angeli. Se
non ci riesce, non mi convertirà”. Per quattro interi giorni il prete mantenne il digiuno. Alla fine, pose in fuga il demonio e la donna “fu guarita da
quell'ora”. Padre Oldcorne le aveva veramente ottenuto “orecchie per udire”: quella donna ostinata e petulante divenne umilissima e docilissima
nelle sue mani.
Tornando a considerare questo fatto, ritengo che sia stato un particolare
disegno della Provvidenza permettere che gli altri preti fallissero. Sembra
che l'abbia voluto riservare in maniera speciale per questo sacerdote, e non
solo lei, ma quasi tutta la contea che le tenne dietro. Padre Oldcorne visse
per sedici anni in casa sua, che divenne centro del suo apostolato. Così egli poté condurre molti alla fede, tanto in questa contea quanto in quelle
adiacenti, sostenere i vacillanti e rialzare i caduti, ed infine collocare dei
preti in molti luoghi. Perciò, molti che lo conobbero parlano di lui negli
stessi termini che San Girolamo usa per San Giovanni: “Egli fondò e governò tutte le chiese di quelle regioni”. Ed infatti tutti lo consideravano
come un padre. Egli era prudente e non diede altro che soddisfazione a tutti, lavorando duramente, soffrendo a lungo e non abbandonando nessuno
che avesse bisogno del suo ministero. Un numero incalcolabile di cattolici
ricorrevano a lui per elemosine. Ed il posto in cui viveva era in tutto simile
ad una delle nostre case in paesi stranieri, tanti erano i cattolici che vi affluivano per ricevere i sacramenti, per ascoltare le sue prediche e per ricevere il suo consiglio. Suo cooperatore fu Padre Thomas Lister (4), uomo
veramente dotto e straordinario.
Servo degli altri, Padre Oldcorne era molto intransigente con se stesso. Le
sue gravi fatiche e la “cura di tutte le chiese di quelle regioni” - sembrava
infatti che dipendessero in tutto da lui - non gli bastavano. Quando era a
casa studiava molto e, nello stesso tempo, praticava una grande penitenza
corporale. Ho già menzionato i suoi digiuni. Inoltre, egli soleva portare il
cilicio e si fustigava spesso e duramente. Benché, naturalmente, egli intendesse unicamente “castigare il nemico e ridurlo in schiavitù”, si rese
quasi un “servo inutile”. Infatti, gli scoppiò un vaso sanguigno ed egli cominciò a vomitare sangue in gran quantità. Si riebbe, ma quasi ogni anno
diventava così anemico, da sembrare che non dovesse più riacquistare le
forze. In queste precarie condizioni gli si sviluppò un tumore in bocca - la
parola inglese è kanker - che progredì al punto di apparire incurabile. Come mi disse in seguito, i medici dichiararono che avrebbero dovuto amputargli alcune ossa che cominciavano a cadere in putrefazione. Il buon padre, temendo che l'operazione gli avrebbe impedito di predicare in avvenire - egli era un predicatore di talento (5) - decise subito di recarsi in pellegrinaggio al pozzo di S. Winefrid, santuario famoso, vero e proprio miracolo permanente (6).
S. Winefrid era una fanciulla del Galles settentrionale tanto santa quanto
bella, e la sua fede e il suo amore per la castità la rendevano ancora più
bella. Il figlio di un capo clan si innamorò di lei e la chiese in sposa. Ma
ella rigettò la sua corte, perché era pagano ed inoltre perché aveva emesso
il voto di verginità davanti al vescovo del luogo e non voleva sacrificarlo a
nessun uomo. L'amore del suo corteggiatore si mutò in ira ed egli le spiccò
la testa con la spada. Ciò avvenne sul pendio di una collina e la testa rotolò a valle, dove scaturì immediatamente una grande fonte. Da quel giorno
quella valle, che era conosciuta come la “valle arida”, divenne fertile grazie al torrente che, sorgendo da quella fonte, fluisce al mare con un tale
impeto da poter azionare un mulino sorto alla distanza di appena cinquanta yarde. Nella stessa scaturigine vi sono delle grandi pietre, tutte rosse,
quasi che fossero bagnate di sangue. Quando esse vengono scheggiate - la
gente del luogo fa del suo meglio per impedire ai pellegrini di farlo - i
frammenti hanno la stessa ombreggiatura di rosso e la parte da cui sono
staccati passa col tempo dal bianco al rosso. Anche sul letto del torrente si
possono trovare delle pietre coperte o almeno spruzzate di sangue. I cattolici le raccolgono con devozione e le conservano con riverenza; lo stesso
fanno anche col muschio velloso - la parola inglese è moss - che cresce
abbarbicato alle pietre e manda un soave odore, quando ne viene strappato
(7). L'acqua della fonte è estremamente fredda, ma nessuno soffrì mai alcun danno dopo averla bevuta o dopo essersi bagnato. Io ne sorbii diversi
sorsi a stomaco vuoto, senza che mi capitasse nulla.
Una volta mi trovai sul posto il 3 novembre, festa di S. Winefrid ed assistei al fenomeno che quel giorno si verifica. (L'acqua cresce di un buon
piede sopra il livello ordinario e nel crescere di livello diventa rossa, mentre il giorno successivo è più limpida che mai). Vidi coi miei occhi l'acqua
ribollire ed acquistare un colore rossiccio, quell'acqua (si noti bene) che
negli altri giorni è così straordinariamente chiara che si può raccogliere
uno spillo adagiato sul fondo. Era d'inverno. Gelava in maniera straordinaria in quel periodo; e sebbene sul corso d'acqua il ghiaccio fosse stato rotto
dalla gente che l'aveva attraversato la notte precedente, mi fu tuttavia molto difficile guadare col mio cavallo la mattina seguente. Ma, gelo o non
gelo, mi calai nel pozzo da buon pellegrino. Restai immerso nell'acqua per
un buon quarto d'ora e pregai. Quando venni fuori, la mia camicia era tutta gocciolante. Tuttavia, me la tenni addosso, anche quando mi rivestii degli altri panni, senza che risentissi alcun danno per questo bagno.
Questi sono fatti veri. E frequentemente avvengono nel pozzo grandi e
manifesti miracoli. Ad esempio, c'è la storia di un visitatore protestante
che, osservando alcuni cattolici che si bagnavano, prese a schernire la loro
devozione. “Che cosa hanno da sciacquarsi qui nell'acqua? Gliela farò vedere io. Mi ci pulirò gli stivali”. Così si tuffò, stivali, spada e tutto. Appena toccò l'acqua ne avvertì la forza soprannaturale, che aveva rifiutato di
riconoscere. Fu colpito all'istante da paralisi e perdette l'uso delle membra,
tanto che solo a stento gli poterono strappare la spada dalla morsa del pugno. Per molti anni, in seguito, fu trasportato su una sedia a ruote come un
paralitico.
In tal modo egli venne punito, mentre altri furono confermati nella loro fede.
Io stesso ho parlato con un certo numero di persone che hanno visto quest'uomo e che hanno udito la storia sia dalle sue labbra che da coloro che
lo conobbero. Furono questi che mi narrarono il seguito della vicenda:
come, cioè, l'uomo si fosse pentito ed avesse riacquistato l'uso delle sue
membra nello stesso pozzo in cui era stato punito. Questa è solo una fra le
molte storie consimili.
Come dicevo, Padre Oldcorne aveva preso la decisione di visitare il santo
pozzo; ma S. Winefrid lo prevenne. Durante il viaggio egli si fermò presso
la dimora di due sorelle nubili. Erano povere persone, ma ricche di virtù,
poiché temevano Dio. Vivevano insieme per servirlo in comune e tenevano in casa loro un prete, che esse consideravano come loro padre. Questo
buon prete aveva preso dal ruscello una di quelle pietre spruzzate di sangue, che ho poco innanzi descritto. Durante la Messa era solito parla sull'altare insieme alle altre reliquie. Quando Padre Oldcorne la notò, la prese
nelle sue mani e la baciò con molta devozione. Quindi, appartandosi, si
gettò in ginocchio e cominciò a leccarla e a tenerne una parte nella bocca.
Intanto pregava in silenzio. Si rialzò dopo mezz'ora: il dolore era sparito
ed il cancro era curato. Tuttavia egli compì il pellegrinaggio al pozzo, non
già per implorare la guarigione da S. Winefrid, ma per esprimerle il suo
ringraziamento. Mentre era lì si riebbe anche da quella anemia che si riteneva fosse la causa del suo cancro, e ripartì più forte e più sano di quanto
non fosse stato per diversi anni.
Ho riferito la storia nelle stesse parole con le quali Padre Oldcorne me l'ha
narrata. Il sacerdote, nella cui casa Padre Oldcorne trovò la pietra, mi confermò i fatti quando lo incontrai a St. Omers. Egli mi narrò, inoltre, le cose
che accaddero dopo la morte di Padre Oldcorne. Di queste parlerò in seguito. Tutto ciò sarà sufficiente per quanto riguarda Padre Oldcorne: debbo infatti tornare alla mia miserabile vicenda.
Durante il mio soggiorno in questa terza residenza, dettai gli Esercizi spirituali a diverse persone e, tra le altre, a due gentiluomini, i quali ancor
oggi tengono fede alle risoluzioni che allora presero e sono rimasti, ciascuno nel loro distretto, amici fedeli dei gesuiti. Il primo, Mr. John Lee
(8), proprio di recente ha sostenuto una tesi di filosofia a Roma. Adesso è
tornato in Inghilterra ed è sempre pronto ad accogliere i nostri ed a sopperire alle loro necessità finanziarie. Il secondo è un uomo che si è mostrato
estremamente fidato in moltissimi affari delicati. Cinque o sei anni dopo,
entrambi fecero un secondo ritiro, e fu una grande consolazione vedere
come lo facevano bene.
Non posso omettere di menzionare due coniugi di nobile casato che fecero
voto di castità. Essi me ne avevano spesso fatto proposta, ma io, conoscendo i pericoli di un impegno del genere, non volevo saperne. Tuttavia
essi insistettero: allora scesi a compromesso e permisi loro di tentare per
un anno. Cosi essi fecero, ed alla fine dell'anno si mostrarono più desiderosi che mai di emettere il voto. Quindi, diedi loro il permesso. Naturalmente, presero tutte le precauzioni necessarie riguardo alla separazione
quoad torum, sebbene continuassero a vivere sotto lo stesso tetto. Sta di
fatto che l'affetto che si dimostravano reciprocamente ed il vero amore che
regnava tra di loro sembravano crescere. In seguito mi mantenni in contatto con loro per diversi anni e posso attestare che per tutto quel tempo rimasero fedeli al loro voto.
Inoltre, mandai all'estero per motivi di studio un buon numero di giovani
che aspiravano alla vita sacerdotale. Uno di essi mori a Douai. Durante i
suoi studi si era comportato molto bene e si era guadagnato la reputazione
di giovane molto santo. Egli era stato con il Beato Padre Francis Page, il
martire gesuita, quando entrambi lavoravano in un ufficio di Londra. Fu
lui che mi presentò al buon padre. In seguito apprenderete ciò che derivò
da questa presentazione. Altri sono, adesso, preti gesuiti: Padre Sylvester e
Padre Clare, attualmente, penso che siano a Valladolid (9); altri servono
Dio nelle loro sfere particolari come, ad esempio, Padre John Bolt (10). Il
suo talento musicale era notevolissimo e gli aveva guadagnato l'affezione
di una potentissima patrona. Tuttavia, egli lo mise da parte, e con esso tutte le sue speranze di gloria, per unirsi a me e per seguire i consigli di Nostro Signore come sono spiegati negli Esercizi Spirituali (11).
A quel tempo mi furono regalate delle reliquie preziosissime, che i miei
amici avevano fatto elegantemente ornare per me. Esse includevano un'intera spina della santa corona di Nostro Signore che Maria, regina di Scozia, aveva portato con sé dalla Francia (dove era custodita tutta la corona)
ed aveva donato al conte di Northumberland, che in seguito fu martirizzato. Mentre era in vita, il conte soleva portarla intorno al collo racchiusa in
una croce d'oro; quando giunse sul luogo dell'esecuzione, la consegnò alla
figlia che la passò a me. Essa era riposta in una custodia dorata, ornata di
perle. Con tre altri reliquiari d'argento è custodita dal superiore.
Due di queste reliquie sono antiche ed erano state salvate dal saccheggio
di un monastero. Esse mi pervennero tramite persona degna di fede. La
terza è un dito indice del martire Padre Robert Sutton, fratello del sacerdote da me menzionato nella prima pagina di questo libro. Per meravigliosa
provvidenza di Dio questo indice fu preservato insieme al pollice dalla
corruzione, sebbene tutto il braccio fosse stato esposto, perché fosse divorato dagli uccelli. Quando alcuni cattolici andarono segretamente a rimuoverlo (era stato esposto per un anno intero), essi non trovarono altro che
ossa. Le sole parti ancora ricoperte di carne e di pelle erano il pollice e
l'indice, che erano stati unti con l'olio santo durante l'ordinazione e che erano stati santificati dal contatto del Santissimo Sacramento. Suo fratello,
un altro buon sacerdote, conservò per sé il pollice, regalandomi l'indice
(12).
Quasi nello stesso periodo mi furono regalate anche una testa d'argento di
S. Thomas di Canterbury e la sua mitra tempestata di pietre preziose. La
testa è piccola e non ha grande valore in sé, ma rappresenta un vero tesoro
perché contiene un frammento del cranio del santo. Ha lo spessore d'una
doppia corona d'oro e si ritiene che sia il pezzo che fu asportato quando
egli fu così crudelmente ucciso. La testa d'argento era vecchia ed aveva
perduto alcune pietre; ma il gentiluomo presso il quale dimoravo la fece
riparare ed ornare finemente. Per questa ragione, in seguito, il superiore
gliela diede in consegna, perché la conservasse per la Compagnia nella sua
cappella privata. Un altro regalo fu una considerevole parte del braccio di
S. Vita, che adesso è custodita da un altro gentiluomo cattolico della stessa contea.
La vergine Vita era figlia di un re dell'Inghilterra occidentale. E molte
chiese sono a lei dedicate sotto il titolo di Witchurch. La reliquia mi pervenne nel modo seguente. Il pastore del luogo dove anticamente era conservato e venerato tutto il corpo (o almeno una grande parte) notò che era
sempre desto di notte e non riusciva a prender sonno. Ciò continuò per
lungo tempo. Un giorno pensò che questo disturbo gli poteva derivare dal
fatto che non prestava il dovuto rispetto alle ossa che aveva in custodia. Si
convinse che doveva darle ai cattolici ai quali esse spettavano di diritto.
Egli fece così ed in seguito dormì sempre bene. Un buon prete mi narrò
questa storia e mi diede un osso, che un cattolico devoto custodisce per la
Compagnia.
Vi erano molte altre belle cose che mi furono regalate per la Compagnia.
Ed i cattolici della casa ed i visitatori traevano grande conforto dal loro
contatto.
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_
NOTE AL CAPITOLO VII.
1 Thomas Habington di Hinlip House, nel Worcestershire. All'epoca del complotto di
Babington (1586) suo fratello fu ucciso ed egli fu imprigionato nella Torre. Nel 1593
gli fu permesso di tornare a casa a Hinlip e durante il suo domicilio coatto si dedicò all'antiquariato, cosi da diventare uno dei pionieri della storia scientifica delle contee.
Suo figlio, William Habington, si distinse come poeta sotto il regno di Carlo I. Thomas
morì 1'8 ottobre 1647, all'età di ottantasette anni. Alcuni ritratti di lui e della moglie
sono riprodotti nella History of Worcestershire del NASH, vol. I, che per la maggior
parte è basata su documenti manoscritti da lui raccolti. WOOD, Athen. Ox., vol. III,
pp. 222-225; D.N.B., XXIII, pp. 414-415.
2 Dorothy Habington, il cui padre era stato tesoriere della regina.
3 La posizione di Hinlip House, situata su una collina tre miglia a nord-est di Worcester e dominante un'ampia distesa di campagna, ne fece un rifugio ideale per i sacerdoti. La casa, che adesso non esiste più, si diceva che contenesse undici camere segrete,
nascoste dietro il tavolato delle stanze e costruite in forma di falsi camini. Fu qui che
furono catturati Padre Oldcorne e Padre Garnet, essendo stati costretti ad abbandonare
i loro nascondigli per mancanza di aria.
4 Aveva conseguito il dottorato a Pont-à-Mousson nel 1592 e giunse in Inghilterra nel
1596. Arrestato all'epoca della Congiura delle polveri ed esiliato nel 1606, ritornò in
Inghilterra poco dopo e vi mori intorno al 1626. FOLEY, VII, parte I, p. 462.
5 In Narrative (p. 284), J. G. parla della sua “ardente maniera di predicare, per la quale aveva un buon talento, benché la sua voce fosse in se stessa alquanto rauca e faticosa, ma percettibile agli ascoltatori”.
6 Cfr. appendice C.
7 Thomas Pennant così si esprime su questo muschio: “Alcuni eminenti botanici di mia
conoscenza hanno considerato il muschio dolce e le sue macchie sanguigne una semplice formazione vegetale, per niente caratteristica della nostra fonte. Il primo appartiene a quella qualità di muschio chiamato Jungermannia asplenioides, FI. Angl. 509,
imperfettamente descritto ed illustrato da Dillenius nella sua storia dei muschi. Questa
specie si trova anche in un altro pozzo sacro a Caernarvonshire ed è chiamata Ffynnon
Llanddeinioen, in una parrocchia omonima. L'altro è un bisso, egualmente odoroso,
comune in Lapponia ed in altri paesi, oltre il nostro. Linneo... dice che anche la pietra
alla quale esso aderisce si distingue facilmente per il colore, essendo come macchiata
di sangue; ed afferma che, se si strofina, emana un odore simile a quello delle viole”.
THOMAS PENNANT, Tour in Wales (1819), pp. 53-54.
8 Il suo nome viene di frequente menzionato nelle lettere che J. G. scrisse dopo la sua
fuga dall'Inghilterra. J. G. gli affidò molti incarichi finanziari connessi con la missione
inglese. Stonyhurst MSS, Anglia, passim.
9 Padre Thomas Sylvester mori nel 1625 a Valladolid, dove era stato procuratore per
vent'anni. Riconciliato nel 1595 da J. G., fu mandato a St. Omers l'anno successivo.
Padre John Clare, laureato di Oxford, si recò da St. Omers a Valladolid per compiere
gli studi teologici. Operò per molti anni nel distretto del South Wales, dove era superiore all'epoca della sua morte avvenuta nel 1626. c.R.S., vol. XXX, p. 56; FOLEY,
VII, parte 2, p. 753.
10 Nato intorno al 1563, si guadagnò ben presto una grande fama per il talento musicale e fu chiamato a corte. Quando l'abbandonò per diventare cattolico, Elisabetta, che
aveva tanto stimato il suo maestro di musica, ne fu cosi contrariata che minacciò di
colpirlo in testa “con la sua pantofola, perché non meritava di meglio”. Ella giunse al
punto di proporgli che avrebbe ignorato la sua conversione e gli avrebbe permesso di
restare cattolico, se fosse tornato a corte. Bolt, comunque, preferì vivere insegnando
musica nelle famiglie cattoliche, dove avrebbe potuto praticare la sua religione. Così,
egli visse con Sir John Petre a Thorndon nell'Essex, con Richard Verney a Compton
nel Warwickshire e con altre famiglie, finché si stabilì coi Wiseman a Braddocks.
Quando fu arrestato nel marzo 1594, Topcliffe minacciò di torturarlo; ma per intercessione di Lady Penelope Rich, che lo aveva conosciuto a corte, fu rilasciato. Quindi si
trasferì nel continente. Dopo alcuni anni passati a St. Omers, si recò nel convento delle
benedettine inglesi a Bruxelles “per aiutare la loro musica che era diventata tanto famosa”. Provò la sua vocazione come frate benedettino; ma, non trovando questa vita
adatta per lui, andò al collegio di Douai dove fu ordinato sacerdote nel 1605. Dopo alcuni anni si stabilì nella diocesi di Cambrai. Durante una sua visita a Lovanio nel 1613,
fu persuaso da Jane Wiseman, allora priora del convento di Santa Monica, ad accettare
il posto di organista e cappellano del convento. Ivi trascorse il resto della sua vita ed
ivi mori il 3 agosto 1640. C.R.S., vol. III, p. 31; GROVE, Dictionary of Music and
Musicians, vol. I, p. 359.
11 J. G. conobbe forse anche William Byrd, il madrigalista, che era intimo di Padre
Garnet e che in seguito prese a suonare “l'organo ed altri strumenti” alle riunioni dei
gesuiti presso Anne Vaux ad Erith, nel Kent, Hat. Cal., XVII, pag. 611.
12 Le reliquie fin qui menzionate sono tutte conservate a Stonyhurst; le altre sono andate perdute. Insieme al reliquiario, contenente il pollice di Robert Sutton (non l'indice,
come riteneva J. G.), c'è un foglio di carta in cui J. G. fornì di proprio pugno la stessa
descrizione della reliquia. In una lista di martiri ch'egli compilò nel 1594, J. G. ripete
questi dettagli ed aggiunge: “Di quest'uomo si è costantemente riferito che le guardie
della prigione lo videro pregare, tutto avvolto di luce, nella notte precedente il martirio”. C.R.S., vol. V, p. 291
.
VIII. “PEINE FORTE ET DURE”
Ma come c'è il tempo per raccogliere le pietre, così c'è quello per scagliarle. Era giunto il momento che doveva mettere alla prova i servi di Dio, i
miei ospiti, cioè, e me con loro.
Al fine di renderli più simili al Maestro, per il quale essi soffrivano, Dio
permise che fossero traditi da uno della loro casa (1), un uomo che tutti loro amavano. Non era cattolico, né servo della casa; ma era stato assunto
un tempo dal secondo dei fratelli, che lo aveva raccomandato a sua madre
ed al suo fratello maggiore, prima di partire per l'estero. La sua abitazione
era a Londra, ma andava spesso a visitare la famiglia, e sapeva quasi tutto
ciò che avveniva in entrambe le case. Io stesso debbo confessare che non
vidi alcuna ragione per diffidare di una persona nella quale tutti gli altri
confidavano; tuttavia agii con molta cautela e non permisi che mi vedesse
nelle mie funzioni di sacerdote, né in abiti che gli avrebbero potuto far
supporre che ero uno di loro. Ma egli lo indovinò, come ebbe in seguito a
confidarmi, quando si avvide del rispetto col quale il padrone di casa mi
trattava. Lo aveva insospettito il fatto che egli mi accompagnava quasi
sempre per due o tre miglia nei miei viaggi e che spesso mi seguiva fino a
Londra. Era in casa sua (2) che eravamo soliti alloggiare durante le nostre
visite in città. Dovevo ancora imparare per esperienza che la soluzione più
sicura era quella di avere una casa in proprio.
Questi piccoli indizi destarono sospetti nella mente del traditore, come egli
stesso mi riferì in seguito. Certo, come era, che avrebbe ricevuto più di
trenta pezzi d'argento per il tradimento del suo padrone, si recò dai magistrati e contrattò con loro il baratto. Nel frattempo, secondo quello che io
suppongo, essi lo inviarono a montare una guardia severa attorno alle due
case, quella della vedova e quella del figlio, per individuare i preti che vi
entravano e per contarne il numero.
La prima ad essere perquisita fu la casa della vedova. Il sacerdote che abitualmente vi albergava (3) si trovava in casa, ma riuscì a guadagnare un
nascondiglio e per quella volta fu salvo. Ma costrinsero la buona vedova a
recarsi a Londra (4) ed a presentarsi davanti agli ufficiali che fungevano
da giudici nelle cause riguardanti i cattolici. Ella si presentò e rispose con
molta decisione, più come una libera cittadina che come una donna bersagliata e perseguitata. Fu inviata in prigione, e mostrò grande pazienza e
pietà, sbrigando le sue faccende come una serva, preparandosi i pasti e facendo il bucato. Ella desiderava questo lavoro umiliante per se stesso, ben
sapendo che era l'unica maniera per raggiungere la vera umiltà, ed anche
perché le evitava ulteriori spese. Con il denaro risparmiato, ella aiutava i
cattolici bisognosi.
Per tutto il tempo che fu in prigione, ella mi spedì sempre la metà del suo
reddito annuo: seicento fiorini. Spendeva l'altra metà per mantenere un sacerdote, che in giorni determinati le portava la Santa Comunione, e per
provvedere ai suoi compagni di prigionia, oltre che in diverse opere buone. Dedicava tutto il suo tempo alla preghiera e al cucito: preparava paramenti ed altri arredi per l'altare che inviava a diverse persone. Questa fu la
sua vita per due anni interi (5), finché Dio non le chiese un sacrificio più
grande.
Accadde questo. Dio permise che venisse a conoscenza delle Autorità che
ella riceveva le visite di un prete. Se ben ricordo, si trattava di Padre Jones, un francescano che in seguito fu martirizzato (6). Decisero quindi di
far ricorso alla legge contro di lei ed ella fu citata in tribunale. Furono
chiamati i soliti falsi testimoni ed ella fu accusata di aver provveduto al
mantenimento di un prete in contrasto con le leggi del paese. I giudici nominarono una giuria che la dichiarasse colpevole o innocente. Ma, per evitare che la giuria si macchiasse la coscienza del suo sangue, emettendo un
verdetto di colpa, questa ottima donna decise di restar muta e di non dare
alcuna risposta, quando il giudice l'avesse pregata di dichiararsi colpevole
o innocente. Fece ciò ben conscia delle sanzioni della legge; intendo, cioè,
quella ben più severa e crudele sentenza, riservata agli uomini ed alle donne che rifiutino di difendersi in questioni di vita o di morte. Essi vengono
distesi supini su una pietra appuntita mentre un grave peso viene posto sul
torace finché non scacci da loro la vita.
Fino al tempo di cui sto scrivendo, avevamo avuto solo due donne martiri,
escludendo Maria, regina di Scozia. Una di esse scelse a York la stessa
morte e la stessa corona di martire per le medesime ragioni (7). Ella sapeva che i giurati l'avrebbero sicuramente dichiarata colpevole per accontentare il giudice; perciò volle risparmiare un aggravio alle loro coscienze.
Era il suo esempio che questa buona vedova aveva in mente. Ella scelse lo
stesso metodo e la stessa pena. Rimase in silenzio e ricevette la condanna
ad essere schiacciata fino alla morte (8).
Lasciò il tribunale tutta esultante, perché non era stata ritenuta indegna di
subire per amore di Gesù quel tipo di morte che aveva sperato. Ma la sua
posizione ed il suo buon nome preoccuparono i consiglieri della regina.
Essi non volevano far stupire Londra con la loro barbarie; perciò, dopo la
condanna, la fecero trasferire in una diversa e peggiore prigione, dove la
rinchiusero. Ciò a cui miravano era la sua proprietà, che intendevano trasferire alla regina. Se fosse stata uccisa, questa sarebbe andata non alla regina, ma a suo figlio, il mio ospite (9). Perciò la buona vedova continuò a
vivere in quella prigione, privata di tutti i suoi possessi eccetto la vita, che
era l'unica cosa di cui sperava che la liberassero (10).
Restò lì in una lurida cella fino all'avvento di Re Giacomo, quando ricevette il perdono abitualmente concesso per l'incoronazione di un nuovo
sovrano. Quando tornò a casa continuò a servire i servi di Dio, come aveva fatto in passato, e seguitò a tenere due di noi in casa sua.
Tanto basti per questa buona vedova. Adesso bisogna tornare al resto della
mia vicenda personale.
Il traditore non si era rivelato ed era ancora insospettato dal suo padrone.
Intanto stava cercando l'opportunità di tradirci, senza doversi scoprire. Il
suo primo progetto era quello di catturarmi nella casa di Londra, che avevo da poco preso in affitto per me e per il mio ospite (11). Poiché il suo
padrone lo impiegava in un gran numero di affari, egli non poteva non conoscere il luogo che il suo padrone aveva preso in affitto per mio uso. Così
promise ai magistrati che li avrebbe avvertiti non appena vi fosse venuto,
in modo che potessero chiamare gli ufficiali, circondare di notte la casa e
precludermi la fuga. Ciò non è altro che quello che sarebbe accaduto se
Dio non fosse intervenuto mediante un ordine del mio superiore.
Questi si era trasferito in un'abitazione situata a quattro o cinque miglia da
Londra (12) ed io mi ero recato a fargli visita. Siccome avevo degli affari
da sbrigare in città, dopo uno o due giorni scrissi una lettera ed informai le
persone che curavano la casa che sarei tornato la tal notte e che convocassero un certo numero di amici che desideravo vedere. Il traditore venne a
sapere del momento (egli era spesso nella casa che notoriamente apparteneva al suo padrone) e diede disposizioni affinché i persecutori ed i loro
segugi circondassero il posto a mezzanotte.
Proprio prima di montare a cavallo, andai a salutare il superiore. Egli insistette affinché passassi la notte con lui, ma io risposi che mi attendevano
degli affari in città e gli spiegai di che cosa si trattava; aggiunsi inoltre che
avevo anche degli appuntamenti. Ma il caro padre non volle saperne, sebbene come in seguito mi disse, neanche lui sapesse perché agiva in quel
modo particolare. Certo, non rientrava nel suo stile ordinario ed io non
dubito minimamente che egli fosse guidato dallo Spirito Santo.
Il giorno seguente, di primo mattino, ci giunsero delle voci secondo cui al-
cuni papisti erano stati sorpresi nella casa (13). Si diceva che tra loro era
stato trovato un prete; in realtà si trattava del mio domestico, Richard
Fulwood. Il luogo era privo di nascondigli, sebbene avessi già stabilito di
costruirne alcuni, ed egli si era celato in un angolo oscuro della casa. Siccome egli aveva un bell'aspetto, fu ritenuto un prete: non erano presenti né
il traditore, né alcun altro che lo conoscesse.
Furono presi e gettati in prigione tre cattolici ed uno scismatico. (Per scismatico intendo una persona che è cattolica per convinzione ma che frequenta la chiesa protestante). Nel caso presente si trattava di una persona
degna di fiducia, che io usavo come portiere e come una specie di agente
nel distretto.
Quando questi uomini furono interrogati, si mantennero fermi e fedeli
(14); nessuna delle loro risposte fornì il minimo indizio circa il vero proprietario della casa, circa cioè la mia persona, non quella del mio ospite. E
ciò fu un bene, perché, se si fosse risaputo che la casa apparteneva a me, il
mio ospite avrebbe ricevuto un trattamento ancora peggiore. Infatti, egli fu
convocato urgentemente: essi speravano ancora di catturarmi e di trovare
un più grave motivo di accusa contro di lui. Appena il mio ospite giunse
in città per rispondere alla citazione, si diresse subito verso casa. Ignorando tutto quello che era accaduto, era ansioso di sapere se io potevo dirgli
nulla circa la citazione e se ero in grado di consigliarlo sulle risposte da
dare. Giunse alla porta e bussò; ma cadde, povera pecorella di Cristo, negli
artigli dei lupi e non tra le braccia del suo pastore o dei suoi amici. Solo la
notte precedente si era fatta irruzione nella casa ed alcuni di quei furfanti
si aggiravano ancora all'intorno a caccia di qualsiasi cattolico che intendesse visitarla, senza nemmeno aver sentore del pericolo.
Essi gli si avventarono addosso e lo condussero sotto buona scorta al cospetto dei magistrati. “Quanti preti frequentano la vostra casa? Quanti ne
ospitate? Quali sono i loro nomi?”. Gli furono rivolte innumerevoli domande del genere. Ma nelle sue risposte egli fece notare come il solo sospetto che lui ospitasse dei preti gli risultasse sommamente offensivo e
come egli avesse preso tutte le precauzioni per non correre tale rischio. Essi, tuttavia, lo incalzarono; allora egli rispose che era pronto a contestare,
ogni accusa che avessero avanzato contro di lui. Comunque, essi non insinuarono nulla nei miei confronti. Per quanto questa volta fossero stati delusi, nutrivano ancora la speranza di catturarmi, sapendo essi che il traditore era ancora insospettato.
Al tempo del suo arresto, il mio ospite stava lavorando alla traduzione del
De bono religiosi statu di Padre Girolamo Platus. Di recente aveva completato la seconda parte e l'aveva portata per discuterla con me. Quando fu
preso, gli furono trovati questi manoscritti; e quando gli fu chiesto di che
cosa si trattasse, rispose che era un libro di devozione (i protestanti temono tutto ciò che viene pubblicato contro di loro o contro le loro false dottrine ed analizzano attentamente tutti gli scritti che cadono nelle loro mani). Siccome lì per lì non avevano il tempo di chiarire interamente il caso,
lo incalzarono di domande unicamente intorno a quelle carte. Di nuovo egli insistette che quelle non contenevano assolutamente nulla contro lo
Stato e contro la sana dottrina e si dichiarò pronto a giustificare sul posto
la convenienza del libro. Nel fare questo, come mi riferì in seguito, egli
sentiva una grande consolazione di spirito per essere chiamato a rispondere di una così bella opera (15).
Tuttavia, fu imprigionato e la sua relegazione fu così stretta che solo uno
dei suoi servi, proprio il traditore, fu ammesso a visitarlo (16). Essi sapevano che il padrone non aveva ancora nessun sospetto circa la sua mala
fede e speravano in tal modo di scoprire dove io ero nascosto e di catturarmi prima di quanto avessero potuto fare in altro modo.
Quando io seppi che la nostra casa di Londra era stata occupata e che il
mio ospite era stato imprigionato, mi recai alla sua residenza di campagna,
essendo ansioso di conferire con sua moglie e con i suoi amici su ciò che
fosse opportuno fare. Ordinai, inoltre, che ogni cosa fosse accuratamente
nascosta in altro luogo. Naturalmente, avevamo bisogno della maggior
parte degli arredi sacri per la Pasqua, che ormai era molto vicina. Perciò
solo una piccola parte di essi fu trasferita presso amici. Mi fu moralmente
impossibile abbandonare allora la famiglia, giacché i suoi componenti stavano per attraversare un periodo di grande ansietà e di grande angustia.
Giunse la settimana santa. Il traditore venne da Londra con una lettera del
padrone, che forniva i particolari di tutto quello che gli era capitato, delle
tre domande, che gli erano state rivolte, e delle sue risposte (17).
La lettera, naturalmente, era stata letta dalle autorità; ma queste la fecero
passare per dar credito al traditore e per fornirlo di un pretesto, al fine di
appurare se io ero nella casa durante la settimana santa. Egli recò anche
una seconda lettera. Questa veniva da parte del mio servo, della cui cattura
nella casa ho appena riferito. Lo avevano gettato nel più assoluto isolamento nella più detestabile delle prigioni, Bridewell. Sapevano che era il
mio servo, giacché il traditore l'aveva loro comunicato; ed essi lo relegarono in quella prigione nella speranza che egli avrebbe fornito i nomi dei
suoi amici e complici. In questa lettera scriveva che egli aveva risposto
fermamente “No” a tutte le loro domande e continuava con la descrizione
delle minacce che gli erano state fatte e del trattamento che stava ricevendo. Attestava che gli davano solo quel poco pane che era appena sufficiente per tenere insieme l'anima e il corpo. La sua cella era stretta ed aveva
spesse mura; non aveva letto e doveva dormire in posizione verticale appena reclinato sul davanzale della finestra. Per mesi non si era potuto spogliare degli abiti. Nel luogo vi era soltanto un po' di paglia che ormai era
tutta calpestata e che adesso cominciava a brulicare di insetti cosi che era
impossibile adagiarsi. Ma la cosa peggiore si era che in quella cella gli avevano lasciato scoperto il secchio degli escrementi, cosi che il fetore era
soffocante. In queste condizioni attendeva di essere chiamato e di essere
interrogato sotto la tortura.
Io lessi la lettera alla mia ospite in presenza del traditore, e quando giunsi
all'ultima parola, mormorai: “Volesse Dio che io soffrissi un po' di tutto
questo in maniera che lui potesse soffrire meno!” Questa espressione in
seguito mi rese possibile identificare il traditore, che aveva causato tanta
afflizione. Quando fui catturato ed interrogato, risposi che non avevo conosciuto nessuno della famiglia; al che gli interrogatori dimenticarono il
loro segreto ed esclamarono:
Menzogne! Menzogne! Voi avete detto così e così alla presenza della signora, quando le stavate leggendo la lettera del servo” (18). Tuttavia, continuai a negare lo stesso e diedi loro buone ragioni perché potevo e dovevo
agire così, anche se ciò fosse stato vero. Ma riprendiamo la narrazione.
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NOTE A CAPITOLO VIII
1 Costui fu John Frank. La sua deposizione, fatta davanti a Young il 12 maggio 1594,
si trova nel Public Records Office. Fu a casa sua che si trattennero Jane e Bridget Wiseman ed altri che J. G. mandò nel continente, allorché passarono per Londra. S.P.D.,
voI. CCXLVIII, n. 103.
2 Era una “casa bianca a Lincoln's Inn Fields”. Il 3 maggio 1594, dopo che J. G. fu
catturato, un suo confratello gesuita di nome Henry Walpole fu interrogato nella Torre
circa questa casa, “ma egli rifiutò di svelare sia il nome del proprietario sia quello del
signore presso il quale era diretto e che abitava nella stessa casa”. Da un ulteriore paragrafo dello stesso rapporto risulta chiaro che il “signore presso il quale era diretto”
era J. G. C.R.S., vol. V, pp. 249-250.
3 Padre Brewster, probabilmente il vecchio prete che è descritto come “un uomo alto
dalla barba di cera”. S.P.D., CXLVIII, n. 103.
4 La casa fu perquisita il 26 dicembre. Mrs. Wiseman, madre di William Wiseman,
non fu arrestata in quella occasione. Il 12 gennaio seguente fu denunciata alla corte
d'assise di Essex insieme al figlio, la nuora e due nipoti sotto un'altra accusa, quella,
cioè, di aver ascoltato la Messa celebrata in casa sua dal suo cappellano, Padre Richard Jackson. Fu allora che la vedova fu condotta a Londra. S.P.D., vol. CCXLIV, n.
7.
5 Mrs. Wiseman trascorse l'intero periodo della sua prigionia a Gatehouse, Westminster. Il suo nome appare in “una lista di prigionieri” compilata verso la fine del 1595.
Non fu processata che il 30 giugno 1598. Quando Mrs. Wiseman fu condotta a Gatehouse, un'altra signora cattolica, Lady Alice Wells, si trovava già a Newgate rea di aver alloggiato gente. C.R.S., vol. II, p. 284.
6 Sembra che non vi sia stata che una sola visita, architettata, per giunta, da Topcliffe,
per trovare di che accusare Mrs. Wiseman. Nicholas Blackwall, un parassita di Gatehouse che agiva in combutta con Topcliffe, chiese a Mrs. Wiseman, che usava fare i
cataplasmi ai poveri, se poteva curare la gamba ad un suo amico. Ella accettò, il Padre
Jones fu condotto e Mrs. Wiseman gli applicò un impiastro sulla gamba. Tale fu il motivo dell'accusa. C.R.S., vol. V, p. 363.
7 Margaret Clitherow, che fu uccisa a York il 26 marzo 1586. La sua fama si divulgò
mediante una biografia scritta dal suo confessore, John Mush, uno dei sacerdoti ai quali aveva offerto rifugio e quello per cui fu condannata a morte. L'altra martire fu Margaret Ward, una giovane signora di nobile casato che aveva fornito una fune, avvolta in
un lenzuolo pulito, per la fuga del sacerdote William Watson dalla prigione di Bridewell. Dopo il suo arresto, fu percossa e trattata crudelmente nella speranza di ottenere
qualche informazione per imprigionare altri cattolici. Fu uccisa a Tyburn il 30 agosto
1588.
8 “La sentenza è che detta Jane Wiseman sia condotta nella prigione di Marshalsea
della regia corte, sia ivi denudata, eccezion fatta per un panno che le copra la parte inferiore del corpo, e stesa supina per terra; che si scavi una buca sotto la sua testa e che
questa vi sia reclinata; che sopra ogni parte del suo corpo si pongano tante pietre e tanto ferro quanto ella ne può sopportare ed anche più; che fin quando resterà in vita le
siano posti accanto il peggiore pane e la peggiore acqua della prigione in maniera, però, che nel giorno in cui mangia non beva, e nel giorno in cui beve non mangi, restando
cosi fino alla morte”. Accusa di Jane Wiseman, 30 giugno 1598. C.R.S., vol. V, p.
367.
9 Chi moriva sotto la “peine forte et dure”, come era chiamata questa pena, poteva tra-
smettere il patrimonio ai propri figli, mentre se era trovato colpevole, esso passava alla
Corona. Questa specie di morte fu abolita nel 1827.
10 Le sue figlie Bridget e Jane che erano monache nel convento di Santa Monica a
Lovanio fornirono al compilatore delle cronache di detto convento ulteriori informazioni circa la vita della loro madre in prigione. Vi si racconta che Topcliffe “la fece
dormire nella stessa stanza di una strega, che era stata imprigionata per le sue malefatte. Questa, però, non ebbe mai il potere di esercitare la necromanzia nella stanza in cui
si trovava la signora Wiseman, cosi che fu costretta ad andare in altro posto”. Si narra,
inoltre, che la regina, nell'apprendere come quella dovesse essere uccisa per cosa di
cosi poco conto, accusò i giudici di crudeltà ed ingiunse che fosse graziata. ADAM
HAMILTON, Chronicle of St. Monica's, vol. I, p. 83.
11 In Golding Lane, Holborn. È, questa, una vecchia strada nella parrocchia di Sant'Andrea a Holborn che risale al tredicesimo secolo. Da una pianta del castello di Finsbury, disegnata nel 1567 e riprodotta in STRYPE (voI. IV, p. 120), si rileva che vi erano molte case con giardini. Era fuori città e, come tutte le case occupate da J. G., aveva facile accesso alla campagna. Nella relazione dei due giudici che organizzarono
l'improvvisa ispezione la casa è descritta come “fabbricata di recente”. FOLEY, I, p.
488; H. A. HARBEN, Dictionary of London, p. 263.
12 In una lettera del 17 marzo 1594 Padre Garnet fa una lunga descrizione della casa;
ma oltre ad affermare che essa stava fuori delle mura, non fornisce nessun'altra indicazione che permetta di localizzarla. Fu qui che ospitò i preti che venivano dall'estero,
finché il luogo non fu scoperto dalle autorità. Nel giardino c'era una casetta di tre stanze dove egli si ritirava “quando c'era bisogno di scrivere o leggere qualche cosa di
grande importanza”, oppure di conferire con gli altri, poiché “non era possibile parlare
in tono normale senza correre il rischio di essere ascoltati dalla strada vicina”. Stonyhurst MSS, Anglia, I, n. 73.
13 La perquisizione ebbe luogo il 15 marzo 1594. Questa perquisizione, generale ed
accuratamente progettata, fu estesa a tutta la città di Londra. Ne fu causa la recente
scoperta del complotto organizzato dall'irlandese Cabil per sopprimere la regina. “Prima di quel tumulto di Golden Lane”, scriveva Padre Garnet in un resoconto di questo
incidente, “...avevano fatto un complotto di tutto questo chiasso ed avevano preparato
l'opinione pubblica con un proclama in cui ordinavano che durante certi giorni della
settimana si facessero delle grandi battute alla caccia dei preti e degli Irlandesi”. Egli
aggiungeva che “c'era tanta confusione a Londra quanta non si era mai vista prima;
nemmeno quando Wyatt era alle porte... Quella stessa notte vi sarebbe stato Long John
dalla barbetta (cioè J. G.) se non l'avessi trattenuto con preghiere più insistenti del solito”. Garnet a Persons il 6 settembre 1594. Stonyhurst MSS, GREENE, Collectanea, P.
voI. II, p. 550.
14 Insieme a Fulwood furono arrestati John Bolt, il musico, John Tarbuck, un cattolico
del Lancashire e William Suffield, lo “scismatico”, tessitore del Norfolk al servizio di
William Wiseman. Il resoconto del loro interrogatorio conferma ciò che J. G. dice della loro costanza. S.P.D., CCXLVIlI, n. 37-40. John Tarbuck, che fu catturato con Fulwood era cugino di J. G., suo padre, Edward Tarbuck di Tarbuck Hall, Huyton, nel
Lancashire, era sposato con Catherine Gerard, sorella del padre di J. G., Sir Thomas
Gerard di Bryn. C.R.S., Lord Burghley's Map of Lancashire, p. 39.
15 Cfr. “Il processo di William Wiseman” del 19 marzo 1594. “Egli confessa che gli
apparteneva un libro intitolato "Hieronymi Plati de Societate Jesu de Bono Statu Religiosi...". Ed afferma che detto libro non contiene altro che la vera dottrina e che lo tradusse lui stesso”. Gli fu, inoltre, richiesto d'identificare il proprietario di un breviario
che era stato sequestrato dagli inquisitori e che presumibilmente apparteneva a J. G.
S.P.D., vol. CCXLVIII, n. 36.
16 Egli fu imprigionato al Counter. in Wood Street. Hat. cal., V, p. 25.
17 Era molto importante per gli amici di un prigioniero sapere, possibilmente, ciò che
egli aveva risposto al fine di prendere le misure eventualmente necessarie per la loro
sicurezza e per sapere ciò che essi dovevano rispondere, qualora fossero arrestati ed
interrogati.
18 La descrizione dell'incidente della lettera di Fulwood fatta da J. G. è confermata
dalla dichiarazione di Frank: “Richatd Fulwood, quando fu imprigionato a Bridewell la
Pasqua scorsa, scrisse una lettera e la spedì a casa di Lady Mary (Percy), ove mi fu recapitata. Con essa mi recai da Mr. Gerard che, per tutto il periodo della scorsa Pasqua,
rimase nascosto in casa di Mr. Wiseman a Braddocks, mentre era presidiata dai persecutori. Consegnai detta lettera a Ralph Willis, che la portò subito a Mr. Gerard. Vidi le
lettere nelle mani di Mr. Gerard e lo ascoltai mentre le leggeva. In esse Fulwood scriveva che si aspettava ogni giorno di essere torturato e Mr. Gerard si augurava di poter
sopportare una parte delle pene di Fulwood”. S.P.D., Eliz., vol. CCXLVIII, n. 91.
IX. PERQUISIZIONE A BRADDOCKS
Il traditore tornò a Londra e fece un rapporto dettagliato. Subito, due messaggeri (o “pursuivants”, come erano chiamati) furono inviati presso due
gentiluomini della contea, giudici di pace, per comunicar loro l'autorizzazione di perquisire attentamente la casa con i loro uomini (1).
La domenica di Pasqua, il traditore tornò da Londra con una lettera recente. Ciò fu un pretesto, poiché il suo vero scopo era quello di essere sul luogo per aiutare i perquisitori e per informarli delle nostre mosse.
Il lunedì dell'Angelo (2), ci alzammo prima del solito per la Messa, perché
presentivamo vicino il pericolo. Mentre, prima dell'alba, preparavamo il
necessario per la Messa, udimmo improvvisamente un gran rumore di
zoccoli scalpitanti. Subito dopo, per impedire qualsiasi tentativo di evasione, la casa fu circondata da una intera pattuglia di uomini. Comprendemmo all'istante quello che stava succedendo. Sprangammo le porte;
quindi, spogliammo l'altare ed aprimmo i nascondigli, in cui furono gettati
tutti i miei libri e tutte le mie carte. Era necessario che io mi occultassi per
primo con tutte le mie cose. Io ero del parere di rifugiarmi nel nascondiglio attiguo alla sala da pranzo: era quello più distante dalla cappella (la
parte più sospetta della casa) ed aveva una scorta di provviste: una bottiglia di vino, alcuni biscotti leggeri e nutrienti ed altro cibo che si sarebbe
conservato. Vi era, inoltre, una maggiore possibilità di ascoltare le conversazioni dei perquisitori e di raccogliere qualche utile informazione. Per
questo la preferivo; era, del resto, un posto ben costruito e molto sicuro.
Tuttavia, la padrona di casa (cosa che si rivelò provvidenziale) fu di parere
contrario. Ella volle che io usassi il nascondiglio vicino alla cappella, perché lo potevo raggiungere più rapidamente e vi potevo nascondere, con
me, gli arredi dell'altare. Siccome si mostrò molto insistente, accondiscesi,
sebbene sapessi che non avrei avuto nulla da mangiare, se la perquisizione
fosse durata a lungo. Dopo aver nascosto tutto quello che era necessario
far sparire, vi entrai.
Mi ero appena occultato, quando i persecutori abbatterono la porta e fecero irruzione. Essi si sparpagliarono per la casa, facendo un gran baccano.
Per prima cosa rinchiusero nella sua stanza la padrona di casa e le sue due
figlie (3); quindi relegarono i servi cattolici in luoghi differenti, ma nella
stessa parte della casa. Ciò fatto, presero possesso della casa che era molto
vasta e cominciarono a rovistare dappertutto, sollevando perfino le tegole
del tetto per scrutare sotto di esse ed usando le candele negli angoli più
oscuri. Non avendo trovato nulla, presero ad abbattere quei luoghi che
sembravano sospetti. Misurarono i muri con grandi regoli e, se le misure
non corrispondevano, demolivano quelle sezioni delle quali non riuscivano a darsi ragione. Tastarono ogni muro ed ogni pavimento alla ricerca di
vani nascosti; e, quando qualcosa suonava vuota, la riducevano in frantumi.
Due giorni di questo lavoro non approdarono a nulla. Il secondo giorno, i
giudici di pace se ne andarono pensando che io dovevo aver abbandonato
la casa la domenica di Pasqua. Alcuni attendenti rimasero per condurre la
padrona di casa ed i servi cattolici, uomini e donne, a Londra per essere
processati ed imprigionati (4). Decisero invece di lasciarvi gli altri servi,
cioè i non cattolici, per custodire la casa. Tra loro c'era il traditore.
Ciò recò piacere alla signora perché sperava che, con l'aiuto di lui, mi sarei salvato da una lenta morte per inedia. Ella infatti sapeva che io ero deciso a morire in tal modo tra due pareti, piuttosto che uscir fuori e salvare
la mia vita a rischio degli altri. Infatti, durante quei quattro giorni di nascondimento tutto quello che avevo da mangiare furono uno o due biscotti
ed un po' di gelatina di cotogne, che la mia ospite aveva per caso con sé e
mi aveva dato mentre mi avviavo nel nascondiglio. Siccome non si aspettava che la perquisizione durasse più di un giorno, non aveva provveduto
ad altro.
Ormai, però, erano trascorsi due giorni ed ella doveva esser trascinata via
il mattino seguente con tutti i servi sui quali poteva contare. Temendo che
io potessi morire di fame, fece chiamare il traditore. Ella aveva sentito che
sarebbe rimasto ed aveva notato che, quando i perquisitori avevano fatto
irruzione, aveva fatto mostra di resistere vigorosamente. Certamente non
gli avrebbe mai confidato il mio nascondiglio, se io non fossi stato in tale
pericolo; ma preferì salvarmi da una morte certa, anche se doveva assumersi un tale rischio. Così gli ordinò che, dopo che fosse stata portata via,
e quando non ci fosse stato nessuno intorno, si recasse in una certa stanza
e chiamasse il mio nome. Doveva dire che tutti gli altri erano stati condotti
via e che lui solo era rimasto e lo avrebbe liberato. Gli disse che io gli avrei risposto dal mio nascondiglio, dietro il pannello di intonaco.
Il traditore promise di eseguire fedelmente queste istruzioni. Sì, egli fu fedele, ma solo ad uomini che non conoscevano il significato della fede. Naturalmente, riferì ogni cosa alla combriccola che era rimasta, la quale decise di mandare a chiamare subito i magistrati che erano già ripartiti. Il loro
primo impegno al mattino fu di ritornare e di riprendere la perquisizione.
Molto più attentamente del giorno prima, misurarono e tastarono ogni
luogo alla ricerca di un vano occulto, particolarmente in quella stanza; ma
durante tutto il terzo giorno non trovarono assolutamente nulla. Decisero
quindi di passare il giorno successivo a demolire l'intonaco.
Quella notte, intanto, posero delle guardie in ogni stanza all'intorno, per
impedire un mio eventuale tentativo di fuga. Dal luogo in cui ero nascosto
udii la parola d'ordine che il capo del gruppo passò ai suoi uomini; e, se
fossi potuto uscire dal mio nascondiglio senza esser visto, me ne sarei servito ed avrei tentato di fuggire. Ma c'erano due uomini che custodivano la
cappella in cui si trovava l'entrata del mio nascondiglio, mentre molti altri
erano dislocati nella camera intonacata di cui si era loro parlato.
Ma la Provvidenza mi protesse in maniera sorprendente. Mi trovavo nel
mio nascondiglio. Vi ero entrato, sollevando una parte del pavimento sotto
la griglia del focolare. Questa era fatta di legno e di mattoni ed era costruita in modo tale che non ci si poteva accendere il fuoco senza danneggiare
la casa. Tuttavia, vi era stata posta della legna come se dovesse servire per
il fuoco (5).
Quella notte gli uomini di guardia decisero di accendere il fuoco sulla griglia e si posero a sedere intorno per una chiacchierata. In pochi momenti i
mattoni, che non erano poggiati su altri mattoni ma sul legno, cominciarono a sconnettersi e quasi scivolarono dalla loro posizione, man mano che
lo strato di legna sprofondava. Gli uomini notarono la cosa e cominciarono a sondare il focolare con uno spiedo; si accorsero cosi che il fondo era
fatto di legno. Li sentii dire che era una cosa curiosa e pensai che avrebbero all'istante demolito l'apertura del nascondiglio per rovistarvi. Tuttavia,
decisero di rimandare la cosa al giorno seguente.
Adesso la fuga era fuori questione. Cominciai a pregare fervidamente affinché, se ciò fosse stato per la maggior gloria di Dio, non fossi catturato
in quella casa, per non attirar rappresaglie sui miei ospiti o su qualsiasi casa in cui altri avessero dovuto portarne le conseguenze. La mia preghiera
fu ascoltata in maniera veramente meravigliosa. Dio mi tenne salvo in
quella casa. Pochi giorni più tardi, quando fui arrestato, nessuno ebbe a
soffrirne, come tra poco apprenderete.
Il giorno successivo, la perquisizione riprese con grande alacrità. Essi, però, lasciarono incustodita la camera superiore che era servita da cappella e
nella quale le due guardie avevano acceso il fuoco sopra la mia testa,
commentando sulla strana struttura della griglia. Dio aveva cancellato dalla loro memoria ogni ricordo di essa. Durante tutta la giornata non un solo
attendente entrò nella stanza sebbene fosse, non senza ragione, la parte più
sospetta della casa. Se fossero entrati, mi avrebbero trovato senza bisogno
di fare nessuna ricerca; anzi mi avrebbero visto, perché il fuoco aveva
prodotto una buca sul mio nascondiglio ed io dovevo girarmi alquanto sul
fianco per evitare che la cenere calda mi cadesse sulla testa. Sembrava che
le guardie avessero dimenticato tutto di questa stanza; in ogni caso, pareva
che non se ne curassero affatto. Si concentrarono invece nelle stanze sottostanti, in una delle quali era stato riferito che mi trovavo io ed avevano
scoperto infatti l'altro nascondiglio che intendevo usare. Esso si trovava
proprio vicino al luogo in cui ero; ed udii le loro grida di gioia, quando lo
trovarono, e la loro costernazione, quando si avvidero che era vuoto. Tutto
ciò che trovarono fu un'intatta riserva di provviste, ivi conservata per far
fronte ad una perquisizione cosi lunga come quella in corso. Forse conclusero che quello era il luogo di cui aveva parlato la padrona di casa: sarebbe certamente stato facile rispondere di lì a qualsiasi chiamata, fatta da
una persona nella stanza da lei menzionata.
Tuttavia si attennero al loro piano di demolire tutto l'intonaco di un'altra
grande stanza e, con l'aiuto di un falegname, cominciarono il lavoro vicino
al soffitto, non lontano dal posto in cui mi trovavo. (Le fasce inferiori dei
muri erano tappezzate). Procedendo da destra intorno alla stanza, rimossero l'intonaco finché giunsero esattamente di fronte al posto in cui ero nascosto. Ivi, disperando di trovarmi, si fermarono. Il mio nascondiglio si
trovava in un muro spesso del camino, dietro un armadio finemente intagliato ed intarsiato, che non potevano rimuovere senza correre il rischio di
romperlo. Tuttavia, se avessero avuto il minimo sospetto che mi trovavo
dietro di esso, lo avrebbero fatto a pezzi. Sapevano che due erano le gole
del camino e ritennero impossibile che un uomo vi si potesse nascondere.
Già prima, durante il secondo giorno di perquisizione, erano stati nella
stanza superiore ed avevano esaminato il focolare attraverso il quale mi
ero calato nel nascondiglio. Con l'aiuto di una scala, si erano arrampicati
dentro la gola e l'avevano battuta con un martello; allora intesi uno di loro
che diceva ad un altro: “Vi potrebbe essere benissimo dello spazio sufficiente perché una persona si calasse di qui nel muro del camino sottostante, se la griglia fosse alzata”. “Difficilmente”, rispose l'altro di cui riconobbi la voce, “da quella parte non c'è nessuna entrata nell'altro camino.
Ma ve ne potrebbe essere facilmente una di dietro”.
Ciò detto, colpì il posto con un calcio. Temei che avesse notato il suono
vuoto del vano in cui mi trovavo nascosto. Ma Dio, che pone confini al
mare, disse a questi uomini decisi: “Siete giunti fin qui, ma non andrete
oltre”. Così Egli risparmiò i suoi figli tanto dolorosamente provati e non
volle consegnarli nelle mani dei loro persecutori, né permise che toccasse
loro alcunché di peggio per la loro carità verso di me.
Poiché le loro ricerche erano terminate in un fallimento, conclusero che
ero riuscito a fuggire in un modo o nell'altro. Alla fine del quarto giorno,
perciò, se ne andarono. La padrona di casa fu liberata insieme ai servi; ed
il traditore rimase sul posto, ancora insospettato, anche dopo che i perquisitori se ne andarono.
Furono subito sbarrate le porte della casa e la padrona venne a farmi uscire. Come Lazzaro, che era rimasto sepolto per quattro giorni, venni fuori
da quella che sarebbe certamente stata la mia tomba, se la perquisizione
fosse durata ancora un po'. Ero tutto emaciato ed indebolito per la mancanza di cibo e di sonno. Avevo passato tutto quel tempo in un posto troppo angusto. Durante la perquisizione la padrona non aveva mangiato assolutamente nulla, in parte perché voleva condividere il mio digiuno, in parte perché voleva sperimentare personalmente quanto avrei potuto resistere
senza cibo, ma principalmente per attirare, mediante il digiuno e la preghiera, la misericordia di Dio sopra di me, su se stessa e su tutta la sua
famiglia. Quando venni fuori, la trovai così mutata in volto, che sembrava
un'altra persona; e credo che, se non fosse stato per la voce e per il vestito,
non l'avrei riconosciuta.
Il traditore mi incontrò subito dopo. Noi non avevamo ancora nessun sospetto del suo tradimento. Per il momento non fece nulla e non chiamò di
nuovo i persecutori, perché sapeva bene che sarei partito prima che quelli
potessero esser richiamati.
NOTE AL CAPITOLO IX.
1 I giudici di pace erano Babington e Frank (non John Frank, il traditore). I due messaggeri Newell e Worsley erano gli stessi che più tardi catturarono J. G. Sei settimane
dopo questo incidente, il 20 maggio 1594, Burghley scrisse ai due giudici chiedendo
una relazione su Newell e Worsley, poiché la moglie di Mr. Wiseman si era lagnata
del loro cattivo comportamento nella perquisizione di Braddocks, per la quale non avevano nessun documento scritto. Historical MSS Commission, Report, VII, p. 540.
2 1° aprile 1594.
3 Dorothy e Winifred Wiseman, la più piccola delle quali aveva allora dieci anni. Do-
rothy, la figlia maggiore, sposò più tardi William Brooksly di Shoby nel Leicestershire,
ma restò vedova poco dopo. Winifred, la minore, entrò nel convento delle benedettine
a Bruxelles nel marzo del 1602 e morì nel 1647. C.R.S., vol. IX, p. 2; MORRIS, p. 94.
4 Da ciò che segue si può dedurre che furono condotti in una casa vicina, dove furono
trattenuti per certo tempo. Ma poiché non si poté provare nulla contro di loro, furono
rilasciati.
5 Come afferma più oltre J. G., questo nascondiglio era stato approntato da Nicholas
Owen.
.
X. ARRESTOPrimavera 1594
Feci un pasto leggero e, dopo un po' di riposo, mi incamminai verso la casa di un amico non molto lontana di lì. Ivi, questi mi tenne nascosto per
una quindicina di giorni. Tuttavia ero impensierito della situazione in cui
avevo lasciato i miei amici e andai a Londra per vedere se potevo aiutarli o
confortarli in qualche modo. In questa occasione alloggiai presso una persona di alto rango (1) e fui completamente al sicuro. Fu in questa casa che
visse Padre Southwell finché, un anno prima, non fu catturato ed imprigionato nella Torre di Londra.
Nel frattempo tuttavia cercai un alloggio in cui restare sicuro ed inosservato ed in cui esser libero di sbrigare tutti gli affari che avevo con i miei amici, poiché ciò era difficile in casa d'altri e, particolarmente, in quella in
cui mi trovavo. Con l'aiuto di quell'uomo eccellente che aveva tanta esperienza in accordi del genere, intendo il domestico di Padre Garnet, “Little
John”, come era chiamato, trovai un posto veramente magnifico e mi accordai col padrone intorno all'affitto.
(Era stato “Little John” colui che aveva costruito i nascondigli; egli stesso
aveva allestito quello al quale dovevo la mia salvezza poco tempo prima).
Mentre si preparava questa casa, alloggiai in un appartamento dell'abitazione del proprietario (2), coll'intenzione di passarci due o tre giorni per
prepararmi al trasferimento. Desideravo, inoltre, ricevere delle lettere dagli
amici che avevo appena abbandonato e scrivere per consolarli. Ma ciò fu
la mia rovina, poiché essi usarono come messaggero il traditore. Solo pochi amici sapevano del luogo ma Dio aveva decretato che la mia ora era
giunta.
Una notte, mentre “Little John” ed io eravamo insieme nella nostra camera, il traditore venne a portarci una lettera che esigeva una risposta immediata e partì con essa verso le dieci. Dall'altra casa non ero tornato che alle
nove, per la verità contro i desideri della mia ospite, la quale mi aveva
pregato con inusitata insistenza di non abbandonarla quella notte. Il traditore partì subito e comunicò ai persecutori dove e quando egli ci aveva lasciato. Questi riunirono un drappello e giunsero nella nostra abitazione a
mezzanotte. Ci eravamo appena addormentati, quando John ed io fummo
svegliati insieme da un improvviso frastuono che proveniva dall'esterno.
Indovinai subito di che si trattava ed ordinai a John di nascondere la lettera che avevamo ricevuto quella sera sotto la cenere del fuoco. Dopo aver
fatto ciò, egli tornò a letto; quindi ci sembrò di udire il rumore avvicinarsi
su verso la nostra stanza. La porta fu percorsa da alcuni colpi secchi: era
chiaro che gli uomini intendevano abbatterla se non avessimo aperto prontamente. Non vi era via di scampo. Quella porta era l'unica apertura della
stanza e gli uomini la sbarrarono, perciò dissi a John di alzarsi ed aprirla.
Immediatamente degli uomini “armati di spade e bastoni” fecero irruzione
e riempirono la stanza, mentre molti altri rimasero fuori, impossibilitati ad
entrare. Tra loro notai due ufficiali, uno dei quali mi conosceva bene (3).
Ciò significava che non avevo alcuna possibilità di restare sconosciuto.
Mi ordinarono di alzarmi e di vestirmi, e lo feci. Fu esaminato tutto quello
che era in mio possesso, ma non trovarono nulla che potesse compromettere i miei amici. Quindi mi condussero via sotto scorta insieme al mio
compagno; ma Dio ci benedisse perché nessuno di noi era angustiato o
mostrava timore (4). Tuttavia ero molto preoccupato della casa di quella
signora, che quella notte avevo lasciato per tornare al mio appartamento.
Forse mi avevano visto uscire da quella ed avevano seguito le mie orme.
Perciò temevo che quella illustre famiglia potesse soffrire per causa mia.
Ma i miei timori erano infondati. Appresi più tardi che il traditore aveva
comunicato loro semplicemente ove mi aveva lasciato: ivi infatti mi trovarono.
L'ufficiale (intendo quello che mi conosceva) mi tenne in casa sua per due
notti. O gli interrogatori non erano liberi di trattare con me, subito il primo
giorno, o, come pensai più tardi, intendevano interrogare prima il mio
compagno, “Little John”.
La prima notte notai che la stanza in cui ero rinchiuso non era lontana da
terra e che sarebbe stato possibile calarmi dalla finestra stracciando le lenzuola e annodandole insieme così da farne una fune. Lo avrei fatto la notte
stessa, ma udii qualcuno muoversi nella stanza vicina alla mia. Pensai che
fosse stato posto lì per spiare i miei movimenti; così era infatti. Di conseguenza decisi di rimandare la fuga alla notte successiva, purché non vi
fosse la guardia. L'occasione non mi si presentò mai. Per risparmiarsi la
spesa di una guardia, il custode mi ammanettò i polsi in maniera tale che
non potevo né avvicinare né allontanare le mani.
Sebbene adesso mi trovassi più a disagio, avevo la mente più riposata.
Ogni idea di fuga era svanita, e, al suo posto, sentivo una grande felicità,
perché mi era stato concesso di soffrire tutto ciò per amore di Cristo, e
ringraziai Nostro Signore come meglio potei.
Il giorno successivo fui condotto davanti ai commissari. Come presidente
c'era un gentiluomo che ora è il cancelliere del regno. Una volta questi era
stato cattolico, ma, essendo una persona di mondo, era passata dall'altra
parte (5).
Per prima cosa mi chiesero quale fosse il mio nome e la mia professione
nella vita. Quando diedi loro il nome del quale mi servivo, uno di essi gridò il mio vero nome, dicendo che ero un gesuita. Comprendendo immediatamente che l'ufficiale mi aveva smascherato, dissi che sarei stato assolutamente franco e che avrei risposto sinceramente a tutte le domande che
riguardavano la mia persona, ma aggiunsi che non avrei detto nulla che
avrebbe potuto implicare gli altri. Rivelai loro il mio nome e la mia professione, aggiungendo che ero un prete gesuita, sebbene non ne fossi meritevole.
“Chi vi ha mandato qui?”, chiesero.
“I superiori della Compagnia”.
“Perché?”.
“Per riportare le anime erranti al loro Creatore”.
“No, voi siete stato mandato per distogliere il popolo dall'obbedienza alla
regina, per condurlo alla sudditanza del Papa e per immischiarvi negli affari di Stato”.
“Per quanto riguarda gli affari di Stato, risposi, non rientrano nelle nostre
competenze, anzi abbiamo proibizione di occuparcene. Questa proibizione
si estende a tutti i gesuiti; e vi è, inoltre, una speciale proibizione acclusa
nelle istruzioni fornite ai padri mandati in missione (6). Per quanto riguarda l'obbedienza dovuta alla regina e al Papa, ciascuno riceve la sua e le
due obbedienze non sono in conflitto. La storia dell'Inghilterra, come quella di ogni altro Stato cristiano, lo dimostra”.
Essi continuarono:
“Per quanto tempo avete agito da prete in questo paese?”.
“Circa sei anni”.
“Come sbarcaste? e dove? con chi siete vissuto in tutto questo tempo?”.
Risposi che non potevo soddisfare a queste domande, particolarmente all'ultima, senza ledere la mia coscienza.
“Ciò implicherebbe altri, feci rilevare, perciò vi prego di scusarmi se non
soddisfo i vostri desideri”.
Comunque, soggiunsero che era proprio su questi punti che desideravano
essere informati e mi ordinarono di rispondere in nome della regina. lo
proseguii:
“Io onoro la regina ed obbedirò a lei ed a voi in tutto quello che è legittimo. Ma nella presente questione, dovete ritenermi scusato. Se nomino
qualche persona che mi ha ospitato o menziono qualche casa in cui ho
trovato riparo, delle persone innocenti soffriranno per la gentilezza che mi
hanno usato. Questa è la vostra legge, ma per parte mia agirei contro carità
e giustizia; perciò non mi convincerete mai a farlo”.
“Se non risponderete, ribatterono, dovremo costringervi a farlo”.
“Per grazia di Dio, spero che ciò non avverrà mai. Vi prego di nuovo di
accettare quanto vi dico. Non risponderò alle vostre domande né adesso né
in seguito”.
Quindi stilarono l'ordine di imprigionamento e lo porsero agli attendenti,
ingiungendo loro di condurmi in prigione. Mentre questi mi conducevano
via, l'attuale cancelliere disse loro:
“Fate in modo che sia posto in stretta segregazione”. (Questo è quanto
fanno con i traditori). “Ma dite ai carcerieri di trattarlo bene, perché è un
gentiluomo”.
Queste furono le sue umane istruzioni. Ma forse il capo carceriere diede
ordini diversi, poiché mi posero in una cella molto scomoda (7). Era una
piccola soffitta, che aveva spazio solo per un letto ed un soffitto così basso
che non potevo stare in piedi, se non vicino al letto. Aveva una finestra
che era sempre aperta così da immettere l'aria più mefitica e da far inzuppare il letto, ogni volta che pioveva. L'ingresso era così basso che non potevo entrare nella stanza stando in piedi, ed anche quando strisciavo sulle
ginocchia dovevo chinarmi per attraversarlo. Ma ciò rivelò un vantaggio,
poiché mi permetteva di evitare il tanfo del cesso vicino, che non era lieve.
Era l'unico usato dai prigionieri in quella parte dell'edificio e la puzza che
ne veniva mi teneva desto di notte o mi risvegliava.
In questa cella angusta trascorsi due o tre giorni di quiete. Non sentivo alcun dolore, la mia mente era riposata e, con la grazia di Dio, godevo quella pace di spirito che il mondo non dona e non può donare.
Il terzo o il quarto giorno fui portato fuori per il secondo interrogatorio,
questa volta nella casa di un magistrato di nome Young. Questi era, per
così dire, il capo inquisitore dei cattolici che abitavano nelle vicinanze di
Londra ed era incaricato delle perquisizioni e delle condanne; era quello
che aveva procurato questo guaio al mio ospite e che aveva ricevuto i rapporti del traditore. Con lui c'era un altro uomo che ormai da molti anni eseguiva gli interrogatori sotto la tortura. Il suo nome era Topcliffe. Era una
creatura crudele ed assetata del sangue dei cattolici (8). Era di una furbizia
e di una astuzia eccezionale e al suo paragone l'altro, sebbene fosse un individuo subdolo e malvagio, sembrava ridotto al silenzio. Infatti pronunciò
solo poche parole durante l'interrogatorio.
Li trovai tutt'e due, da soli. Young portava abiti ordinari, Topcliffe indossava la toga con una spada che gli pendeva sul fianco. Young era un vecchio e canuto veterano del male. Cominciò con una domanda intorno ai
luoghi in cui ero vissuto ed ai cattolici che conoscevo; a questa risposi dicendo che non potevo e non volevo menzionare i nomi per le ragioni che
avevo già fornito. Non avevo alcuna intenzione di mettere gli altri nei pasticci. Quindi egli si rivolse a Topcliffe.
“Ve l'avevo detto, proferì. Sapevo che l'avreste trovato irremovibile”.
Topcliffe volse lo sguardo verso di me e mi fissò trucemente.
“Sapete chi sono? lo sono Topcliffe. Senza dubbio avete sentito spesso
parlare di me”.
Disse ciò per intimidirmi. E, per accrescere l'effetto, sbatté la spada sul tavolo a portata di mano, quasi che intendesse farne uso, se il caso l'avesse
richiesto. Ma questo suo agire non approdò a nulla con me. Io non ne fui
affatto intimorito.
In momenti come questi solevo rispondere sempre con deferenza, ma
quando mi avvidi ch'egli tentava di impaurirmi fui deliberatamente rude
con lui (9). Egli comprese che non avrebbe ottenuto più nulla da me; afferrò, quindi, la penna e stese un rapporto tanto abile quando mendace dell'interrogatorio.
“Ecco, guardate questo foglio, disse. Lo inoltrerò al Consiglio Privato; vi
presenta come traditore e per diversi titoli”.
Questo è quanto aveva scritto:
“L'interrogato fu mandato in Inghilterra dal papa e dal gesuita Persons in
missione politica, per sovvertire i sudditi fedeli alla regina e per dissuaderli dall'obbedienza a Sua Maestà. Egli è venuto dal Belgio dove aveva avuto abboccamenti col gesuita Holt e con Mr. William Stanley. Perciò, se rifiuta di rivelare i posti in cui egli è stato e le persone con le quali si è mantenuto in contatto, bisogna concludere che ha recato molto danno allo Stato”.
E continuava di questo passo. Io scorsi il foglio e compresi subito che non
avrei potuto contestare tutte quelle menzogne con un semplice diniego.
Siccome volevo che presentasse al consiglio la mia risposta, gli dissi che
avrei replicato per iscritto. Topcliffe ne fu divertito.
“Oh, state mostrando un po' di buon senso, adesso”.
Comunque, ne fu deluso. Egli sperava di prendermi in fallo in quello che
avrei scritto o, per lo meno, di ottenere un saggio della mia scrittura. Con
questo avrebbe potuto dimostrare che appartenevano a me certi scritti trovati durante la perquisizione delle case. Mi accorsi del tranello e scrissi in
maniera alterata:
“Sono stato inviato in Inghilterra dai miei superiori. Non ho mai messo
piede in Belgio, né ho visto Padre Holt da quando lasciai Roma. Non ho
visto Mr. Stanley, dopo che questi lasciò l'Inghilterra col conte di Leicester. Mi è stato proibito di immischiarmi negli affari di Stato, cosa del resto che non ho mai fatto, né mai farò. I miei sforzi hanno mirato a ricondurre le anime alla conoscenza ed all'amore del Creatore, per farle vivere
nell'obbedienza dovuta alla legge di Dio ed a quella dell'uomo; e ritengo
che quest'ultima sia una questione di coscienza. Chiedo umilmente che la
mia determinazione di non rispondere a domande riguardanti le persone
che conosco non sia interpretata come disprezzo dell'autorità. Sono costretto ad agire in tal modo dai comandamenti di Dio. Agire diversamente
sarebbe un peccato contro la giustizia e la carità”.
Mentre scrivevo, il vecchio diventava sempre più irato. Egli tremava di
passione e voleva strapparmi quel foglio.
“Io scriverò la verità o nulla”, dissi.
“No, egli ringhiò, scrivete così e così, ed io farò una nuova copia di quello
che scrivete”.
“Scriverò quello che voglio io e non quello che volete voi. Se vi piace, potete mostrare ciò che ho scritto al Consiglio. L'unica cosa che aggiungo è
la mia firma”.
Quindi firmai proprio sotto l'ultimo rigo, così che egli non aveva più spazio per aggiungere nulla. Si accorse di essere stato battuto e nella sua frustrazione cominciò a vomitare minacce e bestemmie.
“Farò in modo che siate portato presso di me e posto in mio potere. Vi appenderò in aria e non avrò pietà di voi; poi attenderò per vedere se Dio vi
strapperà dalla mia stretta”. Parlava dal fondo della sentina che aveva in
cuore.
Ma 1'effetto che produceva sopra di me era opposto a quello che desiderava: egli destò le mie speranze. Io ho sempre disprezzato i blasfemi ed ho
imparato per esperienza che Dio insinua la speranza nel cuore dei suoi
servi nel momento stesso in cui permette che la tempesta si abbatta su di
loro. Risposi brevemente:
“Voi non potete fare nulla se Dio non ve lo permette. Egli non abbandona
mai coloro che confidano in lui. Sia fatta la volontà di Dio!”
Young ingiunse allora al carceriere che mi aveva accompagnato di ricon-
durmi in prigione. Mentre questi mi portava via, Topcliffe lo richiamò e
gli ordinò di farmi serrare i piedi nei ceppi. Entrambi poi cominciarono ad
inveire contro il carceriere, perché mi conduceva via da solo: temevano
che potessi fuggire.
Così strisciai di nuovo nella mia piccola cella e le mie gambe furono adornate secondo le istruzioni. L'uomo che mi incatenò sembrava spiacente per
quel che faceva, ma io non ne fui minimamente rattristato. Proprio al contrario. Mi sentivo molto felice, perché Dio si mostrava così buono con l'ultimo dei suoi servi. Per ricompensare l'uomo del buon servizio che mi aveva reso, gli diedi un po' di denaro e gli dissi che non era affatto una punizione il dover soffrire per causa così buona e così nobile (10).
NOTE AL CAPITOLO X
1 La Contessa Anne di Arundel, che allora viveva nell'Arundel House, nello Strand.
2 Come appare dalla deposizione di Frank, il traditore, la casa si trovava in Holborn ed
era chiamata “Middleton's'”. Per quel che riguarda questo Middleton, pare che si trattasse di un capitano della marina mercantile che aveva un fratello ad Anversa “col nemico”. Fu imprigionato ed interrogato da Young nell'agosto dello stesso anno.
C.S.P.D., 1595-1597, p. 544.
3 Probabilmente l'ufficiale aveva conosciuto J. G. quando questi fu confinato a Marshalsea dieci anni prima. Forse era Newell. Circa un anno dopo egli perquisì la casa
della sorella di J. G., Mrs. Jenison, nel Derbyshire. MORRIS, p. 2.
4 J. G. fu arrestato il giorno di San Giorgio, il 23 aprile, da Newell e Worsley. Hat.
Cal., VI, p. 311.
5 Costui era sir Thomas Egerton, che fu nominato cancelliere nel 1609. Riprese il proprio posto tra i non-conformisti nel 1577, ma se ne ritrasse un'altra volta e prese parte
in qualità di procuratore generale al processo di Campion, del conte di Arundel e di
molti altri cattolici. C.R.S., vol. XXII, p. 101.
6 Queste istruzioni furono impartite dal Generale Aquaviva a Persons e a Campion,
quando partirono da Roma nel 1580. Esse sono citate, in parte, da RICHARD
SIMPSON nel suo Edmund Campion, pp. 99-100: “Non dovevano immischiarsi negli
affari di Stato, né scrivere a Roma circa questioni di politica, né parlare o permettere
che altri parlasse, in loro presenza, contro la regina, salvo quando si trovassero in
compagnia di persone la cui fedeltà fosse stata lungamente provata, e, anche allora,
non senza gravi motivi”. Dal 1586 nelle istruzioni date a Padre Garnet e a tutti gli altri
preti gesuiti, J. G. incluso, che successivamente entrarono in Inghilterra, l'ultima frase
“salvo quando” fu omessa.
7 J. G. fu trattenuto nella prigione di Poultry. Padre Garnet la descrive come “un carcere pessimo senza alcun conforto”. Essa fu allestita trasformando circa quattro case
ad ovest della chiesa parrocchiale di S. Mildred in Bread Street. STOW, Survey of
London (ed. Thoms), pp. 99, 131.
8 In Narrative of the Gunpowder Plot, J. G. esprime la sua ammirazione per Southwell, il quale “fu consegnato, per disposizione divina, nelle loro mani per incontrarsi
a faccia a faccia con Topcliffe, il più crudele tiranno di tutta l'Inghilterra, uomo infame
e detestato in tutto il regno per il suo spirito sanguinario e per le sue atrocità”. Narrative, p. 18.
9 Padre Southwell trattò Topcliffe nello stesso modo. “Benché avesse risposto prontamente alle domande rivoltegli dagli altri, quando fu interpellato da Topcliffe non si
degnò di rispondergli. Quando gliene fu chiesto il motivo, rispose: “Perché so per esperienza che quell'uomo non ragiona”. HENRY MOORE, Historia Provinciae Anglicanae, libro V, n. 15.
10 J. G. non fece gran caso delle sue sofferenze fisiche. In una lettera indirizzata al
Generale della Compagnia in data 7 maggio 1597, Padre Garnet, descrivendo la forza
mostrata in prigione da J. G., ci offre dei particolari che J. G. modestamente tralasciò:
"Quando fu preso per la prima volta e il carceriere gli assicurò ai piedi dei pesanti ceppi di ferro, egli (J. G.) gli diede del denaro. Il giorno seguente il carceriere, credendo
che se glieli avesse tolti gli avrebbe regalato di più, glieli tolse ma non ottenne nulla.
Alcuni giorni dopo venne Per rimetterglieli di nuovo ed ancora una volta ricevette una
ricompensa; e quando glieli tolse non ebbe neanche un centesimo. Continuarono a giocare così per diverso tempo; ma alla fine il carceriere, vedendo che non otteneva nulla
quando gli toglieva i ceppi, glieli lasciò per lungo tempo, così che l'alluce di un piede
restò per ben due anni in pericolo di atrofizzazione”. Stonyhurst MSS, Anglia A, II, n.
27.
XI. IN CARCERE
Primavera - Estate 1594
Rimasi in catene per tre mesi o poco più. Il primo mese lo passai nella pratica degli Esercizi Spirituali, secondo che li potevo rammentare a memoria, dedicando quattro e talvolta cinque ore giornaliere alla meditazione.
Per tutto quel tempo sentii la grande bontà di Dio e compresi con quanta
liberalità tratta i suoi servi afflitti, quando li priva di ogni specie di conforto terreno.
Passarono diversi giorni prima che mi conducessero fuori per sottopormi
ad ulteriore esame. Ma, mentre me ne ero stato quietamente disteso in cella, avevano interrogato Richard Fulwood (il traditore aveva rivelato che
quegli era il mio domestico) e “Little John” che era stato catturato con me.
Essi cercarono di sedurli e di corromperli, ma non riuscirono a strappar loro una sola parola che avesse potuto compromettere gli altri. Quindi ricorsero alle minacce ed alla violenza. Ma la forza dello Spirito Santo, che li
corroborava, era troppo grande per essere sopraffatta dagli uomini. Alla
fine entrambi furono appesi per tre ore (penso) con i polsi stretti in bracciali di ferro e col corpo penzolante nell'aria: una pena inumana che distende le membra in maniera insopportabile, ma che non sortì risultato alcuno. Nessuno di loro proferì una sillaba che avesse potuto deporre contro
uno solo di noi. Blandimenti, minacce, torture, nulla riuscì ad estorcere loro il nome di un singolo luogo in cui uno di noi avesse riparato, né il nome
di una sola persona che ci avesse incontrati o protetti (1).
Questo è il momento di menzionare la grande bontà e la grande misericordia che Dio mostrò verso di me, il più immeritevole dei suoi servi. Mi riferisco al fatto che non ci fu un solo traditore fra gli uomini che furono catturati in casa mia, né tra quelli presi in casa di quel buon gentiluomo che
era il mio ospite, né infine tra coloro che più tardi furono imprigionati, torturati e maltrattati nelle persecuzioni che Dio si degnò di farmi subire.
Non uno, ripeto, mi venne meno. Tutti, per grazia di Dio, rimasero fermi
sino in fondo. Non uno di quelli che mi furono compagni di lavoro e che
solitamente agivano in qualità di miei domestici nelle relazioni con innumerevoli gentiluomini (essi conoscevano tutti i miei amici ed avrebbero
potuto causare un danno incalcolabile, diventando ricchi in un batter d'occhio a loro spese); non uno, dico, si lasciò mai sfuggire un'informazione, o
si rese colpevole di tradimento, o, per malizia e indiscrezione, fece e disse
mai nulla che cagionasse sofferenze ad altri, o infine si comportò in ma-
niera minimamente reprensibile. Al contrario, Dio nella Sua condiscendenza donò a molti di loro il suo buono, anzi il suo migliore Spirito (2).
Il mio primo servo fu John Lasnet che morì in Spagna dopo essere divenuto fratello gesuita. Il secondo fu Michael Walpole che restò con me solo
per breve tempo e che adesso lavora in Inghilterra come prete (3). Il terzo
si chiamava Hill. Egli aveva la vocazione per la Compagnia e lo inviai a
Reims per farlo studiare nel seminario locale. Studiò filosofia con molto
profitto, ma in seguito, al Collegio Inglese, si unì ad una fazione ribelle:
fatto, questo, poco edificante. Egli fu l'unico dei miei compagni che riuscì
un po' male; tuttavia fu ordinato sacerdote e fu mandato in Inghilterra. Ivi
fu catturato e condannato a morte per la fede; ma, invece di essere ucciso,
fu trattenuto in prigione, donde più tardi riuscì ad evadere. Egli lavora ancora in Inghilterra (4).
Dopo di lui ebbi John Sutton, una persona devota che aveva tre fratelli
preti, fra cui un martire ed un gesuita. Per molti anni, fino al tempo del
suo arresto, Padre Garnet lo tenne in casa sua.
Gli tenne dietro Richard Fulwood, l'uomo al quale ho appena accennato.
Questi riuscì ad evadere e, durante il periodo della mia prigionia, riparò da
Padre Garnet, che lo prese al suo servizio e lo trattenne fino al giorno della
sua beata morte. Il governo sapeva che egli era l'agente di Garnet in quasi
tutti i suoi affari ed offrì una somma ingente per la sua cattura, sia prima
ma specialmente dopo l'arresto di Padre Garnet. Infatti non gli diedero tregua ed alla fine dovette fuggire dal paese. Attualmente si trova in esilio e
sta ancora svolgendo una valida attività in favore della missione.
Dopo di lui, venne John Lillie che è molto conosciuto a Roma, perché è
divenuto confratello laico. È morto in Inghilterra poco tempo fa. Lo seguirono due ottime persone, che io non assunsi, però, in regolare servizio, ma
trattenni solo temporaneamente, mentre ero alla ricerca di una brava persona religiosa che potesse aiutarmi in tutto nelle mie necessità.
Alla fine trovai l'uomo che faceva al caso mio. Quando abbandonai l'Inghilterra lo condussi con me e lo lasciai a St. Omers. Ivi si procurò solide
fondamenta in greco ed in latino e fu molto amato da tutti i padri, che in
seguito lo mandarono in Spagna per gli studi superiori. Ancora si trova in
quel paese, dove sta radunando tesori di scienza e di virtù; e, secondo
quanto ho recentemente appreso da una lettera del prefetto degli studi, egli
è il migliore del corso (5).
Questi furono gli uomini che Dio, nella sua misericordia, mi aveva donato,
senza che io facessi nulla per meritarli. Essi furono la risposta alla mia co-
stante preghiera. La defezione di uno qualsiasi dei nostri collaboratori avrebbe pregiudicato e compromesso la nostra causa più di ogni altra cosa.
Se uno solo di essi avesse deciso di tradirci, avrebbe seminato la rovina tra
i cattolici. Molti gentiluomini si fidavano di loro allo stesso modo che si
fidavano dei preti; essi confidavano in loro, comunicavano loro i nostri recapiti e perfino i nostri nascondigli. E, se un semplice servo, un uomo che
non era né cattolico né membro della famiglia (alludo al traditore), era in
grado di causare un tale cataclisma nella famiglia del suo padrone, si può
facilmente immaginare quello che il domestico di un prete avrebbe potuto
provocare tra la gente di alto rango che aveva alloggiato il suo padrone.
Ed ora torniamo alla nostra narrazione.
Non riuscirono ad estorcere nulla ai due uomini, “Little John” e Richard
Fulwood, né ad alcuno dei servi cattolici del mio ospite, neanche l'ammissione che essi mi conoscevano. Avvenne, così, che, per mancanza di testimoni, persero gradualmente la speranza di incamerare tutti i beni e tutti
i profitti del mio ospite.
Ogni momento, quando avevano qualcosa di nuovo da addossarmi, mi facevano chiamare per l'interrogatorio. In una occasione mi fecero uscire per
farmi provare degli indumenti che erano stati trovati in casa del mio ospite
(6). Il traditore aveva loro rivelato che erano miei, e quando li indossai, si
rivelarono della mia esatta misura (infatti, erano stati confezionati per me),
ma io rifiutai di ammettere che mi appartenessero.
Young, allora, montò su tutte le furie e disse che mi stavo comportando da
ostinato e da stupido.
“Quanto più assennato è Padre Southwell! esclamò. All'inizio era ostinato
come voi; adesso, invece, è pronto a conformarsi e desidera parlare con
qualche dotto”.
Al che risposi: “Non credo affatto che Padre Southwell voglia trattare con
alcuno, come non credo né alla sua esitazione, né al suo desiderio di apprendere da un eretico ciò che dovrebbe professare. Può darsi benissimo
ch'egli abbia sfidato qualche vostro teologo a un dibattito. Così ha fatto
Padre Campion e così avrebbero fatto anche molti altri, se voi l'aveste
permesso e se aveste garantito dei giudici imparziali” .
Young prese la Bibbia e la baciò.
“Giuro su questo libro che Southwell ha chiesto un abboccamento con l'intenzione di abbracciare la nostra religione”.
“Non credo assolutamente ch'egli abbia fatto una cosa del genere”, ribattei.
“Cosa?”, intervenne uno dei suoi uomini. “Voi non credete a Young,
quando giura che quanto afferma risponde a verità?”.
“Non lo credo e non lo voglio credere, replicai. Ho più fiducia nella fermezza di Padre Southwell che in qualsiasi parola di Young. Senza dubbio,
egli si ritiene giustificato a fare dichiarazioni come questa, al fine di ingannarmi”.
“Nulla di tutto ciò, rispose Young. Ma voi siete disposto a conformarvi, se
anche Southwell lo ha fatto?”.
Per “conformarsi” essi intendono il riconoscimento della loro religione deformata.
“Naturalmente, no. Io non rifuggo l'eresia e non evito le riunioni ereticali
perché egli o qualsiasi altra persona fa così, ma perché rinnegherei Cristo
e la Sua fede. E ciò si può fare sia con azioni che con parole. Si tratta di
qualcosa che Nostro Signore ci ha proibito con pene molto più gravi dl
quelle che qualsiasi uomo può infliggere. Egli disse: "Colui che mi rinnegherà davanti agli uomini anch'io lo rinnegherò davanti al Padre che è nei
cieli". Potete forse negarlo?”.
Dopo ciò, l'eretico tacque, limitandosi a dire che ero un ostinato - proprio
quello che era lui - e ordinando che fossi ricondotto in prigione.
In un'altra occasione fui chiamato per mettermi a confronto con tre testimoni. Questi erano i servi di un gentiluomo, Lord Henry Seymour, figlio
del duca di Somerset. Essi non erano cattolici ed attestarono che un giorno
mi avevano visto pranzare con la loro padrona e con la sorella di lei. Con
altri domestici, essi avevano servito a tavola.
Queste due sorelle erano figlie del conte di Northumberland. Una di esse
era una devota cattolica (7) e, poco tempo prima del mio arresto, era venuta a Londra per esser da me aiutata a riparare in Belgio, dove voleva entrare in convento. Per questo si era messa in viaggio ed alloggiava temporaneamente presso sua sorella, la moglie del conte. Dopo la santa morte del
padre, sua sorella aveva abbandonato la fede ed ella era ansiosa di farla
ravvedere. Quando le visitai si era in Quaresima e questi tre testimoni dichiararono che la padrona di casa mangiò carne, mentre lady Mary ed io
mangiammo pesce (8).
Young mi lanciò questa accusa. Egli appariva esultante come se, finalmente, avesse qualcosa che io non potessi negare, senza rivelare i nomi dei
miei amici. Ma io risposi che non conoscevo gli uomini che egli aveva
portato per testimoni.
“Ma noi conosciamo voi, ribatterono questi. Voi siete la stessa persona
che fu nel posto tal dei tali, in tale e tale giorno”.
“Parlando in tal modo, dissi, farete un grave torto alla vostra padrona”.
“Quale impudenza!”, esclamò Young.
“Proprio così, ribattei, presumendo, naturalmente, che quanto questi uomini hanno affermato risponda a verità. Ma io non sono in condizione di
darvi una risposta definita per le ragioni ormai più volte addotte. È affar
loro vedere se quanto asseriscono è vero e se lo dovrebbero dire”.
Tutto infuriato, Young ordinò che fossi ricondotto in prigione,
___________________________________________________________
_
NOTE AL CAPITOLO XI
1 L'interrogatorio di Richard Fuldwood, tratto da S.P.D., voI. CCXLVIII, n. 40, è
stampato in MORRlS, p. 159.
2 Parlando in particolare di Little John, J. G. mostra di nuovo quanto i sacerdoti si fidassero dei propri servi: “Sì, egli avrebbe potuto impedire ai preti di fuggire, conoscendo la residenza della maggior parte di essi e di tutti quelli della Compagnia. Anzi,
avrebbe potuto catturarli come pernici in una rete, conoscendo tutti i loro nascondigli
che egli stesso aveva preparato... Nessun altro fece tanto bene quanto lui aiutando nelle loro fatiche i preti che si affaticavano in quella vigna; e neanche dieci uomini avrebbero potuto recare tanto danno quanto ne avrebbe potuto fare lui, solo che lo avesse
voluto. Egli ben sapeva che con ciò si sarebbe potuto creare una posizione nel mondo
non solo per la ricompensa meritata da un così grande e straordinario servizio, ma anche per la confisca dei beni dei cattolici, molto numerosi e grandi”. Narrative, p. 187.
3 Michael Walpole entrò nella Compagnia l'8 settembre 1593 e ritornò in Inghilterra
alla fine del regno di Elisabetta. Diventò uno dei gesuiti inglesi più in vista e fu due
volte imprigionato ed esiliato. Nel 1609 pubblicò a Londra una traduzione inglese del
De consolatione philosophiae di Boezio e l'anno seguente quando Giacomo I scrisse la
sua apologia per il nuovo giuramento d'obbedienza, egli rispose con una Admonition to
English catholics. Morì a Siviglia probabilmente nel 1624. JESSOP, p. 299.
4 Thomas Bill entrò nel Collegio Inglese di Roma il 18 dicembre 1593 e fu mandato
via quattro anni dopo per il danno che faceva (C.R.S., vol. XXXVII, p. 92). Padre
Garnet si riferisce a lui in una lettera a Padre Aquaviva in data 16 aprile 1596: “Voi
avete un esempio delle difficoltà che i nostri Padri affrontano: mi riferisco a Thomas
Bill, che è un attaccabrighe a Roma. Una volta egli fu compagno del nostro Padre John
Gerard e per lungo tempo fu mantenuto in Inghilterra col nostro denaro e non c'è cosa
che non conosca sul nostro conto”. Arch. S. J. Roma, Anglia 31, f. 129.
5 Questi era probabilmente Thomas Land, detto altrimenti John Collins, che sarebbe
stato un giovanotto di vent'anni quando J. G. “lo lasciò a St. Omers” nel 1606. Di lì
andò al seminario di Valladolid nel 1608. Più tardi entrò nella Compagnia in Spagna.
C.R.S., vol. XXX, p. 98.
6 Dimostrando che gli indumenti appartenevano a J. G., Young avrebbe potuto accusare William Wiseman di aver albergato dei preti. Questi indumenti furono trovati a
Braddocks. Il rapporto della perquisizione riferisce che in casa “c'era un prete del seminario [J. G.] il quale sfuggi ai giudici di pace lasciando indietro il suo corredo”.
C.S.P.D., 1591-94, p. 484.
7 Questa “devota cattolica” era lady Mary Percy, l'altra sorella era Jane, moglie di
Henry Seymour, figlio del Protettore Somerset.
8 I tre testimoni erano stati chiamati dietro informazione di Frank. Nella sua dichiarazione, che gli esaminatori avevano davanti a loro, Frank asseriva: “Gerard rimase una
notte da Lady Mary a Blackfriars, un po' prima della scorsa Pasqua 1594, e Ralph Willis suo servo a casa mia”. S.P.D., Eliz., vol. CCXLVIII, n. 91
.
XII. CLINK
Estate 1594 - Primavera 1597
Siccome l'unico capo d'accusa dimostrato era la mia condizione sacerdotale, alcuni miei amici (ciò avvenne circa tre mesi più tardi) tentarono di
farmi trasferire in una prigione migliore; in ciò riuscirono corrompendo
nientemeno che lo stesso Young.
Perciò, mi mandarono alla prigione chiamata “the Counter” e mi liberarono delle catene. Quando, all'inizio me le avevano assicurate, erano arrugginite; ma io le avevo rese lucide e scintillanti, portandole ogni giorno e
muovendomi con esse, sebbene la mia cella fosse così stretta che avrei potuto attraversarla con soli tre passi, se le mie gambe fossero state libere.
Solevo trascinarmi da una parte all'altra a passettini. In tal modo mi tenevo
alquanto in movimento. Inoltre, ed è quello che più importava, quando i
prigionieri di sotto cominciavano a cantare canzoni lascive e salmi di Ginevra, io potevo soffocare il loro baccano con il suono meno sgradevole
delle mie sferraglianti catene.
Mi furono tolte, quindi, le catene e pagai le mie spese, che non ammontavano a molto, perché tutto quello che avevo ricevuto era stato il pane con
un po' di burro e formaggio. Poi fui condotto alla presenza di Young che
finse di essere irato. Cominciò ad ingiuriarmi e ad insultarmi con una violenza che non aveva mai mostrato prima. Tornò di nuovo a domandarmi
se volevo confessare dove e con quale gente fossi vissuto; ma risposi di
nuovo che non potevo dirglielo con mia buona coscienza e che perciò non
l'avrei fatto.
“In questo caso, disse, dovrò farvi confinare in una più stretta segregazione. Sarete rinchiuso in maniera più rigorosa e la vostra finestra sarà sbarrata”.
Quindi vergò un ordine di detenzione e mi inviò a Clink (1) Tutto ciò non
era altro che una messa in scena per schermirsi dall'accusa di corruzione.
In realtà, la mia nuova prigione era molto migliore della precedente. Tale,
del resto, la trovavano tutti i prigionieri, ed io in particolare, perché molti
erano i cattolici relegati in quel luogo (2). Adesso non mi potevano più
impedire di ricevere i sacramenti e, come sarà mostrato da quel che segue,
privarmi di molte altre consolazioni.
Così, fui trattenuto in quel luogo. Ma, con la grazia di Dio, dopo pochi
mesi avevamo disposto ogni cosa in maniera che ero in grado di compiere
tutti i doveri di un prete gesuita; e, se avessi avuto la possibilità di restare
in quella prigione, non avrei mai desiderato di riacquistare la libertà in Inghilterra.
Sebbene fossi rinchiuso, consideravo questo trasferimento a Clink come
un passaggio dal Purgatorio al Paradiso. Non sentivo più le canzoni oscene ed impudiche, ma, in loro vece, udivo i cattolici che pregavano nella
cella attigua. Essi vennero alla mia porta e mi confortarono. Mi mostrarono quindi come avrei potuto mantenere con loro più liberi contatti attraverso un foro praticato nella parete, che essi avevano ricoperto e nascosto
con un quadro. Attraverso questa apertura, il giorno dopo, mi passarono
delle lettere scritte da alcuni miei amici e, al tempo stesso, mi fornirono di
carta, inchiostro e penna, in maniera da poter rispondere. In tal modo ebbi
la possibilità di inviare una lettera a Padre Garnet e di narrargli tutta la verità su quanto mi era accaduto, specificando le risposte da me date durante
l'interrogatorio, proprio come sopra ho scritto (3).
Attraverso questa stessa apertura facevo anche la confessione e ricevevo il
SS. Sacramento. Ma neanche ci fu bisogno di continuare a lungo in questo
modo, perché alcuni cattolici della prigione erano riusciti ad approntare
una chiave che apriva la mia porta. Perciò, ogni mattina, prima che la
guardia venisse per l'ispezione, in realtà prima ancora che uscisse dal letto,
essi venivano e mi conducevano in un'altra parte della prigione, dove celebravo Messa ed amministravo i sacramenti ai cattolici reclusi in quell'ala
della prigione. Essi avevano tutti la chiave della loro porta.
Se mi fosse stata lasciata libera la scelta, io avrei scelto proprio quegli
stessi vicini che avevo. Nella porta accanto c'era Ralph Emerson, il confratello al quale Padre Campion, in una lettera indirizzata al Padre Generale, si riferisce con le parole: “Il mio piccolo uomo ed io”. Fisicamente era
un uomo molto piccolo, ma per vigore e per solidità di spirito era tanto
grande, quanto si potrebbe augurare a chiunque. Durante i molti e lunghi
anni di prigionia, restò sempre buono e devoto, vero figlio della Compagnia. Restò a Clink ancora per sei o sette anni dopo il mio arrivo e, finalmente, fu trasferito a Wisbeach Castle con altri confessori. Ivi fu colpito
da una paralisi che gli fece perdere il controllo di metà del corpo, così che
non poteva muoversi né fare la minima azione per aiutarsi. Tuttavia continuò a vivere e si procurò grandi meriti con la pazienza. Alla fine, insieme
con i suoi compagni sacerdoti e confessori di Cristo, fu cacciato in esilio e
riparò a St. Omers, dove fece una santa morte, edificando tutti coloro che
l'assistevano (4).
Questo bravo confratello, dicevo, stava nella cella attigua alla mia, mentre
sopra di me si trovava John Lillie, che la Provvidenza aveva posto in quel
luogo a vantaggio di entrambi. Anche attorno a me c'erano molti buoni e
santi uomini. Poiché essi erano liberi nella prigione e chiunque poteva visitarli senza alcun rischio, io potei disporre le cose in modo che i miei amici, giungendo alla porta della prigione, chiedessero di loro e, venendo
su, passassero a parlare con me senza attrarre l'attenzione. Tuttavia non
permisi che entrassero nella mia cella, ma parlavo loro attraverso l'apertura
di cui ho detto.
Così, godetti un breve periodo di quiete e di calma che cercai di rendere
vantaggioso agli altri, scrivendo, all'esterno, lettere agli amici e parlando,
all'interno, con i miei visitatori. Il primo carceriere era d'indole violenta e
sorvegliava attentamente che fosse osservato il regolamento. Finché egli fu
in servizio, fui costretto a restare sempre in guardia per evitare di essere
scoperto. Ma Dio lo rimosse dalla sorveglianza del carcere e, nello stesso
tempo, dalla prigione del suo corpo.
Gli successe un giovane molto più comprensivo. Con mance e con altri
imbonimenti lo indussi a non sorvegliare troppo strettamente le nostre azioni e a venire da me solo quando lo chiamavo, eccetto in certi momenti
stabiliti in cui poteva sempre trovarmi pronto a riceverlo.
Con tale concessione di libertà potei intraprendere di nuovo il mio lavoro
apostolico. Ben presto ascoltai un gran numero di confessioni e riconciliai
molte persone alla Chiesa; alcune erano eretiche, ma per la maggior parte
erano scismatiche, poiché era più facile avvicinare queste che le altre. Ma
dovevo conoscere gli eretici da lungo tempo e dovevo ricevere loro informazioni da amici fidati, prima di arrischiarmi ad introdurli nel segreto della mia libertà. Infatti non riesco a ricordare più di otto o, forse, dieci convertiti dall'eresia. Comunque, quattro di essi entrarono negli ordini religiosi: due nella Compagnia e due in altri ordini. Tra gli scismatici, tuttavia, i
convertiti furono numerosi. Anche tra questi alcuni divennero religiosi;
mentre altri dedicarono la loro vita a buone opere durante la persecuzione
in Inghilterra. Uno di essi fu Mr. John Rigby. Ecco la sua storia.
In una circostanza egli si presentò per deporre a favore di una certa signora cattolica che era stata citata in tribunale (5). Poiché i giudici non volevano concedere nessun vantaggio giuridico ad una parte cattolica, gli
chiesero quale fosse il suo credo religioso, dal momento che perorava così
caldamente per la sua cliente.
“Siete un prete?”, gli domandarono.
“No”, egli rispose.
“Un papista?”.
“Sono cattolico”.
“Veramente? E da quanto tempo siete tale?”.
Egli lo disse loro.
“E chi vi ha reso cattolico?”, gli domandarono. Egli non volle implicarmi,
perciò fece il nome di un prete che era stato martirizzato poco tempo prima (6).
“Così vi siete riconciliato con la Chiesa di Roma?”.
Le leggi inique che sono in vigore considerano la riconciliazione con la
Chiesa un alto tradimento; ma egli non si avvide del tranello. Gli era stato
detto che era peccato non confessare la propria fede cattolica e, forse, non
sapeva che era legittimo addossare l'onere della dimostrazione all'accusa,
come fanno i cattolici bene informati. Così, quest'uomo retto e timorato di
Dio ammise prontamente con coraggio e con magnanimità che si era riconciliato. Fu arrestato su due piedi e gettato in prigione. E quando, più
tardi, fu condotto in giudizio, ripeté questa candida confessione ed aggiunse che la sua più grande ambizione era quella di essere cattolico.
Egli ascoltò la sentenza con grande gioia e, mentre questa veniva pronunciata, le catene in cui si trovava avvinto davanti alla corte si sciolsero e gli
caddero dalle gambe. Il carceriere le rimise a posto, ma (credo di non sbagliare) esse ricaddero una seconda volta. Quindi fu riportato in prigione da
dove mi mandò, poco tempo prima del suo martirio, una lettera piena di
ringraziamenti per averlo reso cattolico e per averlo aiutato (il che fu sempre cosa insignificante) ad acquistare quella condizione di spirito che egli
sperava che sarebbe stata presto perfezionata da Dio. Mi mandò pure il
suo borsellino che ancora conservo e che tuttora uso per onorare la memoria del martire, giacché vi tengo il reliquiario.
Mentre il martire veniva trascinato al luogo dell'esecuzione sul carro dei
condannati si imbatté lungo il percorso in un conte e in un gruppo di altri
gentiluomini. Il conte (7), vedendolo trascinar via, chiese quale fosse la
sua colpa. Il martire udì la domanda.
“Io non sono reo di nessun misfatto contro la mia regina ed il mio paese,
disse, ma muoio per la fede cattolica”.
Il conte, vedendo che era un uomo imponente e ben fatto, rispose:
“Voi eravate fatto per aver moglie e figli, e non per morire per la fede”.
“Quanto alla moglie, invoco Dio a testimoniare che non ho mai avuto relazioni con una donna”. (Io stesso posso confermare questa dichiarazione).
Il conte ne fu colpito e da quel momento nutrì una maggiore stima per i
cattolici e per la loro fede, come in seguito dimostrò in molti modi.
Così questo santo uomo volò in cielo dove spero che interceda per il suo
indegno padre in Cristo (8).
Mentre rimasi in questa prigione, mi fu possibile dettare gli Esercizi Spirituali, poiché il carceriere faceva quello che desideravo. Infatti, veniva da
me solo quando lo chiamavo e non si avvicinava mai alle celle dei miei
vicini. Potemmo, così, allestire una cappella in una stanza superiore, dove
sei o sette uomini si radunavano per gli Esercizi. Tutti decisero di seguire i
consigli di Cristo Nostro Signore e tutti rimasero fedeli alla loro risoluzione.
A quel tempo solevano venire a Londra molti sacerdoti di mia conoscenza.
Siccome essi non avevano alcun posto per alloggiare al sicuro, si fermavano nelle locande per tutta la durata dei loro affari. Inoltre, la maggioranza
dei preti che arrivavano dal seminario erano avvertiti di porsi in contatto
con me, in modo che io potessi presentarli al loro superiore e fornirli degli
altri aiuti di cui necessitavano. Il mio recapito era noto e non cambiò mai,
così che potevo essere rintracciato senza difficoltà. D'altra parte, però, non
sempre avevo degli alloggi da mettere a loro disposizione e non sempre
potevo trovare una casa cattolica a cui indirizzarli. Perciò presi in fitto una
casa con un giardino in un quartiere favorevole e, con l'aiuto degli altri
amici, l'arredai dei mobili necessari. Colà inviai tutti gli uomini che giunsero con lettere di raccomandazione da parte dei nostri padri all'estero,
come pure altre brave persone che ritenevo utili alla nostra causa. Ivi li
mantenni finché, con l'aiuto dei miei amici, fui in grado di provvederli di
abiti convenienti e delle altre cose loro necessarie, o di procurar loro una
residenza, o di comprar loro un cavallo in maniera che potessero visitare i
loro amici e parenti nel paese. Affrontavo tutte queste spese e quelle della
casa, ricorrendo alle elemosine che mi giungevano. Non che ricevessi elemosine da un gran numero di persone né, tanto meno, che le domandassi a
chiunque mi visitasse in prigione. Anzi, non accettavo le elemosine da tutti quelli che me le offrivano. Sia in prigione che fuori, non ebbi mai il desiderio di far ciò, perché mi sarei potuto procurare la taccia di ricevere le
elemosine indiscriminatamente, tenendo lontano da me degli uomini che
erano ansiosi di consultarmi nelle loro difficoltà spirituali; e perché avrei
potuto ricever danaro da gente che non se lo sarebbe potuto permettere e
che in seguito si sarebbe pentita di avermelo dato. Perciò, mi attenni al
principio di accettare denaro soltanto da quelle poche persone che conoscevo a fondo. Ed infatti la massima parte delle elemosine che ricevevo
provenivano da una cerchia ristretta di amici fedeli, che prima mi offrivano i loro servizi e dopo mi donavano il danaro, senza che lo chiedessi, e
che erano convinti di ricevere un favore quando lo accettavo.
Affidai la cura della casa ad una vedova molto brava e prudente, che in
seguito doveva ricevere l'onore del martirio. Ella apparteneva ad una famiglia distinta: il suo nome da ragazza era Heigham e quello di suo marito
era Line. Tanto lei che suo marito furono entrambi benedetti da Dio e dovettero soffrire molto per amor Suo. Quando il padre, che era protestante,
seppe che sua figlia stava per diventare cattolica, le rifiutò la dote che le
aveva promesso. Per la stessa ragione privò dell'eredità anche un figlio.
Ma quest'uomo, William Heigham, si fece confratello laico e adesso lavora in Spagna. Son passati ventisei anni da quando lo incontrai per la prima
volta: era un giovane di ottima reputazione e di grande eleganza, come
molti altri nobili londinesi del suo tempo. Allora, egli teneva in casa sua
un sacerdote, un certo Padre Thomson, al cui martirio dovevo in seguito
assistere (9).
Quando suo padre apprese che anche lui era diventato cattolico, vendette
gl'immobili che costituivano il suo patrimonio, con l'intenzione di privarlo
di essi. Il loro reddito annuo era calcolato di seimila fiorini. In seguito, lo
stesso giovane fu arrestato per la fede e, come ritengo, fu relegato a Bridewell insieme al sacerdote che alloggiava nella sua casa (10). Quella era
la prigione riservata ai vagabondi, ai quali si imponevano pesanti lavori
sotto la sferza. Lo andai a visitare e lo trovai intento alla grande macina in
un mare di sudore. Dopo che fu liberato, prese servizio presso un gentiluomo, del quale conoscevo bene la moglie cattolica. Questa gli affidò l'educazione del figlio; ma egli, oltre i rudimenti di latino, insegnò al ragazzo
a suonare l'arpa, uno strumento che egli stesso suonava con grande maestria.
Mentre si trovava lì, andai a trovarlo ed ebbi con lui una lunga conversazione intorno alla sua vocazione.
Sua sorella, Mrs. Line, sposò un ottimo gentiluomo, cattolico fervente che
era erede di un grande patrimonio. A quel tempo suo padre, o forse suo zio
(era erede di entrambi), trovandosi sul letto di morte, gli fece recapitare un
messaggio in prigione. In questo, egli lo pregava a conformarsi e ad entrare in chiesa almeno una volta, altrimenti avrebbe passato il patrimonio al
fratello minore. Il brav'uomo rispose con fermezza: “Se debbo esser posto
di fronte all'alternativa di abbandonare il mondo o Dio, allora abbandono
il mondo, perché è bene aderire a Dio”. Così, tanto il patrimonio del padre
quanto quello dello zio passarono al fratello minore (11). Con questo mi
incontrai una volta nella camera del fratello maggiore. Era vestito di seta e
di broccato, mentre suo fratello indossava abiti semplici ed ordinari. Quest'anima buona si recò più tardi in Belgio ed il re di Spagna gli assegnò
una pensione, parte della quale egli mandava a sua moglie. La loro fu veramente una vita di povertà e di santità.
Quando suo marito morì in Belgio, Mrs. Line rimase senza amici in questo
mondo e dipese interamente dalla provvidenza di Dio. Perciò, prima del
mio imprigionamento, la presentai nella casa presso la quale alloggiavo: la
famiglia la provvedeva di cibo e di alloggio, mentre io le procuravo ogni
altra cosa che le fosse necessaria (12).
Quando decisi di prendere la casa di cui sopra ho fatto menzione, non potei pensare ad altra persona cui affidarne la cura. Ella era capace di amministrare le finanze, di sbrigare le faccende domestiche, di accudire gli ospiti e di destreggiarsi di fronte alle domande degli estranei. Era piena di
gentilezza e di discrezione e possedeva la sua anima in grande pace. Era,
tuttavia, cronicamente ammalata, giacché soffriva sempre di qualche infermità. Soleva dire spesso: “Naturalmente, desidero sopra ogni altra cosa
morire per Cristo, ma sarebbe troppo sperare che ciò avvenga per le mani
del boia (13). Forse Nostro Signore permetterà che un giorno sia presa con
un prete e sia gettata in qualche fredda e lurida segreta, in cui non mi sarà
possibile vivere a lungo in questa vita disgraziata”. Così diceva e, veramente, il suo diletto era nel Signore, “ed il Signore accondiscese alle domande del suo cuore” .
Dopo la mia fuga dalla prigione, ella abbandonò la direzione della casa. A
quel tempo era conosciuta da tanta gente, che non mi era più sicuro frequentare una casa che fosse da lei occupata. Ella, invece, prese in affitto
degli appartamenti in un altro fabbricato e continuò ad accogliervi i sacerdoti. Un giorno, tuttavia, (era la festa della Purificazione), ella fece entrare
un numero di cattolici straordinariamente grande per ascoltare la Messa:
cosa che non avrebbe mai fatto in casa mia, poiché era più preoccupata
della mia sicurezza che della sua. Alcuni vicini notarono la folla e la polizia sopraggiunse immediatamente. Le guardie irruppero nel piano superiore e trovarono una stanza piena di gente. Il celebrante era Padre Francis
Page, il martire gesuita. Questi si era spogliato dei paramenti prima che i
persecutori arrivassero, perciò fu loro difficile individuare il prete. Ma
l'apparenza tranquilla e modesta del padre lo tradì; sospettarono di lui e
cominciarono ad interrogarlo insieme a un certo numero di altri presenti.
Nessuno, tuttavia, ammise che ci fosse un prete nella stanza, sebbene,
giacché l'altare era preparato per la Messa, essi affermassero che stavano
attendendone uno. Le guardie non intendevano accettare questa versione e,
mentre si avviava un alterco, Padre Page, scorgendo aperta la porta, afferrò l'occasione: si sottrasse alla presa degli uomini che lo tenevano e volò
via chiudendo la porta dietro di sé. Si rifugiò nel piano superiore, dove sapeva che Mrs. Line aveva preparato un nascondiglio, e vi si rinchiuse. Fu
perquisita tutta la casa, ma non lo trovarono.
Mrs. Line ed i nobili presenti nel gruppo furono condotti in prigione, mentre gli altri furono rilasciati sotto cauzione. Dio prolungò la vita della martire oltre quanto ella osasse sperare. Dopo alcuni mesi fu citata in giudizio
sotto l'accusa di alloggiare sacerdoti. Interrogata dai giudici se ciò fosse
vero o meno, ella né lo negò né lo ammise, ma disse ad alta voce in maniera che potesse ascoltare tutta la corte:
“Signori, nulla mi rattrista di più che il pensiero di non averne potuto accogliere ancora altri mille” (14).
Ella ascoltò la sentenza di morte con gioia e con gratitudine manifesta.
Ma, al tempo stesso, era così debole che fu necessario condurla in aula seduta su una sedia, sulla quale rimase per tutto il processo. Tornata in prigione, poco tempo prima dell'esecuzione, mandò una lettera a Padre Page,
il prete che era fuggito quando era stata arrestata. Conservo la lettera con
me. In essa dispose delle poche cose in suo possesso e mi lasciò una grande croce d'oro, finemente lavorata, che era appartenuta a suo marito. Ella
mi menzionò tre volte nella lettera, riferendosi a me come a suo Padre. Lasciò anche alcuni debiti, che mi pregava di pagare. Poco dopo mi lasciò a
voce il suo letto; ma quando andai a svincolarlo dal carceriere, che aveva
saccheggiato la cella dopo la sua morte, tutto ciò che potei ottenere fu il
copriletto, che usai in seguito ogni volta che fui a Londra e sotto la cui
protezione mi sentivo più sicuro. Quando ella raggiunse il luogo dell'esecuzione, vi trovò i ministri pronti a tempestarla di esortazioni, per.farle
abbandonare i suoi errori. Ma ella non volle neanche ascoltarli.
“Indietro, io non ho nulla in comune con nessuno di voi”, disse seccamente.
Quindi, nella sua esaltazione, baciò la forca e, inginocchiatasi, cominciò a
pregare. E nella preghiera perseverò finché il boia non eseguì il suo lavoro
(15).
Così ella affidò l'anima a Dio in compagnia del martire gesuita, Padre Filcock (16), che era stato spesso suo confessore e che era rimasto sempre
suo amico. Il suo martirio, però, ebbe luogo a sei o sette anni di distanza
dal periodo del quale sto scrivendo. Ella accudì per tre anni la mia casa ed
assisté molti santi sacerdoti. Durante questo tempo fece inoltre il voto di
castità, virtù che ella praticò anche nella sua vita matrimoniale.
In questa casa c'era sempre un prete che soleva fare le visite di misericordia ai miei amici, poiché io non potevo farle personalmente. Il primo di tali sacerdoti fu il francescano martire Padre Jones. Questi era arrivato di recente in Inghilterra ed io fui particolarmente lieto di dargli ospitalità in casa mia, allo scopo di favorire le buone relazioni tra il suo ordine e la Compagnia. Ma dopo pochi mesi si fece degli amici propri e si trasferì con loro. Poco tempo dopo, fu catturato e mostrò una grande fortezza durante il
martirio (17).
Dopo la sua partenza, accolsi in casa un prete, che era di recente venuto
dalla Spagna e che avevo incontrato prima. Era di nobile origine ed aveva
avuto un'ottima educazione (il suo nome era Robert Drury), perciò poteva
frequentare la migliore società senza destare sospetti. Io lo introdussi tra i
miei amici della nobiltà ed egli fornì loro una grande assistenza nei due
anni e più, durante i quali occupò la casa.
Questo prete fu scelto da Dio per essere suo testimone e martire (18). Fu
catturato dopo la mia partenza dall'Inghilterra, proprio due anni fa, e fu
condannato dietro accusa di alto tradimento, ricevendo la pena corrispondente. Tuttavia non si poté addurre nulla contro di lui, eccetto il fatto che
era un sacerdote e che aveva rifiutato di emettere il nuovo giuramento che
oggi viene imposto a tutti. Durante la sua esecuzione si verificò una scena
significativa. Alcuni ufficiali superiori che erano presenti lo pregarono di
aver pietà di se stesso e di conformarsi alle leggi del re. Doveva soltanto
recarsi in chiesa, essi asserivano, e si sarebbe sottratto alla morte.
“Bene, signori, rispose il martire, è veramente in vostro potere salvarmi all'istante dalla morte, se risolvo di entrare in chiesa?”.
“Naturalmente, ribatterono, vi promettiamo, in nome del re, che non morirete”.
Allora il martire si volse alla gente e disse:
“Adesso è chiaro per qual genere di tradimento sono condannato. È semplicemente per la nostra religione che moriamo, io e gli altri preti”.
Nella loro rabbia, gli ufficiali recisero crudelmente la corda mentre aveva
ancora un fil di vita. Alla fine lo uccisero, ma non c'era più nulla che potessero fare.
Durante la mia prigionia, visse nella mia abitazione uno dei nostri padri,
Padre Curry (19), che era stato ammalato per qualche tempo. Ivi fece una
santa morte e fu sepolto in un luogo segreto, poiché i preti che vivono in
missione di nascosto vengono anche sepolti segretamente (20).
Intanto il mio ospite primitivo (21) che era stato arrestato poco prima di
me, era tenuto in cella di rigore. Per tre o quattro mesi né la moglie né alcun suo amico ebbero il permesso di avvicinarlo. In seguito, tuttavia, si
perse ogni speranza di trovare una prova contro di lui, perché nessuno dei
suoi servi cattolici intendeva confessare nulla (22) ed il traditore, che era
l'unico testimone, non mi aveva mai visto nelle mie funzioni sacerdotali.
Così, essi lasciarono entrare gradualmente i suoi amici, perché sovvenissero alle sue necessità; tuttavia lo mantennero in rigorosa segregazione.
Durante la sua prigionia scrisse un'opera apprezzabile, che divise in tre
parti e che intitolò Three Farewells taken of the World ossia Tre morti in
stati diversi dell'anima.
Nel primo libro descriveva un uomo di buoni principi morali, che l'opinione comune considerava virtuoso, ma che seguiva solo la propria volontà. Ridotto dalla malattia in fin di vita, prima di morire ebbe chiaramente
davanti agli occhi il quadro dei suoi errori e confessò a tutti quelli che lo
circondavano che giustamente sarebbe stato condannato, specie perché
non aveva voluto aprire la sua anima ad un padre spirituale, per esser da
lui diretto e consigliato nell'amore di Dio.
La seconda parte era dedicata alla storia di una buona e devota signora,
che dapprima era desiderosa di sottomettersi alla direzione, ma più tardi fu
ingannata dal demonio e decise di esser guida di se stessa in certe cose.
Quindi cadde gravemente ammalata. Quando la sua morte era ormai prossima, si pentì e salvò la sua anima con la contrizione e le elemosine. Ma,
al momento del suo giudizio particolare, ella ebbe un grave timore e soffrì
lungamente in Purgatorio, perché aveva sempre prediletto la sua opinione
e la sua volontà. Questa narrazione conteneva molti passi patetici e l'autore vi descriveva gli inganni e gli artifici del demonio con tanto discernimento, che alcuni buoni e santi sacerdoti furono stupiti che un laico potesse conoscerli ed analizzarli tanto bene.
Nella terza parte egli rappresentava la santa morte di un uomo buono e religioso. Essendo di agiata condizione, era sempre vissuto nel mondo, ma
aveva sempre cercato e seguito la guida del suo padre spirituale, al quale
aveva aperto la sua anima per la gloria di Dio. In questa sezione, l'autore
dimostrava che la maniera migliore per conoscere se stessi e la volontà di
Dio era quella di intraprendere la pratica della meditazione delle cose spi-
rituali, sotto la guida di un buon direttore. Quindi passava ad esortare ciascuno a scegliere una guida nella vita spirituale, ad obbedirle (naturalmente, senza esservi obbligato) ed a cercare in lei l'approvazione dei propri
giudizi.
Questo era lo scopo della terza parte (di fatto, era il fine di tutta l'opera) ed
egli descrisse questa guida ideale con tanti particolari che la mente del lettore non poteva non pensare ad un gesuita oppure, in sua vece, ad un sacerdote che fosse amico dei gesuiti e che cercasse il loro consiglio nelle
sue difficoltà.
In seguito, gli amici fecero alcune copie del libro, che causarono un certo
malumore, quando capitarono nelle mani di un gruppo di preti che non erano ben disposti verso la Compagnia. Essi lamentavano che l'effetto del
libro sarebbe stato quello di escluderli dalla direzione delle anime. Uno di
loro giunse al punto di inviare all'autore una lunga lettera contenente la
condanna del libro (23); lo stesso, più tardi, pose in circolazione degli opuscoli che condannavano l'autore. Egli insinuò che ero stato io a scrivere
il libro, facendomi schermo del nome dell'autore. Ma ciò era semplicemente falso. Siccome egli era stato rigorosamente segregato ed era stato
privato dell'inchiostro, aveva scritto la maggior parte del libro a matita su
pezzi di carta; man mano che ne completava una parte, me la spediva perché la rivedessi e ne correggessi gli errori dottrinali. Ciò che lo spinse a
scrivere furono l'immenso beneficio, che egli stesso era convinto di aver
tratto dalla sottomissione alla guida di un direttore spirituale, e, da questa
conseguente, la grande tranquillità di spirito che egli godette perfino
quando su di lui pendeva la minaccia di una morte imminente. Fu il suo
desiderio di partecipare agli altri questa grazia che lo spinse a scrivere.
Tuttavia, volle precisare che il libro non era destinato ad un grande pubblico. Egli aveva in mente, in primo luogo, la sua famiglia; la moglie ed i
figli; e, in secondo luogo, gli amici ed i parenti. A questi volle indicare
mediante la sua opera il sentiero più sicuro e meritorio per raggiungere la
perfezione nel loro stato. Perciò, non potendo incontrarli e non potendo
conversare con loro, pose per iscritto i suoi consigli. Egli tentò pure di dimostrare che la perfezione era più necessaria ai laici che ai religiosi (24).
Tanto basti per quello che questo ottimo uomo scrisse. Era ben lungi dal
rimpiangere di essersi posto per quattro anni sotto la mia direzione, sebbene egli stesso si trovasse, adesso, in tali angustie e tutta la sua famiglia
fosse duramente perseguitata per l'accoglienza che mi aveva offerto. Comunque, non perse mai la pazienza, anzi, considerava tutte queste tribola-
zioni come il culmine della beatitudine. Era straordinariamente felice.
Sebbene sua moglie lo amasse molto teneramente e soffrisse tanto per le
sue condizioni, sopportava il dolore con pazienza e rassegnazione. E
quando io fui trasferito in questa prigione in cui aveva speranza di vedermi, ella prese una casa nelle vicinanze per potermi parlare e scrivere frequentemente, per donarmi le piccole cose di cui avessi avuto bisogno e per
cercare il mio consiglio e la mia direzione nelle sue faccende.
In seguito, suo marito riscattò col danaro la sua libertà (25) ed entrambi vi
si stabilirono per tutto il tempo in cui rimasi in prigione; inoltre mi aiutarono a fuggire dalla Torre. Ma, subito dopo la mia fuga, tornarono nella
loro casa di campagna, perché desideravano riavermi di nuovo in famiglia.
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NOTE AL CAPITOLO XII
l Sulla riva meridionale del fiume, poco distante dall'attuale ponte di Blackfriars. J. G.
vi fu trasferito il 6 luglio 1594. Hat. Cat., VI, p. 311.
2 Sulla base di “A table of Catholic Prisoners”, stampato nel C.R.S., vol. n, p. 286, è
possibile compilare una lista di alcuni compagni di prigione di J. G., fra i quali ci fu
per un po' di tempo Robert Wiseman. La prigione di Clink fu cosi chiamata “perché fu
la prigione "of the Clink Liberty" o maniero di Southwark, appartenente ai vescovi di
Winchester”. E. BRAYLEY, History of Surrey, vol. V, p. 348.
3 Nel mese di settembre, se non prima, J. G. fu evidentemente in contatto con Padre
Garnet. Nella sua lettera del 6 settembre 1594 a Padre Persons, Garnet scrisse: “Egli
[J. G.] è stato sottoposto a rigorosa sorveglianza, ma ora è stato trasferito da Compter
a Clink, dove col tempo può fare molto bene”. Più tardi, il 19 novembre, egli scrisse:
“Il processo dei tre gesuiti, Southwell, Walpole e Gerard è stato sospeso. Gerard sta
nella prigione di Clink quasi libero, gli altri due sono così sorvegliati nella Torre che
nessuno ha notizie di loro”. Stonyhurst MSS, Anglia, I, n. 81-82.
4 Ralph Emerson sbarcò in Inghilterra con Edmund Campion il 25 giugno 1580. Egli
era in prigione da dieci anni quando J. G. lo incontrò a Clink ed è descritto da una spia
come “un tipo basso, molto magro e bruno”. Morì a St. Omers il 12 marzo 1604.
S.P.D., vol. CLXXIII, n. 64.
5 Mrs. Fortscue, sorella di Mrs. Wiseman. Ella era stata citata alle assise di Newgate
“per motivi religiosi”; e siccome allora era sofferente, aveva pregato Rigby, che era al
servizio di suo padre, di testimoniarlo davanti alla corte. WORTHINGTON, Life of
John Rigby (ed. Newdigate), p. 6.
6 Il francescano P. Jones, che fu ucciso il 12 luglio 1598.
7 Il conte di Rutland. Nel corso della narrazione si fa più volte menzione del suo fratello minore, sir Oliver Manners.
8 John Rigby fu ucciso con grande efferatezza il 21 giugno 1600 a St. Thomas Waterings, che era allora una palude a circa due miglia da Londra, là dove attualmente si ricongiungono le strade di Old Kent e di Peckham Park. La sua prestanza fisica, che il
conte di Rutland aveva messo in evidenza, gli fu causa di grandi sofferenze prima della
morte. Dopo che il boia gli tagliò la corda, “egli rimase in piedi come un uomo stordito, finché i carnefici non lo gettarono in terra. Riavutosi perfettamente, proferì con
chiarezza e ad alta voce: “Che Iddio vi perdoni! Gesù, ricevi la mia anima!”. Subito
dopo, un altro uomo crudele, che stava lì vicino e che non era un ufficiale ma un semplice aiutante, gli mise il piede sulla gola e lo calcò tanto che quello non poté più parlare. Altri gli bloccarono le braccia e le gambe, mentre il boia lo smembrava e lo sventrava; e quando si sentì strappare il cuore, egli ebbe ancora la forza di scrollarsi gli
uomini che gli tenevano le braccia. Infine, gli spiccarono la testa e lo squartarono... Allontanandosi, ciascuno deprecava la barbarie dell'esecuzione e tutti, in generale, piansero per la sua morte”. R. CHALLONER, Memoirs of Missionary Priests, p. 244-245.
John Rigby fu l'ultimo ad essere ucciso a Londra sotto lo “Act of Persuasion” (23 Elizabeth, c. 1), che considerava alto tradimento l'adesione o la riconciliazione con la
“Romish Religion”. Durante il regno seguente, nello Yorkshire, vi furono tre ulteriori
esecuzioni in forza dello stesso “Act”.
9 Padre William Thomson fu ucciso a Tyburn il 20 aprile 1586, prima che J. G. lasciasse l'Inghilterra alla volta di Roma.
10 Egli fu imprigionato prima a Counter in Wood Street e più tardi fu probabilmente
trasferito a Bridewell, dove J. G. l'avrebbe visto quando visitò John Jacob. “William
Heigham e Roger Line erano due nobili e furono sorpresi durante la Messa, fuori di
Bishopsgate, insieme a Blackburn, alias Tomson, che fu impiccato. Essi sono multati
di cento marchi a testa”. (Recusants in the Counter in Wood Street, S.P.D., vol. CXC,
n. 33). Entrambi furono mandati in prigione da sir Francis Walsingham: Roger Line il 3
febbraio 1585 e William Heigham il 30 luglio dello stesso anno. (S.P.D., vol. CXCV,
n. 51). La famiglia Line abitava a Ringwood nello Hampshire ed era ben conosciuta
come non conformista. C.R.S., v. XLIII, p. 88.
11 Quando Roger Line era a Counter in Wood Street, suo zio, Richard Line di Ringwood, stava morendo. “Il patrimonio”, al quale J. G. si riferisce, era probabilmente il
castello di Laybrook. Questo passò nelle mani del fratello minore di Roger, un altro
Richard Line, che mori proprietario del castello nel 1599. Victoria County History of
Hampshire, vol. IV, p. 610.
12 Roger Line morì in esilio per la fede nel 1594; ed è evidente che solo grazie alla
presentazione di J. G. la sua vedova trovò asilo presso i Wiseman.
13 “Alcuni anni prima della sua morte, ella disse al suo confessore come Padre Thomson, uno dei suoi vecchi confessori che fini i suoi giorni col martirio nel 1586, le avesse promesso che, se Dio lo avesse reso degno di questa gloriosa fine, egli avrebbe pregato affinché anch'ella ottenesse la stessa felicità” . CHALLONER, Memoirs, p. 258.
14 Queste parole sono scritte in inglese nel manoscritto latino.
15 Anne Line fu l'ultima donna uccisa sotto 1'“Act” (27 Elizabeth, c. 2) che condannava come traditore chiunque accogliesse o aiutasse un prete; l'ultimo uomo fu Robert
Grissold, che fu impiccato a Warwich il 16 luglio 1604.
16 Ella fu uccisa a Tyburn il 27 febbraio 1601. “Ella si comportò in maniera molto
dolce, paziente e virtuosa fino al suo ultimo respiro. Baciò la forca, si diede la benedizione prima e dopo le preghiere private, la carretta fu allontanata, ella fece il segno
della croce e dopo ciò non si mosse più”. Da un resoconto dell'esecuzione, scritto nello
stesso giorno. Hist. MSS Commission, Rutland MSS, I, p. 370.
17 Padre Iones fu ucciso a St. Thomas Waterings il 12 luglio 1598. Durante il suo discorso sul patibolo, egli discolpò Mrs Wiseman, negando di aver ricevuto denaro da
lei e di aver celebrato Messa nella sua cella.
18 Padre Drury fu il primo martire del seminario di Valladolid. Parti per l'Inghilterra
nel 1595 e fu ucciso il 26 febbraio 1607. C.R.S., vol. XXX, p. 9.
19 Nativo della Cornovaglia, fu ordinato il 23 marzo 1577 ed arrivò in Inghilterra nel
gennaio 1590. Dopo aver lavorato nel Kent e nel Sussex, giunse a Londra verso la festività di San Michele nel 1593. Per le sue relazioni con Ralph Sherwin, John Cornelius ed altri, fu conosciuto come “l'amico dei martiri”. FOLEY, I, p. 397.
20 Nel periodo cruciale della persecuzione i sacerdoti che vivevano in città venivano
spesso sepolti nelle case in cui morivano, essendo pericoloso portare alla sepoltura un
cadavere del quale non si potesse dare giustificazione. In campagna si era soliti seppellirli in posti attigui a luoghi sacri, vicino ad una cappella o ad un monastero abbandonati. Padre Curry morì il 31 agosto 1596. Arch. S. J. Roma, Fondo Gesuitico 651,
Garnet ad Aquaviva, 18 gennaio 1597.
21 William Wiseman.
22 L'asserzione di J. G. è confermata da una lettera scritta da Mr. Richard Young, magistrato dell'Essex, al Consiglio privato. Young fornisce i nomi di sette servi di Wil-
liam Wiseman prigionieri a Colchester, i quali avevano rifiutato di prestare giuramento
e di dare informazioni sul loro padrone. C.S.P.D., 1591-1594, p. 484.
23 Il sacerdote era John Mush e la sua lettera, inviata a William Wiseman, è stampata
in The Archpriest's Controvery, vol. I (Camden Society, New Series, LVI, pp. 53-62).
Da questa lettera risulta chiaro che Mush non conosceva Wiseman. Mush, comunque,
aveva un grande passato ricco di attività apostolica ed aveva ben ragione di risentirsi
contro quanti insinuavano che né lui né gli altri sacerdoti erano all'altezza delle loro responsabilità. Ma, evidentemente, non era al corrente del fatto che i Wiseman erano
grandi benefattori di tutto il clero e che erano stati particolarmente generosi verso i
preti rinchiusi nella prigione di Wisbeach. Il 4 luglio 1955 è stato venduto a Sotheby
un manoscritto del libro di William Wiseman dal titolo: A treatice of three farewells
taken of the world by sundry sorts departing this life.
24 Siccome questo libro fu scritto su ritagli di carta e senza inchiostro, J. G. non si trovava nelle migliori condizioni per riflettere sulla sua dottrina. Sembra che si sia limitato soltanto al dovere di censore, assicurando all'autore che esso non conteneva nulla
contro la fede o la morale. Dato che William Wiseman prevedeva che J. G. sarebbe
stato ucciso, era ansioso di redigere per sé e per la sua famiglia un sommario dei suoi
insegnamenti religiosi e di farlo approvare dallo stesso J. G. prima della sua morte. In
tali circostanze, J. G. non si sarebbe sentito il coraggio di censurare l'affetto esuberante
ed esagerato mostrato in un'opera che era espressamente destinata alla famiglia, essendo piuttosto un testamento di padre; infatti, come fa rilevare Garnet in una lettera inviata il 28 gennaio 1598 al suo Generale, “era un libro che egli scrisse per sua moglie,
poco prima di morire”. Stonyhurst MSS, Anglia A, II, n. 33.
25 William Wiseman non fu mai processato. Dopo essere stato in prigione quasi tre
anni, il Consiglio scrisse al Lord capo della magistratura ordinando la sua liberazione o
la sua condanna. Ciò avvenne il 19 dicembre 1596. Non molto dopo, presumibilmente,
fu rilasciato. Acts of Privy Council (1596), p. 372.
XIII. IL SILLOGISMO DEL DECANO
Nella prigione, intanto, il mio tempo era completamente assorbito dall'attività. Venivano a visitarmi tanti cattolici che, spesso, c'erano sei o sette
persone per volta, che attendevano il turno per conferire con me nella
stanza di Fratello Emerson, attigua alla mia. Spesso, alcuni dei miei più
cari ed intimi amici dovettero attendere molte ore del pomeriggio ed anche
allora, talvolta, fui costretto a dir loro di tornare un altro giorno.
In tal modo ebbi la possibilità di ascoltare un gran numero di confessioni
generali. Tra gli altri c'era un gentiluomo facoltoso che era stato cattolico
per lungo tempo, ma che era vissuto cautamente e quietamente, evitando
tutto quello che avrebbe potuto portarlo a conflitto con le autorità. Alla fine, tuttavia, si ritrovò recluso in prigione. Era la cosa che egli meno si aspettava, ma si rivelò provvidenziale. Era sorpreso che fosse stato arrestato
per motivi così futili ed insignificanti; ma quando mi raccontò la sua storia, gli feci rilevare che tutto accadeva per decreto provvidenziale di Dio e
specialmente una cosa come questa.
“Il Nostro Signore e Giudice, dissi, preferisce sovente ammonirci in questo
modo. Egli desidera che noi, mentre ancora ne abbiamo la possibilità in
vita, "ci riconciliamo subito con l'avversario". E questo non è soltanto il
mio consiglio, è anche quello di Nostro Signore che preferisce essere Padre che Giudice”.
Lo esortai ad afferrare l'occasione che gli era stata data per riflettere sulla
sua vita, esaminando lo stato della sua anima e studiando quali fossero le
obbligazioni che egli aveva verso Dio. Gli dissi, inoltre, che non poteva
esser sicuro che questa non sarebbe stata la sua ultima occasione: forse gli
veniva concessa come una specie di ultima istanza. Fece quello che io gli
suggerii e, poiché non sapeva meditare, cominciò a leggere il libro di Padre Granada (1) intitolato Memoriale e si preparò alla confessione. La fece
con grande precisione ed entrambi fummo molto soddisfatti dopo di essa.
Per tutto questo tempo fu in buona, anzi in ottima salute; ma pochi giorni
dopo la sua liberazione dal carcere, cadde ammalato. Non erano ancora
passati due mesi che era morto (2).
Durante questo periodo Dio mi usava come suo strumento per volgere
molti cuori dalle ambizioni mondane all'amore di Dio ed alla pratica dei
consigli di Cristo. Tra gli altri, vi erano due giovani impiegati che lavoravano insieme, con un considerevole stipendio, in uno stesso ufficio a Londra. Il nome di uno di loro si trova iscritto, ora, nell'albo dei martiri: Padre
Francis Page. L'altro il suo compagno, era una buona persona che, più tardi, studiò teologia con l'intenzione di diventare sacerdote. Anch'egli volle
entrare nella Compagnia, ma fece una santa morte prima della conclusione
dei suoi studi. Ho sentito dire, da persone che erano con lui, che era un
modello di virtù e di modestia.
Mr. Francis Page era figlio di genitori agiati. Aveva un aspetto bellissimo
e dei modi garbati. Era amato, inoltre, da una donna, la figlia di quelle
stesse persone ricche ed influenti che possedevano l'ufficio. Intendendo
sposarlo, la donna, molto lodevolmente, lo persuase a divenire cattolico.
Ella era buona e devota e spesso veniva a visitarmi. Un giorno, quindi,
portò con sé il suo amico Mr. Page che ormai era cattolico.
I suoi pensieri erano rivolti al matrimonio. Ma io mi accorsi subito che era
un giovane molto modesto ed aperto, proprio il tipo che facilmente si asteneva di fare alcun male e si lasciava entusiasmare da un ideale. Ben presto
mi affezionai moltissimo a lui e cominciai a parlargli di seri argomenti,
facendogli osservare che forse i genitori della ragazza non avrebbero dato
il loro consenso, giacché ella avrebbe sposato sotto la sua condizione. Gli
parlai, inoltre, dell'illusorietà del benessere e della felicità terrena. Finalmente gli diedi delle meditazioni da portar via con sé e gli posi per iscritto
alcune regole di condotta per la sua vita spirituale. Dio sollevò gradualmente la sua anima dalle cose di questo mondo a quelle dell'eternità; ed alla fine egli decise di lasciare la sua amica e l'impiego che occupava nell'ufficio. Allo scopo di starmi più vicino, volle vivere nella casa della mia
ospite vicino alla prigione e per questo prese servizio presso di lei, sebbene questo fosse di gran lunga più umile del suo impiego precedente. Egli
aveva più alte aspirazioni e questo rappresentava la preparazione della sua
anima. Padre Coffin (3) viveva nella casa della mia ospite ed era in grado
di dargli un valido ed amichevole aiuto. Questo padre mi visitava spesso
in prigione e mi confortava in innumerevoli modi. Più tardi apprenderete
di più intorno al padre Francis Page.
Operando da questa prigione, potei mandare in seminario molti giovani e
molti ragazzi. Alcuni di loro adesso sono gesuiti e lavorano in Inghilterra,
altri si trovano nei seminari dove preparano molti altri operai per la missione.
Una volta mandai due ragazzi. Essi dovevano andare a St. Omers e diedi
loro delle lettere di raccomandazione. Le avevo scritte col succo di limone,
così che la scrittura non apparisse sulla carta, e quindi avvolsi nella carta
uno o due colletti, in maniera che sembrasse impiegata a mantenerli puliti.
I ragazzi furono catturati. Durante l'interrogatorio, confessarono che li avevo mandati, dopo averli muniti di queste lettere e dopo aver loro raccomandato, una volta che fossero passati per un certo collegio gesuita che si
trovava sulla loro rotta per St. Omers (essi dovevano passare per Ostenda,
non per la rotta ordinaria, e fu per questo che furono catturati) (4), di dire
ai padri del luogo di inumidire i fogli e di leggere quello che avevo scritto.
I ragazzi rivelarono tutto ciò e le due lettere, scritte su un unico foglio di
carta, furono lette non già da amici, ma da nemici della Compagnia. La
prima lettera era scritta in latino e, poiché era indirizzata ai nostri padri
fiamminghi, l'avevo firmata col mio stesso nome. La seconda era indirizzata ai nostri Padri inglesi di St. Omers. Così, le lettere furono lette ed io
fui chiamato per l'interrogatorio.
Questa volta Young non era presente. Egli era morto nei suoi peccati, così
miserabilmente come era vissuto. Nella sua vita egli fu il confessore del
demonio e nella morte ne fu il martire. Non soltanto morì al servizio del
demonio, ma questo suo servizio fu la vera causa della sua morte. Si affannava giorno e notte per causare ai cattolici una sofferenza sempre maggiore, stendendo liste di proscrizioni, impartendo istruzioni ed ascoltando
rapporti. In una notte piovosa, verso le due o le tre, si alzò per andare a
perquisire alcune case di cattolici. Lo sforzo lo lasciò esausto: si ammalò,
contrasse l'etisia e morì (5).
Dietro di sé lasciò soltanto debiti, quasi che avesse rinunciato a tutto per
servire il demonio. La sua posizione era ben remunerata ed egli faceva larghi bottini tra i poveri cattolici e, ciò che più conta, riceveva da loro lauti
compensi per evitare la minaccia di un processo. Si diceva, tuttavia, che i
suoi debiti ammontassero a centomila fiorini; anzi, ho sentito parlare di
una somma ancor più elevata. Forse pensava che glieli avrebbe pagati la
regina, ma non avvenne nulla del genere. Tutto ciò che ella si limitò a fare
fu di inviare uno dei suoi cortigiani per visitarlo durante la malattia, prima
della morte. Egli fu così compiaciuto di questo favore, che era pronto a
cantare il suo Nunc dimittis. Ma era un falso senso di pace quello che lo
avvolgeva: l'esaltazione di un'anima che corre verso la rovina. Come un
novello Aman, egli non fu invitato ad un banchetto, ma ad un destino eterno. Morì miserabilmente con le lodi della regina sulle labbra ed enumerando le obbligazioni che aveva verso Sua Maestà; ma la sua gioia si mutò
in tormento. “La gioia di un ipocrita non dura che un istante” (6).
È usanza che il Consiglio abbia sempre un agente, alle cui macchinazioni
affidare l'esecuzione dei suoi ordini odiosi. Suo compito era di vessare e di
cacciare i servi di Dio. A questo posto successe William Wade, l'attuale
governatore della Torre, che allora era segretario dei Lord del Consiglio
della Regina. Fu questo l'uomo che allora mi chiamò. Egli mi mostrò un
pezzo di carta bianca che avevo dato ai ragazzi e mi chiese se lo riconoscevo.
“No”, risposi.
Era vero, perché allora non avevo il minimo sospetto che i due ragazzi
fossero stati catturati. Allora, egli immerse la carta in una bacinella d'acqua ed apparve la mia scrittura con la mia firma in fondo. Quando la vidi,
dissi:
“Io non riconosco che quella scrittura sia mia. La mia scrittura è di facile
imitazione e la mia firma può esser stata benissimo falsificata. Inoltre, i
ragazzi di cui parlate, nella loro paura, hanno potuto dire esattamente
quello che gli interrogatori desideravano, danneggiando sé stessi ed i loro
amici. Voi non potete sperare che io agisca come loro. Tuttavia, non nego
che sia buona cosa inviare dei ragazzi all'estero, per impartire loro una migliore educazione. Certamente lo farei volentieri, solo che ne avessi la possibilità; ma, per quanto lo desiderassi come l'avrei potuto fare, essendo
rinchiuso rigorosamente in prigione?”.
Wade mi maledì cordialmente perché rifiutai di riconoscere la mia firma e
la mia scrittura.
“Il fatto si è, egli disse, che voi avete goduto troppa libertà. E non ne avrete più”.
Quindi si volse al carceriere e lo rimproverò per avermi concesso tanta libertà di movimento.
Fui richiamato per l'interrogatorio in altre due o tre occasioni. Ogni qualvolta uscivo di prigione, indossavo la talare ed il mantello da gesuita, che
mi era stato confezionato quando ero andato a vivere con i miei compagni
di prigionia cattolici. Quando i ragazzi mi vedevano per la strada mi deridevano, ma i miei nemici morivano di dispetto. La prima volta che indossai la talare, essi mi chiamarono ipocrita.
“Quando sono stato arrestato, mi avete chiamato cortigiano, dissi, perché
vestivo come uno di loro per camuffarmi, allo scopo di muovermi a mio
agio tra le persone di rango, senza essere riconosciuto. Allora vi dissi che
non mi piaceva indossare abiti borghesi e che avrei preferito i miei abiti.
Adesso li indosso e siete adirati con me. Sia che canti, sia che pianga, non
posso piacervi. Dovete trovare sempre qualche lamentela”.
“Perché non giravate in questi abiti, prima? dissero. Invece eravate trave-
stito ed avevate un nome falso. Nessuna persona per bene si comporta così”.
“So perché ciò non vi piace, dissi. Desiderate catturarci subito per porre
fine al nostro lavoro per la salvezza delle anime. Non sapete che S. Raffaele fece proprio quello che ho fatto io? Egli si travestì e assunse un nome
falso; così poté fare in incognito il lavoro che Dio gli aveva affidato”.
Un'altra volta fui interrogato davanti al Decano di Westminster (7), che
sostituiva l'abate di quel gran monastero reale. C'era anche Topcliffe con
alcuni altri commissari. Essi desideravano mettermi a confronto con la
buona vedova, madre della mia ospite che allora era relegata in prigione
vicino all'abbazia (8). Ancora non le era stata comminata la sentenza di
morte, che fu emessa solo più tardi. Essi volevano vedere se ella mi avrebbe riconosciuto. Quando giunsi, la trovai che mi aspettava. Appena mi vide entrare con le guardie, ella quasi gesticolò per la gioia. Tuttavia si contenne e chiese loro:
“È questo l'uomo di cui mi avete parlato? Non lo conosco, però all'apparenza lo direi un prete”.
Allora, ella fece un profondo inchino verso di me. Io la ricambiai, ringraziando. Quindi essi mi chiesero se io la riconoscessi.
“Non la riconosco, dissi, e sapete in qual modo ordinariamente rispondo a
domande come questa e come non menziono mai per nome né le persone
né i luoghi, che (a differenza di questa signora) posso aver conosciuto.
Come vi ho detto prima, se lo facessi agirei contro la carità e la giustizia”
(9).
Allora disse Topcliffe:
“Dite la verità. Avete o non avete riconciliato della gente con la Chiesa di
Roma?”.
Scorsi chiaramente il suo proposito sanguinario, perché ciò era espressamente vietato sotto pena di alto tradimento, come ho accennato più sopra
nel caso di Mr. Rigby. Ma sapevo bene che ormai ero compromesso a causa del mio sacerdozio; perciò risposi immediatamente:
“Sì, ho riconciliato della gente con la Chiesa e mi dispiace di non aver esteso questa grazia ad un maggior numero di persone”.
“Bene, disse Topcliffe. E quante avreste desiderato riconciliarne, se ne aveste avuta possibilità? Supponiamo... mille?”.
“Sì, certamente, risposi. Centomila; e ancor più, se lo avessi potuto”.
“Sarebbe sufficiente ad armare un esercito contro la regina”, aggiunse Topcliffe.
“Gli uomini da me riconciliati, ribattei, sarebbero stati sudditi della regina
e non avrebbero marciato contro di lei. Noi sosteniamo che l'obbedienza è
dovuta a coloro che sono costituiti in autorità”.
“Tuttavia, rispose Topcliffe, predicate la ribellione. Guardate, ho qui una
bolla del Papa, che è stata scritta a Sanders, quando questi si recò in Irlanda a fomentare la rivolta tra i sudditi della regina. Eccola, leggetela voi
stesso” (10).
“Non c'è bisogno di leggerla, risposi. Se il papa lo ha inviato, si vede che
ne aveva il potere. Io, invece, non l'ho. Noi abbiamo formale proibizione
di immischiarci nella politica. Non l'ho mai fatto, e mai lo farò”.
“Prendete, disse. Leggetela. Voglio che la leggiate”.
Così la presi e, vedendo il nome di Gesù impresso sulla sommità del foglio, lo baciai con reverenza.
“Cosa? gridò Topcliffe. Voi baciate la bolla del Papa?”
“Io ho baciato il nome di Gesù, al quale è dovuto tutto l'onore e l'amore.
Ma se, come voi asserite, questa è veramente una bolla pontificia, allora la
onoro anche per questo motivo”.
Così dicendo, baciai una seconda volta il foglio. Topcliffe montò in furia e
cominciò a lanciarmi imprecazioni e a insultarmi.
“Qui fate questo, ma in altri posti ve ne state a baciare le donne”.
“Dio ne guardi! risposi. Una cosa del genere non è mai stata detta di me.
Questa è una cosa che non potete dire”.
“Potete negare, egli proseguì, che nel tal giorno siete stato nella tale casa
con la signora tal dei tali, figlia del conte di Northumberland? Senza dubbio, siete stati a letto insieme”.
A dire il vero, tanta impudenza mi fece fremere di sdegno, sebbene sapessi
che stava parlando, senza quella che egli stesso considerava la minima
prova dei fatti (11).
“In nome di Dio onnipotente, risposi, giuro che tutte queste insinuazioni
sono false”. E nella foga poggiai la mano sopra un libro aperto che stava
sul tavolo accanto a me. Era una copia della sacra Bibbia tradotta in Inglese dai riformatori protestanti.
Topcliffe non aggiunse altro; in sua vece intervenne il vecchio decano:
“Allora siete pronto a giurare sulla nostra Bibbia?”.
Adesso i cattolici, che sono in grado di rilevare gli errori di questa traduzione, non usano farlo. Ma io risposi:
“Non ho avuto l'attenzione necessaria per considerare di quale versione si
trattasse. Desideravo soltanto ribattere le sue false accuse. Vi sono, tutta-
via, certe verità in questo libro come, ad esempio, l'Incarnazione e la Passione di Cristo che non sono viziate dalla cattiva traduzione; su queste invoco la testimonianza di Dio. Ma vi sono anche molti passi malamente
tradotti, che contengono delle eresie; queste le detesto e le ripudio”.
Quindi, con maggior enfasi di prima, stesi una seconda volta la mano sulla
Bibbia.
Il vecchio ne fu irritato.
“Io dimostrerò che siete un eretico”, disse.
“Non sarete capace di provarlo”, lo rimbeccai.
“Io lo posso provare, replicò. Chiunque nega la Sacra Scrittura è eretico.
Voi negate che questa sia la Sacra Scrittura. Ergo...”.
“Questo non è un sillogismo, risposi. Esso discende dal generale al particolare e contiene quattro termini”.
“Sapevo fare i sillogismi prima che voi nasceste”, rispose il vecchio.
“Non ho difficoltà ad ammetterlo, dissi; però quello che avete ora formulato non è assolutamente un sillogismo”.
Ma gli altri presenti ci interruppero, poiché non avevano nessuna intenzione di avviare una disputa. Essi miravano a tempestarmi di domande
nella speranza che mi sarei lasciato sfuggire qualcosa che non intendevo
dire. Alla fine mi rimandarono in prigione.
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NOTE AL CAPITOLO XIII
1 Il Memorial de la vida cristiana è rimasto fino ad oggi uno dei trattati ascetici più
popolari. L'autore, il domenicano Luis de Granada, è probabilmente insuperato perfino
tra gli scrittori ascetici spagnoli per la bellezza dell'espressione e per la solidità della
dottrina.
2 Questi fu, probabilmente, un gentiluomo di nome James Linacre. Watson, nel suo libro Quodlibets che fu scritto contro la Compagnia ed al quale J. G. si riferisce più tardi, scrive: “Egli agì allo stesso modo col suo amico James Linacre, suo compagno di
prigione a Clink, al quale estorse quattrocento sterline. Poi ottenne dallo stesso promessa delle sue terre; ma non ne ebbe nessuna per la morte dello stesso Linacre”.
JESSOP, p. 220.
3 Fu ammesso al Collegio Inglese di Roma nel luglio 1588, poco prima che J. G. partisse per l'Inghilterra. Giunse in Inghilterra nel 1594 e più tardi entrò nella Compagnia.
FOLEY, VI, p. 178.
4 Sembra che la rotta ordinaria fosse da Gravesend a Dunkerque e che fosse stata
tracciata da Richard Fulwood. Probabilmente fu a causa dell'imprigionamento di questo che J. G. fu costretto a mandare i ragazzi via Ostenda. Il sistema di Fulwood è descritto in un rapporto della spia Healy a Lord Salisbury (aprile 1606): “I preti del paese
gli raccomandano i giovani da loro prescelti. Egli avvia questi giovani per qualche sentiero appartato vicino al mare, in attesa del buon vento per la navigazione. Quindi un
vascello (che, per evitare sospetti, è una vecchia imbarcazione da piccolo cabotaggio o
qualcosa di simile) scende vuoto in direzione di Gravesend. Egli lo munisce di remi e
di canotti per poi caricare, normalmente oltre Greenwich, i passeggeri ed il carro. Egli
stesso, più tardi, porta il denaro che loro appartiene. I passeggeri vengono portati,
quindi, a Gravelines oppure a Calais, pagando quaranta scellini per il passaggio”.
S.P.D., fames I, vol. XX, n. 47.
5 L'espressione latina è morbus regius. La consunzione è una forma di scrofola o morbo del re; sembra essere la malattia che più verosimilmente deriva dalle cause descritte
da J. G. Comunque nel latino classico il morbus regius designa l'itterizia e tale può
darsi che sia il significato in questo caso.
6 Il 30 novembre 1594 Young scriveva alla regina: “Penso che al mondo non vi sia
suddito così infinitamente obbligato verso la propria sovrana, in quanto in questi miei
vecchi, estremi o ultimi giorni vi degnate di riguardare così favorevolmente la misera
condizione di un così povero vassallo, prostrato nel corpo dalle infermità, ma rianimato nel cuore dal vostro gentile ricordo”. Con questa lettera egli inviò alla regina tutti gli
incartamenti relativi al caso di Wiseman e di J. G. “come gli ultimi frutti di tutti i miei
sforzi”. (Hat. Cal., V, pp. 24-25). Da un resoconto sulla situazione finanziaria di
Young risulta chiaramente che J. G. non sopravvalutò l'ammontare dei suoi debiti.
C.S.P.D.. 1595-1597. p. 103.
7 Gabriel Goodman, Decano di Westminster dal 1561 al 1601. Viene descritto come
“un uomo triste e grave”. Era stato in precedenza cappellano di Sir William Cecil e restò sempre suo intimo amico. J. G. lo chiama “un buon vecchio”. Aveva quasi settant'anni quando interrogò J. G. e mori pochi anni dopo, lasciando molti beni ai poveri ed
agli ammalati. D.N.B., XXII, p. 130.
8 La prigione di Gatehouse.
9 Sembra che J. G. usasse, insegnando ai suoi amici, aggiungere al diniego qualche osservazione dalla quale risultasse chiaro che si trattava di un caso eccezionale e che egli
rispondeva nel senso ammesso dal diritto moderno e dalla prassi del tempo.
10 Sembra poco probabile che il governo si prendesse la briga di contraffare un breve,
sebbene non sia stato trovato né un breve, né una bolla, che conferisse a Sanders poteri
di sorta per la sua missione in Irlanda nel 1579. The Month, gennaio 1903, p. 80.
11 Padre Garnet riferisce di una simile accusa lanciata contro di lui da Salisbury. “Io
non ho mai ricevuto parole irriguardose da parte dei magistrati. Soltanto una volta,
quando essi produssero una lettera speditami da Mrs. Vaux e sottoscritta “Vostra sorella carissima A. G.”, Lord Salisbury disse: “Cosa? siete sposato con Mrs. Vaux? Ella
si chiama Garnet. Cosa significa ciò? Senex fornicarius!”. Ma la volta successiva egli
mi chiese perdono e, protestando che aveva parlato per scherzo, stese il suo braccio
sulla mia spalla. Anche gli altri affermarono che ero considerato esemplare in cose del
genere”. Hat. Cal., XVIII, p. 111
.
XIV. ALTERNATIVA MORTALE
Un' altra volta mi condussero per essere interrogato, con tutti gli altri cattolici della prigione, nei pubblici locali del municipio. Topcliffe era presente con molti altri commissari. Dopo esser passati per la trafila delle solite domande e dopo aver ricevuto da me le ormai abituali risposte, vennero al sodo. Da quanto riuscii a comprendere, intendevano chiarire il nostro
atteggiamento nei confronti del governo. Speravano di prenderci in fallo
nelle nostre risposte intorno alla regina per formulare, poi, un'accusa contro di noi. Volgendosi a me, essi chiesero:
“Riconoscete la regina come la vera e legittima sovrana dell'Inghilterra?”.
“La riconosco”, risposi.
“Nonostante la scomunica lanciata contro di lei da Pio V?”, incalzò Topcliffe.
“Riconosco che lei è regina, risposi, benché sappia anche che vi è stata
una scomunica”.
Sapevo, naturalmente, che il Papa aveva affermato che la scomunica non
era ancora entrata in vigore in Inghilterra: essa sarebbe rimasta sospesa
finché non fosse stato possibile renderla effettiva.
Quindi Topcliffe mi chiese:
“Che cosa fareste voi se il Papa dovesse inviare un esercito e dichiarare
che il suo unico intento è quello di ricondurre il regno alla confessione cattolica? Che cosa fareste, inoltre, se egli dichiarasse, allo stesso tempo, che
non c'è altro mezzo per ristabilire la fede cattolica e se, ricorrendo alla sua
autorità apostolica, ingiungesse a ciascuno di sostenerlo? Da quale parte vi
schierereste? Da quella del Papa o da quella della regina?” (1).
A questo punto scorsi la sottigliezza e l'astuzia perversa di quest'uomo.
Aveva formulato la domanda in maniera che una mia qualsiasi risposta mi
avrebbe fatto soffrire o nell'anima o nel corpo.
Scelsi ponderatamente le parole della risposta:
“Io sono un cattolico obbediente ed un suddito fedele alla regina. Se questo dovesse capitare, cosa che non ritengo assolutamente possibile, mi
comporterei come un cattolico fedele e come un suddito leale”.
“No, no, replicò. lo esigo una risposta chiara ed immediata. Che cosa fareste voi?”.
“Vi ho detto ciò che penso e non intendo darvi altra risposta”, tagliai corto.
Allora ebbe un accesso violentissimo di rabbia, e vomitò contro di me un
torrente di improperi. Finalmente disse:
“Già fantasticate che anche quest'anno vi trascinerete sulle ginocchia per
adorare la croce. Ma prima che giunga quel tempo, vi posso assicurare che
non ne avrete la possibilità” (2).
Nella sua squisita gentilezza l'uomo intendeva insinuare che certamente
sarei volato in cielo passando per la forca, prima che giungesse quel tempo. Ma egli non era penetrato nel santuario di Dio e non sapeva nulla della
mia grande indegnità. Dio gli permise, sì, di compiere le sue peggiori crudeltà su coloro che la Divina Sapienza giudicò degni e preparati (ad esempio, su Padre Southwell e su altri che egli perseguitò fino alla morte), tuttavia la sua ira non riuscì a riversare tanta misericordia sopra di me (3).
Né rientrava nelle competenze di quest'uomo pieno di livore ottenermi
questa benedizione celeste, sebbene, per mezzo suo, Nostro Signore Gesù
avesse rapito in cielo molti altri per i quali era stato preparato un regno dal
Padre. Tuttavia, in certo qual modo, le sue parole furono profetiche; ma il
senso in cui esse si avverarono fu molto differente da quello che egli intendeva.
Ciò accadde nel periodo di Natale (1594).
Nella Quaresima successiva, lo stesso Topcliffe si trovava in prigione (4).
Egli aveva, in qualche modo, offeso alcuni membri del Consiglio, mentre
(se non vado errato) stava perorando al loro cospetto in maniera arroventata a favore di Suo figlio, che aveva passato a fil di spada un uomo nell'atrio dell'ampio salone in cui era riunito il Tribunale della regina (5). Era
vicina la domenica di Passione ed i cattolici che, come me, erano in prigione per la loro fede presero ardire quando seppero che Aman, il loro
nemico numero uno, stava per essere impiccato sulla sua stessa forca (6).
Noi diventammo meno circospetti nella maniera di usare della nostra libertà ed un numero maggiore di persone si accostava ai sacramenti e partecipava alle cerimonie religiose.
Il Venerdì Santo vi era una grande folla nella stanza superiore alla mia; vi
erano radunati, infatti, tutti i cattolici della prigione e molti altri che venivano dall'esterno. Io avevo compiuto tutte le cerimonie ed avevo letto le
preghiere proprie del giorno fino al punto in cui il sacerdote si toglie i calzari. Ma ero appena scalzato ed avevo fatto soltanto un paio di passi per
iniziare l'adorazione della croce, facendo le tre genuflessioni man mano
che mi appressavo, quando il capo carceriere giunse alla porta della mia
cella sottostante. Egli bussò, ma non ottenendo risposta dall'interno, percosse violentemente la porta, facendo un grande rumore. Appena lo sentii,
compresi che si trattava del capo carceriere, giacché l'altro non avrebbe
mai osato agire in quel modo. Immediatamente mandai giù un uomo a dire
che sarei sceso in un istante. Quindi, invece di continuare l'adorazione della croce di legno, mi preparai ad accettare la croce spirituale che Nostro
Signore mi stava preparando. Mi spogliai dei paramenti. Quindi mi precipitai per le scale ad impedire che il carceriere venisse su e ci scoprisse tutti, perché allora sì che molti avrebbero sofferto. Appena mi vide, egli gridò:
“Che cosa state facendo fuori della cella? Voi dovreste stare rinchiuso in
rigorosa segregazione”.
Ma conoscevo bene il mio uomo. Fingendo di essere irato con lui, gli
chiesi perché, se egli veramente era quell'amico che protestava di essere,
era venuto lì in un momento come quello, quando sapeva che noi stavamo
recitando le nostre preghiere.
“Così voi siete stati a Messa, disse. Andrò a vedere personalmente”.
“Voi non farete nulla del genere, risposi. È evidente che non conoscete le
cose essenziali nei nostri riguardi. In tutte le parti del mondo oggi la chiesa non celebra una singola Messa. Andate pure, se volete. Ma se lo fate,
sappiate che non riceverete più un solo centesimo né da me né da qualsiasi
altro cattolico per le nostre celle. Voi potete gettarci tutti quanti tra i mendicanti della prigione comune, se lo desiderate; ma ivi non dovremo pagare nulla e chi ci perderà sarete voi. D'altra parte, se agirete da amico e non
irromperete così all'improvviso senza preannuncio non ci troverete ingrati.
Finora non potete dire che ci siamo dimostrati irriconoscenti”.
Queste parole lo rabbonirono; perciò aggiunsi:
“Perché siete venuto qui adesso?”.
“Giusto per porgevi i saluti di Mr. Topcliffe”.
“I suoi saluti? chiesi. Come mai questa improvvisa amicizia tra lui e me?
Non si trova egli nella tale prigione? Egli non può avere più nessun potere
contro di me”.
“Certo, rispose, tuttavia vi manda egualmente i suoi migliori auguri.
Quando oggi l'ho visitato, mi ha chiesto di voi; gli ho detto che voi stavate
bene ed egli ha risposto: "Ma lui non sopporta la sua prigionia così pazientemente come me. Voglio che gli porgiate i miei migliori auguri e che
gli comunichiate quello che adesso vi ho detto". Perciò sono venuto a dirvelo”.
“Molto bene, risposi. Ora riferitegli da parte mia che, grazie all'aiuto di
Dio, sono lieto di trovarmi in prigione per la fede. Desidererei soltanto che
anch'egli ci si trovasse per la stessa ragione” (7).
Quindi il carceriere si allontanò, rimproverando il suo attendente perché
non mi aveva tenuto in rigoroso isolamento. Così si avverò la profezia di
Topcliffe. Egli mi aveva interrotto nell'atto stesso di fare l'adorazione della
croce, senza ricordare naturalmente quello che aveva detto, poiché a quel
tempo intendeva qualcosa di ben diverso. Anche Saul era tra i profeti. Tuttavia egli non mi impedì di tornar su per continuare la funzione, che mi
aveva fatto interrompere.
Il guardiano, che sorvegliava la mia cella, di solito non faceva nulla senza
il mio permesso. Il primo carceriere non visse a lungo ed i suoi successori
furono molto cortesi con me. Uno di loro, che accolsi nella Chiesa, teneva
l'ufficio per diritto di successione; ma dopo la sua conversione, vendette il
suo diritto ereditario ed entrò a servizio di un signore cattolico che era mio
amico. In seguito accompagnò il figlio del padrone in Italia e seguì la vocazione alla vita religiosa. Adesso è prigioniero per la fede nella stessa
prigione in cui fu mio carceriere.
L'uomo che prese il suo posto aveva moglie e figli ed era solo il timore
della povertà che gli impediva di diventare cattolico. Tuttavia divenne un
grande amico mio, anzi, un grande amico di tutti noi. Infatti, quando si
avviavano particolari ricerche per catturare dei cattolici indiziati, egli li
accoglieva in casa sua e li teneva nascosti. Al tempo della mia fuga dalla
Torre, egli fu una delle tre persone che per me si esposero ad un rischio
gravissimo. Sebbene si fosse quasi annegato la notte del primo tentativo,
pilotò la barca anche la notte successiva. Vi narrerò tutto tra poco, poiché
la cosa avvenne solo poco tempo dopo che mi avevano trasferito da questa
prigione e rinchiuso nella Torre di Londra. Ecco come avvenne.
C'era in questa prigione un prete, che io avevo avuto modo di aiutare in
più d'una occasione (8). Al suo arrivo in Inghilterra, lo avevo sistemato in
una bella abitazione presso uno dei miei migliori amici. Io stesso avevo
accolto nella chiesa sua madre e suo fratello e, quando fu imprigionato, gli
procurai degli amici, gli feci numerosi regali e mi mostrai sempre gentile
con lui. Tuttavia, avevo notato che non era tanto fermo e che sembrava un
po' troppo ansioso di riacquistare la libertà. Perciò, mi guardai dal confidarmi con lui, come avevo fatto con alcuni altri prigionieri, quali Fratel
Emerson e John Lillie. Questo brav'uomo, comunque, per qualche ragione
che ignoro, mi fece trasferire. Forse sperava che, dopo il mio trasferimento, la gente che vedeva venire da me sarebbe andata da lui. Probabilmente
desiderava ingraziarsi le autorità e, così, assicurarsi la libertà o qualcosa
del genere. Non posso precisarne il motivo. Comunque, egli diede delle informazioni sul mio conto. Riferì che era presente quando avevo consegnato un pacco di lettere, provenienti da Roma e da Bruxelles, al servo di Padre Garnet, “Little John”, che ho sopra menzionato. (Dopo essere stato
catturato con me, fu interrogato; ma non si lasciò sfuggire nulla, come ho
già riferito. Quindi, alcuni gentiluomini cattolici sborsarono una somma di
denaro e lo fecero liberare. Come molti altri, essi avevano assoluto bisogno dei suoi servizi, perché nel paese non c'era nessuno che sapesse costruire i nascondigli dei preti meglio di lui). Come dicevo, questo prete riferì che avevo consegnato le lettere a “Little John” e che abitualmente ricevevo da preti residenti all'estero delle lettere, indirizzate tanto a me che
al mio superiore. Sulla base di queste informazioni, un giorno le autorità
inviarono un giudice di pace perché mi interrogasse. Con lui c'erano due
messaggeri della regina.
Senza nessun preavviso, questi si presentarono nella mia stanza accompagnati dal capo delle guardie. Provvidenzialmente non trovarono nessuno,
eccetto due ragazzi ai quali stavo impartendo delle istruzioni prima di inviarli all'estero. Uno di costoro, se ben ricordo, riuscì a partire; l'altro fu
messo in prigione per un po' di tempo. Nella mia cella, tuttavia, non trovarono nulla di cui potessi temere, perché conservavo tutte le mie cose e tutte le mie carte in piccoli nascondigli. Fratel Emerson ne era a conoscenza
e, quando fui trasferito, pose tutto in salvo, compreso il mio reliquiario
che ancora posseggo. Vi era conservato anche del denaro, necessario al
mantenimento della mia casa in città, circa mille trecento fiorini. Egli lo
inviò al superiore che si prese cura della casa, in vece mia, finché non fui
liberato dalla prigione.
Questi ufficiali, quindi, entrarono e cominciarono l'interrogatorio, che non
durò a lungo, perché non poterono ottenere nessuna delle informazioni che
desideravano. Allora cominciarono a perquisire la cella con la speranza di
trovare alcune lettere o qualche altro documento compromettente. Mentre
il giudice di pace rovistava tra i libri, uno dei messaggeri perquisì la mia
persona. Egli mi sbottonò il farsetto e mi vide il cilicio. Dapprima non sapeva che cosa fosse.
“Cos'è questo?”, mi chiese.
“Un indumento”, risposi.
“Ah, è un cilicio”, disse.
Allora lo afferrò e tentò di togliermelo a forza (9).
La sfrontatezza di questa volgare creatura, debbo confessarlo, mi fece adi-
rare più di quanto non mi fosse mai capitato. Stavo per afferrarlo e scaraventarlo fuori. Ma son contento di non averlo fatto. Mi rivolsi, invece, al
giudice di pace, che gli ingiunse di desistere all'istante.
Così, nella mia cella non trovarono nulla di quanto cercavano, eccetto la
mia persona.
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NOTE AL CAPITOLO XIV
1 Si trattava della “bloody question”, escogitata da Burghley nel 1583 per indurre i
cattolici a parlar in maniera tale da poter essere accusati di slealtà verso la corona. Il
Card. Allen sollevò una vibrata protesta contro tale procedura nel suo True, Sincere,
and Modest Defence (1584), che fu scritto in risposta a Execution of Justice in England di Burghley. Il tentativo fatto da Burghley per giustificare questa novità nella
procedura legale aveva profondamente inquietato l'opinione pubblica tanto in Inghilterra che nel continente. Lives of English Martyrs, vol. I, 2a serie, pp. XIX.XXI.
2 Alludeva evidentemente alla liturgia del venerdì santo.
3 Robert Southwell, ucciso a Tyburn il 21 febbraio 1595, e Henry Walpole, ucciso a
York il 7 aprile dello stesso anno, furono vittime speciali di Topcliffe che li ebbe nelle
sue mani per molti anni.
4 A Gatehouse. Cfr. The Month, marzo 1951, pp. 161-162.
5 Un registro dell'anno 1616, che si trova tra i manoscritti Moore a Cambridge, nel
corso di una descrizione delle terre dei Topcliffe, fornisce sul conto di Topcliffe junior
questa informazione che conferma la dichiarazione di J. G.: “Egli commise un misfatto
e ne fu condannato; ma ottenne il perdono mentre viveva suo padre. Ne commise un
secondo, quando suo padre era vivo, uccidendo nella Westminster Hall lo sceriffo di
Middlesex, ma riuscì a salvarsi. Dopo di ciò suo padre morì ed egli ottenne un secondo
perdono”. Athenaeum, 5 ottobre 1878.
6 Ai sacerdoti venne prontamente alla memoria il paragone di Aman e Mardocheo nel
libro di Ester. Cfr. la poesia di Robert Southwell “Scorn not the least”: In Amans
pompe poor Mardocheus wept; Yet God did turne his fate upon his foe.
7 Se J G. avesse potuto vedere la lettera che Topcliffe, forse in quello stesso momento,
stava scrivendo alla regina, gli avrebbe inviato un messaggio molto differente. In que-
sta lettera, datata “Marshalsea, questo venerdì santo o dannato 1595” e che è descritta
da JESSOP come la testimonianza più detestabile che sia stata conservata, Topcliffe si
vantava di aver spedito (a Tyburn) più traditori di tutti i nobili signori della corte, eccettuati i vostri consiglieri”, e continuava: “In tutte le prigioni si gioisce; pare che le
ossa recentemente morte di Padre Southwell a Tyburn e di Padre Walpole a York uccisi tutt'e due dopo il carnevale, vogliano danzare per la gioia”. JESSOP, p. 71.
8 William Atkinson. Sebbene J. G. non lo sapesse, Atkinson stava già dando informazioni su di lui a William Wade. “Cominciò ad essere sospettato” il 2 ottobre 1596,
quando fu scoperto da un altro prete accanto alla porta della stanza di Wade. Atkinson
promise di rivelare dove si trovavano a Londra tutti questi preti, se fosse stato rilasciato. Perciò fu posto in libertà poco dopo, nell'ottobre del 1596, e, sebbene “ammonito”
da J. G., continuò a frequentare la prigione di Clink. J. G. ha ragione di asserire che
Atkinson fu il responsabile del suo trasferimento da Clink, perché appena Wade venne
a sapere del tradimento di Atkinson, raccomandò che J. G. fosse speditamente trasferito a Wisbeach. (Hat. Cal., VI, p. 413). L'anno seguente il padre di Atkinson, “un povero vecchio che era stato non-conformista per tutta la vita”, apostatò anch'egli e si
prestò a tradire numerosi preti coi loro ospiti, svelandoli al Consiglio di York. (Hat.
Cal., VII, p. 264). Nel 1595 Atkinson scriveva a Robert Cecil che aveva “perduto milioni di amici cattolici che prima mi mantenevano” e si offrì ad assassinare il conte di
Tyrone. “Lo potrei facilmente avvelenare”, scriveva, “con un'ostia avvelenata... e fingendo di voler diventare frate francescano agli ordini del Vescovo Macraith, che stava
sempre insieme a Tyrone e ai suoi padri spirituali”. (C.S.P.D., 1595-1597, p. 14, n.
49). I preti apostati e folli sono sempre stati una grave minaccia per i loro antichi confratelli. “Questi preti malvagi ci affliggono tanto” scriveva un gesuita nel dicembre del
1606, “perché oltre Skydmore, l'uomo del vescovo di Canterbury, Rowse, Atkinson,
Gravener ed altri recidivi che professano apertamente di tradire i loro fratelli, non sono
meno pericolosi coloro che affermano lecito andare alle prediche e alle funzioni religiose”. (MORRIS, p. 305). Atkinson fu responsabile almeno della morte di un prete,
Padre Thomas Tichborne, che fu ucciso a Tyburn il 20 aprile 1602.
9 Il 28 febbraio 1594, Benjamin Beard, detenuto per debiti nella prigione di Fleet, offri
delle informazioni sui preti in cambio della sua libertà. In una lettera indirizzata ad uno
del Consiglio, egli parla di “due gesuiti giunti di recente. Essi sono vestiti di seta, ma
sotto le vesti sono cinti di cilicio: ciò basta per farmi ritenere che siano gesuiti”.
S.P.D., CCL VII, n. 104
.
XV. TORTURA NELLA TORRE
Aprile 1597
Essi mi portarono via e mi trasferirono nella Torre di Londra. Ivi mi consegnarono al governatore, un cavaliere chiamato Berkeley, che aveva il titolo di luogotenente della regina. Questi mi fece accompagnare subito in
una grande torre a tre piani, ciascuno dei quali ospitava delle celle (1). (Vi
sono molte torri del genere all'interno delle fortificazioni). Per quella notte
mi assegnò una stanza al primo piano e mi consegnò ad un guardiano (2)
nel quale aveva una fiducia speciale. Questi uscì e tornò con un po' di paglia che sparse sul pavimento. Quindi uscì di nuovo, chiudendo la porta
della mia cella e sprangandone un' altra di fronte con una grande sbarra e
con chiavistelli di ferro.
Allora raccomandai la mia anima a Dio che, “scendendo nella fossa col
Suo popolo”, non mi abbandonò mai nelle mie catene; quindi alla Beata
Vergine, Madre di Misericordia, ai miei protettori ed al mio angelo custode. Dopo aver recitato le preghiere, la mia mente era riposata e mi stesi
sulla paglia per dormire. Quella notte dormii molto bene.
La mattina successiva presi a passeggiare per la cella. Nella sua fioca luce
scorsi il nome del beato Padre Henry Walpole graffito sul muro con un cesello. Quindi scoprii, vicino ad esso, il suo piccolo oratorio dove c'era stata una stretta finestra. Adesso era stata murata, ma su entrambi i lati egli
aveva scritto col gesso i nomi di tutti gli ordini degli angeli. In cima, sopra
i Cherubini ed i Serafini c'era il nome di Maria, Madre di Dio, ed ancora
più in alto il nome di Gesù; su tutti spiccava il nome di Dio scritto in caratteri latini, greci ed ebraici (3). Mi era di grande conforto ritrovarmi in
un luogo santificato da questo grande e santo martire e nella stanza in cui
egli era stato torturato per tante volte (quattordici in tutto, come ho inteso). Siccome lo torturavano più spesso di quanto volevano che si risapesse, essi non lo facevano nella stanza pubblica a ciò destinata. Non ho difficoltà a credere che fosse torturato tante volte, poiché egli perse completamente l'uso delle dita. Infatti, quando fu ricondotto a York per essere ucciso sul luogo nel quale era stato arrestato al suo sbarco in Inghilterra, egli
scrisse di proprio pugno il resoconto di una discussione che aveva lì con
alcuni ministri. Parte di esso mi fu dato in seguito insieme ad alcune meditazioni sulla passione di Cristo, che egli scrisse in prigione prima del
martirio. A stento riuscii a leggere ciò che aveva scritto, non soltanto perché egli scriveva in fretta ma anche perché la sua mano solo con difficoltà
poteva formare le lettere (4). Sembrava la grafia di uno scolaro, non quella
di un dotto e di un gentiluomo. Infatti egli era un cortigiano prima dell'esecuzione di Campion e, quando era ancora laico, scrisse dei bei versi inglesi in suo onore, cantando come il sangue del martire avesse riportato il
calore non solo nella sua vita ma anche in quella di molti altri, incitandoli
a seguire la via più perfetta dei consigli di Cristo (5).
Perciò fui molto lieto quanto mi ritrovai nella cella di Padre Walpole; ma
io ero troppo indegno per ereditare il luogo in cui questa nobile anima aveva sofferto. Il giorno successivo, forse per ordine o forse con la convinzione di farmi un servizio, il guardiano mi spostò in una cella del piano
superiore. Era ampia e, considerando che si trattava di una prigione, molto
comoda. Gli dissi che preferivo restare nella cella sottostante e gliene
spiegai il motivo, ma egli non volle concedermelo. Quindi lo pregai di lasciarmi andare giù occasionalmente per recitare le preghiere; e questo me
lo promise e me lo concesse. Inoltre, si offrì di portarmi un letto se qualche
mio amico avesse voluto mandarmelo, perché questi non sono forniti in
prigione ed il prigioniero deve procurarsi il letto e qualsiasi altro mobile di
cui abbisogni, a condizione che il tutto passi al luogotenente della Torre,
anche quando il prigioniero venga liberato. Gli dissi che i miei soli amici
erano i compagni della prigione, che avevo appena lasciato. Se fosse andato lì, forse gli avrebbero dato un giaciglio per me. Il carceriere vi si recò
subito e gli diedero quel tipo di letto che sapevano di mio gradimento: un
semplice materasso, ripieno di lana e di piume, secondo l'usanza italiana.
Gli diedero anche un abito ed alcuni panni, dicendogli di tornare sempre e
di chiedere qualsiasi cosa di cui io avessi bisogno. Non doveva fare altro
che portare un biglietto firmato da me, in cui fossero elencate le cose che
desideravo. Gli regalarono del danaro e lo pregarono di trattarmi bene.
Il terzo giorno il carceriere venne nella mia stanza subito dopo pranzo.
Con uno sguardo rattristato, mi disse che erano arrivati i Lord commissari
insieme al procuratore generale della regina e che dovevo scender subito
giù da loro.
“Sono pronto, dissi. Datemi solo il tempo di recitare un Pater ed un'Ave
per le scale”.
Egli mi fece uscire e ci avviammo insieme verso l'appartamento del luogotenente entro le mura della Torre. Vi erano cinque uomini ad aspettarmi;
di essi nessuno mi aveva interrogato prima, ad eccezione di Wade, che era
venuto per dirigere le accuse contro di me (6).
Il procuratore generale prese un foglio di carta e cominciò solennemente a
redigere un processo verbale d'interrogatorio giuridico. Non mi interrogarono intorno a singoli cattolici; le domande riguardavano soltanto questioni politiche, ed io risposi secondo le linee generali che avevo sempre seguito prima. Dissi che le questioni di Stato erano proibite ai gesuiti e che,
di conseguenza, non mi ero mai immischiato in esse; se ne desideravano la
conferma, l'avevano. Ormai mi trovavo in prigione da tre anni ed ero stato
interrogato innumerevoli volte. Essi non avevano mai trovato un solo rigo,
né un singolo testimone, che potesse dimostrare che avevo partecipato ad
attività sovversive contro il governo.
Quindi mi chiesero delle lettere che avevo recentemente ricevuto dai nostri
padri residenti all'estero; allora compresi per la prima volta perché mi avevano trasferito nella Torre. Risposi:
“Se in qualche tempo ho ricevuto delle lettere dall'estero, queste non hanno nulla a che fare con la politica. Esse riguardavano soltanto l'assistenza
finanziaria dei cattolici che vivevano nel continente” (7).
“Non ne avete ricevuto un plico, poco tempo fa, disse Wade, e non lo avete consegnato al signor tal dei tali, perché lo recapitasse a Henry Garnet?”
“Se ho ricevuto tale plico e se l'ho fatto recapitare, ho fatto quello che ero
tenuto a compiere. Ma, ripeto, le sole lettere che ho ricevuto o spedito sono quelle che, come ho detto, trattano dell'invio di denaro ai religiosi ed
agli studenti che sono nel continente”.
“Molto bene, risposero, allora diteci il nome dell'uomo, al quale avete consegnato le lettere e dove vive”.
“Non lo so, e, se anche lo sapessi, non potrei e non vorrei dirvelo”, e fornii
le abituali ragioni della mia risposta.
“Voi dite, continuò il procuratore generale, che non avete alcun desiderio
di ostacolare il governo. Diteci, allora, dove si trova Padre Garnet. È un
nemico dello Stato e voi avete il dovere di riferire intorno a simili individui”.
“Non è affatto un nemico dello Stato, risposi. Al contrario, sono certo che,
se gli si offrisse l'opportunità di dare la vita per la regina e per il paese, sarebbe lieto di farlo. Ma io non so dove vive e, se lo sapessi, non ve lo direi”.
“Allora faremo in modo che ce lo diciate prima che noi lasciamo questo
luogo”.
“Voglia Dio che non ci riusciate”, risposi.
Mi mostrarono allora un mandato per sottopormi alla tortura (8). L'avevano portata con sé e me la porsero perché la leggessi. (In questa prigione si
richiede una special autorizzazione per la tortura).
Vidi che l'autorizzazione era stilata e firmata legalmente, quindi risposi:
“Con l'aiuto di Dio non farò mai nulla che sia ingiusto né agirò contro la
mia coscienza e la mia fede cattolica. Voi mi avete in vostro potere. Non
potete farmi altro che quello che Dio vi permetterà; più di tanto non potete”.
Allora cominciarono ad implorarmi a non costringerli a prendere dei provvedimenti che loro ripugnavano. Dissero che avrebbero dovuto sottopormi
giornalmente alla tortura per tutto il resto dei miei giorni, finché non avessi dato le informazioni che desideravano.
“Confido nella bontà di Dio, risposi. Spero che egli mi impedisca di
commettere un tale peccato, quello, cioè, di accusare delle persone innocenti. Siamo tutti nelle mani di Dio e, quindi, non temo affatto quello che
voi mi potete fare”.
Questo fu il senso delle mie risposte, per quanto adesso riesco a ricordare.
Ci avviammo verso la stanza della tortura in forma di solenne processione,
guidata dalle guardie munite di torce accese (9).
Era una buia stanza sotterranea, proprio vicino all'entrata. Era un luogo
ampio in cui c'era qualsiasi congegno e qualsiasi arnese di umano tormento. Me ne mostrarono qualcuno e dissero che li avrei provati tutti. Quindi
mi chiesero di nuovo se volevo confessare.
“Non posso”, dissi.
Caddi in ginocchio per recitare qualche preghiera (10). Quindi mi condussero ad una grande colonna, uno dei pali di legno che sostenevano il soffitto di quella grande stanza sotterranea. Fissati alla sommità vi erano degli
uncini di ferro che sostenevano gravi pesi. Mi assicurarono i polsi in bracciali metallici e mi ordinarono di fare due o tre passi su una scala. Allora
mi furono sollevate le braccia ed una barra di ferro fu infilata nell'anello
del primo bracciale, quindi fu assicurata sull'uncino ed infine passata per
l'anello del secondo bracciale. Ciò fatto, assicurarono la barra con un gancio per impedirle di scivolare; quindi, togliendo uno per volta gli scalini
che avevo sotto i piedi, mi fecero penzolare per le braccia legate sulla mia
testa. Tuttavia, toccavo ancora terra con la punta degli alluci e furono costretti a scavare il pavimento sotto di essi. Mi avevano sospeso all'ultimo
uncino del palo e non potevano sollevarmi di più, senza infiggerne un altro
(11).
Così appeso, cominciai a pregare. Gli uomini che mi stavano intorno mi
chiesero se adesso desideravo confessare.
“Non posso e non voglio”, risposi.
A stento potevo proferire le parole, tanto lacerante era il dolore in cui mi
sentivo immerso. Esso era più acuto all'addome ed al torace, alle mani ed
alle braccia. Tutto il sangue del corpo sembrava fluirmi nelle mani e nelle
braccia e credevo che esso uscisse dai polpastrelli delle dita e dai pori della pelle. Ma era solo la sensazione causata dai muscoli tumefatti al di sopra dei bracciali che mi serravano le braccia. Il dolore era così intenso, che
pensavo di non poterlo sopportare; ma a quello si aggiungeva una tentazione interiore. Tuttavia non avevo alcuna intenzione né il minimo desiderio di dar loro l'informazione che desideravano. Il Signore riguardò alla
mia debolezza con gli occhi della sua misericordia e non permise che fossi
tentato oltre le mie forze. Con la tentazione Egli mi mandò anche l'aiuto.
Vedendo l'agonia e la lotta che si svolgevano nella mia mente, Egli mi
mandò questo misericordioso pensiero: la cosa peggiore che possono farti
è quella di ucciderti e tu spesso hai desiderato di dare la vita per il tuo Signore Iddio. Egli vede tutto quello che stai sopportando. Egli può far tutto.
Tu sei sotto lo sguardo di Dio. Con queste considerazioni, Dio nella Sua
infinita bontà e misericordia mi diede la grazia della rassegnazione e, col
desiderio di morire e la speranza di ottenere tale grazia, Gli offrii tutto me
stesso, affinché disponesse di me secondo i suoi desideri. Da quel momento cessò il conflitto nel mio spirito ed anche il dolore fisico mi sembrò più
sopportabile di prima, sebbene sia sicuro che in realtà esso fosse aumentato sotto la tensione crescente ed il graduale indebolimento del mio corpo.
Quando i gentiluomini presenti videro che non rispondevo alle loro domande, se ne andarono nell'appartamento del luogotenente ove si trattennero. Tuttavia si mantennero continuamente in contatto per sapere come le
cose procedevano con me. Insieme al mio carceriere restarono tre o quattro
uomini robusti per sorvegliare e dirigere l'andamento della tortura. Il carceriere, penso, restò per compassione, perché prendeva a brevi intervalli
un panno e mi asciugava il sudore, che mi sgorgava a rivoli dalla faccia e
da tutto il corpo. Ciò mi sollevava alquanto; tuttavia egli aumentava le mie
sofferenze quando incominciava a parlare. Non faceva altro che pregarmi
e supplicarmi affinché avessi pietà di me stesso e dicessi a quei signori
quello che desideravano sapere. Egli mi suggeriva tante umane considerazioni, che io pensai che il demonio stesso lo inducesse a fingere tanta affezione o che i miei torturatori lo avessero lasciato lì di proposito per tendermi un tranello. Ma sentivo tutte queste suggestioni del nemico come
colpi sferrati a distanza: sembrava che non mi raggiungessero lo spirito e
che non causassero in me effetto di sorta. Più d'una volta lo interruppi:
“Finiscila, per amor del cielo! Pensi che io intenda perdere l'anima per salvare la vita? Mi stai esasperando”.
Ma egli continuò, aiutato varie volte anche dagli altri.
“Voi resterete offeso per tutta la vita, seppure riuscirete a sopravvivere. E
sarete torturato ogni giorno finché confesserete” .
Ma io pregavo a bassa voce come meglio potevo, invocando i nomi di Gesù e di Maria (12).
Ad un certo momento, dopo l'una, penso, caddi in deliquio. Non so per
quanto tempo rimasi privo di sensi; ma non penso che fossi stato lungo,
perché gli uomini mi sollevarono il corpo o mi inserirono i pioli sotto i
piedi, finché non rinvenni. Ma, quando mi intesero pregare, mi fecero subito penzolare di nuovo. Continuarono a farlo ogni volta che svenivo (otto
o nove volte in quel giorno) finché non suonarono le cinque.
Dopo le quattro o poco prima delle cinque, Wade ritornò. Avvicinandosi
mi chiese:
“Siete pronto adesso ad obbedire alla regina e al suo Consiglio?”.
“Voi volete che io faccia un'azione peccaminosa. Non la farò”, risposi.
“Tutto quello che dovete dire, disse Wade, è che desiderate parlare con
Cecil, segretario di sua maestà” (13).
“Non ho nulla da dirgli, replicai, se non quello che vi ho già detto. Se
chiedessi di parlare con lui, la gente ne sarebbe scandalizzata. Si penserebbe che mi sono arreso e che avrei detto, alla fine, qualcosa che non avrei potuto dire”.
Tutto infuriato, mi volse improvvisamente le spalle e si precipitò fuori della stanza, gridando con collera ad alta voce:
“Allora restate lì appeso finché non cadrete dal palo in putrefazione”.
Egli se ne andò. Penso che allora abbiano abbandonato la Torre anche i
commissari, perché alle cinque in punto suona la campana della Torre, ai
cui rintocchi tutti debbono allontanarsi, se non vogliono che i cancelli
chiudano loro l'uscita (14). Un po' più tardi mi calarono in terra. Le mie
gambe ed i miei piedi non erano danneggiati, tuttavia mi riusciva faticoso
restare in piedi.
Mi ricondussero nella cella. Durante il tragitto incontrammo alcuni prigionieri che godevano libertà all'intorno della Torre, ed io mi volsi per parlare al carceriere, con l'intenzione di farmi ascoltare da loro.
“Ciò che mi sorprende, dissi, è che i commissari desiderino che io riveli
dove sia la casa di Padre Garnet. Ma non sanno che è peccato tradire un
uomo innocente? Non lo farò mai, neanche se dovrò morire”.
Dissi ciò per impedire che essi, come spesso fanno, spargessero la voce
che avevo confessato qualcosa. Desideravo, inoltre, far sapere, attraverso
queste persone, che ero stato interrogato principalmente intorno a Padre
Garnet, in modo che ne venisse a conoscenza e si ponesse in salvo. Mi accorsi che il carceriere non gradì quelle mie parole, dette in presenza di altri, ma ciò mi lasciò del tutto indifferente (15).
Quando raggiunsi la cella, si mostrò veramente rattristato delle mie condizioni. Accese il fuoco e mi portò un po' di cibo, poiché era quasi ora della
cena. Ma potei ingerire ben poco. Quindi mi distesi sul letto e riposai
tranquillamente fino all'indomani.
Il mattino seguente, dopo che furono aperti i cancelli della Torre, il carceriere venne a dirmi che Wade era arrivato e che dovevo scendere da lui.
Indossai un mantello a larghe maniche, perché non potevo infilare le mani
enfiate nelle maniche del mio vestito, e scesi.
Quando entrai in casa del luogotenente, Wade mi disse:
“Sono stato mandato qui in nome della regina e del suo segretario, Cecil
(16). Essi asseriscono di sapere con certezza che Garnet si occupa di politica e rappresenta un pericolo per lo Stato. Tanto affermano sia la regina,
sulla sua parola di sovrana, sia Cecil, sul suo onore. A meno che non scegliate di contraddirli, dovrete risolvervi a consegnarlo”.
“Essi non possono parlare per esperienza, risposi, né in base ad alcuna informazione degna di fede, giacché non conoscono quest'uomo. Io sono
vissuto con lui e lo conosco bene; vi posso assicurare che non è come lo
descrivono” (17).
“Orsù, disse Wade, perché non ammettere la verità e non rispondere alle
nostre domande?”.
“Non posso e non voglio”, risposi.
“Sarebbe meglio per voi che lo faceste”; e dicendo questo, chiamò un signore che aspettava nella stanza attigua. Questi era un uomo ben piantato
che Wade chiamò “ufficiale della tortura”. Sapevo che l'ufficio esisteva,
ma più tardi venni a sapere che quell'uomo non ne aveva l'incarico. Si trattava d'un ufficiale di artiglieria. Wade gli diede questo titolo per terrorizzarmi.
“Per ordine della regina e del consiglio, disse al signore, vi do quest'uomo
in consegna. Oggi dovrete torturarlo due volte; e continuerete così ogni
giorno, finché non avrà confessato”.
L'uomo mi prese in consegna. Wade uscì. Noi ci avviammo verso la stanza
della tortura, come avevamo fatto prima.
Mi furono applicati i bracciali nello stesso posto in cui mi erano stati applicati l'ultima volta. Essi non si sarebbero adattati in nessun'altra parte,
poiché da entrambi i lati la carne aveva formato due piccoli rigonfiamenti,
lasciando un solco in mezzo, ed i bracciali potevano essere assicurati solo
in questo solco. Quando me li misero, sentii un dolore lancinante.
Ma Dio mi aiutò ed io Gli offrii con gioia le mie mani ed il mio cuore. Fui
sospeso nella stessa maniera di prima. Adesso, però, il dolore era più acuto
alle mani e meno intenso al torace e all'addome. Ciò dipendeva forse dal
fatto che non avevo mangiato nulla quella mattina.
Restai a pregare in questa posizione, talvolta ad alta voce, tal'altra sommessamente; e mi affidai alla protezione di Nostro Signore Gesù e della
Sua S. Madre. Questa volta passò più tempo prima che svenissi; ma quando venni meno, trovarono più difficile farmi rinvenire, tanto che pensarono che fossi morto o che certamente stessi morendo. Perciò chiamarono il
luogotenente. Non so per quanto tempo egli rimase lì o per quanto tempo
io rimasi svenuto. Ma quando tornai in me, non ero più appeso; invece
stavo seduto su una panca, mentre alcuni uomini mi sostenevano da entrambe le parti. C'era molta gente all'intorno. Alcuni dei presenti mi avevano aperto la chiostra dei denti con un chiodo o con qualche strumento di
ferro e m'avevano versato dell'acqua calda in gola.
Quando il luogotenente vide che potevo parlare di nuovo, disse: “Non vedete quanto sarebbe meglio sottomettervi alla regina, invece di morire in
tal modo?”.
Dio mi aiutò ed io fui in grado di rispondere con maggior vigore di quanto
ne avessi sentito fino a quel momento.
“No, non lo faccio! dissi. Preferisco morire mille volte piuttosto che far
quello che mi suggeriscono”.
“Non volete confessare, allora?”.
“No, non voglio, dissi; e non lo vorrò finché nel mio corpo rimarrà un alito
di vita”.
“Molto bene. Allora dobbiamo appendervi di nuovo, adesso, ed una terza
volta dopo pranzo”.
Parlava come se fosse spiacente di dover eseguire gli ordini.
“Eamus in nomine Domini! dissi. Ho solo una vita; ma anche se ne avessi
parecchie le sacrificherei tutte per la stessa causa”.
Mi trascinai sui piedi e tentai di portarmi presso la colonna, ma dovetti essere aiutato. Ormai ero molto debole. Se avevo ancora un po' di forza mi
era data da Dio, perché ero membro della Compagnia, per quanto ne fossi
veramente indegno.
Fui appeso di nuovo. Adesso il dolore era intenso; ma sentivo una grande
consolazione di spirito, che mi sembrava provenire dal desiderio della
morte. Dio solo sa se esso scaturiva da un vero desiderio della sofferenza
per amore di Cristo, oppure da una bramosia egoistica di essere con Lui.
Ma allora ero convinto che stessi per morire. Ed il mio cuore si riempiva
di grande gioia, mentre mi abbandonavo alla Sua volontà ed alla Sua protezione, disprezzando il volere degli uomini. Oh! possa Dio concedermi
sempre lo stesso spirito, sebbene sia sicuro che ai suoi occhi esso fosse
tutt'altro che perfetto, perché la mia vita doveva essere più lunga di quanto
allora pensassi e Dio mi diede altro tempo per farlo più perfetto ai suoi occhi; infatti, come sembra, allora non era ancor pronto.
Forse il governatore della Torre comprese che non avrebbe ottenuto nulla,
se avesse continuato a torturarmi; o forse era ora di pranzo, oppure, infine,
fu mosso da un genuino senso di compassione per me. Qualunque ne fosse
la ragione, ordinò che fossi deposto a terra. Quel giorno mi sembrò di essere rimasto appeso solo un'ora, la seconda volta. Personalmente, ritengo
che egli fosse mosso da compassione, poiché poco tempo dopo la mia fuga
una persona di rango mi disse di aver inteso dire da Sir Richard Berkeley,
cioè dallo stesso luogotenente, che egli si era liberamente dimesso dal suo
ufficio, perché non desiderava più essere strumento di così crudeli torture
a degli uomini innocenti. Ad ogni modo, resta il fatto che si dimise, e a distanza di soli tre o quattro mesi dalla sua entrata in carica. Il suo posto fu
preso da un altro cavaliere (18), e fu sotto di questo che fuggii.
Il carceriere mi ricondusse nella mia stanza. I suoi occhi mi sembravano
turgidi di lacrime. Egli mi assicurò che sua moglie, che io non avevo mai
visto, aveva pianto e pregato per me, durante tutto quel tempo.
Mi portò un po' di cibo; ma potei mangiare ben poco, e quel poco lo aveva
tagliato a pezzettini. Per molti giorni non potei tenere un coltello nelle mani e quel giorno non potei muovere le dita né aiutarmi in nessun modo.
Egli dovette fare tutto per me. Ma, nonostante ciò, gli fu ordinato di portarmi via il coltello, le forbici ed il rasoio. lo pensai che temessero che mi
volessi suicidare; ma più tardi appresi che facevano sempre così nella Torre, quando ricevevano l'autorizzazione di assoggettare un prigioniero alla
tortura.
Mi aspettavo di essere ripreso e torturato, come avevano minacciato (19).
Ma Dio conosceva la debolezza del Suo soldato e gli concesse una breve
battaglia per timore che venisse sconfitto. A molti, più forti di me, come
Padre Walpole, Padre Southwell ed altri, egli aveva concesso un dura lotta
affinché potessero uscirne trionfatori. Tali uomini “in breve tempo fecero
una lunga corsa”; ma io ero chiaramente indegno del loro premio (20) e
fui lasciato a percorrere tutta la lunghezza dei miei giorni, per riparare le
mie sconfitte e per purificare con molte lacrime un'anima che non ero ritenuto capace di lavare, in una sola volta e subito, col mio sangue. Tale fu il
beneplacito di Dio; sia fatto secondo il suo volere (21).
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NOTE AL CAPITOLO XV
1 La Torre del Sale, nell'angolo sud-est di Inner Ward. J. G. vi fu trasferito da Clink il
12 aprile 1597. C.R.S., vol. IV, p. 233.
2 Si chiamava Bennett, come risulta da Hat. Cal., VII, p. 417.
3 Per una più dettagliata relazione sulle iscrizioni riportate da J. G., si veda MORRIS,
pp. 290-297. C'è nella cella di J. G. il disegno semplice e grossolano di un grande cuore trafitto da una freccia con le iniziali “J. G.” scritte sotto. Queste sono riportate come
“1. G.” nelle iscrizioni elencate nella relazione della Torre del Sale nel quarto volume
della “Royal Commission of Historical Monuments”, vol. IV, East London, p. 82. Siccome la prima lettera è indubbiamente una “J”, il disegno può essere stato inciso da
Gerard.
4 Le due pagine manoscritte, riprodotte in C.R.S., voI. V, pp. 190, 259, nella sezione
dedicata alle lettere e agli interrogatori di Henry Walpole, permettono al lettore moderno di fare lo stesso paragone. La testimonianza di J. G. è confermata dal gesuita
Padre Holtby, il quale ricevette alcuni versi scritti da Walpole, mentre questi attendeva
di esser ucciso nella prigione di York. “Il mio amico, egli dice, ne ha la copia nello
Yorkshire, ma è scritta cosi male (per l'amputazione dei pollici) che è stata una gran
fatica leggerla, benché io ritenga che la sua scrittura gli fosse familiare”. JESSOP, p.
253.
5 Si tratta della poesia che incomincia casi: Why do I use paper, pen and ink. La strofa
che J. G. formulava nella sua mente era probabilmente la seguente:
We cannot fear a mortal torment, we;
This martyr's blood hath moistened all our hearts;
Those parted quartes when we chance to see:
We learn to play the constant Christian's parts.
His head doth speak and heavenly precepts give,
How we the like should frame ourselves to live.
Vi sono trenta strofe. Una parte di questa poesia è stampata da L. I. GUINEY in Recusant Poets, pp. 178-180; tutta completa si trova in The Month, gennaio-febbraio 1872.
Benché J. G. fosse severamente torturato, non fu trattato così brutalmente come Padre
Southwell o come Padre Walpole. Ciò può essere motivato dalle sue potenti amicizie a
corte.
6 I nomi delle cinque persone che formavano la giuria sono forniti delle firme del rapporto ufficiale dell'interrogatorio. Essi sono: Richard Berkeley, luogotenente della Torre; Edward Coke, che era stato lanciato in una brillante carriera giuridica dalla sua recente nomina a procuratore generale, che gli era stata conferita nel 1594 e in cui era
stato preferito a Bacone; Thomas Fleming, nominato avvocato generale nel novembre
1595 e più tardi primo lord giudice della corte regia; Francesco Bacone, il futuro cancelliere, che già da diversi anni lamentava una serie di delusioni a causa dell'inefficace
appoggio del conte di Essex; e William Wade, che allora era segretario del Consiglio
privato e in seguito divenne luogotenente della Torre. Il loro rapporto è datato 14 aprile 1597. S.P.D., CCLXII, n. 123.
7 I termini precisi della risposta di J. G. si trovano scritti di suo pugno nel rapporto del
suo interrogatorio. “Io rifiuto, dice, non per una slealtà d'animo, quasi che voglia essere salvato, ma perché ritengo che queste cose non rientrino assolutamente tra gli affari
di Stato, dei quali non mi sarei mai occupato come non mi sono occupato di tutto ciò
che esula dal campo puramente spirituale”. Il rapporto mostra che J. G. fece il tentativo di evadere da Clink mediante chiavi false. Questa fu, probabilmente, un'ulteriore
ragione del suo trasferimento nella Torre. C.S.P.D., 1595-1597, p. 389.
8 Questo mandato è trascritto nel registro del Consiglio privato senza i nomi dei firmatari (vol. XXVII, p. 38). In esso si davano le seguenti istruzioni al luogotenente della
Torre: “In forza di ciò lo farete ammanettare e lo farete assoggettare alle torture usate
in quel luogo”. Dal mandato risulta che tanta severità era dovuta al fatto che J. G. riceveva informazioni dall'estero.
9 Si dice che un passaggio sotterraneo collegasse gli appartamenti del luogotenente, in
cui J. G. fu interrogato, con le stanze che si trovano sotto la Torre Bianca, dove egli fu
torturato.
10 “Egli soleva cadere in ginocchio davanti alla porta della stanza di tortura per raccomandarsi alla misericordia di Dio e per implorare il dono della pazienza nei suoi dolori. Come pure, quando si trovava sulla ruota di tortura, invocava continuamente e con
molta dolcezza Dio e il santo nome di Gesù”. ALLEN, Death and Martyrdom of
Father Edmund Campion (ed. 1908), p. 13. La lettura di questo passo può esser considerata senz'altro come una parte della preparazione di J. G. al proprio giudizio, di
maniera che il comportamento di Campion aveva ormai stabilito come un rituale fra
tutti i martiri.
11 Come indica il suo soprannome “Long John”, J. G. era molto alto e robusto; in tale
tortura egli dovette soffrire più crudelmente di un uomo più gracile. La sospensione per
le braccia, nella maniera descritta da J. G., evitava le slogature provocate dalla ruota.
Siccome l'opinione pubblica era insorta contro le crudeltà praticate da Norton, il “maestro di tortura” della regina, Topcliffe, che da Elisabetta aveva ricevuto licenza di torturare in privato, introdusse questa raffinatezza che era conosciuta col nome di “manette o bracciali”.
12 “Gli inquisitori dicono che egli [J. G.] è molto ostinato; sotto la tortura essi non riescono a strappargli di bocca la minima parola, eccetto l'invocazione Gesù!”. Garnet al
Generale, il 7 maggio 1597. Stonyhurst MSS, Anglia, II, n. 27.
13 Questi fu Robert Cecil, il secondogenito di Lord Burghley. L'anno precedente era
stato nominato Segretario di Stato, dopo un considerevole ritardo causato dalla rivalità
della fazione di Essex.
14 J. G. dice che Wade partì. In realtà rimase nella speranza che J. G. avrebbe fatto la
confessione necessaria. A testimonianza del fatto che quella notte (15-16 aprile) egli
alloggiò nella Torre, invece di tornare a casa sua a Charing Cross, si veda C.R.S., vol.
IV, p. 232.
15 Questo messaggio ingegnosamente spedito pervenne a Padre Garnet. Otto settimane più tardi, scrivendo al Generale della Compagnia il 10 giugno, Padre Garnet dice:
“Egli [J. G.] è stato sospeso tre volte per le braccia fin quasi a morirne, il che si verificò due volte in un solo giorno. A Questa tortura fu assoggettato (come adesso apprendo con sicurezza) nella speranza di fargli rivelare dove fosse il suo superiore e per
mezzo di quale persona gli avesse inviato quelle lettere che erano state recapitate a lui
da Padre Persons”. Stonyhurst MSS, GRENE, Collectanea P., vol. II, f. 548.
16 Questa era probabilmente una menzogna. Com'è stato detto nella nota precedente,
Wade aveva passato la notte nella Torre, ed è da escludere che avesse avuto la possibilità di conferire con la regina e con Cecil dopo che J. G. fu torturato la prima volta.
17 Il 19 novembre 1594, mentre J. G. era a Clink, Garnet scrisse a Padre Persons parlando della regina in termini molto leali: “Sua Maestà si è trovata in pericolo a causa di
una breve infermità; ma grazie a Dio si è ripresa molto bene. Ieri ha assistito al trionfo,
tutta vestita di giallo, ed era un conforto vederla cosi fresca e vigorosa”. Stonyhurst
MSS, Anglia A, I, n. 82.
18 Sir John Peyton, che divenne governatore della Torre nel giugno 1597, mantenne
quest'ufficio fino al luglio 1605, data in cui gli successe William Wade.
19 J. G. fu condotto una terza volta nella stanza di tortura. Padre Garnet menziona il
fatto nella sua lettera del 7 maggio. “Recentemente lo hanno portato nella stanza di
tortura, in cui i carnefici e gli interrogatori erano pronti ad iniziare la loro opera. Ma
quando entrò in quel luogo, egli cadde subito in ginocchio e prese a pregar Dio ad alta
voce affinché, come ad alcuni suoi santi aveva dato la forza per sopportare di essere
smembrati da cavalli per amore di Cristo, cosi gli desse forza e coraggio per farsi tagliare a pezzi prima di proferire una parola che tornasse a svantaggio di qualcuno o
della gloria di Dio. Ed essi, vedendolo così risoluto, non lo torturarono”. Stonyhurst
MSS, Anglia A, II. n. 27.
20 “Non ipse martyrio, sed ipsi martyrium defuit”, scrisse Padre Christopher Grene, un
ammiratore di J. G. del diciassettesimo secolo. Con Padre Persons e Padre Garnet, J.
G. fu uno dei primi storici dei martiri inglesi. Dal 1588, anno del suo arrivo, fino al
1594, anno della sua cattura, egli tenne un elenco accurato di tutti quelli che subirono
il martirio. È l'elenco più antico, nel suo genere, ed è conservato nel collegio di Stonyhurst. Anglia, vol. VII, n. 26; esso è stampato in C.R.S., vol. V, pp. 288-293.
21 L'11 giugno Garnet scrisse a Padre Persons: “Recentemente abbiamo saputo con
certezza che il conte di Essex ha lodato la sua [di J. G.] costanza, dichiarando che non
poteva fare a meno di onorare ed ammirare quest’uomo. Un segretario del Consiglio
reale nega che la regina volle che venisse ucciso. Per John questo sarà una grande preoccupazione”. Stonyhurst MSS. GRENE, Collectanea. vol. II, p. 548
XVI. CORRISPONDENZA CLANDESTINA
Abbandonato a me stesso nella mia cella, passavo la maggior parte del
tempo in preghiera. Adesso, come durante i primi giorni della mia prigionia, facevo gli Esercizi Spirituali. Ogni giorno impiegavo quattro e talvolta cinque ore nella meditazione; così feci per un mese intero. Con me avevo anche il breviario; e ogni giorno riesaminavo le azioni della Messa proprio come fanno gli studenti di teologia, quando si preparano per l'ordinazione. Li ripassavo con grande devozione e col desiderio della comunione,
di cui sentivo moltissimo il bisogno quando giungevo al punto in cui in
una Messa vera il prete compie il sacrificio e consuma le oblata. Tale pratica mi procurò molte consolazioni tra le mie sofferenze.
Dopo tre settimane, per quanto riesco a ricordare, fui in grado di muovere
le dita, di tenere un coltello in mano e di cibarmi (1), Quando ebbi finito
gli Esercizi Spirituali, chiesi il permesso di ricevere dei libri, ma mi concessero soltanto una Bibbia che mi fu inviata dalla mia vecchia prigione.
Quindi domandai un po' di danaro, sperando di indurre gradualmente il
carceriere a portarmi segretamente diverse cose di cui avevo bisogno, possibilmente anche dei libri. Grazie ai miei amici, tutto quello che avevo
chiesto mi giunse con sicurezza per mezzo suo.
In seguito, chiesi al carceriere di comprarmi delle arance molto grosse.
Siccome questi frutti gli piacevano in maniera particolare, gliene regalai
alcuni; ma già pensavo di servirmene più tardi in altro modo.
Ogni giorno, dopo pranzo, facevo esercizio con le mani, perché non cenavo mai, sebbene tale pasto mi venisse sempre offerto. Il cibo veniva fornito a spese della regina ed era abbondante: ogni giorno mi passavano sei
pagnottine di pane molto buono. (La qualità dei pasti nella prigione varia
secondo il rango dei prigionieri. La scala è puramente sociale e, senza
prendere in considerazione lo stato religioso, considera primo ciò che dovrebbe essere considerato ultimo) (2).
L'esercizio che facevo con le dita consisteva nel tagliare le bucce di arance
in forma di piccole croci; quindi le cucivo insieme a coppie e le legavo su
un filo di seta, facendone rosari. Intanto avevo già spremuto in un piccolo
recipiente il succo delle arance. La mia mossa successiva fu quella di
chiedere al carceriere di portare alcune di quelle croci ed alcuni di quei rosari agli amici rinchiusi nella mia vecchia prigione. Siccome egli pensava
che da ciò non potesse derivare alcun inconveniente, acconsentì. Tuttavia
non avevo ancora una penna, né osavo chiederla. In ogni caso, anche se
me l'avessero procurata, difficilmente sarei stato capace di scrivere. Seb-
bene potessi ormai tenere in mano una penna, a stento riuscivo a sentire
che avevo qualche cosa tra le dita. Il mio senso del tatto rimase intorpidito
per cinque mesi e non lo riacquistai completamente. Fino al tempo della
mia fuga, che avvenne sei mesi dopo, ebbi sempre una certa rigidità nelle
dita (3).
Siccome non osavo chiedere al carceriere una penna per scrivere, gli domandai se potevo avere una piuma per la pulizia dei denti. Egli me la portò ed io ne aguzzai l'estremità a punta, la tagliai e l'adattai in un pezzo di
legno. Col resto della piuma feci uno stecchino, procurando che apparisse
sufficientemente lungo, in maniera che il carceriere non potesse sospettare
che ne avevo tagliato un pezzo. Quindi glielo mostrai e gli chiesi un po' di
carta per avvolgere i rosari. Alla fine, ottenni anche il permesso di scrivere
a carboncino alcune righe nelle quali chiedevo agli amici di pregare per
me. Egli mi permise tutto ciò senza sospettare assolutamente di nulla. In
realtà, sullo stesso pezzo di carta avevo scritto agli amici con succo di arance, dicendo loro di rispondere nello stesso modo qualora avessero ricevuto la nota, ma di non scrivere molto, all'inizio. Inoltre suggerii loro di
regalare un po' di danaro al carceriere, promettendogli qualcosa ogni volta
che avesse portato loro un rosario o una croce oppure un breve messaggio
scritto, in cui li assicuravo che stavo bene.
I miei amici ricevettero il rosario avvolto nella carta. Essi sapevano che, se
ne avessi avuto occasione, avrei scritto loro qualcosa in succo di arance,
come solevo fare quando ero con loro. Perciò si recarono immediatamente
in una stanza del piano superiore e, accostando la carta al fuoco, lessero
quello che avevo scritto. Risposero nella stessa maniera mandandomi in
regalo alcune caramelle ed altri dolci, il che fornì loro il pretesto di ricorrere ad un foglio di carta per avvolgerli.
Continuammo a comunicare così per i sei mesi successivi. Quando ci accorgemmo che il carceriere non mancava di consegnare fedelmente messaggi, diventammo più fiduciosi.
Per i primi due o tre mesi egli non sospettò minimamente di portare delle
lettere dagli uni agli altri. Al termine dei tre mesi gli chiesi se mi avrebbe
permesso di scrivere delle lettere a matita ed egli me lo concesse. Gliele
consegnavo sempre aperte, in maniera che potesse leggerle. Nelle righe
scritte a matita mi limitavo soltanto ad argomenti spirituali, ma negli intervalli in bianco tra un rigo e l'altro impartivo dettagliate istruzioni a molti amici che si trovavano all'esterno. Naturalmente, egli non ne sapeva nulla.
In realtà, come ebbi presto a scoprire, il mio carceriere non sapeva leggere.
Ma fingeva molto abilmente di esserne capace e soleva sbirciare dietro le
mie spalle, mentre rileggevo ad alta voce tutto quello che avevo scritto a
matita. Tuttavia, cominciai a sospettare che fosse analfabeta e decisi di
metterlo alla prova.
Un giorno, mentre guardava sul foglio, io lessi qualcosa del tutto differente da ciò che avevo scritto. Ripetei ciò quattro o cinque volte e, quando
notai che non mi correggeva, mi volsi a lui con un sorriso e gli dissi francamente che non c'era bisogno che continuasse a guardarmi. Allora ammise di non saper leggere e disse che gli piaceva ascoltare ciò che leggevo.
Da allora mi permise di scrivere tutto quello che volevo e recapitava indiscriminatamente tutto ai miei amici. Alla fine mi procurò dell'inchiostro e
cominciò a portare lettere sigillate.
Quando si avvide che avevo relazioni solo con poche persone, sulla cui discrezione si poteva contare, e quando comprese che né essi né io potevamo tradirlo, fece tutto ciò che gli chiedevamo. Naturalmente, riceveva ogni volta del danaro. Tuttavia mi pregò di non chiedergli di andare così
spesso a Clink, perché alla fine sarebbe caduto in sospetto ed entrambi ne
avremmo subìto le conseguenze. Egli suggerì che un amico lo incontrasse
in un luogo vicino alla Torre e ricevesse da lui le lettere. Ma non volli che
alcuno venisse a contatto con lui, eccezion fatta per i prigionieri, che non
correvano alcun rischio, se ammettevano di conoscermi o se mi mandavano doni ed elemosine. Sapevo che il carceriere non avrebbe parlato a nessuno delle lettere, perché ciò avrebbe recato danno tanto a lui quanto alle
persone alle quali le recapitava. Egli lo sapeva bene. Ed anche se lo avesse
desiderato, non era grande il danno che avrebbe potuto recare a me ed ai
miei amici. Nelle mie lettere non scrissi mai i loro nomi, neanche quando
ero in libertà; usavo invece altri nomi che erano riconosciuti dai destinatari. Chiamavo uno “figlio mio”, un altro “amico mio” o “nipote mio”, e le
loro mogli, “sorella”, “figlia”; così che, se le lettere fossero state intercettate, cosa che non si verificò mai, nessuno avrebbe saputo a chi mi riferivo.
Inoltre, non usai mai né succo di limone, né succo di cedro. Ci fu una sola
occasione in cui lo feci nella mia prigione primitiva. Si trattava delle lettere che Wade intercettò; ma allora c'era una ragione speciale. Quelle erano
lettere di raccomandazione e dovevano esser lette prima in un luogo, per
essere portate poi in un altro; ed il succo di limone ha questa proprietà che
si rende manifesto sia con l'acqua che col calore. Se la carta viene portata
all'aperto e viene asciugata, la scrittura sparisce; ma può essere letta una
seconda volta, quando venga di nuovo bagnata o riscaldata. Il succo di arance, invece, è diverso: esso non si fa leggere con l'acqua; questa infatti
sbiadisce la scrittura e nulla può farla ritornare. Il caldo la fa apparire; in
modo, però, che rimanga sempre visibile. Perciò, una lettera scritta con
succo di arance non può esser consegnata senza che il destinatario sappia
se è stata o non è stata letta. Se essa è stata letta e contiene qualcosa di
compromettente, egli può disconoscerla. Io ero certo, quindi, che tutte le
mie lettere avevano raggiunto i miei amici e che le loro mi avevano raggiunto con sicurezza. In questa maniera ricevevo da loro tutte le informazioni necessarie ed essi ricevevano quell'aiuto spirituale che richiedevano
da me (4).
Per rendermi doppiamente sicuro che tutto andasse bene, feci in modo che
fosse rilasciato John Lillie mediante la generosità di alcuni amici che riscattarono la sua libertà. Quindi disposi che tutto quello che mi veniva indirizzato dall'esterno fosse consegnato a lui solo e a nessun altro e che egli
lo affidasse al carceriere. In seguito, fu col suo aiuto che riuscii a fuggire,
cosa alla quale non pensavo minimamente, quando per la prima volta mi
servii di lui per recapitare le mie lettere. Allora, il mio unico intento era
quello di facilitare le comunicazioni e di far recapitare un numero sempre
maggiore di lettere.
I quattro mesi successivi passarono tranquillamente. Entro la fine del primo mese avevo ricevuto dei libri ed avevo cominciato a studiare un po'.
Fu in quel periodo che avvenne un incidente che mi causò una buona dose
di ansietà.
Francis Page (del quale ho parlato prima) risiedeva presso il mio ospite
primitivo (5), che adesso era stato rilasciato dalla prigione. Quando fui
trasferito nella Torre, Page scoprì in quale parte ero relegato e, con la sua
consueta gentilezza, prese a venire ogni giorno in un luogo situato a una
certa distanza, ma abbastanza vicino per poter osservare la mia finestra
dove sperava di avvistarmi. Un giorno, (era d'estate e faceva molto caldo)
stavo accanto alla finestra e finalmente mi scorse. Si scoprì il capo e cominciò a passeggiare su e giù. Ogni volta, si fermava allo stesso punto, si
voltava nella mia direzione e si toglieva il cappello. Per non attrarre l'attenzione, fingeva di ravviarsi i capelli o di farsi qualche altra cosa sulla testa, tanto per dare un motivo apparente al suo gesto. Lo fece un gran numero di volte, prima che lo riconoscessi dagli abiti che indossava. Lo salutai a gesti, quindi lo benedissi e mi ritirai dalla finestra. Sebbene i segni
che faceva non potessero essere osservati, c'era sempre il pericolo che
qualcuno lo potesse scorgere e se ne potesse insospettire.
Ma il brav'uomo non era soddisfatto. Veniva ogni giorno per la mia benedizione e passava diverso tempo a passeggiare su e giù, volgendosi alla
mia cella e togliendosi il cappello ogni volta. Gli feci cenno di cessare, ma
egli continuò. Alla fine le autorità notarono che veniva ogni giorno e che
si comportava allo stesso modo. Mi addolorai profondamente, quando un
giorno lo vidi afferrare e portare via.
Fu condotto dal luogotenente e fu interrogato su di me e sui miei amici;
ma non rivelò nulla. Disse semplicemente che gli piaceva passeggiare lungo l'ampio corso del Tamigi e che veniva lì solo per diporto. Tuttavia, lo
trattennero prigioniero nella Torre per diversi giorni, mentre facevano le
indagini. Così scoprirono che abitava nella casa del mio ospite, e ciò li
confermò nel sospetto che era stato mandato lì per comunicare con me
mediante segni. Ma egli non ammise nulla ed alla fine mi mandarono a
chiamare. Furono fatte entrare anche le altre persone che usualmente mi
interrogavano.
Mr. Page camminava su e giù per l'anticamera col carceriere, quando passai per recarmi nel refettorio, dove si sarebbe tenuto l'interrogatorio. La
prima cosa che essi dissero fu:
“Vi è qui un certo Francis Page. Egli dice di conoscervi bene e di desiderare moltissimo di avere un abboccamento con voi”.
“Se lo vuole, lo può, risposi. Ma chi è questo Francis Page? Non conosco
nessuno che abbia questo nome”.
“Non potete affermarlo, dissero. Egli vi conosce molto bene. In ogni caso,
vi conosce abbastanza bene per distinguervi da molto distante. Viene qui
ogni giorno soltanto per vedervi”.
Io continuai a negare ed essi non ebbero alcun altro elemento per procedere; perciò non ottennero nulla da me né con l'inganno né con le minacce.
Ordinarono allora che fossi ricondotto in cella. Durante il tragitto passai
per l'anticamera. Ivi c'era Page con un certo numero di altre persone. Mi
guardai intorno e gridai con quanto fiato avevo in gola:
“C'è qui qualcuno che si chiama Page? Quest'uomo attesta di conoscermi
bene e di venire ad osservarmi alla finestra. Io conosco quest'uomo solo in
Adamo. Perché mai ci si dovrebbe mettere nei guai, parlando in tal modo?”.
Il carceriere cercò di farmi star zitto, ma non ci riuscì. Naturalmente, neanche per un momento potevo pensare che Page avesse confessato qualcosa. Ma desideravo impedire loro di dire a Page che avevo riferito di lui
quelle cose che si voleva egli avesse riferito di me. Tale era, infatti, il loro
piano. Essi gli avevano già detto che avevo ammesso di conoscerlo. Adesso volevano che lui mi vedesse entrare nella stanza dell'interrogatorio, così
da potergli dire, poi, che avevo confermato tutto quello che, secondo la loro versione, avevo detto prima. Ma io rovinai il loro gioco. Quando mi fecero entrare, Page si limitò a ripetere quello che mi aveva sentito dire poco
prima, mentre attraversavo l'anticamera. Essi erano stati giocati e, nel loro
disappunto, presero ad inveire contro il carceriere e mi coprirono di vituperi.
Poco tempo dopo, Mr. Page riscattò la sua libertà (6). Egli attraversò la
Manica, compì i suoi studi in Belgio, fu ordinato sacerdote e, più tardi,
tornò in Inghilterra. Per lo più lavorò a Londra, dove fu amato dalle innumerevoli anime che aiutò. Dietro mia richiesta, si prese cura particolare di
Mrs. Line, nel cui appartamento (come ho già narrato) fu catturato e riuscì
a fuggire. Quindi, coronò i suoi desideri e fu ammesso nella Compagnia.
Ma, prima ancora di trasferirsi in Belgio, fu catturato. “Fu provato come
l'oro nel crogiolo, e fu accettato come la vittima di un olocausto: egli lavò
la sua stola nel sangue dell'agnello”. Ora non passeggia più in lungo e in
largo presso le rive del Tamigi, cercando di scorgermi nella Torre; ma dal
cielo, ove vive sereno e felice, china lo sguardo su di me, che ancora vengo sbattuto tra i marosi dai venti e dalle tempeste. Ma egli, ne sono sicuro,
è ancora ansioso della mia salvezza (7).
Spesso diceva alla gente quanto era stato rincuorato quel giorno, quando
udì ciò che gridai passando per l'anticamera. Ciò gli permise di scorgere
l'inganno e di schermirsene.
Durante la detenzione nella Torre non mi fu concesso di ricevere visitatori
e mi fu impossibile, perciò, trattare direttamente con le anime. Comunque
fui in grado di fare qualcosa per corrispondenza, ma solo nel caso di persone di cui ero sicuro che non avrebbero rivelato la mia segreta organizzazione di corrispondenza clandestina.
Dopo la sua liberazione, John Lillie si trovava a passare un giorno per una
strada di Londra, quando due nobili signore, madre e figlia (8), gli si avvicinarono e gli chiesero se, all'occasione, egli poteva accompagnarle a farmi visita nella cella della prigione. Sapendo quanto ciò sarebbe stato difficile, egli tentò di dissuaderle. Ma esse insistettero e non gli diedero pace
finché non promise di proporre la cosa al mio carceriere, chiedendo a questo di lasciarle passare come sue parenti.
Fu promessa al prigioniero una grande somma di danaro ed egli acconsen-
tì; le signore, inoltre, regalarono a sua moglie un vestito nuovo. Quindi,
esse si vestirono come semplici cittadine di Londra (le donne del popolo
vestono in foggia molto differente da quella delle signore di società) e
vennero con John Lillie. Esse finsero di voler visitare la moglie del carceriere e di voler vedere i leoni che sono custoditi nella Torre insieme agli
altri animali che i curiosi vengono a visitare. Dopo aver compiuto la visita, il carceriere le condusse entro le mura ed attese il momento buono per
introdurle nella mia stanza, esponendosi ad un grande rischio per una piccola ricompensa. Appena mi videro, mi corsero incontro e si gettarono in
ginocchio per baciarmi i piedi. Ingaggiarono entrambe una piccola lotta,
ciascuna per esser la prima a baciarmeli. Come potevo rifiutarmi, quando
esse avevano rischiato tanto per questo? Mi pregarono insistentemente
perché lo permettessi, tanto che alla fine accondiscesi: sapevo bene che esse onoravano non già la mia persona, ma un prigioniero di Cristo.
Seguì una breve conversazione, quindi mi consegnarono alcuni regali che
avevano comprato e se ne partirono molto confortate. Erano convinte che
non mi avrebbero visto mai più, perché avevano sentito dire in città che si
era giunti alla decisione di processarmi e condannarmi (9).
Un giorno anche il mio superiore, Padre Garnet, mi mandò una lettera nella quale mi comunicava la stessa lieta notizia. Era una lettera piena di conforto. Egli mi esortava a prepararmi all'esecuzione e, lo confesso con sincerità, “io gioii alle cose che mi venivano dette”. Ma la mia grande indegnità mi impedì di entrare nella casa del Signore. Una grazia come questa
è un dono di Dio: essa non si può ottenere per il solo fatto che la si desideri o anche la si solleciti. Ma era nascosto a Padre Garnet che questa grazia
era in serbo per lui, non per me. Ora non mi resta altro che pregare Dio affinché mi permetta, almeno, di seguirlo da lontano fino alla croce che egli
onorò ed amò tanto. Dio compì il desiderio del suo cuore perché nella festa dell'Invenzione della Santa Croce la sua anima trovò il vero amore.
Adesso, mi resta solo il dovere di ricordare che nella stessa festa dell'Invenzione della Santa Croce, giorno in cui quel caro sacerdote fu coronato
in cielo, Dio nella sua bontà mi concesse due grandi favori mediante la
sua intercessione. Quali essi siano stati lo dirò brevemente alla fine di
questa narrazione. Adesso debbo affrettarmi. In questa biografia, infatti,
ho già riservato a questi avvenimenti modesti e senza importanza una trattazione più ampia di quanto non meritino.
Padre Garnet, allora, mi mandò una lettera d'avviso; e la maniera di agire e
di parlare dei miei guardiani confermava la stessa promessa. Infatti, torna-
rono tutte le persone che nella precedente occasione mi avevano interrogato col potere di sottopormi a tortura (10). Ma questa volta il loro intento
era diverso. Essi avevano in programma di sottopormi ad un interrogatorio, prima di farmi passare per un processo formale.
Il procuratore generale della regina mi rivolse una serie di domande seguendo, come egli attestava, lo stesso frasario, il medesimo ordine e le
stesse formalità che avrebbe usato nell'azione legale vera e propria.
Cominciò dal mio sacerdozio e dalla mia venuta in Inghilterra come prete
e come gesuita. Quindi, mi chiese se avessi trattato con persone nell'intento di distoglierle dalla fede e dalla professione religiosa approvata dalla
legge, per farle passare all'obbedienza pontificia. Confessai immediatamente di essere colpevole per questo rispetto, il che era sufficiente per una
sentenza giuridica. Ma quando mi chiesero di nominare le persone con le
quali avevo complottato contro il governo, negai di aver fatto una cosa del
genere. Tuttavia essi insistettero: come potevo io essere così ansioso della
conversione dell'Inghilterra, essi argomentavano, e nello stesso tempo tenermi lontano dalla politica, che rappresentava il mezzo migliore per raggiungere il mio scopo?
Per quanto riesca a ricordare, risposi come segue:
“Vi spiegherò chiaramente le mie convinzioni in materia di conversione e
di politica, in maniera che non rimanga alcun dubbio in voi e non abbiate
alcuna necessità di interrogarmi ulteriormente. Invoco come testimoni Dio
ed i suoi angeli: non sto mentendo. Non vi nascondo nulla di quanto serbo
in cuore. Se potessi realizzare ogni mio volere e desiderio, vorrei che tutta
l'Inghilterra ritornasse a Roma ed alla fede cattolica: regina, Consiglio, voi
stessi e tutti i magistrati di questo reame. Vorrei però che ciò avvenisse in
maniera, miei signori, che né la regina, né voi, né alcun ufficiale dello Stato perdesse l'onore ed il diritto che adesso gode ed in maniera che non un
solo capello della vostra testa perisse, affinché voi possiate essere felici sia
nella vita presente che in quella futura. Ma non dovete pensare che io desideri questa conversione per un qualsiasi motivo egoistico mio proprio,
per essere, ad esempio, liberato e così poter fruire dei beni della vita.
Chiamo Dio Onnipotente in testimone; mi recherei volentieri domani mattina ad essere impiccato, proprio così come mi trovo davanti a voi. Questi
sono i miei pensieri e le mie aspirazioni. Non sono nemico né di voi né
della regina, come del resto non lo sono mai stato”.
Per qualche momento il procuratore generale rimase interdetto. Quindi mi
chiese di nominare i cattolici che conoscevo. Conoscevo io il signor tal dei
tali?
“Non lo conoscevo”, dissi. E, come sempre, spiegai che, quand'anche lo
conoscessi, non potevo dirlo. Allora egli passò alla questione dell'equivoco
ed incominciò a discreditare la figura di Padre Southwell.
Ora, nel suo processo, Padre Southwell aveva rifiutato di riconoscere una
donna, che era stata citata a deporre per l'accusa (11). Sebbene questa giurasse che egli era stato in casa di suo padre e che vi era stato ricevuto in
qualità di prete, Padre Southwell negò; e ciò, nonostante che egli fosse stato catturato in quella stessa casa e nel medesimo nascondiglio, che la donna aveva rivelato ai perquisitori. Questa era una creatura mostruosa e non
ebbe ritegno di mercanteggiare la vita di suo padre, oltre quella di Padre
Southwell. Ma Cristo, che non era venuto per portare la pace ma la spada
tra i buoni ed i cattivi, separò questa figlia perversa dai suoi buoni genitori.
Padre Southwell rimase stupito dell'impudenza della donna, tuttavia negò
tutto quello che ella depose. Ed egli spiegò perché aveva agito così, chiarendo i suoi motivi e dimostrando in maniera perspicua e convincente che
era ingiusto da parte sua gravare il fardello di quelli che già soffrivano per
la fede e che erano stati cortesi con lui. Proseguendo, pertanto, dimostrò in
maniera molto dotta che era legittimo e, in alcuni casi, perfino necessario
ricorrere all'equivoco. Sebbene molti, egli diceva, ne ripudiassero la dottrina, dimostrò che esistevano solide ragioni in suo favore, e che essa godeva di vasta autorità nella Sacra Scrittura e presso i Dottori della Chiesa
(12).
Il procuratore generale respinse questa dottrina e tentò di mostrare come
essa favorisca la menzogna e mini l'essenza stessa delle relazioni sociali.
Al contrario, io sostenni che l'equivoco differisce dalla menzogna. Nell'equivoco l'intenzione non è quella di ingannare, il che rappresenta l'essenza
stessa della menzogna, ma semplicemente di tener velata la verità, nei casi
in cui la parte interrogata non è tenuta a rivelarla. Negare ad un uomo ciò
a cui egli non ha alcun diritto non significa ingannare. Dimostrai anche
che tale insegnamento non distrugge i vincoli della società, né rende impossibili le relazioni umane.
“L'equivoco, dissi, non potrebbe essere ammesso nei contratti, giacché
ogni uomo è tenuto a dare al suo vicino anche il più piccolo debito, e nei
contratti la verità è dovuta alla parte contraente. Né esso può essere invocato nella conversazione ordinaria a pregiudizio della pura verità e della
sincerità cristiana e, ancor meno, nelle questioni che ricadono sotto la giu-
risdizione legittima dello Stato. Così, ad esempio, un uomo non può negare un crimine se egli è reo e viene legittimamente interrogato (13).
“Che cosa intendete per interrogatorio legittimo?”, domandò il procuratore
generale.
“La domanda deve esser posta da una persona che ha autorità o giurisdizione e deve riguardare un'azione in qualche maniera dannosa allo Stato,
altrimenti la legge non può autorizzarla. Le azioni cattive che sono puramente interne sono riservate soltanto al giudizio di Dio. Inoltre, si deve
portare qualche prova contro la parte incriminata. È costume in Inghilterra
che l'accusato, quando venga interrogato se è colpevole o meno, risponda
“non sono reo”, finché non siano prodotte testimonianze contro di lui o
finché non venga emesso un verdetto di reità da parte di una giuria che esamini il caso. Questa è la prassi generale e nessuno chiama ciò mentire.
In generale, l'equivoco è illegittimo, salvo il caso però in cui una persona
deve rispondere, sia direttamente che indirettamente, ad una domanda che
l'interrogante non ha diritto di fare o in cui una risposta giusta risulti dannosa alla parte interrogata”.
Quindi spiegai che tale fu la pratica di Nostro Signore, dei santi e di tutti
gli uomini assennati. “Lo stesso collegio che mi sta esaminando, conclusi,
farebbe lo stesso se, per esempio, venisse interrogato su qualche segreto
peccato o se fosse attaccato dai ladri che gli chiedessero dove è nascosto il
proprio danaro”.
“Quando fu che Nostro Signore ricorse all'equivoco?”, domandarono.
“Quando disse agli Apostoli, risposi, che nessuno conosceva il giorno del
Giudizio, neanche il Figlio dell'Uomo; ed ancora quando disse che non sarebbe andato a Gerusalemme per la festa, mentre invece ci andò. Egli sapeva che ci sarebbe andato, quando affermò il contrario”.
Wade intervenne:
“Cristo ignorava il giorno del Giudizio in quanto Figlio dell'Uomo”.
“Il verbo ignorare, dissi, non si può usare nel caso del Verbo di Dio incarnato. La Sua natura umana era unita ipostaticamente a quella divina. Egli
fu costituito giudice da Dio Padre, e di conseguenza doveva conoscere tutto ciò che riguardava il Suo ufficio. Inoltre, Egli era infinita sapienza e
conosceva tutto quello che riguardava Se stesso”.
Ora, i protestanti non ammettono tutto quello che San Paolo insegna. Naturalmente, essi pretendono di seguirlo; ma ecco un punto che pongono in
questione: Paolo insegna che la pienezza della divinità risiedeva in Cristo,
corporalmente, e che in Lui c'erano tutti i tesori della sapienza e della co-
noscenza di Dio. Tuttavia, in quel momento non mi sovvenni di questo
passo (14).
Essi non ebbero praticamente nessuna risposta da opporre. Ma il procuratore generale annotò ogni parola e mi disse che tra breve l'avrebbe usata
contro di me, quando sarei stato citato per il processo (15). Ma non mantenne la promessa, perché io ero indegno di entrare nella casa di Dio. Nulla di contaminato può entrarvi. Ed io dovevo essere ancora purificato e
dovevo passare ancora molto tempo in esilio; solo allora, con l'aiuto di
Dio, potevo essere salvato, ma quasi passando tra il fuoco.
Questo interrogatorio avvenne durante il “Trinity Term” o periodo della
Trinità, come viene chiamato (16). Durante l'anno vi sono tre periodi in
cui i tribunali sono aperti e molta gente viene a Londra col suo seguito. A
motivo del maggiore afflusso di gente in città, si scelgono questi tre periodi per processare i preti che si è deciso di condannare a morte. Sembrava
allora che tale fosse il loro piano. Ma l'uomo propone e Dio dispone; ed
Egli aveva disposto differentemente, nel mio caso.
Questo periodo passò e sembrava che non ci fosse nessuna speranza di
processarmi in pubblico. Nel mio riposo forzato mi dedicai maggiormente
allo studio. Ma cominciai a pensare che mi tenevano lì perché intendevano
tagliarmi fuori dal mondo esterno e che questa era la ragione per cui mi
avevano trasferito in una prigione più rigorosa e più appartata (17).
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NOTE AL CAPITOLO XVI
1 Sullo stato di prostrazione di Edmund Campion dopo la tortura il Cardinale Allen
fornisce le stesse indicazioni. “Quando, il giorno successivo (dopo la tortura), il carceriere gli chiese come si sentisse le mani ed i piedi, egli rispose: "Non male, perché non
me li sento per nulla". E sentendosi le mani e i piedi intorpiditi, si paragonava ad un elefante che, una volta caduto, non riesce ad alzarsi. Quando poté reggere il pane, doveva tenerlo tra entrambe le palme delle mani ed egli si paragonava ad una scimmia.
Tanto era allegro nello spirito quest'uomo di Dio, nonostante tutte le sue sofferenze fisiche”. ALLEN, Edmund Campion, p. 14.
2 Nelle fatture della Torre si trovano numerose tracce delle spese di J. G.; eccone un
esempio: “A metà dell'estate 1597: John Gerrat, Gent. 12 aprile - San Giovanni Battista... vitto, guardiano, petrolio, bucato. 12 sterline, 11 scellini, 7 pence”. Tower Bills,
C.R.S., vol. IV, p. 233.
3 In giugno, J. G., adducendo lo stato precario della salute, chiese il permesso di fare
un po' di movimento all'aria aperta. La sua richiesta fu trasmessa a Cecil il 20 giugno
dal luogotenente Sir Richard Berkeley. “Gerrat, prigioniero nella Torre è malato e debole; mi ha importunato per ricevere l'autorizzazione di prendere aria su un muro presso la prigione. Mi si prega di avvertirvi, perché io sono il loro portavoce, come essi mi
chiamano. Quest'uomo ha bisogno di medicine”. Hat. Cal., VII, p. 260.
4 È interessante notare che J. G. riuscì in quello che risultò impossibile a Garnet. Nel
1606, quando Garnet stesso era prigioniero nella Torre, mandò sei lettere (Gunpowder
Plot Book, n. 241-246), scritte in parte con succo d'arance, che furono intercettate e
lette per intero dal luogotenente. Garnet fu ingannato dal suo guardiano che finse di essergli amico, offrendosi per consegnare le lettere ai suoi amici. Al contrario, questi le
portò al luogotenente, il quale, dopo averle lette, le fece copiare anche nella parte scritta con succo d'arance, e poi fece inviare queste copie alle persone alle quali erano indirizzate. Tutte queste persone, J. G. incluso, furono ingannate ritenendo di aver ricevuto
lettere originali e non lette.
5 William Wiseman.
6 Il Page rimase in prigione “dalla vigilia di Pentecoste [14 maggio] al 13 ottobre”
1597. C.R.S., vol. X, p. 1.
7 Page fu ucciso a Tyburn il 20 aprile 1602. J. G. sarebbe rimasto profondamente addolorato se avesse saputo che Padre Page, che gli era così profondamente affezionato,
era stato tradito e catturato ad opera dello stesso giovane, John Bird, la spia che aveva
ingannato anche lui, spillandogli una raccomandazione per entrare in un seminario all'estero. (Hat. Cal., XII, p. 265). La formula dei voti, con la quale Padre Page fu ammesso nella Compagnia e che egli firmò sul carro del supplizio prima di partire per la
prigione di Tyburn, è conservata nel collegio di Manresa a Roehampton.
8 Le visitatrici di J. G. furono quasi certamente Anne, contessa di Arundel, e la sua figlia Elizabeth, che aveva allora tredici anni. Dieci anni prima la contessa aveva visitato
William Weston a Clink in circostanze analoghe. J. G. rimase con lei nella primavera
del 1584 e Lillie fu ben conosciuto da lei come intermediario.
9 All'inizio di maggio del 1595 Charles Paget, un esiliato inglese, scrisse da Bruxelles
a Thomas Throgmorton, residente a Roma, che “erano state stabilite le esecuzioni dei
Padri Edmondes (William Weston), Walpole, Gerard e di Mr. Pound”.
10 Dalle “Sex Quaestiones” di George Abbot risulta che Francis Bacon non fu membro della giuria in questa occasione. La sua fortuna si era eclissata, dopo che gli erano
stati preferiti i suoi rivali Coke e Fleming, con grande disappunto del suo protettore
Essex. Aveva appena pubblicato in febbraio la sua prima raccolta dei saggi, e tentava
allora di conquistare la mano di Lady Elizabeth Hatton, nipote di Burghley; ma anche
in questo suo progetto fu battuto da Coke.
11 Anne Bellamy, che durante la sua prigionia fu rovinata da Topcliffe e da questo data in moglie a Nicholas Jones, sottoguardiano di Gate House. Troubles, II serie, pp.
61-64.
12 Per la difesa che Southwell fece del ricorso all'equivoco vedi appendice E.
13 Il rapporto ufficiale dell'interrogatorio aiuta a comprendere il pensiero di J. G. “Egli
afferma che un testimonio interrogato juridice e su faccende temporali, che non riguardino né la religione né i cattolici, non possa rispondere con l'equivoco”. STRYPE, Annals IV, ed. 1824, p. 428.
14 Si riferisce ai famosi versetti della lettera ai Colossesi, II,3.9. Questa franca precisazione dimostra come J. G. si aspettasse che la sua semplice narrazione fosse letta solo da intimi amici.
15 Questo documento fu mandato prima al dottor Abbot, direttore dell'University
College, ad Oxford, e più tardi all'arcivescovo di Canterbury. Egli fece di questo documento l'argomento della sua prima conferenza nella “School of Divinity” durante il
trimestre della festa di S. Michele. Questa conferenza fornisce i più ampi particolari
sull'interrogatorio di J. G. “A tutta prima, ciò che essi [gli interrogatori] avevano sentito sembrò riprovevole e blasfemo. Essi insistettero nel domandare e nel pregare istantemente che [J. G.] scrivesse sull'argomento il suo parere con parole proprie. Se questo, infatti, non fosse stato fermato sulla carta, si sarebbe potuto aggiungere, nella relazione, tutto un castello di inesattezze. Ma il gesuita cominciò a schermirsi in maniera
decisa. Non aveva nessuna intenzione di scrivere; e non perché quanto aveva detto non
rispondesse a verità, ma perché non voleva diffondere tali cose. Comunque, la commissione regia insisté perché egli aggiungesse per iscritto una nota ad una relazione
delle sue dichiarazioni, fatta da testimoni, cosicché fosse evidente che questa era realmente la sua difesa e quella del suo compagno [Southwell]. Ma si rifiutò di fare anche
questo. “Che uomini sofisticati essi sono! Con stupide e frivole restrizioni di significato o, piuttosto, con vergognose evasioni fanno di tutto per seppellire la verità in una
nube di caligine. 'Non vidi' significa 'non vidi con l'intenzione di raccontarvelo'. Il Figlio dell'Uomo non conobbe 'il giorno del giudizio' significa che 'Egli non lo conobbe
con l'intenzione o col proposito di renderlo noto o di rivelarlo'”. (Traduzione dal Latino).
Il piacevole incontro tra J. G. ed Abbot, raccontato più tardi, dimostra che questo libro
non venne mai nelle mani di J. G., sebbene egli ne avesse sentito alcune vaghe descrizioni.
Negli Annali di STRYPE, vol. IV, (ed. 1824), pp. 427-429, la lettera di Coke a Burghley è stampata insieme ad un estratto della relazione ufficiale che conferma l'esattezza della dichiarazione di Abbot. Coke si riferisce a “questa strana opinione di questi
preti infantili e di questi diabolici buoni padri” e dichiara che “egli [J. G.] fu richiesto
di porre per iscritto la sua opinione perché non fosse capita male. Ma egli rifiutò non
perché ciò non fosse vero, ma perché non voleva pubblicarlo. Allora fu inviato a firmarla ed egli rifiutò anche questo”. Il procuratore generale fece firmare dagli interrogatori la relazione di questa discussione, ma J. G. si rifiutò di firmare. Egli ritenne che
questi punti delicati di teologia morale non dovessero essere argomento di una popolare e pubblica discussione. Tanto J. G. quanto Padre Southwell fecero capire che questo
genere di discussioni era contro l'interesse pubblico: non era stato scelto da loro, ma
imposto dal governo.
Per la relazione dell'interrogatorio, vedere appendice E.
16 Esattamente il 13 maggio (cfr. una lettera di Coke a Burghley, STRYPE, Annals IV,
ed. 1824, p. 427). Il periodo della Trinità nel 1597 cominciò, infatti, il 23 maggio, dieci giorni dopo l'interrogatorio di J. G. Il rapporto ufficiale di questo interrogatorio è
stampato nell'appendice G.
17 Molto rimane ignoto circa i non-conformisti durante questo periodo ed è impossibile per ora spiegare la ragione del rimando dell'esecuzione di J. G., che era stata chiaramente decisa. Dal 21 febbraio 1595, quando Padre Southwell subì il martirio, nessun
prete fu ucciso a Londra fino al 12 luglio 1598, quando la vittima fu John Jones, amico
di J. G. Probabilmente come conseguenza della generale disapprovazione dell'esecuzione di Southwell, la regina espresse sei settimane dopo “l'intenzione di condannare
all'esilio i preti del seminario che si trovavano in diverse prigioni del regno”. (Acts of
Privy Council, vol. XXVII, p. 21). Questo potrebbe significare che la sanguinosa persecuzione fu sul punto di cessare a causa del comportamento risoluto dei sacerdoti e
dei laici cattolici
.
XVII. LA FUGA
4 ottobre 1597
Io feci del mio meglio per rassegnarmi alla volontà di Dio ed accettare tutte le restrizioni che mi furono imposte.
Era l'ultimo giorno di luglio, festa del nostro beato Padre (1). Stavo facendo la meditazione ed ero assillato dal desiderio di poter celebrare di nuovo
la Messa, quando improvvisamente mi venne in mente questo pensiero:
avrei potuto celebrarla nella cella di un gentiluomo cattolico che si trovava
nella Torre di fronte a me. Tra la sua cella e la mia c'era soltanto un giardino (2).
Egli era lì prigioniero da dieci anni e sul suo capo pendeva la condanna di
morte; ma la sentenza non era stata eseguita. Soleva salire ogni giorno sul
terrazzo sopra la sua cella, dove gli veniva concesso di passeggiare per fare un po' di movimento. Di lì era solito salutarmi ed attendere in ginocchio
la mia benedizione.
Quando, più tardi, tornai a considerare la mia idea, pensai che ciò si poteva fare solo se il carceriere si lasciava convincere a lasciarmi andare da
lui. La moglie di questo gentiluomo poteva visitarlo in giorni stabiliti per
portargli la biancheria pulita e le altre cose di cui abbisognava. Ella le portava in un cesto, e, siccome lo faceva da anni, i carcerieri avevano perso
l'abitudine di esaminare il contenuto (3). Col suo aiuto, io speravo di poter
procurare a poco a poco tutto l'occorrente per la Messa. Naturalmente, l'avrebbero fornito i miei amici.
Decisi di tentare. Così feci segno a quel signore di osservare i gesti che
stavo per fargli: non osavo chiamarlo perché la distanza era rilevante e potevo essere facilmente ascoltato. Egli mi fissò mentre prendevo carta e
penna e fingevo di scrivere; quindi, avvicinai la lettera ai carboni accesi e
la sollevai di nuovo tenendola tra le mani, come se dovessi leggerla; avvolsi, infine nel foglio una delle mie croci e feci il gesto di volerlo mandare a lui. Mi sembrava che egli seguisse ciò che cercavo di fargli comprendere.
La mossa successiva fu quella di indurre il carceriere a portare una delle
mie croci o rosari al mio buon compagno di prigionia perché lo stesso
uomo sorvegliava entrambi. Dapprima, egli rifiutò, dicendo che non poteva rischiare, in quanto non aveva alcuna prova da cui risultasse che ci si
poteva fidare dell'altro.
“Se quell'uomo dicesse qualcosa a sua moglie e se questo qualcosa venisse
risaputo, sarebbe finita per me”, disse.
Ma io lo incoraggiai, dicendo gli che ciò era molto improbabile. Quindi
gli misi in mano un po' di danaro, come sempre ero solito fare, ed egli acconsentì. Prese la lettera e la consegnò, ma il gentiluomo non scrisse nulla
di risposta, come gli avevo chiesto di fare. Il giorno successivo, quando
venne fuori per la passeggiata sul terrazzo, mi ringraziò a gesti, tenendo
tra le mani la croce che gli avevo mandato.
Siccome, tre giorni dopo, non aveva ancora risposto, cominciai a sospettarne il motivo. Così, ripetei con grande precisione tutta la serie dei segni
mostrandogli come io spremessi il succo di un'arancia ed intingessi la
penna in quel succo e infine, per far comparire la scrittura, avvicinassi la
carta al fuoco. Questa volta comprese: avvicinò la lettera al fuoco e la lesse. Nella risposta mi disse quello che egli aveva capito la prima volta.
Credeva che gli avessi detto di bruciare la carta, perché vi avevo scritto alcune parole a matita, ed egli l'aveva fatto.
Rispose alla mia domanda, dicendosi convinto che il piano era realizzabile, purché il carceriere mi permettesse di visitarlo in serata e di passar con
lui tutto il giorno seguente. Sua moglie avrebbe portato tutto il necessario
per la Messa, se questo le fosse stato consegnato.
Quindi passai a sondare il carceriere; mi avrebbe permesso di andare a visitare il mio compagno di prigione una sola volta? Gli dissi che desideravo
pranzare con lui e promisi di fargli prendere parte al festino. Egli rifiutò
recisamente. Temeva che mi si vedesse attraversare il giardino o che il
luogotenente dovesse scegliere proprio quel giorno per farmi visita. Ma io
gli feci osservare che ciò non era mai capitato e che era molto difficile che
avvenisse e, per porre termine alla questione, ricorsi all'argomento del denaro. Gli promisi di pagarlo in contanti per i suoi buoni uffici. Egli acconsentì.
Fissai il giorno della festa della Natività della Madonna (4). Nel frattempo
disposi che la moglie del prigioniero si recasse in un certo posto della città. Ivi avrebbe incontrato John Lillie, che, seguendo le istruzioni contenute
nella mia lettera, le avrebbe consegnato tutto l'occorrente per la Messa.
Avevo detto a Lillie di procurare un certo numero di particole ed una pisside, poiché desideravo conservare il SS. Sacramento.
Lillie procurò ogni cosa e la donna portò tutto entro la prigione.
Quando calò la notte, andai col mio guardiano e rimasi con quel signore
tutta la notte ed il giorno seguente. Secondo la promessa che avevamo fatto al carceriere, non una parola fu detta alla moglie del signore.
Quella mattina celebrai la Messa. Io sentii una grandissima consolazione e
diedi la comunione a quel nobile confessore di Cristo che era rimasto per
tanti anni senza tale conforto. Consacrai inoltre ventidue particole che riposi in una pisside insieme ad un corporale e che portai con me nella mia
cella. Così rinnovai in seguito il divino banchetto per molti giorni con una
gioia e con un diletto rinnovellati.
Quella sera, mentre attraversavo il giardino, non pensavo minimamente alla fuga. Avevo pensato unicamente al Signore Gesù, raffigurato come Nostro Redentore nel pane di Elia cotto sotto la cenere, affinché mi desse la
forza ed il coraggio di cui avevo ancora bisogno, per compiere il resto del
mio arduo cammino verso la montagna del Signore. Ma, mentre passavamo insieme la giornata successiva, rimasi colpito dalla vicinanza di quella
torre al fossato che circondava le fortificazioni esterne, e pensai che sarebbe stato possibile ad un uomo calarsi con una fune dal tetto della torre sul
muro situato al di là del fossato. Chiesi al gentiluomo che ne pensasse.
“Sì, si potrebbe farlo facilmente, disse, solo che avessimo alcuni amici veramente fidati, disposti a correre il rischio di aiutarci”.
“Gli amici non mancano davvero, risposi, purché la cosa sia realizzabile e
purché ne valga veramente la pena”.
“Per quanto mi riguarda, disse, sono dispostissimo a fare il tentativo. Sarei
molto felice se potessi vivere nascostamente con i miei amici, con la consolazione dei sacramenti e con piacevoli compagni, invece di passare i
miei giorni come un romito tra queste quattro mura”.
“Bene, dissi. Adesso pregheremo per questo e intanto sottoporrò la cosa al
mio superiore e farò tutto quello che egli giudicherà opportuno”.
Quindi, per tutto il tempo che passammo insieme, discutemmo sui particolari del piano che avremmo seguito, se avessimo deciso di effettuare il tentativo.
Quella notte, quando ritornai nella cella, scrissi al mio superiore tramite
John Lillie e gli esposi i particolari del piano. Padre Garnet rispose che naturalmente avrei dovuto tentarlo, solo che non dovevo rischiare l'osso del
collo nella discesa.
Scrissi poi al mio ospite primitivo (5) e gli comunicai che stavamo per
tentare la fuga e lo invitai a riferire la cosa al minor numero possibile di
persone. Se il piano veniva risaputo tutto sarebbe sfumato. Quindi chiesi a
John Lillie e a Richard Fulwood (allora si trovava al servizio di Padre
Garnet) se essi fossero disposti a rischiare e, se lo fossero, di portarsi in
una notte stabilita sotto il lato estremo del fossato, di fronte alla torre bas-
sa che avevo descritto, vicino al luogo in cui era stato catturato Mr. Page.
Essi avrebbero dovuto portare con sé una fune ed assicurarla ad un palo;
noi ci saremmo trovati sul terrazzo della torre ed avremmo gettato loro una
palla di ferro legata ad uno spago resistente, come quello usato per legare
le balle. Nell'oscurità avrebbero dovuto udire il rumore della palla al contatto del suolo, trovare lo spago ed annodarlo al capo libero della fune. Ciò
fatto noi avremmo issato la fune, tirando l'altro capo della corda che tenevamo nelle nostre mani. Dissi loro di appuntarsi un pezzo di carta bianca o
un fazzoletto sul petto della giacca, perché volevamo esser sicuri della loro
identità prima di gettare la corda. Inoltre, essi avrebbero dovuto portare
una barca a remi in modo che ci potessimo allontanare immediatamente.
Quando tutto fu disposto e fu fissata la notte, il mio vecchio ospite fu preso da timore per il rischio in cui mi stavo mettendo. Volle che prima tentassi di vedere se fosse possibile indurre il carceriere, dietro lauto compenso, a farmi uscire di prigione, cosa che avrei potuto fare facilmente indossando abiti presi in prestito. Quindi, a nome di un mio amico, John Lillie
offrì al carceriere mille fiorini in contanti ed un vitalizio annuo di cento
fiorini. Il carceriere non volle saperne. Se avesse accettato, disse, sarebbe
diventato un fuorilegge per il resto della vita; e se fosse stato catturato, sarebbe stato impiccato. Così l'idea fu abbandonata e ritornammo al nostro
piano primitivo.
Io sollecitai fervide preghiere da parte di tutti quelli che furono informati
del segreto. Un signore erede di un grande patrimonio fece voto di digiunare un giorno alla settimana per tutta la vita, se riuscivo a mettermi in
salvo.
Venne la notte. Dopo aver ricevuto del danaro, il guardiano mi permise di
andare a visitare il mio compagno di prigione. Andai. Ci rinchiuse entrambi nella cella, sbarrò la porta, come sempre faceva, e se ne andò. Ma
aveva sprangato anche la porta interna che dava sulla scala che conduceva
al terrazzo; perciò noi fummo costretti a togliere con un coltello la pietra
che bloccava il chiavistello: non c'era altra via d'uscita.
Alla fine ci arrampicammo silenziosamente su per la scala senza lume,
perché una guardia era piantonata ogni notte nel giardino ai piedi del muro; e quando parlavamo, lo facevamo appena bisbigliando.
A mezzanotte vedemmo avvicinarsi la barca con i nostri amici. John Lillie
e Richard Fulwood erano ai remi ed una terza persona sedeva al timone.
Era il mio vecchio guardiano di Clink che ci aveva procurato la barca.
Mentre essi si avvicinavano e si preparavano a sbarcare, uscì un uomo da
uno dei poveri abitacoli lungo la riva per fare qualche cosa. Quando egli
vide la barca avvicinarsi cominciò a parlare con gli uomini, pensando che
fossero pescatori.
Quindi si ritirò a dormire. Ma i nostri liberatori ebbero timore di sbarcare,
finché non fosse passato un tempo sufficiente perché quello si addormentasse. Così presero a vogare lentamente su e giù, ma intanto il tempo passava e si fece troppo tardi per compiere un tentativo quella notte.
Essi ritornarono indietro verso il ponte, ma intanto la corrente era cambiata e fluiva vorticosamente. Essa sbatté la piccola imbarcazione contro i piloni gettati sul letto del fiume per infrangere la violenza delle acque. La
barca si incagliò e non si poté spostare né avanti né indietro. Intanto l'acqua saliva e sbatteva la barca con tale veemenza, che ad ogni ondata sembrava che si dovesse capovolgere e che gli occupanti dovessero precipitare
in acqua. Ad essi non rimase altro che pregare Dio e chiedere aiuto (6).
Noi eravamo sul tetto della torre e udivamo le loro grida. Giunsero degli
uomini sulla riva e li potevamo scorgere alla luce delle loro torce. Accorsero alle loro barche e partirono al salvataggio. Diverse barche giunsero vicinissime, ma gli uomini ebbero paura di abbordare, perché la corrente era
troppo forte. Formando un semicerchio intorno alla barca in pericolo, rimasero come spettatori ad osservare quei poveretti senza osare soccorrerli.
Tra tutte quelle grida, riconobbi la voce di Richard Fulwood.
“Li riconosco, dissi. Sono i nostri amici in pericolo”.
Il mio compagno non voleva credere che io potessi distinguere la voce di
qualcuno a tale distanza (7), ma io la riconobbi fin troppo bene e mi sentii
distrutto al pensiero che uomini tanto devoti stessero rischiando la vita per
me.
Pregammo fervidamente per loro. Sebbene avessimo osservato molte persone accorrere in loro aiuto, non erano ancora in salvo. Quindi osservammo una luce abbassarsi dal parapetto del ponte ed una specie di cesto pendere all'altro capo di una fune. Se essi riuscivano ad entrarci, potevano essere issati. Dio soccorse i suoi servi in pericolo, e alla fine giunse una
grossa imbarcazione di mare con sei marinai a bordo. Questi si accostarono in maniera pericolosa alla barca beccheggiante e trassero sul ponte Lillie e Fulwood. Quindi la piccola barca si capovolse immediatamente, prima che il terzo uomo potesse essere soccorso, quasi che si fosse tenuta alla
superficie per riguardo dei cattolici che portava. Comunque, per misericordia di Dio, l'uomo che era stato rovesciato in acqua riuscì ad afferrare
la fune calatagli dal ponte; e così fu tratto in salvo.
Tutti i salvati furono poi condotti alle loro case.
Il giorno successivo John Lillie mi mandò una lettera, come al solito, tramite il carceriere. Mi sarei potuto ragionevolmente aspettare che mi dicesse qualcosa del genere: “Ora sappiamo, ed il pericolo della notte scorsa ce
lo ha dimostrato, che Dio non vuole che insistiamo nell'impresa della fuga”. Ma fu proprio il contrario. La lettera cominciava: “Non fu disegno di
Dio che dovessimo riuscire la notte scorsa, ma ci ha misericordiosamente
sottratti al pericolo: Egli ha soltanto rimandato il giorno. Con l'aiuto di
Dio torneremo questa notte”.
Tanta determinazione e i sentimenti devoti dell'uomo rassicurarono il mio
compagno. Egli si sentiva certo che saremmo riusciti. Ma io incontrai una
grande difficoltà nell'ottenere dal carceriere il permesso di passare una seconda notte fuori della mia cella; inoltre temevamo moltissimo che avrebbe notato la pietra spostata quando, in serata, sarebbe venuto a sbarrare la
porta. Tuttavia non se ne accorse.
Frattanto avevo scritto tre lettere che intendevo lasciare nella cella. La
prima era indirizzata al mio carceriere, per giustificarmi di aver organizzato la fuga a sua insaputa. Dissi che avevo soltanto esercitato i miei diritti:
non avevo commesso alcun delitto ed ero ingiustamente trattenuto in prigione. Gli dissi che lo avrei ricordato sempre nelle mie preghiere, se non
avessi avuto altro modo di aiutarlo. Lo scopo di questa lettera era quello di
ridurre la sua responsabilità, nel caso che fosse imprigionato per la nostra
fuga.
La seconda era indirizzata al luogotenente. In questa lettera tornavo a scusare il carceriere, protestando davanti a Dio che egli non era al corrente
della mia fuga e che non l'avrebbe mai permessa, se ne fosse venuto a conoscenza. A prova di ciò, menzionai l'offerta allettante che gli avevamo
fatto e che aveva rifiutato. Quanto al permesso di andare dalla mia cella ad
un'altra, lo avevo estorto solo con le suppliche più insistenti e sarebbe stato ingiusto mandarlo a morte per questo.
Indirizzai la terza lettera ai lord del consiglio. In primo luogo enumerai i
motivi che avevo di recuperare la libertà che mi apparteneva per diritto.
Non l'avevo fatto semplicemente per amore di libertà, ma per amore delle
anime, quelle anime che andavano quotidianamente perdute in Inghilterra.
Desideravo evadere per strapparle al peccato e all'eresia. Per quanto riguardava gli affari di Stato, essi conoscevano il mio ineccepibile passato e
potevano esser sicuri che non l'avrei macchiato in futuro. Finalmente protestai e provai che né il luogotenente né il carceriere potevano essere accu-
sati di connivenza e di consenso. Essi non avevano saputo niente: la mia
fuga era dovuta interamente alla mia iniziativa ed a quella dei miei amici”.
Lasciai queste lettere affinché fossero raccolte dal guardiano. Scrissi anche
un'ultima lettera che portai con me. Questa fu consegnata al guardiano
(come apprenderete) il mattino seguente, ma non da John Lillie.
Al momento opportuno ci recammo sulla torre. La barca si avvicinò. Questa volta non interferì nessuno ed essa si accostò placidamente alla riva.
Lo scismatico rimase a bordo, mentre i due cattolici sbarcarono recando
una nuova fune, giacché avevano gettato la vecchia nel fiume quando s'erano trovati in pericolo la notte precedente. Seguendo le mie istruzioni, la
assicurarono ad un palo e quindi attesero il rumore della palla di ferro che
noi lanciammo verso di loro. Essa fu rintracciata senza difficoltà e la corda fu annodata all'altro capo della fune. Ma risultò molto difficile tirarla su
giacché essa era più spessa e, per giunta, doppia. Tali erano state le istruzioni di Padre Garnet, il quale li aveva messi in guardia dal pericolo che la
fune si rompesse sotto il peso del mio corpo. Ma in realtà egli aveva accresciuto il pericolo.
Sorse inoltre una nuova difficoltà, che noi non avevamo previsto. La distanza tra la torre, da una parte, ed il palo, dall'altra, era molto grande e la
fune, invece di scendere quasi perpendicolarmente, si tendeva quasi orizzontalmente tra i due punti. Dovevamo, quindi, discendere a forza di braccia lungo la fune. Era impossibile scivolare per inerzia. Questo lo scoprimmo perché avevamo fatto un fagotto, avvolgendo nel mio mantello i
miei libri e le altre cose, e lo avevamo adagiato sulla fune per vedere di
farlo scivolare lungo di essa. La cosa non era riuscita; ma, fortunatamente,
il fagotto si fermò prima ancora che si sottraesse alla portata delle nostre
braccia, giacché, se si fosse fermato oltre, noi non saremmo mai più discesi. Perciò lo tirammo su e lo abbandonammo sul posto (8).
Il mio compagno, intanto, aveva cambiato opinione: aveva sempre sostenuto che sarebbe stata la cosa più semplice del mondo calarci giù, ma adesso cominciava a vederne il rischio.
“Comunque, se rimango qui, sarò certamente impiccato, disse. Se adesso
rigettiamo la fune, essa cadrà nel fossato ed il rumore dell'acqua tradirà
noi ed i nostri amici. Io vado giù e Dio mi aiuti. Preferisco afferrare questa
occasione che restarmene qui rinchiuso senza alcuna speranza”.
Così formulò una preghiera e si aggrappò alla fune. Egli si calò abbastanza facilmente perché aveva molta forza e la fune era ancora tesa. Ma la sua
discesa allentò la fune rendendo molto più ardua la mia. Di ciò mi accorsi
solo quando cominciai a discendere.
Mi raccomandai a Dio ed a nostro Signore Gesù, alla Beata Vergine, al
mio angelo custode e specialmente a Padre Southwell, che fu imprigionato
qui vicino finché non fu condotto al martirio (9); mi raccomandai infine a
Padre Walpole ed a tutti i nostri martiri. Afferrai la fune con la mano destra e poi con la sinistra. Per evitare di cadere incrociai le gambe intorno
alla fune in maniera che essa fosse libera di scivolare tra i miei stinchi.
Avevo percorso appena tre o quattro yarde con il viso rivolto verso il basso, quando improvvisamente il mio corpo si capovolse sotto il suo stesso
peso e fui sul punto di precipitare. Ero ancora molto debole e con la fune
allentata ed il corpo penzolante all'ingiù praticamente non potevo continuare la discesa. Con molto sforzo, riuscii a portarmi fino a metà della fune, ma lì mi fermai. Le forze mi stavano venendo meno ed il respiro, che
era già breve all'inizio, sembrava del tutto spento.
Alla fine, con l'aiuto dei santi e, penso, per l'efficacia delle preghiere dei
miei amici che di sotto mi tendevano la fune, guadagnai qualche metro;
ma dopo mi fermai di nuovo. A quel punto pensai che non sarei mai stato
capace a continuare. Ma io ero determinato a non cadere nel fossato finché
fossi ancora in grado di tenermi alla fune. Tentai di recuperare a poco a
poco le forze e così, usando delle gambe e delle braccia come meglio potevo, riuscii, grazie a Dio, a raggiungere il muro sul lato esterno del fossato. Ma i miei piedi toccavano appena la cima del muro mentre il resto del
corpo penzolava orizzontalmente, con la testa sullo stesso piano dei piedi:
tanto si era allentata la fune. Proprio non so come avrei potuto guadagnare
il muro, se non fosse stato per John Lillie. In qualche modo (non è mai
riuscito a dirmi come abbia fatto) egli salì sul muro, mi afferrò per i piedi,
mi tirò sopra e mi depose sano e salvo a terra. Non riuscivo a stare in piedi, tanto ero stanco. Per ristorarmi mi diedero un po' di cordiale e qualcosa
che avevano avuto la precauzione di portare con sé; così potei raggiungere
la barca. Prima di imbarcarci, essi slegarono la fune dal palo, ne tagliarono
una parte e lasciarono che il resto pendesse lungo il muro della torre. Il nostro piano primitivo era quello di tirarla giù del tutto e per questo l'avevamo passata intorno ad un grosso cannone situato sul terrazzo senza annodarla. Ma provvidenzialmente non riuscimmo a districarla; se lo avessimo
fatto, essa sarebbe caduta nel fossato con un grande rumore di acqua e noi
ci saremmo trovati nei guai.
Salimmo sulla barca e ringraziammo Dio, “che ci aveva sottratti dalle mani dei nostri persecutori ed aveva deluso le aspettative dei protestanti”.
Ringraziammo, inoltre, gli uomini che avevano sfidato per noi tanti pericoli.
Remammo per un buon tratto prima di avvicinare a riva la barca. Quindi
mandai il mio compagno di prigione con John Lillie a casa mia, che era
ancora custodita dalla santa vedova Mrs. Line, mentre io presi Richard
Fulwood e mi recai con lui in casa di Padre Garnet (10). Quando giungemmo nei sobborghi della città, trovammo i cavalli pronti per noi. Li teneva “Little John”, servo di Padre Garnet; prima che spuntasse l'alba, “Little John” ed io eravamo in sella.
A quel tempo, Padre Garnet era in campagna (11). Cavalcammo direttamente alla volta della sua abitazione e pranzammo con lui. La gioia era
grande. Noi tutti ringraziammo Dio perché ero sfuggito dalle mani dei
miei nemici nel nome del Signore.
Frattanto avevo mandato Richard Fulwood in un luogo che avevamo scelto in precedenza. Ivi doveva portare un cavallo e tenersi pronto a fuggire
col mio carceriere, qualora egli fosse stato disposto a partire subito. Come
ho già detto, avevo scritto una lettera che doveva essere consegnata al carceriere, quando questi si sarebbe recato per il suo consueto incontro mattutino con John Lillie. Quel mattino, però, non fu Lillie a venire. Io gli avevo ordinato di non aggirarsi fuori di casa, finché la tempesta che avevamo previsto non fosse cessata. Al suo posto scelsi un altro messaggero
che il mio carceriere conosceva. Naturalmente, fu sorpreso di trovare un
altro uomo, tuttavia non disse nulla. Ma proprio mentre si voltava per andare a consegnare, come riteneva, la lettera nella maniera consueta, il messaggero lo afferrò.
“La lettera è per voi e per nessun altro”, disse.
“Per me? Chi la manda?”.
“Un amico, rispose l'altro, ma non so chi sia”.
Il carceriere ammutolì.
“Ma io non so leggere. Se è urgente, leggetemela, per favore”.
L'uomo lesse la lettera che aveva portato. In essa informavo il carceriere
che ero fuggito di prigione e, al fine di calmarlo, gli spiegavo brevemente
perché avevo fatto così. Quindi feci rilevare che, sebbene non ne fossi obbligato giacché avevo messo in atto i miei diritti, tuttavia avrei provveduto
alla sua salvezza. Egli era stato sempre fedele nei suoi servizi e adesso lo
avrei aiutato. Se voleva salvar la pelle, avevo un uomo pronto con un cavallo, per portarlo in luogo sicuro ad una discreta distanza da Londra. Gli
avrei assegnato duecento fiorini annui ed egli avrebbe potuto condurre una
vita decorosa. Aggiunsi però questa condizione: se egli accettava l'offerta,
doveva sistemare subito i suoi affari nella Torre e riparare immediatamente nel luogo in cui il mio messaggero l'avrebbe condotto. Stava proprio
tornando alla Torre per sistemare le sue faccende e per porre in salvo sua
moglie, quando un suo collega carceriere gli corse incontro.
“Dileguati quanto prima, disse. I tuoi prigionieri sono fuggiti dalla piccola
torre. Il luogotenente sta facendo battere il posto per scovarti. Se ti acciuffa, Dio ti aiuti”.
Tutto tremante, l'uomo rincorse il messaggero. Lo pregò per l'amor di Dio
di condurlo nel luogo in cui c'erano i cavalli ad aspettare. Il messaggero lo
condusse e trovò Richard Fulwood che aspettava con due cavalli. Si posero in cammino e Richard lo condusse nella casa di un mio amico a circa
cento miglia da Londra. Avevo già spedito una lettera a questo gentiluomo, per chiedergli se sarebbe stato così gentile da ospitare il carceriere e
da proteggerlo, nel caso che fosse venuto. Lo esortai tuttavia a non fidarsi
di lui, né a fargli sapere che egli mi conosceva. Richard Fulwood, dissi, gli
avrebbe rimborsato tutte le spese. Se il carceriere voleva parlare di me e
dei suoi affari, egli doveva rifiutare di ascoltarlo.
Tutto andò come avevano previsto. Il mio amico non fu minimamente molestato ed il carceriere rimase al sicuro nella sua casa. Dopo un anno egli si
trasferì in un'altra contea. Ivi divenne cattolico e visse tranquillamente con
la sua famiglia, grazie al vitalizio annuo che gli inviavo regolarmente secondo la promessa, ed ivi morì quattro o cinque anni dopo. Con questa fuga per salvare la vita, Dio lo aveva sottratto alla tentazione di peccare e,
come spero, gli ha dato un posto in Cielo. Quando ero in prigione, sovente
avevo provato la sua fede: la sua intelligenza era convinta, ma non potevo
operare sulla sua volontà. Spero che la mia fuga dalla prigione sia stata,
nelle disposizioni di Dio, occasione della sua fuga dall'inferno.
Quando il luogotenente scoprì che i suoi prigionieri ed il loro guardiano
erano fuggiti, si presentò al Consiglio, portando con sé le lettere che avevo
lasciato. I lord del Consiglio rimasero stupiti della maniera in cui ero fuggito. Uno di loro, un consigliere influente, disse ad un gentiluomo suo dipendente (come in seguito mi fu riferito) che egli era lieto della mia fuga.
Il luogotenente chiese l'autorizzazione per iniziare le ricerche in tutta Londra ed in tutti i luoghi sospetti, ma gli altri gli risposero che sarebbe stato
inutile (12).
“Non potete sperare di trovarlo, dissero. Se ha amici che sono disposti a
fare tutto questo per lui, potete starne sicuro, non avranno difficoltà a pro-
curargli cavalli e nascondigli ed a tenerlo ben lontano dal vostro guinzaglio”.
Fu effettuata una perquisizione in uno o due luoghi. Da quel che mi risulta, non fu preso nessuno degno di rilievo (13).
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NOTE AL CAPITOLO XVII
1 S. Ignazio, fondatore della Compagnia di Gesù. Egli fu beatificato il 27 luglio 1609,
l'anno in cui scriveva J. G. Egli non fu canonizzato che il 12 marzo 1622.
2 John Arden, che fu imprigionato nella Cradle Tower, nel lato opposto al giardino
privato della regina. John Arden era un gentiluomo di Northants ed apparteneva ad una
ben nota famiglia di Brookley. Fu condannato nel 1587 per pretesa complicità nel
complotto di Babington. Northants Record Society, Finch-Hatton MSS 124, fol. 32.
3 John Arden fu arrestato da Richard Jackson nel gennaio 1587 e fu portato a Windsor
(P.R.O., Treasury Chamber Accounts, 28 gennaio 1587). Durante la sua prigionia
John Lamer, il musicista della regina, godette della sua proprietà, (C.S.P.D., 15981601, p. 94). Nel luglio 1590 sua moglie ottenne il permesso di visitarlo una o due volte la settimana. (Acts of the Privy Council, vol. 19, p. 363).
4 L'8 settembre 1597.
5 William Wiseman.
6 Si trattava del famoso Old London Bridge aperto nel 1209. Misurava 926 piedi di
lunghezza ed aveva 19 archi sostenuti da grandi piloni che ostruivano il flusso del fiume. L'esistenza di macchine idrauliche aumentava i rischi del passaggio. Si diceva che
i savi andavano sopra il ponte, e che i pazzi ci passavano sotto. Il ponte attuale, che
sostituì quello vecchio nel 1831, fu costruito circa sessanta metri più ad ovest.
7 La distanza era di circa mezzo miglio.
8 Non avevano tenuto conto dell'altezza del muro oltre il fossato che impediva L'inclinazione della corda. Poiché J. G. non aveva osato mostrarsi di giorno non aveva potuto
fare un calcolo preciso.
9 Padre Southwell fu imprigionato nella Lanthorn Tower, all'angolo del giardino privato della regina, di fronte alla Cradle Tower.
10 A Spitalfields.
11 Ad Uxbrigde. Padre Tesimond, che sbarcò in Inghilterra nel 1597, dice che Padre
Garnet viveva a quel tempo in un casa chiamata Morecroftes. “Questa era situata a
dodici o tredici miglia da Londra, vicino ad un villaggio chiamato Uxbridge e la casa si
chiamava Morecroftes. Io ed il mio compagno ci avviammo a quella volta e vi giungemmo un'ora o due prima del tramonto. Fummo ricevuti con la più calorosa accoglienza e con la più grande cordialità che si potesse immaginare. Con Padre Henry trovai due o tre altri padri della Compagnia che erano venuti a conferire con lui sui loro
affari. Erano soliti fare così, ora l'uno ora l'altro”. La narrazione del suo sbarco in Inghilterra si trova in Troubles, I, p. 177. Morecroftes venne più tardi in possesso di Robert Catesby. È interessante notare come questo tipo di casa disegnata per nascondere
con facilità i preti passava da un padrone cattolico all'altro.
12 “5 ottobre 1597. Questa notte sono evasi dalla Torre due prigionieri, cioè John Arden e John Garret. L'evasione avvenne poco prima del giorno, perché quando andai
nella camera di Arden al mattino trovai che nella sua penna c'era l'inchiostro fresco.
L'evasione avvenne così. Il carceriere, un certo Bennet, condusse Garret nella camera
di Arden quando tolse le chiavi, e dalla camera di Arden per mezzo di una lunga corda
legata sopra il fossato a un palo scivolarono in basso sulla banchina della Torre. Anche
Bennet è andato via questa mattina e quando s'aprivano i cancelli... Ho dato l'allarme a
Gravesend e al Sindaco di Londra perché sia fatta una perquisizione in Londra e in tutte le franchigie”. Sir John Peyton, luogotenente della Torre di Londra al Consiglio privato. Hat. Cal., VII, pp. 417-18.
13 Quando nel dicembre nell'anno seguente Padre William Weston fu trasferito da Wisbeach nella Torre, fu subito chiamato a giudizio da Sir John Peyton e fu sottoposto ad
un serrato interrogatorio per dare informazioni sul nascondiglio di J. G. “Finalmente
raggiungemmo la Torre e fummo portati davanti al luogotenente. Ci fece molte domande riguardanti specialmente Padre Gerard che era fuggito pochi mesi prima. Egli
disse che avrebbe dato una grande somma di denaro a colui che lo avrebbe di nuovo
catturato”. William Weston (ed. Philip Caraman), c. 21.
XVIII. LONDRA E HARROWDEN
Per alcuni giorni restai tranquillamente presso Padre Garnet. Desideravo
recuperare le forze e lasciare che il tempo dissipasse le voci sollevate dalla
mia fuga. Allora i miei ospiti, nonché amici fedelissimi, mi pregarono di
andare a stare con loro nella casa di Londra (1), vicino alla mia seconda
prigione, giacché essi abitavano ancora lì. Accettai l'invito e rimasi al sicuro presso di loro. Ricevevo tuttavia solo pochi visitatori e mi limitavo
ad uscire di notte, precauzione, questa, che prendevo quasi sempre a Londra. In quel periodo feci visita solo ad alcuni dei miei migliori amici (2).
Tuttavia, visitai la mia casa che era affidata alle cure di Mrs. Line, la futura martire. Ivi viveva ancora Mr. Robert Drury, un altro futuro martire. A
quel tempo offrii rifugio ad un gentiluomo, che era stato cappellano del
conte di Essex nella spedizione contro la Spagna quando fu occupata Cadice (3).
Era un uomo dotto e parlava diverse lingue. Per diventare cattolico, aveva
declinato numerose offerte di alte promozioni nella sua chiesa. Egli aveva
già provato la prigione e quando gli fu offerta la possibilità di evadere, gli
dissi che poteva rifugiarsi in casa mia.
Mi presi cura di lui per due o tre mesi. Durante questo tempo gli dettai gli
Esercizi Spirituali ed egli si decise ad entrare nella Compagnia. Era un
uomo che era stato nutrito, per così dire, al seno di Calvino. Aveva passato
la vita nelle armi ed era abituato ad imporre la sua volontà agli altri.
Quando manifestò la sua intenzione, gli chiesi di dirmi francamente perché mai scegliesse la Compagnia quando sapeva, o doveva sapere, che ciò
significava il contrario di quello a cui era abituato.
“Tre sono le ragioni principali, rispose, che mi hanno indotto a prendere
questa decisione. Prima, il fatto che gli eretici e tutti i nemici di Dio detestano la Compagnia più di ogni altra istituzione. Ritengo che ciò avvenga
perché essa possiede lo spirito di Dio che il demonio non può sopportare e
perché, nei piani della Provvidenza di Dio, essa è destinata a distruggere
l'eresia ed a combattere ogni genere di peccato. La seconda è la seguente.
La Compagnia non permette ai suoi membri di accettare promozioni ecclesiastiche. Perciò è poco probabile che in essa alligni l'ambizione e, poiché i suoi uomini migliori non le vengono sottratti, essa si trova in condizioni di mantenere una tradizione di santità e di cultura. In terzo luogo, essa ha un culto speciale per l'obbedienza. Questa è infatti la virtù che classifico per prima sia in sé stessa, sia per il bene che può recare alle anime.
Tutto procederà in ordine in una comunità di uomini, che siano perfettamente uniti nei loro propositi sotto la direzione di Dio”.
Queste furono le sue ragioni per entrare nella Compagnia, perciò lo mandai in Belgio da Padre Holt, pregandolo di aiutarlo a proseguire per Roma.
Gli diedi trecento fiorini per le spese (4).
Prima di abbandonare la casa, dettai gli Esercizi a diverse altre persone.
Una di queste fu Mr. Woodward, un prete buono e devoto. Anch'egli desiderava entrare nella Compagnia e si trasferì per questo in Belgio. Ma a
quel tempo c'era grande scarsità di preti inglesi nell'esercito ed egli fu
temporaneamente destinato a quell'apostolato. Morì sul campo, molto amato e rispettato da chiunque lo conoscesse (5).
Mantenni la mia casa solo per un po' di tempo, dopo la fuga. Durante la
mia prigionia la gente vi era accorsa con un afflusso di gran lunga maggiore di quanto io stesso avrei tollerato, se fossi stato libero. Troppe persone, infatti, la conoscevano. Ma la ragione principale che mi spinse ad
abbandonarla fu che essa era nota all'uomo che era responsabile del mio
trasferimento nella Torre (6). Questi si era detto spiacente di quello che
aveva fatto ed io lo avevo perdonato volentieri e sentivo per lui la stessa
affezione di prima. Poco dopo la mia fuga egli venne rilasciato ed appresi
che non godeva una grande stima presso le persone con le quali viveva.
Ritenni, quindi, poco saggio tenere una tale persona al corrente di un segreto al quale era affidata la salvezza di tanta gente. Anche Mrs. Line, che
era donna di grande prudenza e di grande buon senso, fu dello stesso parere. Perciò le trovammo un'altra casa in cui continuare il suo buon lavoro.
Poco tempo prima, era cominciato un movimento di opposizione contro
l'Arciprete. Questo prelato era stato nominato da Roma per garantire una
certa subordinazione ed un minimo di direzione tra il clero inglese. Ma un
gruppo di preti irrequieti fece il possibile per misconoscere il decreto pontificio. Essi sobillarono i fedeli contro l'Arciprete e contro la Compagnia e,
come sempre capita, raccolsero attorno a loro un partito di opposizione.
Diversi preti che io solevo accogliere ed intrattenere in casa mia appoggiarono questo partito. Tuttavia, venivano desiderosi di ricevere il benvenuto
nella casa che, secondo quanto era stato loro detto, era tenuta da Mrs. Line. Così la casa che era destinata a me ed ai miei intimi amici divenne un
luogo di richiamo per molti che non erano affatto miei amici e sarebbero
potuti diventare anche dei traditori. Fu ciò che mi spinse a prendere altre
disposizioni.
Poiché sembrava consigliabile stroncare la voce che Mrs. Line tenesse una
casa aperta a chiunque, ella si stabilì per un certo tempo per conto suo in
una camera presa in affitto in una casa privata. Ma io desideravo ancora
avere un luogo di mia proprietà a Londra, per porre in salvo tutti i miei
buoni amici ed alloggiare i sacerdoti. Perciò mi accordai con un signore
pio e prudente la cui moglie era di merito pari al suo (7). In base a tale accordo prendemmo in affitto una vasta casa, pagando ciascuno metà della
spesa. Metà della casa era per loro, l'altra metà per me. Nella mia parte allestii una cappella abbastanza grande e ben arredata.
Qui alloggiavo quando ero a Londra e qui mandavo i miei amici ai quali
fornivo un po' di danaro per i pasti. Questa nuova sistemazione mi costava
appena la metà di quella precedente, che implicava il mantenimento del
personale anche quando la casa non era abitata, sebbene solo raramente
essa fosse vuota.
Feci questo cambiamento appena in tempo per salvare me ed i miei amici.
Se mi fossi trattenuto più a lungo, quasi certamente sarei stato catturato di
nuovo. Accadde quanto segue.
Il prete che mi aveva fatto trasferire da Clink alla Torre (ne ho narrato la
storia) cominciò a tempestarmi di lettere. Voleva che gli concedessi un
colloquio. Dapprima lo rimandai; in seguito, quando egli cominciò a insistere, non risposi neanche alle sue lettere. Mi scusai dicendo che avevo
troppo da fare. Ciò durò per sei mesi. Alla une egli mi inviò una richiesta
pressante e si lagnò che non avevo tempo per lui. Io non risposi, tuttavia
attesi il momento opportuno. Sapevo dove abitava e mandai un amico a
dirgli che, se desiderava vedermi, doveva venire subito col messaggero.
Raccomandai al messaggero di impedirgli di indugiare per la strada, di
scrivere qualche nota e di parlare ad alcuno durante il percorso. Disposi,
inoltre, che il messaggero lo conducesse non già in una casa, ma in un
campo, vicino ad uno degli alberghi di corte (8). Era questa una località
ben nota per i suoi viali ed egli poteva passeggiare su e giù in compagnia
del mio uomo finché io non fossi arrivato.
Era notte e c'era una luna splendente. Presi con me due amici, per difendermi da un possibile agguato. Siccome volevo fargli intendere che abitavo in un' altra zona di Londra, aggirai il perimetro esterno del campo, così
da non entrare dalla parte in cui si trovava la mia casa. Per caso, tuttavia,
passai vicino all'abitazione di un cattolico, che si trovava proprio ai margini del campo ed il brav'uomo mi vide venire proprio da quei pressi. Pensò, forse, che ero appena uscito da quella casa, poiché a quel tempo era abitata dall'Arciprete (9). Comunque, lo trovai che passeggiava su e giù a-
spettandomi. Ascoltai pazientemente tutto quello che mi doveva dire e
che, per la verità, non conteneva nulla di nuovo. Mi aveva già detto tutto
nelle sue lettere ed aveva ricevuto le mie risposte. Ciò accrebbe il mio sospetto, e con ragione.
Pochi giorni dopo, sia quella casa d'angolo presso la quale egli mi vide entrare nel campo, sia la vecchia casa che avevo appena lasciato (sebbene lui
non lo sapesse) furono entrambe circondate ed accuratamente perquisite
nella stessa notte ed alla stessa ora. L'Arciprete si salvò solo per miracolo.
Egli ebbe appena il tempo di rifugiarsi in un nascondiglio (10). L'altra casa, in cui il prete sapeva che avevo alloggiato, fu perquisita per due giorni.
Il luogotenente della Torre ed il cavaliere maresciallo (11) assunsero di
persona la direzione delle ricerche, cosa che fanno solo quando fuggono i
loro prigionieri. Ciò rivelò chiaramente che stavano ricercando proprio me
e che il prete aveva dato loro informazioni circa la casa. A quel tempo, c'era soltanto un prete insieme ad un cattolico, al quale l'avevo affittata. Tuttavia non li trovarono.
Vedendo che non riuscivano a trovarmi, il giorno dopo collocarono delle
guardie nella casa del mio ospite, perché in quel periodo egli si era trasferito in campagna. Grazie a Dio, quel giorno non ero lì. Come potete vedere, feci bene a comportarmi cautamente con questo prete e ad abbandonare
per tempo la mia vecchia casa. Ormai ero convinto di dover abbandonare
anche la mia dimora di campagna e di dover riparare altrove. Sembrava
che il mio compito fosse quello di procurare sempre qualche guaio a quei
miei buoni e cari amici (12). Tuttavia, quando comunicai loro la mia decisione, non vollero saperne, sebbene in tutte le altre cose fossero sempre
pronti ad ascoltarmi. Comunque, poiché non c'era altra maniera per lasciar
loro un po' di quiete e di pace, trascurai i loro pii desideri e sottomisi il
progetto al mio superiore che l'accolse. Quindi pregai Padre Garnet di
mandar loro un altro gesuita, un certo Padre Banks, un uomo buono e devoto che adesso è sacerdote professo e che allora lavorava col caro Padre
Oldcorne. Avendo Padre Garnet acconsentito, presentai questo prete alla
famiglia, presso la quale restammo insieme ancora un po' di tempo. Intanto andavo in giro molto più del consueto (13). Ebbi così la fortuna, per
grazia di Dio, di visitare una nobile famiglia. Già prima ero stato invitato
spesse volte ed ero stato atteso per lungo tempo, ma altre faccende mi aveva sempre tenuto lontano.
La padrona di casa era un'anima pia e devota che era rimasta vedova di recente (14). Quando giunsi in casa (15), la trovai estremamente affranta per
la prematura morte del marito. Questa l'aveva sconvolta tanto che per un
anno intero ella non era quasi uscita dalla sua stanza. Ancora tre anni dopo
la mia visita, ella era incapace di risolversi ad entrare nell'ala del palazzo
in cui era morto suo marito. Oltre al lutto, era oppressa dall'ansietà per
l'avvenire di suo figlio che si trovava ancora sotto la tutela materna (16).
Egli era uno dei primi baroni del regno, ma i suoi genitori avevano sofferto moltissimo per la loro fede. Una buona parte della loro proprietà e delle
loro entrate era sfumata in multe estorte da un governo eretico. Per soddisfare i loro gravi debiti, era stata ipotecata una gran parte del loro patrimonio, tanto che era loro difficile trovare il denaro necessario per le spese
correnti. Ma una donna saggia edifica la sua casa e vi fa le sue prove.
Trovai che nella famiglia viveva uno dei nostri padri. Era un uomo dotto
ed un buon predicatore e stava da loro ormai da un anno (17). Alcuni della
famiglia, comunque, erano prevenuti nei suoi confronti, sebbene la signora
gli serbasse un grande rispetto e si accostasse frequentemente ai sacramenti. Quando arrivai io, tutti i desideri di questa buona signora sembravano
soddisfatti. Ella mi accolse con grande gentilezza ed il suo dolore sembrò
mutarsi in gioia. Alcuni familiari vennero ad assicurarmi che, se fossi venuto spesso, o ancor meglio, se fossi rimasto con loro, la signora avrebbe
dimenticato il suo lungo dolore, sarebbe diventata una persona differente e
tutto sarebbe andato per il meglio. Penso che tutto ciò sia stato suggerito
dalla stessa padrona. In seguito, quando ne ebbe occasione, decantò le lodi
dei miei ospiti, poiché ella aveva sentito parlare tanto di loro, della loro
cappella e dei loro paramenti, come pure della pazienza e della bontà da
loro dimostrate durante l'imperversare della persecuzione. Disse che non
c'era da stupirsi se erano così straordinari, dal momento che avevano un
tale direttore. Se ella avesse avuto lo stesso vantaggio, sarebbe stata come
loro e, come sperava, tutto sarebbe andato bene per lei.
Vedendo quale falsa idea ella si era formata di me e come si era lasciata
indurre a credere che ero una persona migliore di quanto fossi in realtà, le
dissi la verità. Le feci osservare che ella riceveva aiuti molto maggiori degli altri. Al che rispose che il suo direttore era un uomo pio e buono e che
ella lo rispettava e lo amava moltissimo; tuttavia egli non era mai stato a
contatto con gli uomini, giacché era stato sempre assorbito dai suoi studi,
così che, quando la discussione si spostava sugli affari o su questioni pratiche, non sapeva dare nessun consiglio utile. Per questo alcune persone
della casa non lo volevano. Ma io le feci osservare:
“Il fatto si è che essi sono irriconoscenti e non sanno sottomettersi all'auto-
rità; se io vivessi con loro, mi tratterebbero senz'altro allo stesso modo”.
“Se si comportassero così, ella disse, non resterebbero a lungo in casa, anche se fossero molto più indispensabili di quanto non siano”. Sotto il controllo di lei, infatti, essi avevano cura di tutta la casa.
Quindi mi pregò di metterla alla prova e di constatare personalmente se ella intendeva realmente effettuare con docilità tutti quei cambiamenti che,
davanti a Dio, io giudicavo necessari. Non potevo declinare un'offerta del
genere avanzata da una persona della sua posizione, specie se si considera
che mi veniva fatta in un momento in cui dovevo cercarmi una nuova residenza. Mi sembrò più chiaro della luce del sole che in ciò era presente la
mano di Dio. Dal primo momento del mio sbarco in Inghilterra fino a quel
tempo, la Sua Provvidenza mi aveva spostato da una dimora all'altra; e
ciascuna casa, a sua volta, si trovava in posizione migliore della precedente per allargare la cerchia delle mie conoscenze, particolarmente tra le persone di rango, e per confortarle e guidarle nel Suo servizio. Dissi, quindi,
che le ero profondamente grato e che avrei sottoposto la sua offerta all'approvazione del mio superiore. Aggiunsi che essa mi riusciva particolarmente gradita per il fatto che ivi sarei vissuto con un altro gesuita, un uomo che amavo moltissimo, mentre altrove mi ero trovato sempre con preti
secolari.
Al mio ritorno a Londra presentai la proposta a Padre Garnet. Egli fu molto lieto dell'offerta, poiché comprese che con l'andar del tempo la residenza si sarebbe potuta sviluppare in un centro magnifico. L'offerta, egli disse, era molto opportuna. Egli era tempestato di richieste da una famiglia
che abitava all'estremo nord, dove i cattolici erano numerosi e non c'era
nessun sacerdote della Compagnia, gli chiedevano di mandare proprio
quel sacerdote che si trovava lì, affermando che tutti sarebbero stati contenti se egli si fosse potuto recare da loro (18). Gli feci notare che nella casa c'era lavoro per due ed anche più preti e che io ero desiderosissimo di
avere un gesuita per compagno. Padre Garnet, comunque, si era già deciso. A causa dell'opposizione che questo prete aveva sollevato, egli l'avrebbe sostituito con un altro sacerdote e non poteva concedermi di averlo per
compagno. Allora gli chiesi di darmi Padre John Percy (19), io non lo avevo mai incontrato personalmente; tuttavia avevo avuto la possibilità di
conoscerlo tramite una frequente corrispondenza scambiata con lui durante la sua prigionia. Egli era stato catturato nelle Fiandre, e condotto in Olanda, dove era stato identificato e torturato, e poi gettato nella terribile
prigione di Bridewell. Dopo un po' di tempo, però, riuscì a fuggire con un
altro prete calandosi da una finestra con una fune. Mrs. Line lo aveva accolto nella mia casa, ma dopo un po' di tempo si era trasferito nello Yorkshire. Ivi abitava con un pio cattolico e riuscì così bene ad ingraziarsi la
popolazione che, nonostante il consenso di Padre Garnet, mi ci volle un
anno intero per farlo partir di lì.
Dietro desiderio di questa vedova cortese e con l'approvazione di Padre
Garnet, sistemai ogni cosa e lasciai i miei vecchi ospiti così al sicuro e così ben provveduti come erano sempre stati. Adesso stavano molto meglio,
perché lasciai con loro Padre Banks, che sotto ogni rispetto era un uomo
più in gamba di me. Al principio sembrava che i miei vecchi ospiti non
avessero un gran concetto di lui, ma, quando ebbero modo di conoscerlo
meglio, constatarono che tutto quello che io avevo detto di lui rispondeva
a verità. Ben presto presero a considerarlo come loro padre. In seguito visitai frequentemente quella casa in cui avevo trovato tanta vera devozione
e tanta sincera lealtà.
Mi sistemai dunque nella nuova residenza. Gradualmente guarii l'eccessivo dolore della mia ospite. Le dissi che il rimpianto degli estinti deve esser
mitigato, perché non dobbiamo piangere come uomini che non hanno alcuna speranza. Suo marito, le feci rilevare, era divenuto cattolico prima di
morire ed una sola preghiera gli avrebbe giovato molto più di tante lacrime. Queste si sarebbero dovute versare sui nostri e sugli altrui peccati.
Quindi le insegnai come meditare, pur essendone ella già capace; aveva
infatti intelligenza e talento di primissimo ordine. Così la indussi gradualmente a volgere il suo vecchio cordoglio in un dolore diverso e più
nobile, a preporre le cure dell'altra vita a quelle della presente ed infine a
riflettere che, sebbene la sua vita fosse stata fino ad allora buona e santa,
poteva diventare ancora più santa, seguendo fedelmente gli esempi della
vita di Nostro Signore e dei Suoi santi.
Prima di tutto ella decise di restare vedova. Poiché non poteva dare a Dio
la sua verginità, intendeva offrirgli una vita casta. Si risolse anche a praticare la povertà, nel senso che avrebbe posto al servizio di Dio e dei suoi
servi tutto quello che possedeva o che sarebbe venuto in suo possesso; anzi ella stessa sarebbe diventata la loro serva per attendere ai loro bisogni.
Ma sopra ogni altra cosa sarebbe stata obbediente. Intendeva eseguire tutto
quello che le veniva detto così perfettamente come se ne avesse fatto voto;
e, per giunta, si rammaricava perché i nostri sacerdoti avevano proibizione
di accettare tali voti. In breve, ella decise, ed io potevo ben vedere la sua
risoluzione, di svolgere per quanto le era possibile la parte di Marta e delle
altre sante donne che seguivano Cristo e servivano tanto Lui che i Suoi
apostoli. Ella era pronta ad impiantare la casa dovunque lo giudicassi più
opportuno per i nostri bisogni e protestava continuamente che era pronta a
stabilirla sia a Londra che nella più remota parte dell'Inghilterra.
Naturalmente, una casa a Londra o nelle sue adiacenze aveva il grande
vantaggio di occupare una posizione centrale per il nostro lavoro apostolico; ma, d'altra parte, Londra era troppo pericolosa per me in quel momento. Ivi, in ogni caso, ella non sarebbe rimasta in segreto e si sarebbe esposta al pericolo. Ella era una cattolica notoria ed i lord del Consiglio desideravano tenere d'occhio suo figlio, il barone, per vedere dove e come sarebbe stato educato. Oltre a ciò, ella doveva amministrare le proprietà durante
la minorità di suo figlio, ed i coloni e gli amministratori sarebbero venuti
continuamente per conferire con lei. Bastava questo per renderle impossibile vivere a Londra sotto falso nome, al quale avrebbe pur dovuto ricorrere se intendeva continuare per un certo tempo il suo buon lavoro. A questo
erano ricorse le due signore che assistevano Padre Garnet. Queste erano
cognate di questa vedova e figlie dello stesso barone: una era nubile e l'altra vedova (20).
Perciò non potevo immaginare come ella avrebbe potuto vivere meglio che
tra la sua gente. Era legata da vincoli di sangue o di amicizia con tutte le
più influenti famiglie del paese.
L'unica questione che restava da decidere era il luogo esatto. La casa in
cui allora viveva era vecchia e cadente. Ivi si era trasferito suo suocero la
cui moglie era più brava a spendere che a risparmiare. A quel tempo la casa era divenuta inabitabile per una famiglia della loro condizione; ma a
circa tre miglia di distanza essi avevano un' altra abitazione più grande
che era stata la sede originaria e principale della famiglia (21). Anche questa però era stata trascurata ed in molte parti era del tutto diroccata, quasi
una vera e propria rovina. Certamente questo non era il posto in cui, come
ella intendeva, avrebbe potuto dare ospitalità a tutti i nobili cattolici che
sarebbero venuti a visitarmi per il loro conforto e per la loro consolazione
spirituale, giacché questi erano gli unici ospiti che ella desiderava. Inoltre,
essa era inadatta alla difesa da improvvise incursioni poliziesche e, di conseguenza, ella non sarebbe mai stata libera come intendeva essere. Quello
che vagheggiava, infatti, era una casa in cui la vita procedesse quasi come
nei nostri istituti; e fu proprio questo che ella alla fine realizzò.
Cercammo dappertutto la casa ideale, ma, pur avendone visitate molte di
quella contea, avevano tutte qualche caratteristica che le rendeva non del
tutto confacenti al caso nostro. Alla fine, tuttavia, trovammo una dimora
principesca costruita dal cancelliere d'Inghilterra che recentemente era
morto senza figli. Allora veniva offerta in affitto per tre anni (22).
Era ampia e ben edificata: inoltre, rimaneva appartata dalle altre abitazioni
ed era circondata da frutteti e giardini magnifici, in cui la gente poteva
andare e venire senza essere notata. Ella la prese in affitto per quindicimila
fiorini e cominciò a prepararla per noi, poiché era ansiosa di far ultimare
le modifiche prima che ci entrassimo. Ma l'uomo propone e Dio dispone
sempre, è vero, a maggior profitto dei suoi figli.
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NOTE AL CAPITOLO XVIII
1 La casa di William Wiseman nello Strand.
2 Nei mesi successivi alla sua fuga, J. G. riuscì a restare nascosto. Il governo si aspettava che avrebbe tentato di evadere in Francia. L'11 febbraio 1598 il conte di Essex
scrisse per ordine della regina a Robert Cecil, che stava per partire in missione per la
Francia. Gli comunicò come la regina fosse stata informata che J. G. intendeva introdursi nel suo seguito “con un passaporto falso o con una falsa commissione” e trasferirsi con lui nel continente. Più tardi corse voce che si fosse trasferito in Irlanda.
C.S.P.D., 1598-1601, p. 21.
3 William Alabaster, che Anthony Wood chiama “il poeta più raro che sia stato prodotto da qualsiasi epoca e da qualsiasi paese”. Nel 1596 Alabaster fu cappellano della
famosa spedizione del conte di Essex a Cadice. Quando si converti al cattolicesimo nel
1597, egli scrisse Roxana, “una tragedia contro la Chiesa d'Inghilterra”, che è molto
apprezzata dal dotto Johnson nel suo studio sulla poesia latina in Inghilterra. “Se abbiamo prodotto, egli scrive, qualcosa degno di rilievo prima delle elegie di Milton,
questo fu forse la Roxana di Alabaster”. La sua conversione preoccupò seriamente il
governo ed il suo racconto della medesima, intitolato Sette Ragioni, fu rigorosamente
soppresso. Alabaster fu imprigionato molte volte per la sua fede. Dopo due ritorni al
protestantesimo e due abiure, fini i suoi giorni come curato di St. Dunstan's-in-theWest nel 1640. I suoi sonetti inglesi sono inediti: essi ammontano ad ottantacinque e
sono disposti in gruppi o sequenze. Esprimono qualche profonda esperienza interiore e
furono scritti nel 1597, quando l'autore stava nella prigione di Clink ed era conscio
(come egli stesso afferma) della sua rara ispirazione. Edmund Spencer scrisse
entusiasticamente della sua opera latina Elisaeis:
Nor all the brood of Greece: so highly praised:
Can match that Muse when it with bayes is crowned
And to the pitch of her perfection raised.
L. I. GUINEY, Recusant Poets, pp. 335-349; D.N.B., I, p. 211.
4 Durante l'interrogatorio del 22 luglio 1600, William Alabaster confessò che “dopo la
fuga del prete Gerard dalla Torre, egli ebbe con lui un colloquio, e a Bruxelles ricevette per ordine e credito di Gerard trenta sterline; indi si recò a Roma da Padre Persons”.
(S.P.D., vol. CCLXXV, n. 32). Alabaster fu ammesso nel Collegio Inglese il 30 novembre 1598. C.R.S., vol. XXXVII, p. 12.
5 Padre Philip Woodward, uno dei primi gesuiti che furono cappellani delle truppe inglesi operanti nei Paesi Bassi. Questo fu un ministero regolarmente assolto dai gesuiti
inglesi stazionati nelle Fiandre e fu conosciuto come “missio castrensis”. Nel diciassettesimo secolo da quattro a sei erano i preti assegnati a questo ministero.
6 William Atkinson.
7 Mr. e Mrs. Heywood. J. G. divise la casa con loro alla fine dell'estate del 1598. Cf.
S.P.D., vol. CCLXXI, n. 107. Mr. Heyvood è indicato come un non-conformista londinese nella lista compilata nel 1588 da Burghley. C.R.S., vol. XXII, p. 123.
8 Lincon's Inn Fields. Poco innanzi, erano state costruite le prime case in quei campi.
La carta topografica londinese di Agas (circa 1591) riporta tre case in una posizione
vicina all'attuale Sardinia Street. Tra queste e Holborn c'è un'altra fila di tre case sul lato settentrionale. Entro il 1641 quasi tutti i lotti meridionali ed occidentali erano occupati da case. William Kent, (ed.) An Encyclopedia of London, pp. 440-441.
9 George Blackwell, uno dei preti di maggiore esperienza della missione inglese. Fu
nominato arciprete 1'8 marzo 1598. Siccome, a causa della persecuzione, la nomina di
un vescovo era ritenuta inopportuna tanto dalle autorità romane quanto dalla maggior
parte dei preti e dei laici inglesi, fu creato il titolo di arciprete nell'intento di promuovere la disciplina e l'organizzazione tra il clero secolare. La sua nomina provocò la formazione di una piccola fazione tra il clero, in Inghilterra ed all'estero (conosciuta sotto
il nome di “Appellansts”), che recò un danno incalcolabile alla causa dei nonconformisti. Il governo, soffiando su questo focolaio, fomentò il dissenso tra i nonconformisti per molte generazioni. All'epoca dell'incidente riportato da J. G., solo da
pochi mesi Blackwell era stato liberato dalla prigione. Nella relazione di una spia del
tempo egli è descritto come uomo “di bella statura, non molto basso, coi capelli grigi,
e dell'età di circa cinquant'otto o sessant'anni. Ha la barba grigia, e sul labbro superiore
un neo coperto di peli rossi che contrastano col grigio. Ha la faccia magra, gli occhi un
po' infossati e sa parlare bene”. S.P.D., vol. CCLXI, n. 97.
10 Un resoconto dettagliato di questa perquisizione si trova in The Lives of Philip
Howard, Earl of Arundel, and of Anne Dacres, his wife” (ed. 1857), p. 216. La contessa di Arundel lo salvò corrompendo il perquisitore e per gratitudine “oltre a donargli
in quell'occasione una considerevole somma di denaro, gli mandò ogni anno un pastic-
cio di selvaggina per far festa a Natale insieme agli amici”.
11 Il Cavaliere Maresciallo era un cugino di J. G., Sir Thomas Gerard, figlio di Sir
Gilbert Gerard di Brandon, che aveva preceduto Coke nella carica di procuratore generale.
12 La famiglia Wiseman.
13 A quel tempo Padre Garnet, temendo che J. G. potesse essere catturato di nuovo e
trattato più severamente di prima, pensò di rimandarlo nel continente. “Padre Gerard
era molto abbattuto oggi”, scrive Padre Garnet a Padre Persons il 31 marzo 1598,
“quando gli ho scritto di prepararsi per partire. Egli venne da me a tale proposito. Veramente mi è di grande aiuto e la sua partenza potrebbe stupire. Spero che camminerà
abbastanza cautamente... voi conoscete la mia idea; se pensate che sia cosa buona desidero che egli rimanga. Tutti gli altri stanno bene”. (Stonyhurst MSS, GRENE, Collectanea P., vol. II, p. 551). Circa diciotto mesi dopo, il 17 luglio 1599, fu fatta una
perquisizione “per un certo Jarrett evaso dalla Torre” ad Ufton Court, nel Berkshire, in
casa di un cattolico, Francis Perkins, a circa sei miglia da Reading. A. MARY
SHARPE, A History of Ufton Court, pp. 157-160.
14 Elizabeth Vaux. Era la figlia di sir John Roper, che fu insignito del titolo di Lord
Teynham nel 1616. Nel 1585 sposò George, il secondogenito di lord William Vaux, in
favore del quale il figlio maggiore Henry rinunciò all'eredità della baronia. Quando il
suocero morì, ella ebbe la tutela del suo piccolo figlio Edward, quarto barone Vaux.
15 A Irthlinghorough, castello della famiglia Vaux, due miglia a nord-ovest di Higham
Ferrers, nel Northants.
16 Lord Edward Vaux, nato il 13 settembre 1588. Suo padre, George Vaux era morto
il 20 agosto 1595, lasciando tre figli e tre figlie alle cure della nuova ospite di J. G.
17 Padre Richard Collins, nativo dello Yorkshire e primo cugino di Guy Fawkes.
Giunse in Inghilterra nell'aprile 1596. Troubles, III serie, p. 288.
18 Padre Richard Collins fu mandato presso Mr. Edward Bentley che aveva una casa
nel Derbyshire ed un'altra a Little Oaklei, nel Northamptonshire. Nella Note of Jesuits
in England compilata nel 1603 (Hat. Cal., vol. XVII, p. 501), “Mr. Cooling” appare
quale ospite di “Mr. Bentley nel Northamptonshire”. La moglie di Mr. Bentley era una
Roper e cugina di Mrs Vaux. C. ANSTRUTHER, Vaux of Harrowden, pp. 237, 456.
19 Questi era Padre John Percy, alias Fisher, famoso per le sue controversie coll'arcivescovo Laud. Questo incidente è narrato da HENRY MORE (Historia Provinciae,
lib. VIII, c. 23): “Fu mandato a Tournay per il noviziato nel 1594 e verso la fine del
secondo anno, a causa dell'intensa applicazione nello studio e negli esercizi di pietà, gli
venne un tale esaurimento che gli fu proibita qualsiasi preghiera. Per farlo ristabilire, fu
mandato al paese nativo e durante il viaggio in Inghilterra passò per l'Olanda. A Flushing fu catturato dai soldati inglesi. Siccome la lettera che portava mostrava chi fosse,
lo minacciarono di torturarlo se non avesse rivelato chi lo aveva condotto da Rotterdam. Egli si disse disposto a confessare tutto di sé, ma non degli altri. Lo appesero per
le mani ad una puleggia e lo torturarono avvolgendogli una corda di marinaio alla testa.
Durante la tortura fissò la sua mente sull'eternità della gioia o della sofferenza e non
proferì altro che "O Eternità!". Quel male che i soldati tentarono di fargli, si tramutò in
un rimedio, perché il mal di capo e la confusione di cui aveva sofferto durante il noviziato diminuirono da quel tempo fino a cessare. Fu portato a Londra sotto scorta e fu
imprigionato a Bridewell, dove la sua cella era una torretta completamente sprovvista
di mobili. Il pavimento di mattoni con un po' di paglia fu il suo letto, finché non fu aiutato dalla premura e dalla carità dei cattolici compagni di prigionia e dal nostro Padre
Gerard. Quest'ultimo che fu a Clink, tenne con lui una corrispondenza segreta e lo aiutò sia con consigli che con danaro. Dopo circa sette mesi di prigionia, egli riuscì a fuggire attraverso il tetto insieme ad altri due preti e sette laici”.
20 Anne Vaux e sua sorella Eleanor, vedova di Edward Brooksby.
21 Great Harrowden, due miglia a nord di Wellingborough, nel Northants.
22 Si tratta di Kirby Hall, la grande casa fatta costruire da John Thorpe tra il 1570 ed il
1575 a circa venti miglia a nord. Ai nostri giorni non è altro che una rovina situata in
una regione molto appartata del Northamptonshire. Vi erano state apportate alcune sistemazioni dal cancelliere, Sir Christopher Hatton, che morì senza figli il 21 novembre
1591. J. G. credeva che egli avesse costruito la casa. Abbiamo due contratti d'affitto di
Kirby Hall, datati 24 marzo e 10 aprile 1599. Sono riconoscente a Padre Godfrey Anstruther, O. P., per aver confermato la mia congettura che Kirby Hall è la casa alla
quale J. G. si riferisce e per avermi fatto notare i due documenti contrattuali che si trovano nella collezione Finch-Hatton, custodita dalla Northamptonshire Record Society.
Quando nel 1643 fu creato per Hatton il titolo di Pari, questo toccò a Kirby.
XIX. IL PRETE JOHN
Luglio 1599
Questa signora aveva molti servi in casa quando andai ad abitare presso di
lei. Molti non erano cattolici, altri lo erano per modo di dire e tutti godevano troppa libertà. Gradualmente eliminai gli abusi. Mediante colloqui
privati e pubblici sermoni li condussi lentamente, col soccorso della grazia
di Dio, per migliori sentieri. Molti li istruii e li accolsi nella Chiesa, ma vi
furono alcuni che dovetti far licenziare perché non sembravano dare alcuna speranza di ravvedimento. Tra questi c'era un uomo che era stato il capo dell'opposizione contro il cappellano precedente e ce n'era anche un altro che rispondeva molto pigramente alla correzione.
Una volta quest'uomo si trovava a Londra con noi. Forse fu solo per irriflessione o per sbadataggine o, fors'anche, per semplice insofferenza della
più rigida disciplina che era stata instaurata; comunque, egli informò un
suo amico traditore che di recente io ero andato a stabilirmi in casa della
sua padrona e che vi avevo apportato numerosi cambiamenti, aggiungendo
che allora mi trovavo a Londra e menzionando la casa in cui abitavo.
(Questa era la mezza casa che avevo preso in affitto). Egli disse di essersi
recato lì con la sua padrona e che, mentre io stavo con lei in città per alcuni affari riguardanti suo figlio, i padroni della mia casa erano andati spesso a visitarla.
La mia ospite lasciò Londra portando con sé questo servo. Ma egli già aveva combinato il guaio. Il Consiglio venne a sapere che risiedevo nell'abitazione di questa signora, e che allora mi trovavo in città nella tale casa.
Diedero immediatamente disposizione che due giudici di pace perquisissero il posto.
Non avevo il minimo sospetto del pericolo. Perciò mi ero trattenuto a
Londra per affari e stavo assistendo tre gentiluomini che si trovavano nella
mia casa per un ritiro. Uno di essi era Mr. Roger Lee, che adesso è insegnante nella scuola inglese di St. Omers. Era un signore di buona famiglia,
eccellente persona, e i suoi modi incantevoli lo rendevano il favorito di
tutti, specialmente tra le persone della nobiltà. Si trovava sempre con loro
a cacciare, ad uccellare ed in tutto il resto. Tutto quello che faceva, lo faceva bene. Inoltre era cattolico ed era una persona tanto buona che stava
meditando di ritirarsi dal mondo per seguire Cristo più da vicino. Quando
ero a Clink, veniva spesso a visitarmi; così mi fu facile scoprire che egli
era chiamato a cose ben più alte della caccia agli uccelli: che era chiamato
a diventare cacciatore di uomini e non di bestie. Perciò avevo fissato una
data per dettare a questo mio amico un ritiro, giacché volevo che scoprisse
per mezzo degli Esercizi la strada sicura che conduce alla vita, sotto la
guida di colui che è la Via e la Vita.
Dopo aver sistemato i miei affari in città, avevo detto che sarei tornato in
campagna. In realtà approfittai di questa solitudine per cominciare il mio
ritiro. Mr. Lee ed alcuni altri che stavo istruendo si trovavano in meditazione nelle loro stanze private, quando la tempesta scoppiò all'improvviso.
Erano le tre pomeridiane del quarto o quinto giorno del mio ritiro. Improvvisamente John Lillie volò su per le scale ed irruppe nella mia stanza
senza bussare, stringendo in pugno la spada sguainata.
Fui alquanto spaventato da questa improvvisa irruzione e gli chiesi che
cosa stesse succedendo.
“Stanno facendo una perquisizione”, disse.
“Dove?”, gli chiesi.
“Qui! In questa casa! Sono già qui!”.
Erano stati molto abili ed avevano bussato gentilmente come se fossero
degli amici, così che il servo aveva aperto subito. Egli non sospettava
niente, ma ad un tratto forzarono il passaggio e si sparpagliarono per la casa.
Mentre John mi stava dicendo quello che era capitato, i giudici vennero su
per la scala con la padrona di casa. Giunsero nella stanza in cui eravamo
noi. Ma proprio di fronte c'era la cappella che aveva la porta davanti a
quella della mia stanza sull'altro lato del corridoio. I magistrati videro aperta la porta della cappella, entrarono e scoprirono un altare ben arredato,
sul quale stavano paramenti per la Messa. Perfino quegli eretici non poterono trattenersi dall'ammirarli. Intanto, nella camera opposta, io non sapevo assolutamente che cosa fare. Nella stanza non c'era nessun nascondiglio
e l'unica via d'uscita era quello stesso corridoio in cui si trovavano i miei
persecutori. Mi tolsi la talare che indossavo, ma non riuscivo a trovare un
buco in cui nascondere i miei libri ed il mucchio di fogli contenenti le meditazioni manoscritte.
Restammo ad origliare dietro la porta. Sentii uno di loro che disse: “Buon
Dio, che cosa abbiamo trovato qui! E dire che stavamo per rinunciare a
perquisire la casa, oggi”. Queste parole mi fecero pensare che si trattava di
una perquisizione fortuita e che, probabilmente, non avevano alcun mandato, ed essendo venuti solo con pochi uomini. Intanto, stavamo considerando se fosse il caso di tentare una sortita con le armi in pugno e di gua-
dagnare l'uscita, strappando le chiavi durante il passaggio al gruppo dei
perquisitori. Ci avrebbero aiutati Mr. Lee, il padrone di casa e due o tre
servi. D'altro canto, sapevamo che, se fossimo stati presi durante la mischia, la legge sarebbe stata più severa contro il padrone di casa per disprezzo della forza pubblica e per resistenza alla perquisizione.
Mentre stavamo discutendo su quello che fosse meglio fare, si appressarono alla stanza e bussarono. Non demmo alcuna risposta e, siccome la porta
non aveva né serratura né chiavistello, abbassammo il saliscendi con le dita. Quindi, tornarono a bussare ed udimmo la padrona di casa dire: “Forse
il servo che dorme qui ha portato la chiave con sé. Vado a cercarlo”.
“In tal caso, veniamo con voi, essi risposero. Forse avete intenzione di nascondere qualcosa”.
Senza stare a vedere se nella porta vi fosse una serratura, si allontanarono
con la signora, giacché Dio “velò gli occhi degli Assiri affinché non scoprissero il posto e non nuocessero ai Suoi servi; e li condusse via, senza
che sapessero dove”.
Essi discesero la scala. Con grande presenza di spirito, la padrona li condusse in una stanza dove erano sedute due signore: la sorella della mia ospite (1) e Mrs. Line. Quando gli ufficiali cominciarono ad interrogarle,
ella corse su per le scale verso di noi.
“In fretta, disse. Presto, nel nascondiglio!”. Ebbe appena il tempo di proferire queste parole e di scendere di nuovo le scale, che i magistrati si accinsero a salire. Ella, però, si fermò sull'ultimo gradino. Tutto questo destò
i sospetti dei perquisitori, che mostrarono di voler salire. Essi però non lo
potevano fare senza scansare la signora con la violenza, per cui, essendo
gentiluomini, se ne astennero.
Uno dei perquisitori, tuttavia, allungò la testa oltre la spalla di lei, che se
ne stava ritta in maniera da occupare tutta l'ampiezza della scala, per vedere quello che avveniva di sopra. Solo per poco questi non fece in tempo a
scorgermi, mentre mi arrampicavo nel nascondiglio. Infatti, appena avevo
udito le parole della signora, avevo aperto la porta della stanza, avevo afferrato silenziosamente uno sgabello e mi ero arrampicato nel nascondiglio
che era costruito in un abbaino segreto del tetto. Quando fui su, feci cenno
a John Lillie di seguirmi. Ma egli era più preoccupato della mia salvezza
che della sua e si rifiutò.
“Padre, bisbigliò, non posso venire. Non vi è nessuno che possa rispondere dei libri e delle carte che sono nella stanza, poiché essi cercano voi. Se
non ne trovano il padrone, non si fermeranno finché non vi abbiano scova-
to. Dite soltanto una preghiera per me”.
Egli fu veramente un “servo fedele e prudente”, un uomo pieno di carità
pronto a dare la vita per il suo amico.
Accondiscesi con riluttanza e chiusi la porticina per cui ero entrato. Non
riuscivo, invece, ad aprire la porta interna del nascondiglio e certamente
mi avrebbero trovato, se non avessero preso John e, presumendo che fosse
un prete, non avessero abbandonato le ricerche. Ciò fu quanto Dio si compiacque di disporre grazie alla saggia ed intrepida azione di John.
Egli aveva avuto appena il tempo di ritirare lo sgabello, rientrare nella
stanza e chiudere la porta, che due dei principali perquisitori salirono le
scale e bussarono violentemente. Era chiaro che avrebbero abbattuto la
porta, se non fossero riusciti a trovare la chiave. Perciò, questo magnanimo soldato di Cristo aprì e restò impavido davanti a loro.
“Chi siete?”, gli chiesero.
“Un uomo. Non lo vedete?” “Diteci chi siete. Siete prete?”.
“Non ho alcuna intenzione di dirvi se sono prete, rispose. Spetta a voi
provarlo. Comunque, sono cattolico”.
Sul tavolo scorsero tutti gli appunti delle mie meditazioni, il mio breviario,
diversi libri cattolici e, ciò che mi era più caro, i manoscritti e gli appunti
delle prediche che ero venuto raccogliendo durante gli ultimi dieci anni.
Questi mi erano più cari di qualsiasi altra cosa, certamente più di tutti gli
oggetti preziosi che quegli uomini avessero potuto nascondere nei loro
scrigni.
“Di chi sono queste?”, chiesero quando videro tutte quelle carte.
“Mie”, rispose John.
“Allora dovete essere un prete. Di chi è questa talare?”.
“È una semplice vestaglia che chiunque potrebbe usare”.
Ormai si erano convinti che avevano trovato un prete.
Riposero con cura tutti i libri e tutte le carte che c'erano nella stanza in una
cassa che portarono via. Quindi sprangarono la porta della cappella e vi
posero il loro sigillo. Infine, afferrarono John per il braccio, lo condussero
giù per le scale e lo consegnarono ai loro uomini.
Quando entrò nella stanza in cui erano le signore, quest'uomo ammirevole,
che sapeva mantenere sempre il suo posto e che non stava mai a capo coperto in presenza di donne, le salutò entrambe, si tolse il cappello e si pose
a sedere. Con fare autorevole si rivolse, quindi, ai due capi della perquisizione.
“Queste sono gentildonne e voi dovete badare a trattarle bene. Non le co-
nosco personalmente, ma è chiaro che si tratta di persone che meritano il
nostro rispetto”.
Quando le signore si accorsero che io ero al sicuro e che l'altro prete si era
nascosto (Padre Pollen, un uomo anziano che era entrato nella Compagnia
a Roma in tarda età: anch' egli aveva raggiunto un nascondiglio) e quando
videro l'atteggiamento di gravità che John assumeva, a stento poterono
contenere la loro soddisfazione. In quel momento non si curavano affatto
della multa o della condanna cui andavano incontro per aver ospitato un
prete. Esse erano meravigliate e divertite, e solo con difficoltà si trattennero dal ridere alla vista di John, il quale sosteneva così bene la parte del
prete da trarre perfettamente in inganno quei maestri di dolo, che rinunciarono a cercare altri preti (2).
Quindi i magistrati che avevano diretto la perquisizione portarono via “il
prete John”, il padrone di casa, del quale speravano di poter confiscare tutte le proprietà, ed i due servi. Per quanto riguardava le signore, si disse
semplicemente che erano venute dopo pranzo per vedere la padrona di casa e che non sapevano nulla di nessun prete. Esse furono lasciate indisturbate, tuttavia dovettero garantire che si sarebbero presentate, non appena
ne fossero richieste. Mr. Roger Lee se la cavò allo stesso modo, sebbene
avesse incontrato una maggior difficoltà a persuadere gli ufficiali che era
soltanto un visitatore.
Alla fine se ne andarono via soddisfatti. Il loro prigioniero fu rinchiuso per
la notte, per essere interrogato il giorno seguente.
Quando essi uscirono, la padrona di casa si precipitò su per le scale con le
altre signore per darmene notizia. Tutti ringraziammo Dio per averci
scampati da una cattura ormai certa e benedicemmo l'azione prudente del
nostro servo. Quella stessa notte Padre Pollen ed io ci trasferimmo in un'altra casa. Temevamo che i perquisitori scoprissero che John non era affatto un prete e che ritornassero.
Il giorno seguente mi affrettai a raggiungere i miei amici in campagna. Fu
un lungo viaggio. Quando narrai loro l'accaduto, potei osservare come il
timore rabbuiasse il loro volto, che poi gradatamente si rasserenò. Dal
fondo del nostro cuore tutti raccomandammo John a Dio con fervide preghiere.
Facemmo proprio bene. Il giorno seguente, infatti, gli ufficiali si accorsero
di essere stati giocati. Essi scoprirono che John era stato farmacista a Londra per circa sette anni; che per altri otto o nove era stato imprigionato a
Clink (3); e che era stato l'intermediario usato dal mio carceriere quando
io ero nella Torre (essi avevano catturato la moglie del carceriere, dopo la
fuga di questo, ed ella aveva confessato tutto quello che sapeva). Così si
accorsero che John non era affatto un prete, ma il servo di un prete, proprio il mio. Allora compresero, quando ormai era troppo tardi, che io ero
rimasto nascosto nella stessa casa. Come prova avevano le mie carte, perché non c'era alcun dubbio che fossero le mie. Essi tornarono a perquisire
la casa, ma questa volta trovarono il nido deserto: gli uccelli erano volati.
John fu portato nella Torre di Londra e gettato in catene. Quindi lo interrogarono sulla mia fuga e su tutti i luoghi che in seguito egli aveva visitato
in mia compagnia, John si accorse che il segreto dei suoi rapporti col carceriere era ormai noto. Poiché aveva sempre desiderato, se gli fosse stato
concesso, di dare la vita per Cristo, ammise francamente che egli stesso
era stato l'organizzatore della mia fuga. Aggiunse che non provava il minimo rammarico per quanto aveva fatto; che anzi l'avrebbe fatto di nuovo,
se il caso l'avesse richiesto. Scagionò, invece, il carceriere, protestando
che quello non era al corrente della fuga. Quando fu interrogato sui luoghi
che egli aveva visitato con me, rispose come gli era stato così spesso insegnato, che cioè non intendeva causare molestie a nessuno, perché menzionare una casa o una famiglia qualsiasi sarebbe stato un peccato contro la
giustizia e contro la carità. Poiché erano certi che non avrebbe rivelato
nulla, non esercitarono pressioni. Dissero soltanto che sarebbero passati
all'azione e che avevano i mezzi per fargli rivelare tutto quello che desideravano sapere (4).
“Mai, rispose John. Con l'aiuto di Dio non farò mai una cosa del genere. È
vero che sono in vostro potere; ma voi potete farmi solo ciò che Dio vi
permette”.
Lo condussero nella stanza della tortura. Ivi lo appesero nella stessa maniera che io ho già descritto. Lo torturarono crudelmente per tre ore continue. Tuttavia non poterono strappargli una sola informazione né contro di
me, né contro alcun altro. Persero quindi la speranza di indurlo ad implicare alcuno sia con la forza che con le minacce. Perciò, invece di torturarlo, tentarono di fiaccare la sua volontà fino alla sottomissione, relegandolo
per tre o quattro mesi nella solitudine di una cella. Fallirono di nuovo.
Questa volta, però, accettarono la sconfitta e lo trasferirono ad un'altra
prigione: quella in cui solitamente si gettavano i prigionieri in attesa dell'esecuzione (5). Senza dubbio, essi intendevano sbarazzarsi di lui in quel
modo, ma Dio aveva disposto diversamente. Restò lì per lungo tempo, tuttavia gli fu concessa una maggiore libertà e gli fu permesso di frequentare
gli altri prigionieri cattolici. Un giorno gli si avvicinò un sacerdote che
chiese il suo aiuto per fuggire. John si mise all'opera per studiare un piano
e trovò la maniera di fuggire anche lui insieme al prete.
Poiché si tratta di un avvenimento tipico in cui è evidente la Provvidenza
di Dio, mi sento obbligato a narrarlo subito. Accadde quando John era nella Torre. Wade, il principale cacciatore di preti, lo stava interrogando intorno a me e ad altri gesuiti. Conosceva egli Garnet? “No”, fu la risposta
di John.
“No?”, rispose Wade con un ghigno cinico. “E non conoscete la casa che
ha in un luogo chiamato Spital?”. E continuò: “Ora che vi abbiamo portato qui al sicuro, non ho alcun timore di dirvelo. Siamo assolutamente certi
che tra pochi giorni trascineremo qui questo Garnet, perché vi faccia compagnia. Egli sta per venire a Londra. Andrà ad alloggiare in quella casa e lì
lo acciufferemo”.
John sapeva molto bene che Padre Garnet era solito alloggiare in quella
casa e restò costernato nell'apprendere che il segreto era stato tradito. Comunque, nel volger di alcuni giorni riuscì a spedire un pacchetto ad un suo
amico a Londra. Esso era avvolto in carta bianca e fu recapitato a dovere.
Tutti i suoi amici sapevano che, se John ne avesse il destro, avrebbe inviato una lettera in quel modo. Lessero il messaggio in cui si diceva che la
casa di Padre Garnet era stata tradita e si raccomandava di farlo subito avvertire. Ciò fu quel che fecero. Padre Garnet fu salvo, perché, come Wade
aveva dichiarato, egli si sarebbe sicuramente recato in quella casa pochi
giorni dopo. Perciò si tenne alla larga e riuscì a far trasferire da quel luogo
tutte le sue cose; così che non fu trovato proprio nulla, quando la casa fu
perquisita. Potete facilmente immaginare che retata avrebbero fatto: Padre
Garnet in persona con tutti i suoi libri, i paramenti, gli arredi sacri e Dio sa
che altro. Dopo la Provvidenza, tutto il merito di questo scampo fu di
John. Egli salvò Padre Garnet, come prima aveva salvato me (6).
Quando John fu di nuovo in libertà, venne a trovarmi. Sarei stato veramente felice di tenerlo con me, ma non osai. Ormai, egli era fin troppo noto e sarebbe stato fonte di continuo pericolo sia per i miei amici che per
me. Infatti, ogni volta che andavo a visitare le case della nobiltà, vi andavo
apertamente e John poteva facilmente imbattersi in persone che l'avrebbero potuto riconoscere e che, per il fatto che egli mi accompagnava, avrebbero potuto identificare anche me. Solo poche spie conoscevano i miei
tratti (7), perché mi ero tenuto sempre molto appartato e solo una scelta
schiera di cattolici fidati aveva parlato con me in prigione. È vero che ero
stato interrogato diverse volte in pubblico, ma allora i miei interrogatori si
recavano raramente in campagna. Se l'avessero fatto l'avrei risaputo ed avrei procurato di starmene al largo.
Per un certo tempo, quindi, collocai John presso Padre Garnet, dove poté
condurre in segreto una vita tranquilla. In seguito, quando mi si presentò
l'occasione, lo inviai da Padre Persons, affinché potesse realizzare ciò che
da tanto tempo sospirava: entrare nella Compagnia. Vi fu ammesso a Roma ed ivi visse come Fratello per sei o sette anni. Tutti lo tenevano in
grande stima. Adesso anch'io, per la gloria di Dio, posso dare la mia personale testimonianza del suo carattere e lo posso fare liberamente, perché
mi sembra ch'egli sia morto di recente in Inghilterra, dove era ritornato
ormai affetto da etisia (8). Ciò che voglio dire è che durante quei cinque o
sei anni in cui fu implicato, al mio servizio, in ogni sorta di affari, in luoghi vicini e lontani e con gente di ogni risma (poiché spesso quando io ero
di sopra col padrone di casa e coi suoi amici, egli si intratteneva coi servi
che in buona parte erano giocatori d'azzardo e simili), per tutto quel tempo
circondò il suo cuore e la sua anima delle più grandi attenzioni. Egli non
si trovò mai nel pericolo prossimo di peccato mortale. Sovente, nella confessione doveva menzionare qualche peccato veniale commesso molto
tempo prima, perché. io potessi avere materia per l'assoluzione (9). Se esistono delle anime innocenti, egli appartenne alla loro schiera. Fu anche un
uomo saggio e prudente.
Ora che ho finito la storia di John Lillie, debbo ritornare alla mia.
Ero appena scampato da questo pericolo, quando per poco non incappai
in un altro ancora peggiore; e ci sarei certamente rimasto, se Dio non fosse
intervenuto.
Ho già narrato la storia di quel servo della mia ospite che ci aveva traditi,
confidando ad un suo amico che io abitavo presso la sua padrona e che in
quel momento mi trovavo a Londra nella tale casa. Ho narrato inoltre come fu perquisita la casa e come ne fu trascinato via il mio compagno con
tutte le mie note. Infine ho descritto la mia fuga.
Ora che il Consiglio conosceva la mia casa di campagna, si diede incarico
ai giudici di pace della contea di effettuare una perquisizione in casa della
signora per catturarmi. Già circolava per l'intera contea la voce, secondo
cui la signora avrebbe preso quella splendida dimora, perché si trovava in
un luogo remoto in cui avrebbe potuto alloggiare liberamente un gran numero di sacerdoti. La diceria aveva un certo fondamento.
Fu proprio a quel tempo che ci trasferimmo nella nuova casa. Stavamo fa-
cendo gli ultimi preparativi per una sistemazione definitiva. lo desideravo
in special modo decidere subito dove collocare i nascondigli e per questo
feci venire “Little John” (Padre Garnet ce lo prestò per l'occasione). Facemmo tutti i preparativi e lasciammo sul posto “Little John” e Hugh
Sheldon, che poi doveva prendere a Roma il posto di Lillie, come domestico di Padre Persons.
Questi due uomini dovevano allestire i nascondigli. Si erano dimostrati
sempre fedelissimi e, di fatto, restarono le uniche due persone che, all'infuori di noi, sapevano dove fossero i nascondigli. Eccetto questi, tutti tornammo lo stesso giorno alla vecchia casa. La Provvidenza di Dio vegliava
su di noi. Uno dei servi ci consigliò di prendere una strada diversa per il
ritorno, adducendo che sarebbe stata più facile per la carrozza della signora. Fu veramente un consiglio felice quello che seguimmo. Se non lo avessimo seguito, i perquisitori sarebbero stati a casa il giorno seguente di
primo mattino, sarebbero piombati su di noi alla sprovvista ed avrebbero
sicuramente scovato la loro preda. La rotta ordinaria, quella che evitammo, passava per una cittadina (10) in cui i perquisitori erano in attesa e mi
avrebbero certamente identificato. Poiché non ci videro passare, conclusero che stavamo per passare la notte nella nuova casa. Così, la prima cosa
che fecero, il mattino seguente, fu di andarci.
La casa era così grande che non riuscirono a circondarla completamente. E
sebbene avessero condotto un nutrito plotone di uomini, non potevano
sorvegliare tutte le uscite. “Little John” fuggì in salvo; catturarono, invece,
Hugh Sheldon. Essi, però, non riuscirono a strappargli nulla, perciò lo gettarono in prigione ed in seguito lo trasferirono a Wisbeach. Di lì fu mandato in un' altra prigione insieme ad un folto gruppo di preti. Alla fine fu
esiliato insieme a tutti questi (11).
I giudici di pace compresero di esser stati beffati e conclusero che la signora doveva essere ritornata il giorno precedente. Ripartirono subito al
galoppo e piombarono in casa all'ora di pranzo (12). Un portiere trascurato
li fece entrare ed essi salirono nella sala da pranzo prima che ci accorgessimo del loro arrivo. Fortunatamente la padrona di casa era indisposta quel
giorno e noi stavamo iniziando il pranzo nella mia stanza. (C'era con noi
Mr. Roger Lee, che era venuto da Londra per finire gli Esercizi ivi interrotti. Non aspettava minimamente che Dio gli aveva preparato ben altri
“esercizi”).
Mi accorsi che erano entrati degli uomini, che si trovavano già nel salone
e che avevano forzato la camera dove il barone stava mangiando da solo
(13). (Quel giorno anche il ragazzo stava male). Allora compresi di quale
visita si trattava. Afferrai in fretta tutto quello che desideravo nascondere e
mi precipitai verso il nascondiglio con Padre Percy e Mr. Roger Lee. Se
avessero trovato Roger avrebbero sospettato senz'altro la mia presenza,
perché egli era con me nella casa di Londra, dove ero stato sorpreso.
L'unica via per raggiungere il nascondiglio passava davanti alla porta della
stanza in cui erano radunati i perquisitori. Li sentii gridare che intendevano cominciare la perquisizione senza indugio. Anzi, uno di loro sporse la
testa oltre la porta per vedere chi stesse passando ed alcuni cattolici che
erano nella stanza mi dissero in seguito che probabilmente egli mi aveva
scorto. Ma Dio intervenne, perché come si può spiegare altrimenti? Essi
stavano lì ad agitarsi ed a gridare che dovevano passare per compiere la
perquisizione, e tuttavia si trattennero in un locale aperto proprio quanto
fu necessario per consentirci di raggiungere il nascondiglio e di chiuderci
al sicuro. Subito dopo si sparpagliarono come se fossero stati lasciati in libertà. Alcuni di essi irruppero nell'appartamento della signora, mentre gli
altri penetrarono nelle stanze rimanenti. Senza dubbio ci fu il dito di Dio,
che non volle far recidere alla radice il buon lavoro della signora. Anzi,
mediante questa manifestazione della Sua Provvidenza, intese confermarla
nel suo proposito e conservarla per un futuro ricco di attività e di belle realizzazioni.
Essi cercarono per tutto il giorno senza trovare nulla. Quindi si allontanarono con le loro speranze deluse ed inviarono un rapporto al Consiglio. Intanto noi identificammo l'uomo che era responsabile di tutto ciò e lo licenziammo con belle maniere. lo feci sapere che avrei lasciato definitivamente la casa e per un certo tempo prendemmo delle precauzioni del tutto speciali.
Un trasferimento qualsiasi nella nuova abitazione era ormai fuori questione. I giudici di pace della contea, che erano eretici rabbiosi, e altri puritani
dichiararono che non avrebbero mai lasciato in pace la signora in quella
casa (14). Sapevano che ella intendeva trasferircisi per avere un posto in
cui poter ospitare i preti. Sebbene essi avessero impedito la manovra, ella
non rinunciò al suo proposito e cominciò subito ad adattare la casa in cui
allora si trovava (15). Costruì per noi dei quartierini separati vicino alla
vecchia cappella, in cui gli antichi baroni solevano ascoltare la messa,
quando il tempo piovoso impediva loro di recarsi alla chiesa del villaggio.
Ivi fece edificare per me e per Padre Percy una costruzione di tre piani,
progettata in maniera ideale e situata in un luogo appartato. Senza esser
notati, potevamo passare dalle nostre stanze nel giardino privato e, attraverso ampi viali, inoltrarci nei campi, dove potevamo partire a cavallo per
qualsiasi destinazione (16).
Ora che la nostra vita era calma e indisturbata, lasciavo frequentemente a
casa Padre Percy e andavo in giro nella speranza di stabilire centri con simili presso altre famiglie. Prima che lasciasse l'Inghilterra, Roger Lee, che
adesso è diventato prete, mi fu di valido aiuto in questo lavoro. Prima di
tutto, egli mi condusse in visita presso un suo parente, il cui padre era
membro del Consiglio (17). Questo gentiluomo viveva in una residenza
principesca. Egli era scismatico (era, cioè, cattolico per convinzione), ma
non c'era nessuna speranza di convertirlo. Si accontentava del desiderio di
essere cattolico e rifiutava di andare oltre per timore di offendere suo padre.
La padrona di casa era protestante, ma si era già interessata alla fede cattolica e c'era la speranza che col tempo si convertisse (18). La casa poi era
piena di protestanti ed era giornalmente frequentata da nobili protestanti,
che venivano sia per affari che per visitare il padrone e la moglie. Poiché
mi recavo lì pubblicamente, era necessario che tenessi segreta la ragione
della mia visita.
Al nostro arrivo fummo ricevuti con cortesia ed essi mi accolsero per riguardo al loro caro cugino. Il primo giorno non ebbi occasione di parlare
in privato con la signora. Con lei c'era sempre qualcuno e noi dovemmo
giocare a carte, passando le giornate proprio come gente che non conosce
e non apprezza il valore del tempo.
Ma il giorno successivo quando la signora, senza sospettare nulla, si appartò alla finestra della sala da pranzo per regolare il suo piccolo orologio,
io la raggiunsi. Prima scambiai con lei alcune brevi parole sull'orologio,
poi spostai l'argomento sullo stato dell'anima sua, cercando di convincerla
a dedicare a questa maggiore attenzione che a qualsiasi altra cosa. Ella mi
fissò stupita, perché io ero l'ultima persona al mondo, dalla quale si aspettasse un discorso del genere. Poiché non sapevo quando avrei avuto un'altra occasione, mi tolsi la maschera. Le dissi che l'unica ragione della mia
visita era proprio lei e che ero pronto a risolvere all'istante tutti i suoi dubbi intorno alla fede e che dopo l'avrei istruita. In seguito l'avrei avviata per
il sentiero della virtù e le avrei mostrato come fare continui progressi verso
la perfezione; cose, queste, che ella non avrebbe mai scoperto in una falsa
religione in cui non ci si preoccupa affatto della perfezione. Ella restò impressionata e promise di trovare il momento opportuno per una ulteriore
discussione. Poiché era una donna singolarmente modesta e ricca di virtù
morali, pensai bene di prospettarle un alto ideale.
Fu stabilito il momento. Ella restò soddisfatta in tutti i problemi di fede e
divenne cattolica. Dopo di lei, convertii altre persone nella casa; le raccomandai una dama di compagnia cattolica e, finalmente, le suggerii di mantenere costantemente un prete nella sua casa, poiché sarebbe stato facile
sistemarlo. Non c'era bisogno di render nota a tutti la sua presenza, come
avveniva nel mio caso, trovandomi in una comunità interamente cattolica.
Un prete poteva abitare comodamente all'ultimo piano della casa e, dal
momento che c'erano ormai dei servi cattolici, si potevano tener lontani da
lui quelli protestanti. In realtà non avevo mai visto in tutta l'Inghilterra una
casa in cui un prete potesse vivere in segreto con tanta facilità. Per lui c'era una bella stanza che comunicava con un corridoio di circa ottanta piedi
di lunghezza. Questo, poi, dava sul giardino che era venuto a costare, secondo quanto ho inteso, diecimila fiorini. Nello stesso corridoio c'era un'altra grande stanza che poteva servire da cappella, oltre ad una terza che
il prete poteva usare come sala da pranzo. Questa aveva le giuste dimensioni, un focolare e tutto quello che egli avrebbe potuto desiderare.
Sarebbe stato un vero peccato, le feci rilevare, se non ci fosse stato un prete in una casa come quella, che aveva per padrona una cattolica devota e
per padrone un uomo tanto cordiale da esser lieto di ospitare dei preti.
Talvolta egli veniva alle mie prediche e, in seguito, giunse a preparare l'altare per la Messa ed a recitare quotidianamente il breviario. Tuttavia, rimase fuori dell'Arca e, se fosse caduto improvvisamente nelle acque, sarebbe stato inghiottito dal diluvio. Nella sua presunzione, si riteneva certo
di aver il tempo di pentirsi prima della morte.
La signora accettò in tutto la mia proposta di alloggiare un prete. Così, le
presentai Padre Anthony Hoskins, un uomo abilissimo che di recente era
giunto in Inghilterra dalla Spagna, dove con straordinari risultati aveva
trascorso dieci anni per compiere i suoi studi di gesuita. Durante la sua
permanenza egli fece molto bene ed in diverse direzioni. Rimase con questa famiglia fino a poco tempo fa, allorché fu chiamato per assumere un
incarico importante. Ma egli era lontano dal trascorrere tutto il suo tempo
nella casa, perché era il tipo che le persone vogliono rivedere e consultare,
una volta che lo abbiano incontrato. Al suo posto hanno, adesso, un altro
gesuita che è un uomo molto devoto; tuttavia il direttore della signora è
ancora Padre Percy, il quale proprio questa settimana ha scritto dicendo:
“Una tale (cioè la signora) sta facendo grandi progressi. Ha consacrato la
sua famiglia e se stessa alla Madonna di Loreto, intendendo divenire serva
sua e di suo Figlio ed offrendole per sempre se stessa e tutti i suoi averi. A
ricordo di questa consacrazione, ella ha fatto modellare un cuore d'oro finemente lavorato ed è ansiosa di spedirlo a Loreto quanto prima. Vi sarei
grato, se mi poteste suggerire il modo migliore e più sicuro per far recapitare questa sua offerta”.
Così egli ha scritto di questa signora. In tal modo, con la grazia di Dio, è
stata fondata e si è sviluppata questa casa con la sua chiesa privata.
___________________________________________________________
_
NOTE AL CAPITOLO XIX
1 Lady Mary Novel, sorella di Mrs. Vaux, fondò più tardi ad Anversa il primo convento delle carmelitane inglesi, che adesso si trova a Lanherne nella Cornovaglia. Quando
sua sorella Elizabeth fu imprigionata, all'epoca della congiura delle polveri, ella si rivolse all'arciduca Alberto, per ottenere la sua intercessione presso Giacomo I per il rilascio della sorella. G. ANSTRUTHER, Vaux of Harrowden, p. 394.
2 John Lillie fu arrestato nel luglio 1599. Una lettera scritta a Londra il 22 luglio 1599
aiuta a stabilire la data di questo fatto. L'autore dice: “Ti scrissi di una delle case di
Mr. Heywood, in cui ci fu una perquisizione e fu arrestato un uomo. Ho saputo che il
suo nome è John Lillie. È stato mandato in prigione perché sospettato di aver aiutato il
gesuita Gerard a fuggire da quella stessa casa”. S.P.D., voI. CCLXXI, n. 107.
3 John Lillie era stato mandato a Clink nel novembre 1592. C.R.S., vol. II, p.285.
4 Quando il Consiglio venne a conoscenza della fortezza dimostrata da John Lillie durante il suo interrogatorio, “diede ordine a Sir John Peyton di incatenarlo per scoprire i
luoghi e le dimore di J. G.”. Peyton, comunque, rispose il 18 luglio: “lo, trovandolo
così testardo nelle cose riguardanti la sua causa, ritengo veramente che il mezzo migliore per scoprire il loro compagno traditore è quello di prendere un po' di tempo per
lavorarci sopra con uno dei miei servi, che io a bella posta gli ho messo accanto, e di
risparmiargli la tortura per venti giorni, se ciò piacerà a vostro Onore. Questo Lillie è
al corrente di tutti i loro piani e di tutti i loro complici ed è capace di scoprire tutto su
chiunque di loro”. (Hat. Cal., vol. IX, p. 237). Si presume che Lillie sia stato torturato
tre settimane dopo.
5 La prigione di Newgate.
6 Lo stesso fatto è narrato da Padre Oswald Tesimond, alias Greenway, nella narrazione del suo sbarco in Inghilterra. “Annoterò in breve i miei ricordi. Un giorno il luogotenente della Torre, un uomo molto crudele verso i cattolici ma specialmente ostile
alla nostra Compagnia, gli chiese se conoscesse la casa di Padre Garnet, che era quella
di Mrs. Anne Vaux e di sua sorella Mrs. Brooksby. Quando egli disse: "No", il luogotenente rispose: "Va bene, se tu non lo sai, noi sì, e ne siamo così sicuri che ci attendiamo di averlo presto nelle nostre mani. lo non ti avrei mai detto questo se tu non fossi un prigioniero innocuo, che non può assolutamente far sapere ciò né a Garnet né ad
alcun altro". Egli allora pronunciò il nome del luogo e della casa, non essendo capace
di contenere la gioia all'idea della sua rapida cattura”. (Troubles, I, pp. 179-180). Padre Tesimond prosegue a narrare come egli stesso fu salvato da un simile avvertimento
che l'amico di J. G., Padre Roger Filcock, gli mandò dalla prigione.
7 Vi sono tre descrizioni di J. G., fatte da coloro che lo ricercavano. Vedi appendice I.
8 Questa dichiarazione indica la data del suo racconto. John Lillie parti da Roma per
l'Inghilterra il 15 maggio 1609 e mori a Londra nel novembre successivo. Quindi, J. G.
scrisse questa parte del suo libro alla fine di novembre oppure nel dicembre 1609. In
precedenza egli si riferisce al martirio di Drury, avvenuto “due anni fa”. Drury fu ucciso il 26 febbraio 1607.
9 A quell'epoca, la disciplina del segreto confessionale era, per certi punti marginali,
meno stretta di quanto sia diventata in seguito. Allora, si considerava legittimo che un
confessore testimoniasse in termini generali dell'eccezionale virtù di un penitente.
10 Si trattava senza dubbio di Kettering, che si trova a metà cammino sulla strada che
da Kirby Hall conduce ad Irthlingborough.
11 Hugh Sheldon fu trasferito da Wisbeach a Framlingham nel 1603 e fu poi esiliato
con l'avvento di Giacomo 1. Sembra che sia stato di nuovo in Inghilterra nel 1606, perché Padre Blount si riferisce al suo arresto per contrabbando di libri cattolici nel paese.
Egli fu a Roma nel 1608 e successe a Lillie come segretario di Padre Persons. FOLEY,
VII, parte 2, p. 705.
12 Passarono probabilmente attraverso la campagna per Grafton Underwood e Burton
Latimer.
13 Aveva allora dieci anni.
14 Il Northamptonshire fu fortemente puritano. Il suo capo era Edmund Snape, curato
della chiesa di S. Pietro a Northampton. Costui causò frequenti discordie nel paese.
Qualche tempo prima di questo incidente, Burghley aveva visitato questa contea per
sedare i dissensi religiosi. The Puritans in Northamptonshire, in fascicolo British
Museum, Lansdowne MSS, 64, fo1. 51.
15 Great Harrowden.
16 Della vecchia casa non resta che un bastione che forse faceva parte dell'ala di cui
parla J. G.
17 Sir Francis, figlio di John Fortescue di Saulden, nel Buckinghamshire, che fu preposto al Grande Guardaroba della regina Elisabetta e che divenne cancelliere dello scacchiere a partire dal 1589. Sir John Fortescue era figlio di Adrian Fortescue, ucciso sotto Enrico VIII per aver rifiutato il giuramento di supremazia. Suo figlio, Sir Francis,
era primo cugino di Roger Lee, essendo le loro madri Cecily ed Amelia tutt'e due figlie
ed ereditiere di Sir Edmund Ashfield di Ewelme. (Visitations of Oxford, Harleian
Society, vol. V, p. 168). Ciò che rimane di quel grande edificio elisabettiano a Salden,
che ora è una fattoria, è descritto in Victoria County History of Buckinghamshire.
18 La moglie di sir Francis Fortescue, Grace, era fìglia di sir John Manners, secondogenito di Thomas, primo conte di Rutland.
XX. PARTITA A CARTE CON SIR EVERARD
Mr. Roger Lee mi presentò anche a diversi vicini, tra cui vi era un cavaliere della corte della regina (1). Quest'uomo aveva ereditato un grande patrimonio ed aveva sposato una donna che era unica erede delle proprietà
paterne (2). In tutta la famiglia non c'era un solo cattolico, né una sola persona che fosse ben disposta verso il cattolicesimo. A quel tempo, infatti, il
padre della signora, che era il capo di casa, era un protestante convinto ed
il suo unico interesse era quello di ammassare danaro ed immobili per sua
figlia. Suo genero dedicava tutto il suo tempo a divertimenti giovanili.
Ogni qualvolta andava a Londra, frequentava la corte ed era uno dei gentiluomini pensionati della regina (3). Quando era a casa, non aveva altro interesse eccetto i suoi cani da caccia ed i suoi falchi.
Mr. Roger Lee era un suo vicino (4) ed era, egli stesso, un appassionato di
questi sport; spesso si univa a lui nella caccia, portando i suoi cani ed i
suoi falchi. Approfittando di questa amicizia, Mr. Roger mi presentò in
casa di questo signore come suo intimo amico. lo presi a frequentarla con
assiduità ed approfittavo di ogni occasione che si presentava, per abbordare l'argomento della dottrina cattolica e della sua pratica. Per evitare i sospetti, facevo in modo che Mr. Lee conducesse per la maggior parte il discorso e che il suo entusiasmo fosse sempre più acceso del mio. Egli recitò
così bene la sua parte che quel gentiluomo, ben lontano dall'indovinare chi
fossi, gli domandò se io non potessi rappresentare un buon partito per sua
sorella (5) . Voleva che ella sposasse un cattolico perché, egli asseriva, erano persone buone ed onorabili.
Abbordammo frequentemente l'argomento della salvezza. Riuscimmo subito ad influenzare sua moglie quando restò sola a casa, durante un viaggio del marito a Londra. Ora che i suoi genitori erano morti ed ella era padrona di casa, potevamo parlarle con maggiore libertà. Un giorno, infine,
ella manifestò il desiderio di farsi cattolica e si disse ansiosa di parlare
quanto prima con un sacerdote. lo sorrisi dentro di me e le dissi che la cosa era possibile, promettendole di discuterne con Mr. Roger Lee. Frattanto
dissi che le avrei prima insegnato il metodo di esaminare la sua coscienza,
metodo che io stesso avevo appreso da alcuni sacerdoti di esperienza.
Dissi, allora, a Mr. Roger Lee che la signora si era decisa ed era pronta a
divenire cattolica, essendo suo unico desiderio quello di incontrarsi con un
sacerdote. Perciò, lo pregai di rivelarle che io ero appunto un prete.
Quando ne fu informata, ella stentò a crederlo, tanto grande fu il suo stu-
pore. “Come può essere un prete, quello?”, protestò ella. “Egli vive come
un cortigiano. Non l'avete visto giocare a carte con mio marito? E la maniera, poi, in cui gioca... Certo deve aver dedicato molto tempo al gioco.
Inoltre, è stato a caccia con mio marito ed io stessa l'ho sentito parlare di
caccia e di uccellagione senza errare una sola volta nell'uso dei termini.
Nessuno potrebbe farlo cadere in fallo, se non conoscesse perfettamente
tale sport”.
Così andava obiettando e adduceva altre cose del genere nel tentativo di
dimostrare che non potevo assolutamente essere un sacerdote. Mr. Lee,
tuttavia, le spiegò:
“È vero che parla e si comporta in questo modo. Ma, se non avesse agito
così, come immaginate che avrebbe potuto frequentare questa casa, parlare con voi e portarvi lentamente alla fede? Se si fosse presentato qui vestito da prete - e vi posso assicurare che l'avrebbe preferito, se fosse stato
possibile - pensate forse che voi l'avreste fatto entrare in casa, per tacere di
vostro padre che allora era in vita?” (6).
Fu costretta ad ammettere tutto ciò, tuttavia non voleva ancora crederci.
Quindi continuò: “Vi prego di non irritarvi, se vi faccio una domanda.
Quale altro cattolico, oltre voi, sa che egli è un prete? Lo sa il signor tal
dei tali?”, e menzionò il nome.
“Certo, le rispose. Anzi, si è confessato spesso con lui”.
Quindi, dopo aver passato in rassegna diversi altri nomi, pronunciò quello
della mia ospite (7), che abitava nello stesso distretto a circa dieci miglia
di distanza.
“E ditemi, proseguì, ella sa che lui è un prete, ed è contenta di averlo presso di sé?”.
“Naturalmente, disse Mr. Roger Lee, lo sa. Anzi si è affidata con tutta la
famiglia alla sua direzione e non desidererebbe aver nessun altro”.
Alla fine ammise di essere soddisfatta. Allora Mr. Lee disse: “Voi stessa
vedrete come sia una persona completamente diversa, quando abbandonerà la parte che sta recitando”.
Il giorno seguente ella non ebbe difficoltà ad ammetterlo, quando mi vide
in abiti sacerdotali, poiché non mi aveva mai visto vestito da prete. Fece la
confessione con molta diligenza e si fece di me un concetto lusinghiero
che non meritavo; quindi accettò in tutto la mia direzione e progettammo
insieme grandi cose. Di fatto, ella le ha raggiunte e continua ancora a praticarle (8).
Ciò fatto, ci riunimmo tutt'e tre a consiglio e cominciammo a studiare la
maniera migliore per far cadere suo marito nella rete di S. Pietro.
Ora accadde che suo marito si ammalò a Londra e la moglie decise di andarlo a visitare. Noi ci trovammo sul posto prima di lei.
Questa malattia mi fornì proprio il pretesto che andavo cercando. Partendo
dall'incertezza della vita umana e dalla certezza (a meno che non ce ne
premunissimo) della sofferenza, sia in questo come nell'altro mondo, gli
dimostrai che “non abbiamo quaggiù una dimora permanente” e che dobbiamo cercarne una celeste. Io lo trovai molto docile, perché la disgrazia fa
sì che gli uomini ragionino seriamente. Questo signore, inoltre, era stato
sempre un uomo di sani sentimenti e di buon cuore ed aveva gettato salde
fondamenta per la fede.
Io lo istruii ed egli si preparò diligentemente alla confessione. A differenza
della moglie, non restò minimamente stupito quando gli fu detto che ero
un prete. Già prima si era imbattuto in casi del genere. Anzi, fu lieto di avere un confessore che comprendesse degli uomini come lui, che fosse in
grado di aiutarlo quando ne fosse richiesto e che si potesse mostrare in società senza pericolo che fosse scoperta la sua condizione sacerdotale (9).
Quando feci tutto ciò che era necessario per lui, egli cominciò a preoccuparsi di sua moglie e ci pregò perché lo aiutassimo a conquistarla alla
Chiesa. Sorridemmo tra noi, ma non gli rivelammo nulla. Volevamo attendere che ella giungesse per osservare come avrebbero tentato di convertirsi a vicenda.Essi furono una coppia felice e si dedicarono entrambi al
servizio di Dio. Il marito, anzi, più tardi sacrificò tutta la sua proprietà,
tutta la sua libertà e la sua stessa vita per la Chiesa di Dio. Ve ne narrerò
in seguito la storia, poiché si tratta di sir Everard Digby. Se già non fosse
stato scritto e pubblicato tanto su lui ed i suoi compagni, mi rimarrebbe
molto da dire alla fine di questa narrazione. Comunque, nessun resoconto
ha finora reso giustizia alla sincerità dei suoi intenti, né ha presentato tutte
le circostanze, in maniera da rendergli il merito che gli è dovuto (10).
Dopo questo incontro, essi mi fecero visita nella mia residenza di campagna. Tuttavia, mentre erano lì, sir Everard si aggravò in maniera preoccupante. La sua vita fu in pericolo e tutti i medici di Oxford affermarono che
non potevano far nulla per lui. Poiché sembrava che gli sarebbe rimasto
poco tempo di vita, egli cominciò a prepararsi seriamente per fare una
buona morte, mentre sua moglie prese a disporre le sue cose per condurre
una vita più perfetta. Ella passò diversi giorni a studiare, la maniera di
meditare, cercando di scoprire quale fosse la volontà di Dio riguardo al
suo avvenire, poiché desiderava consacrare la vita alla Sua maggiore glo-
ria. In breve, ella aveva intenzione, qualora suo marito fosse morto, di dedicare la vita ad opere buone e di osservare una perpetua castità ed una
perfetta obbedienza. Riguardo alle sue proprietà, che erano considerevoli
poiché non aveva figli (11), le avrebbe devolute tutte ad opere pie sotto la
mia direzione. Inoltre, ella era pronta ad andare a vivere dovunque ed in
qualsiasi maniera le avessi suggerito, secondo che avessero richiesto l'onore di Dio ed il bene della sua anima. Era suo desiderio, affermava, andar
vestita di poveri panni ed osservare una vera povertà, dovunque si fosse
trovata e finché fosse durata la persecuzione. E se l'Inghilterra fosse divenuta di nuovo cattolica, ella avrebbe dato la sua casa (che era grande e ben
costruita) e tutte le proprietà che suo padre le aveva lasciato per la fondazione di un istituto; il che sarebbe stato più che sufficiente per una splendida fondazione.
Questi erano i suoi piani, ma felicemente Dio aveva altrimenti disposto
per il momento. Tutti i medici di Oxford, come ho detto, definirono disperato il caso di Digby, ma io, che lo amavo moltissimo, non persi la speranza. Senza dirgli nulla, mandai a chiamare un dottore di Cambridge. Questi
era un cattolico di molta dottrina e di grande esperienza, del quale sapevo
per certo che aveva curato degli ammalati spacciati da altri medici (12).
Quando egli giunse nella casa in cui stavano questo ottimo uomo e la moglie, gli riferii tutto quello che sapevo intorno alla malattia del paziente.
Quindi, mi accertai che domandasse allo stesso Digby tutto quello che poteva dire delle proprie condizioni. Dopo di ciò, gli chiesi se, a suo giudizio, ci fosse qualche speranza.
“Sì, rispose, se sir Everard è pronto ad abbandonarsi completamente nelle
mie mani, potremmo ancora salvarlo con l'aiuto di Dio”.
“Dal momento che il nostro reverendo conosce il dottore e lo ha fatto
chiamare, mi affiderò a lui”.
Contro le aspettative di tutti il medico lo curò e in maniera così completa
che in seguito era difficile trovare tra mille un uomo più robusto e più sano.
Egli rimase sempre mio fedelissimo amico, tanto che potevamo essere benissimo fratelli di sangue. Infatti, ci chiamavamo vicendevolmente “fratello”, quando conversavamo o tenevamo corrispondenza (13). Quale fosse il
suo attaccamento per me si può facilmente dedurre dal seguente episodio.
Una volta che mi ero recato in una certa casa per assistere un morente, gli
giunse all'orecchio che mi trovavo in pericolo. Egli fu assalito subito da
una grande inquietudine e disse alla moglie che, se mi avessero catturato,
avrebbe presidiato tutte le strade lungo le quali mi avrebbero potuto condurre prigioniero a Londra e che avrebbe reclutato una schiera sufficiente
di amici e di servi per strapparmi con la forza alle guardie. Se mi avesse
mancato lungo la strada, mi avrebbe liberato in un modo o nell'altro, anche a rischio di spendere nel tentativo tutte le sue fortune. Tali erano i sentimenti che nutriva per me, né mai li ebbe a mutare sino alla fine. Anzi, il
suo affetto andò crescendo, come dimostrò durante il suo processo, allorché parlò in mia difesa davanti alla Corte (14).
Comunque, come ho detto, si era appena rimesso in salute e insieme alla
moglie aveva allestito una piccola chiesa domestica simile a quella della
casa in cui stavo. Fece approntare una cappella ed una sagrestia, che dotò
di ricchi e bellissimi paramenti. Come cappellano accolse un sacerdote gesuita che restò in casa fino alla sua morte (15).
Ciò che fece questa famiglia fu imitato anche da altre. Molti gentiluomini
cattolici che avevano visitato questa casa ne ammirarono l'assetto e la presero come modello. Essi fondarono delle congregazioni accentrate attorno
alle loro case, arredarono le loro cappelle e, dopo aver allestito un'abitazione atta a soddisfare le necessità di un sacerdote, ne accolsero uno con
deferenza e rispetto (16).
Tra gli altri che si regolarono in tal modo ci fu una signora che abitava vicino ad Oxford (17). Suo marito era cattolico, ma aveva interessi mondani. Tuttavia, finché glielo permetteva la situazione creata da un tal marito,
ella si affidò alla mia direzione. Andavo spesso a visitarli ed entrambi mi
accoglievano calorosamente. Quindi, vi mandai a lavorare uno dei nostri
sacerdoti, Padre Edward Walpole, che ho menzionato all'inizio di questa
narrazione, allorché dissi che durante il mio primo anno in Inghilterra egli
rinunciò ad un grande patrimonio per seguire Cristo nostro Signore.
C'era anche un'altra signora che desiderava fare lo stesso (18). Anch'ella
viveva nell'Oxfordshire ed era sposata con un cavaliere, proprietario di
beni ingenti, che sperava di diventare un giorno barone e che ancor oggi
vive di tale speranza. Quando visitò la nostra casa, questa signora disse
che desiderava apprendere la maniera di meditare ed io le insegnai come
farlo. Suo marito, però, era protestante e, sebbene ne fosse molto desiderosa, ella non poteva mantenere un prete in casa sua. Perciò, prese disposizioni per mantenere un prete che la visitasse regolarmente durante le assenze del marito. Stabilì, inoltre, di dedicare giornalmente un'ora alla meditazione e, quando non avesse ospiti, un'altra ora e anche due alla lettura
spirituale. Ogni sei mesi, poi, avrebbe fatto la confessione generale, prati-
ca, questa, osservata da tutte le persone da me menzionate e anche da molte altre che sarebbe troppo lungo nominare individualmente. Ella veniva
due volte all'anno a fare la sua confessione ed io notai che non tralasciò
mai la sua ora giornaliera di meditazione, né il quotidiano esame di coscienza, eccetto in una occasione in cui suo marito insisté perché restasse
con gli ospiti. Aveva, infatti, una grande casa che la teneva sempre indaffarata ed era raro che non avesse gente da ospitare.
In questa casa una volta me ne stavo seduto insieme alla signora nella sala
da pranzo dopo aver desinato. Con noi c'erano le sue cameriere, mentre i
servi erano scesi per fare il loro pasto. Mentre stavamo seduti, discutevamo di argomenti spirituali. Improvvisamente alcuni servi annunziarono un
ospite che era appena arrivato. Questi era un dottore di teologia di Oxford
ed un ben noto persecutore dei cattolici di nome Abbot (19). Proprio di recente aveva pubblicato un libro contro Padre Southwell, che era stato ucciso, e contro Padre Gerard, che era fuggito dalla Torre. Questi due preti
avevano difeso la dottrina dell'equivoco che egli si era accinto a confutare.
Dopo la pubblicazione dell'opera quest'uomo valente fu promosso Decano
di Winchester, il che gli procurava un reddito annuo di ottomila fiorini.
Il gentiluomo, come dissi, fu accompagnato al piano superiore ed entrò
nella sala da pranzo (20). Secondo il costume di questi dignitari, indossava una toga di seta che gli giungeva alle ginocchia. Ci trovò, o pensò di
trovarci, intenti a giocare a carte. In realtà, noi le avevamo messe da parte,
per occuparci di cose migliori, non appena i servi si erano allontanati; le
avevamo riprese, quando fu annunziato il signore. Così, ci trovò seduti ad
un tavolo da gioco colmo di danaro.
Debbo spiegare che quando mi trovavo con cattolici e dovevamo inscenare una partita in circostanze come la presente, eravamo d'accordo che alla
fine ciascuno avrebbe riottenuto il proprio denaro e che il perdente avrebbe recitato un' Ave Maria per ogni gettone riacquistato. In questa maniera
giocavo spesso con mio fratello Digby e con altri, quando le circostanze ci
consigliavano di recitare la nostra parte e di far credere agli astanti che
giocavamo a soldi e non per puro svago.
Il nostro teologo, quindi, non ebbe il minimo sospetto. Dopo uno scambio
di cortesie, cominciò a parlare volubilmente. È tutto quello che tali uomini
possono fare. Essi non hanno una solida formazione, ma con le loro parole
persuasive piene di umana sapienza seducono le povere anime e “sovvertono intere famiglie, insegnando quello che non dovrebbero”. Poi, dopo un
considerevole susseguirsi di frivoli discorsi, quest'uomo passò a riferire le
ultime notizie di Londra. Narrò tra l'altro la storia di un puritano che si era
precipitato dal campanile di una chiesa, lasciando scritta una nota nella
quale affermava di essere certo della sua eterna salvezza. Il dottore non fece menzione di questo ultimo particolare, che io, però, avevo appreso da
altra fonte (21).
“Pover'uomo, dissi. Che cosa può averlo spinto a distruggere con un solo
atto insano il suo corpo e la sua anima.”.
“Signore”, rispose il dottore con fare saputo e magistrale. “Signore, non
sta a noi emettere un giudizio su alcuno” .
“Proprio così, ribattei. È possibile, naturalmente, che l'uomo si sia pentito
del suo peccato mentre cadeva inter pontem et fontem, come si suol dire.
Ma è molto improbabile. L'ultima azione di quest'uomo, che noi siamo in
grado di giudicare, fu un peccato mortale che è meritevole di dannazione”.
“Ma noi non sappiamo se la cosa costituisce un tale peccato”, incalzò il
dottore.
“Chiedo venia, risposi, ma in questo caso non si tratta del nostro giudizio.
Qui è questione del giudizio di Dio: Egli ci proibisce sotto pena dell'inferno di uccidere chiunque e, particolarmente, noi stessi, giacché la carità
comincia da noi stessi”.
Il buon dottore restò interdetto. Non aggiunse altro sull'argomento, ma
cambiando discorso disse con un sorriso:
“I gentiluomini non dovrebbero disputare su questioni teologiche”.
“D'accordo, risposi. Naturalmente noi non pretendiamo di conoscere la teologia, ma dovremmo almeno conoscere la legge di Dio, anche se la nostra
professione è quella di giocare alle carte” (22).
Quando la signora con la quale stavo giocando udì questa risposta, riuscì a
stento a restar seria. Che cosa avrebbe pensato se avesse saputo con chi
stava parlando? Ma il dottore non si trattenne più a lungo. Non so se egli
partì prima di quanto avesse desiderato; posso dire, invece, che noi ce ne
rallegrammo (23).
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NOTE AL CAPITOLO XX
1 Sir Everard Digby. Discendeva da un'antica famiglia del Rutlandshire, associata a
Stoke Dry, piccolo villaggio ad ovest della strada che porta da Kettering a Uppingham.
Oggi non resta nulla della sua casa. In Narrative of the Gunpowder Plot, J. G. scrive
che egli era “l'uomo più compito del regno in tutte le cose che meritano stima”. Nel
1596, quando aveva solo sedici anni, sposò Mary Mulshaw, una ragazza di appena
quindici anni, il cui padre aveva costruito la grande casa signorile di Gothurst (ora Gayhurst) nel nord del Buckinghamshire. Questa esiste ancora ed è uno dei più begli esempi dell'architettura domestica della fine del secolo decimosesto.
2 Mary Mulshaw di Gayhurst, nel Buckinghamshire settentrionale.
3 “Egli confessa di essere stato per sei anni pensionato della regina Elisabetta e di aver
prestato giuramento per appartenere a tale corpo ed a nient'altro”. Dall'interrogatorio di
Sir E. Digby, C.S.P.D., James I, Gunpowder Plot Book, parte II, n. 135.
4 A Pitstone, sette miglia ad est di Aylesbury, nel Buckinghamshire.
5 Questa sorella, Magdalen, entrò nel convento delle benedettine a Bruxelles il 5 luglio
1608. Morì nel 1659. C.R.S., vol. XIV, p. 180.
6 William Mulshaw deve essere morto prima dell'autunno 1600, perché Roger Lee entrò in noviziato a Roma nell'ottobre di quell'anno.
7 Probabilmente la madre di Roger Lee che stava a Pitstone. Harrowden, la dimora di
Mrs. Vaux, si trovava a poco più di dieci miglia da Gayhurst.
8 A causa della partecipazione di suo marito alla congiura delle polveri, a Lady Digby
fu interdetta l'educazione dei suoi due figli, i futuri sir Kenelm e sir John Digby. Sopravvisse al marito per quasi cinquant'anni. Holy Oaks, la casa di suo marito a Stoke
Dry, lasciata da lei in eredità nel 1645, era ancora sotto sequestro per il suo nonconformismo nel 1653, anno della sua morte. Victoria County History of Rutland, vol.
II, p. 223.
9 A quel tempo, William Atkinson, non essendo riuscito a pescare J. G. a Londra,
spiava le sue mosse in campagna ed inviava i suoi rapporti a Cecil. Verso il 1602 gli
scriveva: “Si riferisce con molta verisimiglianza che Mr. John Gerard, Fisher [Padre
Percy] e Litstar [Padre Lister] vogliano partecipare ad una caccia a Beskwood Park,
perché non molto tempo fa essi erano con Mrs. Griffin di Dingley ed avevano deciso
di recarsi presso lady Markbam, moglie di sir Griffin Markbam, e parimenti Francis
Tresham, il giovane Vaux figlio ed erede di Mr. Griffin, li doveva accompagnare”. Beskwood Park era una riserva reale la cui sorveglianza era affidata a sir Griffin Markbam. Hat. Cal., XII, p. 229.
10 In Narrative of the Gunpowder Plot, J. G. tratteggiò con grande ammirazione il carattere di sir Everard Digby. “Egli fu molto compianto da tutti, conclude J. G., ed è ancora stimato e lodato da tutti in Inghilterra, tanto dai cattolici che dagli altri, sebbene
nessuno approvi quell'ultimo oltraggioso ed esorbitante attentato contro il re e la patria,
nel quale un uomo peraltro tanto degno fu cosi indegnamente coinvolto e perduto, ac-
cusando un grande dolore a tutti quelli che lo conoscevano e specialmente a quelli che
lo amavano”. Narrative, p. 90.
11 Il suo primo figlio, il celebre sir Kenelm Digby, nacque più tardi, 1'11 luglio 1603.
12 L'uomo al quale si riferisce questa descrizione è il famoso medico George Turner.
Aveva studiato a Cambridge ed a Padova e, sebbene fosse conosciuto come cattolico,
fu eletto membro del collegio dei medici il 12 agosto 1602, per raccomandazione di sir
Robert Cecil, che dalla corte di Oakland scrisse al presidente, dichiarando che era irreprensibile se si astraeva dalla “sua retrività in fatto di religione, in cui peraltro non è
assolutamente colpevole né di malizia né di avversione allo Stato; quindi può ricevere
questo favore in considerazione del fatto che sul luogo egli è molto stimato per la sua
scienza e per la sua pratica da diversi nobili e da altri oltre che da sua stessa Maestà”.
Egli mori il 10 marzo 1610. COOPER, Athen. Cantab., vol. II, pp. 526-527.
13 Nelle lettere che sir Everard Digby scrisse alla moglie durante la sua prigionia nella
Torre, ci sono molti messaggi per J. G., al quale egli si rivolge sempre come a “Fratello”. Per esempio: “Ringrazia tanto mio fratello per il suo dolce conforto ed assicuralo
che ora desidero la morte”. PHILIP SIDNEY, A History of the Gunpowder Plot, p.
127.
14 Non c'è una relazione completa del discorso di sir Everard Digby al suo processo,
ma dalle lettere inviate alla moglie non c'è dubbio circa la sua intenzione di parlare in
difesa di J. G. Ad esempio: “Qualunque cosa possa fare per lui [J. G.] o per chiunque
dei suoi, la farò a qualsiasi costo; finora non ho fatto molto, perché posso fare di più in
pubblico, il che ritengo sia la cosa migliore”. PHILIP SIDNEY, A History of the
Gunpowder Plot, p. 130.
15 Padre Percy. All'epoca della congiura delle polveri le case di sir Everard furono
saccheggiate: a Gothurst si trovò un paio di ferri da ostie ed a Stoke Dry il suo calice
valutato 6 scellini ed 8 pence. P.R.O. Exchequer (Various), 178-3574.
16 J. G. non sta qui a pensare al conforto personale di un prete. Dietro la sua concisa
dichiarazione c'è evidentemente l'idea che il successo dello sforzo di un missionario
dipende dall'eroica cooperazione di un laicato che sia pronto a dare la priorità ai bisogni del sacerdote nella stessa disposizione delle case. Secondo tale prospettiva, le case
dei fedeli erano considerate soprattutto come la base da cui il prete poteva operare.
Quindi, una cura speciale doveva essere dedicata al luogo della cappella e alle stanze
del prete. Ci doveva essere un elaborato sistema di nascondigli in tutte le parti della
casa senza alcuna considerazione né della convenienza né dell'intimità degli occupanti;
come pure ci doveva essere un facile accesso all'aperta campagna nel caso di un'improvvisa irruzione. Ci si aspettava che i laici presentassero i preti alla società del vicinato, e tutti insieme cooperassero intimamente al ministero sacerdotale.
17 Waterperry, a sette miglia ad est di Oxford, fu per alcuni secoli la dimora della famiglia Curzon, e per lungo tempo un centro della missione gesuita. Clare, figlia di sir
Francis Curzon di Waterperry, entrò nel convento delle benedettine a Bruxelles.
C.R.S., vol. XIV, p. 178, 181.
18 Lady Agnes Wenman di Thame Park, a dodici miglia ad est di Oxford. Agnes
Wenman era figlia di George Fermor di East Neston nel Northamptonshire. Era una
lontana parente della famiglia Vaux, poiché sua nonna era Maud, figlia di lord Nicholas Vaux. Sembra che fosse un'amica intima di Elizabeth Vaux e che, all'epoca della
congiura delle polveri, tanto lei che suo marito fossero stati sospettati di complicità. Sir
Richard Wenman ricevette nel 1596 il titolo di cavaliere per le sue gesta a Cadice e,
molto tempo dopo che J. G. aveva scritto l'autobiografia, egli vide realizzata la sua aspirazione, essendo insignito nel 1628 del titolo di Pari d'Irlanda col titolo di barone e
visconte Wenman. Thame Park era un'antica proprietà cistercense. Nella cappella costruita da Robert King, l'ultimo abate cistercense di Thame, ci sono le tombe della famiglia, in una delle quali giace Padre Bernard Stafford (morto 1'11 giugno 1788), l'ultimo gesuita che servi come cappellano nella famiglia. STAPLITON, Oxfordshire
Missions, p. 251.
19 Costui era George Abbot, più tardi arcivescovo di Canterbury. Era figlio di un tessitore di stoffe di Guildford e fu perseguitato sotto Mary Tudor perché era un fanatico
protestante. Ciò potrebbe spiegare perché fosse “persecutore dei cattolici”. “Essi (i
non conformisti) possono aspettarsi poca pietà quando il vescovo metropolita fa da
mediatore”, scrisse il conte di Northampton nel 1612 riguardo ad alcuni prigionieri cattolici. All'epoca del suo incontro con J. G. a Thame Park, Abbot era professore nell'University College e lettore di Sacra Scrittura ad Oxford. “Aveva rigidi principi di dottrina puritana e le sue idee, racchiuse in orizzonti pericolosamente angusti, trassero dal
suo carattere abitualmente triste e tenebroso un aspetto fanatico” (D.N.B., I, p. 6). Più
tardi, nel 1599, divenne Decano di Winchester, vescovo di Lichfield (1609), di Londra
(1610) e infine arcivescovo di Canterbury (1611). Nel 1621, durante una battuta di
caccia nel Hampshire ebbe la sfortuna di uccidere un battitore con una freccia scoccata
contro un daino. Il diritto canonico stabiliva che un prelato che avesse commesso omicidio incorreva in una “irregolarità”, che lo rendeva incapace di esercitare la giurisdizione. Tre vescovi eletti si rifiutarono di essere da lui consacrati e la sua “questione
teologica” divenne, come egli stesso disse, argomento di discussione dei laici e “tornò
a gioia dei papisti e ad ingiuria dei puritani”. D.N.B., I, p. 5. DAVID MATHEW, The
Jacobean Age, pp. 111-113.
20 Se J. G. avesse letto il libro di ABBOT, Sex Quaestiones, di cui parla, avrebbe apprezzato l'ironia della situazione. Prima di iniziare la confutazione della dottrina di J.
G. in merito all'equivoco, Abbot scrive: “Gerard, come noi tutti riteniamo, è ancora in
vita. Solo alcuni mesi fa egli si è abilmente sottratto alla cattività. Egli può risponder di
persona, se io altero minimamente le sue parole”. Sex Quaestiones, p. 5.
21 Dorrington, ricco puritano, si gettò dal campanile di San Sepolcro 1'11 aprile 1600.
Gli si trovò addosso uno scritto in cui si leggeva: “Signore, salva l'anima mia, ed io loderò il tuo nome”. G. B. HARRISON, Last Elizabethan Journal, p. 77; citato da
Sidney Papers, II, 187.
22 Dorrington aveva lavorato come procuratore ed aveva ricoperto una carica alla corte dello scacchiere. Si diceva che fosse stato cognato di sir Francis Walsingham
(COOPER, Athen. Cantab., vol. II, p. 164). Una copia della nota che egli lasciò è conservata nella biblioteca di Keswich Hall nel Norfolk. Sembra che si fosse gettato dal
campanile della chiesa del Santo Sepolcro, la mattina in cui si doveva aprire un processo contro di lui nella Star Chamber. Hist. MSS, Commission, XII Report, Appendix, Part IX, p. 145.
23 Il profondo affetto di J. G. per Southwell e Garnet probabilmente fece sì che egli
non fosse tenero nei suoi rimproveri. All'epoca di questa conversazione, J. G. conosceva Abbot soltanto per un attacco di quest'ultimo a Southwell e, all'epoca in cui scriveva (1609), per un attacco contro la memoria di Garnet che egli aveva descritto come
uno “sciocco ubriacone”. Né prima né dopo, J. G. si scomodò per sapere che cosa
Abbot avesse detto di lui in una conferenza tenuta ad Oxford nell'autunno del 1597 e
pubblicata l'anno seguente.
XXI. AMICI A CORTE
1599-1605
È ora di tornare agli avvenimenti londinesi, per narrare quanto accadde
dopo la cattura di John Lillie e l'imprigionamento di quel gentiluomo che
aveva preso in affitto la casa insieme a me per i bisogni miei e per quelli
dei miei amici.
Poiché non potevo tenerla più a lungo, cominciai a cercarne un'altra. La
trovai e la presi in affitto. Ma una coabitazione era ormai da escludere,
poiché non volevo abitare nella casa di chiunque fosse conosciuto come
cattolico. Così feci in modo che la locazione fosse intestata al nipote di
Mr. Roger Lee, che io avevo accolto nella Chiesa insieme a sua moglie
(1). La gente non sapeva che egli era cattolico e, di conseguenza, la casa
era al sicuro da ogni sospetto. La usai per tre anni e per tutto quel tempo
essa non fu oggetto di una sola perquisizione. Perfino durante l'ondata di
persecuzione che si abbatté prima della morte della regina, allorché le prigioni si affollarono di cattolici, nessuno le si avvicinò.
Per tenerla impiegai uno scismatico, un uomo buono ed onesto. Quando
ero in casa egli attendeva alle mie necessità; e quando ero fuori, riceveva
le mie istruzioni per posta.
Agli occhi della gente egli appariva come il servo del gentiluomo che aveva preso in affitto la casa, e tale appariva anche ai vicini. Essendo uno scismatico, egli frequentava la loro chiesa; perciò non destava alcun sospetto
né sulla sua persona, né sulla casa.
Comunque, quando tornavo in città, entravo in casa sempre di notte e durante i mesi estivi uscivo raramente. I miei amici erano soliti visitarmi sia
singolarmente che a due a due, alcuni un giorno altri un altro, poiché non
desideravo che una folla di visitatori attirasse l'attenzione della casa. Nessuno veniva accompagnato da servi, anche se si trattava di persone di rango che erano abituate a camminare con numerosi domestici. Sia per loro
che per me era meglio agire in tal modo, perché mi era possibile continuare così molto più a lungo (2).
Fu da questa casa che, non molto tempo dopo, Mr. Lee e tre altre persone
partirono per il noviziato (3). Adesso sono tutti sacerdoti e svolgono una
grande attività nella Compagnia. L'unica persona che per il momento non
è attiva è Padre Strange, che si trova prigioniero nella Torre, dove ha sofferto la crudele tortura ed ha trascorso un periodo di rigorosa segregazione. Naturalmente egli deve trovare dura e deprimente questa solitudine;
ma non è mai solo l'uomo che ha Dio per compagno per consolarlo e per
compensare abbondantemente la mancanza di quei conforti che noi andiamo cercando nelle cose create. Quando ero prigioniero a Clink, Padre
Strange era solito visitarmi. Egli era cattolico prima che io l'incontrassi, e
mi accorsi subito che era un giovane interessante e pieno di talenti; inoltre
era figlio unico ed erede di un grande patrimonio. Dal momento che poteva muoversi a suo agio in buona compagnia, lo indussi a venire spesso a
visitarmi. Alla fine fece gli Esercizi Spirituali, nel corso dei quali si convinse che era suo dovere seguire Nostro Signore Gesù Cristo ed entrare
nella Compagnia. Ma finché non avesse preso le disposizioni necessarie
(egli doveva vendere le sue proprietà), lo sistemai in casa di Padre Garnet,
in maniera che non perdesse l'ideale che aveva concepito, anzi lo rafforzasse. Rimase presso Padre Garnet per circa due anni; finalmente riuscì a
districarsi dai suoi impegni temporali. Quindi recise, per così dire, gli ultimi legami che assicuravano la sua barca alle prode inglesi e passò nel
continente, divenendo un uomo libero (4).
Prima di partire, egli mi presentò ad un suo amico, l'attuale Padre Hart (5).
Anch'egli era figlio unico; suo padre, uomo facoltoso, pare che sia ancora
vivo. Sebbene non gli avessi dettato gli Esercizi, potevo vederlo di tanto in
tanto (ciò fu dopo la mia fuga) e, al posto degli Esercizi, gli insegnai il
metodo della meditazione quotidiana. Inoltre gli diedi da leggere alcuni libri devoti tra i quali P. Girolamo Platus. Queste letture destarono in lui il
desiderio della vita religiosa e della Compagnia. Adesso lavora nella missione inglese e si muove a suo agio nella buona società, alla quale era abituato prima di abbandonare il mondo.
Il terzo fu l'attuale Padre Thomas Smith che è stato a St. Omers durante gli
ultimi due anni. Egli si era laureato in lettere ad Oxford e, quando lo incontrai per la prima volta, era precettore del giovane barone, figlio della
mia ospite (6); perciò avevo molte occasioni per parlare con lui. Tuttavia
egli era uno scismatico e mi accorsi di non poter far nulla con lui, neanche
turbare quell'atteggiamento soddisfatto del suo spirito. Era proprio il tipo
che può a ragione dire col profeta: “Il mio ventre aderisce alla terra”. Come tutti abbiamo sperimentato, persone del genere si lasciano scuotere più
difficilmente degli stessi eretici. Tuttavia conversava spesso con me e frequentava le mie pubbliche istruzioni. Ma egli giaceva come addormentato
in un sonno profondo, quasi in letargo; si avvertiva quasi la resistenza dell'uomo forte, armato per difendere la tranquillità della sua casa. Ma alla fine giunse uno più forte di lui che lo sconfisse e lo spogliò e lo avvinse,
impadronendosi delle sue opere di difesa. Questo guerriero, che ebbe ragione di lui, fu il fanciullo che ci è stato donato.
Proprio la notte di Natale (7), mentre noi tutti e la servitù quasi al completo eravamo radunati per celebrare la nascita del Signore, egli se ne stava a
letto. Ma non poteva dormire e cominciò a sentire un senso di vergogna
quando prese a riflettere che i tre ragazzi (8) ai quali insegnava erano in
piedi a cantare le lodi del Signore e che, con la loro condotta, gli stavano
impartendo una tacita lezione che avrebbe dovuto dare a loro. Destato dal
sonno dalle grida del divino Infante, cominciò a considerare tutto il tempo
da lui sciupato, mentre fanciulli ed ignoranti si affollavano davanti a lui
sulla strada del Regno. Fu assalito da un tremito. Si irritò del suo ritardo,
saltò dal letto, scese immediatamente in cappella e bussò. Chiese di vedermi subito. Siccome ero occupato, gli feci dire dal messaggero di rimandare la cosa al mattino, quando sarei stato lieto di parlargli. Ma non fu
soddisfatto. Disse che doveva parlarmi subito, perciò gli feci riferire di pazientare un po'. Quando finii il mattutino, andai ad incontrarlo così come
mi trovavo, rivestito ancora del camice. Appena mi vide, si gettò ai miei
piedi.
“Padre, mi disse in lacrime, per amor di Dio, vi prego di ascoltare la mia
confessione”.
Meravigliato del cambiamento che si era prodotto in lui, gli dissi di calmare il suo spirito e gli assicurai che lo avrei ascoltato a tempo conveniente,
perché doveva pensare per prima cosa a prepararsi bene.
“Padre, rispose, ho indugiato già troppo tempo. Per amor di Dio non mi
dite di rimandare ancora”.
“Avete ragione, dissi. È necessario agire subito. Ma una cosa è posporre la
vostra confessione, un'altra è prendere il tempo necessario per la preparazione. Se non vi preparate e non esaminate attentamente la vostra coscienza, dal momento che nulla ve lo impedisce, a nulla gioverebbe la vostra
confessione e la mia assoluzione”.
“E se io muoio nel frattempo?”, egli insistette.
“In tal caso, dissi, risponderò io per voi davanti a Dio. Adesso andate e destate nel vostro cuore un vero dolore per aver offeso un Dio così buono”.
Egli si lasciò convincere, ma era ancora in lacrime quando mi lasciò. Dopo alcuni giorni impiegati in un attento esame di coscienza, divenne cattolico e si unì a noi per celebrare gli ultimi giorni della solennità di cui aveva omesso il primo.
Queste tre persone partirono per il Belgio con Mr. Lee. Di lì si portarono a
Roma per fare il noviziato a Sant' Andrea, ad eccezione di Padre Rart.
Questi li raggiunse più tardi; ma alcuni affari particolari lo riportarono
prima degli altri in Inghilterra, dove si trova ancora impegnato in un lavoro proficuo.
Durante le mie visite a Londra, non permettevo che venissero in casa mia
tutti quelli con i quali ritenevo opportuno un incontro. Alcune volte mi recavo io stesso nelle loro abitazioni, specialmente di notte e durante il periodo invernale.
Una volta una signora mi chiamò in casa sua per ascoltare la confessione
di un gentiluomo che frequentava la corte. Questi era stretto amico di suo
marito, che era anch'egli cattolico e che io conoscevo molto bene. Sebbene
fosse ancor giovanissimo, questi era uno dei principali condottieri della
guerra irlandese (9).
Il cortigiano che egli mi portò a visitare era un barone che adesso, mentre
scrivo, ha ereditato il titolo di conte alla morte del padre (10).
Questo giovane barone desiderava confessarsi. Poiché non lo avevo mai
incontrato prima, io cominciai, come ero solito fare, col domandargli se si
fosse preparato.
“Sì”, rispose.
“Vi accostate spesso ai sacramenti?”. “Due o tre volte all'anno”.
“Sarebbe meglio, dissi, se li riceveste più spesso. Allora non avreste bisogno di prepararvi così attentamente. Stando così le cose, vi consiglio di
impiegare alcuni giorni a fare un buono ed attento esame di coscienza,
come vi mostrerò. Così quando verrete per la confessione, ne trarrete
maggior beneficio ed entrambi saremo soddisfatti. Per il futuro vi pregherei di accostarvi con maggiore frequenza ai sacramenti”. Quindi gli elencai le ragioni per le quali doveva regolarsi in tal modo.
Egli mi ascoltò molto pazientemente. Quando terminai, egli disse:
“Farò volentieri quanto mi suggerite, ma la prossima volta. Per adesso non
mi è assolutamente possibile rimandare oltre la confessione”.
“Perché?”, gli chiesi.
“Domani mi troverò in pericolo di morte, perciò voglio fare adesso i miei
preparativi”.
“Che cosa intendete dire?”, gli domandai.
“Sono stato offeso a corte da un gentiluomo, rispose, ed in maniera da non
poter passarci sopra. L'onore mi obbliga a sfidarlo a duello. Ci scontreremo domani in un posto fuori città”.
“Cielo! esclamai. Non sapete che cosa significhi ricevere i sacramenti in
questo stato? Non è questo il modo di prepararsi ad affrontare il pericolo;
non potete mettere a posto la vostra coscienza, in questa maniera. Certo
posso pensare che foste in buona fede quando vi siete proposto di confessarvi. Ma così facendo, ecciterete ancor più lo sdegno di Dio e vi allontanerete maggiormente da Lui. I sacramenti non possono avere effetto alcuno, se vi, accostate alla confessione col proponimento di vendicarvi. Inoltre, la cosa che vi siete ripromesso di attuare non solo è peccato in se stessa, ma vi espone alla scomunica. Vi supplico a scacciare questa idea dalla
mente. Ci deve essere qualche altra maniera per difendere il vostro buon
nome. Se è il vostro onore che volete tutelare, non è questa la strada da seguire. Ciò che in realtà volete difendere è il vostro buon nome nell'opinione degli uomini che non contano per nulla, poiché questa è gente che antepone la propria posizione nel mondo all'onore ed al beneplacito di Dio”.
“Ormai non mi posso ritirare, rispose quegli. Troppe persone lo hanno udito. Anche la regina lo sa; ella ha comandato espressamente che non passiamo ai fatti”.
“Tanto meglio, ribattei. Quale più valida ragione potreste addurre, per revocare tutto, che l'obbedienza agli ordini della regina? Inoltre, voi siete
conosciuto come intimo amico del conte di Essex, che adesso è caduto in
disgrazia presso di lei (11). Se sconfiggete il vostro avversario, la regina
per ferire il vostro amico conte di Essex, certamente vi punirà per aver frustrato i suoi desideri. Se lo uccidete, ella vi toglierà la vita per la stessa ragione. D'altra parte, se perdete, allora nella vergogna della sconfitta resterete privo dell'onore che adesso vi accingete a difendere. Ma, ciò che più
conta, se voi siete ucciso nell'atto stesso di eseguire la vostra vendetta, cadrete in perpetua vergogna e piomberete nel castigo eterno. E mentre vi
schermite dalle stoccate che il vostro avversario cerca di portare al vostro
corpo, ad ogni passo il demonio cercherà di confiscare fino alla guardia la
sua spada nella vostra anima”.
Nonostante tutto, il rispetto umano ebbe il sopravvento giacché, dato il
suo impegno, era quello che lo influenzava Perciò rispose:
“Padre, vi supplico di pregare per me e, se lo potete, di ascoltare la mia
confessione”.
“Questa è fuori questione, dissi. Voi non siete nella necessità di difendere
il vostro onore, come lo potreste essere in caso di guerra. Voi siete lo sfidante ed avreste potuto evitare il duello, poiché vi erano altri mezzi per difendere il vostro buon nome. Se adesso parlate di necessità, siete stato voi
che l'avete resa tale. Siete stato voi che avete insistito in questa sconsiglia-
ta impresa. Tuttavia, vi dico quanto intendo fare. Ecco un frammento della
vera croce tratto dal mio reliquiario. Io lo porrò su un Agnus Dei (12) in
maniera che lo possiate portare sulla vostra persona. Con questo potrete
forse sperare che Dio, per suo riguardo, vi protegga dal pericolo e vi conceda tempo per pentirvi. Ma badate bene che non intendo darvelo per confermarvi nel vostro perverso proposito. Ve lo do perché lo portiate addosso
con riguardo e con reverenza affinché, qualora vi troviate in pericolo - cosa che non vi auguro - Dio si compiaccia di farvi grazia della vita per la
buona volontà che dimostrate nell'onorare la Sua croce”.
Egli prese il dono con gratitudine e devozione e lo fece cucire all'interno
della sua camicia proprio sul cuore, poiché avevano deciso di battersi in
maniche di camicia senza armatura. Dio permise che il suo avversario portasse un preciso affondo sul suo cuore. La spada forò la camicia, ma non
raggiunse l'epidermide. A sua volta, egli ferì l'avversario spedendolo a terra. Tuttavia, gli risparmiò la vita e si allontanò vincitore. Tutto trionfante
venne a riferirmi come fosse stato salvato dal potere della Santa Croce.
Quindi, mi ringraziò vivamente e mi promise di essere più attento in avvenire.
In seguito la regina lo prese molto a benvolere e gli concesse un regolare
servizio a corte. Ben presto, però, egli si stancò di quella vita e, quando
morì suo padre, sposò la vedova del conte di Essex (13). Questa era eretica, ma egli la rese cattolica. Adesso, secondo quanto mi si riferisce, conducono entrambi una vita cattolica in Irlanda (14).
Ormai è tempo di tornare al cavaliere che mi presentò a questo barone.
Seguendo il mio consiglio, egli passò diversi giorni ad esaminare attentamente la sua coscienza; quindi fece una confessione generale col proposito
di condurre, in avvenire, una vita migliore. Quando, in seguito, mi disse
che era ansioso di tornare alla campagna d'Irlanda, io restai in dubbio sulla
legittimità dell'impresa. Allora egli mi promise che se i sacerdoti del luogo, ai quali l'indirizzavo, l'avessero ritenuta illegittima (essi si trovavano
sul luogo ed erano, quindi, nella posizione migliore per giudicare), egli avrebbe declinato l'incarico e sarebbe tornato in Inghilterra. Subito dopo il
suo arrivo in Irlanda, fu ucciso in battaglia da una palla di moschetto,
mentre dava l'assalto ad un bastione ed incitava i suoi uomini a seguirlo.
Ma egli si era consultato coi preti (mi comunicò questo per lettera) e questi avevano asserito che era legittimo combattere contro il partito cattolico,
perché nessuno sapeva con esattezza perché avesse preso le armi.
Dopo la sua morte si verificò un fatto straordinario, che non posso trala-
sciare. Sua moglie era una signora devota. L'ultima cosa che si aspettava
era la notizia della morte del marito. In quel periodo, però, ella sentiva ogni notte dei colpi alla porta della sua camera. Erano dei colpi forti che la
svegliavano. Anche le cameriere che erano nella stanza li sentivano, ma
quando aprivano la porta non scorgevano nessuno. Perciò ella si rivolse ad
un prete affinché restasse nella stanza con lei e con le cameriere fino al
sopraggiungere dei colpi. Appena li udì (cominciavano sempre alla stessa
ora), il prete si recò a vedere che cosa stesse avvenendo, ma ancora una
volta non c'era nessuno. Il rumore dei colpi durò dal giorno della morte fino a quello in cui ne giunse notizia. Era come se un angelo la invitasse a
pregare per l'anima del marito.
Durante le mie visite a Londra ebbi spesso occasione di incontrare uomini
di rango e potei confermarli nella fede, dirigerli e, in alcuni casi, ricondurli alla Chiesa. Molti portarono dei membri della loro famiglia e alcuni loro
amici a farmi visita.
Un uomo mi chiese di uscire con lui a cavallo per andare ad incontrare un
suo amico in una località a due miglia da Londra. Questi era una persona
ricca ed influente: senza alcun dubbio, la persona più importante della sua
contea. Il suo grado era immediatamente sotto a quello di un barone - non
era né un conte, né un pari - e tutta la sua vita era dedita alla ricerca del
piacere.
Così, ci incontrammo. Gli dissi chi ero ed egli mi salutò cortesemente, ma
allo stesso tempo non volle mostrare che mi conosceva. Quindi recitai la
parte del cattolico ansioso che tutti divenissero come lui. Allora gli dissi
come avessi sentito dire che egli era amico dei cattolici, ma il peggior nemico di se stesso, perché restava fuori della Chiesa. Sollevò subito la questione se dovesse divenire cattolico per salvarsi l'anima, e gli dimostrai
che ciò era necessario. Molto più arduo, però, era staccare la sua volontà
dai piaceri del mondo; e fu in questa direzione che portai il mio attacco.
Con la grazia di Dio abbattei le sue difese e praticai una breccia, attraverso la quale un buono e salutare consiglio trovò la strada per giungere al
suo cuore. Fino a quel momento mi aveva parlato e mi si era rivolto come
ad un gentiluomo e come ad un amico di un suo amico, ma allora disse:
“Voi siete l'uomo che ascolterà la mia confessione”. Così, stabilimmo il
momento ed il luogo conveniente in cui sbrigare la cosa a nostro agio.
Pochi giorni dopo, egli giunse alla casa del mio amico vicino a Londra,
dove si soffermò finché, con la dovuta preparazione, fu pronto a fare la
confessione. Da allora in poi divenne uno dei miei più insigni benefattori.
Finché non abbandonai l'Inghilterra, mi assegnò mille fiorini annui, oltre i
cavalli e le altre cose di cui occasionalmente avevo bisogno (15).
Questo stesso gentiluomo mi presentò a suo cognato, figlio e fratello di un
conte ed egli stesso erede della contea (16). Andai ad incontrarlo nello
stesso luogo. Prima che tornassimo a separarci, Dio toccò anche il suo
cuore e gli concesse la grazia della conversione. Egli rimase soddisfatto su
tutti i problemi di fede e di morale e qualche giorno dopo lo resi cattolico.
Sono certo che, a Dio piacendo, egli diventerà uno dei principali sostegni
della Chiesa.
Usavo la mia abitazione per amministrare i sacramenti a questi e ad altri
gentiluomini, ma badavo bene a non attirare sul luogo l'attenzione del
pubblico, per timore che divenisse conosciuta come casa cattolica. Desideravo usarla come mio rifugio a Londra (naturalmente, per tutti i sacerdoti,
e particolarmente per me, il rischio era più grande a Londra che in qualsiasi altro luogo). Uomini influenti ed altolocati sapevano che potevano visitarmi senza alcun rischio di una improvvisa irruzione, perciò venivano con
grande tranquillità. Provai per esperienza quanto fosse da loro apprezzata
tanta precauzione, poiché essa contribuiva molto alla loro ed alla mia sicurezza.
Mantenni questa casa per tre anni, dopo i quali la cedetti ad un amico cattolico, prendendone un'altra proprio vicino allo Strand, la via principale di
Londra. In questa strada viveva la maggior parte dei miei amici, perciò potevamo con maggior facilità scambiarci visite reciproche. Dopo essermi
trasferito, costatai come fosse rimasta completamente immune da ogni sospetto la casa che avevo abbandonato e che avevo abitato per tre anni. Un
giorno il mio domestico mandò a chiamare il giardiniere che egli aveva
conosciuto nella mia vecchia casa, perché c'era bisogno di ripulire il giardino (17). Questi venne e fece osservare casualmente: “Sapete, le persone
che hanno preso la vostra casa sono dei papisti”, volendo dire che i precedenti occupanti erano buoni protestanti.
Era un posto favorevole e molto comodo, munito di ingressi privati davanti e di dietro; inoltre, vi avevo fatto costruire dei sicuri nascondigli. Ci sarei potuto restare senza il minimo rischio al riparo da ogni sospetto ancora
per lungo tempo, se non fosse stato per alcuni amici che durante la mia assenza da Londra avevano usato la casa in maniera indiscreta (18). Tuttavia, vi rimasi al sicuro proprio fino al terribile tumulto conosciuto come la
congiura delle polveri, di cui tra breve darò un rapido resoconto.
Nel frattempo alcuni amici mi presentarono ad un altro gentiluomo, che a
quel tempo era erede di una baronia ed attualmente è un pari. Con la grazia di Dio, riuscii a persuaderlo ad accettare il giogo della legge di Dio e a
professare la fede cattolica, quindi lo accolsi nella Chiesa.
Un altro signore (19) che avevo conosciuto e che avevo spesso incontrato,
prima di diventare gesuita, cadde ammalato. La sua vita era stata dedita alla ricerca del piacere, perché era straordinariamente ricco e dissipato. Il
suo unico pensiero era stato quello di divertirsi ed egli avrebbe potuto fare
da un momento all'altro una brutta fine, se Dio non gli avesse usato pazienza e non lo avesse spinto al momento giusto al pentimento. Sebbene
fosse seriamente ammalato, il pensiero della morte non gli era passato neanche per l'anticamera del cervello.
Quando mi giunse notizia della sua malattia, feci in modo che mi portassero in camera sua verso le undici di sera, dopo che tutti i suoi amici si erano allontanati. Egli mi riconobbe e fu lieto della mia visita. Allora gli
spiegai perché mi ero recato da lui e lo esortai a riflettere seriamente sullo
stato della sua anima mentre era ancora in tempo. Gli dissi che, lasciando
da parte il modo in cui aveva sperperato il suo patrimonio, avrebbe fatto
bene a rendere Dio non suo Giudice, ma suo Amico e Padre amoroso. Lo
stato di spossatezza in cui si trovava lo indusse ad ascoltarmi e così “nel
tempo opportuno Dio ci ascoltò e nel giorno della salvezza ci aiutò”, giacché egli si disse pronto a fare la confessione all'istante. Comunque, gli dissi che sarei passato la notte successiva; nel frattempo gli suggerii di invitare un suo amico, che io conoscevo, a leggergli la Spiegazione dei Comandamenti di Padre Luis de Granada. Gli dissi di passare un po' di tempo a
riflettere su ogni comandamento, per cercare di ricordare come e quante
volte lo avesse trasgredito e per suscitare un atto di dolore, prima di passare al successivo. Me lo promise ed io mi impegnai a tornare la notte seguente. Fui puntuale ed ascoltai la sua confessione, dandogli tutto l'aiuto
possibile, perché il tempo passato nella preparazione era stato breve e perché, sebbene egli avesse ancora forza, non intendevo arrischiarmi a rimandare ancora la sua confessione. Lo invitai ad accertarsi che fossero estinti tutti i suoi debiti, che erano rilevanti perché egli era stato molto prodigo, e lo esortai anche a “redimere i suoi peccati mediante elemosine”. A
tutto questo provvide nel testamento che redasse il giorno seguente. Lasciò, inoltre, una somma cospicua per opere pie, somma che, a quanto mi
si riferisce, venne puntualmente versata.
Quindi gli dissi di prepararsi a ricevere la Santa Comunione e l'Estrema
Unzione la notte seguente e di farsi leggere nel frattempo un libro di devo-
zione. Fece questo ed altro. Il giorno successivo egli esortò tutti quelli che
andarono a visitarlo a non perder tempo per ordinare la loro vita secondo i
desideri di Dio ed a non attendere l'ultimo momento come aveva fatto lui.
“Non fate assegnamento sulla speciale misericordia che Dio mi ha usato;
ciò sarebbe presunzione ed offendereste Dio. Sotto questo rispetto io ho
meritato l'inferno più di mille volte”. Disse molte cose del genere con ardore e senza soggezione, facendo meravigliare tutti del cambiamento avvenuto in lui. Quando i suoi amici gli suggerirono di nascondere il crocifisso che aveva al collo (io gli avevo prestato la mia croce piena di reliquie, in maniera che potesse baciarla e fare atti di devozione e di amore),
egli rispose: “Nasconderlo? Non lo nasconderei neanche se nella mia camera ci fosse il più fanatico degli eretici. Fin troppo son rimasto lontano
dalla professione della mia fede. Se adesso Dio mi concedesse vita, mi dichiarerei apertamente cattolico”. Erano tutti stupiti del suo modo di parlare, ma nello stesso tempo erano anche molto commossi ed edificati. Allo
stesso modo parlò davanti a tutti i pari e a tutti i grandi personaggi che
andarono a visitarlo.
Così la sua conversione diventò di dominio pubblico ed in seguito passò
per la bocca di molti cortigiani. Quando andai a trovarlo la terza notte secondo la promessa, egli si confessò di nuovo con grandi segni di pentimento. Quindi chiese di ricevere il sacramento dell'Estrema Unzione.
Mentre compivo il rito, egli si disponeva in maniera che potessi raggiungere con facilità le parti del corpo che dovevo ungere. Lo si sarebbe detto
cattolico già da molti anni. Era così felice che alla mia domanda: “Confidate completamente nei meriti di Cristo e nella misericordia di Dio?”, egli
rispose:
Certo, come potrei fare diversamente? Se non fosse per la grande misericordia che Egli ha mostrato verso di me, sarei dannato all'inferno. Quando
riguardo me stesso, non vedo alcun motivo di speranza e sono assalito da
grande tremore; ma sono pieno di speranza nella misericordia e nella bontà di Dio. Egli mi ha atteso per tanto tempo ed ora mi ha chiamato, quando ormai ero l'ultimo a meritarlo”.
Quindi, prendendo mi la mano, continuò:
“Inoltre, padre, non so come dirvi quanto vi sia debitore. Dio vi ha mandato per portarmi questa felicità”.
Mi accorsi, tra l'altro, che non aveva alcuna tentazione contro la fede. Egli
credeva e professava nella maniera più ferma ciascun articolo del credo;
era chiaro, perciò, che Dio aveva infuso nella sua anima l'abito di molte
virtù.
Quindi, allestii un altare nella sua camera (avevo portato con me tutto il
necessario) e celebrai la messa, cui egli assisté con grande devozione e con
grande conforto. Più tardi gli portai il Viatico che non avrebbe potuto ricevere con maggior devozione. Quando tutto fu compiuto, gli diedi alcuni
brevi consigli per aiutarlo, nel caso che dovesse cadere in agonia prima del
mio ritorno. Quando lo lasciai, era pieno di consolazione.
Quanto è straordinaria la Provvidenza! Poche ore dopo egli rese l'anima a
Dio. Fino all'ultimo momento implorò misericordia e ringraziò Dio per
tutta la grazia che aveva ricevuto. Prima di morire, disse agli astanti di
provvedere affinché fossero impiegati nell'uso dell'altare alcuni suoi abiti
rossi di porpora: egli li aveva ricevuti dal re quando era stato nominato
cavaliere del Bagno. L'investitura di questo ordine ha luogo soltanto durante la cerimonia dell'unzione ed incoronazione del re. Questi cavalieri
godono la precedenza su tutti gli altri eccetto quelli del nobilissimo ordine
della Giarrettiera, e quasi tutti sono conti o pari. (Egli era cavaliere dell'ordine del Bagno, come dicevo, e desiderava che fossero adattate all'uso
dell'altare tutte le vesti delle quali era stato rivestito durante l'incoronazione). Gli erano piaciuti i miei paramenti. Sebbene fossero leggeri e facilmente trasportabili, erano fatti magnificamente di seta rossa ornata di ricami d'argento. Dopo la sua morte le vesti mi furono consegnate, secondo
il convenuto. lo le feci trasformare in due paramenti completi di colore
differente, uno dei quali si trova adesso nell'istituto di St. Omers. In tal
modo potei soddisfare il pio desiderio di un gentiluomo la cui conversione, a mio avviso, fu un grande segno della bontà e della Provvidenza di
Dio.
Nello stesso periodo accolsi nella Chiesa una signora, moglie di un cavaliere che adesso è un ottimo e provvido amico dei nostri padri. A quel
tempo suo marito era protestante, ma io avevo assistito suo fratello durante gli Esercizi Spirituali per fargli disprezzare il mondo e seguire i consigli
di Cristo. Fu lui che mi presentò alla sorella. Dopo averle parlato una o
due volte, ella divenne cattolica, sebbene fosse ben conscia delle gravi sofferenze alle quali andava incontro non appena l'avesse saputo il marito.
Accadde proprio così.
Dapprima egli fu gentile con lei, quindi passò alle minacce tentando ogni
mezzo per ritrarla dalla sua risoluzione. Per lungo tempo sembrò che non
ci fosse altro da fare per lei, se non separarsi dal marito, e perdere tutto ciò
che aveva al mondo per possedere la sua anima in pace. A causa della sua
conversione, il marito fu privato della carica che ricopriva nello Stato; ed
ella sopportò con grande fortezza questa prova. Rimase ferma ed imperturbabile, e con l'esempio della sua pazienza e della sua bontà influì sul
marito, il quale dapprima diventò amico dei cattolici e poi divenne cattolico egli stesso. Padre Walpole, al quale lo presentai prima che abbandonassi l'Inghilterra, lo accolse nella Chiesa.
Ci furono molte altre conversioni, delle quali non posso narrare separatamente. Il mio racconto è ormai del tutto sproporzionato alle cose insignificanti che riferisce. Quanto io ho fatto è nulla se viene paragonato a quello
che è stato realizzato dagli altri. Tuttavia c'è una cosa che non posso tralasciare. Questa mi procurò una gioia particolare a motivo della persona che
vi fu implicata, perché penso di non aver amato nessuno più sinceramente.
Sir Everard Digby, del quale ho più sopra parlato, aveva un amico al quale
era profondamente attaccato (20). Egli me lo aveva spesso decantato ed
era ansioso di farmi incontrare con lui, per vedere se fosse possibile conquistarlo. Il gentiluomo occupava a corte una mansione che richiedeva la
sua quotidiana presenza alle dirette dipendenze del re. Siccome egli non
poteva assentarsi molto tempo per volta, ci volle molto prima che riuscissimo a fissare un appuntamento.
Alla fine sir Everard incontrò il suo amico quando entrambi ci trovavamo
a Londra e gli chiese di venire a casa sua ad un'ora fissata per fare una
partita a carte. Non è fuor di luogo rilevare che le carte sono, per così dire,
i libri che quasi tutti questi gentiluomini londinesi studiano giorno e notte.
Egli accettò di andare. Quando arrivò, invece di trovarci intenti alle carte,
ci vide impegnati in una conversazione molto seria. Sir Everard lo pregò
di porsi a sedere, finché non fosse giunto il resto della compagnia. Quindi,
durante una pausa della conversazione, sir Everard disse:
“Ci siamo impegnati entrambi in una conversazione molto seria. Abbiamo
discusso, infatti, di religione”. Rivolgendosi poi al gentiluomo, aggiunse:
“Voi sapete che io sono ben disposto verso i cattolici e verso la fede cattolica; ho argomentato tuttavia contro la fede con questo mio amico, per vedere quale difesa sia capace di opporre. Egli è un cattolico fervente, e non
ho alcun timore di dirvelo”. Quindi, volgendosi verso di me: mi pregò di
non adir armi se lo tradivo davanti ad un estraneo. Poi continuò: “Debbo,
però, riconoscere che egli ha difeso così validamente la sua posizione che
non ho saputo controbatterlo. Sono molto lieto quindi che siate venuto a
trarmi d'impaccio”.
Il visitatore era giovane e sicuro di sé. Con la sua abilità e con un argo-
mento tanto interessante sul quale disputare, pensava che avrebbe trionfato di tutti senza difficoltà e, come mi disse più tardi, mi riguardava un po'
dall'alto.
Egli cominciò a sollevare obiezioni contro tutto quello che andavo dicendo. lo attesi pazientemente e, quando finì di parlare, gli risposi con poche
parole. Quindi tornò alla carica e così continuammo a discutere insieme
per circa un'ora. Finalmente io esposi il mio punto di vista in maniera più
diffusa e lo confermai con passi della Scrittura, con affermazioni dei Padri
e con argomenti che mi venivano a portata. Come spesso mi capitava in
occasioni del genere, sentivo che Dio mi metteva le parole sulle labbra,
mentre parlavo con grande foga a favore della sua causa. E ciò Egli faceva
non già per mio riguardo, né per alcun mio merito. Egli agiva proprio come quando dona il latte ad una madre allorché questa ha un bimbo che
abbisogna del nutrimento del suo seno. Il gentiluomo si mostrava desideroso di apprendere. Non era il tipo capace di contestare ciò che gli si presentava col crisma della verità; perciò ascoltava in silenzio mentre, in tono
più persuasivo ed efficace del mio, Dio andava parlando al suo cuore. Dio
gli diede “orecchie per intendere” e “la parola cadde non già sulla roccia,
né tra le spine, ma sul terreno fertile”, un terreno così fertile che,con la
grazia di Dio, produsse il centuplo nella stagione del raccolto. Prima di ripartire, decise di diventare cattolico. Portò via con sé un libro che lo aiutasse a prepararsi alla confessione, che fece prima dello scadere della settimana.
D'allora in poi, si propose di non limitarsi alla semplice osservanza dei
comandamenti. Dio, infatti, lo stava preparando a cose ben più alte. Ricorreva spesso a me per consiglio ed accettava prontamente ogni mio suggerimento; né vi era pericolo che se lo facesse sfuggire dalla mente, anzi agiva sempre di conseguenza e con molta prontezza. Ogni giorno esaminava
attentamente la sua coscienza e, quando imparò a meditare, cominciò a fare la meditazione ogni mattina. A tal fine, doveva alzarsi molto presto: in
ogni caso, prima del re. Durante l'estate ciò significava all'alba, perché il
re andava ogni giorno a caccia ed egli, a motivo del suo ufficio, doveva
assistere alla sua colazione (21). Leggeva con fervore libri di devozione e
ne portava sempre uno in tasca. Avreste dovuto vederlo a corte o nella sala
delle adunanze, specie quando questa era gremita di cortigiani e di nobildonne famose. Egli si avvicinava ad una finestra e leggeva un capitolo dell'Imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis, libro che conosceva dalla
prima all'ultima pagina. Dopo quella breve lettura ritornava tra la folla, ma
la sua mente vagava altrove, assorta com'era nei propri pensieri. La gente
immaginava che stesse ammirando qualche bella signora o che fosse intento a studiare la maniera di raggiungere un posto più elevato. In realtà,
egli non aveva nessun bisogno di preoccuparsi di ciò. Era figlio e fratello
di un conte; inoltre, il suo ufficio a corte era molto ambito e gli garantiva
ogni giorno una continua dimestichezza col sovrano. Egli era un uomo intelligente e sapeva trovare il momento opportuno per fare le sue richieste.
Infatti il re gli offrì un ufficio (egli lo vendette più tardi) che, se lo avesse
mantenuto, gli avrebbe fruttato più di diecimila fiorini all'anno. Tra non
molto avrebbe certamente ricevuto un'alta promozione perché era dotato di
una abilità straordinaria nel rendersi accetto ed amato da ciascuno. Infatti,
dopo che egli aveva volto le spalle alla corte ed abbandonato tutti gli onori
mondani, sentii dire da diverse persone, che occupavano a corte posti di
rilievo e che avevano una grande esperienza, che nel volger di quarant'anni essi non avevano conosciuto nessuno che fosse stato così universalmente amato e stimato da tutti e da ciascuno. Ma, ciò che più importava, era
un prediletto nella corte del Re dei re ed aveva il cuore rivolto a premi più
grandi e più duraturi. Mi chiese di fare gli Esercizi Spirituali, durante i
quali decise di abbandonare la corte e di dedicarsi a cose che avrebbero
reso la sua vita più preziosa al cospetto di Dio e più utile al servizio del
prossimo. Con tutta la rapidità che gli fu possibile, dispose del suo patrimonio in maniera tale da liberarsene per fuggire dall'Inghilterra. Quindi,
con sorpresa generale, chiese ed ottenne dal re il permesso di recarsi in Italia, dove ancora si trova. Egli è così ben conosciuto che non c'è bisogno di
aggiungere altro. Aggiungerò soltanto una cosa. Da tutte le informazioni
mi risulta che, dovunque egli è stato, ha lasciato una favorevole impressione, procurandosi una grande stima e suscitando grandi aspettative (22).
Oltre sir Everard Digby, questo gentiluomo aveva un altro intimo amico:
era un uomo influente e molto ricco, che aveva grandi talenti ma era dedito alla vita di mondo. Egli lo condusse a farmi visita nella speranza che io
riuscissi con la mia opera a farlo cattolico.
Tra le sue amiche c'erano due gentildonne, che lo amavano e ne erano
soggiogate. Il loro, però, era un affetto lodevole in vista del matrimonio,
perché sono sicuro che lo avrebbero preferito al più grande conte d'Inghilterra. Una di loro apparteneva alla corte ed era damigella d'onore della regina, l'altra viveva in campagna e proveniva da una famiglia cattolica.
Egli mi presentò la prima che, tramite il mio ministero, si fece cattolica.
Quindi le suggerì di riporre il suo cuore in qualcosa di più nobile della sua
persona, cioè in Dio, al quale è dovuto tutto il nostro amore. Perciò le disse che egli non avrebbe mai amato una donna se non con l'amore della carità, avendo deciso di non sposarsi.
Per quanto riguarda la seconda, che era già cattolica, egli la persuase a farsi suora. Questa si trova adesso in religione e fa molti progressi (23).
Sono sicuro che questo gentiluomo fosse stato scelto ed eletto da Dio per
condurre molte anime alla pratica dei consigli di Cristo e per esserci d'aiuto in molti modi.
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NOTE AL CAPITOLO XXI
1 Probabilmente sir Edmund Lenthall di Lachford, nell'Oxon, che era figlio di Eleanor
Lee. Sua sorella Agnes divenne benedettina a Bruxelles. C.R.S., vol. XIV, p. 178.
2 In questo periodo CedI ricevette un rapporto falso secondo il quale J. G. era partito
per l'Irlanda. “Si supponeva che il gesuita J. G. si dirigesse in Irlanda passando per
Westchester. Ultimamente è stato a Londra e si è camuffato con una barba finta e con
una parrucca di un color marrone alquanto scuro. Ha la barba molto lunga, tagliata a
punta in maniera inappuntabile secondo la moda. In questa acconciatura è stato visto a
Clerkenwell”. Hat. Cal., XIV, p. 194.
3 Roger Lee entrò in noviziato a Roma il 27 ottobre 1600. FOLEY, VII, p. 446.
4 Padre Strange entrò nella Compagnia a Sant'Andrea nel 1601. Quando ritornò in Inghilterra due anni dopo, si stabilì con J. G. a Harrowden. In una lettera scritta nell'agosto o nel settembre 1606, Padre Blount si riferisce all'imprigionamento di Padre Strange: “Padre Strange sta nella Torre con grande risolutezza e costanza, nonostante le sue
frequenti torture, tanto che i suoi stessi nemici lo lodano molto”. (Stonyhurst MSS,
Anglia, vol. III, n. 64). Mrs. Vaux in una lettera, menzionata più tardi da J. G. nel suo
racconto, parla delle proprietà di Padre Strange: “I suoi beni, ella dice, sono e saranno,
dopo la morte di sua madre, di 800 libbre all'anno. La stessa notizia che egli stava in
questa maniera [era stato arrestato] ucciderebbe la madre, essendo figlio unico”.
C.S.P.D., James I, vol. XVI, n. 43.
5 Nativo di Kennington, nel Kent, studiò alla Westminster School, ad Oxford e a Londra, dove J. G. lo incontrò. Egli stesso afferma che i suoi genitori “appartenevano alla
classe agiata e potevano spendere duecento sterline all'anno”. Quando, il 31 ottobre
1599, fu ammesso al Collegio Inglese, egli scrisse una relazione sugli inizi della sua
carriera, nella quale descrive il suo primo incontro con J. G. “Mr. Strange, scrive,
promise di farmi conoscere Padre Garret [J. G.]... e non appena egli fu menzionato,
siccome avevo sentito parlare della grande fermezza con cui aveva sopportato la tortu-
ra nella Torre di Londra, arsi dal desiderio di vederlo...”. Racconta poi come, dopo
“molti ostacoli prima che potessi vederlo”, egli fu “grandemente sollevato dai suoi soavi consigli”. (FOLEY, I, pp. 169170). Nel 1611 fu catturato a Harrowden, quando la
casa fu perquisita, essendosi diffusa la notizia che J. G. era ritornato in Inghilterra.
Morì nel Galles meridionale il 26 luglio 1650 all'età di settantatré anni.
6 Siccome Elizabeth Vaux doveva render noto al consiglio come stava educando suo
figlio, fu una misura prudenziale assumere un precettore “Scismatico”. Smith fu seguito da Tutfield, un altro scismatico, che più tardi divenne precettore dei figli di lord
Mordaunt. Hat. Cal., XVII, p. 528.
7 Natale 1599. Thomas Smith entrò nel Collegio Inglese di Roma il 24 ottobre dell'anno successivo. Cfr. FOLEY, VI, p. 217. Thomas Smith era nativo dello Staffordshire.
Più tardi divenne gesuita e naturalmente continuò nella sua carriera di insegnante a St.
Omers.
8 Sembra che sia stato l'inizio d'una piccola scuola del genere di quelle che più tardi
furono istituite presso le famiglie non-conformiste. Sono debitore a Padre Godfrey Anstruther, O. P., dei nomi dei due ragazzi che furono educati con il barone. Uno fu John
Mulshaw, figlio di Thomas Mulshaw di Finedon, che vi rimase per cinque anni prima
di andare all'estero e di farsi gesuita. L'altro fu Henry Killinghall, che non era del luogo, essendo nato nella prigione di York, dove i suoi genitori erano stati imprigionati
per la fede; in seguito fu mandato a Harrowden per i suoi studi. Nel 1609 entrò nella
Compagnia come fratello laico. C.R.S., vol. XXX, pp. 81, 84.
9 Forse sir Henry Norris, che si batté nelle Fiandre, in Bretagna ed in Irlanda e che si
trovava a Londra durante l'inverno 1598-1599. Sir Henry Norris, figlio del barone
Henry Norris di Rycot, vicino a Thame, fu ferito a Finniterston nel giugno 1599 e morì
dopo l'amputazione di una gamba. In una discussione di carattere familiare una certa
lady Susan Chamberlain racconta che sua cognata, lady Bridget Norris (nata Kingsmil
e nipote di Sir Robert CedI), moglie del fratello Thomas, “è diventata fervida cattolica
e si sforza di convertire le sue sorelle”. (Hat. Cal., XIII, p. 160). Nel novembre del
1598 Henry fu in Inghilterra di passaggio dovendosi portare in Irlanda per la guerra, e
si mostrò chiaramente poco entusiasta dell'impresa. I suoi fratelli, William (morto nel
1579), John (morto nel 1597) e Thomas morto nel 1599 (circa nello stesso periodo di
Henry) erano inestricabilmente coinvolti nella politica irlandese ed è improbabile che
avessero gli scrupoli che J. G. attribuisce più tardi a questo cavaliere.
10 Richard de Burgh, barone Dunkellin, che successe al padre quale quarto conte di
Clanricarde, subito dopo questo incontro. Poiché J. G. dice in seguito che a quel tempo
Essex si trovava in disgrazia, il fatto che egli passa a narrare deve essere accaduto durante l'anno 1600.
11 Nel novembre del 1599, Essex tornò dall'Irlanda per giustificare le misure che egli
aveva adottato. Fu imprigionato e alla fine fu liberato. Il duello quindi sarebbe avvenuto fra la sua caduta in disgrazia verso la fine del 1599 e la sua esecuzione capitale per
alto tradimento il 25 febbraio 1601.
12 Vedi nota 22, capitolo I
13 Frances, figlia ed ereditiera di sir Francis Walsingham, segretario di Elisabetta, e
vedova, prima di sir Philip Sidney e poi di Robert Devereux, secondo conte di Essex,
il favorito della regina, che perì tragicamente nel 1601. Così l'unica figlia di Walsingham, il grande persecutore dei cattolici sotto il regno di Elisabetta, diventò cattolica
grazie all'influenza di J. G.
14 Dopo essere succeduto al padre come quarto conte di Clanricarde il 20 maggio
1601, Richard de Burgh si distinse nella battaglia di Kingsale. Più tardi fu insignito del
titolo di conte di St. Albans. Egli era a Londra alla fine dell'estate e nel susseguente autunno 1602; presumibilmente fu a quell'epoca che J. G. lo incontrò. In una lettera di
cronaca del 25 agosto 1602, Padre Rivers scrive: “Il giovane conte di Clanricarde che
somiglia molto al defunto conte di Essex, sta diventando un favorito e si pensa anche
che il segretario sia d'accordo con lui, perché egli è uno di quelli che riesce spesso a
persuaderla in ciò che essi vorrebbero, ma che essi stessi non osano dire”. (FOLEY, I,
p. 46). Suo figlio, il quinto conte, è descritto dallo storico LECKY (vol. II, p. 163)
come “un uomo dotato di un forte senso della vita senza paura e senza macchia... un
sincero cattolico romano e nello stesso tempo un suddito devoto del governo”. La famiglia rimase cattolica finché l'ottavo conte non fece atto di sottomissione nel 1681 o
poco prima. The Complete Peerage, vol. III, pp. 230-233.
15 Richard Bancroft, vescovo di Londra, fa allusione ai cavalli di J. G. in una lettera
indirizzata a Cecil 1'11 aprile 1603: “Poiché Mr. Gerard è un grande uomo nero, vestito molto elegantemente; e, essendo seguito da due uomini e da un paggio deve essere
ben munito di cavalli”. Hat. Cal., XV, p. 25.
16 Nonostante la grande quantità di particolari, è difficile identificare questa persona
con certezza. Forse si tratta di Francis Manners, figlio di John Manners, quarto conte
di Rutland, fratello ed erede di Roger Manners, quinto conte. L'amico di J. G. deve essere: 1° “il figlio e il fratello di un conte ed egli stesso erede di una contea”; 2° il cognato di un cavaliere o il marito della sorella di un cavaliere il cui grado “era inferiore
a quello di un barone”; 3° in vita nel 1609 quando J. G. stava scrivendo; 4° a Londra
tra il 1599 ed il 1605 così che J. G. possa averlo incontrato.
Francis Manners sembra soddisfare tutte queste condizioni. Dopo un viaggio all'estero
(1598-1600) egli si trovava evidentemente a Londra nel 1600, perché prese parte alla
rivolta di Essex al principio dell'anno 1601. Era figlio di John Manners, quarto conte di
Rutland che mori nel 1576, e fratello di Roger Manners, quinto conte che nel 1598
sposò Elizabeth, figlia di sir PhiIip Sidney e di Frances Walsingham. Siccome Roger
Manners mori nel 1612 senza figli, suo fratello Francis era erede del titolo di conte.
Francis Manners era cattolico, “era figlio e fratello di un conte ed egli stesso era erede
di una contea”. Era inoltre vivo nel 1609 ed era stato a Londra dal 1600 al 1601. L'unica difficoltà proviene dal suo matrimonio. Francis Manners sposò Frances, figlia di
sir Henry Knyvett di Charlton nel Wiltshire, e vedova di sir William Bevill. Siccome il
nome da ragazza di Frances era Knyvett J. G. aveva potuto pensare che ella fosse la
sorella e non, come difatti era, una semplice parente di sir Thomas Knyvett, il quale
pretendeva di essere de ;ure lord Berners e potrebbe ben essere il cavaliere il cui “grado era inferiore a quello di un barone”. Sebbene sir Thomas Knyvett avesse ottenuto
da Giacomo I il diritto ed il titolo del baronato, mori nel 1611 (poco dopo il periodo in
cui J. G. scriveva), prima di aver ricevuto la conferma della donazione. Non si sa se
fosse cattolico, ma egli risponde alla descrizione di J. G. per la ricchezza e per il suo
potere. (Historical MSS, Commission, XII, parte 4, Rutland Papers, passim).
Potrebbe anche darsi che costui fosse William Percy (1575-1648), poeta e drammaturgo. Egli era il terzo figlio di Henry, nono conte di Northumberiand, fratello di
Henry, decimo conte, e suo erede fino alla nascita di Algernon Percy, più tardi undicesimo conte, che fu battezzato il 13 ottobre 1602. In questo caso “suo cognato” sarebbe
sir William Herbet che sposò la sorella di William Percy, Eleanor, e che pretendeva di
essere il sedicesimo lord feudale di Powis, titolo che era divenuto vacante nel 1551.
Nel 1629 sir William Herbert fu fatto barone di Powis. All'epoca del complotto di Gates, suo nipote fu imprigionato per la fede, e la stirpe rimase fermamente giacobita.
17 J. G. amava il giardinaggio. In una lettera del 15 luglio 1606, scritta poco dopo la
sua evasione, egli proponeva a Padre Persons alcuni suggerimenti circa le sue occupazioni future ed aggiungeva: “lo potrei aver cura del giardino, perché vi eccello (se mi
permettete di vantarmi) essendo questo il mio più grande svago in Inghilterra, e spero
che mio fratello [probabilmente sir Oliver Manners] testimonierà di aver veduto molte
belle piante da me curate e di aver gustato i frutti di alcune di esse”. Stonyhurst MSS,
Anglia A, VI, n. 59.
18 Probabilmente “la casa nei campi dietro la locanda di St. Clement”, dove i cospiratori giurarono il segreto prima della congiura delle polveri.
19 Sir Thomas Langton, barone di Newton-in-Makerfield, nel Lancashire. Fu creato
cavaliere del Bagno alla coronazione di Giacomo I e mori a Westminster il 20 febbraio
1604 all'età di 44 anni. Sir Thomas Langton, dopo aver rotto il prematuro fidanzamento con Margaret Shirburn di Stonyhurst, sposò all'età di diciannove anni Elizabeth, figlia di sir John Savage e di Elizabeth Manners. Presumibilmente fu attraverso Oliver
Manners che J. G. rinnovò l'amicizia dell'infanzia con sir Thomas Langton. Quando era
giovane, sir Thomas aveva ucciso Thomas Hoghton di Hoghton Hall in una rissa per la
proprietà del bestiame. C.R.S., Lord Burghley's Map of Lancashire, p. 19.
20 Sir Oliver Manners, quarto figlio del quarto conte di Rutland, era cancelliere del
Consiglio.
21 Egli era siniscalco del re. BIRCH, Court of James I, vol. I, p. 49.
22 Oliver Manners fu ordinato prete a Roma il 5 aprile 1611, dopo che J. G. aveva
scritto l'Autobiografia. Quando egli morì nel 1618, il Bellarmino che lo aveva ordinato
scrisse a J. G.: “Il ricordo dell'eccellente Mr. Oliver mi ha recato una tristezza ed un
dolore non lievi non per lui, che ora è innalzato da questo mondo alle gioie del paradiso, ma per quei tanti che egli avrebbe indubbiamente convertito ad una vita proba, se
la divina Provvidenza gli avesse concesso di vivere più a lungo”. (Stonyhurst MSS,
Anglia A, voI. VIII, n. 107). La sua morte prematura gli risparmiò di diventare un uomo di ministero. I convertiti molto in vista, come Oliver Manners, George Gage, Edward Sanley e Toby Mathew, a causa della persecuzione, erano costretti a mantenere
grande segretezza nel caso che fossero diventati sacerdoti, altrimenti dovevano perdere
ogni speranza di ritornare in Inghilterra e di servire i loro compatriotti. Giacomo I fece
grande uso tanto di Toby Mathew che George Gage, quando trattò con la Spagna. Ma,
siccome questi uomini erano amici dei gesuiti, diventarono oggetto di sospetti e di ostilità in certi ambienti cattolici. Fu forse lo smacco di coloro che tentarono di penetrare
nel loro segreto che creò la leggenda dei gesuiti laici e dei gesuiti travestiti.
23 Questa fu certamente Anne Bromfield, figlia di sir Edward Bromfield. Sua madre
era protestante ed era “Madre delle damigelle d'onore” a corte. La storia della sua riconciliazione con la Chiesa è narrata dettagliatamente nell'opera di ADAM
HAMILTON, Chronicle of St. Monica's, pp. 107-110. Sembra che a questo punto J.
G. vada indietro nell'ordine cronologico del suo racconto. Anne si riconciliò con la
Chiesa poco prima dell'arresto di J. G. Emise la professione il 3 maggio 1599 e diventò
più tardi vice priora del convento di Santa Monica.
XXII. ULTIMI GIORNI DI FATICHE
Le conversioni che si verificarono nel paese furono numerose ed alcuni
convertiti erano capi di grandi casati. Dal momento, però, che mi sono già
troppo dilungato, mi limiterò a narrare un singolo caso che ebbe un felice
inizio ed una migliore fine.
La signora era una parente della mia ospite. Sebbene avesse sposato un
gentiluomo che era da molti anni cattolico, nessuno, né suo marito, né una
qualsiasi amica, e neppure la mia ospite, che l'amava come una sorella,
poterono indurla a diventare cattolica. La signora non rifiutava affatto di
ascoltare cattolici e preti, perché si dilettava nel discutere con loro su argomenti interessanti, ma non intendeva seguire altra opinione all'infuori
della sua. Aveva, per la verità, dei talenti che raramente ho osservato in
una donna e la mia ospite spesso versava lacrime sopra di lei. La rattristava la propria incapacità di trovare un rimedio ed era desiderosa che io la
incontrassi anche una sola volta. Per la sua intelligenza, per il suo carattere, per il suo tenore di vita e per tutto quel che la riguardava la mia ospite
non aveva altro che lodi; l'unico difetto che notava in lei era la sua persistenza nell'eresia.
Sebbene ella vivesse in una lontana contea, la mia ospite la pregò di venirci a trovare. Ella accettò l'invito e al suo arrivo mi trovò seduto a conversare in compagnia e vestito come se fossi un ospite appena giunto da Londra. Tutto ciò rispondeva ad un piano prestabilito. Facemmo poco durante
il primo e il secondo giorno. Sapevamo di avere molto tempo a nostra disposizione e desideravo che ella si sentisse a suo agio con me. Durante altre visite ella aveva incontrato dei preti nella casa, ma quelli per la maggior parte, se ne erano rimasti per conto proprio nelle loro stanze.
Quando stimai che si fosse accorta della mia professione cattolica - era assolutamente fuori questione che mi ritenesse un prete - cominciai lentamente ad introdurre l'argomento della religione. Dapprima parlai molto
poco, ma quel poco che dissi era in argomento ed ella sembrò a corto di risposte. Quindi la lasciai. Non intendevo rendere incolmabile il vantaggio;
era già abbastanza suscitare in lei il desiderio di ascoltarmi ancora.
Alla fine, dopo alcuni giorni, la giudicai pronta. Mi accordai con la mia
ospite. Ella doveva avviare il discorso sulla religione; quindi, quando mi
avrebbe visto entrare e prender parte alla conversazione, doveva lasciarci
soli oppure con una o due delle sue tre figlie, che aveva portato con sé.
Facemmo così. Cominciammo ad argomentare in maniera che le sembras-
se che il vantaggio passasse dall'una all'altra parte. Continuammo cosi per
una o due ore; ma alla fine ella mi ascoltò per altre due o tre ore senza interruzione. Sebbene le sue risposte fossero ormai ben poca cosa, ella non
voleva darsi per vinta. Tuttavia mi ringraziò cordialmente e se ne andò infiammata e rossa in viso. Era rimasta chiaramente scossa, anzi le si era
mutato il cuore perché corse subito dalla mia ospite.
“Cugina, che cosa avete fatto?”.
“Che cosa ho fatto?”, chiese la mia ospite.
“Chi è quest'uomo che mi avete portato? È proprio vero quel che mi avete
detto di lui?”. Quindi cominciò a farle domande sulla mia persona ed a
parlare in maniera fin troppo lusinghiera della mia eloquenza e della mia
cultura, dicendo che non riusciva a starmi alla pari né a rispondermi.
Il giorno seguente Dio completò quel che aveva cominciato in lei. Ella si
arrese a discrezione ed io le diedi un libro che la aiutasse a prepararsi alla
confessione. Intanto, col consenso e con l'aiuto della madre, istruii le tre
figlie. Quando esse appresero il catechismo, ascoltai la loro confessione.
Tuttavia, nel corso della propria preparazione, la signora si sentiva agitata
e scoraggiata. Non era il pensiero di abbandonar l'eresia, ma la prospettiva
della confessione che l'agitava. Perciò la incoraggiai come meglio potei,
dicendole che non aveva nessun motivo di temere. Ma dopo aver esaminato sufficientemente la propria coscienza, cominciò a rimandare di giorno
in giorno la confessione, adducendo il pretesto che non era pronta. lo non
volevo accettarlo. Le dissi che il demonio stava lavorando sul terreno preferito ed ella stessa riconobbe, più tardi, che avevo ragione. Infatti, quando
mi obbedì e si confessò, si senti alleggerire di un grave fardello e riempire
di consolazione. Infine si disse molto lieta di non averla rimandata oltre.
Ho notato spesso che alcune persone trovano molta difficoltà a fare la
confessione, quando vengono ricevute nella Chiesa. Alcune si affaticano
tanto da sentirsi male e quasi vengono meno; esse debbono sedersi e riposarsi per poi continuare quando si siano alquanto riprese. Ciò è capitato in
casi in cui il penitente era in buona salute e si mostrava ansioso di confessarsi. Talvolta, all'atto di ricominciare, cadevano di nuovo in deliquio, anche per due o tre volte nel corso della loro prima confessione. Ma alla fine
si sentivano magnificamente e dopo l'assoluzione andavano via pieni di
conforto e di gioia. Alcuni infatti mi hanno fatto notare che molte persone,
solo che conoscessero il conforto prodotto dalla confessione, per nulla al
mondo si lascerebbero indurre ad ometterla.
Questa signora era proprio una di queste persone. Dopo la confessione si
alzò profondamente confortata e corse a ringraziare la cugina, per mezzo
della quale aveva ottenuto questa felicità. Dio infatti era stato misericordioso con lei ed ella divenne molto devota. Una volta tornata a casa, cominciò a fare dei magnifici paramenti e, quando ne aveva occasione, dava
rifugio a sacerdoti. Ciò, tuttavia, non le bastava. Ella desiderava tornare ad
abitare con noi, in maniera da poter si accostare con maggiore frequenza
ai sacramenti ed ascoltare i sermoni che tenevo ogni domenica e durante i
giorni festivi. Rimase infatti con noi per circa due anni e per tutto quel
tempo crebbe in devozione e lesse molti libri ascetici. Era chiaro ormai
che la sua vita era guidata da una grazia speciale e dalla Provvidenza di
Dio.
Alla fine di questo periodo, durante il quale aveva goduto una salute invidiabile, ella fu colpita da una malattia ed in pochi giorni si indebolì tanto
che i medici non poterono far nulla per lei. Allora le consigliammo di prepararsi per la vita futura ed ella tornò a fare un'accurata confessione della
sua vita passata. Quindi, quando si sentì vicina all'agonia, chiese di scrivere a suo fratello che era un eretico e che, forse, era il peggior nemico dei
cattolici nella sua contea. Volle mandargli una lettera scritta per mano di
sua figlia e firmata di suo stesso pugno. In questa ella rammentava al fratello per quanto tempo fosse stata un'accesa sostenitrice della nuova religione. Di conseguenza egli poteva essere ben sicuro che ella non avrebbe
mai cambiato parere senza solide ragioni. Ella aveva infatti dei motivi eccellenti ed inoppugnabili a sostegno della fede che aveva abbracciato. Protestò, inoltre, che dal giorno in cui era divenuta cattolica era vissuta in pace con se stessa, mentre prima non aveva mai goduto la vera pace dell'anima. Infine lo supplicò a provvedere alla propria anima. “lo, tua sorella,
scrisse, ormai in punto di morte, ti prego e ti supplico con queste mie ultime parole di abbracciare l'antica fede cattolica; ed io protesto che in nessun'altra fede gli uomini possono esser salvati”. Tali erano i suoi sentimenti, quando era quasi entrata in agonia. Essi erano un segno sicuro della
sincerità della sua conversione, giacché ella nutriva vera carità per il prossimo.
Le feci alcune domande e, vedendo che non aveva la tentazione né di presumere né di disperare della misericordia di Dio, l'aiutai come meglio potei a farle emettere degli atti di confidenza in Dio. Quando fu sul punto di
morire, le porsi un'immagine di Cristo sofferente che ella prese e baciò
con affetto. Quindi le posi in mano una medaglia benedetta e le suggerii,
al fine di guadagnare indulgenze, di invocare il nome di Gesù almeno col
cuore, perché non poteva più parlare, e le dissi di farmi cenno se lo avesse
fatto. Ella annuì, strinse la medaglia e la baciò ripetute volte. Poi le suggerii di rinnovare il dolore per i peccati commessi durante la sua vita contro
Dio, che era così buono in Se stesso e che l'aveva fatta oggetto di tante misericordie. Tornai a dirle di alzare la mano in segno di assenso ed ella lo
fece con prontezza e con fervore. Quindi la invitai ad esprimere il suo
rammarico per esser vissuta nell'eresia e per aver resistito a Dio ed alla
Sua Chiesa, ed anche questa volta si espresse con un gesto. Alla fine le
suggerii di formulare il desiderio di veder ritornare alla fede tutti gli eretici, come pure le dissi di offrire la sua vita per la loro conversione. Ella annuì di nuovo con prontezza. Dopo di che, con la sua mano ormai fredda
afferrò la mia e la strinse, quasi che volesse mostrarmi il conforto che i
miei suggerimenti le stavano procurando. La consolai e l'incoraggiai fino
all'ultimo respiro dicendole di lodare Dio nel suo cuore, di desiderare che
tutte le Sue creature lo lodassero e lo servissero, e di offrire a tal fine la sua
vita. Ella mi rispose sollevando ed abbassando la mano, proprio come le
avevo detto di fare poco prima, quando desideravo accertarmi del suo assenso. Erano presenti molte persone, tra cui anche un prete. Tutte restarono piene di ammirazione e dissero di non aver mai assistito ad una morte
come quella. Così ella continuò fino all'ultimo respiro a rispondere ai miei
suggerimenti nella maniera che ho descritto, cioè alzando leggermente la
mano quando le era impossibile sollevarla del tutto. In questo stato rese
l'anima a Dio senza alcun turbamento di spirito e senza alcun sussulto nel
corpo. Ella si avviò tranquillamente al riposo come una persona che si addormenta.
La minore delle sue figlie era morta prima di lei nella nostra casa. Anch'essa fece una santa morte. La seconda aveva sposato un ricco gentiluomo e lo aveva portato da me per renderlo cattolico, partendosi da una località molto lontana. La maggiore vive ancora nella stessa casa. Ella si trova
in attesa degli sponsali, non però con un uomo, ma con Dio, perché ha la
vocazione per la vita religiosa. Intanto trascorre devotamente il suo tempo
e si dedica al servizio dei sacerdoti, come ha fatto e continua a fare la stessa signora che accudisce la casa.
Avrei dovuto terminare già da tempo. Ho oltrepassato di molto i limiti
che dapprima mi ero prefisso. Ormai resta ben poco da dire e lo esporrò in
breve.
In quella casa potei dare gli Esercizi Spirituali a molte persone. In parte si
trattava di gente che vi abitava, in parte di visitatori; in ogni caso però
raggiunsi i risultati che desideravo.
Vi furono due persone che fecero soltanto la prima settimana degli Esercizi; esse desideravano condurre una vita buona e santa. Uno di essi è ormai
padre di famiglia, compie molte opere buone e si mantiene nostro fedele
amico. L'altro (1) venne a fare gli Esercizi sotto la mia direzione inaspettatamente, senza essere invitato. lo gli chiesi che cosa lo avesse determinato
a ciò ed egli rispose:
“In un libro scritto contro la Compagnia (2) ho letto che voi ricorrete a
questo mezzo per indurre la gente ad entrare nella vita religiosa, per poi
derubarla dei propri beni. Il mio nome era menzionato tra quello di altre
persone che avevano fatto gli Esercizi sotto la vostra direzione. Si diceva
che, sebbene non foste riuscito a farmi entrare in religione, voi mi avete
estorto un'ingente somma di denaro”. Egli continuò: “So che mia moglie
vi è molto devota perché l'avete resa cattolica, ma so anche che non avete
preso mai un centesimo né da me né da lei. Poiché vi hanno calunniato in
maniera cosi bassa, sono venuto a confutare le loro menzogne”.
Egli fece gli Esercizi e ne trasse un grande profitto. Più tardi mi scrisse di
trovargli un prete capace di muoversi in società. lo lo trovai e stavo proprio per mandarlo da lui quando, all'improvviso, si verificò un grave rivolgimento che per un certo tempo ci tolse ogni possibilità di continuare la
nostra opera di bene. Si tratta della congiura delle polveri, come vien detta.
In quello stesso periodo avevo disposto le cose in maniera che alcuni amici si recassero nel continente. Se non ci fosse altra prova, questa basterebbe da sola a dimostrare che non sapevo nulla del complotto. Una era una
signora che aveva intenzione di entrare nel convento delle benedettine a
Bruxelles (3), dove era stata preceduta da due altre signore da me inviate,
che adesso occupano nello stesso convento un posto di responsabilità.
L'altro era un ministro protestante che avevo istruito ed accolto nella Chiesa e che fu l'ultimo ad essere da me riconciliato prima di quel cataclisma
(4). Quando questi, ed altri con loro, stavano sul punto di imbarcarsi,
giunse l'ordine di bloccare ogni nave in partenza dal porto. Furono entrambi catturati ed imprigionati: sono stati rilasciati solo due anni fa. Adesso l'ex-ministro sta compiendo gli studi al Collegio Inglese di Roma,
mentre la signora è suora professa nel convento verso il quale era diretta
allorché fu catturata (5).
Oltre questo, vi era stato soltanto un altro ministro che avevo convertito.
Adesso è sacerdote e sta lavorando nella missione. Durante la mia perma-
nenza in questa ultima dimora, mandai in seminario numerosi giovani che,
a Dio piacendo, diventeranno buoni mietitori nella stagione della messe
(6).
Certo, però, se noi riceviamo le cose buone da Dio, dobbiamo esser pronti
ad accettare anche le cattive. Forse “cattive” non è l'attributo appropriato
alle cose che vengono da Dio, dal momento che ci sono inviate a nostra
edificazione. In realtà esse sono buone per i Suoi servi, se questi le ricevono nella maniera dovuta ed adorano le disposizioni di Colui che dona e riprende. Durante il tempo in cui rimasi in questa casa, Dio aveva operato
molte cose che erano riuscite di mio grande conforto. Mi aveva dato delle
grandi consolazioni grazie alle conversioni che si verificarono ed agli straordinari progressi che molte anime facevano nella virtù. Né mancarono i
conforti materiali. Ivi ogni cosa era disposta molto bene ed io ricevevo tutto quello di cui avevo bisogno. Avevo numerosi e bellissimi cavalli per i
miei viaggi missionari ed avevo tutto il necessario per portare avanti il
mio lavoro. All'interno della casa tutto era disposto bene ed in maniera
conveniente. Miei compagni erano Padre Strange, che adesso si trova nella
Torre (Padre Percy era stato inviato presso Mr. Digby dal superiore), ed un
altro sacerdote che restò con noi per lungo tempo (7).
Eravamo anche ben forniti di buoni libri che tenevamo nella biblioteca
senza alcuna preoccupazione di nasconderli. Era risaputo, infatti, che appartenevano al giovane barone, al quale erano stati lasciati in eredità dallo
zio, che era una persona molto dotta e molto conosciuta per la sua pietà
(8). Questo gentiluomo aveva rinunciato al suo diritto ed al suo titolo a favore del fratello minore, il padre dell'attuale barone, per dedicarsi interamente a Dio ed agli studi. Se fosse vissuto più a lungo, sarebbe entrato
nella Compagnia. Era desideroso di diventare gesuita ed il suo unico rimpianto sul letto di morte fu proprio quello di non poter essere ammesso subito nella Compagnia.
Inoltre, avevamo molti e bellissimi paramenti sacri: due paia per ogni colore usato dalla chiesa, uno per uso ordinario, l'altro per le grandi feste.
Alcuni di questi erano ornati con figure di squisita fattura ed erano ricamati di oro e tempestati di perle. Sull'altare c'erano sei candelabri di argento massiccio, mentre due più piccoli si trovavano ai lati per l'elevazione.
Le ampolline, la bacinella del lavabo, il campanello e il turibolo erano tutti
di argento lavorato; le lampade pendevano da catene d'argento, mentre l'altare era dominato da un crocifisso anch'esso d'argento. Per le grandi feste
avevamo un crocifisso d'oro di trenta centimetri. In cima recava cesellato
un pellicano, sul braccio destro un' aquila con le ali spiegate recante sul
dorso i suoi piccoli nell'atto di apprendere a volare, sul braccio sinistro
una fenice morente tra le fiamme in maniera da risorgere dalle sue ceneri e
sul piede una chioccia che radunava sotto le ali i suoi pulcini. Il tutto era
lavorato in oro da un valente artista.
Avevo anche un drappo prezioso che recava impresso il Santo Nome. La
mia ospite me lo aveva donato il primo Natale della mia permanenza in
casa sua. Il nome era formato da spille d'oro e “l'alone” circostante aveva
dei raggi costituiti alternativamente da due o tre spille. Era circa il doppio
del foglio di carta sul quale scrivo e conteneva complessivamente duecentoquaranta spille, ad ognuna delle quali era assicurata una grande perla.
Queste non erano perfettamente modellate (se lo fossero state, il valore del
drappo sarebbe stato favoloso; così com'era, esso valeva un migliaio di
fiorini). Sul fondo vi era un colofòn che l'artista aveva decorato d'oro e di
gemme, in forma di monogramma del Santo Nome; nel centro c'era un
cuore dal quale raggiava una croce di diamanti. Questo fu un regalo di
Capodanno che la devota vedova mi fece in onore del Santo Nome di Gesù, nel giorno della festività.
Tutti questi tesori sono tenuti in custodia per la Compagnia (9); nel frattempo sono usati nella cappella domestica dai nostri padri che operano in
quella residenza. lo, che ho mostrato tanto poco apprezzamento per queste
e per molte altre cose datemi da Dio, fui costretto a lasciarle ad altri che ne
erano più degni e che le sapevano usare con maggiore vantaggio.
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NOTE AL CAPITOLO XXII
1 Henry Hastings, nipote di Francis Hastings secondo conte di Huntington. Siccome la
madre di Henry Hastings era Jocosa, sorella del primo lord Teynham, Henry Hastings
era primo cugino di Elizabeth Vaux. Egli divenne più tardi sir Henry Hastings di Kirby
e, poi, di Braunston. AI tempo della congiura delle polveri divenne sospetto ma non fu
molestato. H. N. BELL, The Huntingdon Peerage, p. 61; Hat. Cal., XVIII, p. 5.
2 Quodlibetical Questions, libro pubblicato nel 1602 dal prete rinnegato William Watson, del quale Padre Persons scriveva: “Egli è di aspetto deforme e di modi villani; il
suo sguardo, poi, è cosi inquieto che sembra guardare contemporaneamente in nove direzioni”. Nel suo libro A Decacordon of Ten Quodlibetical Questions (1601), William
Watson aveva pubblicato i nomi di un grande numero di cattolici che erano convertiti
oppure ospiti di J. G. Il danno che egli fece con questo libro alla causa cattolica fu
immenso, ma probabilmente era mezzo pazzo. A quel tempo era intento a denunciare
J. G. a Cecil per immaginari intrighi politici, e l'anno seguente (1603) egli stesso fu ucciso per un indubbio complotto. Sul patibolo si penti e chiese perdono per tutto il male
che aveva causato ai suoi fratelli cattolici. D.N.B., vol. LX, p. 42.
3 Questa fu forse Helen Dolman, figlia di sir Robert Dolman di Pocklington, nello
Yorkshire, che emise la professione a Bruxelles il 29 aprile 1608. Register of
Benedictine Convent at Bruxelles. C.R.S., vol. XIV, p. 179.
4 Tutto preoccupato di “affrettarsi”, J. G. ha omesso una vicenda singolare. Questo exministro era John Golding. Era già stato fissato il giorno delle sue nozze, ma poi fu rimandato. Nel frattempo fu convertito da J. G. Entrò al Collegio Inglese a Roma e fu
ordinato nell'aprile 1615. FOLEY, VI, p. 249.
5 Watson, nel suo libro Quodlibets, fornisce i nomi di un certo numero di donne che J.
G. aveva “persuaso a diventare suore”. Oltre lady Mary Percy, Do. rothy Rookwood e
le due figlie di William Wiseman, egli menziona “Mrs. Tremaine, figlia di Mr. Tremaine della Cornovaglia, Mrs. Mary Tremaine del Dorsetshire e Mrs. Anne Arundel”. Naturalmente, la lista di Watson è incompleta perché egli scrisse nel 1602, tre anni prima
della partenza del gruppo che J. G. inviò alla vigilia della congiura delle polveri.
6 È possibile rintracciare i nomi di più di trenta candidati al sacerdozio, inviati nel continente da J. G., nei registri del Collegio Inglese a Roma ed in quelli del seminario di
Valladolid. Cfr. Diary of the English College, FOLEY, VI; Valladolid Registers,
C.R.S., vol. XXX. Oltre agli studenti dei due collegi, non bisogna trascurare i molti
giovani che, come ad esempio Woodward, furono mandati a Douai né gli altri che, sull'esempio dei due Wiseman, entrarono direttamente nel noviziato dei gesuiti.
7 Padre Singleton.
8 Henry Vaux, uno dei gentiluomini cattolici che accolsero in maniera entusiastica
Campion e Persons al loro arrivo in Inghilterra nel 1580. Morì non molto dopo la sua
scarcerazione in casa di sua sorella, Mrs. Brooksby, a Creat Ashby, nel Leicestershire,
nel novembre 1587. Nella sua vita di Campion, conservata manoscritta a Stonyhurst,
Padre Persons parla di lui come di “quel signore santo e benedetto, Mr. Henry Vaux,
la cui vita fu un raro specchio di religione e di santità per tutti quelli che lo conobbero
e che con lui conversarono. Morì dolcemente in Inghilterra, dopo aver rinunciato, molto tempo prima della sua morte allorché era in perfetta salute, all'eredità del baronato
in favore del suo fratello minore, riservando per sé una piccola somma annua per poter
vivere nello studio e nella preghiera tutti i giorni della sua vita”. Compose una lunga
poesia sulla passione di Cristo, che comincia: Supplicium Domini referens caedemque
nefandum. Una copia di questa poesia è conservata tra i manoscritti di Condover
House, nello Shropshire. Historical Manuscripts Commission, Appendice al V rapporto, p. 354.
9 Nel 1611 si era sparsa la voce che J. G. era tornato in Inghilterra e, nella speranza di
catturarlo, Salisbury ordinò un'altra perquisizione a Harrowden. Alla vigilia della festa
di Tutti i Santi nel 1611, di notte furono scalate le mura ed i perquisitori irruppero nelle
stanze dei padri senza che nessun allarme potesse essere dato. Tutti gli arredi dell'altare, le suppellettili ed i paramenti menzionati da J. G. furono sequestrati e portati via insieme con i due padri Percy e Hart. L'inventario governativo di questi oggetti conferma
nei dettagli la descrizione di J. G. P.R.O. Transcripts 9, n. 89; FOLEY, VII, p. 1028.
XXIII. LA CONGIURA DELLE POLVERI
5 Novembre 1605 - 3 Maggio 1606
Poiché i miei amici più stretti furono implicati nella catastrofe della congiura delle polveri, il Consiglio mi diede una caccia continua e spietata.
Nella mia casa furono mandati alcuni giudici di pace. Essi avevano ordine
di perquisirla attentamente e, nel caso che non riuscissero a trovarmi, dovevano restarvi finché non fossero stati richiamati. Un corpo di guardia
doveva presidiare la casa per tutto il giorno, mentre di notte uno speciale
cordone di vigilanza doveva essere istituito tutto all'intorno per un raggio
di tre miglia, con l'ordine di arrestare qualsiasi estraneo che vi si aggirasse.
Tutto ciò fu eseguito alla lettera.
Appena ci giunse la notizia che era stato scoperto un complotto e che alcuni nostri amici erano stati uccisi ed altri catturati, ci preparammo ad affrontare ogni sofferenza (1). Tuttavia, non fummo colti alla sprovvista e,
sebbene la perquisizione fosse durata molti giorni, non fu scoperto nulla
finché la mia ospite non rivelò al capo dei perquisitori un nascondiglio in
cui si trovavano soltanto pochi libri. Sperava di indurli a credere che, se ci
fosse stato un prete in casa, egli si sarebbe nascosto in quel luogo, ripromettendosi che quelli avrebbero interrotto le ricerche. Essi invece continuarono fino allo scadere del nono giorno (2).
Io ero nel mio nascondiglio, nel quale potevo sedere comodamente ma
non avevo spazio sufficiente per stare in piedi. Comunque non patii la fame perché ogni notte mi veniva portato segretamente il cibo. Al termine
del quarto o del quinto giorno (3), quando il rigore della perquisizione si
era alquanto mitigato, i miei amici vennero di notte, mi presero e mi fecero riscaldare al fuoco. Era d'inverno, proprio prima del periodo natalizio.
Dopo nove giorni, la pattuglia dei perquisitori si ritirò. Essi si convinsero,
forse, che io non sarei potuto restare lì per tutto quel tempo senza essere
scoperto.
Intanto essi avevano catturato un prete che si stava appressando alla nostra casa per mettersi al riparo e non sapeva nulla del cordone di guardie
che la presidiava. Pochi giorni prima, quando venimmo a conoscenza del
complotto, egli era partito dietro mio suggerimento per vedere Padre Garnet e per chiedergli che cosa avremmo dovuto fare in simile frangente.
Questo buon prete era Padre Thomas Laithwaite, che adesso è gesuita e
lavora in Inghilterra (4).
Egli fu catturato durante il tragitto, ma riuscì a fuggire. Era stato fermato
lungo la strada ed era stato condotto in una locanda; quindi doveva essere
interrogato e trasferito subito in prigione. Ma dopo essere entrato nella locanda, si tolse il mantello e la spada per tornare nella stalla, quasi avesse
intenzione di occuparsi del suo cavallo e di portarlo a bere. Vicino alla locanda c'era un ruscello, e disse allo stalliere di accompagnarvi subito la
sua bestia. Egli andò con lui, ma, quando vi giunse, si rivolse al ragazzo
dicendogli:
“Va a preparare il fieno e spargi un po' di paglia in maniera che il mio cavallo vi si possa adagiare. lo verrò non appena avrà finito di bere”. Il ragazzo tornò alla stalla senza pensare ad altro. Intanto il padre saltò a cavallo e lo spronò nel corso d'acqua, raggiungendo la riva opposta. Siccome il
suo mantello e la sua spada erano rimasti nella locanda, essi non sospettarono dello stratagemma, finché non si accorsero che egli mancava da molto tempo ed il ragazzo non raccontò loro l'accaduto. Si misero immediatamente all'inseguimento; ma era troppo tardi. Il buon padre conosceva
molto bene la contrada e raggiunse prima di sera una casa cattolica. I vi si
nascose per alcuni giorni. Quando si avvide che non poteva raggiungere
Padre Garnet, tentò di ritornare da me pensando che il pericolo fosse cessato. Così egli evitò Cariddi per cadere nelle fauci di Scilla, perché, come
ho detto, fu preso e trascinato a Londra (5). Poiché non furono in grado di
provare il suo sacerdozio, fu concesso a suo fratello di versare una somma
per la sua liberazione. Quando cominciarono queste tribolazioni c'erano
due sacerdoti nella mia casa, uno dei quali, come ho detto, era Padre
Strange. Entrambi avevano espresso il desiderio di trasferirsi presso Padre
Garnet, ma furono tutt'e due catturati durante il tragitto. Uno (6) fu relegato a Bridewell e fu in seguito esiliato con altri sacerdoti. L'altro, cioè Padre
Strange, fu imprigionato nella Torre dove soffrì molto, come ho sopra accennato.
La storia della cospirazione è ben nota. Essa è stata descritta sia da amici
che da nemici, ma forse non è stata narrata così come verrà trattata in seguito.
Quando lasciai l'Inghilterra mi fu ordinato di scrivere un resoconto completo dell'avvenimento ed io l'ho fatto come meglio ho potuto (7). Non ho
intenzione di ripetere qui quello che ho scritto a sufficienza circa le condizioni dell'Inghilterra a quel tempo, come cioè l'avvento del re, ben lungi
dall'apportare una tregua della persecuzione, segnò l'inizio di una nuova
ondata più aspra e dolorosa della precedente (8). I cattolici si aspettavano
ormai - e non pochi lo davano per scontato - che il nuovo parlamento a-
vrebbe emanato contro di loro delle leggi più crudeli e severe di quelle già
in vigore. Non c'era da attendersi alcuna mitigazione del regime di Elisabetta. Il giogo che i cattolici avevano così lungamente sopportato sulle loro spalle ricurve doveva diventare ancor più pesante.
Un gruppo di cattolici giovani e ardenti, vedendo come sarebbero stati esposti non alla sferza ma agli scorpioni, si convinsero che ormai non restava loro più alcuna speranza, se non si fossero decisi a passare all'azione.
Era già stata stipulata la pace tra Sua Maestà Cattolica ed il re d'Inghilterra, una pace di cui i cattolici non godettero alcun beneficio, sebbene essi
ne avessero più diritto dei malvagi. Di fronte a tali prospettive, queste persone dimenticarono, forse, la pazienza e la pace con cui dovremmo possedere la nostra anima. Essi non poterono sopportare più a lungo che le cose
sante venissero calpestate, che i fedeli fossero derubati dei loro averi e che
venissero assoggettati ad innumerevoli torti. Era una perdita giornaliera di
anime che proprio rattristava. Essi decisero quindi di sollevare il popolo di
Dio dallo stato in cui era caduto per far guerra, in tutta segretezza, ai nemici delle loro anime e dei loro corpi, che erano nello stesso tempo i nemici della causa cattolica. Dico “in tutta segretezza” perché non c'era neanche da pensare ad una opposizione aperta, né ad una sollevazione dei
cattolici. Il nerbo delle forze cattoliche, bisogna riconoscerlo, era stato infranto e disperso; in ultimo, anzi, i cattolici erano stati privati anche delle
armi. Avvenne così che le persone di cui sto parlando ricorsero alla congiura per liberare se stessi, ed altri con loro, da questa terribile schiavitù di
anima e di corpo. Essi pensarono che l'unica maniera di raggiungere il loro
scopo era quella di spazzar via, d'un sol colpo, i loro nemici e gli avversari
principali della causa cattolica.
Ho discusso tutti questi argomenti nel libro che ho menzionato. In esso ho
fornito anche un resoconto dettagliato del metodo che avevano deciso di
usare ed ho spiegato come, quando tutto fu pronto all'attuazione del piano,
uno di essi (9) manifestò il complotto in confessione ad un padre della nostra Compagnia. Questo sacerdote rifiutò di ascoltarlo oltre, se non gli fosse stato consentito di notificare la cosa al superiore, salvo restando il sigillo sacramentale. Quando il superiore venne a conoscenza della congiura
sanguinosa, ordinò a questo padre di fare tutto il possibile per impedire al
suo penitente di attuarlo. Quindi scrisse immediatamente al papa, pregando Sua Santità di proibire ai cattolici di ricorrere alla violenza esterna. Ho
narrato come, dopo che la congiura era stata scoperta e resa di pubblica
ragione, il superiore e Padre Oldcorne furono catturati in casa di quest'ul-
timo. Essi furono scoperti dopo una lunga perquisizione, essendo rimasti
per dodici giorni chiusi in un nascondiglio (10). Con loro furono catturati
due servi o, come ho sempre sentito dire e ritengo, due Fratelli della Compagnia. Entrambi furono condannati a morte e subirono il martirio. Il primo, Ralph, mori con Padre Oldcorne, del quale era stato domestico e
compagno. Mentre il padre saliva la scala che conduceva sul palco dell'esecuzione, Ralph afferrò i suoi piedi e glieli baciò, ringraziandolo delle
sue gentilezze e di quanto aveva fatto per lui. Quindi lodò Dio che gli concedeva di terminare così felicemente i suoi giorni in quella santa compagnia (11). L'altro fu “Little John”. Per quasi vent'anni era stato compagno
di Padre Garnet ed io ho avuto occasione di menzionarlo frequentemente
nel corso di questa narrazione. Egli era ben conosciuto come il più abile
progettista e costruttore di nascondigli in Inghilterra. Di conseguenza era
l'uomo che poteva consegnare il maggior numero di preti come pure danneggiare e tradire più cattolici di chiunque altro. Lo torturarono a lungo
senza pietà; quindi, incapaci di strappargli la minima informazione, lo uccisero; ma non erano riusciti a spezzare la sua costanza (12). In quel libro
ho narrato anche come Padre Garnet e Padre Oldcorne furono condotti a
Londra. Essi furono sottoposti a continui interrogatori, specie Padre Garnet; entrambi poi furono torturati, particolarmente Padre Oldcorne (13).
Questi fu ricondotto a Worcester. Sebbene non avessero potuto trovare
nulla contro di lui, egli fu condannato, impiccato e squartato. La sua fu veramente la santa morte di un martire (14).
Alle assise speciali di Londra Padre Garnet fu condannato senza che fosse
stata dimostrata la sua colpevolezza. Egli oppose una così limpida difesa
della sua condotta che i presenti restarono stupiti e lo lodarono, finché Cecil e gli altri non lo avvilirono, rendendo impossibile a quest'uomo di
somma modestia di difendersi dalle calunnie lanciate contro di lui (15).
Condotto al luogo dell'esecuzione, egli si comportò con coraggio e con
umiltà. Tutto il suo comportamento e la maniera in cui egli accettò, o meglio accolse, la morte e le sofferenze toccarono il cuore dei suoi acerrimi
nemici e tutti si allontanarono ammirati della sua condotta (16).
Tutti questi particolari ai quali ho semplicemente accennato, sono stati descritti diffusamente nell'altra mia narrazione. Adesso voglio aggiungere
soltanto qualcosa circa la maniera in cui ottenemmo la festuca sulla quale
apparve l'immagine miracolosa di Padre Garnet, perché in seguito ho assistito sul letto di morte l'uomo che la trovò, o meglio, l'uomo al quale Dio
la donò.
Poco tempo prima di morire, quest'uomo mi riferì di aver sperimentato
uno straordinario fervore di spirito nel giorno in cui avvenne la morte di
questo santo sacerdote. Egli desiderava assistere all'esecuzione allo scopo,
forse, di procurarsi qualche piccola reliquia. Perciò si fece largo fin sotto il
palco sul quale il boia stava squartando il corpo del martire, ma temeva di
allungare le mani perché tutt'intorno vi erano degli ufficiali. Proprio in
quel momento il carnefice spiccò la testa da quel corpo venerabile e la gettò in un cesto pieno di paglia. In quel mentre un filo di paglia gli volò in
mano o, almeno, così vicino che poté coglierla senza attrarre l'attenzione.
Questa paglia era macchiata di sangue ed egli la conservò con grande venerazione. Per alcuni giorni, come egli mi disse, sperimentò per le cose
spirituali e per i consigli di Cristo un'attrazione maggiore di quella di prima. Infatti non ebbe pace finché non rinunciò alla sua proprietà e non prese disposizioni per attraversare la Manica e cominciare gli studi per il sacerdozio. Egli desiderava ardentemente entrare nella Compagnia e questo
suo desiderio durò fino alla morte che avvenne a St. Omers. Quando si
trovò sul letto di morte diede tanta edificazione che nessuno dei presenti
poté ricordare una morte più santa.
Aggiungerò a questo punto un episodio riguardante il martirio di Padre
Oldcorne. Nell'altro mio libro ho accennato ad una lettera ricevuta dall'Inghilterra. In essa si diceva che, quando gli intestini di questo santo martire
furono gettati nel fuoco, conforme alla sentenza, essi arsero per sedici
giorni che corrispondevano esattamente ai sedici anni durante i quali egli
lavorò in quella contea, accendendo il fuoco dell'amore divino ed alimentandolo con la sua parola e col suo esempio. Proprio di recente ho parlato
di ciò con un buon sacerdote che si trova attualmente a St. Omers e che è
conosciuto come Padre North (17). A quel tempo questo prete si trovava
in prigione a Worcester e molte persone gli riferirono che il fuoco, oltre a
durare produceva grandi fiammate, nonostante cadesse una fitta pioggia;
che inoltre la gente si recava in folla a vedere quel fenomeno e confermava
la verità del racconto quando tornava a casa; e che, infine, al sedicesimo o
diciassettesimo giorno il fuoco si dovette estinguere o almeno ricoprire
con uno strato di terra. Questo padre aggiunse di aver visto, nel cortile della casa in cui erano stati catturati i due padri, una corona disegnata nell'erba, un'erba del tutto differente per colore e per forma da quella circostante:
essa era più alta e disposta chiaramente in forma di una corona imperiale.
Dopo l'arresto dei padri la casa era stata abbandonata. Gli animali, che erano penetrati nel giardino attraverso i cancelli abbattuti, vi pascolarono
per diversi mesi, ma per tutto quel tempo non toccarono né calpestarono la
corona. Egli la considerava come il simbolo dell'innocenza dei padri e
come un segno del loro premio eterno (18).
Penso che farei bene ad aggiungere poche righe su me stesso, prima di
concludere. Nell'altro libro dissi che era stato proclamato un bando contro
tre padri gesuiti. lo ero uno di loro e, sebbene fossi il meno importante, il
mio nome fu menzionato per primo quasi che fossi il capo: io che ero soggetto al secondo nominato e, sotto ogni rispetto, di gran lunga inferiore al
terzo (19). Tutto ciò - mi sia concesso di protestarlo solennemente - era assolutamente infondato. lo non sapevo proprio nulla della congiura e, a differenza degli altri due, neanche sotto il sigillo sacramentale. lo non avevo
neanche la minima idea di questa macchinazione finché non ci giunsero
delle voci secondo le quali si diceva che era stato scoperto un complotto.
Anche allora la notizia non ci raggiunse prima di qualsiasi altra persona
che abitava in quella parte del paese.
Dalla lunga perquisizione durata nove giorni, mi resi conto che ero sospettato e ricercato in maniera particolare. Allora scrissi una lettera aperta,
sotto forma di uno scritto indirizzato ad un amico, in cui fornivo molte
prove e protestavo, al di là di ogni cavillo, che ero assolutamente innocente delle accuse lanciate contro di me. Feci fare molte copie della lettera e le
feci spargere per le strade di Londra durante le prime ore del mattino.
Molte persone le raccolsero e le lessero. Una copia fu mostrata al re da un
membro del Consiglio che era amico mio o della mia causa (20). Il re, secondo quanto mi hanno riferito, disse che la lettera lo convinceva (21). Ma
più tardi, quando si conobbe la residenza di Padre Garnet e si affacciò la
speranza di catturarlo e di scaricare ogni colpa sulla Compagnia, essi pensarono che fosse necessario additare alcuni dei nostri padri come i principali artefici del complotto (22). Il mio nome fu associato a quello dei due
padri che erano stati diffamati da uno dei servi di Mr. Catesby. Prima di
morire, questi si penti e confessò pubblicamente di aver agito contro coscienza quando riferì tali cose. Aveva avuto paura della morte e sperava di
esser perdonato; inoltre il segretario Cecil lo aveva adescato passandogli
del denaro.
Forse a quel tempo alcune persone sospettarono realmente che io fossi al
corrente della congiura. Si sapeva che molti gentiluomini imprigionati erano miei amici e mi avevano visitato regolarmente nella mia dimora londinese. Uno di essi lo aveva confessato durante il suo interrogatorio, affermando però che io non conoscevo assolutamente nulla del loro com-
plotto. Dopo averli interrogati tutti, essi non avevano ancora nulla di cui
accusarmi. Mr. Digby, che era mio intimo amico e che per tale ragione fu
più rigorosamente interrogato nei miei riguardi, protestò apertamente davanti alla corte che non aveva mai osato confidarmi le sue intenzioni per
timore che lo dissuadessi dal tentativo (23).
Tutto ciò giunse al mio orecchio. Appresi anche diversi fatti riguardanti
Padre Garnet dai quali risultava che egli era a conoscenza del complotto
anche se sotto il sigillo sacramentale e che lo aveva appreso da un membro
della Compagnia (24), che anch'egli lo conobbe sotto il sigillo.
Mi sembrò, quindi, di essere sufficientemente lavato dell'accusa. Allo
scopo, poi, di mettere in evidenza questo fatto, scrissi le tre lettere ai tre
Lord più influenti del Consiglio, poco tempo prima della morte dei gentiluomini che furono condannati. Con argomenti molto probanti dimostrai
che non sapevo nulla della cospirazione e mostrai loro la maniera in cui
avrebbero potuto convincersene, finché quei signori erano ancora in vita
(25).
Se lo abbiano fatto o meno, non lo so. So soltanto che durante il processo
intentato contro Padre Garnet (e cioè dopo che essi avevano ricevuto queste lettere) essi non mi menzionarono una sola volta, sebbene facessero il
possibile per diffamare tutta la Compagnia e per coinvolgere tutta la missione inglese (26). Essi dichiararono colpevoli i tre sacerdoti: i due che
avevano appreso la cosa in confessione e Padre Oldcorne, non in quanto
era al corrente del complotto ma in quanto agì da complice dopo il fatto.
Io cercai tuttavia di tenermi ben nascosto (27). Allora mi trovavo a Londra in una casa che nessuno conosceva (28). Mediante la protezione di
Dio fui salvo e, se l'avessi ritenuto opportuno, sarei potuto restare ancora
più a lungo. Non abbandonai l'Inghilterra per sfuggire alla cattura. Non era
il tempo di lavorare, e dal momento che dovevamo starcene molto quieti,
approfittai dell'occasione per trasferirmi qui e riposarmi alquanto (29).
Dopo un così lungo periodo di lavoro dissipante in mezzo a gente di ogni
specie, desideravo un momento di respiro per riacquistare le forze e per
prepararmi al lavoro che mi attendeva in futuro. A quel tempo ero solo.
Quasi tutti i miei amici o si trovavano in prigione o vivevano in tali angustie che a stento potevano badare a se stessi. Ogni luogo era sorvegliato;
era impossibile trovare un posto sicuro (30). Per l'indiscrezione di alcuni,
come ho già detto, avevo perduto la mia casa a Londra ed ancora non mi
ero deciso ad abbandonare l'Inghilterra. Ciò nonostante, riuscii a trovare a
Londra un'altra casa, forse più adatta della precedente alle mie nuove ne-
cessità. La feci arredare di tutte quelle cose di cui avevo bisogno e vi costruii alcuni nascondigli sicuri. In essa passai tranquillamente tutta la Quaresima che precedette la mia fuga. Oltre a questa, presi in affitto una seconda abitazione, molto più grande e più bella, in cui intendevo coabitare
con Padre Anthony Hoskins. Dopo la mia partenza, fu usata dal mio superiore per un tempo considerevole.
Verso la fine della Quaresima esposi al pericolo la prima di queste due case, quando tentai di liberare uno dei nostri padri. Avvenne così. Il buon
sacerdote, Padre Thomas Everett, era andato a stabilirsi a Londra in casa
di un gentiluomo (31) ove incontrò alcuni traditori o, per lo meno, alcune
persone che non riuscirono a tener chiusa la bocca. La cosa venne risaputa
dal Consiglio. Poiché questo padre era quasi della mia stessa altezza ed
aveva i capelli neri, Cecil pensò che si trattasse di me. Pronunciando il
mio nome, andava dicendo agli amici che questa volta mi avrebbe acciuffato infallibilmente. Invece si lasciò sfuggire tutt'e due. Appena seppi che
quel sacerdote si era recato in quella casa in cui la sua presenza non era
stata mantenuta segreta, chiesi al Signore che mi aveva tenuto nascosto in
casa sua, prima che mi trasferissi nella mia nuova abitazione, di andare a
prendere quel padre e di tenerlo in casa per un po' di tempo. Quegli obbedì
prontamente ed il sacerdote riparò da lui; mentre la casa che aveva appena
abbandonato veniva perquisita da un capo all'altro. Pochi giorni dopo perquisirono la casa in cui egli si era trasferito, perché vi avevano trovato alcuni libri di Padre Garnet che il padrone di casa era solito custodire (32).
Non trovarono nessuno, perché Padre Everett si rifugiò in un nascondiglio; comunque trassero in prigione il padrone e la padrona di casa.
Quando mi giunse questa notizia, mi allarmai. Nella casa non c'era più
nessun cattolico che conoscesse il nascondiglio del padre ed io temetti
ch'egli sarebbe morto di fame o, altrimenti, che sarebbe uscito e sarebbe
stato catturato. Quindi vi inviai alcuni uomini, dopo aver loro descritto il
luogo in cui il sacerdote era nascosto. Essi lo chiamarono e bussarono sul
suo nascondiglio, tuttavia egli rifiutò di aprire. Sebbene gli assicurassero
che erano stati inviati da me per liberarlo, egli non rispose. Le loro voci
non gli erano familiari ed egli temeva che fosse un tranello dei perquisitori. Talvolta, infatti, fingono di andarsene per poi ritornare poco dopo; imitando la voce di un amico, si aggirano per le stanze annunziano che i perquisitori sono partiti ed invitano la gente nascosta ad uscire fuori.
Questo era quanto il buon padre sospettava, perciò non diede risposta. Gli
uomini che avevo mandato si trattennero a lungo e furono costretti a torna-
re tardi. Lungo la strada caddero nelle mani delle guardie. Per quella notte
furono tenuti in custodia, ma il giorno successivo dopo qualche difficoltà
furono rilasciati. Si venne a sapere che uno di essi era vissuto con un cattolico e si sospettò che anche lui fosse tale. Questo fatto attrasse i sospetti
sulla mia casa, giacché si seppe anche che abitava lì. Apparentemente la
casa era stata affittata da uno scismatico che non era sospetto, ma ormai la
cosa aveva perso ogni significato. Quattro giorni dopo, la più alta autorità
di Londra, cioè il sindaco, venne a perquisire il luogo con una pattuglia di
guardie. Nel frattempo mi era stato riferito che Padre Everett aveva rifiutato di rispondere; ero convinto che fosse ancora lì e temevo che morisse di
fame. La notte seguente mandai di nuovo i miei uomini accompagnati,
questa volta, da colui che aveva costruito il nascondiglio e sapeva come
aprirlo. Con grande sollievo il padre uscì fuori ed essi lo condussero nella
mia casa dove si trattenne.
Intanto io mi ero trasferito presso un amico la cui casa era molto sicura.
Egli temeva che l'arresto degli uomini che avevo inviato a liberare il padre
potesse far orientare i perquisitori verso la mia casa. Ciò accadde a sole tre
notti di distanza. Era il Giovedì santo (33). Padre Everett stava celebrando
Messa ed aveva appena finito l'Offertorio, quando una masnada tumultuante irruppe attraverso il cancello del giardino. Il sindaco era furibondo
e si mosse così rapidamente che attraversò il giardino, entrò nella casa e
raggiunse le scale proprio mentre il padre, tutto rivestito dei paramenti e
con un fagotto di suppellettili sacre sotto il braccio, si eclissava nel nascondiglio. Ma gli ambienti erano così chiusi che il sindaco ed i suoi uomini fiutarono l'odore caratteristico delle candele appena spente. Certi di
aver sorpreso un prete, presero a perquisire con maggiore diligenza. Non
trovarono neanche uno dei tre nascondigli. Tutti quelli che non erano nascosti e che si confessarono cattolici furono trascinati via insieme allo scismatico che era ritenuto da loro il padrone di casa. Ancora una volta riuscii a far liberare Padre Everett dalla prigione del suo nascondiglio. Gli
consigliai di abbandonare Londra e decisi di non usare la mia casa per un
po' di tempo, perché ormai era conosciuta come una casa cattolica.
Vedendomi costretto a restare inoperoso, senza alcuna possibilità di lavorare, approfittai della prima occasione per attraversare la Manica e trasferirmi qui.
Raccomandai i miei amici a diversi sacerdoti e pregai questi ultimi affinché lì assistessero in maniera speciale durante la mia assenza. Per quanto
riguarda la mia ospite, ella era stata portata a Londra quando avevano fatto
quella prolungata perquisizione in casa sua, nella speranza di catturarmi.
Ella fu interrogata insistentemente intorno a me davanti al Consiglio, ma
rispose a tutte le domande in maniera ineccepibile (34). Alla fine le presentarono una lettera che ella aveva scritto ad un suo parente, chiedendogli
di provvedere al rilascio di Padre Strange e dell'altro padre da me menzionato prima. Questo signore era la personalità più influente della contea
nella quale quelli erano stati catturati (35), ed ella pensava che mediante
questa lettera sarebbe riuscita a farli rilasciare. Quest'uomo fedifrago, che
così spesso si era detto pronto ad eseguire qualsiasi servizio di cui ella lo
avrebbe richiesto, dimostrò ancora una volta la verità delle parole del profeta: “I nemici dell'uomo sono quelli di casa sua”. Egli aveva consegnato
la sua lettera al Consiglio.
Agitando questa lettera in maniera che ella la vedesse, dissero:
“Non vi rendete conto che siete completamente alla mercé del re sia per la
vita che per la morte? Vi sarà risparmiata la vita se ci direte dove si trova
Padre Gerard”.
“Non lo so, rispose, e quand'anche lo sapessi, non ve lo direi”.
Allora un lord del Consiglio (36), che in passato le si era mostrato amico
in diverse occasioni, si alzò e l'accompagnò cortesemente alla porta. Durante il percorso le disse con fare persuasivo:
“Abbiate un po' di pietà di voi stessa e dei vostri figli e dite loro quello che
desiderano sapere. In caso contrario dovrete morire”.
Ella rispose ad alta voce:
“Allora preferisco morire, signore”.
Mentre ella parlava si aprì la porta. I suoi servi che attendevano di fuori la
udirono (37) e scoppiarono tutti in lacrime. Quelli invece le avevano detto
così per intimorirla, giacché in quella occasione non la misero neanche in
prigione. La mandarono invece in città in casa di un gentiluomo (38) e,
dopo averla trattenuta un po' di tempo in custodia, la lasciarono libera a
condizione che restasse a Londra. Uno dei lord più influenti del Consiglio
confidò ad un amico che nulla deponeva contro di lei eccetto il fatto che
era una fanatica papista e che sorpassava gli altri per i mali che istigava.
Io ero ancora a Londra. Appena ella fu liberata da quello stato di sorveglianza, completamente dimentica di sé, volle prendersi cura della mia
persona. Ogni giorno mi inviava notizie per lettera. Mi procurò tutto il necessario per la casa e, quando seppe che desideravo recarmi all'estero per
un certo tempo, disse che non dovevo badare a spese pur di mettermi sicuramente in salvo, poiché ella avrebbe sostenuto con gioia tutte le spese an-
che se la cosa dovesse costare cinquemila fiorini. Infatti ella me ne diede
mille per il viaggio.
Io l'affidai alle cure di Padre Percy che era già vissuto molto tempo con
me nella sua casa. Egli si trova ancora sul posto dove fa molto bene; e sono certo che continuerà a farlo. Andai direttamente a Roma da dove fui
poi inviato in queste regioni per stabilirmi a Lovanio. Quel che mi sia capitato e quale sia l'opera degli altri padri si può apprendere dalle Lettere
Annuali (39).
Nella data del 3 maggio, giorno in cui Padre Garnet volò in cielo, ho ricevuto due favori segnalati, che ritengo frutto della sua intercessione. Il primo fu questo. Quando, dopo precedenti accordi, giunsi al porto dal quale
dovevo salpare dall'Inghilterra insieme ad alcuni altri funzionari, questi si
intimorirono e dissero che non potevano mantenere la promessa. Fino al
momento dell'imbarco si rifiutarono di portarmi. Ma proprio in quel momento Padre Garnet venne accolto in cielo e non dimenticò me che ero rimasto sulla terra. Improvvisamente cambiarono opinione. L'ambasciatore
venne personalmente a prendermi ed egli stesso mi aiutò a vestire la livrea
degli uomini del seguito in modo che potessi passare come uno di loro e
fuggire (40). Così potei partire, ma in cuor mio sono sicuro che lo debbo
alle preghiere di Padre Garnet.
Il secondo e più segnalato favore è quello che mi fu concesso tre anni dopo, sempre il giorno 3 maggio. In quella data, infatti, per quanto ne fossi
indegno, fui ammesso nel corpo della Compagnia mediante i quattro voti.
Considerò ciò di gran lunga il più grande favore che abbia mai ricevuto e
sembra che Dio abbia voluto mostrarmi che anche questo mi era stato ottenuto dalle preghiere di Padre Garnet, poiché vi è una strana somiglianza
tra le circostanze della mia professione e quelle del suo martirio. In tutt'e
due i casi il giorno originariamente fissato era il 10 maggio, festa dei santi
apostoli Filippo e Giacomo, ma in entrambi delle circostanze impreviste
rimandarono l'evento al 3 maggio 41.
Voglia Dio concedermi di amare e di portare sempre fedelmente la croce
di Cristo per camminare in maniera degna della vocazione alla quale sono
chiamato. “Una cosa sola ho chiesto al Signore, una cosa che continuerò
sempre a chiedergli, cioè che possa vivere tutti i miei giorni nella casa di
Dio”. Sì, finché non mi mostrerò riconoscente dei favori che ho ricevuto.
Finora sono stato una pianta sterile, perciò prego affinché possa cominciare a portare qualche frutto ad opera dell'olivo nel quale sono stato innestato.
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NOTE AL CAPITOLO XXIII
1 Nel suo interrogatorio Elizabeth Vaux dichiarò che “ella non aveva sentito nulla del
tumulto di Londra prima di mercoledì (6 novembre) dopo il compimento dell'attentato.
Solo sir George Fermor e sua moglie, andando lì per caso, le raccontarono il fatto”.
(S.P.D., James I, XVI, n. 88). Nel suo interrogatorio (ib. XIX, n. 43), Padre Strange
dichiarò che la notizia raggiunse Harrowden il 4 novembre, ma ciò è evidentemente un
errore oppure un'invenzione maliziosa. Catesby e Percy furono uccisi mentre i due
Wrights, Rookwood e Grant furono catturati a Holbeach House, vicino a Stourbridge,
quando il gruppo fu. raggiunto il 9 novembre. Se J. G. si riferisce a questo incidente e
non alla cattura di Fawkes e degli altri a Londra, bisogna supporre che egli ne abbia ricevuto notizia prima che Harrowden fosse circondata.
2 Questo incidente è descritto da William Tate, il giudice di pace incaricato delle indagini, in una lettera spedita a Salisbury e datata “Harrowden, 15 novembre”. “Dissi a
Richard Richardson, un domestico di Mrs. Vaux, allora presente, di agire sinceramente
con me e questi dopo un po' di tergiversazione apri la porta. Al che entrai ed ispezionai
di persona: lo trovai il luogo più segreto che avessi mai visto, disposto in maniera tale
che era impossibile scoprirlo. I vi scoprii molti libri papisti e diversi oggetti pertinenti
alla loro superstiziosa religione, ma nessun uomo. Sono sicuro che nessun poté fuggire
di lì dopo che io ero entrato nella casa, avendola presidiata tutt'intorno giorno e notte
ed essendo le chiavi di tutte le porte nelle mani mie e in quelle dei servi”. La lettera di
Tate è stampata in Hatfield Calendar, XVII, pp. 490-491. Il resoconto della perquisizione corrisponde esattamente a quello fatto da J. G. in Narrative, p. 138. J. G. fa capire che Tate scopri proprio quello che Mrs. Vaux risolse di rivelare. Tate era un amico
di famiglia e, come succedeva cosi spesso durante la persecuzione dei cattolici, doveva
svolgere un compito a lui sgradito.
3 La perquisizione cominciò il 12 novembre. “Ho usato tutta la speditezza possibile
per penetrare da Mrs. Vaux, nella sua casa di Harrowden, dove mi sono presentato con
la più grande segretezza possibile martedì 12 del corrente mese tra le dodici e l'una
dello stesso giorno”. William Tate a Salisbury il 13 novembre 1606. C.S.P.D., James
I, CCXVI, n. 92. In Narrative (p. 138) J. G. fornisce una descrizione più dettagliata di
questa perquisizione. Sebbene Tate usasse “tutta la speditezza possibile”, lo stesso
non si può dire del governo. Il fatto che Salisbury attese una settimana prima di passare all'azione potrebbe significare che egli giudicò innocenti sia J. G. che Mrs. Vaux.
4 Padre Thomas Laithwaite mori in Inghilterra il 10 giugno 1655, quarantanove anni
dopo la sua ammissione nella Compagnia. Per il suo interrogatorio vedi MORRIS, pp.
404-405.
5 “Diedi ordine che si facesse una guardia severissima giorno e notte in tutta la campagna adiacente e non si permettesse il passaggio ad alcuno... In quella occasione furono arrestate diverse persone ed un certo John Laithwoode fu portato in mia presenza... Al primo interrogatorio egli si dimostrò insofferente e insolente, ma il giorno seguente fu di migliore umore”. William Tate a Salisbury, 15 novembre 1605. Hat. Cal.,
XVII, p. 490.
6 Padre William Singleton, uno degli assistenti dell'arciprete. Egli fu catturato con Padre Strange a Kenilworth il 7 novembre mentre si recava a Hinlip. C.S.P.D., 16031610, p. 300; C.R.S., vol. XLI, pp. 23-24.
7 Ci si riferisce al lavoro di J. G. Narrative of the Gunpowder Plot, stampata in Condition of Catholics under James I (1871) di MORRIS.
8 Il 22 febbraio 1604 fu divulgato un editto che imponeva a tutti i gesuiti ed ai preti del
seminario di lasciare il paese prima del 19 marzo. Fu richiamata in vigore l'ammenda di
venti sterline al mese per non conformismo; la stessa fu resa retroattiva in maniera da
eliminare ogni indulgenza sopravvenuta col nuovo regno. Il 24 aprile fu presentato ai
Comuni un progetto di legge che reintegrava tutte le misure elisabettiane contro i cattolici, corredandole di pene suppletive per coloro che mandavano i propri figli all'estero
per procurar loro una educazione cattolica. Nello stesso anno una nuova ondata di persecuzioni si riversò sul paese. L'effetto di queste leggi contro i cattolici che aiutavano
gli ecclesiastici è descritto nella lettera inviata da Padre Garnet a Persons il 4 ottobre
dell'anno seguente: “Se qualche padrona di casa non è completamente perduta, ella sta
meglio di molte sue vicine”.
9 Questi fu Robert Catesby, l'istigatore della congiura che rivelò il complotto a Padre
Tesimond in confessione.
10 “Quando uscimmo fuori, scrisse Padre Garnet, sembravamo due spettri... L'uomo
che ci scovò fuggì via per la paura, temendo che noi gli avremmo scaricato addosso
qualche pistola”. Essi furono catturati il 27 gennaio 1606. (Cfr. S.P.D., James I, XIX,
n. 11). Nella stessa lettera Padre Garnet fornisce un'accurata descrizione dei nascondigli. “Dopo essere rimasti in quel buco per sette giorni, sette notti e diverse ore, chiunque può immaginare quanto fossimo stanchi, e veramente lo eravamo. Solo raramente
potevamo distenderci per metà, dato che il luogo non era alto abbastanza, ed avevamo
le estremità così irrigidite che, sedendoci, non potevamo trovare posto per loro. Perciò
avevamo un dolore continuo alle gambe che erano tutte enfiate, specialmente le mie, e
così rimasero finché non fummo portati nella Torre. Se avessimo avuto almeno mezza
giornata di libertà per uscire, avremmo sgombrato dei libri e dei mobili quel posto che,
se fosse stato munito di un gabinetto, avremmo potuto abitare per un quarto di anno.
Tutti i miei amici si meraviglieranno che nessuno di noi, specialmente io, fosse andato
al gabinetto per tutto quel tempo, sebbene avessimo modo di fare servitii piccoli per i
quali tuttavia fummo in grande imbarazzo fin dal primo giorno. Eravamo contenti e felici lì dentro e sentivamo ogni giorno le guardie che ci cercavano con grande alacrità,
cosa me mi fece veramente temere che il luogo sarebbe stato scoperto. Se avessi saputo in tempo del bando lanciato contro di me, sarei uscito fuori e mi sarei offerto prigioniero a Mr. Abington, anche se non avesse voluto”.
11 Dopo aver servito come cuoco al seminario di Douai, Ralph Ashby entrò nella
Compagnia come fratello laico ed andò in Inghilterra con Padre Greenway nel marzo
del 1598. Per otto anni lavorò come domestico di Oldcorne e fu catturato insieme a
Nicholas Owen (“Little John”) a Hinlip House il 23 gennaio 1606. Dopo tremende torture nella Torre, fu ucciso con Padre Oldcorne a Worcester il 7 aprile dello stesso anno. FOLEY, IV, p. 267 seg.
12 Non c'è nessuna testimonianza scritta né della famiglia, né del luogo e della data di
nascita, né dell'ingresso della Compagnia di Nicholas Owen. Probabilmente era un falegname o un muratore e divenne gesuita prima del 1580. Fu arrestato il 23 gennaio
1606 e fu portato prima nella prigione di Marshalsea e poi nella Torre. Fu appeso con
enormi pesi legati ai piedi finché, come dice J. G., “i suoi intestini non uscirono fuori
insieme con la vita”. J. G., Narrative of the Gunpowder Plot. Egli mori il 2 marzo
1606. GODFREY ANSTRUTHER, O. P. “Notes on the English Martyrs”, The
Ransomer, vol. XII, n. 5, p. 11.
13 Padre Garnet fu torturato solo una volta, mentre Padre Oldcorne lo fu per cinque
ore per quattro o cinque giorni consecutivi. Cfr. Narrative, pp. 181, 271.
14 Padre Oldcorne e Fratel Ralph Ashly furono uccisi a Worcester il 7 aprile 1606.
15 Garnet fu processato nella Guildhall il 27 marzo. Il re fu presente “in privato” al
processo che durò dalle otto del mattino alle sette di sera. MORRIS (p. 390) riporta
una relazione di quell'epoca secondo cui il re avrebbe dichiarato: “Il gesuita non ha
giocato a carte scoperte”, ma io non sono stato in grado di stabilire l'autenticità di questa affermazione.
16 Il re concesse a Padre Garnet la grazia di restare appeso finché non fosse morto.
Una lettera di Sir Charles Cornwallis descrive il “dolore espresso dal popolo per l'esecuzione del gesuita, e... quando il boia mostrò la testa di lui ed esclamò "Dio salvi il
re", non ci fu uno solo che rispose "Amen"! Anzi piombarono tutti sul boia che a stento
ebbe salva la vita. Queste parole sono tratte da una relazione scritta da North, segretario dell'ambasciatore spagnolo, e sono citate da Cornwallis in questa lettera come una
dimostrazione dell'“impegno” preso “per rendere Garnet innocente”. Hat. Cal., XVIII,
p. 265.
17 Costui è Padre John Floyd nativo del Cambridgeshire. Fu arrestato mentre tentava
di visitare Padre Oldcorne in cella nella prigione di Worcester. Fu esiliato nel 1606.
FOLEY, VII, parte I, p. 268.
18 Per i resoconti contemporanei di tali avvenimenti e per la sensazione che essi suscitarono vedi Appendice G.
19 Questo bando reca la data del 15 gennaio 1606, diverse settimane dopo che i cospiratori furono catturati. In una lettera del 22 gennaio Salisbury commenta: “Questi tre
descritti nel bando rappresentano gli stessi cardini dell'ordine e ne sono gli oracoli”. Il
bando si trova in C.S.P.D., James I, 1603-1610, p. 280, ed è seguito da una descrizione di J. G. (vedi Appendice I), di Garnet e di Greenway. Questo fu presumibilmente
mandato in tutti gli uffici postali del paese.
20 Costui fu Thomas Howard, conte di Northampton, come afferma lo stesso J. G. in
una lettera inviata a Richard Smith, vescovo di Calcedonia, in data 10 settembre 1630:
“Una persona fu incaricata di diffondere copie della mia summenzionata lettera nelle
varie strade di Londra, ed una copia in particolare fu inviata al conte di Northampton,
il quale la porse al re. Il sovrano fu tanto persuaso delle mie ragioni che avrebbe anche
desistito dalla caccia spietata fatta per catturarmi, se per scopi personali Cecil non lo
avesse reso più violento che mai. Essendo persuaso che alcuni cospiratori avevano
tramato contro la sua vita in particolare e sapendo che molti di loro erano miei amici,
egli sperava che, se mi avesse catturato, avrebbe potuto scoprire col mio aiuto quanti e
quali fossero stati i cospiratori. Per questa unica ragione non ebbe mai pace finché non
persuase il re, come di cosa a lui inequivocabilmente ben nota e chiaramente provata,
che io non ero soltanto un complice, ma il capo e l'istigatore del complotto e che, di
conseguenza, dovevo figurare capolista nel bando che era stato proclamato”.
MORRIS, p. 429.
21 È impossibile rintracciare la lettera, ma una copia venne in mano di Padre Michael
Walpole. “Considerando la lettera di Gerard”, egli scrisse il 29 gennaio 1606, “lettera
che ho visto, posso dire soltanto che sembrava cosi efficace che non c'era nulla da aggiungere. Perciò sono pienamente persuaso che Sua Maestà e tutto il Consiglio rimarranno soddisfatti di lui in cuor loro. Di fatto si dà per certo che Sua Maestà si sia espresso in tal senso, quando vide la sua lettera”. BARTOLI, Inghilterra, libro VI, cap.
6, p. 510.
22 Cfr. la lettera di Salisbury a sir Thomas Edmunds in data 22 gennaio 1606. “E sebbene nel libro di Sua Maestà non ci sia nessun riferimento a loro [i tre gesuiti menzionati nel bando], non può essere altro che frivola l'illazione che i gesuiti ne approfittino
a loro vantaggio, cercando di scagionare il loro ordine”. Hat. Cal., XVIII, p. 28. È significativo il fatto che, sebbene Padre Garnet e Padre Oldcorne fossero stati catturati il
27 gennaio, Salisbury non ne fu informato ufficialmente prima del 30. Siccome deve
averlo saputo prima, sembra probabile che egli abbia impedito la notificazione ufficiale
della loro cattura, finché non avesse eliminato tutti i testimoni in favore di Garnet,
giacché i cospiratori che erano stati processati il 27 gennaio furono frettolosamente uccisi il 30 ed il 31 dello stesso mese.
23 Non ci resta una relazione completa del discorso di Digby, ma dai messaggi inviati
a J. G. e contenuti nelle lettere che egli scrisse a sua moglie non c'è dubbio circa l'intenzione di Digby di liberare J. G. dall'imputazione. In una lettera egli dichiara me nel
suo interrogatorio “davanti a tutti i Lord io discolpai tutti i sacerdoti di tutto quello che
so. Ma ora mi si permetta di dire quale dolore sia stato per me il sentire che sono state
condannate tante cose intorno alle quali ritenevo me i cattolici la pensassero diversamente... quando seppi quello che i cattolici ed i preti pensavano della questione, e che
sarebbe stato un grande peccato quello me avrebbe determinato la mia fine, tutto ciò
fece piombare nel dubbio la mia coscienza circa le mie migliori azioni... Soltanto ciò
mi fece desiderare ancora la vita per aver modo di incontrare un Padre spirituale”.
PHILIP SIDNEY, A History of the Gunpowder Plot, pp. 123-124.
24 Padre TesinIond, alias Greenway.
25 Fu metodo peculiare di J. G. quello di scrivere tre lettere per essere sicuro che la
sua dichiarazione di innocenza raggiungesse il Consiglio. Soltanto due delle tre lettere
esistono ancora: sono indirizzate a Lennox ed a Salisbury e recano, tutt'e due, la data
del 23 gennaio 1603. Nella prima egli suggerisce “che tutti i principali cospiratori...
siano interrogati prima di morire, chiedendo loro di confessare, come farebbero di
fronte al terribile tribunale verso il quale sono incamminati, se mi hanno fatto partecipe
della cosa oppure se io l'ho comunicata loro in qualsivoglia modo, o se essi possono
attestare di propria autorità che io ero al corrente della cosa. E sono sicuro che nessuno di loro mi accuserà, a meno che non risulti evidente che lo facciano nella speranza
di aver salva la vita. Ma è chiaro, dai segni che dànno, che essi muoiono nel timore di
Dio e con la speranza della loro salvezza”. C.S.P.D., James I, vol. XVIII, n. 35.
Quando fu di nuovo avanzata contro J. G. l'accusa di complicità, questa volta da parte
dei suoi compagni cattolici, e quando essa fu resa di pubblica ragione nel 1630 con un
libro scritto da Richard Smith, vescovo di Calcedonia, J. G. in una lettera al vescovo
rivelò questa tipica ed interessante offerta che egli aveva fatto al tempo della congiura
delle polveri: “Sebbene... vedessi che la procedura proposta da me ai consiglieri non
era accetta, essendo la cosa recente e trovandomi a Londra, chiesi ai padri il permesso
di presentarmi in persona al Consiglio di Stato. Ed io l'avrei fatto, se me ne avessero
dato licenza e se il Consiglio avesse proceduto contro di me e non a motivo della religione, ma per sola complicità, essendo questa propriamente in questione, anche a rischio, essendo trovato colpevole, d'esser trattato nel peggiore dei modi. Giuro che feci
e rinnovai questa richiesta parecchie volte ai nostri padri. Di essi alcuni sono ancora in
vita e possono testimoniarlo; a loro, però, non sembrò giusto acconsentirvi”. MORRIS
p. 435.
26 Uno dei più forti argomenti a favore dell'innocenza di J. G. è che egli non è menzionato in nessuno dei ventidue interrogatori ai quali fu sottoposto Padre Garnet. Né vi
è alcun indizio che Garnet, il quale fu molto candido nelle sue risposte, considerasse
minimamente necessario difendere J. G. Comunque, J. G. si sbaglia nel dire che egli
non fu menzionato “durante il processo”, perché il suo nome si trova nell'atto di accusa
di Padre Garnet.
27 Per lo meno quattro cattolici rinnegati, che sostenevano di conoscere J. G., avevano
offerto a Salisbury i loro servigi come spie ed avevano ricevuto del denaro per il suo
arresto. Una di essi, lady Markham, offre un'interessante testimonianza del concetto in
cui J. G. era tenuto nelle campagne del Northamptonshlte. In una lettera a Salisbury ella afferma: “lo incontro molta gente che è disposta a credere che non vi fosse polvere
di sorta, così facilmente come si lascia convincere che questo santo uomo [J. G.] abbia
preso parte al complotto. Per certo tutti lo hanno sempre ammirato fino al punto di sentirsi felici e beati nell'ascoltarlo e di ritenere il loro tetto santificato dal suo passaggio
nella loro casa”. C.S.P.D., James I, vol. XVI, n. 88. Le quattro spie, dalle quali Salisbury accettò l'offerta dei servizi, sono: -1° George Southwicke, un ex-cattolico fallito
(Hat. Cal., XVIII, p. 47), che osservava e riferiva sui movimenti dei gesuiti inglesi all'estero. In una curiosa lettera, inviata a Salisbury in data 5 novembre 1605, egli afferma che per otto giorni aveva cavalcato giorno e notte per scoprire i cospiratori (G. Plot
Book, n. 16) e chiede il permesso per poter arrestare J. G., permesso che gli fu concesso e rinnovato il 19 novembre.
-2° William Udall, che fu imprigionato all'epoca del complotto di Watson (1603). Nel
giugno del 1606 egli era ancora sicuro che J. G. fosse in “giro per Londra” ed ancora
in agosto diceva a Salisbury di avere informazioni speciali circa i luoghi in cui John
Gerard si trovava e prometteva di consegnarlo tra poco insieme a Greenway. (Hat.
Cal., XVIII, pp. 173, 181, 242). Nel luglio del 1608 egli reclamò il pagamento per aver scoperto “cinque tipografie di libri sediziosi e un gesuita”. C.S.P.D., James I,
1603-1610, p. 449.
-3° W. N., la cui identità è incerta. Egli viveva al Sign of the White Rose a Calais, ove
attendeva il momento di arrestare J. G. al suo sbarco. Egli era ben informato e, evidentemente, era venuto a conoscenza del piano di J. G. per la fuga. (Hat. Cal., XVIII, pp.
103-104). Nel giugno del 1606 egli si recò in Inghilterra, ove passò alcune settimane
per vedere se “incontravo Jarret [J. G.], che è ancora in Inghilterra, sebbene secondo
le informazioni generali d'oltre Manica sia dall'altra parte, mentre Padre Baldwin [a St.
Omers] mi disse che egli si era trasferito qui”. Hat. Cal., XVIII, pp. 84, 103, 176.
-4° Lady Markham, forse la più pericolosa di tutti loro. Suo marito fu imprigionato all'epoca del complotto di Bye (1603) e più tardi fu esiliato. Salisbury accettò la sua offerta di tradire J. G. in cambio della reintegrazione del patrimonio familiare. Il 18 novembre ella era ad Harrowden durante la perquisizione. Dopo aver cercato J. G. nel
Northamptonshire, in gennaio andò a Londra, dove “spera di vedere presto Gerard”.
Salisbury le diede carta bianca per l'arresto di J. G. C.S.P.D., James I, 1603-1610, pp.
259, 278, 280.
Altri due cattolici si offrirono a Salisbury per catturare “il gesuita numero uno”, ma
non è certo che li abbia accettati. La spia chiamata Radcliffe sembra che fosse troppo
ben nota ai cattolici per essere utile al governo. (Hat. Cal., XVIII, Pp. 41, 43); l'altra,
Alexander Bradshaw, che in precedenza era stato studente di teologia a Roma, ebbe
una parte rilevante nei tentativi effettuati per catturare J. G. e Greenway, adducendo la
sua particolare idoneità a quel genere di lavoro, perché “i .gesuiti tra tutti gli uomini
hanno abbracciato me”, ma egli giunse troppo tardi. Ib., pp. 8-9, 18, 382; Westminster
Archives, VIII, n. 23.
28 Grazie ad un'indicazione contenuta in English Spanish Pilgrim di WADSWORTH
(1629), p. 25, questa può essere identificata nella casa del dotto Taylor. Come gratitudine per questo servizio che “egli aveva fatto alla Compagnia, proteggendo nella sua
camera quel gesuita Padre Gerard”, Padre Richard Blount presentò il figlio di lui, Mr.
Henry Taylor, all'ambasciatore spagnolo, che gli ottenne il posto di segretario all'ambasciata di Londra.
29 Sotto l'incalzare di questi eventi, padre Stanney, che J. G. ha menzionato nelle prime pagine del presente volume, usci di senno e fu trovato in uno stato delirante prima
a Ockingham, poi a Reading. Hat. Cal., XVII, p. 607.
30 Padre Tesimond fu arrestato in una strada di Londra mentre leggeva la descrizione
della sua persona sul manifesto che notificava il suo bando. Vi era molta gente tutt'intorno ed egli si lasciò condurre via quietamente, ma quando si trovò a passare per una
strada poco frequentata, sfuggi al suo custode, riparò nel Suffolk e raggiunse il continente con un carico di maiali macellati.
31 Cfr. sopra, cap. IV.
32 Il 4 aprile Garnet scrisse ad Anne Vaux due lettere che vennero intercettate da Wade, governatore della Torre, ed inoltrate a Salisbury. In esse si faceva chiaramente
menzione di certi libri che si trovavano nella casa dei Vaux ad Erith, nel Kent, e nell'altra casa alla quale si riferisce J. G. Quest'ultima era la casa dell'irruzione. (Hat. Cal.,
XVIII, p. 97). In un'altra lettera del 21 aprile Garnet dice che Erith e “l'altra casa” erano state depredate. C.S.P.D., James I, 1603 1610, p. 312.
33 17 aprile 1606.
34 Elizabeth Vaux fu portata a Londra il 16 novembre. (Poscritto della lettera di Tate a
Salisbury, G. Plot Book, n. 21). Raggiunse Londra la sera del 18 novembre e fu interrogata la stessa notte. (Hat. Cal., XVII, p. 496). Per il suo interrogatorio vedi
C.S.P.D., James I, vol. XVI, n. 88.
35 Sir Richard Verney, sceriffo del Warwickshire, era zio di sir George Simeon, che
l'anno precedente aveva sposato la figlia di Mrs. Vaux. Questa lettera reca la data del
12 novembre, il quarto giorno della perquisizione a Harrowden, e probabilmente fu
scritta con l'aiuto di J. G. quando di notte uscì dal suo nascondiglio. Mrs. Vaux scrive:
“Vostra nipote Mary vi cederà la sua porzione piuttosto che permettere che lui [Padre
Strange] venga implicato”. (C.S.P.D., James I, CCXVI, n. 227). Sir Richard Verney la
ricevette il giorno seguente e la passò a Salisbury la sera stessa. Hat. Cal., XVII, p.
484.
36 Il conte di Northampton. Cfr. MORRIS, p. 449.
37 “Diversi suoi servi furono gettati in prigione, spesso furono rigorosamente interrogati e furono assoggettati a numerose minacce, quando non vollero confessare che Padre Gerard era stato in casa di lord Vaux. Da loro, però, non si poté ottenere nulla”.
Narrative, p. 141. Per i loro interrogatori V. MORRIS, p. 455.
38 La casa di sir John Swinnerton che era incaricato di riscuotere !'imposta sui vini.
(Hat. Cal., XVII, p. 168). In una lettera, priva di data e scritta da questa casa a Salisbury, Elizabeth Vaux afferma che il motivo della sua detenzione è riposto nella loro
speranza di “strapparmi le informazioni necessarie per la scoperta di quella persona [J.
G.]” e protesta che “non è in mio potere farlo, ma prego Gesù affinché lo consegni nelle vostre mani se egli è colpevole, cosa di cui ho forti ragioni per dubitare”.
39 Lettere inviate ogni anno a Roma al Generale della Compagnia per fornirgli un resoconto degli avvenimenti principali occorsi durante l'anno in ciascuna casa dei gesuiti.
Alcune delle lettere annuali, alle quali J. G. si riferisce, sono pubblicate in FOLEY,
VII, parte 2.
40 J. G. fece la traversata al seguito del marchese di St. Germain, ambasciatore spagnolo, e del barone Hobach, ambasciatore dei Paesi Bassi, che erano sbarcati a Dover
il 21 aprile in missione speciale per congratularsi con Giacomo I, che era scampato alla congiura delle polveri (Hat. Cal., XVIII, p. 117). Può darsi che la fuga di J. G. sia
stata preparata all'estero, giacché sembra che la spia N. W. sia venuta a conoscenza
del piano. Il 20 maggio, Padre Baldwin, allora a Bruxelles, scrisse a Roma a Padre
Persons: “Dall'ultima mia lettera di cinque giorni fa, sono giunti a St. Omers Padre Gerard ed un certo Richard Fulwood, che Padre Garnet usava tenere al suo servizio per
tutti gli affari importanti relativi alle operazioni di transito e che riceveva e custodiva
presso di sé tutte le cose. Ritengo che anche lui sia un gesuita. Essi si trovano ancora
nascosti e ciò è indispensabile per qualche tempo, specialmente se si pensa che sono
stati condotti dal marchese ambasciatore, che in maniera veramente abile e gentile ebbe grande cura di loro”. In un'altra lettera, scritta il 3 luglio da Padre Baldwin, risulta
evidente che J. G. era “più che stanco”. “Qui [a Bruxelles] c'era ora Richard Fulwood,
il quale mi riferisce che Padre Gerard è molto malato a St. Omers; lo stesso mi ha detto che voi volete che egli venga a Roma. Temo che il viaggio lo finirebbe”. Stonyhurst
MSS, Anglia A, VI.
41 Cfr. la lettera di sir Dudley Carleton a John Chamberlain, in data 2 maggio 1606:
“Si pensava ieri che Garnet avrebbe festeggiato l'inizio di maggio sul patibolo che
mercoledì è stato innalzato per lui nel cimitero di San Paolo; ma si è ritenuto più opportuno rimandare tutto a domani per timore di disordini tra gli apprendisti e gli altri,
in un giorno di tale licenza”. C.S.P.D., James I, vol. XXI, n. 4.
APPENDICE A
CRONOLOGIA DEI PRIMI ANNI DI GERARD
È impossibile conciliare la cronologia dei primi anni di J. G., così come ci
è data dal manoscritto dell'Autobiografia, con le date fornite da altri documenti. Si è supposto, quindi, che a J. G. difettasse la memoria e che,
mentre la precisione con cui egli riferisce gli avvenimenti della sua vita
missionaria ha del sorprendente, i ricordi dei suoi primi anni fossero confusi.
Sembra più probabile, tuttavia, che siano stati fatti degli errori dal copista. Ciò sembra confermato da due passi dell'Autobiografia. J. G. afferma
che gli fu accordata la dispensa per l'ordinazione, perché gli “mancavano
pochi mesi per raggiungere l'età canonica” (cioè, venticinque anni). Poiché egli fu ordinato nell'estate 1588, “quando la flotta spagnola veleggiava
verso l'Inghilterra”, bisognerebbe porre la sua nascita negli ultimi mesi del
1564. Ciò concorda con la dichiarazione di Padre Nathaniel Southwell,
secondo la quale egli nacque il 4 ottobre 1564. Ma se egli aveva diciannove anni (come si legge nel manoscritto) quando si recò per la prima volta
in Francia, in base al suo stesso computo degli anni intermedi egli avrebbe
avuto più di venticinque anni già all'inizio dei suoi studi a Roma. L'errore
è evidente. Comunque, poiché nel manoscritto si legge: “Avevo diciannove anni... ed ero ancora un ragazzo”, non ci può esser dubbio, penso, che
si tratti di un errore di trascrizione. È poco probabile, infatti, che nel periodo elisabettiano un giovane entrato nel ventesimo anno si ritenesse “ancora un ragazzo”.
Una ulteriore ragione per pensare ad uno sbaglio del copista ci è fornita da
un'altra dichiarazione di J. G., sulla quale Padre Godfrey Anstruther, O. P.,
ha gentilmente richiamato la mia attenzione. Nel gennaio 1628, circa venti
anni dopo la stesura dell'Autobiografia, in una deposizione riguardante la
vita di Edmund Campion J. G. dice: “Non vidi mai il beato Padre Campion, perché io ero in Francia mentre egli lavorava alacremente in Inghilterra nella vigna di Cristo”. (Westminster Archives, II, n° 39). La precisione di questa testimonianza mostra come nella sua mente non vi fosse alcuna confusione circa le date dei suoi primi anni.
Poiché il manoscritto originale di J. G. sembra essere andato definitivamente perduto, non abbiamo nessun elemento onde poter stabilire se egli
abbia usato cifre romane o cifre arabiche nell'indicare la sua età, oppure se
abbia scritto i numeri per disteso. Se egli usò le cifre romane, si spiega facilmente un errore di trascrizione. In considerazione dell'accuratezza dimostrata in tutti gli altri passi, in cui le sue dichiarazioni possono essere
controllate, è poco probabile che J. G. abbia scritto che aveva quindici anni, quando si recò ad Oxford, e diciannove, quando lasciò l'Inghilterra per
la prima volta. Perciò ho corretto il testo ed ho sostituito le date ivi riportate, con quelle scritte con tutta probabilità da J. G. Ecco la cronologia del
primo periodo della sua vita, secondo quanto è stato ricostruito in base a
documenti estranei all'Autobiografia:
1564, 4 ottobre. Nascita a Etwall Hall. (NATHANIEL SODTHWELL)
Catalogus Primorum Patrum, Stonyhurst MSS). Il giorno seguente, 5 ottobre, battesimo nella chiesa parrocchiale di Etwall. Cfr. registro parrocchiale di Etwall.
1575, dicembre. Immatricolazione a Oxford. A. CLARK, Register of the
University of Oxford, vol. II, parte 2, p. 63.
1577, 29 agosto. Arrivo a Douai. F. T. KNOX, Douai Diaries, p. 129.
(Nel marzo 1578 il collegio si trasferì a Reims). 1580-1581, autunnoestate. Al collegio di Clermont, a Parigi. 1581, autunno. Visita a Padre
Persons a Rouen. L. HICKS, Letters and Memorials of Fr. Persons.
C.R.S., volume XXXIX, pp. 42-43.
1583, primavera. Ritorno in Inghilterra. (Nel marzo del 1583 fu segnalato
a Clermont da una spia. C.S.P. Foreign, 1583, p. 585).
1584, 5 marzo. Imprigionamento a Marshalsea. Prison Lists, c.R.S., voI.
II, p. 233.
1585, Pasqua. Liberazione. (Garanzie periodiche, 1585-1586. MORRIS)
p. 23). 1586, fine maggio. Partenza dall'Inghilterra ed incontro con Padre
Holt a Parigi. Vedi nota 26, capitolo I del presente volume. L. HICKS, op.
cit., p. 303.
1586, 5 agosto. Al Collegio Inglese di Roma. Pilgrim Book: FOLEY, VI,
p. 559. 1588, luglio. Ordinazione. 1588, 15 agosto. Ingresso nella Compagnia e poi partenza per l'Inghilterra.
Queste date sono certe e corrispondono esattamente all'ordine degli eventi
descritti nell'Autobiografia ed alla loro durata J. G., dice che fu ad Oxford
“meno di un anno”, a Reims “circa tre anni”, a Clermont “un anno”, durante il quale cadde seriamente ammalato, e “circa un anno”in Inghilterra
prima che tentasse di tornare nel continente. Egli aggiunge, inoltre, che
dopo il suo rilascio dalla prigione passò alquanto tempo prima che si potesse esimere dall'obbligo di ripresentarsi ad intervalli periodici. Tutte
queste dichiarazioni sono confermate dai documenti riportati nella tavola.
Egli deve esser rimasto in Inghilterra, quindi, per circa due anni dopo la
sua liberazione da Marshalsea. Presumibilmente fu in questo periodo, poiché non si vede in quale altro tempo ciò possa essere avvenuto, che egli
divenne esperto di falconeria.
L'unica difficoltà apparente deriva dalle sue dichiarazioni intorno a Mr.
Lewknor e Padre William Sutton. Sutton tornò per la prima volta in Inghilterra da sacerdote nel luglio 1577 (F. T. KNOX) Douai Diaries, p. 126),
poco tempo prima che J. G. si trasferisse a Douai; e fu nel corso dello stesso anno che Lewknor abbandonò il suo incarico ad Oxford (c. w. BOA
SE) Register of the University of Oxford, vol. I, p. 263). Tuttavia J. G. non
dice che egli ebbe Lewknor e Sutton come insegnanti dopo aver abbandonato Oxford, ma semplicemente che questi insegnanti vissero nella casa di
suo padre. Seguendo il metodo che poi avrebbe adottato nel corso di tutta
la narrazione, mentre parla di Bryn, J. G. raccoglie tutto quello che aveva
da dire sull'argomento della sua casa e segnala, come cosa degna di nota,
che queste due persone vissero a Bryn sotto la protezione di suo padre.
Mentre J. G. era a Reims e a Parigi, Lewknor, che non abbandonò l'Inghilterra fino al maggio o al giugno del 1579 (Douai Diaries) p. 153), rimase
a Bryn ad insegnare latino al fratello di J. G., il quale, essendo l'erede, non
andò all'estero per compiere gli studi. Quando nel marzo 1583 J. G. tornò
da Parigi, Sutton, che aveva fatto un viaggio sul continente, ritornò a Bryn
in compagnia di J. G. ed ivi insegnò greco a lui ed al fratello (Catalogus
Primorum Patrum). È possibile, naturalmente, che J. G., prima di partire
per Reims, abbia avuto a Bryn per un anno Lewknor come insegnante, se
questi, come altri membri dei collegi di Oxford, abbandonò l'università alquanto prima di dimettersi dal suo incarico.
APPENDICE B
LA RESIDENZA DI CAMPAGNA DI PADRE GARNET
Non è possibile identificare con sicurezza la residenza di campagna di Padre Garnet. John Gerard dice che essa si trovava nel Warwickshire, a circa
cento miglia da Londra. Alan Fea (Rooms of Mystery and Romance) sostiene che fosse Coughton Court, che dista un po' più di cento miglia; ma
Granville Squiers (Secret Hiding-Places) pp. 28-34) la identifica, sebbene
con prove non del tutto convincenti, con Baddesley Clinton, una bella residenza restaurata con cura, che sorge proprio a novantanove miglia da
Londra. Questa è appartata ed è difficile trovarla. Ciò spiegherebbe l'imbarazzo della spia governativa nell'indicarne l'esatta ubicazione (S.P.D.,
CCXXIX, n° 78). Si trova a diciotto miglia da Hinlip Hall, la residenza di
Padre Oldcorne nel Worcestershire, che Gerard dice “non molto lontana”.
Inoltre, la tradizione secondo cui in essa visse Guy Fawkes si potrebbe
spiegare facilmente con la confusione tra i nomi Vaux e Fawkes, giacché
Garnet viveva in campagna presso le due sorelle Vaux. Passando ad ispezionare i nascondigli di entrambe le case, Squiers scopri che quelli di
Baddesley Clinton rispondevano esattamente alla descrizione fornita da
Gerard. Nei sotterranei dell'ala ovest di Baddesley vi è un tunnel, che la
percorre nella sua intera lunghezza. In origine era la fognatura della casa,
ma poi fu adattata a nascondiglio probabilmente da Nicholas Owen, che
dirottò la fognatura, facendovi costruire sopra una torretta sporgente dalle
mura. L'entrata principale era lungo un cunicolo che partiva dalla sagrestia; ce n'era anche un'altra che faceva capo alla stanza del prete. Allo
sbocco del tunnel c'era una pesante lastra di pietra incastrata tra due scanalature verticali del muro, così che l'acqua del fossato vi poteva facilmente permeare. Gerard dice che l'acqua gli arrivava alle caviglie. Squiers (p.
33) cita la testimonianza di altri preti nascosti con Gerard e mostra come
essa corrisponda esattamente alla costruzione in cui c'era il nascondiglio
di Baddesley Clinton.
APPENDICE C
IL POZZO DI S. WINEFRID
Holywell, come luogo di pellegrinaggio, ha una storia ininterrotta che risale ai tempi precedenti la Riforma e giunge fino ai nostri giorni. Nei secoli
decimosesto e decimosettimo il governo, a quel che sembra, non fu in grado di arrestare l'afflusso dei pellegrini. Nel 1624 la spia Gee riferiva che
“ogni anno, verso il culmine dell'estate, molti papisti superstiziosi del
Lancashire, dello Staffordshire e di altre più lontane contee si recano in
pellegrinaggio, specialmente quelli del più debole sesso femminile, che vi
tengono convegno con diversi preti di loro conoscenza, i quali ne approfittano per convocare le loro assemblee e per tenere il sinodo principale, al
fine di consultarsi e di promuovere la causa cattolica, come essi la chiamano... Mi sia lecito aggiungere che l'estate scorsa (1623) ebbero tanto
ardire da introdursi a più riprese nella chiesa o cappella pubblica di Holywell per celebrarvi messa, senza incontrare resistenza alcuna. Non è da
escludere che essi pretenderanno la stessa libertà qui in Inghilterra”.
(JOHN GEE, Foot out of the Snare, in SOMER, Collection of Tracts, vol.
III, pp. 64-65).
Le informazioni di Gee sono comprovate da una relazione ufficiale presentata al Consiglio il 28 ottobre 1626 dal sindaco di Poole, Montgomery: “In
ossequio alle direttive impartite da Vostra Signoria... ho adottato, nell'ambito del possibile, le misure migliori per impedire l'afflusso di persone
malconsigliate in fatto di religione al pozzo di S. Winefrid, nel Flintshire,
sia costringendo gli albergatori ed i forestieri, sorpresi sul luogo, a rivelare
i nomi dei loro ospiti ai più vicini giudici di pace, sia dislocando sul posto
un corpo di guardie. Queste misure. :. si sono rivelate efficacissime. Infatti, mentre in passato, per tutta la durata dell'estate c'era un continuo concorso di uomini e di donne, tra cui molte personalità di rilievo, che affluivano in folla sotto forma di pellegrinaggio... nulla di tutto ciò vi è stato la
scorsa estate”. (S.P.D., Charles I, vol. XXXVIII, n° 73).
Comunque, le stesse disposizioni per impedire i pellegrinaggi furono adottate dieci anni dopo (S.P.D., Charles I, vol. CCCLXI, nO 25, 1636). Nel
1629, i nomi delle persone di rango che visitarono il pozzo nella festa di S.
Winefrid furono inviati al Consiglio (ib., vol. CLI, n° 13). La lista include:
Lord William Howard, lord Shrewsbury, sir Thomas Gerard, Mr. Blundell
di Crosby, sir John Talbot di Bashaw, lady Palkland ecc... “con molti altri
cavalieri, dame, gentiluomini e gentildonne di diverse contee, fino a raggiungere il numero di millequattrocento o millecinquecento persone; oltre
a questi si calcola che siano stati presenti centocinquanta e più preti, per la
maggior parte ben noti come tali”.
La narrazione di alcuni miracoli avvenuti al pozzo di S. Winefrid si può
trovare in FOLEY, IV, pp. 536-537.
APPENDICE D
BRADDOCKS
Al giorno d'oggi, Braddocks è una fattoria. Due terzi dell'edificio primitivo, che era circondato da un magnifico parco di daini, sono stati demoliti;
ma l'ala destra della vecchia abitazione, la parte che ancora rimane, contiene il nascondiglio descritto da John Gerard. Nella cappella Nicholas
Owen rimosse i mattoni del focolare e vi costruì un falso camino. “Lì sotto”, scrive Granville Squiers (Secret HidingPlaces, c. XXIII), “scavò in
profondità nel muro maestro”. Il vano, che egli fece, raggiunge l'ampia sala di soggiorno sottostante, e resta in alto e leggermente a lato del camino
di stile rinascimentale. Da questo locale era separato soltanto da un graticcio ricoperto di intonaco e protetto da alcuni pannelli di assito.
L'ampia sala di soggiorno è molto modificata e restaurata; ma il camino di
pietra c'è ancora, sebbene sia stata rimossa la pesante sovrastruttura. “La
cappella, continua lo Squiers, è spoglia, ma in buone condizioni. Quando
lo vidi per la prima volta, l'arco di stile Tudor del camino era stato ostruito
da tanto tempo che il più vecchio abitante non se ne poteva ricordare; e
quando vi praticammo un'apertura trovammo che il camino era ingombro
di generazioni e generazioni di nidi d'uccelli. Sotto di esso il focolare era
stato livellato con materiale solido. Impiegammo due o tre giorni per riportarlo alla luce; ma finalmente le nostre fatiche furono ricompensate perché
potemmo osservare il nascondiglio, la cui muratura si presentava così recente come se Nicholas Owen l'avesse ultimato solo una settimana prima...
Osservando attentamente sotto il considerevole strato di pulviscolo rimasto sul fondo della buca, scoprii alcune piccole tracce di cenere di legno
bruciato, che ritengo esser quella caduta sul malcapitato Gerard durante
l'ultima terribile notte di ricerche. Quando furono rimossi i resti del falso
focolare, il leggero strato di cenere deve esser rimasto inosservato sul fondo; e poiché non c'è dubbio che questa storia sia rimasta occulta per molto
tempo dopo che il nascondiglio era stato di nuovo murato, bisogna concludere che questa cenere è autentica... Si ricorderà che Mrs. Wiseman
porse un vasetto di gelatina di cotogne a Gerard, proprio mentre questi
stava per calarsi nel nascondiglio; ed è interessante notare come nel giardino ci sia ancora un vecchio albero di cotogne”.
APPENDICE E
DIFESA DI PADRE SOUTHWELL
DEL RICORSO ALL'EQUIVOCO
Un resoconto contemporaneo della tesi sostenuta da Padre Southwell a difesa dell'equivoco è riprodotto da Janelle in Robert Southwell) pp. 81-82.
“Il procuratore (sir Edward Coke)... accusò in maniera particolare Mr.
Southwell di una dottrina quanto mai perversa ed esecrabile, affermando
che egli aveva insegnato ad una gentildonna che, qualora fosse stata interrogata se Robert Southwell fosse stato in casa di suo padre, ella avrebbe
potuto negarlo dietro giuramento, con l'intenzione interna di non riferirlo a
loro. A dimostrazione di ciò, introdussero proprio quella gentildonna, che
si chiamava Anne ed era figlia di Mr. Bellamy. Dopo aver prestato giuramento, ella affermò che egli le aveva detto che, qualora le avessero chiesto
dietro giuramento se avesse o non avesse visto un prete, ella lo avrebbe
potuto tranquillamente negare, anche se lo aveva visto, tenendo ben presente questo significato dell'espressione che, cioè, ella non l'aveva visto
con l'intento di tradirlo.
“Mr. Southwell rispose che quanto egli aveva detto, nel senso da lui inteso, (se essi gli consentivano di spiegare il senso delle proprie parole) lo avrebbe dimostrato conforme alla Parola di Dio ed alle leggi ecclesiastiche
e civili. Aggiunse che ciò non rappresentava una semplice opinione personale, ma rispondeva al pensiero dei Dottori e dei Padri della Chiesa ed obbediva alla prassi ed al costume di tutte le epoche, in tutte le nazioni cristiane. Sostenne, infine, che se essi non l'avessero ammesso, avrebbero
compromesso il governo sia politico che religioso di tutti gli Stati e lo
stesso segreto dell'uomo; come pure avrebbero reso impossibile l'esistenza
di questo e di qualsiasi altro Stato, la formazione di un qualsivoglia governo ed il perseguimento di qualunque politica. Ma passando egli a spiegare e a dimostrare quanto andava affermando, essi lo interrompevano
continuamente e seguitavano ad esecrare quella barbara dottrina, cercando
di persuadere il pubblico che essi (i gesuiti) insegnavano che fosse lecito
commettere uno spergiuro volontario. Al che egli cominciò ad infervorarsi
e a condannare un così orribile misfatto, dicendo al signor procuratore che
egli doveva ammettere la sua dottrina, "altrimenti io dimostrerò che voi
non siete un suddito fedele, né un amico della regina". "Davvero?, ribatté
il signor procuratore, sentiamo un po'". Mr. Southwell cominciò: "Suppo-
niamo che il re di Francia invada il territorio di Sua Maestà la Regina e
che (Dio non voglia) ella sia costretta dai suoi nemici a cercare scampo in
una casa privata, di cui nessuno sappia ad eccezione del signor procuratore. Supponiamo anche che il signor procuratore sia costretto a giurare e
che il suo rifiuto sia inteso come la confessione della presenza della regina
in quella casa (giacché suppongo anche questo). Se in un caso del genere
il signor procuratore fosse interrogato e rifiutasse di giurare che non sa
dove sia la regina, con l'intenzione di non rivelarlo ad essi, io dico che il
signor procuratore non sarebbe né un suddito fedele, né un amico di Sua
Maestà".
“Il primo giudice disse che egli avrebbe dovuto rifiutare il giuramento.
Mr. Southwell rispose che col suo silenzio avrebbe tradito la sovrana. Ma
il procuratore concluse dicendo che il caso non era identico e, invaso da
collera, chiamò ripetutamente Mr. Southwell un prete fanciullone e gli disse che non aveva letto gli autori. "Io ho letto anche quelli che li hanno letti, mentre voi, signor procuratore, nello studio del vostro diritto non vi
preoccupate di afferrare i fondamenti ed i principi della legge, ma riferite
l'opinione di altri uomini". "Ah, disse il procuratore, voi avete studiato il
prof. Allen, il prof. Parsons, lo Hold, il Traytor ecc". "Allora, intervenne il
lord primo giudice, se questa dottrina fosse accettata, abolirebbe ogni giustizia, perché noi siamo uomini e non dèi e possiamo giudicare soltanto in
base alle parole ed alle azioni esteriori, e non secondo i segreti e le intenzioni interne". Mr. Southwell disse che in questo caso bisogna presupporre
alcune cose: che il rifiuto di prestar giuramento significa confessare il fatto, che il giuramento viene imposto da persone che non esercitano una autorità legittima, che ogni giuramento dovrebbe contenere giudizio, giustizia e verità e che nessun uomo è tenuto a rispondere a ciascun altro uomo
che lo interroghi, a meno che non si tratti di giudice competente. E qui fece l'esempio del ladro che obbliga un uomo onesto a dirgli dietro giuramento quale sia la strada sicura. Mentre, però, egli procedeva a spiegare il
significato delle sue parole, veniva continuamente interrotto, perché essi
non volevano consentirgli assolutamente di aggiungere altro. Quindi li invitò ad aver pazienza, e disse chiaramente che essi non intendevano permettergli di dimostrare quanto aveva affermato e che certo lo avrebbero
contraddetto allo stesso modo anche se egli avesse sostenuto quella medesima tesi da essi contrapposta. A questo punto Topcliffe cominciò a riscaldarsi ed a sputare insulti, come ormai gli è abituale... ma fu ben presto
invitato a desistere. Dopo che alla giuria furono comunicate alcune cose
riguardanti unicamente l'accusa, quella si ritirò in un edificio separato per
discutere il verdetto”.
APPENDICE F
RELAZIONE DELL'INTERROGATORIO
DI PADRE GERARD SULL'EQUIVOCO
La presente relazione dell'interrogatorio di Padre Gerard sulla questione
dell'equivoco si trova tra i manoscritti di Petyt (38/f. 341) a Inner Temple.
Essa è stata scritta e firmata il 13 maggio 1597, giorno dell'interrogatorio.
È proprio il caso di riportarla per intero, perché essa testimonia della straordinaria precisione mostrata da Padre Gerard in Narrative) scritta a dieci
anni di distanza dagli avvenimenti.
“Si disse allora al gesuita John Gerard come durante il processo di Southwell, il prete reo di alto tradimento, uno dei giudici avesse domandato in
pubblica seduta ad una testimone di dire dietro giuramento se Southwell
fosse mai stato in casa di Bellamy e come quella avesse risposto che era
stata persuasa da Southwell a giurare di non averlo visto in casa di Bellamy, tenendo bene in mente il sottinteso che non l'aveva visto con l'intento di rivelarlo ad essi, mentre in realtà lo aveva visto diverse volte in casa
di Bellamy. E quando Southwell fu accusato di ciò, egli lo confessò apertamente ma cercò di giustificarsi adducendo il passo di Geremia secondo
il quale l'uomo dovrebbe giurare in sudicio, justitia et veritate. Ora quando fu chiesto a questo John Gerard quale fosse la sua opinione riguardo alla suddetta tesi di Southwell, questi disse che era dello stesso parere e prese a giustificarla ricorrendo all'esempio del Nostro Signore Gesù Cristo, il
quale disse ai suoi discepoli che essi sarebbero andati a Gerusalemme, ego
autem non ascendam) intendendo serbare per sé il segreto della cosa. Egli
aggiunse anche che il Nostro Salvatore disse di non conoscere il giorno del
giudizio, volendo mantenere il segreto per sé. E spiegò che, essendo Egli il
Figlio dell'Uomo, lo conosceva e non poteva ignorare nulla. Aggiunse però
che se un testimone viene interrogato juridice su questioni temporali che
non riguardino né la religione, né i cattolici, non può rispondere ricorrendo al suddetto equivoco. E siccome questa opinione e la relativa difesa
sembravano condannabili e blasfeme, gli fu chiesto di porre per iscritto il
suo parere per evitare che le sue parole venissero fraintese. Ma egli rifiutò,
non perché quanto asseriva fosse falso, ma perché non intendeva pubblicarlo.
APPENDICE G
LA PAGLIA DI PADRE GARNET
Foley (IV, pp. 129-131) riporta da uno scritto conservato nel British Museum (Documenti riguardanti i gesuiti inglesi, Add. MSS. 21, 203, Plut.
CLII, F). A relation of the figure which appeareth in the ear of a straw in
the chall or husk thereof.
“Dopo che Padre Henry Garnet, superiore della Compagnia di Gesù in Inghilterra, fu ucciso per ordine di Giacomo attualmente re di questo regno,
il terzo giorno di maggio dell'anno 1606, festa della Invenzione della Croce, la sua testa apparve a vivi colori quasi che conservasse lo stesso colorito e le stesse sembianze naturali che le erano proprie prima che fosse spiccata. A quella vista tanto gli eretici quanto i cattolici furono pervasi di
stupore. La meraviglia aumentò quando la testa fu, secondo il costume,
gettata nell'acqua bollente e quando, infissa su una pertica, fu esposta sul
ponte di Londra senza subire alcuna alterazione. Perciò ci fu, per la durata
di sei settimane, uno straordinario concorso di popolo. I cittadini affluivano a centinaia per vedere lo spettacolo insolito e meraviglioso offerto dalla
testa di questo martire glorioso, il cui volto continuava a mantenere inalterato il suo aspetto gentile e vitale, senza acquistare quel colore cereo e
bluastro che normalmente assumono le teste quando vengono spiccate dal
corpo. Allora i magistrati della città ed i membri del Consiglio, confusi dal
miracolo ed indispettiti dal continuo afflusso di popolo che accorreva ad
ammirare quello spettacolo inaspettato, diedero ordini affinché la testa
fosse girata in maniera da volgere il viso all'insù, per impedire alla gente la
vista del volto, come fino ad allora era avvenuto. In certi momenti gli astanti erano così numerosi, tanto sul ponte e negli spazi antistanti quanto
sui balconi delle case e sulle imbarcazioni del fiume, che diverse persone
calcolarono di quattrocento o cinquecento il numero dei presenti.
“Quando il volto fu così girato, esso apparve in maniera miracolosa sulla
spiga di grano che era macchiata del suo sangue e che era stata raccolta da
un uomo che aveva assistito al martirio. Questi si era recato sul luogo dell'esecuzione col proposito di bagnare un fazzoletto o qualche altro panno
nel sangue del martire. A questo scopo era accorso tra i primi e si era appressato al palco quanto più gli era stato possibile. Quando i carnefici cominciarono a squartare il corpo di questo martire glorioso, egli finse di essere pressato dalla folla, che si accalcava per vedere, e si spinse fin sotto il
palco, dove bagnò col sangue che scorreva dalle fessure dell'assito il suo
cappello, alcuni suoi indumenti ed un panno che aveva apposta preparato.
Mentre la folla si allontanava (dopo che il martire era stato tagliato a pezzi) egli si fece largo tra la calca e si fermò sullo stesso lato del palco dove
il boia stava gettando le membra in un grande cesto sul cui fondo giaceva
una spiga di grano. Mentre il carnefice vi gettava le membra, questa volò e
gli cadde in seno. Egli la prese e la conservò, perché vide che era macchiata di sangue. In seguito, la donò ad una donna cattolica che era moglie di
un sarto londinese e che la ripose nel suo reliquiario insieme ad altre reliquie, curvandola a forma di anello. Questa donna la conservò devotamente
finché un giorno, parlando di questo martire, disse al suo interlocutore che
ella conservava una spiga di grano macchiata del suo sangue. Questi la
pregò di fargliela vedere ed ella gli porse il reliquiario in cui era custodita.
Egli lo aprì e attraverso il vetro scorse il volto di un uomo. Al che fu preso
da stupore e lo fece osservare alla donna. Tutto ciò avvenne alla presenza
di colui che per primo aveva raccolto la spiga, così queste tre persone videro distintamente il viso di un uomo dall'aspetto glorioso. Tutto era proporzionato: barba, bocca, occhi, fronte. Sulla testa poggiava una corona,
sulla fronte splendevano una croce ed una stella e, nella parte inferiore del
volto, il mento era come quello di un cherubino.
Questa cosa ammirabile fu mostrata ad altri amici, così che la notizia si
sparse gradualmente per tutta la città, specialmente quando il signore di
Northampton divulgò il contenuto di un suo discorso pronunciato al processo di Garnet contro il papa, i gesuiti e lo stesso martire. Ormai il miracolo era divenuto di pubblica ragione, contandosi a centinaia le persone
che l'avevano visto. Molti, perciò, dicevano ironicamente: "Una paglia per
il libro del signore di Northampton". A rendere più noto il prodigio così
mirabilmente operato da Dio, le cose si svolsero in maniera tale che gli
stessi eretici furono testimoni oculari di questa meraviglia. Infatti sia nelle
mani dell'ambasciatore di Spagna che in quelle di altri, molti, finanche alcuni membri del Consiglio del re, la poterono ammirare. In casa dell'ambasciatore di Spagna ci fu per molti giorni un tale concorso di nobili e di
gentiluomini, non solo cattolici ma anche scismatici ed eretici, che non furono più ammessi quelli che entravano continuamente per rivedere lo spettacolo e se ne ripartivano meravigliati, confortati ed edificati, essendo unanimemente convinti che si trattava di un fatto soprannaturale. A maggiore confusione dei nemici della Chiesa Cattolica, furono convocati diversi pittori per vedere se fosse possibile imitare con la loro arte un volto
simile, ma essi lo negarono. Visto da una parte, il viso appare piccolo; visto dall'altra oppure da lontano, diventa molto più grande, pur conservando sempre la stessa perfezione. Esso opera sulle spettatore onesto quello
stesso effetto che il sole produce in colui che fissa gli occhi sul suo splendore. Tuttavia la spiga conserva il suo colore naturale. Soltanto quella parte in cui si trova il volto appare più chiara, mentre questo appare come inciso nella spiga sulle glume in cui si è formato il grano, sebbene tutta
l'immagine sia disegnata dal sangue. Né l'arte, né la lingua, né la penna
valgono ad esprimere la cosa così come si presenta nella realtà.
“Gli eretici, specialmente i vescovi ed i pastori, attribuiscono quest'opera
di Dio a stregoneria, a qualche liquido speciale oppure a qualche segreta
invenzione del genere. Ben sapendo come la notizia di tale portento si sia
diffusa per tutto il regno, allo scopo di distruggere o, almeno, di minimizzare il valore del miracolo, essi hanno fatto circolare numerose imitazioni,
che però non reggono il confronto con l'immagine originale. Lo stesso vescovo di Canterbury si è messo all'opera insieme ad alcuni pittori coll'intento di realizzare un'imitazione. Ma coloro che hanno visto l'originale si
sono rifiutati, giacché sanno che è impossibile riprodurla con le semplici
risorse della loro arte”.
Quindi lo scrittore procede a descrivere l'episodio riguardante Padre Oldcorne che John Gerard riferisce nel c. 23.
“Sono avvenuti anche altri prodigi mediante i quali sembrò che Dio volesse manifestare la gloria di questo grande santo e del suo compagno, Padre
Edward Oldcorne. Anche questo sacerdote era membro della Compagnia
di Gesù; fu condannato a morte quasi contemporaneamente all'altro e fu
ucciso a Worcester ai confini del Galles. Davanti alla casa nella quale essi
furono catturati si formò una corona di erba alta un piede e mezzo e simile
alla giunchiglia marina. Tale corona aveva un disegno perfetto ed era di
un colore verde intenso. Essa costituiva la meraviglia di quanti andavano a
vederla, tanto più che le bestie che vi pascolavano accanto non toccavano
mai l'erba da cui era formata. Anche quando furono gettati nel fuoco gli
intestini di Padre Oldcorne e quelli di altre due persone uccise con lui, le
fiamme riarsero per quattordici giorni, alimentando lo stupore della gente
che in gran numero affluiva ad ammirare lo strano fenomeno. Neanche la
pioggia che qualche volta cadde abbondantemente sul posto riuscì ad estinguere le fiamme. Il fuoco continuò ad ardere con la stessa intensità del
primo giorno e della prima ora finché le autorità non diedero ordine di disperdere la sterpaglia e di estinguere le bragi, cosa che avvenne quattordici
giorni dopo l'esecuzione”.
APPENDICE H
VITA DI PADRE GERARD
DOPO LA SUA FUGA DALL'INGHILTERRA
Padre Gerard passò in Belgio il 3 maggio 1606 in compagnia degli ambasciatori di Spagna e di Fiandra. Dopo essersi fermato per sei settimane a
St. Omers, proseguì per Tivoli, ove trascorse un periodo di riposo. Nei
primi mesi del 1607 fu nominato penitenziere inglese a S. Pietro e, due
anni dopo, fu inviato nelle Fiandre per aiutare nella loro formazione i novizi del noviziato inglese stabilito a Lovanio. Nel 1614 fu aperto a Liegi
uno studentato di filosofia e di teologia e Padre Gerard ne fu il primo rettore. “Egli lo costruì dalle fondamenta in stile elegante grazie alle elemosine raccolte in tutte le parti”. (Nathaniel Southwell, Catalogus Primorum
Patrum, p. 32). Nel 1622 tornò a visitare Roma per ottenere l'appoggio
papale per il nuovo istituto di religiose fondato da Mary Ward. Al suo ritorno in Belgio, fu nominato rettore della casa dei gesuiti inglesi a Ghent,
dove i sacerdoti novelli fecero il loro terzo anno di prova sotto la sua direzione. Dal 1627 al 1637, gli ultimi dieci anni della sua vita, fu confessore
al Collegio Inglese di Roma. Ivi morì all'età di settantatré anni, il 27 luglio
1637.
APPENDICE I
DESCRIZIONI CONTEMPORANEE
DI PADRE GERARD
Vi sono tre descrizioni contemporanee dell'aspetto di J. G. La prima è
quella di Topcliffe che fu redatta qualche tempo dopo la fuga di J. G. dalla
Torre:
“John Gerard, gesuita, è di circa trent'anni e di buona statura. È alquanto
più alto di Tho Layton ed è eretto nel passo e nel portamento; il suo sguardo ed i suoi occhi sono piuttosto penetranti; i suoi capelli sono ricci e nerastri per natura, mentre la sua barba è alquanto rada. A mio parere, il naso
è piuttosto largo e rivolto all'insù e le labbra sono carnose e sporgenti, specie quello superiore che è rivolto verso il naso. È curioso durante il discorso, se non ha mutato abitudine: quando parla gestisce e sorride continuamente, il suo discorso è esitante e la pronuncia blesa” (1).
La seconda fu indirizzata dalla spia William Byrd a Robert Cecil, il 27 agosto 1601. “L'identificazione di Gerard può riuscire più facile se si tiene
presente questa descrizione di lui e del suo abito. È di alta statura e di alte
spalle, specialmente quando indossa la cappa. Ha capelli neri e carnagione
bruna, naso aquilino e fronte ampia. Veste generalmente in maniera costosa e adatta alla difesa, in pelle scamosciata trapunta di ricami d'oro e d'argento. Indossa farsetto di raso, calze di velluto di tutti i colori con ricami
corrispondenti, e porta spade e daghe dorate o argentate” (2).
La terza fu posta in circolazione al tempo della congiura delle polveri:
“John Gerard, alias Brooke, è di alta statura ed è ben proporzionato. La
sua carnagione è bruna o nerastra, il viso è ampio, gli zigomi sono sporgenti, ma sotto di essi le guance sono alquanto infossate. Normalmente ha
capelli lunghi, a meno che adesso non se li sia tagliati; la sua barba è ben
rasata, tuttavia porta piccoli baffi ed un pizzetto sotto il labbro inferiore. È
intorno ai quarant'anni” (3).
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NOTE ALL’APPENDICE I
1 S.P.D., Vol. CLXV, n. 21.
2 Hat. Cal., XI, p. 365.
3 P.R.O., Proclamation Book, p. 121.