Autobiografia - Leo d`Alessandro
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Autobiografia - Leo d`Alessandro
I cattolici sotto il potere anglicano JOHN GERARD Autobiografia di un gesuita dei tempi di Elisabetta Titolo originale: JOHN GERARD The Autobiography of an Elizabethan EDIZIONI PAOLINE – ROMA 1963 INDICE Presentazione di Graham Greene Introduzione di Philip Caraman Prefazione dell'Autore I Primi anni II Lo sbarco III Grimston IV Lawshall V Braddocks VI Perquisizione a Baddesley Clinton VII Padre Oldcorne VIII “Peine forte et dure” IX Perquisizione a Braddocks X Arresto XI In carcere XIIClin XIII Il sillogismo del Decano XIV Alternativa mortale XV Tortura nella torre XVI Corrispondenza clandestina XVII La fuga XVIII Londra e Harrowden XIX Il prete John XX Partita a carte con Sir Everard XXI Amici a corte XXII Ultimi giorni di fatiche XXIII La congiura delle polveri Appendice A - Cronologia dei primi anni di Gerard Appendice B - La residenza di campagna di Padre Garnet Appendice C –I l pozzo di S. Winefrid Appendice D - Braddocks Appendice E - Difesa di Padre Southwell del ricorso all'equivoco Appendice F - Relazione dell'interrogatorio di Padre Gerard sull'equivoco Appendice G - La paglia di Padre Garnet Appendice H - Vita di Padre Gerard dopo la sua fuga dall'Inghilterra Appendice I - Descrizioni contemporanee di Padre Gerard ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI C.R.S. Catholic Record Society C.S.P.D. Calendar of State Papers Domestic D.N.B. Dictionary of National Biography FOLEY Records of the English Province of the Society of Jesus HAT. CAL. Calendar of Manuscripts of the Marquess of Salisbury preserved at Hatfield House JESSOP One Generation of a Norfolk House (ed. 1879) MORRIS John Gerard (ed. 1881) NARRATIVE A Narrative of the Gunpowder Plot di John Gerard, stampato in The Conditions of Catholics under James I (1871) S.P.D.State Papers Domestic: Elizabeth TROUBLES Troubles of Our Catholic Forefathers (ed. John Morris) PRESENTAZIONE di GRAHAM GREENE “Questa ultima era di un mondo ansimante nel suo declino”. Con queste parole Gerard descrive nella sua modesta prefazione lo sfondo storico che fa da cornice all'Autobiografia. Quanto barbara sarebbe suonata questa frase alle orecchie di un personaggio vittoriano, a quelle, per esempio, dell'arcidiacono Grantly oppure a quelle di Mr. Micawber! Essa sarebbe apparsa loro così strana come i particolari dell'avventura di Gerard (che sarebbe più esatto chiamare la sua passione, quando si considerino le sue fughe miracolose, le delusioni, i tradimenti e la lunga e terribile scena della sua tortura). Questa storia sarebbe stata per loro così remota come un romanzo storico. Ma anche in fatto di romanzi storici essi avrebbero preferito Esmond, col suo vecchio romanticismo, quello cioè del “dandysmo” da tabacchiera e da bastoncino. Essi si sarebbero sentiti alquanto molestati dalla storia d'amore scritta da Gerard. Proprio così, perché, quando ben si rifletta, questa è una storia d'amore: la storia di un uomo che amò i suoi sino all'estremo limite della sofferenza. Remota, sì. Ma già da un quarto di secolo noi stiamo tornando lentamente verso quei tempi infidi, in cui Gerard si muoveva sotto mentite spoglie con i suoi discorsi di caccia e di carte. Non possiamo leggere l'Autobiografia come un documento contemporaneo o, anche, come qualcosa ancora da avvenire nel tempo, quasi che ci sia stato concesso in sogno di leggere una cronaca di vita dell'anno 1970: quella vita che tra breve vivremo. Questo è quel che conferisce al libro, nella sua eccellente traduzione dal latino, un così profondo senso di commozione e di immediatezza. Ascoltiamo il racconto in cui Gerard descrive il suo arrivo nel paese nativo: il pericolo dei sentieri familiari, la morte dappertutto in agguato in quella pur placida contrada. “Dopo la traversata, risalimmo lungo la costa inglese. Il terzo giorno, il mio compagno ed io avvistammo un posto che sembrava ottimo per lo sbarco. Ma siccome consideravamo pericoloso raggiungere la costa tutti insieme, ci riunimmo in preghiera per invocare l'aiuto di Dio. Dopo esserci consultati, ordinammo che la nave gettasse l'ancora al largo fino al calar della notte. Alla prima ora di notte fummo portati a riva in barca ed ivi fummo lasciati. Quindi, la nave spiegò le vele e si allontanò. Ci raccogliemmo in preghiera per pochi istanti e ci affidammo alla protezione di Dio. Quindi, ci incamminammo alla ricerca di un sentiero che ci condu- cesse il più possibile nell'entroterra e ci permettesse di porre alle nostre spalle la maggiore distanza dalla costa, prima dell'alba. Ma la notte era buia ed il cielo coperto di nuvole, perciò non potemmo trovare il sentiero voluto per inoltrarci nei campi. Tutte le piste che battevamo conducevano a qualche casa, come potevamo constatare allorché i cani cominciavano ad abbaiare. Ciò avvenne due o tre volte. Temendo di svegliare gli abitanti e di essere inseguiti come ladri, decidemmo di riparare in un bosco vicino e di riposare ivi fino al mattino. Si era alla fine di un ottobre umido e piovoso e noi passammo una notte insonne. Non osavamo neanche parlare, perché attigua al bosco vi era una casa. Tuttavia, in meno di un baleno, tenemmo un consulto. Sarebbe stato meglio incamminarci assieme alla volta di Londra o separarci in maniera che, se l'uno fosse preso, l'altro potesse scampare? Esaminammo attentamente entrambe le possibilità. Alla fine decidemmo di separarci e di andarcene ognuno per conto proprio”. Questa scena di rimpatrio si è verificata in molti paesi durante questo secolo, da quando Padre Pro (un Beato martire messicano della persecuzione contro i Cristeros, NdR) approdò a Vera Cruz in giacca a maglia con una cravatta striata e con un paio di scarpe marroni. Ma qui, nel racconto di Gerard, la cosa avviene nel nostro Norfolk, in mezzo a noi. La prosa di Padre Gerard è semplice, vivida, accurata. L'azione dello scrittore somiglia molto a quella dello scultore. Ci si trova davanti un informe blocco di fatti, dal quale si deve scolpire solo il particolare che interessa. “Avvincente come un romanzo”: quanto spesso abbiamo letto questa frase mentitrice nella presentazione di un editore; e quanto raramente, invece, il romanzo è attraente. Quanto è raro trovare un romanziere che, come Gerard, sappia scolpire debitamente dalla pietra originaria il suo argomento, i suoi personaggi, il suo ambiente e le sue scene. Nella narrazione del suo sbarco abbiamo visto con quanta modestia Gerard ambienti la sua scena e come descriva nei termini più semplici l'atmosfera di incertezza e di inseguimento: una notte scura, un casolare sospetto, l'abbaiare dei cani. Si potrebbero citare episodi ancor più drammatici: la Messa di Padre Southwell interrotta dai cacciatori di preti, l'arresto e la tortura di Gerard, la sua evasione dalla Torre. Molti, infatti, sono nel corso della narrazione gli esempi che mettono in evidenza la sua abilità nel ritrarre concisamente un personaggio. Padre Southwell, che a molti lettori sarà noto solo come il poeta che scrisse The Burning Babe, come un personaggio laico alla stregua di altri poeti suoi contemporanei dei quali conosciamo così poco, balza vivido nella narrazione di Gerard, tutto intento ad apprendere l'uso corretto del linguaggio tecnico, per poter recitare con disinvoltura la parte del gentiluomo di campagna. “Quando se ne presentò l'occasione, presi a parlare di caccia e di falconeria, cosa che non si può fare con proprietà di linguaggio tecnico, a meno che non sia un appassionato di tali sport. È facile errare nell'uso di tali termini, come spesso si lamentava Padre Southwell. Sovente, in seguito, quando ci trovammo a viaggiare insieme, questi soleva pregarmi di insegnargli la terminologia propria e si rammaricava perché non riusciva a ricordarla o non la sapeva usare, presentandosene il bisogno: come, ad esempio, quando egli si imbatteva in signori protestanti che non avessero in pratica altri argomenti di conversazione, eccetto aneddoti scurrili ed ingiurie contro i santi e la fede cattolica. In occasioni come queste, si dà spesso il caso di fuorviare il discorso semplicemente con una osservazione qualsiasi su cavalli, cani e cose simili”. Era forse un'esperienza del genere che ispirava le immagini della caccia nelle poesie del Beato Henry Walpole, del quale Gerard doveva più tardi occupare la cella nella Torre? The falkener seeks to see a flight the hunter beates to see his gamme Longe thou my soule to see that sight and labour to enjoy the some. Southwell è uno dei personaggi principali nella storia di Gerard. Ma con quanta disinvoltura egli abbozza le figure anonime, come il carceriere che pianse per la sua tortura! Altrettanto si dica di quel convertito, identificato da Padre Caraman come sir Oliver Manners e tratteggiato così vividamente, anche se in margine alla narrazione. Sembra quasi di vederlo nella realtà: lo stesso taglio del suo farsetto, la forma delle sue gambe, la positura delle sue lunghe dita elisabettiane sul libro, sebbene Gerard non abbia usato una sola frase per descriverlo fisicamente. “Avreste dovuto vederlo a corte o nella sala delle adunanze, specie quando questa era gremita di cortigiani e di nobildonne famose. Egli si avvicinava ad una finestra e leggeva un capitolo dell'Imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis, libro che conosceva dalla prima all'ultima pagina. Dopo quella breve lettura ritornava tra la folla, ma la sua mente vagava altrove, assorta com'era nei propri pensieri. La gente immaginava che stesse ammirando qualche bella signora o che fosse intento a studiare la maniera di raggiungere un posto più elevato”. Paragonato a questi, Topcliffe potrebbe sembrare un personaggio facile a delinearsi. Ma il cacciatore di preti è stato lo spauracchio di tante storie, che proviamo una certa sorpresa nel trovarlo tanto malvagio nella realtà quanto nella finzione. Egli indossa la toga e si cinge di una spada che gli pende sul fianco, quasi “un canuto veterano del male”. (Sembra quasi che Mr. Hyde sia uscito dalle pagine di Stevenson per aggirarsi realmente per le strade di Edimburgo). “Farò in modo che siate portato presso di me e posto in mio potere. Vi appenderò in aria e non avrò pietà di voi; poi attenderò per vedere se Dio vi strapperà alla mia stretta”. In questa galleria, purtroppo, dobbiamo lamentare l'assenza di un quadro. Il 14 aprile 1597 cinque uomini presentarono un resoconto dell'interrogatorio di Gerard nella Torre: di essi soltanto due erano noti a Gerard ed uno, come apprendiamo da Padre Caraman, era Francesco Bacone. Per un momento vorremmo quasi immaginarci seguaci dell'eresia baconiana e credere che lo stesso William Shakespeare interrogasse Gerard dall'alto della tribuna. Ed infatti non è vero che noi avvertiamo la mancanza di un intero settore della vita elisabettiana finanche nell'ampio scenario shakespeariano, sul quale domina o la commedia o la disperazione? Parlano i re, parlano gli avventurieri (tanto che possiamo indovinare lo stesso linguaggio di Francis Drake sotto i toni aspri di Faulconbridge), parlano i pazzi e gli amanti, i soldati ed i poeti; ma i martiri tacciono. Si potrebbe asserire, quasi, che i cristiani non fiatino, ove si prescinda dalle parole diplomatiche di un Wolsey o di un Pandolfo, oppure dall'improvviso risveglio di coscienza che si nota nelle preghiere dello zio di Amleto. A quale francescano poteva mai somigliare Padre Lorenzo con i suoi piccoli apoftegmi morali, con le sue massime latine e con le sue erbe? Già nelle opere di Shakespeare si sarebbe potuto intuire la presenza di un vuoto che prima era stato occupato dalla fede. Il rumore e l'animazione dei pellegrinaggi sono stati eliminati: passiamo dal mondo vivace di Chaucer al silenzio della corte di Amleto dopo la partenza del principe, dalla policromia di Canterbury all'aere livido della brughiera ventosa di re Lear. Una vecchia Roma ha preso il posto della Roma cristiana. Pare che siano tornati i filosofi e gli dèi pagani. I personaggi parlano con gli accenti degli stoici e rivolgono parole ipocrite a Bacco ed a Venere. Quanto sono lontani dagli usi della camera di tortura! “Quando il luogotenente vide che potevo parlare di nuovo, disse: "Non vedete quanto sarebbe meglio sottomettervi alla regina, invece di morire in tal modo?". Dio mi aiutò ed io fui in grado di rispondere con maggior vigore di quanto ne avessi sentito fino a quel momento. "No, non lo faccio!", dissi. "Preferisco morire mille volte piuttosto che fare quello che essi mi suggeriscono". "Così non volete confessare, allora?". "No, non voglio", dissi, "e non lo vorrò, finché nel mio corpo rimarrà un alito di vita". "Molto bene. Allora dobbiamo appendervi di nuovo, adesso, ed una terza volta, dopo pranzo". Egli parlava come se fosse spiacente di dover eseguire gli ordini. "Eamus in nomine Domini!", dissi. "Ho solo una vita; ma anche se ne avessi parecchie, le sacrificherei tutte per la stessa causa". Mi sforzai di alzarmi e tentai di portarmi presso la colonna, ma dovetti essere aiutato. Ormai ero molto debole. Se avevo ancora un po' di forza, mi era data da Dio, perché ero membro della Compagnia, per quanto ne fossi veramente indegno. Fui appeso di nuovo. Adesso il dolore era intenso; ma sentivo una grande consolazione di spirito, che mi sembrava provenire dal desiderio della morte. Dio solo sa se esso scaturiva da un vero desiderio della sofferenza per amore di Cristo, oppure da una bramosia egoistica di essere con Lui. Ma allora ero convinto che stessi per morire. Ed il mio cuore si riempiva di grande gioia, mentre mi abbandonavo alla Sua volontà ed alla Sua protezione, disprezzando il volere degli uomini”. Se Shakespeare si fosse seduto al posto di Bacone ed avesse impartito l'ordine di tortura, sarebbe lecito domandarsi se nei grandi drammi che, nonostante la violenza esteriore della follia di Lear e della dissolutezza di Antonio, presentano un substrato così suasivo ed ambiguo, sarebbe penetrato un dubbio più profondo di quello di Amleto ed una passione d'amore più forte di quella di Romeo. GRAHAM GREENE INTRODUZIONE di PHILIP CARAMAN Nella sua prefazione John Gerard dice di aver scritto per ordine dei suoi superiori questo resoconto dei diciotto anni da lui trascorsi in Inghilterra. Tale ordine fu impartito probabilmente nella primavera del 1609, quattro anni dopo l'esecuzione di Henry Garnet, ultimo evento menzionato nel testo. Ristabilitosi dalla tensione fisica e mentale degli ultimi mesi trascorsi in Inghilterra, John Gerard si trovava, a quel tempo, a Lovanio, dove cooperava a preparare i novizi inglesi della Compagnia di Gesù per la missione che egli aveva appena abbandonato. Nulla sappiamo dell'origine di questo ordine. È probabile però che, nelle conversazioni coi novizi, Gerard raccontasse frequentemente episodi di preti perseguitati, di torture e di eroismi quotidiani, di cui furono protagonisti i suoi amici appartenenti al laicato inglese. Può darsi benissimo che uno dei suoi ascoltatori abbia avuto la felice idea di suggerire al Generale dei gesuiti di ordinargli di scrivere un resoconto della sua vita missionaria in Inghilterra. Dal testo risulta evidente che Gerard stava già scrivendo in privato la narrazione delle sue avventure per i suoi confratelli gesuiti e, forse in primo luogo, per i novizi da lui diretti. Di conseguenza, si notano in diversi passi una certa compiacenza ed un esprit de corps piuttosto ingenui, che sono del tutto naturali nell'ambiente di un noviziato, ma che stonano alquanto in un'opera destinata ad un pubblico più vasto. Con lealtà Gerard insiste che molti erano i sacerdoti le cui realizzazioni erano state più cospicue delle sue. A questo riguardo, egli era restio a narrare le sue esperienze. Inoltre, egli era un uomo di azione; la sua formazione negli studi era stata interrotta dalla malattia, dalla prigione e da continui spostamenti. Sebbene, come egli stesso afferma, “arrossisse del suo Latino”, scrisse in quella lingua nell'intento, forse, di rendere accessibile la sua opera ai suoi amici stranieri, che avevano assistito la comunità inglese nel continente. Fortunatamente per il traduttore, la sua lingua è il latino pratico e disadorno della corrispondenza ecclesiastica e si lascia volgere facilmente nell'idioma di uno scrittore contemporaneo. Non ci è stato possibile avere il testo latino, e quindi la nostra traduzione ha dovuto forzatamente basarsi su quella inglese di Philip Caraman (N. d. T.). Ad una prima lettura, potrebbe sembrare che Gerard nutrisse un interesse indebito per le conversioni reclutate tra le classi nobili e facoltose. Tale fu appunto l'accusa lanciatagli, quando ancora era in vita, dal prete apostata Watson. Bisogna riconoscere, tuttavia, che non era possibile riconquistare al cattolicesimo la campagna inglese, senza quella tattica così brillantemente attuata da Gerard. Nelle contee, in cui Gerard operò, sarebbe stata una follia per un estraneo privo di ogni mezzo di sussistenza stabilirsi in una piccola dimora o in una casa di campagna, per intraprendere l'apostolato sacerdotale tra gente che conosceva tutti gli affari dei propri vicini. Come Gerard e tutti i preti inglesi sapevano per esperienza, condurre una vita semplice tra il popolo minuto sarebbe stato come sollecitare l'arresto. Soltanto le case dei nobili potevano fornire ospitalità e rifugio; solo queste, inoltre, col loro continuo afflusso di ospiti, potevano mascherare le piccole ed occasionali riunioni dei cattolici ed i frequenti visitatori che venivano a domandare l'aiuto del sacerdote. In situazioni come queste, il raggio di azione di un prete dipendeva, per la maggior parte, dalla volontaria cooperazione dei suoi ospiti nell'affrontare i suoi stessi rischi e nel condividere il suo stesso lavoro. Il loro zelo era, così, la misura della sua riuscita. Perché era solo sotto le spoglie di un gentiluomo alla moda ed in compagnia di altri gentiluomini che un prete poteva muoversi, senza pericolo di essere molestato. Di conseguenza, dipendeva dal suo ospite invitarlo a cavalcare con lui, organizzare delle partite di caccia con la partecipazione di persone che davano affidamento di conversione ed introdurlo, senza alcun rischio, nella società del vicinato. In molti casi i laici giungevano a subordinare tutte le loro relazioni sociali all'attività del sacerdote, sacrificando anche l'intimità delle loro case, per assicurargli un asilo sicuro. Tutto ciò presupponeva la ricerca di un'alta perfezione cristiana e Gerard non esitava ad esigerla dai suoi amici. E nella loro dedizione a questa opera di assistenza, gli amici di Gerard, per la maggior parte appartenenti alla nobiltà, trovavano un succedaneo per la vita religiosa che essi non potevano più praticare nel loro paese. D'altra parte, vi erano preti, come il primo cappellano di William Wiseman, che restavano relegati in un angolo remoto della casa e raramente si avventuravano fuori, eccetto di notte su richiesta di qualche ammalato. Se si esigeva da un prete che non si rendesse intromettente e non facesse nessun passo che avrebbe potuto compromettere o incomodare il suo ospite, ben poco era quello che egli poteva realizzare, nonostante l'ardore del suo zelo. Solo quando il fuoco dell'entusiasmo divampava tra la nobiltà, l'opera del sacerdote diventava meravigliosa. Nell'est dell'Inghilterra, nel Northamptonshire, nell'Oxfordshire e nel Buckinghamshire, con l'aiuto dei suoi coadiutori laici, Gerard aprì un vasto campo di missione, che più tar- di fu esteso sia dai gesuiti che dal clero secolare. È chiaro che, sotto la saggia direzione di Garnet, ciò costituì la missione speciale di Gerard, il quale riportò un grande successo. Sembra che solo dopo aver trascorso diversi mesi nel Norfolk abbia incontrato il suo primo compagno di sacerdozio, un uomo anziano che era sopravvissuto al regno della regina Maria. Ma, quando egli abbandonò l'Inghilterra, almeno dodici erano i gesuiti e forse più erano i secolari, che “lavoravano con buoni frutti” nelle residenze che egli aveva stabilito nell'est dell'Inghilterra. Il testo latino dell'Autobiografia di Gerard è stato utilizzato fin dai primordi del secolo decimo settimo dagli storici della Compagnia di Gesù. Tuttavia, la prima traduzione inglese fu pubblicata solo circa ottant'anni fa da Padre John Morris. Si tratta di una traduzione precisa ma antiquata, specialmente perché l'autore volle volgere il Latino di Gerard in un Inglese elisabettiano. Curando una nuova traduzione, io ho inserito tutti i passi tralasciati da Padre Morris, sia perché li considerava indelicati, sia perché si riferivano a dispute che al suo tempo erano ancora attuali. Quando Gerard descrive la cosiddetta Controversia dell'Arciprete come una contesa tra i gesuiti ed un “gruppo di preti irrequieti”, egli fa una distinzione tra il grande corpo del clero secolare ed una combriccola di mestatori. Sebbene la storia della controversia non sia stata ancora scritta, è chiaro ormai che la distinzione di Gerard è esatta. Non pochi erano i casi in cui i capi di questo gruppo si godevano un confortevole esilio e fruivano di benefici stranieri, senza condividere per un sol giorno le difficoltà dei loro fratelli in missione. Altri vivevano senza alcuna molestia in Inghilterra sotto la protezione di un governo, che si serviva di loro per fomentare il dissenso nella comunità cattolica. Era inevitabile che questo gruppo favorisse un'intesa col governo in termini che i non-conformisti non potevano conciliare la loro coscienza e che tradivano la posizione presa in prima istanza da S. Tommaso Moro e da S. Giovanni Fisher. Quello di Gerard era il pensiero genuino dei non-conformisti. Nessuna discussione era possibile, finché il governo non avesse manifestato segni di un sincero desiderio di rispettare la coscienza dei cattolici, di dispensarli dalla frequenza alle funzioni protestanti, di accordare loro almeno limitate agevolazioni per poter ascoltare la Messa e di educare i loro figli secondo la loro religione. Nella convinzione che non si potesse scendere a compromessi su questi punti, Gerard e la massima parte del clero secolare esortavano alla pazienza e si astenevano dalla politica ecclesiastica. Gerard accenna soltanto di sfuggita alla controversia e nomina il prete fa- zioso solo quando questi recita una parte nella sua storia personale. Tuttavia, a Gerard, per il quale era un punto d'onore subire ogni tormento piuttosto che rivelare i nomi dei suoi amici laici, doveva sembrare un tradimento inescusabile quello del prete Watson, il quale, nell'ambito di una controversia domestica, stampò a spese del governo un'intera lista di uomini e donne che avevano avuto relazioni con lui, fornendo particolari dei donativi, reali o immaginari, che quelli gli avevano fatto. Gerard, comunque, parla con moderazione quando ha occasione di riferirsi ad uno qualsiasi di questo gruppo, ben sapendo che la loro pretesa di rappresentare il clero inglese era semplicemente frutto di fantasia. Nonostante ciò, nel parziale successo di questa pretesa sono riposte e la vera tragedia della causa dei non-conformisti e la ragione ultima del suo disastro finale. Garnet fu uno dei primi sacerdoti che rilevarono la distinzione. “Questi non rappresentano il clero inglese: sono uomini sediziosi pieni di invidia e di menzogne. Il vero clero inglese è costituito da uomini che per modestia, comportamento, discrezione, dottrina e bontà risplendono agli occhi di tutto il mondo. In Inghilterra il loro numero è molto elevato ed essi ci hanno mostrato sempre la più calda affezione” (Arch. S. J. Roma, Anglia, 30, II, 364, c. marzo 1598). Dalla parte del clero secolare la stessa distinzione viene fatta dal Dr. Bavant, amico del Card. Allen ed uno dei più venerati sacerdoti d'Inghilterra. Questi scriveva nel novembre 1608: “Essi definiscono se stessi, ed alcuni altri con loro, la comunità del clero in Inghilterra; ma sotto questa auto definizione essi possono fare molte cose a grande pregiudizio dei loro fratelli e di molti altri” (C.R.S., vol. XLI, p. 83). Si tratta di una distinzione essenziale che è stata trascurata, fino alla mistificazione della storia dei non-conformisti, sia dagli storici cattolici che da quelli protestanti, e che finì in un malinteso tra clero secolare e regolare, ancora in vita ai tempi di Morris. Gerard non si occupa di questa controversia più di quanto sia richiesto dalla sua narrazione, né si sofferma senza necessità sui casi dei preti “lapsi”. La missione inglese esigeva una grande resistenza fisica e morale, mentre ci furono sempre in ogni strato del clero dei preti che si arresero alla persecuzione, che caddero vittime delle loro deficienze morali o che vennero in Inghilterra senza guida e senza autorità, allo scopo di sottrarsi alla disciplina regolare della vita ecclesiastica. Nell'Autobiografia questi lapsi vengono giustamente annoverati tra i rischi inevitabili di una simile impresa; e nessuna narrazione che trattava di prima mano le condizioni dell'Inghilterra poteva tralasciare di trattare l'argomento dei preti che di- ventavano traditori e che mandavano alla forca i loro primitivi fratelli. Ogni prete in Inghilterra sapeva che il missionario lapso poteva costituire una delle più sinistre minacce ed uno dei più grandi pericoli alla propria sicurezza. Se Gerard avesse scritto la storia della Chiesa, invece delle sue avventure, avrebbe senz'altro menzionato il caso del suo confratello gesuita, Padre Christopher Perkins, che abbandonò la Compagnia ed entrò al servizio del governo, all'estero. Nel tradurre di nuovo l'Autobiografia, non ho tralasciato, quindi, nessuno dei passi che riguardano il triste o il più sordido aspetto della vita di un missionario nell'Inghilterra elisabettiana. Il testo da me seguito è il manoscritto di Stonyhurst del secolo decimottavo. È il più antico, fra i testi completi, che io sia riuscito a scoprire e vi sono tutte le ragioni per ritenere, secondo quanto sostiene il copista, che sia tratto da “la versione autentica di S. Andrea”, il noviziato romano dei gesuiti. Quando nel 1773 fu soppressa la Compagnia di Gesù, gli archivi di S. Andrea furono dispersi e l'originale del testo di Stonyhurst andò perduto. La fedeltà del testo, comunque, può essere controllata e confermata mediante altri documenti. Anzitutto vi è un secondo manoscritto di Stonyhurst, che è stato trascritto da un testo incompleto del secolo decimosettimo, tuttora conservato negli archivi dei gesuiti a Roma. In secondo luogo, esistono lunghi passi, tratti da manoscritti ancora anteriori, che furono incorporati nelle cronache della Compagnia pubblicate durante la vita dello stesso Gerard. Solo nella cronologia degli eventi relativi alla sua fanciullezza è difficile accordare il manoscritto di Stonyhurst con le fonti indipendenti dell'Autobiografia. È probabile, tuttavia, che non si tratti di errori del copista, giacché le stesse date ricorrono nei primissimi libri che attinsero dall'Autobiografia di Gerard. Il manoscritto procede dalla prima all'ultima pagina senza alcuna suddivisione per capitoli. Per motivi di convenienza ho diviso la traduzione in capitoli, e questi in paragrafi, provvedendo i primi di titolo. Passando, però, ad annotare il testo, nessuno dei metodi consueti mi è parso soddisfacente. Dall'epoca della prima traduzione, fatta nel 1871, è stata pubblicata una grande quantità di documenti - incartamenti di Stato, i manoscritti di Cecil ed una collezione miscellanea raccolta nei volumi della Catholic Record Society - che aggiungono colore e interesse alla narrazione. Introdurre tutto questo materiale in note di fondo pagina avrebbe significato distruggere l'effetto artistico della narrazione. Fu Padre Martin D'Arcy, provinciale dei gesuiti inglesi, che mi suggerì di fare una traduzione aggiornata e di curare una nuova edizione dell'Autobiografia; a lui, perciò vanno i miei ringraziamenti. Ringrazio, inoltre, Graham Green per la sua presentazione e molti altri ai quali sono ricorso per consiglio: innanzitutto Padre Basil Fitz Gibbon, che, aiutandomi ad annotare il testo, ha donato al presente volume tutto il valore ch'esso può avere agli occhi dello storico; Padre Godfrey Anstruther, O.P., che mi ha permesso di leggere e di usare senza alcuna restrizione il suo pregiatissimo lavoro sulla famiglia Vaux, che spero venga presto pubblicato; Padre Leo Hicks che mi risparmiò lunghe ore di lavoro mettendo a mia disposizione tutte le copie delle lettere e tutti i documenti relativi alla storia di Gerard. A tutti questi il libro deve moltissimo. PHILIP CARAMAN A.M.D.G. PREFAZIONE DELL'AUTORE Gli ordini dei superiori vengono da Dio, “da cui procede ogni potere”. È per loro ordine che io mi accingo ad esporre in una narrazione semplice e fedele tutto quello che, per provvidenza di Dio, mi accadde durante i diciotto anni in cui operai nella missione inglese. E in ciò non è proprio il caso di vedere un'impresa insolita e straordinaria. Ciò che ho realizzato è cosa insignificante, se viene paragonato all'opera di altri che si sono dimostrati più validi strumenti di Cristo. Tuttavia, è “cosa lodevole far conoscere le opere di Dio”, ed anche per questo motivo non temo di peccare di modestia nel riferire i risultati dei miei poveri sforzi. La mia dotazione di talenti e di doni naturali era ben poca cosa, mentre ancor più esigua era la mia riserva di virtù. Inoltre, ero ben lungi dall'avere un'intima unione con Dio; e poiché questa è la fonte di ogni progresso nello spirito e il segreto del successo nell'apostolato delle anime, c'era da aspettarsi che per mezzo mio Dio operasse meno di quanto ha realizzato mediante gli altri. Difettavo di iniziativa ed ero tardo nel rispondere agli inviti della grazia di Dio; non c'è quindi da meravigliarsi se mi lasciai sfuggire molte occasioni e se altre ne rovinai. Quello che ho fatto è stato operato da Dio. Ed a mio giudizio Egli ha scelto di operarlo per mezzo mio perché io ero membro - un membro indegno, lo riconosco - di quel corpo che ha ricevuto da Gesù, suo capo, un meraviglioso effluvio del suo Spirito per la salvezza delle anime in questa ultima era di un mondo ansimante nel suo declino. Questo è quanto penso di quel che Dio si è compiaciuto di compiere in me e per mezzo di me. I PRIMI ANNI 1564-1588 I miei genitori erano sempre stati cattolici e per questo motivo avevano molto sofferto sotto la sferza di un governo eretico. Io non ero che un bimbo di cinque anni e mio fratello non era molto più grande di me, quando fummo strappati dalla casa paterna e posti in una strana abitazione tra eretici. Ciò fu allorché mio padre e due altri gentiluomini (1) furono imprigionati nella Torre di Londra sotto l'accusa di aver ordito un complotto per liberare Maria, regina di Scozia, e restituirla al trono. A quel tempo, ella si trovava in prigione a circa due miglia da noi, nel Derbyshire (2). Allo scadere del terzo anno, mio padre sborsò una somma per la sua liberazione, ed appena fu libero ci richiamò a casa. La nostra fede era rimasta illesa, giacché egli s'era preoccupato di affidarci alle cure di un tutore cattolico. Più tardi, quando avevo ormai l'età di dodici anni, fui mandato a Oxford, all'Exeter College (3), dove il mio istitutore fu Mr. Lewknor, uomo buono e dotto, le cui idee e simpatie andavano al cattolicesimo. Vi rimasi, però, meno di un anno, poiché nel tempo pasquale tentarono di costringerci ad andare in Chiesa e a ricevere il Sacramento protestante. Così, ritornai alla casa paterna insieme a mio fratello. Ci accompagnò Mr. Lewknor, il quale desiderava divenire cattolico e condurre una vita cattolica, cessando di praticarla solo col desiderio, come aveva fatto in passato (4). Noi lo tenemmo in casa per molti anni in qualità di insegnante di latino. In seguito si trasferì in Belgio, dove visse a lungo e morì santamente. Per il greco vi era un sacerdote zelante, Padre William Sutton, il quale viveva apertamente in casa nostra sotto le vesti di istitutore. Più tardi, entrò nella Compagnia ed annegò in un naufragio al largo della costa del Belgio, dove era stato inviato dai suoi superiori (5). All'età di quattordici anni, ottenni il permesso di visitare la Francia per imparare la lingua francese; perciò mi stabilii a Reims per tre anni (6). Sebbene fossi ancora ragazzo e non avessi una sufficiente preparazione negli studi umanistici, intrapresi lo studio della Sacra Scrittura. Consultavo i commentari sui passi più difficili e stendevo annotazioni durante le conferenze pubbliche, tenute agli studenti di teologia della città. Ma, essendo maestro di me stesso, seguivo le mie preferenze e, di conseguenza, non mi procurai quella solida formazione che mi sarebbe stata necessaria. Leggevo attentamente le opere di San Bernardo, di San Bonaventura e di altri scrittori ascetici. Fu proprio a quel tempo che, per Provvidenza divina, incontrai un santo giovane. Questi era entrato nella Compagnia a Roma, ma l'aveva dovuta abbandonare temporaneamente a causa della sua malferma salute e si era stabilito a Reims (7). Egli mi parlò della sua vita passata; possa Dio ricompensarlo di ciò! Mi narrò come era stato allevato nella “Casa di Dio”, e mi disse quanto bello e salutare sia l'aver portato il Suo giogo fin dai primi anni. Egli, inoltre, mi insegnò a pregare e, col tempo, cominciammo ad incontrarci regolarmente per attendere alla preghiera mentale, perché noi due non abitavamo nel Collegio, bensì a pensione in città. Fu così - avevo a quel tempo circa quindici anni - che sentii per la prima volta Dio nella Sua infinita misericordia e bontà chiamarmi dai torti sentieri del mondo per guidarmi sul giusto cammino verso l'imitazione perfetta di Cristo nella Compagnia. Dopo tre anni di permanenza a Reims, mi recai alla scuola di Clermont a Parigi (8). Il mio intento era quello di studiare da vicino la vita gesuitica e di procurarmi un'ulteriore formazione in latino e filosofia. Ma dopo appena un anno mi ammalai gravemente. Verso la fine della mia convalescenza accompagnai Padre Thomas Darbyshire (9) a Rouen per incontrare Padre Persons. Questi era appena arrivato dall'Inghilterra e dimorava segretamente in quella città, al fine di completare il suo Direttorio cristiano e di assisterlo durante la stampa. Era, il suo, un libro stupendo e di grande utilità, che, a mio avviso, convertì più anime a Dio di quante pagine contenesse. Questo lavoro fu apprezzato moltissimo dagli stessi protestanti, come si può constatare dalla recente edizione curata da uno dei loro ecclesiastici, il quale ha perfino tentato di appropriarsene il merito (10). In quella circostanza parlai a Padre Persons della mia vocazione e del mio desiderio di entrare nella Compagnia. Ma ero ancora molto debole e non potevo continuare gli studi. Inoltre, avevo in Inghilterra delle proprietà di cui disporre ed altre faccende da sistemare. Perciò, egli mi suggerì di tornare in patria, dove mi sarebbe stato più agevole recuperare le forze all'aria nativa e sbrigare, nel contempo, le mie faccende, al fine di rendermi libero di seguire la mia vocazione religiosa. Così, mi recai in Inghilterra (11), sistemai i miei affari e dopo circa un anno fui di ritorno. Questa volta non feci formale richiesta per ottenere l'autorizzazione né potevo sperare di ottenerla, dal momento che non avevo osato informare i genitori delle mie intenzioni. Salpai con alcuni altri cattolici. Il vento, però, ci era contrario e, dopo cinque giorni di mare, fummo costretti ad approdare a Dover (12). Ivi fummo tutti arrestati dalle guardie e dai funzionari doganali, quindi fummo rinviati a Londra sotto scorta (13). Mentre gli altri furono imprigionati per decisioni del Consiglio Privato della regina, io, sebbene mi fossi confessato cattolico ed avessi rifiutato di partecipare alle funzioni eretiche, fui posto in libertà grazie ai buoni uffici di alcuni membri del Consiglio, che sembravano essere ben disposti verso la mia famiglia. Costoro erano gli stessi che nella precedente occasione mi avevano procurato l'autorizzazione per recarmi all'estero (14). Essi speravano, suppongo, che la mia conversione sarebbe stata semplicemente questione di tempo; infatti, con l'intenzione di indurmi all'apostasia, mi inviarono dallo zio materno, che era protestante, per essere da lui tenuto in custodia (15). Al termine di tre mesi, egli presentò al Consiglio una petizione per il mio definitivo rilascio e, forse, si offrì a versare una cauzione. Ma quando gli fu chiesto se io fossi “andato in chiesa”, secondo la loro espressione, dovette rispondere che tutti i suoi sforzi erano stati vani. Quindi, il Consiglio mi inviò con una lettera di accompagnamento dal vescovo di Londra (16). Questi, dopo averla letta, mi chiese se fossi disposto a discutere con lui sulla mia religione. Mi rifiutai, adducendo che non avevo dubbi di sorta sulla mia fede. “In tal caso”, disse il vescovo, “dovrete rimanere qui prigioniero”. Io gli feci osservare che non avevo voce alcuna in capitolo, essendo alla mercé dei magistrati. Comunque, egli mi trattò con molta gentilezza, sperando, forse, di guadagnarmi all'eresia. Quindi, ordinò che fosse portato nella mia camera il letto del suo cappellano. A più riprese evitai di trattare con lui. Io comprendevo la mia fede e non intendevo affatto porla in discussione; tanto meno mi allettava l'idea di dover apprendere da lui ciò che avrei dovuto credere. Ma poiché egli non cessava di bestemmiare e di imprecare contro i santi e la Chiesa, fui costretto a difendere la mia religione. Passammo quasi un'intera nottata in argomentazioni e, con mia grande sorpresa, constatai che il mio avversario non era in grado di opporre una, benché minima, difesa. Mi fu, perciò, facile convincerlo di errore. Dopo due giorni si posero l'anima in pace e mi rinviarono al Consiglio con quella che, a quanto mi dissero, era una lettera di raccomandazione. Infatti il vescovo mi aveva assicurato di aver fatto per me tutto quello che era nelle sue possibilità e si era detto fiducioso della mia liberazione. Ma quella, di cui ero latore, si dimostrò nient'altro che la lettera di Uria. Il Consiglio, infatti, dopo averla letta, ordinò che fossi imprigionato finché non diventassi un suddito ligio alle leggi; giacché, secondo le loro concezioni, colui che non si sottomette all'eresia e non frequenta le funzioni di rito protestante è un suddito ribelle. Così, fui mandato a Marshalsea (17) ove ebbi modo di conoscere un gran numero di cattolici e parecchi sacerdoti, i quali con grande serenità di spirito attendevano la sentenza di morte o l'esecuzione. Il luogo era come una scuola di Cristo (18). Io vi rimasi dall'inizio della Quaresima sino alla fine della medesima nell'anno successivo. Non ne fui minimamente rattristato, tanto più che avevo tutta la possibilità di portare avanti i miei studi. Durante questo periodo, fummo condotti davanti ai giudici in due occasioni. Non fummo processati per delitti capitali; ma, secondo le norme statutarie, ci fu inflitta una multa per aver rifiutato di andare in chiesa. Io dovetti sborsare duemila fiorini. Di ritorno da una di queste sedute, che aveva avuto luogo in campagna a circa sei miglia da Londra (19), mi fu concesso il permesso di visitare un amico, a condizione che tornassi in prigione prima di sera. Desideravo moltissimo vederlo. Egli era segretario nella ripugnante prigione di Bridewell ed avevo saputo che era malato. È una persona di cui non posso tacere. In precedenza era stato al seguito di Padre Campion, quindi era stato catturato e recluso per lungo tempo nella mia stessa prigione. Ivi lo avevo trovato in catene, per essersi lasciato sfuggire alcune espressioni di lode nei confronti di quel padre. Le sue gambe erano avvinte dai ceppi ed egli indossava un rude cilicio del quale non si liberava mai. Era molto mite e pieno di gentilezza. Ricordo di essere stato presente allorché un secondino lo percosse ripetutamente in viso, senza che il brav'uomo proferisse una parola di lamento. Infine, fu trasferito insieme ad altri tre a Bridewell, ove uno di essi pochi giorni dopo morì di fame (20). Quando lo visitai (si chiamava John (21) ) era ridotto ad uno scheletro e si trovava in uno stato di estrema spossatezza, cagionata dal suo lavoro alla macina. Fu uno spettacolo pietoso: di lui non restavano che pelle ed ossa, divorate, per giunta, dai pidocchi, che brulicavano come formiche su una tana di talpe; nondimeno era paziente. Che io ricordi, non ho visto mai più nulla di simile. Ogni tanto si invadevano le nostre celle e si facevano perquisizioni nella speranza di rinvenire vasi sacri, Agnus Dei (22) e reliquie. Una volta fummo denunciati (quasi tutti) da un traditore, che fingeva di essere cattolico (23). Egli indicò i nostri nascondigli alle autorità della prigione, le quali riempirono quasi un carro con i libri e i vasi sacri che ci furono sequestrati. Nella mia cella fu trovato tutto quello che era necessario per la celebrazione della Messa. Infatti, in quella accanto era detenuto un buon sacerdote e noi avevamo trovato il modo di aprire la porta che ci separava, così che avevamo la possibilità di ascoltare la Messa nelle primissime ore del mattino. Col tempo, riuscimmo a procurare di nuovo quanto ci era stato sequestrato e così neanche il demonio riuscì a privarci una seconda volta di questa grande consolazione. L'anno successivo, le continue istanze dei miei amici mi procurarono la liberazione. In compenso, però, essi dovettero garantire, mediante una cauzione liquida, che io non sarei fuggito dal paese, mentre da parte mia dovetti impegnarmi a ricostituirmi in prigione allo scadere di ogni trimestre. Tali garanzie si dovettero rinnovare tre o quattro volte, prima che potessi procedere all'attuazione dei miei piani. Alla fine, però, si presentò l'occasione che andavo cercando. Un mio carissimo amico si presentò e si offrì di andare personalmente in ostaggio, nel caso che io mancassi di costituirmi al tempo stabilito (24). In seguito, dopo che ebbi lasciato l'Inghilterra, egli pagò ben più di quanto la sua garanzia non comportasse: ci rimise, infatti, la vita, essendo uno dei più in vista in quel gruppo di quattordici nobili, che furono uccisi in quanto implicati nel processo di Maria, regina di Scozia (25), e la cui esecuzione non fu altro che il preludio del dramma che stroncò la stessa regina, come gli eventi ulteriori dovevano dimostrare. Libero, alfine, mi recai in Francia. A Parigi trovai Padre William Holt (26) che era giunto di recente dalla Scozia. Questi stava facendo preparativi per recarsi a Roma col provinciale francese ed io mi unii alla comitiva. A Roma mi fu consigliato di ultimare gli studi al Collegio Inglese e di ricevere gli ordini prima di entrare nella Compagnia. Misi in pratica il consiglio, sebbene desiderassi ardentemente entrare quanto prima in religione, come ebbi a dichiarare a Padre Persons ed a Padre Holt; quest'ultimo era allora rettore. Ma il clima romano non mi si confaceva ed io diventavo sempre più impaziente di ritornare in Inghilterra. Essi lo compresero e mi fecero cominciare l'anno con il corso di teologia morale e di apologetica; e affrontai tutto il programma di teologia positiva. Quando finii - era proprio il tempo in cui la flotta spagnola veleggiava verso l'Inghilterra - il celebre Cardinal Allen, per un complesso di ragioni connesse con la causa cattolica, chiese di farmi inviare in Inghilterra. Ma, poiché mi mancavano ancora alcuni mesi per raggiungere l'età canonica indispensabile per ricevere gli ordini sacri, mi fu ottenuta la dispensa pontificia (27). Tuttavia, non volevo abbandonare Roma prima di essere ammesso alla Compagnia. In quella circostanza Padre Persons mi dimostrò ancora una volta la sua gentilezza e mi ottenne il permesso di iniziare subito il noviziato per poi completarlo in Inghilterra. Al Collegio Inglese vi erano altri che desideravano, come me, entrare nella Compagnia; così facemmo tutti del nostro meglio per seguire la vita del noviziato a Sant'Andrea, offrendo spesso la nostra opera in cucina e visitando gli ospedali della città. Per la festa dell'Assunzione di Maria Vergine, nell'anno 1588, Padre Aquaviva (28), allora Generale, ammise alla Compagnia il caro Padre Oldcorne e me e ci impartì la sua benedizione per la missione inglese. Con Padre Oldcorne e due altri sacerdoti (29) del Collegio Inglese intrapresi il viaggio di ritorno in patria. ___________________________________________________________ _ NOTE AL CAPITOLO I 1 Gli altri due gentiluomini erano Sir Thomas Stanley e Francis Rolleston. Il complotto fu svelato dal figlio di quest'ultimo George Rolleston. I loro interrogatori sono riprodotti nello Hatfield Calendar, vol. I, pp. 508-11. Nell'anno 1585 Maria Stuart, regina di Scozia, ancora menzionava la lealtà del padre di J. G. e, lasciando Tutbury, chiese di andare nella casa di lui ad Etwall. 2 Quando, nel 1603 nella città di York, Giacomo I conferì il titolo di cavaliere al fratello maggiore di J. G., questi scrisse: “ciò non costituì per lui avanzamento alcuno, giacché i suoi antenati erano stati tali da sedici generazioni” (MORRIS, p. 1.). La famiglia era originaria di Kingsley, nel Cheshire, e, tra il 1331 ed il 1340, entrò in possesso di Bryn, l'ancestrale dimora di J. G., situata a circa cinque miglia a sud di Wigan, allorché Joan, ereditiera di Thomas de Burnull, sposò William Gerard di Kingsley. Una descrizione di Bryn Hall e dello stato rovinoso in cui si trovava circa centocinquant'anni or sono ci viene offerta dal Baine nella sua History of Lancashire (vol. III, p. 639). Senza dubbio, non fu qui che J. G. vide la luce il 4 ottobre 1564, bensì nella dimora di sua madre Elizabeth, ereditiera di Sir John Port. Suo padre Sir Thomas Gerard fu nominato cavaliere nel 1553 e fu sceriffo del Lancashire nel 1558. Come suo figlio John, sembra che avesse sortito un carattere romantico ed avventuroso. L'impresa di salvare Maria, regina di Scozia, quando fu imprigionata a Tutbury nello Staftordshire a poche miglia da Etwall, e di portarla nell'isola di Man è argomento di numerose pagine del manoscritto di Hatfield. L'inizio del complotto si può far risalire all'anno 1569, allorché J. G. aveva cinque anni, sebbene fu solo nel 1571 che suo padre fu imprigionato nella Torre. Alla sua liberazione nel 1573 (Acts of the Privy Council, 29 maggio 1573), Sir Thomas Gerard riportò i figli a Bryn (Hat. Cal., I, p. 595). Il denaro, che egli sborsò per riacquistare la libertà, fu fornito dalla vendita forzata del castello di Bromley a suo cugino Sir Gilbert Gerard, procuratore generale. Dall'agosto del 1586 all'ottobre del 1588 Sir Thomas fu imprigionato di nuovo per presunta complicità nel complotto di Babington e sembra che dopo il suo rilascio abbia abbandonato la pratica della fede, sebbene vi ritornasse prima della morte, avvenuta nel 1601. Da allora la sua famiglia rimase fermamente cattolica e si mantenne fedele alla causa degli Stuart. A York, nel 1603, durante il suo viaggio alla volta di Londra, Giacomo I espresse la sua gratitudine a Thomas, fratello di J. G., per la lealtà che la sua famiglia aveva mostrato verso sua madre. Egli disse: “Sono particolarmente obbligato ad amare il vostro sangue per la persecuzione che avete sopportato per me”. Più tardi, nel 1611, quando fece di Thomas un baronetto gli consegnò la somma di mille sterline in considerazione di tutto quello che suo padre aveva sofferto per Maria, regina di Scozia. Per la storia della famiglia, vedi MORRIS, passim; Victoria County History of Lancaster, vol. IV, pp. 143-146; J. S. LEATHERBARRow, Lancashire Elizabethan Recusants (Chetham Society, 1947, vol. CX); Lancashire Register C.R.S., vol. XXXVI, passim. 3 J. G. vi fu immatricolato insieme al fratello Thomas il 3 dicembre 1575. Vedi appendice A, Cronologia dell'infanzia di Gerard. 4 Edmund Lewknor, nativo di Chichester, consegui il baccellierato in lettere a Cambridge e divenne membro dell'Exeter College di Oxford nel 1566. Egli si dimise il 26 novembre 1577. Cfr. la cronologia dell'infanzia di J. G., appendice A, p. 261. 5 William Sutton entrò nella Compagnia a Parigi il 26 marzo 1582. Cobham, l'ambasciatore inglese a Parigi, rilevò il suo arrivo in un dispaccio del 12 marzo. “Egli è di alta statura, alquanto rosso in viso, di circa venticinque anni (allora aveva, probabilmente, trent'anni); è tutto vestito a nuovo a spese dei papisti di Parigi con un lungo mantello nero dai baveri di velluto, con un corpetto di raso nero e con un paio di veneziane e di calze nere”. C.S.P., Foreign, 1581-1582, p. 551. 6 Al seminario fondato a Douai dal Cardo Allen nel 1568. J. G. arrivò a Douai il 29 agosto 1577. Nel marzo successivo l'istituto si trasferì a Reims. T. F. KNox, Douai Diaries, p. 129. 7 Questi era probabilmente “un giovane nobile di nome Lavel”, che giunse a Reims il 9 luglio 1579 e ne riparti il 9 ottobre dello stesso anno per studiare a Parigi. Di li andò a Roma, dove entrò nel Collegio Inglese; in seguito, però, fu dimesso perché rifiutò di pronunciare il giuramento dei missionari. T. F. KNOX. Douai Diaries, pp. 155-157. 8 La scuola famosa dei gesuiti francesi, fondata nel 1564. 9 Nipote del vescovo Bonner, percorse a grandi passi la carriera ecclesiastica sotto Maria Tudor, e divenne arcidiacono di Essex, canonico di S. Paolo e cancelliere della diocesi di Londra. Quando salì al trono Elisabetta, fu destituito da tali cariche e divenne uno dei primi gesuiti inglesi, entrando a far parte della Compagnia a Roma il 10 maggio 1563. Probabilmente fu considerato troppo vecchio per tornare in Inghilterra con Persons e Campion. Per la maggior parte del tempo rimase a Parigi, dove molti cattolici inglesi, tra cui Southwell e J. G., beneficiarono della sua influenza. Dispensa- va il suo tempo insegnando il catechismo ai ragazzi poveri e tenendo conferenze teologiche alla Sorbona, ove, come attesta Anthony Wood, “insegnò con molto successo e col plauso degli uomini più dotti della città”. Morì a Pont-à-Mousson il 6 aprile 1604. FOLEY, III, p. 703 sg. 10 Nell'autunno del 1581 Padre Persons si trovava a Rouen. II Direttorio cristiano fu pubblicato l'anno seguente e fu l'opera più popolare di Persons. Fu letta sia dai cattolici che dai protestanti e fu, in quel periodo, il libro più venduto della letteratura ascetica inglese. Allo scopo di limitarne l'influenza, Edmund Bunny, noto teologo protestante, ne pubblicò nel 1584 un'edizione in cui il trattato di Persons veniva purgato “delle sue corruzioni e dei suoi errori”. Almeno una dozzina di edizioni protestanti erano state stampate prima del 1600. Quella a cui J. G. si riferisce è l'edizione di Bunny del 1609. Il Direttorio cristiano rimase il libro di devozione preferito dai protestanti inglesi, finché non furono pubblicati il Saints' Everlasting Rest di BAXTER e lo Holy Dying di JEREMY TAYLOR. Cfr. H. THURSTON, Catholic Writers and Elizabethan Readers, The Month, December 1894. 11 Era ancora a Parigi nel marzo 1582, allorché suo padre gli venne in aiuto; forse con medicine o con denaro per il suo viaggio di ritorno. In una lunga lettera del 28 marzo, Cobham scrisse a Walsingham: “Mi si dice che Sir Thomas Jarret ha un figlio che vive qui nel collegio dei gesuiti. A questo un uomo di fiducia ha recato l'altro giorno degli aiuti”. C.S.P., Foreign, 1581-1582, p. 585. 12 J. G. s'imbarcò a Gravesend. A bordo, però, vi era una spia che sicuramente inviò un rapporto non appena essi sbarcarono a Dover. La spia era Thomas Dodwell. In una relazione, inviata al governo senza data alcuna, questi riferiva che “Raindall, un doganiere di Gravesend, riceveva denaro dai passeggeri e li lasciava passare senza alcun controllo. lo stesso sfuggii due volte in questo modo [essendo in compagnia di] Hunt, che adesso si trova a Marshalsea, del secondogenito di Sir Thomas Gerrat Kt. [J. G.], di Berington, di Alfield, di Pansfoote, figlio ed erede di Mr. Pansfoote di Gloucestershire...”. FOLEY, VI, p. 726; citando S.P.D., vol. CLXVIII, n. 35. 13 Il 9 novembre Edward Stephens, un ufficiale di dogana, ricevette un compenso in denaro per aver scortato otto persone da Dover a Londra. Si trattava di J. G. e del suo gruppo. P.R.O., Treasury Chamber Accounts. 14 Probabilmente si trattava del suo parente Sir Gilbert Gerard di Bromley, Staffordshire, magistrato che era allora il responsabile degli Archivi dell'Alta Corte di Giustizia. D.N.B., XXI, p. 218. 15 Siccome sua madre non aveva fratelli, è probabile che J. G. si riferisca al marito di una sorella di lei. Questi fu, molto probabilmente, George Hastings che nel 1595 successe a suo fratello quale quarto conte di Huntington. Egli aveva sposato Dorothy, una sorella di Elizabeth Port, madre di J. G. Suo fratello, il terzo conte, era presidente del Consiglio del Nord e si dimostrò un accanito persecutore dei cattolici. 16 John Aylmer, vescovo di Londra dal 1577 al 1594. 17 J. G. entrò a Marshalsea il 5 marzo 1584. C.R.S., vol. II, p. 233. 18 “Una banda di bricconi”, diceva lo Aylmer dei quarantasette prigionieri cattolici, che allora si trovavano a Marshalsea. Questa descrizione di Marshalsea è tratta da una lettera inviata dal Vescovo Aylmer a Burghley in data 5 dicembre 1583 (British Museum, Landsdowne MSS, 38, n. 37). Aylmer conferma il racconto circostanziato di J. G. circa la Messa. “Questi preti miserabili, scrive, di solito celebrano la Messa in prigione”. Diciassette dei prigionieri erano sacerdoti; di questi, Hartley, Stephen Rowsham e John Adams furono più tardi uccisi, mentre il quarto, Thomas Crowther, mori in prigione. MORRIS, p. 20. 19 Il tribunale si era riunito in campagna, perché a Londra, allora, infuriava la peste. 20 Bartholomew Temple. Un giorno del 1585, mentre la regina passeggiava nel suo parco a Greenwich, un laico cattolico, Richard Shelley, le presentò una petizione affinché fossero alleviate le pene dei cattolici. Questi fu arrestato e processato. Alla domanda “Chi sono quelli che sono morti di fame in prigione?” diede la seguente risposta, riportata da Burghley: “Temple è morto di fame a Bridewell”. British Museum, Sansd. 45, n. 76, foi. 178. Il nome di Bartholomew Temple si trova scritto accanto a quello di J. G. in un elenco dei prigionieri del carcere di Marshalsea, stilato il 22 marzo 1583. C.R. S., vol. II, p. 233. 21 John Jacob, musicista d'Oxford. Arrestato a Lyford Grange nel luglio del 1581, insieme ad Edmund Campion, John Jacob si trovava nella prigione di Marshalsea quando nel 1583 vi fu mandato J. G. Il 17 maggio 1584 fu trasferito a Bridewell. Siccome non si sa nulla di lui dopo la visita di J. G., può darsi che vi sia morto a causa del cattivo trattamento. R. SIMPSON, Edmund Campion, p. 246; C.RS., vol. II, p. 233; ST. G. HYLAND, A century of Persecution, p. 405. 22 Dischi di cera, benedetti dal Papa, su cui erano impresse la croce e l'immagine dell'agnello. L'Agnus Dei viene portato di solito attorno al collo come una medaglia. Le sue origini risalgono probabilmente al quinto secolo ed è simbolo di Cristo, l'Agnello del Nuovo Testamento. La croce, associata all'agnello, indica che l'oggetto sacro serviva a proteggere chi lo portava da ogni influenza malvagia, come il sangue dell'agnello pasquale protesse le famiglie ebraiche dall'angelo distruttore. 23 Questi fu la stessa spia, Dodwell. In una relazione, scritta probabilmente nel febbraio del 1594, egli si riferisce alle perquisizioni periodiche menzionate da J. G. “In una stanza vi sono quattro sacerdoti del seminario... ma nonostante che essi vengano spesso perquisiti, sanno nascondere le cianfrusaglie necessarie per la Messa in luoghi così segreti che a stento si possono trovare; spesso, perciò, celebrano la Messa. Siccome Sir George Carey, e i suoi uomini avevano loro sequestrato a più riprese i calici d'argento, essi si sono provveduti di un calice di stagno”. FOLEY, VI, p. 726 citando S.P.D., vol. CLXVIII, n. 35. 24 Anthony Babington, che si trovava a Parigi con J. G. nel 1580 e che garantì all'ultimo rinnovamento del 30 aprile 1586. Poco dopo aver visitato a Denham sua sorella sposata, Lady Peckham, durante la Pentecoste seguente, J. G. riparò in continente. J. G. afferma che le garanzie furono rinnovate tre o quattro volte. Ma con tutta probabilità egli si è sbagliato, giacché arriveremmo al 1585 e non 1586. Cfr. a p. 244 dell'opera di SAMUEL HARNETT, A Declaration of Egregious Popish Impostures (1603) la deposizione fatta da Anne Smith il 12 marzo 1598, ma relativa agli avvenimenti del 1586. “Il mercoledì della settimana di Pentecoste [25 maggio 1586], mentre ella stava a Denham [in casa di Lady Peckham, sorella di J. G.] giunsero il signor Salisbury che fu ucciso [Thomas Salisbury, ucciso il 21 settembre 1586], il signor John Gerard ed il signor George Peckbam”. J. G. fuggì probabilmente alla fine di maggio o ai primi di giugno. Esistono le copie autentiche delle garanzie alle quali egli si riferisce nel S.P.D., come, ad esempio, quelle del quinto rinnovamento. “31 ottobre 1585. John Gerrard (sic) di Brinne, nella contea di Lincoln (sic), gentiluomo, deve ritornare prigioniero a Marshalsea fra tre mesi”. (MORRIS, p. 23). È interessante notare che quell'anno nacque Robert, figlio di Lady Peckham. All'età di quattordici anni Robert andò a St. Omers; in seguito, nel 1613, entrò nella Compagnia a Lovanio, dove suo zio, J. G., era a quel tempo maestro dei novizi. Egli morì nel Leicestershire nel 1621. C.RS., vol. XXX, p. 82. 25 Anthony Babington fu ucciso il 20 settembre 1586, circa tre settimane dopo l'arrivo di J. G. a Roma. Padre Weston, che J. G. menziona più tardi nella narrazione, lo descrive “attraente tanto nel volto che nella persona, di intelligenza vivace, simpatico e gaio; aveva un talento letterario non comune tra gli uomini di mondo. Quando fu ucciso non aveva che venticinque anni”. J. H. POLLEN, Mary Stuart and the Babington Plot (Scottish Historical Society, serie III), vol. III, p. 106. 26 Nato ad Ashworth, nel Lancashire, fu inviato in Inghilterra nel 1581 per continuare il lavoro cominciato da Persons e Campion. Come il padre di J. G., egli era un ardente sostenitore di Maria Stuart. Quando J. G. lo incontrò a Parigi, era appena ritornato dalla Scozia alla volta di Roma, dove doveva assumere la direzione del Collegio Inglese. Morì in Spagna nel 1599. D.N.B., XXVII, pp. 208-209. 27 La dispensa di J. G. è registrata nel Liber Ruber del Collegio Inglese: “Il permesso di ricevere la sacra ordinazione, nonostante la sua età, fu concesso da Papa Sisto V; ciò avvenne dietro petizione dell'illustre Card. Allen”. c.R.S., vol. XXXVII, p. 62. 28 Padre Aquaviva, uno dei migliori Generali della Compagnia. Fu eletto il 19 febbraio del 1581 e morì il 31 gennaio 1615. Mostrò grande interesse per l'Inghilterra e ripose una speciale fiducia in Padre Persons, tanto per gli affari d'Inghilterra, quanto per la composizione delle difficoltà incontrate dalla Compagnia in terra di Spagna. Grazie alla sua influenza su Filippo II, Persons seppe indurre il re a sostenere Aquaviva e a non sottomettere la Compagnia all'Inquisizione. PASTOR, Storia dei Papi, vol. XXIXXIV. 29 Ralph Buckland e Arthur Stratford. II. LO SBARCO Novembre 1588 Attraversando la Svizzera, passammo una notte a Basilea e decidemmo di visitare i vecchi edifici cattolici della città: normalmente i luterani li lasciano intatti, mentre i calvinisti li distruggono. Stavamo voltando all'angolo di una chiesa, quando ci raggiunse un uomo il quale si offrì a farci da guida per mostrarci tutte le cose degne di essere viste. Naturalmente, fummo alquanto sorpresi dell'inaspettata cortesia di un luterano nei confronti di preti cattolici: indossavamo, infatti, la talare. E siccome egli sapeva il francese, gli chiesi di dove fosse. Risultò che era della Lorena. Gli chiesi poi perché avesse abbandonato il suo paese e la sua vecchia fede; a ciò rispose dicendo che non poteva vivere sotto un regime cattolico. Quindi, gli domandai quali fossero le leggi cattoliche che egli trovava particolarmente dure, giacché la Chiesa Cattolica insegna il Vangelo di Cristo, il cui giogo è dolce ed il cui peso è leggero. Alla fine, scoprii che era un sacerdote e che era fuggito a Basilea. Ivi viveva con una donna, che spacciava per sua moglie, nella stessa casa nella quale avevamo alloggiato la notte precedente e manteneva sé e lei praticando l'usura. Perciò, lo esortai seriamente ad abbandonare quella strada infernale e a volgere nuovamente i suoi passi verso il sentiero celeste. Gli consigliai di provvedere alla donna, di non dare più danaro ad interesse illecito e di lavorare per guadagnarsi la vita o di mantenersi in qualche altra maniera onesta. Alla fine promise di attenersi al mio consiglio; quindi, mi incaricò di recare al suo vescovo una lettera nella quale chiedeva la riconciliazione. Passando per la Lorena, consegnai la lettera e voglio sperare che il poveretto non abbia desistito dal suo buon proposito. Come meglio potemmo, passammo in incognito per Reims (1), ove a quel tempo sorgeva il seminario inglese, quindi per Parigi (2), e giungemmo ad Eu. Ivi era stata aperta una scuola per ragazzi inglesi, scuola che più tardi fu chiusa, sia a causa delle guerre, sia per il fatto che era stata inaugurata a St. Omers una migliore e più fiorente fondazione. I nostri confratelli del luogo consultarono i sacerdoti che dirigevano l'istituto (3), i quali furono unanimi nello sconsigliare il ritorno in Inghilterra, mentre le cose si trovavano a quel modo. La flotta spagnola aveva esasperato la gente contro i cattolici. Dovunque si organizzavano cacce contro di essi e le loro case venivano perquisite, mentre in ogni villaggio e lungo tutte le strade e tutti i sentieri si faceva buona guardia per catturarli. Il Conte di Leicester, allora all'apice della sua potenza, aveva giurato che per la fine dell'anno non sarebbe rimasta ombra di cattolico nel paese; ma il poveretto non aveva ben calcolato i suoi giorni, perché fu sotterrato proprio in quello stesso anno (4). Quindi decidemmo con riluttanza di trattenerci lì per un certo tempo, finché da Roma non avessimo ricevuto una risposta da Padre Persons, il quale, infatti, ci scrisse a nome del Padre Generale. La situazione, egli diceva, era molto cambiata da quando avevamo lasciato Roma, ma il lavoro che ci era destinato era opera di Dio; di conseguenza, eravamo liberi di continuare l'impresa o di indugiare finché in Inghilterra le cose non si fossero ricomposte. Questa era la risposta che desideravamo. Vi fu una piccola discussione, quindi trovammo una nave pronta a recarci oltre la Manica per lasciarci sulle coste settentrionali dell'Inghilterra, che sembravano rappresentare la parte più calma. Si unirono a noi due sacerdoti di Reims, che erano ansiosi di trovare un passaggio, e noi li accogliemmo a bordo. I nostri compagni di viaggio decisero, però, di rimandare alquanto la partenza, giacché non intendevano gettarsi a capofitto in un tale pericolo. Noi quattro sacerdoti ci imbarcammo (5). La nostra fu una spedizione fortunata se si esclude la mia persona, poiché la mia indegnità mi privò della corona del martirio. Gli altri tre morirono martiri per la loro fede. I due sacerdoti di Reims furono subito catturati: consummati in brevi impleverunt tempora multa. I loro nomi erano Christopher Bales e George Beesley (6). Ma il mio compagno, Padre Oldcorne, lavorò alacremente per circa diciotto anni prima che, anch'egli, irrorasse col suo sangue la vigna del Signore. Dopo la traversata, risalimmo lungo la costa inglese. Il terzo giorno, il mio compagno ed io avvistammo un posto che sembrava ottimo per lo sbarco. Ma siccome consideravamo pericoloso raggiungere la costa tutti insieme, ci riunimmo in preghiera per invocare l'aiuto di Dio. Dopo esserci consultati, ordinammo che la nave gettasse l'ancora al largo fino al calar della notte (7). Alla prima ora di notte fummo portati a riva in barca ed ivi fummo lasciati. Quindi, la nave spiegò le vele e si allontanò. Ci raccogliemmo in preghiera per pochi istanti e ci affidammo alla protezione di Dio. Quindi, ci incamminammo alla ricerca di un sentiero che ci conducesse il più possibile nell'entroterra e ci permettesse di porre alle nostre spalle la maggior distanza dalla costa, prima dell'alba. Ma la notte era buia ed il cielo coperto di nuvole, perciò non potemmo trovare il sentiero voluto per inoltrarci nei campi. Tutte le piste che battevamo conducevano a qualche casa, come potevamo constatare allorché i cani cominciavano ad abbaiare. Ciò avvenne due o tre volte. Temendo di svegliare gli abitanti e di essere inseguiti come ladri, decidemmo di riparare in un bosco vicino e di riposare ivi fino al mattino. Si era alla fine di un ottobre umido e piovoso e noi passammo una notte insonne (8). Non osavamo neanche parlare, perché attigua al bosco vi era una casa. Tuttavia, in meno di un baleno, tenemmo un consulto. Sarebbe stato meglio incamminarci assieme alla volta di Londra o separarci in maniera che, se l'uno fosse preso, l'altro potesse scampare? Esaminammo attentamente entrambe le possibilità. Alla fine decidemmo di separarci e di andarcene ognuno per conto proprio. Alle prime luci dell'alba sorteggiammo chi di noi dovesse abbandonare per primo il bosco. La sorte cadde su Padre Oldcorne, il quale fu anche il primo ad abbandonare questo mondo per il cielo. Quindi dividemmo in parti uguali il nostro danaro, ci abbracciammo e ci impartimmo reciprocamente la benedizione (9). Il futuro martire si allontanò. Costeggiando la spiaggia in direzione della città più vicina, si imbatté in un gruppo di marinai e di pescatori in cammino verso Londra (10). Egli si unì ad essi e, essendo uomo di grande tatto e discrezione riuscì ad adattarsi alla loro mentalità, quando essi parlavano di cose di nessuna importanza. Ma in due o tre occasioni il buon padre dovette redarguirli, quando essi cominciarono a bestemmiare ed a scivolare in lubriche conversazioni. Ciò, naturalmente, era una cosa pericolosa, come egli ebbe a dirmi in seguito. Ma il suo zelo, in queste cose, era ammirevole. Di questo ho molti esempi a disposizione, ma uno basterà per tutti. Una volta, a Londra, visitò la casa di un cattolico, che era suo strettissimo amico. Nella finestra della sua camera egli vide un pannello di vetro sul quale erano raffigurati Marte e Venere. La scena era indecente, e sebbene la casa non appartenesse al suo amico - l'aveva infatti presa in fitto - Padre Oldcorne, incapace di sopportare quella vista, colpì il vetro con un pugno e disse al suo amico che era inconcepibile da parte sua tollerare una cosa del genere nella sua abitazione. Questo era un tratto tipico del suo zelo per l'onore di Dio e per la verità. Il buon padre, quindi, si unì ai marinai. Egli sapeva come combinare la prudenza del serpente con la semplicità della colomba, e si comportò in maniera da far trasparire quanto egli disapprovasse le loro conversazioni. Tuttavia, nonostante la loro rozzezza, riuscì a conquistarsene l'affezione; e, mediante l'aiuto che essi inconsciamente gli fornirono, raggiunse felicemente Londra. Vi erano guardie in quasi ogni villaggio per il quale passa- rono (11); ma queste lo presero per uno della compagnia, composta di persone il cui abito ed il cui comportamento non aveva nulla in comune con la gente di cui essi erano a caccia. Non appena il mio compagno si fu allontanato, uscii dal bosco per un sentiero diverso. Avevo coperto una breve distanza, quando mi imbattei in alcuni contadini che venivano verso di me. Mi avvicinai subito ad essi e chiesi loro se sapessero nulla di un falco randagio; forse essi avevano udito il tintinnio del suo piccolo campanello mentre volava nei paraggi. Volevo indurli a credere che avevo smarrito il mio volatile e che stavo battendo la contrada nel tentativo di rintracciarlo. Ciò, infatti, è quanto fanno i falconieri. Ed essi non si sarebbero sorpresi del fatto che ero un estraneo, ignaro dei sentieri e della zona circostante; con questa gherminella avrebbero facilmente creduto che ero arrivato fin lì nella mia battuta. Mi risposero che non avevano né visto né udito alcun falco di recente, e dal loro volto compresi quanto fossero dispiaciuti per non essere in grado di pormi sulla giusta traccia. Quindi, mi allontanai con una smorfia di disappunto fingendo di riprendere le ricerche tra gli alberi ed i cespugli circostanti. In tal modo, mi allontanai dalla strada senza destare i loro sospetti. Infatti, mi osservarono con un senso di partecipazione mentre mi inoltravo nelle siepi, allontanandomi, nel contempo, dal mare. Ogni qualvolta avvistavo qualcuno nei campi, mi dirigevo verso di lui e gli rivolgevo le stesse domande intorno al falco, tenendo celato il mio vero proposito. Tutto ciò era inteso ad evitare i villaggi e le strade di traffico e ad allontanarmi dalla costa, luoghi che ben sapevo muniti di guardie, che presidiavano i passaggi obbligatori per catturare gli stranieri (12). Passai così la maggior parte della giornata sforzandomi di coprire nel complesso dalle otto alle dieci miglia, camminando naturalmente non in linea retta ma diagonalmente, e rifacendo spesso la strada per la quale ero venuto. Alla fine della giornata ero fradicio ed affamato. Avevo avuto una difficile traversata e non mi era stato possibile a bordo né mangiare né dormire; perciò mi decisi a passare la notte in un albergo del villaggio nel quale ero di passaggio, ritenendo molto improbabile che si facessero delle domande ad un uomo che entrasse in esso. Mi feci portare del cibo e non tardai a constatare che la gente era molto cordiale, specialmente allorché mi dissi pronto a comprare un pony delle loro stalle. Acquistai l'animale da un pover'uomo ad un prezzo conveniente e ragionevole. A cavallo speravo di muovermi più rapidamente e con maggior sicurezza, poiché chi viaggia a piedi viene creduto spesso un gi- rovago ed è passibile di arresto anche in tempi di calma. La mattina successiva montai a cavallo e presi la strada di Norwich, la città più importante di quella contea. Non avevo coperto neanche due miglia, allorché all'entrata di un villaggio dovetti passare attraverso un gruppo di guardie. Mi ordinarono di scendere e mi chiesero chi fossi e donde venissi. Risposi loro che mi trovavo a servizio di un certo Lord che viveva in un'altra contea - in realtà questi mi conosceva molto bene, benché le guardie non ne avessero sentito parlare - e spiegai loro come il mio falco fosse fuggito e come fossi in giro nel tentativo di rintracciarlo. Nelle mie parole non poterono trovare nulla da eccepire; tuttavia non mi lasciarono passare. Quindi, dissero che dovevo presentarmi dal governatore e dall'ufficiale delle guardie, i quali entrambi in quel momento si trovavano in chiesa per assistere alle funzioni eretiche (13). Mi avvidi subito che non potevo fuggire e che ogni mia resistenza sarebbe stata fuori posto. Non potendo convincerli, mi assoggettai a seguirli nel cimitero circostante la chiesa. Dissi loro di andare e di annunziarmi all'ufficiale. Una delle guardie si recò in chiesa e ne tornò dicendo che l'ufficiale voleva che io lo raggiungessi all'interno della chiesa, dove intendeva parlarmi al termine della funzione. “Se egli non desidera uscire”, dissi, “lo attenderò qui”. “No, vi dovete recare in chiesa”. Io tentai di nuovo. “Non desidero abbandonare il mio cavallo, e perciò resterò qui”. “In altre parole, non volete recarvi ad ascoltare la santa parola di Dio. Vi avverto che, se vi rifiutate, complicherete la vostra situazione. Il vostro cavallo non è tale da destare preoccupazioni. Se è necessario, ve ne otterrò uno migliore”. “Andate a dire all'ufficiale”, ripetei, “che, se egli desidera vedermi, o deve permettermi di aspettarlo qui, o deve venir fuori immediatamente”. Il messaggero ritornò con questa risposta e l'ufficiale usci all'istante con alcuni attendenti e cominciò ad interrogarmi. Dall'espressione del viso mi accorsi che era adirato. Per prima cosa mi chiese donde venissi ed io elencai un buon numero di località che sapevo non molto distanti. Quindi mi domandò quali fossero il mio nome, la mia professione, il mio paese di origine e la ragione del mio viaggio; a ciò diedi le stesse risposte di prima. Quando, finalmente, mi chiese se ero latore di qualche lettera, lo invitai a perquisirmi in maniera da convincersi, ma egli non volle. Comunque, insisté dicendo che era suo dovere portarmi davanti al giudice di pace. Per tut- ta risposta mi professai pronto a seguirlo, nel caso che fosse realmente necessario; altrimenti intendevo affrettarmi, poiché era ormai molto tempo dacché avevo lasciato il mio signore. Lo pregai, quindi, di volermi far proseguire. Dapprima oppose un netto rifiuto: sembrava che non si potesse fare a meno di comparire davanti all'ufficiale superiore per esser da lui gettato in prigione, come certamente sarebbe accaduto. Poi mi guardò con un'espressione più mite. “Voi avete l'espressione di una persona onesta. Proseguite, quindi, in nome di Dio. Non desidero trattenervi oltre”. Né la Provvidenza divina mi abbandonò dopo ciò. Mentre cavalcavo, avvicinandomi sempre di più alla città, scorsi davanti a me un giovane a cavallo che portava un grosso pacco. Decisi di giungere alla sua altezza per ricevere da lui maggiori informazioni circa la città e, in particolare, per sapere quale fosse il miglior luogo per alloggiare. Sembrava proprio il tipo al quale potessi fare delle domande senza destare sospetti. Ma il suo cavallo era migliore del mio e, sebbene spronassi insistentemente la mia bestia, non riuscivo a colmare la distanza che mi separava da lui. Lo seguii per due o tre miglia; poi, in maniera provvidenziale, gli scivolò il pacco sulla strada ed egli dovette fermarsi, scendere da cavallo e ricaricarlo. Appena lo raggiunsi, potei constatare che si trattava di un giovane rozzo, proprio il tipo di cui avevo bisogno. Egli mi disse molte cose che mi sarebbero state utili nel caso che mi fossi trovato in pericolo; infatti, sebbene ne fossi inconscio, Dio per mezzo di lui mi stava tirando fuori da ulteriori pericoli. Per prima cosa, gli chiesi se poteva raccomandarmi un buon albergo vicino alla porta della città, per evitare di trascinarmi il cavallo per le strade nel tentativo di trovarne uno. Mi rispose che vi era un albergo all'altro capo della città e che io vi sarei potuto giungere cavalcando lungo i sobborghi. Alla fine lo indussi a mostrarmi la strada ed a descrivermi l'insegna dell'albergo. Quindi lo lasciai procedere più speditamente lungo la strada che conduceva direttamente alla città, strada che io avrei certamente preso qualora non lo avessi incontrato. Essa mi avrebbe condotto senz'altro in trappola, e così non sarei stato protagonista di quelle vicende che mi sono occorse per la maggior gloria di Dio e per il bene di molte anime. Seguii le istruzioni di quel giovane. Costeggiando le mura della città giunsi alla porta che egli aveva descritto. Al di là di questa scorsi l'albergo (14). Mi trovavo lì da poco tempo, quando entrò un uomo che sembrava ben noto ai presenti. Questi mi salutò cortesemente e si pose a sedere accanto al fuoco per riscaldarsi. Poi cominciò a parlare di alcuni nobili cattolici imprigionati nella città e proferì il nome di una persona, della quale sette anni prima avevo conosciuto un parente nel carcere di Marshalsea a Londra (15). Ascoltai attentamente senza interloquire. Dopo che quegli uscì, domandai di lui all'uomo con cui stavo parlando. “È un'ottima persona”, mi disse quello, “solo che è un papista”. “Come lo sapete?”, continuai. “Ha trascorso diversi anni nelle prigioni della città”. (Queste si trovavano soltanto a due passi dall'albergo). “Ivi si trovano molti altri nobili cattolici (16) e quest'uomo è stato rilasciato solo da poco tempo”. “È stato rilasciato”, chiesi, “perché ha abbandonato la vecchia fede?”. “No, e non lo farà mai, poiché è molto ostinato. Ne è uscito solo perché ha versato una cauzione; ma deve presentarsi in prigione ogni qualvolta venga richiamato (17). Vi è un certo affare che egli sbriga per una persona detenuta in prigione e che lo obbliga a venire qui frequentemente”. Me ne stetti tranquillo finché l'uomo non tornò; e, quando gli altri uscirono, gli dissi che desideravo scambiare qualche parola con lui in un luogo sicuro. Avevo udito che egli era cattolico, gli dissi, ed ero molto lieto di ciò perché tale ero anch'io. Poi gli spiegai la ragione per cui mi trovavo lì. Aggiunsi che desideravo recarmi a Londra e che, se mi avesse usato la cortesia di presentarmi a delle persone conosciute lungo la strada in maniera da aggregarmi a loro e divenire un membro della loro comitiva, avrebbe fatto un buon servizio da buon cattolico. Gli feci notare che ero in grado di sostenere le mie spese e che non sarei stato loro di peso in alcun modo. Tuttavia, egli non conosceva nessuno che stesse in procinto di andare a Londra; perciò gli chiesi se poteva fornirmi il nome di qualche persona che potesse scortarmi dietro compenso. Mi rispose che avrebbe chiesto informazioni; tuttavia, soggiunse di conoscere un signore che proprio allora si trovava in città e che sarebbe stato in grado di trarmi d'impaccio. Egli uscì per cercarlo. In breve fu di ritorno e mi chiese di seguirlo in città. Mi condusse in un mercato brulicante, quasi dovesse fare qualche acquisto. In realtà, tra tutta quella gente vi era il signore in oggetto, il quale aveva scelto quel posto perché gli offriva l'opportunità di squadrarmi per bene prima di manifestarsi. Alla fine si appressò a noi e, di sfuggita, sussurrò al suo amico che, secondo lui, ero un prete. Quindi ci condusse alla cattedrale, dove mi rivolse molte domande; alla fine mi pregò di rivelargli in tutta sincerità se ero un sacerdote, aggiungendo che, se lo fossi, mi a- vrebbe fornito tutto l'aiuto necessario. Da parte mia, chiesi alla mia guida chi fosse quel signore, e, quando ne conobbi il nome (18) e la posizione, compresi quale buon amico la Provvidenza divina mi avesse mandato. Confessai subito che ero un prete gesuita e che ero appena giunto da Roma. Egli mi fornì subito di nuovi vestiti e di un buon cavallo, poi mi condusse nel casolare di un suo amico fuori della città, ordinando ad un servo che portasse il mio pony dietro di me. Il giorno successivo ci recammo nella casa (19), in cui viveva con la sua famiglia e suo fratello che era eretico. Siccome questi due fratelli avevano una sorella vedova, anch'essa eretica, che aveva la cura della casa (20), dovevo usare molta prudenza per non dare loro alcun motivo di sospettare della mia persona. Il fratello protestante si dimostrò sospettoso fin dal mio arrivo, perché ero uno straniero ed ero venuto in compagnia del suo fratello cattolico: certo, secondo lui, non vi poteva essere altra ragione che spiegasse la cortesia di suo fratello nei miei riguardi. Dopo due o tre giorni i suoi sospetti svanirono. Quando se ne presentò l'occasione, presi a parlare di caccia e di falconeria, cosa che nessuno poteva fare con proprietà di linguaggio tecnico, a meno che non fosse un appassionato di tali sport. È facile errare nell'uso di tali termini, come spesso si lamentava Padre Southwell (21). Sovente, in seguito, quando ci trovavamo a viaggiare insieme, questi soleva pregarmi di insegnargli la terminologia propria e si rammaricava perché non riusciva a ricordarla o non la sapeva usare, presentandosene il bisogno: come, ad esempio, quando egli si imbatteva in signori protestanti che non avessero in pratica altri argomenti di conversazione, eccetto aneddoti scurrili ed ingiurie contro i santi e la fede cattolica. In occasioni come queste, si dà spesso il caso di fuorviare il discorso semplicemente con una osservazione qualsiasi su cavalli, cani e cose simili. Così, come ebbi a sperimentare in quella circostanza, una battuta insignificante può risultare una buona maschera di protezione. Dopo alcuni giorni, dissi al mio nuovo amico, il fratello cattolico, che dovevo andare a Londra per incontrare il mio superiore. Egli acconsentì e mi diede i cavalli ed un servo. Inoltre mi chiese di ottenere dal mio superiore il permesso di tornare nella sua contea e di restare in casa sua. Si diceva sicuro di poter riportare molta gente alla fede solo che io parlassi e mi comportassi come avevo fatto fino a quel momento (22). Gli promisi di sottoporre la sua richiesta all'attenzione del mio superiore e gli dissi che, per parte mia, sarei stato lietissimo di ritornare, se egli mi avesse di nuovo accettato. Quindi partii e, senza incidenti di sorta, arrivai felicemente a Londra. Mi sono soffermato in tutti questi particolari per porre in evidenza come la Provvidenza mi soccorse subito dopo lo sbarco. Non conoscevo assolutamente nessuno nell'intera contea; non vi ero mai stato ed era una regione molto distante dai luoghi nei quali ero nato ed ero stato allevato. Tuttavia, il giorno stesso dello sbarco trovai un amico che mi sottrasse al pericolo e in seguito, avendomi presentato alle famiglie più in vista della contea, diede l'avvio a molte conversioni. Attraverso la sua amicizia molti cattolici di quella zona vennero a sapere della mia presenza; e questo, come apprenderete in seguito, fu l'inizio di quanto Dio si compiacque più tardi di operare per mezzo del Suo povero servo. ___________________________________________________________ _ NOTE AL CAPITOLO II 1 J. G. giunse a Reims il 21 settembre con Ralph Buckland, Arthur Stratford ed Edward Oldcorne. Tutti e quattro ripresero il viaggio il 26 dello stesso mese. F. T. KNox, Douai Diaries, p. 220. 2 Il suo passaggio per Parigi fu tuttavia segnalato a Londra da una delle spie di Walsingham. S.P.D., CCXIX, n. 26. 3 Una scuola per i figli dei cattolici inglesi fu fondata ad Eu nel 1582 da Padre Persons e da questi affidata ad un prete secolare di nome Mann o Chambers. Nella narrazione di J. G., l'espressione “i nostri confratelli del luogo” si riferisce ai gesuiti della provincia di Francia, i quali pure avevano una propria scuola in quella città. J. G. attesta chiaramente che St. Omers, che aveva preceduto l'attuale collegio di Stonyhurst, era una fondazione distinta da quella di Eu. Siccome J. G. si trattenne a Reims dal 21 al 26 settembre, probabilmente arrivò ad Eu alla fine dello stesso mese. Cfr. L. HICKS, Letters and Memorials of Fr. Robert Persons; c.R.S., vol. XXXIX, p. 1; T. F. KNOX, Douai Diaries, p. 220; L. HICKS, “The Foundation of the College of St. Omers”, in Archivium Historicum S. J. vol. XIX. 4 Il conte di Leicester morì il 4 settembre 1588 nella sua casa di Cornbury, nell'Oxonshire, sulla strada da Londra a Kenilworth. Si sospettò che fosse stato avvelenato. 5 J. G. s'imbarcò ai primi di novembre, e non, come afferma più oltre, in ottobre. I “due sacerdoti di Reims” lasciarono Reims il 24 ottobre [O. S.]. I due che restarono dietro si chiamavano Ralph Buckland e Arthur Stratford. T. F. KNOX, Douai Diaries, pp. 220-221. 6 Tutti e due furono uccisi in Fleet Street: Christopher Bales il 4 marzo 1590 e George Beesley il 2 luglio 1591. 7 “Avendo avvistato una spiaggia adatta allo sbarco ed avendo notato come non vi fossero attorno né paesi né casolari da cui si potessero spiare le loro mosse, dissero ai marinai di gettare l'ancora fino al calar della notte e, quindi, di condurli a riva in barca”. Narrative, p. 280. Ciò avvenne presso Happisburgh, a metà strada circa tra Great Yarmouth e Cromer. JESSOP, p. 134. 8 “Si inoltrarono in un bosco ove trascorsero tutta la notte sotto una pioggia insistente. Tuttavia erano oltremodo felici ed erano soddisfatti del loro umido riparo”. Narrative, p. 280. J. G. sbarcò sabato 29 ottobre [O. S.]. 9 “Calcolarono le loro provviste di denaro; e colui che aveva di più ne donò all'altro, in maniera da dividerlo in parti uguali”. Narrative, p. 281. 10 Era la città di Mundesley. I marinai erano probabilmente quelli congedati dopo la sconfitta dell'Armada. JESSOP, ibid. 11 Soltanto nel Norfolk, in quest'anno 1588, furono addestrati ed armati più di duemila uomini. Hat. cal., vol. VI, p. 223. 12 Il 17 luglio 1588 il Consiglio privato aveva ordinato ai Lord Luogotenenti di Norfolk e di Suffolk “di istituire dei corpi di guardia in ciascuna città di passaggio, per setacciare ed arrestare tutti i girovaghi e i vagabondi che si aggirassero allo scopo di seminare disordine; e, qualora se ne trovasse qualcuno manifestamente colpevole di crimini intesi a fomentare il disordine e la ribellione, che fosse ucciso secondo la legge marziale”. Hist. MSS. Commission, Foljambe MSS., p. 53. 13 “Ciò avvenne una domenica mattina”. Narrative, p. 281. 14 Jessop suppone che J. G. attraversò il fiume Yare a Hellesdon e aggirò la città finché giunse ad una delle principali vie di Londra; e che, per evitare la lunga strada che conduce alle porte di St. Stephen, egli cavalcò per la campagna fuori delle mura ed entrò attraverso le “Brazen Doors”. Questa supposizione è quasi sicura. Jessop fornisce anche le ragioni per cui ritiene che Stalham, oppure Sloley, fosse il luogo in cui J. G. passò la notte nell'albergo e che Worstead fosse il villaggio in cui fu arrestato. JESSOP, pp. 134-136, 148. 15 Robert de Grey di Merton, antenato dell'attuale Lord Walsingham, era a quel tempo nella prigione di Norwich. Suo “parente” sarebbe stato John de Grey di East Harling, il quale fu imprigionato a Marshalsea nel gennaio del 1577 e vi si trovava ancora, quan- do nel marzo 1583 fu imprigionato J. G. Egli morì nel 1600 all'età di 70 anni. C.R.S., vol. XXII, p. 56. Dopo il settembre del 1588 il suo nome scompare dalle liste. JESSOP, p. 149; C.R.S., vol. II, pp. 232, 283. 16 I nomi dei principali detenuti cattolici della prigione di Norwich sono forniti da Jessop. Costoro furono arrestati durante il viaggio della regina nell'Inghilterra orientale nel 1578. Poco prima dell'arrivo di J. G., il Consiglio aveva dato ordine che venissero trasferiti a Wisbeach perché “essi recano molto danno ed infettano il paese a causa della libertà di cui godono”. Tuttavia l'ordine fu eseguito soltanto nell'aprile del 1590. JESSOP, p. 148. 17 Questo signore cattolico che J. G. ebbe la fortuna d'incontrare fu quasi certamente Robert Downes di Melton. Fu arrestato nel luglio del 1578 durante il viaggio della regina nell'Inghilterra orientale. Ad intervalli, gli fu permesso di uscire dietro cauzione; ma doveva ripresentarsi in prigione quando non poteva far fronte alle gravi multe che era forzato a pagare per la sua insubordinazione alla legge. Nel settembre del 1598, dieci anni dopo quest'incontro, egli era ancora nella prigione di Norwich. JESSOP, passim. 18 Edward Yelverton, uno degli uomini più ricchi del Norfolk. JESSOP, p. 137. 19 Grimston, a sei miglia e mezzo a nord-est di King's Lynn. 20 Edward Yelverton era il figlio maggiore di William Yelverton di Roughan per parte della sua seconda moglie Jane, figlia di Edmund Cocket di Hempton, nel Suffolk. Alla morte di suo padre, aveva ereditato a Grimston una proprietà dai due ai tremila acri di superficie. Ivi, secondo l'uso del tempo, era molto ospitale e viveva con la propria famiglia, come pure col fratello minore, con una sorella vedova, che si prendeva cura della casa, e con un cognato che non si conosce. Quando J. G. lo incontrò, aveva circa trent'anni ed era vedovo. Più tardi si sposò di nuovo. La seconda moglie fu Nazareth Bedingfeld “un'ostinata dissidente”, il padre della quale era uno dei prigionieri deI castello di Norwich. Egli morì nel 1623. JESSOP, pp. 137, 150. 21 Nei suoi scritti, tuttavia, Southwell faceva frequente uso di immagini tratte dalla falconeria; per esempio: “Siccome le copie di questi scritti volavano in circolazione così velocemente e così falsificate, che c'era pericolo che venissero corrotte nella stampa; sembrava minor male lasciarle volare al cospetto di tutti nel loro piumaggio originale e con le loro ali, che lasciarle ricoprire di un manto di piume non genuine oppure lasciarle passare per le mani di un correttore che avrebbe senz'altro potuto eliminare le penne sane e sostituirle con quelle malate e scadenti della sua fantasia”. Mary Magdalen's Funerali Teares, Epistle to the Reader. 22 Durante le prime settimane del soggiorno di J. G. a Grimston, a Londra Padre Gar- net aspettava ansiosamente sue notizie. Quando s'incontrarono, Garnet lo rimproverò. “Fu piuttosto per errato consiglio che per cattiva volontà che non gli venne in mente di porsi in contatto con me dopo il suo arrivo”. (GARNET ad Aquaviva, Arch. S. I. Roma, Fondo Gesuitico, 651). Facendo di Grimston il suo primo centro, J. G. iniziava il suo apostolato nella regione alla quale, sette anni innanzi, Padre Persons aveva destinato Edmund Campion poco tempo prima che questi fosse arrestato. III. GRIMSTON Natale 1588 - Estate 1589 Quando raggiunsi Londra, alcuni cattolici mi aiutarono a trovare Padre Henry Garnet che allora era superiore. Oltre questo, i soli preti gesuiti in Inghilterra a quel tempo erano Padre Edmund Weston (1), incarcerato nella prigione di Wisbeach (sarebbe stato lui il superiore, se fosse stato in libertà), Padre Robert Southwell e noi due che eravamo appena sbarcati. Il mio compagno, Padre Oldcorne, era già arrivato. Il superiore, invece, non aveva ricevuto notizie di me e ne era preoccupato. D'altra parte, per questa stessa ragione, essi nutrivano speranze che tutto fosse andato bene. Quando io giunsi vi fu grande contentezza. Passai un po' di tempo con i padri e con loro ebbi frequenti discussioni circa i metodi che avremmo dovuto impiegare nel nostro lavoro. Sia da Padre Garnet come da Padre Southwell ricevemmo ammirevoli consigli circa i modi di aiutare e di salvare le anime (2). Il secondo eccelleva in maniera particolare in questa opera ed era saggio e buono, gentile ed amabile. Ma si stava avvicinando il Natale e noi dovevamo separarci. Infatti, il pericolo della cattura si rendeva maggiore nel periodo delle feste e, inoltre, i fedeli avevano bisogno del nostro ministero. Così, fui rinviato nella stessa contea nella quale ero sbarcato, presso lo stesso signore che per primo mi aveva offerto aiuto e riparo. Il superiore mi fornì di abiti e di altre cose necessarie, giacché non intendeva che fossi di peso al mio ospite fin dall'inizio. In seguito, tuttavia, e per tutta la mia vita missionaria, la Provvidenza sovvenne in maniera sufficiente sia alle mie che alle altrui necessità. I miei abiti furono sempre quelli di un signore di medie possibilità, e ciò si dimostrò più tardi cosa saggia in più di una circostanza. A quegli abiti, infatti, mi ero abituato prima di diventare gesuita e, di conseguenza, mi ci trovavo a mio agio più di quanto non mi ci fossi trovato, se avessi assunto un ruolo che mi era estraneo e poco familiare. Inoltre, mi trovavo nella necessità di comparire in pubblico e di incontrare molti nobili protestanti; e non avrei mai potuto unirmi a loro né riportarli lentamente all'amore della fede e della vita virtuosa, qualora mi fossi vestito in maniera diversa. Prescindendo dal fatto che ciò mi consentiva di muovermi nella società con maggiore disinvoltura e sicurezza, oltre che con maggiore autorità, avevo così la possibilità di frequentare più a lungo e senza eccessivo pericolo qualsiasi casa e qualsiasi salotto aristocratico in cui il mio ospite mi avrebbe introdotto come suo amico o cono- scente (3). Ciò fu quanto accadde. Senza pericolo e con molto profitto, rimasi apertamente sei o otto mesi nella casa di quel signore che era stato il mio primo ospite. Durante quel periodo egli mi introdusse nelle case e nei circoli di quasi tutta la nobiltà di Norfolk; e, prima della fine di quegli otto mesi, restituii alla Chiesa molta gente, tra cui un fratello del mio ospite, due sorelle e, in seguito, il cognato (4). Una delle sue sorelle, come ho già riferito, era vedova ed amministrava la casa in sua vece. Ella era stata una calvinista arrabbiata ed un suo fratello, il giudice, è ancor oggi uno dei capi del calvinismo in Inghilterra (5). Questa signora era stata educata nella casa di lui e ne aveva assimilato la detestabile eresia. Poco tempo prima che io la incontrassi, era capitato un fatto significativo. Essendo preoccupata dello stato della sua anima, si era recata a consultare un dottore di Cambridge chiamato Perne (6). Era risaputo che questi aveva cambiato tre o quattro volte la sua religione per conformarsi al regime, ora cattolico ed ora protestante; tuttavia godeva ancora una grande reputazione per il suo sapere. Questo dottor Perne era un suo intimo amico ed ella gli chiese di dirle onestamente e chiaramente quale fosse la santa religione che le avrebbe assicurato la salvezza in cielo. Il dottore non era abituato ad accogliere appelli così urgenti come quello rivoltogli da quella donna di buon senso. Egli disse: “Vi prego di non rivelare mai ad alcuno ciò che sto per dirvi. Tuttavia, dal momento che avete rivolto una tale domanda a me, in quanto responsabile della vostra salvezza, ve lo dirò. Se lo volete, potete vivere nella religione professata dalla regina e dall'intero regno; avrete così un'esistenza tranquilla e non andrete incontro a nessuna delle vessazioni alle quali vengono assoggettati i cattolici. Ma fate in modo di non morire in essa. Se desiderate salvare la vostra anima, morite in comunione con la Chiesa Cattolica”. Così aveva risposto il nostro dottore; ma cosa gli capitò? Il poveretto aveva rimandato la sua conversione da un giorno all'altro. Quando meno se l'aspettava, morì improvvisamente mentre ritornava nella sua stanza dopo aver pranzato con l'Arcivescovo di Canterbury nel suo palazzo (7). Non aveva mostrato alcun segno di pentimento né di cristiana speranza nella felicità eterna. Si era dimostrato troppo semplicista nel prometterla sempre a se stesso ed agli altri, ma nella sua vita non vi era nulla che rivelasse una solida speranza di quella. La signora che lo aveva consultato, tuttavia, fu più fortunata. Dapprima non voleva accettare le affermazioni di quello circa la verità della fede cattolica; ma in seguito, quando mi sentì affermare ripetutamen- te che la fede cattolica era l'unica vera e buona, cominciò a nutrire dei dubbi; e fu in questo stato di ansietà che un giorno mi portò un libro eretico che più di ogni altra cosa l'aveva confermata nell'eresia. Ella mi espose tutte le ragioni e tutti gli argomenti che quello conteneva; ed io, per tutta risposta, le mostrai tutte le false citazioni della Scrittura e dei Padri, gli innumerevoli cavilli ed i travisamenti dei fatti. In tal modo, con l'aiuto di Dio, estrassi dallo scorpione l'antidoto contro il suo stesso veleno. Da quel giorno ella è rimasta costante nella sua professione di fede (8). Vi è un altro fatto considerevole che non posso tralasciare: esso riguarda la sorella sposata del mio ospite (9) ed illustra la meravigliosa efficacia dei sacramenti. Questa signora era coniugata con un uomo di rango e, grazie a suo fratello, era ben disposta verso la fede cattolica; di conseguenza non faticai molto ad indurla a divenire figlia della Chiesa. Subito dopo la conversione, ella rifiutò di professare il culto protestante e suo marito cominciò a trattarla molto aspramente, ma alla fine la sua pazienza prevalse. A quel tempo ella attendeva un bambino; quindi ebbe un parto molto difficile, tanto che dopo aver dato alla luce un maschio si ammalò gravemente e fece disperare della sua vita. Fu chiamato subito da Cambridge un dottore molto abile. Questi, dopo aver visitato l'ammalata, disse che poteva soltanto prescriverle delle medicine ma che non poteva formulare nessuna speranza di guarigione. Quindi, dopo avergliele somministrate, se ne andò. In quel momento io mi trovavo in casa, poiché spesso mi ci recavo con suo fratello. Il marito fu lieto di vederci, sebbene sapesse che noi eravamo cattolici. Con lui avevo discusso ripetutamente di religione ed in pratica lo avevo ormai convinto: sul piano teorico era persuaso, ma la sua volontà aderiva ancora alle cose della terra perché “i suoi averi erano ingenti”. Amava sua moglie intensamente, ed ora che non vi era più speranza di vita per lei, fu persuaso dal cognato a lasciarle piena libertà di prepararsi per l'altra vita. Per questo, non oppose alcuna difficoltà quando la sera successiva conducemmo in visita un vecchio sacerdote, uno di quelli ordinati prima dell'inizio del regno di Elisabetta (10). Siccome tali preti non erano esposti allo stesso pericolo di vita che incombeva sugli altri, in quella circostanza ricorremmo a lui per munire la signora di tutti gli estremi conforti della Chiesa. Dopo la confessione, ella ricevette l'Estrema Unzione ed il Viatico; e, cosa meravigliosa, dopo mezz'ora era migliorata così da essere fuori pericolo. L'unica cosa che restava era di farle riprendere le forze: la malattia era completamente sparita. Quando il gentiluomo constatò che sua moglie era stata improvvisamente strappata agli artigli della morte, si chiese con stupore come ciò fosse accaduto. Gli spiegammo, allora, che uno degli effetti del santo sacramento dell'Estrema Unzione era di restituire la salute fisica, quando Dio lo giudicasse utile al bene dell'anima. Questo completò la conversione del marito. Stupito che i sacramenti della vera Chiesa avessero il potere di effettuare simili cambiamenti, si lasciò indurre alla fine a cercare nella stessa Chiesa la salute della propria anima. Siccome intendevo battere mentre il ferro era caldo, cominciai a spiegargli come dovesse prepararsi alla confessione. Non intendevo ancora comunicargli che ero sacerdote, perciò gli dissi che lo avrei istruito secondo quanto mi era stato insegnato da un prete. Egli si preparò, quindi attese che fosse introdotto il sacerdote. Suo fratello ed io gli dicemmo che sarebbe stato necessario fare tutto di notte; perciò egli mandò i servi che lo assistevano nel suo guardaroba, quindi salì in biblioteca. Ivi lo lasciai intento alla preghiera, dicendogli che sarei tornato quasi subito con un prete. Sceso nel piano inferiore, indossai la talare e tornai completamente trasformato. Egli ammutolì dallo stupore: non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere. Suo fratello ed io gli spiegammo come mi trovassi nella necessità di agire in tal modo per garantire la mia sicurezza e, ancor più, per ingannare il demonio e strappare le anime dalle sue grinfie. Egli lo comprese molto bene. Quella era l'unica maniera mediante la quale io avrei dovuto avvicinare liberamente tanto lui quanto gli uomini del suo rango; e, qualora non avessi agito così, non avrei mai potuto ricondurli alla Chiesa, specie se essi fossero mal disposti. Ricorrendo allo stesso argomento, lo liberai da ogni preoccupazione circa le conseguenze che egli temeva dalla mia visita. Feci appello alla sua stessa esperienza. Sebbene fossi stato per tutto quel tempo a così stretto contatto con lui, egli non aveva sospettato nemmeno una volta che io potessi essere un prete. Così divenne cattolico, e sua moglie, grata per questa duplice benedizione di Dio, persevera ancora nella fede, benché abbia avuto d'allora in poi molte sofferenze (11). Durante il tempo in cui fui in libertà, oltre queste persone, riconciliai con la Chiesa molti padri e molte madri di famiglia, più di venti in tutto. Questi appartenevano alla stessa condizione sociale ed anche a ceti più elevati (12), ma la prudenza mi induce a non menzionarli per nome. Inoltre, riconciliai un gran numero di servi e di persone disagiate di cui non ricordo il numero preciso; e, mediante la grazia di Dio, confermai molte anime incerte nella loro pratica ed ascoltai numerose confessioni generali. In quel breve periodo, infine, vi furono alcuni che mostrarono di avere la vocazione alla vita religiosa, tra questi l'attuale Padre Edward Walpole. Allorché lo conobbi, potei constatare che egli conduceva un santo tenore di vita e che per vivere secondo coscienza sopportava molte persecuzioni, e non già da parte di estranei, “perché i suoi nemici erano quelli della sua casa”. Sebbene fosse erede di un grande patrimonio, ne fu privato dal padre sul letto di morte: questi era calvinista mentre sua madre e suo fratello erano protestanti. Il patrimonio fu diviso tra la madre ed il più giovane fratello protestante (13). Tutto ciò che il figlio cattolico ricevette durante la vita della madre fu un sussidio annuo di quattrocento fiorini (14) col quale allora viveva. La sua abitazione era divenuta più una prigione che una casa, giacché non vedeva né parlava ad alcuno eccetto durante i pasti, mentre passava il resto del giorno nella sua stanza. Egli aveva fatto gli studi classici e filosofici a Cambridge ed allora era tutto dedito alla lettura dei Padri. A quel tempo cominciò a farmi delle visite regolari e a venire frequentemente per ricevere i sacramenti; e Dio gli donò la vocazione. L'anno successivo si recò a Roma dove entrò nella Compagnia. Grazie al suo influsso, vi si recò anche il suo cugino Michael Walpole che ora è sacerdote professo. Michael era allora al mio seguito e mi accompagnava normalmente nei viaggi in qualità di domestico privato, ogni qualvolta mi recavo in una casa ove la mia presunta posizione mi imponeva di averne uno. Entrambi stanno lavorando egregiamente nella missione e con il loro zelo e con i loro più segnalati doni stanno recuperando ciò che era andato perduto a causa della mia insufficiente intraprendenza e capacità (15). Dopo aver trascorso in quel luogo sei o sette mesi, venne a visitarmi da un'altra contea un gentiluomo cattolico (16). Questi era parente di uno del mio gregge ed era ansioso di incontrare un gesuita. Era un giovane devoto ed erede di un considerevole patrimonio. Di questo egli aveva ereditato la metà alla morte del fratello, mentre l'altra metà era andata alla madre per il resto della vita. Questa signora, che era vedova, era una buona cattolica e viveva nella casa del figlio, ove entrambi mantenevano un sacerdote. Dopo aver trascorso con lui pochi giorni, mi avvidi che il suo unico desiderio era quello di condurre una vita più perfetta. Perciò gli parlai di certi esercizi spirituali che potevano condurre un'anima generosa su quella strada, mostrandole quanto in essa vi fosse di buono ed aiutandola a fare la migliore scelta per la vita (17). Egli mi pregò subito insistentemente di concedergli il permesso di farli. Io acconsentii ed egli ne trasse tanto profitto che decise di fare quella che riteneva la cosa migliore, cioè di entrare nella Compagnia col minimo indu- gio possibile e di sistemare nel frattempo i suoi affari, badando a non perdere nulla del suo fervore. Dopo aver completato il ritiro implorò che mi trasferissi a casa sua e non mi diede tregua finché non gli promisi che avrei sottoposto la sua proposta all'attenzione del superiore. Io riflettei sulla sua proposta. La maniera nella quale mi ero mosso tra il pubblico aveva dei vantaggi all'inizio, ma non poteva continuare per sempre, poiché il pericolo di un'identificazione cresceva man mano che conoscevo altra gente. Allora non ero più al sicuro ed avevo molti motivi di preoccuparmi; perciò conclusi che quella occasione era provvidenziale. Siccome Padre Garnet lo approvò, quando lo consultai, mi trasferii nella casa di questo gentiluomo nella contea vicina; prima, però, mi congedai da tutti i miei amici e lasciai un sacerdote là dove sarebbe stato nella miglior posizione per aiutare i cattolici della contea. A tutt'oggi egli è ancora sul posto, ove esplica un'intensa attività sopportando molti travagli. ___________________________________________________________ _ NOTE AL CAPITOLO III 1 Padre Edmund Weston, nato a Maidstone nel 1550, entrò nella Compagnia nel 1575 ed arrivò in Inghilterra il 20 settembre 1584, allorché non un solo gesuita era in libertà. Egli accolse nella chiesa Philip Howard, conte di Arundel. Catturato nell'agosto del 1586, rimase prigioniero finché non venne esiliato nel 1603. Cfr. William Weston (ed. Philip Caraman). 2 Padre Southwell era tornato di recente a Londra da un giro missionario. “In questo inverno molto rigido ho attraversato a cavallo una gran parte dell'Inghilterra ed ho preferito sopportare la sferza del vento e i rigori dell'inverno piuttosto che attendere una stagione più propizia, quando i persecutori - di gran lunga peggiori di qualsiasi inzuppata e di qualsiasi tempesta - si trovano sguinzagliati dappertutto. Ho visitato molti cattolici che erano ansiosi di ricevere la nostra assistenza. Ovunque sono andato... ho predicato e li ho confortati nel miglior modo possibile... e, all'occasione, sono entrato nelle case dei magistrati eretici, che essi chiamano sceriffi, per aiutare alcuni cattolici che in esse vivevano occulti”. SOUTHWELL ad Aquaviva, 28 dicembre 1588. Arch. S. J. Roma, Fondo Gesuitico, 651. 3 Vedi nell'appendice I la descrizione che la spia Byrd fa di J. G. 4 Il fratello era Charles Yelverton, che più tardi ottenne un posto a corte. Le due sorelle erano Jane Lumner (cfr. sotto nota 8) e Martha che era sposata con John Heigham di Giffords, nel Suffolk. Il cognato, del quale si parla più oltre, era Sir Philip Wodehouse di Kimberley. 5 Sir Christopher Yelverton che era fratellastro di lei. In qualità di sergente della regina, prese parte al processo contro il conte di Essex. Nel 1601 fu nominato giudice della regia corte. 6 Andrew Perne, direttore di Peterhouse dal 1554 al 1589, fu forse il più celebre rinnegato del suo tempo. Fu conosciuto come Andrew Ambo e come Old Father Palinode; si diceva che la sigla A.P.A.P., impressa sulla banderuola della chiesa di S. Pietro, si poteva interpretare sia: Andrew Perne a Papist (Andrea Perne Papista); sia: Andrew Perne a Protestant (Andrea Perne Protestante); sia: Andrew Perne a Puritan (Andrea Perne Puritano). Il suo nome divenne proverbiale tanto che di un pastrano o di un mantello rivoltati si diceva che erano “Pearned”. Edward Yelverton, Henry ed Edward Walpole ed altri menzionati nella narrazione di J. G. furono a Peterhouse nel periodo in cui era preposto Perne. COOPER, Athen. Cantab., vol. II, pp. 45-50. 7 Morì a Lambeth il 26 aprile 1589; la sua tomba si trova nella chiesa parrocchiale del luogo. STRYPE, Life of Whitgift, vol. I, p. 619. 8 Questa sorella, Jane Lumner, fu scarsamente provveduta da suo marito che morì lasciandole diversi debiti. Ella continuò ad essere designata quale “ostinata nonconformista” nelle liste inviate annualmente al vescovo di Norwich. Il suo nome appare per l'ultima volta nel 1615. Durante questo periodo mutò più volte residenza e sembra che sia divenuta sempre più povera a causa delle gravi esazioni a cui fu sottoposta. JESSOP, p. 151. 9 Grisell, che sposò Sir Philip Wodehouse di Kimberley, antenato dell'attuale conte. 10 In una “Nota sui papisti e non-conformisti di alcune contee inglesi”, compilata nel 1588, anno dello sbarco di J. G., si elencavano “due vecchi preti” che vivevano a Norfolk, Fisher e Hall, alias Fox. C.R.S., vol. XXII, p. 127. 11 J. G. lascia intendere che la conversione di Sir Philip Wodehouse non riuscì così completa come in un primo tempo egli aveva ritenuto. Sapeva che egli aveva abbandonato la fede, ma non aveva sentito dire che anche sua moglie aveva fatto lo stesso. Nella descrizione dei primi tempi della sua carriera, che fece nel 1601 allorché entrò nel Collegio Inglese a Roma, Charles Yelverton attesta che sua zia, “la moglie di Sir Philip Wodehouse, a causa delle escandescenze del marito che molto frequentemente insorgeva contro di lei, aveva di recente abbandonato la chiesa”. FOLEY, I, p. 143. 12 Jessop, il quale ha sottoposto ad accurato esame il lavoro apostolico svolto da J. G. a Norfolk, commenta che egli non aveva esaltato una sola volta i suoi rilevanti successi e che, per giunta, ciò non era che il principio delle sue fatiche. JESSOP, p. 209. 13 Calibut Walpole, dal quale le proprietà passarono a Sir Robert Walpole, ministro dei primi due re della casa di Hannover, che era nato nella dimora di famiglia di Haughton, nel Norfolk, nel 1676. 14 Per “fiorino” J. G. intende il “gulden” o fiorino d'argento delle Fiandre, che valeva circa due scellini della moneta inglese del tempo. 15 Edward Walpole entrò nel Collegio Inglese di Roma il 23 ottobre 1590; suo cugino Michael vi era entrato nel maggio precedente. Edward fu missionario in Inghilterra per quarant'anni. Mori a Londra il 3 novembre 1637. Per la vita di questi due sacerdoti vedi JESSOP, passim. 16 Henry Drury di Lawshall a sei miglia a sud-est di Bury Saint Edmunds, nel Suffolk. La famiglia Drury era stata sempre decisamente non-conformista. Henry sopravvisse a suo fratello maggiore William ed ereditò da lui il castello di Lawshall, dove la regina aveva accettato ospitalità il 4 agosto 1578, durante il suo viaggio nell'Inghilterra orientale. Fu in prigione nel 1587 e in una lista di prigionieri non-conformisti di quell'anno è descritto come “un grande ostinato... patrono di preti e di persone sospette, che rifiutano di familiarizzare con qualsiasi predicatore e di ascoltare qualsiasi predica”. JESSOP, p. 78; c.R.S., voI. II, p. 276. 17 Gli “Esercizi Spirituali” di S. Ignazio di Loyola, che J. G. menziona frequentemente in seguito. Essi costituiscono un complesso sistematico di meditazioni su argomenti spirituali intesi ad aiutare le persone a fare la scelta migliore per la loro vita. IV. LAWSHALL Estate 1589 - Inverno 1591 In questo nuovo posto la vita mi fu più quieta e congeniale. Quasi tutti nella casa erano cattolici e mi riusciva più facile condurre la vita del gesuita anche nei dettagli esteriori dell'abbigliamento e nella ripartizione del tempo. Fui anche in grado di dedicarmi molto alla lettura. Comunque, nella casa vi era un certo numero di cose che richiedevano attenzione. Anzitutto, gli arredi dell'altare erano vecchi e logori e non conciliavano affatto la devozione. In questo, però, dovevo usare molta cautela. Il cappellano era stato per parecchio tempo in quella famiglia e si sarebbe potuto facilmente offendere, qualora incominciassi ad apportare una serie di cambiamenti, specie se si accorgeva che il padrone di casa seguiva ogni mio minimo suggerimento. Ma, grazie a Dio, tutto andò bene. Feci in modo che tutti i cambiamenti che ritenevo urgenti fossero proposti e realizzati dallo stesso padrone di casa. Quindi, misi a disposizione dei nuovi paramenti che mi erano stati regalati e ciò invogliò la buona vedova a farne degli altri simili. Per quanto riguarda quel sacerdote, egli chiese di fare gli Esercizi, che aveva sentito lodare molto dal mio ospite, e li praticò con grande profitto. Infatti, a detta di chi lo aveva udito, egli affermò più tardi che prima di allora non aveva mai compreso pienamente gli obblighi del sacerdozio. In seguito, mi dimostrò sempre una grande affezione, di cui mi diede prova più tardi quando fui imprigionato, portandomi delle elemosine ed usandomi altre gentilezze. Egli prese a consultarmi nei suoi affari e guadagnò a Dio ed alla Chiesa il triplo delle anime di prima; perciò fu tenuto da tutti in maggiore considerazione. Nell'anno in cui fu nominato 1'arciprete, egli fu eletto tra i suoi assistenti ed ancora oggi mantiene questo ufficio (1). Durante la mia permanenza, che durò quasi due anni, dedicai molto tempo allo studio, ma non trascurai di viaggiare. Oltre a riconciliare alcuni eretici e scismatici, potei confermare nella fede diverse famiglie cattoliche e collocare due sacerdoti in luoghi dove potevano svolgere un ottimo lavoro. Ascoltai un gran numero di confessioni generali. Una penitente, una vedova di elevata posizione, dedicò il resto della vita ad opere pie e, per non menzionare gli altri suoi regali, fece alla Compagnia una donazione annua di mille fiorini (2); un'altra vedova (3) ne offrì quattrocento. In questo periodo, inoltre, impartii gli Esercizi spirituali ad un certo numero di persone con ottimi risultati. I primi a farli furono due uomini impa- rentati tra loro: entrambi decisero di entrare nella Compagnia, sistemarono le loro faccende e si recarono in Francia. Alla fine dei loro studi uno entrò nella Compagnia ed è attualmente un sacerdote zelante nella missione inglese. Si tratta di Padre Thomas Everett. L'altro fu ordinato ma si mostrò pusillanime: dapprima volle ritornare in Inghilterra, ma alla fine non fece una buona riuscita (4). Sotto la mia direzione fecero contemporaneamente il ritiro due altri ottimi giovani (5). Essi erano fratelli e decisero entrambi di diventare gesuiti. Il maggiore aveva fatto gli studi classici e filosofici a Cambridge e aveva passato gli ultimi nove anni a studiare diritto a Londra. Dotato di eccezionale talento ed intraprendenza, si era procurato una tale rinomanza che delle persone di equo giudizio, secondo che io stesso udii, non esitarono a paragonarlo agli eminenti giuristi del passato. Era un uomo serio e prudente; e già prima che egli pensasse di entrare nella Compagnia, Padre Southwell mi aveva suggerito che, se egli fosse giunto ad una tale decisione, sarebbe stato il miglior superiore che noi avremmo potuto sperare. Così, dietro suggerimento del mio ospite che li conosceva molto bene, quest'uomo e suo fratello iniziarono un ritiro sotto la mia direzione. Col più giovane non ci fu alcuna difficoltà; ma l'altro per tutta la prima settimana (6) stentò molto. Quindi ne scoprì la ragione e mise a posto le cose. Ciò che capitò è quanto segue. Gli avevo consigliato di fare certe penitenze, insignificanti in se stesse; egli però mi chiese di dispensarlo a causa della sua salute. Siccome la ragione era buona, acconsentii. Più tardi, però, egli sospettò che la sua mancanza di buona volontà in cose così secondarie potesse essere la causa della sua aridità; e quando un giorno mi recai nella sua stanza a confortarlo, cadde ai miei piedi ed implorò il mio perdono dicendo che non si sarebbe alzato, finché non gli avessi permesso di baciarmi i piedi in segno del mio perdono. Dopo ciò, fu inondato da una grande consolazione di spirito e la luce della grazia divina risplendette così chiaramente, che non rimase ombra di dubbio circa la sua vocazione. Ebbe molto da fare per sistemare i suoi affari e quelli degli altri, prima di poter lasciare l'Inghilterra! Aveva stabilito di vendere il suo patrimonio, temendo la tentazione di ritornare sulla sua decisione; sbrigò ogni cosa in brevissimo tempo e dopo cinque o sei settimane, insieme al fratello, si pose in viaggio verso Roma. Prima di partire, per tacere degli altri donativi e delle altre opere buone, regalò alla Compagnia tra gli undici e i dodicimila fiorini. Provvidenzialmente ciò avvenne al tempo in cui la Compagnia comincia- va a diffondersi in Inghilterra (7), poco dopo la cattura di Padre Southwell. Padre Southwell era vissuto a Londra e, quando fu imprigionato Padre Garnet, dovette trasferirsi in quella città, in maniera da restare in contatto con tutti noi, dispersi come eravamo su e giù per il paese, e da essere, in questa posizione centrale, più accessibile quando noi desideravamo vederlo. Ma ciò implicava delle spese ingenti. A Londra la persecuzione era molto aspra e Padre Garnet doveva mantenere con i suoi modesti fondi due o tre case nello stesso tempo. Allora, avevamo pochi amici in grado di aiutarci. Solo Padre Southwell aveva una grande benefattrice (8); e, finché fu con noi, egli poté con l'aiuto di quella mantenere sé ed alcuni altri preti, come pure prendere in affitto una casa nella quale riceveva normalmente il superiore quando veniva in visita a Londra. Fu ivi che li incontrai entrambi, la prima volta; ed in quello stesso luogo Padre Southwell aveva la tipografia, nella quale furono stampati i suoi ammirevoli libri (9). Ma, dopo la perdita di Padre Southwell, noi ci saremmo trovati in gravissime difficoltà se questi due signori, cioè il gentiluomo di cui ho appena accennato ed il mio ospite, non fossero venuti in nostro aiuto. Il secondo donò quasi la metà del suo patrimonio alla Compagnia (10). Subito dopo il loro arrivo a Roma, i due fratelli entrarono nel noviziato di Sant'Andrea, scegliendo i nomi di Starkey e Standish. Questi erano i due nomi, sotto i quali mi ero celato nelle due contee in cui avevo lavorato; ed essi li assunsero come nomi di professione in segno di gratitudine verso di me. Il fratello minore, mi si dice, fece una santa morte a Sant'Andrea; l'altro fu alquanto sconsiderato nella sua applicazione agli studi al collegio romano e divenne tisico. Fu mandato in Belgio, ma era troppo tardi. La sua morte avvenne a St. Omers e fu considerata una grande perdita da tutti coloro che lo conoscevano (11). Oltre che a questi due, durante la mia permanenza in quel luogo, impartii gli Esercizi ad altri, che ne trassero molto profitto. Due di questi signori erano i cattolici più in vista della contea. Uno di essi era giunto fino al penultimo giorno della seconda “settimana” senza alcuna emozione spirituale: quindi il vento del sud, mi sia concessa la metafora, si abbatté improvvisamente sul giardino dell'anima sua e vi riversò tali torrenti di lacrime, che continuò a piangere senza interruzione per tre o quattro giorni. Anche quando gli affari gli imponevano di uscire, egli poteva parlare soltanto con una voce rotta da singhiozzi. Mi seguiva dappertutto come un bimbo di un anno, ed il cappellano, a cui ho sopra accennato, prese a chiamarlo il “piangente”, e quando mi scriveva delle lettere diceva “John il piangente vuole questo e questo” oppure “vi offre questa cosa”. D'allora in poi la sua vita fu piena di opere buone, ed ebbe una morte felice. Circa lo stesso tempo, persuasi un altro Walpole, il cui nome era Christopher, a partirsi da Cambridge per visitarmi. Quindi lo ricevetti nella Chiesa e, dopo averlo fornito di danaro per il viaggio, lo mandai a Roma. Ivi, dopo aver completato gli studi, entrò nella Compagnia e ricevette gli Ordini. Successivamente fu mandato in Spagna ove morì. La sua morte causò a tutti noi un grande dolore e fu una grave perdita per il suo paese (12). Poco fa ho fatto menzione di due fratelli. Il maggiore di essi, prima di lasciare l'Inghilterra riuscì a persuadere il primogenito dei fratelli (13), che gli portava grande rispetto, a tentare gli Esercizi Spirituali. Anch'egli era cattolico, ma i suoi pensieri erano molto lontani dalla perfezione cristiana. Di recente gli era morto il padre ed egli aveva ereditato il patrimonio familiare e l'annesso castello (14). Ivi viveva con la moglie e i figli ai quali era profondamente affezionato. Aveva fatto allestire un parco di daini, o una specie di recinto, e godeva tutta l'indipendenza di un piccolo principe. Siccome si teneva a distanza dai “preti seminaristi”, non era disturbato dalle autorità e non sopportava nulla del “calore e del fardello del giorno” (15). A quel tempo la persecuzione era diretta principalmente contro i “preti seminaristi” e, nel complesso, risparmiava i vecchi sacerdoti, ordinati prima dell'avvento al trono di Elisabetta. Si trattava di una distinzione simile a quella odierna tra preti secolari e gesuiti, giacché oggi la persecuzione è molto più violenta contro di noi ed i nostri amici, come si può giudicare dalla maniera in cui viene trattata la buona gente che ci offre rifugio. La ragione, ritengo, è che il nostro numero è cresciuto. A ciò non sono estranee le contese che sono scoppiate tra noi ed uno strato del clero secolare, prima nei seminari e poi in Inghilterra; il che rende il governo impaziente di schiacciare la parte più intransigente comminando pene terribili alla gente che ci ospita e ci protegge. Ma gli Israeliti crescevano nonostante la rabbia di Faraone che li cercava a morte (16). Come stavo dicendo, questo signore e la sua famiglia vivevano pacificamente del loro patrimonio. Egli, in particolare, cercava di stornare con ogni cura l'attenzione del governo. I suoi occhi erano ciechi alle insidie di satana ed egli neanche le temeva. Ma, nonostante ciò, si ritrovò irretito nelle maglie della grazia. Cadde dritto dritto nella rete, vi rimase impaniato e non mostrò alcun desiderio di districarsene. Ciò avvenne dopo il primo o il secondo giorno. Aveva meditato profondamente sugli scopi che Dio si era proposto nel crearlo e su tutto il resto, quando incominciò ad avvertire il rimescolio delle acque: si tuffò subito nella piscina e ne fu guarito. D'allora in poi, fece con molto impegno le sue meditazioni, come si può constatare dal profitto che ne trasse. Per l'avvenire si propose di dedicare tutta la vita per procacciare la maggior gloria di Dio. Per quanto riguarda i beni che Dio gli aveva donato, prese a considerarli come un tesoro affidato alla sua custodia, e non come cose di sua proprietà; analogamente prese a riguardare la sua stessa famiglia come un pegno affidatogli da Dio. Decise, inoltre, di accogliere due altri sacerdoti ed insistette che uno di essi fosse un gesuita, perché assumesse la direzione spirituale di lui e della sua famiglia. Se, poi, l'amministrazione del patrimonio gli lasciava del tempo libero, soleva dedicarlo alla lettura ed alla traduzione di libri ascetici. Egli era un letterato e tradusse, infatti, molte opere utili, tra cui la vita del nostro santo fondatore (17), i Dialoghi di S. Gregorio, il De bono statu religiosi di Girolamo Platus (18) ed altri ancora. Per sé formulò delle regole di condotta che lo avrebbero dovuto guidare nelle sue relazioni con gli altri, nell'intento di aiutarli ed incoraggiarli a condurre una buona vita. Queste furono le sue risoluzioni ed egli le mantenne. Dovette superare molte difficoltà che aveva chiaramente previsto fin dall'inizio. Anzitutto, la maggior parte della servitù era protestante. In secondo luogo, vi erano sua moglie, dalla quale non ci si poteva aspettare che accondiscendesse ai suoi piani, ed il suo cappellano, uno di quei vecchi preti che erano sempre alle prese con i giovani, specialmente con i gesuiti, ch'essi consideravano come innovatori indiscreti. Non era una cosa facile, come egli stesso pienamente comprendeva. Tuttavia era determinato, nonostante quanto sarebbe potuto accadere, a sostituire (ma in maniera delicata e generosa) i suoi servi protestanti con altri cattolici accuratamente scelti ed a convincere tanto sua moglie che il cappellano, possibilmente mediante un'amorevole opera di persuasione, oppure, se questa fosse riuscita vana, ricorrendo alla sua dottrina di capofamiglia. Allorché ciò fu realizzato, egli mi pregò con molta insistenza di trasferirmi in casa sua. Le ragioni che addusse erano convincenti. Ivi mi ero recato per amore del mio ospite. Questi, adesso era in procinto di partire, giacché Padre Garnet aveva deciso che egli si trasferisse presso di lui, finché non gli fosse possibile recarsi nel continente. Inoltre, il buon prete, che era sul posto allorché io ero giunto, vi sarebbe rimasto e si sarebbe preso cura della madre di quel gentiluomo. Nel trasferimento vi era, infine, il vantaggio che io sarei stato più vicino a Londra e che nella nuova dimora, dopo la partenza del mio ospite, avrei potuto fare maggior bene che restando dove mi trovavo. Tutte ragioni, queste, che sottoposi alla considerazione del mio superiore, allorché mi recai a presentargli il mio ospite ed a lasciarlo in casa sua (19). Padre Garnet mi esortò a non lasciarmi sfuggire l'occasione, dal momento che mi si presentava spontaneamente. Nella mia nuova residenza, però, ebbi cura di far effettuare, nei limiti del possibile, ogni mutamento prima del mio arrivo. Non avevo intenzione alcuna di divenire motivo di contesa; perciò indugiai per ben due mesi prima di trasferirmi. Fu scelto un corpo di buoni e capaci servitori, per la maggior parte uomini che avevo conosciuto in altri luoghi e di cui sapevo che mi sarei potuto fidare. Né mi risultò così difficile, come avevo temuto, indurre la padrona di casa ed il vecchio sacerdote ad accettare i cambiamenti; anzi essi mi offrirono un valido aiuto per condurli a compimento, specialmente la signora, che superava tutti nelle cure che prodigava alla cappella e nella sensibilità che aveva per i miei bisogni. Ella era di temperamento abbastanza vivace e le riusciva difficile mantenere la pazienza con i servi e con gli altri. Tuttavia, la frenavo sempre e l'ammonivo di volta in volta, di solito naturalmente in sede privata, ma talvolta anche davanti agli altri, quando le circostanze lo esigevano. Mi comportai così per tutto il tempo che trascorsi nella sua famiglia. Ella prendeva ciò in buona parte e si sforzava seriamente di tenere il suo temperamento sotto controllo. Ogni giorno sembrava volermi dare nuove prove del suo rispetto e della sua affezione, come si potrà constatare in seguito. Quanto al cappellano (20), egli divenne mio buon amico, quando si accorse che la sua posizione era migliorata in seguito alla mia venuta, e spesso manifestò la sua soddisfazione con parole e con fatti. Del resto, era naturale che il rispetto nei suoi confronti aumentasse con l'incremento della pietà e della devozione nella famiglia. Di fatto, era trattato meglio di quanto non lo fosse stato in precedenza; e sebbene non tardasse ad accorgersi che la mia persona era alla base dei cambiamenti, riconobbe che egli stesso aveva più influenza di prima. Ivi viveva anche la madre del mio ospite; questa era vedova e persona di meravigliosa bontà. Il suo costante conforto erano i suoi figli, quattro maschi e quattro femmine. Tutte le figlie si fecero suore; due erano già entrate nell'ordine delle Brigidine prima del mio arrivo (21): una di esse è ora badessa a Lisbona. Le altre due furono da me aiutate a recarsi nelle Fiandre, dove sono entrate nel convento delle Agostiniane a Lovanio (22). An- che i maschi erano tutti bravi giovani. Due di essi, come ho sopra riferito, morirono nella Compagnia. Un terzo (23) intraprese la carriera militare. Questi si distinse in battaglia contro gli eretici nei Paesi Bassi e fu ucciso poco tempo fa combattendo valorosamente fino alla morte, mentre tutti gli altri intorno a lui si erano arresi. Il quarto divenne l'erede del casato e, con grande gioia della madre, si dedicò ad ogni genere di opere buone. Questa signora era un'anima di tale santità, che affermava che il mondo non aveva più nulla da darle. Il giorno in cui arrivai nella casa, ella chiese al figlio di portarmi nella sua stanza. Appena entrai, ella cadde ai miei piedi ed implorò che le permettessi di baciarmeli, giacché, ella affermava, io ero il primo membro della Compagnia che ella avesse mai visto. Io rifiutai ed allora ella baciò il pavimento sul quale stavo. Quel giorno ella fu inondata di una consolazione di spirito che non l'ha più abbandonata. Adesso, vive lontana dal figlio e mantiene nella sua casa due sacerdoti gesuiti. Quello che lei ebbe a soffrire nel frattempo sarà narrato in altro luogo. NOTE AL CAPITOLO IV 1 Questi fu probabilmente William Hanse, fratello di Padre Everard Hanse, che fu ucciso a Tyburne, perché era prete, il 31 luglio 1581. Nella lista dei “papisti e nonconformisti in alcune contee dell'Inghilterra” (1588) figura un certo “Draiton, alias Hanse del Suffolk”, che è probabilmente quel William Hanse che fu uno degli assistenti dell'arciprete. C.R.S., vol. XXII, p. 127; Camden Society, Archpriest Controversy, vol. I, p. 206. 2 William Watson, nel suo Quodlibets, elenca un gran numero di signore che consegnarono a J. G. del denaro da distribuire tra i cattolici bisognosi. JESSOP, p. 220. 3 Isabella, vedova di Edmund Fortescue di Sawston e cognata di Thomas Wiseman. JESSOP, p. 220. 4 Padre Anthony Rowse, che apostatò. Giunse a Douai il 12 settembre 1591 e vi fu ordinato sacerdote il 21 maggio 1592 insieme a Padre Thomas Everett. Tornato in Inghilterra, lavorò bene per molti anni, ma apostatò nel 1605 per timore della persecuzione. Nel 1608 tradì il nipote di Padre Henry Garnet, Padre Thomas Garnet, che fu ucciso a Tyburn il 23 giugno dello stesso anno. In seguito, quando pensava di pentirsi, un suo parente gesuita (probabilmente Padre Everett) ardì visitarlo per riconciliarlo alla Chiesa. Nel 1613 si recò in Belgio e fu accolto a Lovanio nella casa dei gesuiti inglesi dov'era rettore J. G. R. BELVEDERT, Bentivoglio Diplomatico, vol. II, pp. 282-283. 5 Thomas e John Wiseman. 6 Gli Esercizi Spirituali sono programmati in maniera da occupare un intero mese e le meditazioni sono divise in quattro settimane. Nella prima sono contemplati lo scopo della creazione, il peccato e l'inferno; nella seconda il ministero di Nostro Signore, nella terza la Passione, e nella quarta la vita risorta. 7 Quando J. G. sbarcò per la prima volta nel 1588, c'erano, secondo quanto egli attesta, soltanto altri quattro gesuiti nel paese. Nel 1606, anno in cui egli lasciò l'Inghilterra, il numero era salito a quarantacinque; nel 1614 raggiunse i cinquantanove e nel 1620 i centocinque. Nel 1632 il numero dei gesuiti inglesi, sia in patria che all'estero, era di trecentoquarantaquattro. Cfr. FOLEY, passim. 8 Anne, contessa d'Arundel. 9 Questa “casa privata”, in cui Southwell aveva la sua tipografia, era probabilmente la casa di Arundel, nello Strand, dove la contessa di Arundel visse durante la detenzione di suo marito nella Torre. Cfr. CHRISTOPHER DEVLIN, Southwell and the MarPrelates, The Month, febbraio 1948. 10 Padre Garnet divideva questo denaro “tra gli ecclesiastici, prigionieri o comunque bisognosi, e tra gli altri poveri cattolici, che soffrivano sotto la persecuzione”. Cfr. il volume manoscritto di THOMAS HUNTER, conservato a Stonyhurst ed intitolato A modest Defence of the Clergy and Religious. In una nota alle Letters of Thomas Fitzherbert (1608-1610) (C.R.S., vol. XLI, pp. 131-133), Padre L. HICKS tratta delle finanze della missione. In quei primi tempi dominava uno spirito di generosa cooperazione e tanto J. G. quanto Padre Garnet assistevano tutti i sacerdoti che si rivolgevano a loro per aiuto. Nei dieci anni che egli trascorse in missione, scriveva Garnet nel 1596 in una lettera privata al Generale, sarebbe stato difficile trovare un solo sacerdote entrato in Inghilterra senza che non fosse stato soccorso fino alla sua sistemazione. Siccome le elemosine ricevute non coprivano le spese, Garnet fu autorizzato a dispensare il patrimonio di alcuni suoi dipendenti per provvedere al mantenimento del clero inglese. A quel tempo il Dr. Barrett, preside di Douai, dichiarò che aveva ricevuto più denaro da Garnet e da Southwell che da tutti i preti secolari d'Inghilterra. Lo stesso Garnet, quando fu accusato di avarizia, si dichiarò pronto a cambiare il denaro che la Compagnia aveva in Inghilterra con quello posseduto da un prete qualsiasi scelto a sorte tra tutti. 11 Il fratello minore, John Wiseman, morì novizio nel 1592 all'età di ventun anni; il fratello maggiore, Thomas, morì a St. Omers 1'11 agosto 1596 a ventiquattro. Le annotazioni del registro di Sant'Andrea mostrano che i fratelli assunsero i due soprannomi di J. G.: John prese il nome di Starkey e Thomas quello di Standish. Stonyhurst MSS, Catalogus Primorum Patrum, FOLEY, VII, parte 2, pp. 853-854. 12 Christopher Walpole, iscritto come pensionante al Caius College 1'8 dicembre 1587, entrò nel Collegio Inglese di Roma il 2 febbraio 1592. Mori a Valladolid nel 1606. FOLEY, VI, p. 188. 13 William Wiseman. 14 Braddocks, tra Thaxted e Saffron Walden, nell'Essex. La casa fu costruita intorno al 1560 su una pianta a mezza H ed esposta ad est. Ciò che oggi ne rimane è l'ala nord che è stata adibita a fattoria. Royal Commission Hist. Monuments, Essex N. W., pp. 353-354. 15 J. G. fu probabilmente ingannato dalla modestia di Wiseman e fu indotto a credere che questo suo nuovo amico mancasse di entusiasmo per la sua fede. Nel settembre del 1586, un anno dopo la morte di suo padre e cinque anni prima d'incontrare J. G., William Wiseman era già stato arrestato ed imprigionato per aver ascoltato la Messa. P.R.O., Treasury Chamber Accounts, 2 ott. 1586. 16 J. G. si riferisce alla “Appellant Controversy”, che seminò discordia in seno ai nonconformisti e la cui propagazione procurò alla causa cattolica più danno che tutta la persecuzione. Cfr. L. HICKS, The letters of Thomas Fitzherbert, c.R.S., vol. XLI. 17 S. Ignazio, fondatore della Compagnia di Gesù. 18 L'autore, Girolamo Platus, o Piatti, era maestro dei novizi a Sant'Andrea, quando J. G. iniziò il suo noviziato nel 1588. L'opera fu pubblicata l'anno seguente e finché non fu sostituita dalla Perfezione cristiana di Alfonso Rodriguez, rimase il testo classico per l'istruzione dei novizi agli inizi della vita religiosa. 19 Henry Drury entrò nella Compagnia come Fratello e morì novizio ad Anversa il 10 settembre 1593. Arch. S. J., Roma, Germ. 171, fo1. 273. 20 Questi fu Padre Richard Jackson, secondo quanto risulta dall'atto di accusa della madre di William Wiseman. (Cfr. infra, cap. VIII). 21 Anne e Barbara Wiseman. Barbara morì a Lisbona nel 1649; Anne nello stesso luogo, l'anno seguente. C.R.S., IX, p. 1. 22 Jane e Bridget Wiseman. Entrambe entrarono a Lovanio nel convento fiammingo delle canonichesse di Sant'Agostino nella “Mi-Rue”. In questo convento, nel 1606, c'erano ventidue monache inglesi sotto la guida di una priora inglese, Madre Margaret Clement, figlia di John Clement e Margaret Griggs. Nel 1609 Jane Wiseman fondò a Lovanio, con l'aiuto di J. G., un convento inglese dello stesso ordine, Santa Monica, e lo diresse per ventiquattro anni. Di tutti i conventi inglesi quello di Santa Monica fu di gran lunga il più ligio alla casa Stuart, e nella lista delle monache professe di questo convento è rappresentata quasi ogni preminente famiglia inglese del partito giacobita. La chiesa del convento era, a quanto si dice, una delle più belle della città. Quando i Francesi invasero i Paesi Bassi nel 1794, la comunità emigrò in Inghilterra ed ora si trova stabilita a Newton Abbot. Bridget Wiseman morì nel convento di Santa Monica nel 1627; nello stesso convento morì pure Jane sei anni dopo. PETER GUILDAY, English Catholic Refugees, pp. 282-285. 23 Robert Wiseman. V. BRADDOCKS Inverno 1591 - Primavera 1594 Quando la famiglia si adattò a questa nuova vita, io potei trovare del tempo per lo studio (1) e per alcuni viaggi missionari. Il mio impegno, comunque, fu quello di curare che tutta la famiglia si avvicinasse frequentemente ai sacramenti. Ad eccezione della vedova, gli altri usavano accostarsi ad essi al massimo quattro volte all'anno: adesso ciò avveniva ogni settimana. Nei giorni festivi, e normalmente nelle domeniche, io predicavo in cappella ed istruivo tutti sul modo di esaminare la coscienza ed insegnavo, a coloro che ne avevano il tempo, la maniera di meditare. Un'altra pratica che avviai fu la lettura di libri ascetici, cosa che noi attuavamo perfino a tavola quando non erano presenti né ospiti né visitatori. Quelli erano i tempi in cui i preti erano soliti prendere i pasti insieme alla famiglia e spesso in abiti ecclesiastici. Naturalmente, io avevo con me una talare ed una beretta; ma Padre Garnet ci proibì di indossarle fuori della cappella. Quasi in ogni viaggio cercavo di condurre della gente in chiesa. Ma vi è una grande differenza tra questi paesi, in cui stavo allora lavorando, e le altre parti dell'Inghilterra. Negli altri luoghi, in cui una gran parte della popolazione è cattolica e quasi tutti hanno un'inclinazione per il cattolicesimo, è facile fare molte conversioni e radunare grandi assemblee alle prediche. Nel Lancashire, ad esempio, ho visto con i miei occhi più di duecento persone che ascoltavano la Messa e la predica. Questa gente viene in chiesa senza difficoltà, ma si dilegua quando scoppia la persecuzione. Quando cessa l'allarme, essa torna di nuovo. Invece, nei distretti in cui allora vivevo, i cattolici, erano molto pochi. La maggior parte di essi apparteneva alle classi più elevate; nessuno o pochissimi, apparteneva al popolo minuto, giacché per i popolani è impossibile vivere in pace, circondati come sono da protestanti molto fanatici. L'unico modo di operare conversioni, da queste parti, è quello di conquistare prima la nobiltà, quindi la servitù, perché i nobili cattolici debbono avere servi cattolici. A quel tempo, accolsi nella Chiesa il fratello della mia ospite (2). Egli era l'unico figlio di un cavaliere e si dimostrò sempre uno dei miei più cari amici. In seguito, sposò una cugina del famoso duca di Feria, ed entrambi sono molto devoti ai nostri padri. Essi ne tengono sempre uno nella loro casa, talvolta anche due o tre, senza curarsi affatto del pericolo dei tempi. Nello stesso anno inviai felicemente in Francia la figlia e tre figli di un gentiluomo cattolico (3). La ragazza (4) entrò nel convento agostiniano di Lovanio e divenne la favola del luogo per la sua santità. Anche adesso, dopo la sua morte, parlano di lei con venerazione e si riferiscono a lei come alla “santa”. La sua stima ed il suo amore per la vita religiosa era veramente grande e mi si dimostrava grata in maniera imbarazzante per la piccola parte che io avevo avuto nella sua vocazione. Era solita decantare i miei pregi alla comunità ed in maniera così entusiastica, che quando giunsi in visita a Lovanio la folla si accalcava per vedermi. Scoprii perfino che una delle suore fiamminghe, che le era molto affezionata mentre era in vita, si era impegnata ad imparare l'inglese, semplicemente per fare con me la sua confessione. Altre stavano facendo lo stesso. Che la Provvidenza fosse qui in opera, posso accertarlo dal fatto che ciò procurò la salvezza di alcune anime che altrimenti non si sarebbero mai confidate con me. I suoi tre fratelli appartennero al primo stuolo di allievi a St. Omers. Uno di essi morì in Spagna subito dopo aver lasciato la scuola; il secondo, erede del patrimonio familiare, fu ucciso dietro accusa di tradimento, ma in realtà morì martire per la fede (5); il terzo vive e lavora ancor oggi in Inghilterra, dove è un buon prete ed un grande amico dei nostri padri (6). Più sopra ho accennato alle sorelle del mio ospite. Ci volle alquanto tempo per organizzare la loro partenza per l'estero. Prima che partissero, avevo persuaso la loro madre che sarebbe stata cosa buona se ella, tornando nella propria casa (7), vi ospitasse un prete che le avevo raccomandato. Avevo intuito che quest'anima così nobile e generosa sarebbe diventata il sostegno di molti, cosa che infatti si avverò. La sua casa fu un rifugio ed una sicura fortezza per i gesuiti e per tutti i preti; e quando io e gli altri la visitavamo, ella ci accoglieva con grande gioia. Talvolta cominciava a battere le mani o a dare qualche altro segno della sua contentezza. Era una vera vedova, dedita ad ogni buona opera e piena di zelo. Per non menzionare molte persone di inferiore posizione sociale, che ella condusse a me per farle riconciliare, ci fu una nobile signora che ella era quasi riuscita a convertire (8). Questa era una sua vicina. Era la sorella del conte di Essex (allora al culmine del suo favore presso la regina) ed era sposata con il più ricco signore dell'intero paese. Sebbene conducesse una vita di frivolezze, fu condotta al punto di dichiararsi pronta ad incontrare un sacerdote, purché questi potesse venire all'insaputa di tutti. La buona vedova mi comunicò la cosa. Così mi recai apertamente a casa sua e, secondo un accordo che avevamo fatto, mi rivolsi a lei fingendo di portarle un messaggio da parte di un'altra nobile signora, che era sua parente (9). Pranzai alla sua tavola con tutti i familiari e quindi le parlai in privato per tre ore abbondanti. Prima sciolsi tutti i dubbi che ella sollevò sulla fede; quindi tentai di stimolare la sua volontà. Prima della mia partenza, ella mi chiese di insegnarle a prepararsi per la confessione e fissammo un giorno. Quindi mi scrisse protestando seriamente che non c'era nulla al mondo che ella desiderasse tanto, quanto manifestarmi i segreti più profondi del suo cuore. Ma i giudizi di Dio sono insondabili ed è terribile esporsi alla tentazione di peccare. A Londra c'era un gentiluomo, che l'amava di un amore profondo e paziente (10). Ella gli scrisse per comunicargli il passo che si era proposta di fare, intendendo, forse, romperla con lui. Ma ella destò una vipera addormentata. Egli si precipitò immediatamente da lei e cominciò a dissuaderla dal suo proposito con ogni mezzo a sua disposizione. Era un protestante abbastanza colto e la persuase abilmente a chiedere alla sua “guida” la soluzione di certi dubbi che egli stesso nutriva intorno alla fede (11). Le assicurò che, se ne fosse convinto, anch'egli sarebbe divenuto cattolico. Intanto, la supplicò a non fare nessun passo irrevocabile, se desiderava che egli non si suicidasse. Egli riempì due interi fogli sul papa, sul culto dei santi e su questioni del genere. Nella lettera di lui la signora accluse una nota vergata di proprio pugno, in cui mi pregava di farle la gentilezza di rispondere, perché sarebbe stato un gran guadagno se fossimo riusciti a convertirlo. Ma l'uomo non aveva alcuna intenzione di apprendere la verità; desiderava soltanto rimandare la conversione di lei. Egli ricevette tutte le mie soluzioni, che erano anche molto lunghe, ma non diede alcuna risposta. Nel frattempo tentò di condurla a Londra. Riuscì prima a persuaderla a rimandare la sua riconciliazione e poi ad abbandonare del tutto l'idea. In tutto questo tempo, egli lavorava alla sua rovina. Più tardi ritornò trionfatore dall'Irlanda. Aveva ben amministrato il paese ed aveva sconfitto le forze spagnole che vi erano sbarcate (in quella occasione condusse prigioniero il conte di Tyrone, il più valido oppositore dell'eresia nell'isola ed il più saldo sostegno della vecchia fede) e per i suoi meriti fu creato conte da Sua Maestà regnante. Ma il pover'uomo che aveva conquistato gli altri non fu capace di conquistare se stesso! L'amore che nutriva per questa donna lo riduceva uno schiavo impotente. La sua follia lo spinse ad eccessi; la cosa si riseppe a corte e cadde in pubblica disgrazia. Ciò fu più di quanto potesse sopportare. Incapace di liberarsi da questa infatuazione, morì di crepacuore. Con l'ultimo respiro egli invocò, non Dio, ma la sua dea, il suo “angelo”, come la chiamava, e la lasciò sua unica erede. Una fine miserabile, in verità, dopo aver rovinato il suo buon nome. Sebbene la donna fosse ora più ricca che mai, i suoi pensieri tornavano spesso al dimenticato proposito. Spesso cominciava a parlare di me con una delle sue damigelle d'onore che era cattolica. E quando, circa tre anni fa, questa ragazza si trasferì in Belgio per farsi suora (12), mi narrò la cosa e mi suggerì di scriverle per vedere se fosse possibile suscitare la fiamma dalla cenere (13). Stavo infatti scrivendo una lettera, quando venni a sapere che ella era morta di febbre. Per fortuna era stata riconciliata con la Chiesa sul letto di morte da uno dei nostri padri. Mi accorgo che ho indugiato troppo in questa storia, ma desideravo mostrare come la Provvidenza di Dio avesse agito nei suoi riguardi e come il Suo giudizio fosse ricaduto sull'amante che aveva ritardato la conversione di lei. NOTE AL CAPITOLO V. 1 Probabilmente, J. G. lavorava allora alla traduzione dell'Esortazione di Gesù Cristo all'anima fedele del certosino LANSPERGIO (Johann Landsberger), che fu pubblicata clandestinamente a Londra nel 1598. NATHANIEL SOUTHWELL, Bibl. Scriptorum Soc. Jesu, p. 452. 2 Henry Huddlestone, di Sawston, presso Cambridge. Dal tempo di J. G. fino ad oggi Sawston, a circa cinque miglia a sud di Cambridge, è rimasta un centro cattolico. Henry Huddlestone sposò Dorothy, figlia di Robert, primo Lord Dormer. Questa era cugina del duca di Feria, ma solo per affinità per parte del marito. MORRIS, p. 97. 3 Richard Rookwood, di Coldham, vicino Bury St. Edmunds. Coldham, a cinque miglia e mezzo a sud-est di Bury St. Edmunds, fu un altro centro cattolico stabilito da J. G. e continuò a prosperare durante tutta la persecuzione. I Rookwood furono tra i primi allievi della scuola di St. Omers. Henry Walpole, che passò da St. Omers il 13 novembre 1593, dichiarò nel suo interrogatorio che “a St. Omers c'erano anche tre o quattro Rookwood, tutti fratelli, e quattro Mallet, ovvero Ilesleys, che erano arrivati di recente”. C.R.S., vol. V, p. 262. 4 Dorothy Rookwood. Era stata due anni nel Belgio prima di entrare in religione. Il 5 giugno 1595 aveva fatto la professione nel convento fiammingo di Sant'Orsola a Lovanio insieme a Bridget Wiseman e Margaret Garnet, sorella di Padre Garnet. Morì nel 1607 “dolcemente come visse, perché era un'anima mite e virtuosa, dolce ed affabile nella conversazione ed amata da tutte le sorelle”. ADAM HAMILTON, Chronicle of St. Monica's Convent, vol. I, p. 23. 5 Ambrose Rookwood. Fu ucciso al tempo della congiura delle polveri. “Ma ciò che spinse [i cospiratori] a scegliere specialmente Mr. Rookwood, scrive J. G. nel suo Narrative of the Gunpowder Plot, fu, suppongo, non tanto il desiderio di fruire del suo aiuto mediante la sua vita e la sua persona, e di un'abbondante riserva di cavalli che quello possedeva in gran numero e di ottima qualità, ma perché lui stesso era conosciuto come uomo di grande virtù e di pari coraggio e di non minore segretezza. Era, inoltre, uomo di grande talento e di profonda cultura, avendo trascorso nello studio molto tempo della sua giovinezza. A quel tempo (1606), aveva, ritengo, non più di ventisei o venti sette anni ed aveva sposato una ragazza cattolica molto virtuosa, appartenente ad un grande casato, dalla quale ebbe numerosi bambini. Fu ucciso nel cortile del Palazzo Vecchio a Westminster il 31 gennaio 1606. Narrative, pp. 85.86. 6 Costui è Robert Rookwood. Questi entrò nel Collegio Inglese nell'ottobre 1598, all'età di sedici anni, e fu ordinato il 1° agosto 1604. Nel 1613 (dopo che J. G. aveva scritto l'autobiografia), entrò nella Compagnia ed operò per molti anni nel distretto del Suffolk. Nel 1624 la spia Gee lo descrive come “un uomo piccolo e bruno, molto sensibile e galante, che abitava a metà di Drury Lane ed era in relazione con delle nobildonne decadute”. FOLEY, I, p. 676; VII, parte 2, p. 670; C.R.S., XXXVII, p. 110. 7 A Northend, nella parrocchia di Great Waltham, Essex. 8 Penelope Rich, la più celebre bellezza del suo tempo. Era figlia di Walter Devereux, primo conte di Essex. Fu costretta ad un matrimonio infelice con Robert, terzo Lord Rich, in seguito conte di Warwich. Sir Philip Sidney in uno dei sonetti dedicati alla sua “Stella” fa allusione a questo matrimonio, giocando sul nome del marito: “Ella non ebbe sfortuna alcuna, tranne quella di essere Ricca”. Era vicina dei Wiseman e le due famiglie erano imparentate. Quando la casa della signora Wiseman a Northend fu attaccata, la vedova percorse tutta la strada a cavallo fino alla casa di Lord Rich a Leighs, nella stessa contea. Poco prima che J. G. la incontrasse, Penelope era divenuta l'amante di Lord Mountjoy, dal quale ebbe tre figlie e due figli. Morì circa dodici mesi dopo Mountjoy. D.N.B., XLVIII, p. 120. 9 Dorothy, moglie di Henry Perey, nono conte di Northumberland. 10 Charles Blount, ottavo Lord Mountjoy. Nel giugno del 1603, al suo ritorno dall'Irlanda, Montjoy condusse con sé, a Wanstead, O' Neil, conte di Tyrone, per consentirgli di fare atto di personale sottomissione a Giacomo I. Egli fu allora nominato conte del Devonshire e il 26 dicembre 1605 sposò Lady Rich dopo la sentenza di divorzio, che la separava dal marito ancor vivente. Qualche mese dopo, il 3 aprile 1606, morì di polmonite e non, come dice J. G., di crepacuore. Siccome il matrimonio fu celebrato sfidando le recenti disposizioni di disciplina ecclesiastica decretate nel 1604, ciò recò una grave offesa al re e ritardò la promozione di William Land, che, quale cappellano del conte, aveva celebrato il matrimonio nella sua casa di Wanstead. Fynes Moryson, segretario di Mountjoy (1600-1602), lo descrive come uomo “di alta statura, di proporzioni armoniose e dai capelli nerastri. La fronte era larga ed alta, i grandi occhi neri e belli, il naso alquanto basso, corto e un po' schiacciato all'estremità, le guance paffute, rotonde e rubiconde, l'aspetto gaio”. The Complete Peerage, vol. IX, p. 346. 11 “Il suo più grande piacere era lo studio della Teologia e, in particolar modo, la lettura dei Padri e degli Scolastici... ed oserei dire che, pur trattandosi di un laico, egli fu (secondo il mio giudizio) il miglior predicatore che io avessi mai ascoltato, specialmente nelle controversie con i papisti”. FYNES MORYSON, History of Ireland (ed. 1735), vol. I, p. 110. 12 Tra le professe del convento inglese di Bruxelles si trovava “Mistress Deacon, in precedenza dama di compagnia di Lady Rich”. Edmondes a Salisbury, 16 aprile 1617. S. P. Flanders, vol. VIII, p. 274. 13 Nata nel 1581 a Huggerstone, nel Middlesex, la Deacon entrò nel convento di Bruxelles 1'11 gennaio 1606, proprio un anno prima che Edmondes inviasse questa informazione a Salisbury. Fece la professione il 29 aprile 1608 e mori a Cambrai nel 1645. Suo padre divenne cistercense. C.R.S., vol. XIV, p. 179; BIRT, Obit Book O.S.B., p. 214. VI. PERQUISIZIONE A BADDESLEY CLINTON Ottobre 1591 Durante questa mia permanenza feci, all'occasione, dei lunghi viaggi nelle regioni del nord. La rotta che facevo passava per la mia casa e per molti luoghi che appartenevano a parenti e a gente che ben conoscevo. Tuttavia, potei realizzare ben poca cosa in quelle contrade, sebbene molte persone mi professassero una calda amicizia. Infatti, ho sperimentato personalmente la verità di quel detto di Nostro Signore secondo il quale “nessuno è profeta nella sua patria”; ed io non fui mai desideroso di trattenermi molto a lungo con loro (1). Durante uno di questi viaggi mi capitò di invertire la rotta e visitare un parente cattolico. Giunsi da lui, proprio mentre stava uscendo per unirsi ad una grande caccia, per la quale si erano radunati tutti i suoi amici. Egli mi invitò ad andare con lui, giacché era ansioso che io convertissi un gentiluomo che recentemente aveva sposato una nostra cugina. Risposi che sarebbe stato meglio rimandare ciò ad un altro giorno. Egli insistette, tuttavia, dicendo che se non afferravo adesso l'occasione, non sarei stato mai più in grado di avvicinarlo. Così risolsi di andare e di avvicinare quell'uomo; cavalcai tutto il giorno in sua compagnia, improvvisandomi io stesso cacciatore di un cacciatore. Ogni qualvolta la muta perdeva la pista e cessava di abbaiare, usavo la pausa per fare la mia piccola caccia e cominciavo a parlare con tutta serietà. Dal discorso sull'affanno che ci stavamo prendendo per cacciare un povero animale, sviai la conversazione sulla necessità di ricercare un premio eterno e di escogitare la maniera di accaparrarcelo, nonostante tutte le pene e le fatiche che questo richiedeva. Il demonio, dissi, non si concedeva riposo ma tentava sempre, come un cane, di metterci alle strette: l'uomo, naturalmente, era più scismatico che eretico ed era necessaria un po' di polemica. Ma fu solo dopo molto discutere che riuscii ad influenzare la sua volontà. Per tutto quel giorno e durante il successivo, lavorai attorno a lui. Il quarto giorno si arrese e divenne cattolico. Egli pratica ancora la sua religione e spesso alloggia dei sacerdoti nella sua casa e li introduce presso altre famiglie. Prima di proseguire debbo narrare un' altra storia riguardo allo stesso gentiluomo. Si tratta di una storia interessante. Un giorno gli capitò di andare a visitare un suo amico che era a letto ammalato. Sapendo egli che quel gentiluomo non era un eretico pervicace, bensì un brav'uomo che si era lasciato sviare, cominciò ad istruirlo sulla fede. Lo persuase che, siccome egli era gravemente ammalato, era tempo che cominciasse a pensare alla sua eterna salvezza. Le sue parole centrarono il bersaglio ed il malato lo pregò di trovare un prete che ascoltasse la sua confessione. Nel frattempo il suo amico lo istruiva sul modo di stimolare il dolore dei suoi peccati e di prepararsi ad una confessione generale. Quindi se ne andò. A quel tempo, egli non aveva nessun prete in casa sua e non ne poté trovare subito uno. Intanto il gentiluomo morì, naturalmente con un grande desiderio di confessarsi, giacché domandava continuamente quando sarebbe tornato il suo amico che gli aveva promesso di portare con sé un medico. (I sacerdoti passano normalmente per medici, quando visitano le case dei malati). Sembra che questi pii desideri abbiano reso un buon servigio al morente. Dopo la sua morte, la moglie vedeva ogni notte una specie di luce solcare l'aria della sua stanza e passare per le cortine del letto. Impaurita, ordinò alle cameriere di portare i loro letti nella sua stanza e di restare con lei durante la notte. Ma esse non videro assolutamente nulla. Solo la padrona continuava a vederla ogni notte e ne restava turbata. Alla fine ella mandò a chiamare l'amico cattolico di suo marito, gli narrò tutto quello che stava accadendo e gli chiese di recarsi da qualche dotto per conoscere il suo parere. Questi, a sua volta, si rivolse ad un prete, il quale gli consigliò di dire alla signora che la strana luce significava, probabilmente, che ella sarebbe pervenuta alla luce della fede. Il suo amico tornò con questa risposta ed ella si fece cattolica. Dopo la conversazione fece celebrare la Messa per lungo tempo in quella stanza. Tuttavia, la luce continuava ad apparire ogni notte, e la vedova era più preoccupata che mai. Il prete, quindi, prese a consultare altri sacerdoti. La risposta che essi diedero fu la seguente: probabilmente suo marito si trovava sulla strada del cielo (in cuor suo egli era stato cattolico ed aveva desiderato ricevere i sacramenti), ma aveva ancora bisogno di preghiere per purificare la sua anima. Egli suggerì quindi che si celebrasse per lui la Messa per trenta giorni, secondo la vecchia usanza del paese. La signora provvide a ciò ed ella stessa fece più volte la comunione con questa intenzione. La notte dopo la celebrazione dell'ultima Messa in quella stanza, apparvero tre luci invece di quella solita, e sembrava che le due esterne sostenessero fra loro la terza. Tutt'e tre passarono per le cortine del letto e, dopo essersi soffermate per pochi secondi, si innalzarono verso il cielo passando attraverso la copertura del baldacchino, lasciando nel suo cuore un grande conforto. Non apparve più nulla del genere ed ella interpretò la cosa come un segno che l'anima di suo marito era stata liberata dalle sofferenze ed era stata portata in cielo dagli angeli. Ciò accadde nella contea di Stafford. Lo scopo di questi viaggi verso l'estremo nord era sempre quello di visitare e di incoraggiare certe persone che fornivano un grande appoggio alla nostra causa comune. Tra la gente che solevo visitare vi erano due sorelle. Erano le figlie di uno dei più vecchi conti del paese che era morto martire per la fede (2). A quel tempo, le due donne vivevano nella stessa casa e volevano che io restassi definitivamente con loro, non che mi limitassi a visitarle solo occasionalmente. Ciò era impossibile; tuttavia, esse si posero sotto la mia direzione spirituale. La sorella maggiore era madre di famiglia e diventò un vero e proprio pilastro a sostegno della chiesa perseguitata in quelle parti (3). Ella albergava nella sua casa due sacerdoti ed accoglieva con grande gentilezza tutti gli altri che si trovavano di passaggio (e ve n'erano molti, perché quella parte del paese era ben fornita di preti; ed i cattolici erano numerosi, sebbene appartenessero per la maggior parte alle classi basse). Di fatto, ogni volta che mi recavo da lei, incontravo sempre dai sei ai sette sacerdoti, prima di ripartire. I suoi aiuti si estendevano sull'intero distretto, almeno fino al tempo in cui fui catturato e gettato in prigione. Successivamente, suo marito la persuase a trasferirsi a Londra. Nessuno dei due trasse vantaggio da questo trasferimento ed i poveri cattolici del distretto patirono una grave perdita. L'altra sorella, Dio la riservò a sé. Ella era nubile, molto umile e modesta ed aveva una profonda inclinazione per le cose celesti. Passava molto del suo tempo in preghiera, e sembrava che il mondo perdesse ai suoi occhi ogni attrattiva e che solo il cielo le risplendesse. In seguito la mandai in Belgio da Padre Holt, il quale mi scrisse queste parole: “Nessuna persona, che sia mai venuta qui dal nostro paese, ha destato maggiore edificazione, né ha fatto di più per innalzare il buon nome dell'Inghilterra”. Ella fu la principale fondatrice del convento delle benedettine inglesi a Bruxelles, dove vive ancora oggi (4). Ella ha raggiunto una grande santità ed un grande rinnegamento di sé; ed è suo costante desiderio condurre una vita più ritirata. Chiede spesso al suo direttore il permesso di diventare una reclusa; ma questi non è del suo avviso ed ella si è sottomessa al suo parere. All'inizio, solevo portare con me tutto l'occorrente per la Messa. Esso era semplice, ma decoroso; ed era fatto in maniera da essere facilmente trasportato, insieme alle altre cose di cui avevo bisogno, dall'uomo che fungeva da mio servitore. In tal modo potevo celebrar Messa, al mattino, dovunque alloggiassi; prima, però, mi preoccupavo di esaminare ogni angolo della stanza per accertarmi che nessuno mi osservasse attraverso le fessure. Debbo aggiungere che solo raramente i miei ospiti potevano fornirmi le cose necessarie alla Messa e che, di conseguenza, dovevo portarle io stesso. Ma, dopo pochi anni, non ci fu più bisogno di far ciò. Quasi in tutte le case che visitavo trovavo pronti ormai i paramenti ed ogni altra suppellettile. Inoltre, non passò molto che ebbi sulla mia rotta tanti amici, e così vicini l'uno all'altro, che non avevo mai bisogno di fermarmi in una locanda in un viaggio di centocinquanta miglia. Negli ultimi due anni non ricordo di aver dormito una sola notte in una di esse. Nel corso dell'anno, ero solito vedere il mio superiore diverse volte. Spesso avevo delle questioni importanti da trattare con lui. E regolarmente due volte all'anno, tutti noi ci incontravamo per fornirgli il rendiconto semestrale della nostra coscienza e per offrire a Nostro Signore Gesù la rinnovazione dei voti. Posso testimoniare che questa buona pratica della Compagnia fu di grande aiuto agli altri (5), e, per parlare soltanto di me, (vi esprimo semplicemente il mio sentimento), io non trovai mai nulla che mi facesse maggior bene. Essa confermò il mio spirito nel proposito di soddisfare a tutti gli obblighi della mia condizione di gesuita e a tutti i doveri di un prete di missione. Prescindendo dalla consolazione che mi proveniva dal rinnovamento dei voti, sperimentai un nuovo vigore ed uno zelo ardente e rinnovellato. Se, quindi, fallivo nel mio lavoro, non dipendeva da un difetto della Compagnia, che mi provvedeva di mezzi del genere e mi offriva tutta l'assistenza per tendere alla perfezione, che rappresenta il suo fine. In una occasione, eravamo tutti radunati nella casa in cui viveva Padre Garnet (6), giacché a quel tempo egli era ancora nel paese. Avevamo tenuto diverse conferenze ed il superiore ci aveva ricevuti singolarmente per un colloquio privato. Improvvisamente, uno di noi sollevò la questione: che cosa avremmo dovuto fare, se i “cacciatori di preti” avessero fatto irruzione senza un preallarme? (Noi eravamo parecchi, mentre il numero dei nascondigli era insufficiente per riparare tutti: eravamo, infatti, nove o dieci gesuiti ed alcuni altri preti, oltre pochi laici che erano costretti a vivere nascosti). Padre Garnet rispose: “È vero, non dovremmo incontrarci tutti allo stesso tempo, ora che le nostre file si accrescono di giorno in giorno. Tuttavia, siamo riuniti per la gloria di Dio. Finché non avremo rinnovato i voti, la responsabilità sarà mia; dopo sarà vostra”. Fino al giorno in cui rinnovammo i voti, egli non diede alcun segno di apprensione; ma subito dopo ci invitò a badare a noi stessi ed a non soffermarci senza una ragione più che plausibile. “Io non posso garantire più a lungo la vostra incolumità”, ci disse. A quelle parole, subito dopo il pranzo, una parte del gruppo montò subito a cavallo e si allontanò. Rimasero cinque gesuiti e due preti secolari (7). Erano le cinque del mattino seguente. lo stavo facendo la meditazione, Padre Southwell stava iniziando la Messa e gli altri erano in preghiera, quando improvvisamente avvertii un grande strepito fuori della porta principale. Quindi udii una voce che urlava ed imprecava contro un servo che voleva impedire l'entrata. Erano i “cacciatori di preti” o persecutori, come venivano chiamati. In tutto erano quattro, avevano brandito le spade ed avevano cominciato ad abbattere la porta per forzare l'accesso. Ma un servo fedele li tenne a bada, altrimenti saremmo stati tutti catturati. Padre Southwell avvertì il frastuono. Indovinò subito di che si trattava, si spogliò dei paramenti e denudò l'altare. Nel mentre, noi afferrammo tutti gli oggetti personali: non fu lasciato nulla che potesse tradire la presenza di un prete. Furono nascosti perfino i nostri stivali e le nostre spade: tali cose avrebbero destato sospetti, se non fossero state trovate le persone alle quali appartenevano. I letti rappresentavano un problema. Siccome erano ancora caldi ed appena coperti alla maniera in cui si lasciano prima di farli riassettare, alcuni di noi si precipitarono a rivoltarli, volgendo al soffitto la superficie fredda, al fine di trarre in inganno chiunque intendesse palparli. Fuori, quegli scalmanati continuavano a schiamazzare e ad abbaiare, ma i servi tenevano serrata la porta. Essi dissero che la padrona di casa che era vedova non era ancora alzata, ma sarebbe venuta giù subito per rispondere loro. Questo ci concesse il tempo sufficiente per occultarci insieme con le nostre cose in una specie di antro sotterraneo. Alla fine quei leopardi poterono entrare. Si dispersero all'impazzata per tutta la casa, frugarono dappertutto, rovistarono alla luce delle candele negli angoli più oscuri. Impiegarono quattro ore in questa ricerca, ma fortunatamente non riuscirono a nulla. Ciò che essi fecero fu di mostrare quanto potessero essere pervicaci e dispettosi, e quanto i cattolici fossero pazienti. Alla fine se ne andarono, ma solo dopo essere stati pagati per il loro incomodo. Già, perché tale è la sorte miseranda dei cattolici: quando degli uomini arrivano con l'autorizzazione di rovesciare le loro case in questa o in quell'altra maniera, sono essi, i cattolici, e non le autorità che li mandano, quelli che debbono pagare. Come se non fosse sufficiente soffrire, essi debbono pagare le loro sofferenze. Quando si furono ben bene allontanati, così che non vi era alcun pericolo che potessero tornare improvvisamente indietro, come talvolta sono soliti fare, una donna venne a chiamarci fuori del nostro ricettacolo, che aveva ospitato non uno ma diversi Danieli. Il nascondiglio si trovava sotto il livello del suolo; il pavimento era allagato ed io rimasi per tutto il tempo con i piedi a bagno. Con me c'erano Padre Garnet, Padre Southwell e Padre Oldcorne (tre futuri martiri), Padre Stanney (8), due preti secolari e due o tre laici. Così, quel giorno, fummo tutti salvi. Il giorno seguente Padre Southwell ed io partimmo insieme a cavallo, come eravamo venuti. Ma Padre Oldcorne rimase, poiché il luogo dove abitava non era molto distante (9) ___________________________________________________________ _ NOTE AL CAPITOLO VI. 1 In compagnia di William Wiseman e del suo domestico Richard Fulwood, J. G. si trovava a Bryn, nel Lancashire, presso Lady Gerard qualche tempo prima della festa di S. Michele del 1592. S.P.D., CCXLVIII, n. 103. 2 Thomas Percy, conte di Northumberland, decapitato a York nel 1572. 3 Lady Elizabeth Percy, moglie di Richard Woodroff di Wooley, Royston, nel West Riding. I rapporti del 1592-1593 la segnalano come ostinata non-conformista. C.R.S., vol. XVIII, p. 79. 4 “Lady Mary Percy, figlia del grande conte di Northumberland, e molte altre persone insigni lasciarono il proprio paese e si ritirarono nelle Fiandre, vivendo a Bruxelles in grande ritiratezza e devozione. Quindi passarono alla determinazione di condurre vita religiosa e di fondare un monastero. Dopo aver conferito su tali buoni propositi col molto Rev. Padre Holt della Compagnia di Gesù, riuscirono presto, mediante il suo consiglio, in questa grande opera. Adottarono la regola di San Benedetto e scelsero il suo santo ordine, che fra tutti gli altri era stato fino a quel tempo il più fiorente in quel regno ormai eretico, sperando che in futuro esso potesse tornare di nuovo per loro un paese felice ed ospitale”. Annals of the English Benedictine Nuns (C.R.S., vol. VI, p. 2). Questo fu il primo convento inglese fondato dopo la Riforma. Nel 1794 la comunità si trasferì a Winchester, quindi, nel 1857, a East Bergholt e infine, nel 1863, a Teignmoutb. 5 In una lettera dell'8 marzo 1590 Padre Southwell descrive una riunione precedente del genere. “Abbiamo insieme rinnovato con grande contentezza i nostri voti... Aperuimus ora et attraximus spiritum. Mi sembra d'intravvedere in Inghilterra l'instaurazione di una nuova vita religiosa, della quale ora noi spargiamo i semi in lacrime, affinché altri possano poi con gioia ammassare i covoni nei granai celesti. Abbiamo can- tato gl'inni del Signore in una terra straniera e nel deserto abbiamo succhiato il miele dalla roccia e l'olio dalle dure pietre. Ma queste nostre gioie si sono mutate in dolori, mentre timori improvvisi ci hanno dispersi in luoghi differenti. Alla fin fine, però siamo più impauriti che danneggiati, perché tutti siamo scampati”. R. CHALLONER, Memoirs of Missionary Priests, pp. 213-214. 6 “Noi avevamo scelto la stessa abitazione che in precedenza avevamo sempre utilizzato a tale scopo, appartenente a due sorelle, una vedova [Mrs. Eleonor Brooksby] e una nubile (Miss Anne Vaux)”, poiché aveva “un rifugio molto sicuro e una cantina ben nascosta”. La riunione durò dal 14 al 19 ottobre 1591. Garnet ad Aquaviva, 17 marzo 1594. Stonyhurst MSS, Anglia, I, n. 73. 7 “A tavola, nella festa di San Luca, - afferma Padre Garnet - non so quale ispirazione mi fece parlare come segue. Dissi, infatti, che avevo fino allora preso sopra di me ogni responsabilità, ma non intendevo più garantire la loro incolumità dopo la fine del pranzo”. Stonyhurst MSS, ibid. 8 Originario del Wiltshire, Padre Stanney entrò nella Compagnia come sacerdote nell'aprile 1589. Più tardi successe a Padre Southwell come cappellano della contessa di Arundel. Al tempo della congiura delle polveri fu sconvolto mentalmente per un certo periodo e fu esiliato nella primavera del 1606. Morì a St. Omers il 19 maggio 1617. 9 Una descrizione del nascondiglio sotterraneo si trova nell'appendice B. Padre Garnet fornisce una relazione più dettagliata di questa perquisizione in una lunga lettera scritta in latino al suo generale, Padre Aquaviva, in data 19 novembre 1593. Egli racconta come al sopraggiungere dei persecutori, tutto era stato preparato per la partenza dei sacerdoti. “Si era pensato ai cavalli... i servi e le serve erano occupati in diverse faccende... alcuni preparavano la colazione, altri pulivano gli stivali, altri tiravano fuori i mantelli e tutto il necessario per il viaggio. Ad un tratto, un giovane, uscito dalla casa, notò uno sconosciuto e si ritirò subito serrando a chiave la porta davanti a lui. Nel mentre, due servi cattolici si accorsero di quello che stava succedendo. Scesero di corsa nelle stalle e ne tornarono armati di attrezzi agricoli. Con questi presero a minacciare gli ufficiali che intanto avevano gentilmente chiesto di entrare. All'interno nel frattempo si provvedeva a sbarrare la porta che era già stata chiusa a chiave. Allorché fu tutto nascosto, furono ammessi gli ufficiali. Con grande abilità Miss Vaux evitò che il gruppo dei perquisitori entrasse nella stalla, dove avrebbero trovato tutti i cavalli pronti per la partenza dei sacerdoti. Alla fine della perquisizione questi uscirono tutti dal loro nascondiglio e celebrarono la Messa”. Questa narrazione consta di circa 2.500 parole e rappresenta quasi un quarto dell'intera lettera. Stonyhurst MSS, Anglia, I, n. 73. VII. PADRE OLDCORNE Dopo aver menzionato Padre Oldcorne, debbo spiegare brevemente come egli andò a vivere lì. Appena giunto in Inghilterra, egli si trattenne presso il superiore, poiché non aveva una casa propria nella quale andare. A pochissima distanza da questo luogo, sorgeva una bellissima abitazione appartenente ad un gentiluomo cattolico (1). A quel tempo costui era imprigionato per la fede nella Torre di Londra. Sua sorella (2) era protestante. Ella era stata educata alla corte della regina ed ivi aveva attinto così abbondantemente all'eresia, che non si poteva trovare nessuno che fosse in grado di guarirla. Molti, infatti, avevano tentato, giacché ella amava conversare di religione, senza avere, però, la minima intenzione di apprendere alcunché: si è che ella si dilettava di un buon argomento. A causa della sua ostinazione, quella buona casa cattolica ci fu preclusa, finché ella l'amministrò in assenza del fratello; e non c'era una casa più bella in tutto il paese. Ben costruita e situata al centro di una piacevolissima contrada, rappresentava l'ideale come centro cattolico (3). Dopo che un buon numero di preti aveva tentato senza successo di convertire la gentildonna, Padre Garnet pensò a Padre Oldcorne e lo pregò di operare un ulteriore tentativo. Il padre andò, ma la trovò ostinata come non mai. Egli tentò gli argomenti tratti dalla Scrittura, gli argomenti di ragione e di autorità, ma non approdò a nulla. Tuttavia, la sua insistenza prevalse sull'ostinazione della donna, giacché, rivolgendosi a Dio, egli volle provare se riusciva a scacciare il demonio muto con la preghiera e con il digiuno. La signora notò che il padre non aveva mangiato nulla per l'intera giornata, e quindi ancora per un'altra. Ciò la fece meravigliare, ma ella continuò a mantenere la maschera dell'ostinazione. “Forse non è un uomo, ma un angelo”, disse a se stessa. Quindi, con una curiosità prettamente femminile si propose: “Voglio vedere se riesce a vivere come gli angeli. Se non ci riesce, non mi convertirà”. Per quattro interi giorni il prete mantenne il digiuno. Alla fine, pose in fuga il demonio e la donna “fu guarita da quell'ora”. Padre Oldcorne le aveva veramente ottenuto “orecchie per udire”: quella donna ostinata e petulante divenne umilissima e docilissima nelle sue mani. Tornando a considerare questo fatto, ritengo che sia stato un particolare disegno della Provvidenza permettere che gli altri preti fallissero. Sembra che l'abbia voluto riservare in maniera speciale per questo sacerdote, e non solo lei, ma quasi tutta la contea che le tenne dietro. Padre Oldcorne visse per sedici anni in casa sua, che divenne centro del suo apostolato. Così egli poté condurre molti alla fede, tanto in questa contea quanto in quelle adiacenti, sostenere i vacillanti e rialzare i caduti, ed infine collocare dei preti in molti luoghi. Perciò, molti che lo conobbero parlano di lui negli stessi termini che San Girolamo usa per San Giovanni: “Egli fondò e governò tutte le chiese di quelle regioni”. Ed infatti tutti lo consideravano come un padre. Egli era prudente e non diede altro che soddisfazione a tutti, lavorando duramente, soffrendo a lungo e non abbandonando nessuno che avesse bisogno del suo ministero. Un numero incalcolabile di cattolici ricorrevano a lui per elemosine. Ed il posto in cui viveva era in tutto simile ad una delle nostre case in paesi stranieri, tanti erano i cattolici che vi affluivano per ricevere i sacramenti, per ascoltare le sue prediche e per ricevere il suo consiglio. Suo cooperatore fu Padre Thomas Lister (4), uomo veramente dotto e straordinario. Servo degli altri, Padre Oldcorne era molto intransigente con se stesso. Le sue gravi fatiche e la “cura di tutte le chiese di quelle regioni” - sembrava infatti che dipendessero in tutto da lui - non gli bastavano. Quando era a casa studiava molto e, nello stesso tempo, praticava una grande penitenza corporale. Ho già menzionato i suoi digiuni. Inoltre, egli soleva portare il cilicio e si fustigava spesso e duramente. Benché, naturalmente, egli intendesse unicamente “castigare il nemico e ridurlo in schiavitù”, si rese quasi un “servo inutile”. Infatti, gli scoppiò un vaso sanguigno ed egli cominciò a vomitare sangue in gran quantità. Si riebbe, ma quasi ogni anno diventava così anemico, da sembrare che non dovesse più riacquistare le forze. In queste precarie condizioni gli si sviluppò un tumore in bocca - la parola inglese è kanker - che progredì al punto di apparire incurabile. Come mi disse in seguito, i medici dichiararono che avrebbero dovuto amputargli alcune ossa che cominciavano a cadere in putrefazione. Il buon padre, temendo che l'operazione gli avrebbe impedito di predicare in avvenire - egli era un predicatore di talento (5) - decise subito di recarsi in pellegrinaggio al pozzo di S. Winefrid, santuario famoso, vero e proprio miracolo permanente (6). S. Winefrid era una fanciulla del Galles settentrionale tanto santa quanto bella, e la sua fede e il suo amore per la castità la rendevano ancora più bella. Il figlio di un capo clan si innamorò di lei e la chiese in sposa. Ma ella rigettò la sua corte, perché era pagano ed inoltre perché aveva emesso il voto di verginità davanti al vescovo del luogo e non voleva sacrificarlo a nessun uomo. L'amore del suo corteggiatore si mutò in ira ed egli le spiccò la testa con la spada. Ciò avvenne sul pendio di una collina e la testa rotolò a valle, dove scaturì immediatamente una grande fonte. Da quel giorno quella valle, che era conosciuta come la “valle arida”, divenne fertile grazie al torrente che, sorgendo da quella fonte, fluisce al mare con un tale impeto da poter azionare un mulino sorto alla distanza di appena cinquanta yarde. Nella stessa scaturigine vi sono delle grandi pietre, tutte rosse, quasi che fossero bagnate di sangue. Quando esse vengono scheggiate - la gente del luogo fa del suo meglio per impedire ai pellegrini di farlo - i frammenti hanno la stessa ombreggiatura di rosso e la parte da cui sono staccati passa col tempo dal bianco al rosso. Anche sul letto del torrente si possono trovare delle pietre coperte o almeno spruzzate di sangue. I cattolici le raccolgono con devozione e le conservano con riverenza; lo stesso fanno anche col muschio velloso - la parola inglese è moss - che cresce abbarbicato alle pietre e manda un soave odore, quando ne viene strappato (7). L'acqua della fonte è estremamente fredda, ma nessuno soffrì mai alcun danno dopo averla bevuta o dopo essersi bagnato. Io ne sorbii diversi sorsi a stomaco vuoto, senza che mi capitasse nulla. Una volta mi trovai sul posto il 3 novembre, festa di S. Winefrid ed assistei al fenomeno che quel giorno si verifica. (L'acqua cresce di un buon piede sopra il livello ordinario e nel crescere di livello diventa rossa, mentre il giorno successivo è più limpida che mai). Vidi coi miei occhi l'acqua ribollire ed acquistare un colore rossiccio, quell'acqua (si noti bene) che negli altri giorni è così straordinariamente chiara che si può raccogliere uno spillo adagiato sul fondo. Era d'inverno. Gelava in maniera straordinaria in quel periodo; e sebbene sul corso d'acqua il ghiaccio fosse stato rotto dalla gente che l'aveva attraversato la notte precedente, mi fu tuttavia molto difficile guadare col mio cavallo la mattina seguente. Ma, gelo o non gelo, mi calai nel pozzo da buon pellegrino. Restai immerso nell'acqua per un buon quarto d'ora e pregai. Quando venni fuori, la mia camicia era tutta gocciolante. Tuttavia, me la tenni addosso, anche quando mi rivestii degli altri panni, senza che risentissi alcun danno per questo bagno. Questi sono fatti veri. E frequentemente avvengono nel pozzo grandi e manifesti miracoli. Ad esempio, c'è la storia di un visitatore protestante che, osservando alcuni cattolici che si bagnavano, prese a schernire la loro devozione. “Che cosa hanno da sciacquarsi qui nell'acqua? Gliela farò vedere io. Mi ci pulirò gli stivali”. Così si tuffò, stivali, spada e tutto. Appena toccò l'acqua ne avvertì la forza soprannaturale, che aveva rifiutato di riconoscere. Fu colpito all'istante da paralisi e perdette l'uso delle membra, tanto che solo a stento gli poterono strappare la spada dalla morsa del pugno. Per molti anni, in seguito, fu trasportato su una sedia a ruote come un paralitico. In tal modo egli venne punito, mentre altri furono confermati nella loro fede. Io stesso ho parlato con un certo numero di persone che hanno visto quest'uomo e che hanno udito la storia sia dalle sue labbra che da coloro che lo conobbero. Furono questi che mi narrarono il seguito della vicenda: come, cioè, l'uomo si fosse pentito ed avesse riacquistato l'uso delle sue membra nello stesso pozzo in cui era stato punito. Questa è solo una fra le molte storie consimili. Come dicevo, Padre Oldcorne aveva preso la decisione di visitare il santo pozzo; ma S. Winefrid lo prevenne. Durante il viaggio egli si fermò presso la dimora di due sorelle nubili. Erano povere persone, ma ricche di virtù, poiché temevano Dio. Vivevano insieme per servirlo in comune e tenevano in casa loro un prete, che esse consideravano come loro padre. Questo buon prete aveva preso dal ruscello una di quelle pietre spruzzate di sangue, che ho poco innanzi descritto. Durante la Messa era solito parla sull'altare insieme alle altre reliquie. Quando Padre Oldcorne la notò, la prese nelle sue mani e la baciò con molta devozione. Quindi, appartandosi, si gettò in ginocchio e cominciò a leccarla e a tenerne una parte nella bocca. Intanto pregava in silenzio. Si rialzò dopo mezz'ora: il dolore era sparito ed il cancro era curato. Tuttavia egli compì il pellegrinaggio al pozzo, non già per implorare la guarigione da S. Winefrid, ma per esprimerle il suo ringraziamento. Mentre era lì si riebbe anche da quella anemia che si riteneva fosse la causa del suo cancro, e ripartì più forte e più sano di quanto non fosse stato per diversi anni. Ho riferito la storia nelle stesse parole con le quali Padre Oldcorne me l'ha narrata. Il sacerdote, nella cui casa Padre Oldcorne trovò la pietra, mi confermò i fatti quando lo incontrai a St. Omers. Egli mi narrò, inoltre, le cose che accaddero dopo la morte di Padre Oldcorne. Di queste parlerò in seguito. Tutto ciò sarà sufficiente per quanto riguarda Padre Oldcorne: debbo infatti tornare alla mia miserabile vicenda. Durante il mio soggiorno in questa terza residenza, dettai gli Esercizi spirituali a diverse persone e, tra le altre, a due gentiluomini, i quali ancor oggi tengono fede alle risoluzioni che allora presero e sono rimasti, ciascuno nel loro distretto, amici fedeli dei gesuiti. Il primo, Mr. John Lee (8), proprio di recente ha sostenuto una tesi di filosofia a Roma. Adesso è tornato in Inghilterra ed è sempre pronto ad accogliere i nostri ed a sopperire alle loro necessità finanziarie. Il secondo è un uomo che si è mostrato estremamente fidato in moltissimi affari delicati. Cinque o sei anni dopo, entrambi fecero un secondo ritiro, e fu una grande consolazione vedere come lo facevano bene. Non posso omettere di menzionare due coniugi di nobile casato che fecero voto di castità. Essi me ne avevano spesso fatto proposta, ma io, conoscendo i pericoli di un impegno del genere, non volevo saperne. Tuttavia essi insistettero: allora scesi a compromesso e permisi loro di tentare per un anno. Cosi essi fecero, ed alla fine dell'anno si mostrarono più desiderosi che mai di emettere il voto. Quindi, diedi loro il permesso. Naturalmente, presero tutte le precauzioni necessarie riguardo alla separazione quoad torum, sebbene continuassero a vivere sotto lo stesso tetto. Sta di fatto che l'affetto che si dimostravano reciprocamente ed il vero amore che regnava tra di loro sembravano crescere. In seguito mi mantenni in contatto con loro per diversi anni e posso attestare che per tutto quel tempo rimasero fedeli al loro voto. Inoltre, mandai all'estero per motivi di studio un buon numero di giovani che aspiravano alla vita sacerdotale. Uno di essi mori a Douai. Durante i suoi studi si era comportato molto bene e si era guadagnato la reputazione di giovane molto santo. Egli era stato con il Beato Padre Francis Page, il martire gesuita, quando entrambi lavoravano in un ufficio di Londra. Fu lui che mi presentò al buon padre. In seguito apprenderete ciò che derivò da questa presentazione. Altri sono, adesso, preti gesuiti: Padre Sylvester e Padre Clare, attualmente, penso che siano a Valladolid (9); altri servono Dio nelle loro sfere particolari come, ad esempio, Padre John Bolt (10). Il suo talento musicale era notevolissimo e gli aveva guadagnato l'affezione di una potentissima patrona. Tuttavia, egli lo mise da parte, e con esso tutte le sue speranze di gloria, per unirsi a me e per seguire i consigli di Nostro Signore come sono spiegati negli Esercizi Spirituali (11). A quel tempo mi furono regalate delle reliquie preziosissime, che i miei amici avevano fatto elegantemente ornare per me. Esse includevano un'intera spina della santa corona di Nostro Signore che Maria, regina di Scozia, aveva portato con sé dalla Francia (dove era custodita tutta la corona) ed aveva donato al conte di Northumberland, che in seguito fu martirizzato. Mentre era in vita, il conte soleva portarla intorno al collo racchiusa in una croce d'oro; quando giunse sul luogo dell'esecuzione, la consegnò alla figlia che la passò a me. Essa era riposta in una custodia dorata, ornata di perle. Con tre altri reliquiari d'argento è custodita dal superiore. Due di queste reliquie sono antiche ed erano state salvate dal saccheggio di un monastero. Esse mi pervennero tramite persona degna di fede. La terza è un dito indice del martire Padre Robert Sutton, fratello del sacerdote da me menzionato nella prima pagina di questo libro. Per meravigliosa provvidenza di Dio questo indice fu preservato insieme al pollice dalla corruzione, sebbene tutto il braccio fosse stato esposto, perché fosse divorato dagli uccelli. Quando alcuni cattolici andarono segretamente a rimuoverlo (era stato esposto per un anno intero), essi non trovarono altro che ossa. Le sole parti ancora ricoperte di carne e di pelle erano il pollice e l'indice, che erano stati unti con l'olio santo durante l'ordinazione e che erano stati santificati dal contatto del Santissimo Sacramento. Suo fratello, un altro buon sacerdote, conservò per sé il pollice, regalandomi l'indice (12). Quasi nello stesso periodo mi furono regalate anche una testa d'argento di S. Thomas di Canterbury e la sua mitra tempestata di pietre preziose. La testa è piccola e non ha grande valore in sé, ma rappresenta un vero tesoro perché contiene un frammento del cranio del santo. Ha lo spessore d'una doppia corona d'oro e si ritiene che sia il pezzo che fu asportato quando egli fu così crudelmente ucciso. La testa d'argento era vecchia ed aveva perduto alcune pietre; ma il gentiluomo presso il quale dimoravo la fece riparare ed ornare finemente. Per questa ragione, in seguito, il superiore gliela diede in consegna, perché la conservasse per la Compagnia nella sua cappella privata. Un altro regalo fu una considerevole parte del braccio di S. Vita, che adesso è custodita da un altro gentiluomo cattolico della stessa contea. La vergine Vita era figlia di un re dell'Inghilterra occidentale. E molte chiese sono a lei dedicate sotto il titolo di Witchurch. La reliquia mi pervenne nel modo seguente. Il pastore del luogo dove anticamente era conservato e venerato tutto il corpo (o almeno una grande parte) notò che era sempre desto di notte e non riusciva a prender sonno. Ciò continuò per lungo tempo. Un giorno pensò che questo disturbo gli poteva derivare dal fatto che non prestava il dovuto rispetto alle ossa che aveva in custodia. Si convinse che doveva darle ai cattolici ai quali esse spettavano di diritto. Egli fece così ed in seguito dormì sempre bene. Un buon prete mi narrò questa storia e mi diede un osso, che un cattolico devoto custodisce per la Compagnia. Vi erano molte altre belle cose che mi furono regalate per la Compagnia. Ed i cattolici della casa ed i visitatori traevano grande conforto dal loro contatto. ___________________________________________________________ _ NOTE AL CAPITOLO VII. 1 Thomas Habington di Hinlip House, nel Worcestershire. All'epoca del complotto di Babington (1586) suo fratello fu ucciso ed egli fu imprigionato nella Torre. Nel 1593 gli fu permesso di tornare a casa a Hinlip e durante il suo domicilio coatto si dedicò all'antiquariato, cosi da diventare uno dei pionieri della storia scientifica delle contee. Suo figlio, William Habington, si distinse come poeta sotto il regno di Carlo I. Thomas morì 1'8 ottobre 1647, all'età di ottantasette anni. Alcuni ritratti di lui e della moglie sono riprodotti nella History of Worcestershire del NASH, vol. I, che per la maggior parte è basata su documenti manoscritti da lui raccolti. WOOD, Athen. Ox., vol. III, pp. 222-225; D.N.B., XXIII, pp. 414-415. 2 Dorothy Habington, il cui padre era stato tesoriere della regina. 3 La posizione di Hinlip House, situata su una collina tre miglia a nord-est di Worcester e dominante un'ampia distesa di campagna, ne fece un rifugio ideale per i sacerdoti. La casa, che adesso non esiste più, si diceva che contenesse undici camere segrete, nascoste dietro il tavolato delle stanze e costruite in forma di falsi camini. Fu qui che furono catturati Padre Oldcorne e Padre Garnet, essendo stati costretti ad abbandonare i loro nascondigli per mancanza di aria. 4 Aveva conseguito il dottorato a Pont-à-Mousson nel 1592 e giunse in Inghilterra nel 1596. Arrestato all'epoca della Congiura delle polveri ed esiliato nel 1606, ritornò in Inghilterra poco dopo e vi mori intorno al 1626. FOLEY, VII, parte I, p. 462. 5 In Narrative (p. 284), J. G. parla della sua “ardente maniera di predicare, per la quale aveva un buon talento, benché la sua voce fosse in se stessa alquanto rauca e faticosa, ma percettibile agli ascoltatori”. 6 Cfr. appendice C. 7 Thomas Pennant così si esprime su questo muschio: “Alcuni eminenti botanici di mia conoscenza hanno considerato il muschio dolce e le sue macchie sanguigne una semplice formazione vegetale, per niente caratteristica della nostra fonte. Il primo appartiene a quella qualità di muschio chiamato Jungermannia asplenioides, FI. Angl. 509, imperfettamente descritto ed illustrato da Dillenius nella sua storia dei muschi. Questa specie si trova anche in un altro pozzo sacro a Caernarvonshire ed è chiamata Ffynnon Llanddeinioen, in una parrocchia omonima. L'altro è un bisso, egualmente odoroso, comune in Lapponia ed in altri paesi, oltre il nostro. Linneo... dice che anche la pietra alla quale esso aderisce si distingue facilmente per il colore, essendo come macchiata di sangue; ed afferma che, se si strofina, emana un odore simile a quello delle viole”. THOMAS PENNANT, Tour in Wales (1819), pp. 53-54. 8 Il suo nome viene di frequente menzionato nelle lettere che J. G. scrisse dopo la sua fuga dall'Inghilterra. J. G. gli affidò molti incarichi finanziari connessi con la missione inglese. Stonyhurst MSS, Anglia, passim. 9 Padre Thomas Sylvester mori nel 1625 a Valladolid, dove era stato procuratore per vent'anni. Riconciliato nel 1595 da J. G., fu mandato a St. Omers l'anno successivo. Padre John Clare, laureato di Oxford, si recò da St. Omers a Valladolid per compiere gli studi teologici. Operò per molti anni nel distretto del South Wales, dove era superiore all'epoca della sua morte avvenuta nel 1626. c.R.S., vol. XXX, p. 56; FOLEY, VII, parte 2, p. 753. 10 Nato intorno al 1563, si guadagnò ben presto una grande fama per il talento musicale e fu chiamato a corte. Quando l'abbandonò per diventare cattolico, Elisabetta, che aveva tanto stimato il suo maestro di musica, ne fu cosi contrariata che minacciò di colpirlo in testa “con la sua pantofola, perché non meritava di meglio”. Ella giunse al punto di proporgli che avrebbe ignorato la sua conversione e gli avrebbe permesso di restare cattolico, se fosse tornato a corte. Bolt, comunque, preferì vivere insegnando musica nelle famiglie cattoliche, dove avrebbe potuto praticare la sua religione. Così, egli visse con Sir John Petre a Thorndon nell'Essex, con Richard Verney a Compton nel Warwickshire e con altre famiglie, finché si stabilì coi Wiseman a Braddocks. Quando fu arrestato nel marzo 1594, Topcliffe minacciò di torturarlo; ma per intercessione di Lady Penelope Rich, che lo aveva conosciuto a corte, fu rilasciato. Quindi si trasferì nel continente. Dopo alcuni anni passati a St. Omers, si recò nel convento delle benedettine inglesi a Bruxelles “per aiutare la loro musica che era diventata tanto famosa”. Provò la sua vocazione come frate benedettino; ma, non trovando questa vita adatta per lui, andò al collegio di Douai dove fu ordinato sacerdote nel 1605. Dopo alcuni anni si stabilì nella diocesi di Cambrai. Durante una sua visita a Lovanio nel 1613, fu persuaso da Jane Wiseman, allora priora del convento di Santa Monica, ad accettare il posto di organista e cappellano del convento. Ivi trascorse il resto della sua vita ed ivi mori il 3 agosto 1640. C.R.S., vol. III, p. 31; GROVE, Dictionary of Music and Musicians, vol. I, p. 359. 11 J. G. conobbe forse anche William Byrd, il madrigalista, che era intimo di Padre Garnet e che in seguito prese a suonare “l'organo ed altri strumenti” alle riunioni dei gesuiti presso Anne Vaux ad Erith, nel Kent, Hat. Cal., XVII, pag. 611. 12 Le reliquie fin qui menzionate sono tutte conservate a Stonyhurst; le altre sono andate perdute. Insieme al reliquiario, contenente il pollice di Robert Sutton (non l'indice, come riteneva J. G.), c'è un foglio di carta in cui J. G. fornì di proprio pugno la stessa descrizione della reliquia. In una lista di martiri ch'egli compilò nel 1594, J. G. ripete questi dettagli ed aggiunge: “Di quest'uomo si è costantemente riferito che le guardie della prigione lo videro pregare, tutto avvolto di luce, nella notte precedente il martirio”. C.R.S., vol. V, p. 291 . VIII. “PEINE FORTE ET DURE” Ma come c'è il tempo per raccogliere le pietre, così c'è quello per scagliarle. Era giunto il momento che doveva mettere alla prova i servi di Dio, i miei ospiti, cioè, e me con loro. Al fine di renderli più simili al Maestro, per il quale essi soffrivano, Dio permise che fossero traditi da uno della loro casa (1), un uomo che tutti loro amavano. Non era cattolico, né servo della casa; ma era stato assunto un tempo dal secondo dei fratelli, che lo aveva raccomandato a sua madre ed al suo fratello maggiore, prima di partire per l'estero. La sua abitazione era a Londra, ma andava spesso a visitare la famiglia, e sapeva quasi tutto ciò che avveniva in entrambe le case. Io stesso debbo confessare che non vidi alcuna ragione per diffidare di una persona nella quale tutti gli altri confidavano; tuttavia agii con molta cautela e non permisi che mi vedesse nelle mie funzioni di sacerdote, né in abiti che gli avrebbero potuto far supporre che ero uno di loro. Ma egli lo indovinò, come ebbe in seguito a confidarmi, quando si avvide del rispetto col quale il padrone di casa mi trattava. Lo aveva insospettito il fatto che egli mi accompagnava quasi sempre per due o tre miglia nei miei viaggi e che spesso mi seguiva fino a Londra. Era in casa sua (2) che eravamo soliti alloggiare durante le nostre visite in città. Dovevo ancora imparare per esperienza che la soluzione più sicura era quella di avere una casa in proprio. Questi piccoli indizi destarono sospetti nella mente del traditore, come egli stesso mi riferì in seguito. Certo, come era, che avrebbe ricevuto più di trenta pezzi d'argento per il tradimento del suo padrone, si recò dai magistrati e contrattò con loro il baratto. Nel frattempo, secondo quello che io suppongo, essi lo inviarono a montare una guardia severa attorno alle due case, quella della vedova e quella del figlio, per individuare i preti che vi entravano e per contarne il numero. La prima ad essere perquisita fu la casa della vedova. Il sacerdote che abitualmente vi albergava (3) si trovava in casa, ma riuscì a guadagnare un nascondiglio e per quella volta fu salvo. Ma costrinsero la buona vedova a recarsi a Londra (4) ed a presentarsi davanti agli ufficiali che fungevano da giudici nelle cause riguardanti i cattolici. Ella si presentò e rispose con molta decisione, più come una libera cittadina che come una donna bersagliata e perseguitata. Fu inviata in prigione, e mostrò grande pazienza e pietà, sbrigando le sue faccende come una serva, preparandosi i pasti e facendo il bucato. Ella desiderava questo lavoro umiliante per se stesso, ben sapendo che era l'unica maniera per raggiungere la vera umiltà, ed anche perché le evitava ulteriori spese. Con il denaro risparmiato, ella aiutava i cattolici bisognosi. Per tutto il tempo che fu in prigione, ella mi spedì sempre la metà del suo reddito annuo: seicento fiorini. Spendeva l'altra metà per mantenere un sacerdote, che in giorni determinati le portava la Santa Comunione, e per provvedere ai suoi compagni di prigionia, oltre che in diverse opere buone. Dedicava tutto il suo tempo alla preghiera e al cucito: preparava paramenti ed altri arredi per l'altare che inviava a diverse persone. Questa fu la sua vita per due anni interi (5), finché Dio non le chiese un sacrificio più grande. Accadde questo. Dio permise che venisse a conoscenza delle Autorità che ella riceveva le visite di un prete. Se ben ricordo, si trattava di Padre Jones, un francescano che in seguito fu martirizzato (6). Decisero quindi di far ricorso alla legge contro di lei ed ella fu citata in tribunale. Furono chiamati i soliti falsi testimoni ed ella fu accusata di aver provveduto al mantenimento di un prete in contrasto con le leggi del paese. I giudici nominarono una giuria che la dichiarasse colpevole o innocente. Ma, per evitare che la giuria si macchiasse la coscienza del suo sangue, emettendo un verdetto di colpa, questa ottima donna decise di restar muta e di non dare alcuna risposta, quando il giudice l'avesse pregata di dichiararsi colpevole o innocente. Fece ciò ben conscia delle sanzioni della legge; intendo, cioè, quella ben più severa e crudele sentenza, riservata agli uomini ed alle donne che rifiutino di difendersi in questioni di vita o di morte. Essi vengono distesi supini su una pietra appuntita mentre un grave peso viene posto sul torace finché non scacci da loro la vita. Fino al tempo di cui sto scrivendo, avevamo avuto solo due donne martiri, escludendo Maria, regina di Scozia. Una di esse scelse a York la stessa morte e la stessa corona di martire per le medesime ragioni (7). Ella sapeva che i giurati l'avrebbero sicuramente dichiarata colpevole per accontentare il giudice; perciò volle risparmiare un aggravio alle loro coscienze. Era il suo esempio che questa buona vedova aveva in mente. Ella scelse lo stesso metodo e la stessa pena. Rimase in silenzio e ricevette la condanna ad essere schiacciata fino alla morte (8). Lasciò il tribunale tutta esultante, perché non era stata ritenuta indegna di subire per amore di Gesù quel tipo di morte che aveva sperato. Ma la sua posizione ed il suo buon nome preoccuparono i consiglieri della regina. Essi non volevano far stupire Londra con la loro barbarie; perciò, dopo la condanna, la fecero trasferire in una diversa e peggiore prigione, dove la rinchiusero. Ciò a cui miravano era la sua proprietà, che intendevano trasferire alla regina. Se fosse stata uccisa, questa sarebbe andata non alla regina, ma a suo figlio, il mio ospite (9). Perciò la buona vedova continuò a vivere in quella prigione, privata di tutti i suoi possessi eccetto la vita, che era l'unica cosa di cui sperava che la liberassero (10). Restò lì in una lurida cella fino all'avvento di Re Giacomo, quando ricevette il perdono abitualmente concesso per l'incoronazione di un nuovo sovrano. Quando tornò a casa continuò a servire i servi di Dio, come aveva fatto in passato, e seguitò a tenere due di noi in casa sua. Tanto basti per questa buona vedova. Adesso bisogna tornare al resto della mia vicenda personale. Il traditore non si era rivelato ed era ancora insospettato dal suo padrone. Intanto stava cercando l'opportunità di tradirci, senza doversi scoprire. Il suo primo progetto era quello di catturarmi nella casa di Londra, che avevo da poco preso in affitto per me e per il mio ospite (11). Poiché il suo padrone lo impiegava in un gran numero di affari, egli non poteva non conoscere il luogo che il suo padrone aveva preso in affitto per mio uso. Così promise ai magistrati che li avrebbe avvertiti non appena vi fosse venuto, in modo che potessero chiamare gli ufficiali, circondare di notte la casa e precludermi la fuga. Ciò non è altro che quello che sarebbe accaduto se Dio non fosse intervenuto mediante un ordine del mio superiore. Questi si era trasferito in un'abitazione situata a quattro o cinque miglia da Londra (12) ed io mi ero recato a fargli visita. Siccome avevo degli affari da sbrigare in città, dopo uno o due giorni scrissi una lettera ed informai le persone che curavano la casa che sarei tornato la tal notte e che convocassero un certo numero di amici che desideravo vedere. Il traditore venne a sapere del momento (egli era spesso nella casa che notoriamente apparteneva al suo padrone) e diede disposizioni affinché i persecutori ed i loro segugi circondassero il posto a mezzanotte. Proprio prima di montare a cavallo, andai a salutare il superiore. Egli insistette affinché passassi la notte con lui, ma io risposi che mi attendevano degli affari in città e gli spiegai di che cosa si trattava; aggiunsi inoltre che avevo anche degli appuntamenti. Ma il caro padre non volle saperne, sebbene come in seguito mi disse, neanche lui sapesse perché agiva in quel modo particolare. Certo, non rientrava nel suo stile ordinario ed io non dubito minimamente che egli fosse guidato dallo Spirito Santo. Il giorno seguente, di primo mattino, ci giunsero delle voci secondo cui al- cuni papisti erano stati sorpresi nella casa (13). Si diceva che tra loro era stato trovato un prete; in realtà si trattava del mio domestico, Richard Fulwood. Il luogo era privo di nascondigli, sebbene avessi già stabilito di costruirne alcuni, ed egli si era celato in un angolo oscuro della casa. Siccome egli aveva un bell'aspetto, fu ritenuto un prete: non erano presenti né il traditore, né alcun altro che lo conoscesse. Furono presi e gettati in prigione tre cattolici ed uno scismatico. (Per scismatico intendo una persona che è cattolica per convinzione ma che frequenta la chiesa protestante). Nel caso presente si trattava di una persona degna di fiducia, che io usavo come portiere e come una specie di agente nel distretto. Quando questi uomini furono interrogati, si mantennero fermi e fedeli (14); nessuna delle loro risposte fornì il minimo indizio circa il vero proprietario della casa, circa cioè la mia persona, non quella del mio ospite. E ciò fu un bene, perché, se si fosse risaputo che la casa apparteneva a me, il mio ospite avrebbe ricevuto un trattamento ancora peggiore. Infatti, egli fu convocato urgentemente: essi speravano ancora di catturarmi e di trovare un più grave motivo di accusa contro di lui. Appena il mio ospite giunse in città per rispondere alla citazione, si diresse subito verso casa. Ignorando tutto quello che era accaduto, era ansioso di sapere se io potevo dirgli nulla circa la citazione e se ero in grado di consigliarlo sulle risposte da dare. Giunse alla porta e bussò; ma cadde, povera pecorella di Cristo, negli artigli dei lupi e non tra le braccia del suo pastore o dei suoi amici. Solo la notte precedente si era fatta irruzione nella casa ed alcuni di quei furfanti si aggiravano ancora all'intorno a caccia di qualsiasi cattolico che intendesse visitarla, senza nemmeno aver sentore del pericolo. Essi gli si avventarono addosso e lo condussero sotto buona scorta al cospetto dei magistrati. “Quanti preti frequentano la vostra casa? Quanti ne ospitate? Quali sono i loro nomi?”. Gli furono rivolte innumerevoli domande del genere. Ma nelle sue risposte egli fece notare come il solo sospetto che lui ospitasse dei preti gli risultasse sommamente offensivo e come egli avesse preso tutte le precauzioni per non correre tale rischio. Essi, tuttavia, lo incalzarono; allora egli rispose che era pronto a contestare, ogni accusa che avessero avanzato contro di lui. Comunque, essi non insinuarono nulla nei miei confronti. Per quanto questa volta fossero stati delusi, nutrivano ancora la speranza di catturarmi, sapendo essi che il traditore era ancora insospettato. Al tempo del suo arresto, il mio ospite stava lavorando alla traduzione del De bono religiosi statu di Padre Girolamo Platus. Di recente aveva completato la seconda parte e l'aveva portata per discuterla con me. Quando fu preso, gli furono trovati questi manoscritti; e quando gli fu chiesto di che cosa si trattasse, rispose che era un libro di devozione (i protestanti temono tutto ciò che viene pubblicato contro di loro o contro le loro false dottrine ed analizzano attentamente tutti gli scritti che cadono nelle loro mani). Siccome lì per lì non avevano il tempo di chiarire interamente il caso, lo incalzarono di domande unicamente intorno a quelle carte. Di nuovo egli insistette che quelle non contenevano assolutamente nulla contro lo Stato e contro la sana dottrina e si dichiarò pronto a giustificare sul posto la convenienza del libro. Nel fare questo, come mi riferì in seguito, egli sentiva una grande consolazione di spirito per essere chiamato a rispondere di una così bella opera (15). Tuttavia, fu imprigionato e la sua relegazione fu così stretta che solo uno dei suoi servi, proprio il traditore, fu ammesso a visitarlo (16). Essi sapevano che il padrone non aveva ancora nessun sospetto circa la sua mala fede e speravano in tal modo di scoprire dove io ero nascosto e di catturarmi prima di quanto avessero potuto fare in altro modo. Quando io seppi che la nostra casa di Londra era stata occupata e che il mio ospite era stato imprigionato, mi recai alla sua residenza di campagna, essendo ansioso di conferire con sua moglie e con i suoi amici su ciò che fosse opportuno fare. Ordinai, inoltre, che ogni cosa fosse accuratamente nascosta in altro luogo. Naturalmente, avevamo bisogno della maggior parte degli arredi sacri per la Pasqua, che ormai era molto vicina. Perciò solo una piccola parte di essi fu trasferita presso amici. Mi fu moralmente impossibile abbandonare allora la famiglia, giacché i suoi componenti stavano per attraversare un periodo di grande ansietà e di grande angustia. Giunse la settimana santa. Il traditore venne da Londra con una lettera del padrone, che forniva i particolari di tutto quello che gli era capitato, delle tre domande, che gli erano state rivolte, e delle sue risposte (17). La lettera, naturalmente, era stata letta dalle autorità; ma queste la fecero passare per dar credito al traditore e per fornirlo di un pretesto, al fine di appurare se io ero nella casa durante la settimana santa. Egli recò anche una seconda lettera. Questa veniva da parte del mio servo, della cui cattura nella casa ho appena riferito. Lo avevano gettato nel più assoluto isolamento nella più detestabile delle prigioni, Bridewell. Sapevano che era il mio servo, giacché il traditore l'aveva loro comunicato; ed essi lo relegarono in quella prigione nella speranza che egli avrebbe fornito i nomi dei suoi amici e complici. In questa lettera scriveva che egli aveva risposto fermamente “No” a tutte le loro domande e continuava con la descrizione delle minacce che gli erano state fatte e del trattamento che stava ricevendo. Attestava che gli davano solo quel poco pane che era appena sufficiente per tenere insieme l'anima e il corpo. La sua cella era stretta ed aveva spesse mura; non aveva letto e doveva dormire in posizione verticale appena reclinato sul davanzale della finestra. Per mesi non si era potuto spogliare degli abiti. Nel luogo vi era soltanto un po' di paglia che ormai era tutta calpestata e che adesso cominciava a brulicare di insetti cosi che era impossibile adagiarsi. Ma la cosa peggiore si era che in quella cella gli avevano lasciato scoperto il secchio degli escrementi, cosi che il fetore era soffocante. In queste condizioni attendeva di essere chiamato e di essere interrogato sotto la tortura. Io lessi la lettera alla mia ospite in presenza del traditore, e quando giunsi all'ultima parola, mormorai: “Volesse Dio che io soffrissi un po' di tutto questo in maniera che lui potesse soffrire meno!” Questa espressione in seguito mi rese possibile identificare il traditore, che aveva causato tanta afflizione. Quando fui catturato ed interrogato, risposi che non avevo conosciuto nessuno della famiglia; al che gli interrogatori dimenticarono il loro segreto ed esclamarono: Menzogne! Menzogne! Voi avete detto così e così alla presenza della signora, quando le stavate leggendo la lettera del servo” (18). Tuttavia, continuai a negare lo stesso e diedi loro buone ragioni perché potevo e dovevo agire così, anche se ciò fosse stato vero. Ma riprendiamo la narrazione. ___________________________________________________________ _ NOTE A CAPITOLO VIII 1 Costui fu John Frank. La sua deposizione, fatta davanti a Young il 12 maggio 1594, si trova nel Public Records Office. Fu a casa sua che si trattennero Jane e Bridget Wiseman ed altri che J. G. mandò nel continente, allorché passarono per Londra. S.P.D., voI. CCXLVIII, n. 103. 2 Era una “casa bianca a Lincoln's Inn Fields”. Il 3 maggio 1594, dopo che J. G. fu catturato, un suo confratello gesuita di nome Henry Walpole fu interrogato nella Torre circa questa casa, “ma egli rifiutò di svelare sia il nome del proprietario sia quello del signore presso il quale era diretto e che abitava nella stessa casa”. Da un ulteriore paragrafo dello stesso rapporto risulta chiaro che il “signore presso il quale era diretto” era J. G. C.R.S., vol. V, pp. 249-250. 3 Padre Brewster, probabilmente il vecchio prete che è descritto come “un uomo alto dalla barba di cera”. S.P.D., CXLVIII, n. 103. 4 La casa fu perquisita il 26 dicembre. Mrs. Wiseman, madre di William Wiseman, non fu arrestata in quella occasione. Il 12 gennaio seguente fu denunciata alla corte d'assise di Essex insieme al figlio, la nuora e due nipoti sotto un'altra accusa, quella, cioè, di aver ascoltato la Messa celebrata in casa sua dal suo cappellano, Padre Richard Jackson. Fu allora che la vedova fu condotta a Londra. S.P.D., vol. CCXLIV, n. 7. 5 Mrs. Wiseman trascorse l'intero periodo della sua prigionia a Gatehouse, Westminster. Il suo nome appare in “una lista di prigionieri” compilata verso la fine del 1595. Non fu processata che il 30 giugno 1598. Quando Mrs. Wiseman fu condotta a Gatehouse, un'altra signora cattolica, Lady Alice Wells, si trovava già a Newgate rea di aver alloggiato gente. C.R.S., vol. II, p. 284. 6 Sembra che non vi sia stata che una sola visita, architettata, per giunta, da Topcliffe, per trovare di che accusare Mrs. Wiseman. Nicholas Blackwall, un parassita di Gatehouse che agiva in combutta con Topcliffe, chiese a Mrs. Wiseman, che usava fare i cataplasmi ai poveri, se poteva curare la gamba ad un suo amico. Ella accettò, il Padre Jones fu condotto e Mrs. Wiseman gli applicò un impiastro sulla gamba. Tale fu il motivo dell'accusa. C.R.S., vol. V, p. 363. 7 Margaret Clitherow, che fu uccisa a York il 26 marzo 1586. La sua fama si divulgò mediante una biografia scritta dal suo confessore, John Mush, uno dei sacerdoti ai quali aveva offerto rifugio e quello per cui fu condannata a morte. L'altra martire fu Margaret Ward, una giovane signora di nobile casato che aveva fornito una fune, avvolta in un lenzuolo pulito, per la fuga del sacerdote William Watson dalla prigione di Bridewell. Dopo il suo arresto, fu percossa e trattata crudelmente nella speranza di ottenere qualche informazione per imprigionare altri cattolici. Fu uccisa a Tyburn il 30 agosto 1588. 8 “La sentenza è che detta Jane Wiseman sia condotta nella prigione di Marshalsea della regia corte, sia ivi denudata, eccezion fatta per un panno che le copra la parte inferiore del corpo, e stesa supina per terra; che si scavi una buca sotto la sua testa e che questa vi sia reclinata; che sopra ogni parte del suo corpo si pongano tante pietre e tanto ferro quanto ella ne può sopportare ed anche più; che fin quando resterà in vita le siano posti accanto il peggiore pane e la peggiore acqua della prigione in maniera, però, che nel giorno in cui mangia non beva, e nel giorno in cui beve non mangi, restando cosi fino alla morte”. Accusa di Jane Wiseman, 30 giugno 1598. C.R.S., vol. V, p. 367. 9 Chi moriva sotto la “peine forte et dure”, come era chiamata questa pena, poteva tra- smettere il patrimonio ai propri figli, mentre se era trovato colpevole, esso passava alla Corona. Questa specie di morte fu abolita nel 1827. 10 Le sue figlie Bridget e Jane che erano monache nel convento di Santa Monica a Lovanio fornirono al compilatore delle cronache di detto convento ulteriori informazioni circa la vita della loro madre in prigione. Vi si racconta che Topcliffe “la fece dormire nella stessa stanza di una strega, che era stata imprigionata per le sue malefatte. Questa, però, non ebbe mai il potere di esercitare la necromanzia nella stanza in cui si trovava la signora Wiseman, cosi che fu costretta ad andare in altro posto”. Si narra, inoltre, che la regina, nell'apprendere come quella dovesse essere uccisa per cosa di cosi poco conto, accusò i giudici di crudeltà ed ingiunse che fosse graziata. ADAM HAMILTON, Chronicle of St. Monica's, vol. I, p. 83. 11 In Golding Lane, Holborn. È, questa, una vecchia strada nella parrocchia di Sant'Andrea a Holborn che risale al tredicesimo secolo. Da una pianta del castello di Finsbury, disegnata nel 1567 e riprodotta in STRYPE (voI. IV, p. 120), si rileva che vi erano molte case con giardini. Era fuori città e, come tutte le case occupate da J. G., aveva facile accesso alla campagna. Nella relazione dei due giudici che organizzarono l'improvvisa ispezione la casa è descritta come “fabbricata di recente”. FOLEY, I, p. 488; H. A. HARBEN, Dictionary of London, p. 263. 12 In una lettera del 17 marzo 1594 Padre Garnet fa una lunga descrizione della casa; ma oltre ad affermare che essa stava fuori delle mura, non fornisce nessun'altra indicazione che permetta di localizzarla. Fu qui che ospitò i preti che venivano dall'estero, finché il luogo non fu scoperto dalle autorità. Nel giardino c'era una casetta di tre stanze dove egli si ritirava “quando c'era bisogno di scrivere o leggere qualche cosa di grande importanza”, oppure di conferire con gli altri, poiché “non era possibile parlare in tono normale senza correre il rischio di essere ascoltati dalla strada vicina”. Stonyhurst MSS, Anglia, I, n. 73. 13 La perquisizione ebbe luogo il 15 marzo 1594. Questa perquisizione, generale ed accuratamente progettata, fu estesa a tutta la città di Londra. Ne fu causa la recente scoperta del complotto organizzato dall'irlandese Cabil per sopprimere la regina. “Prima di quel tumulto di Golden Lane”, scriveva Padre Garnet in un resoconto di questo incidente, “...avevano fatto un complotto di tutto questo chiasso ed avevano preparato l'opinione pubblica con un proclama in cui ordinavano che durante certi giorni della settimana si facessero delle grandi battute alla caccia dei preti e degli Irlandesi”. Egli aggiungeva che “c'era tanta confusione a Londra quanta non si era mai vista prima; nemmeno quando Wyatt era alle porte... Quella stessa notte vi sarebbe stato Long John dalla barbetta (cioè J. G.) se non l'avessi trattenuto con preghiere più insistenti del solito”. Garnet a Persons il 6 settembre 1594. Stonyhurst MSS, GREENE, Collectanea, P. voI. II, p. 550. 14 Insieme a Fulwood furono arrestati John Bolt, il musico, John Tarbuck, un cattolico del Lancashire e William Suffield, lo “scismatico”, tessitore del Norfolk al servizio di William Wiseman. Il resoconto del loro interrogatorio conferma ciò che J. G. dice della loro costanza. S.P.D., CCXLVIlI, n. 37-40. John Tarbuck, che fu catturato con Fulwood era cugino di J. G., suo padre, Edward Tarbuck di Tarbuck Hall, Huyton, nel Lancashire, era sposato con Catherine Gerard, sorella del padre di J. G., Sir Thomas Gerard di Bryn. C.R.S., Lord Burghley's Map of Lancashire, p. 39. 15 Cfr. “Il processo di William Wiseman” del 19 marzo 1594. “Egli confessa che gli apparteneva un libro intitolato "Hieronymi Plati de Societate Jesu de Bono Statu Religiosi...". Ed afferma che detto libro non contiene altro che la vera dottrina e che lo tradusse lui stesso”. Gli fu, inoltre, richiesto d'identificare il proprietario di un breviario che era stato sequestrato dagli inquisitori e che presumibilmente apparteneva a J. G. S.P.D., vol. CCXLVIII, n. 36. 16 Egli fu imprigionato al Counter. in Wood Street. Hat. cal., V, p. 25. 17 Era molto importante per gli amici di un prigioniero sapere, possibilmente, ciò che egli aveva risposto al fine di prendere le misure eventualmente necessarie per la loro sicurezza e per sapere ciò che essi dovevano rispondere, qualora fossero arrestati ed interrogati. 18 La descrizione dell'incidente della lettera di Fulwood fatta da J. G. è confermata dalla dichiarazione di Frank: “Richatd Fulwood, quando fu imprigionato a Bridewell la Pasqua scorsa, scrisse una lettera e la spedì a casa di Lady Mary (Percy), ove mi fu recapitata. Con essa mi recai da Mr. Gerard che, per tutto il periodo della scorsa Pasqua, rimase nascosto in casa di Mr. Wiseman a Braddocks, mentre era presidiata dai persecutori. Consegnai detta lettera a Ralph Willis, che la portò subito a Mr. Gerard. Vidi le lettere nelle mani di Mr. Gerard e lo ascoltai mentre le leggeva. In esse Fulwood scriveva che si aspettava ogni giorno di essere torturato e Mr. Gerard si augurava di poter sopportare una parte delle pene di Fulwood”. S.P.D., Eliz., vol. CCXLVIII, n. 91. IX. PERQUISIZIONE A BRADDOCKS Il traditore tornò a Londra e fece un rapporto dettagliato. Subito, due messaggeri (o “pursuivants”, come erano chiamati) furono inviati presso due gentiluomini della contea, giudici di pace, per comunicar loro l'autorizzazione di perquisire attentamente la casa con i loro uomini (1). La domenica di Pasqua, il traditore tornò da Londra con una lettera recente. Ciò fu un pretesto, poiché il suo vero scopo era quello di essere sul luogo per aiutare i perquisitori e per informarli delle nostre mosse. Il lunedì dell'Angelo (2), ci alzammo prima del solito per la Messa, perché presentivamo vicino il pericolo. Mentre, prima dell'alba, preparavamo il necessario per la Messa, udimmo improvvisamente un gran rumore di zoccoli scalpitanti. Subito dopo, per impedire qualsiasi tentativo di evasione, la casa fu circondata da una intera pattuglia di uomini. Comprendemmo all'istante quello che stava succedendo. Sprangammo le porte; quindi, spogliammo l'altare ed aprimmo i nascondigli, in cui furono gettati tutti i miei libri e tutte le mie carte. Era necessario che io mi occultassi per primo con tutte le mie cose. Io ero del parere di rifugiarmi nel nascondiglio attiguo alla sala da pranzo: era quello più distante dalla cappella (la parte più sospetta della casa) ed aveva una scorta di provviste: una bottiglia di vino, alcuni biscotti leggeri e nutrienti ed altro cibo che si sarebbe conservato. Vi era, inoltre, una maggiore possibilità di ascoltare le conversazioni dei perquisitori e di raccogliere qualche utile informazione. Per questo la preferivo; era, del resto, un posto ben costruito e molto sicuro. Tuttavia, la padrona di casa (cosa che si rivelò provvidenziale) fu di parere contrario. Ella volle che io usassi il nascondiglio vicino alla cappella, perché lo potevo raggiungere più rapidamente e vi potevo nascondere, con me, gli arredi dell'altare. Siccome si mostrò molto insistente, accondiscesi, sebbene sapessi che non avrei avuto nulla da mangiare, se la perquisizione fosse durata a lungo. Dopo aver nascosto tutto quello che era necessario far sparire, vi entrai. Mi ero appena occultato, quando i persecutori abbatterono la porta e fecero irruzione. Essi si sparpagliarono per la casa, facendo un gran baccano. Per prima cosa rinchiusero nella sua stanza la padrona di casa e le sue due figlie (3); quindi relegarono i servi cattolici in luoghi differenti, ma nella stessa parte della casa. Ciò fatto, presero possesso della casa che era molto vasta e cominciarono a rovistare dappertutto, sollevando perfino le tegole del tetto per scrutare sotto di esse ed usando le candele negli angoli più oscuri. Non avendo trovato nulla, presero ad abbattere quei luoghi che sembravano sospetti. Misurarono i muri con grandi regoli e, se le misure non corrispondevano, demolivano quelle sezioni delle quali non riuscivano a darsi ragione. Tastarono ogni muro ed ogni pavimento alla ricerca di vani nascosti; e, quando qualcosa suonava vuota, la riducevano in frantumi. Due giorni di questo lavoro non approdarono a nulla. Il secondo giorno, i giudici di pace se ne andarono pensando che io dovevo aver abbandonato la casa la domenica di Pasqua. Alcuni attendenti rimasero per condurre la padrona di casa ed i servi cattolici, uomini e donne, a Londra per essere processati ed imprigionati (4). Decisero invece di lasciarvi gli altri servi, cioè i non cattolici, per custodire la casa. Tra loro c'era il traditore. Ciò recò piacere alla signora perché sperava che, con l'aiuto di lui, mi sarei salvato da una lenta morte per inedia. Ella infatti sapeva che io ero deciso a morire in tal modo tra due pareti, piuttosto che uscir fuori e salvare la mia vita a rischio degli altri. Infatti, durante quei quattro giorni di nascondimento tutto quello che avevo da mangiare furono uno o due biscotti ed un po' di gelatina di cotogne, che la mia ospite aveva per caso con sé e mi aveva dato mentre mi avviavo nel nascondiglio. Siccome non si aspettava che la perquisizione durasse più di un giorno, non aveva provveduto ad altro. Ormai, però, erano trascorsi due giorni ed ella doveva esser trascinata via il mattino seguente con tutti i servi sui quali poteva contare. Temendo che io potessi morire di fame, fece chiamare il traditore. Ella aveva sentito che sarebbe rimasto ed aveva notato che, quando i perquisitori avevano fatto irruzione, aveva fatto mostra di resistere vigorosamente. Certamente non gli avrebbe mai confidato il mio nascondiglio, se io non fossi stato in tale pericolo; ma preferì salvarmi da una morte certa, anche se doveva assumersi un tale rischio. Così gli ordinò che, dopo che fosse stata portata via, e quando non ci fosse stato nessuno intorno, si recasse in una certa stanza e chiamasse il mio nome. Doveva dire che tutti gli altri erano stati condotti via e che lui solo era rimasto e lo avrebbe liberato. Gli disse che io gli avrei risposto dal mio nascondiglio, dietro il pannello di intonaco. Il traditore promise di eseguire fedelmente queste istruzioni. Sì, egli fu fedele, ma solo ad uomini che non conoscevano il significato della fede. Naturalmente, riferì ogni cosa alla combriccola che era rimasta, la quale decise di mandare a chiamare subito i magistrati che erano già ripartiti. Il loro primo impegno al mattino fu di ritornare e di riprendere la perquisizione. Molto più attentamente del giorno prima, misurarono e tastarono ogni luogo alla ricerca di un vano occulto, particolarmente in quella stanza; ma durante tutto il terzo giorno non trovarono assolutamente nulla. Decisero quindi di passare il giorno successivo a demolire l'intonaco. Quella notte, intanto, posero delle guardie in ogni stanza all'intorno, per impedire un mio eventuale tentativo di fuga. Dal luogo in cui ero nascosto udii la parola d'ordine che il capo del gruppo passò ai suoi uomini; e, se fossi potuto uscire dal mio nascondiglio senza esser visto, me ne sarei servito ed avrei tentato di fuggire. Ma c'erano due uomini che custodivano la cappella in cui si trovava l'entrata del mio nascondiglio, mentre molti altri erano dislocati nella camera intonacata di cui si era loro parlato. Ma la Provvidenza mi protesse in maniera sorprendente. Mi trovavo nel mio nascondiglio. Vi ero entrato, sollevando una parte del pavimento sotto la griglia del focolare. Questa era fatta di legno e di mattoni ed era costruita in modo tale che non ci si poteva accendere il fuoco senza danneggiare la casa. Tuttavia, vi era stata posta della legna come se dovesse servire per il fuoco (5). Quella notte gli uomini di guardia decisero di accendere il fuoco sulla griglia e si posero a sedere intorno per una chiacchierata. In pochi momenti i mattoni, che non erano poggiati su altri mattoni ma sul legno, cominciarono a sconnettersi e quasi scivolarono dalla loro posizione, man mano che lo strato di legna sprofondava. Gli uomini notarono la cosa e cominciarono a sondare il focolare con uno spiedo; si accorsero cosi che il fondo era fatto di legno. Li sentii dire che era una cosa curiosa e pensai che avrebbero all'istante demolito l'apertura del nascondiglio per rovistarvi. Tuttavia, decisero di rimandare la cosa al giorno seguente. Adesso la fuga era fuori questione. Cominciai a pregare fervidamente affinché, se ciò fosse stato per la maggior gloria di Dio, non fossi catturato in quella casa, per non attirar rappresaglie sui miei ospiti o su qualsiasi casa in cui altri avessero dovuto portarne le conseguenze. La mia preghiera fu ascoltata in maniera veramente meravigliosa. Dio mi tenne salvo in quella casa. Pochi giorni più tardi, quando fui arrestato, nessuno ebbe a soffrirne, come tra poco apprenderete. Il giorno successivo, la perquisizione riprese con grande alacrità. Essi, però, lasciarono incustodita la camera superiore che era servita da cappella e nella quale le due guardie avevano acceso il fuoco sopra la mia testa, commentando sulla strana struttura della griglia. Dio aveva cancellato dalla loro memoria ogni ricordo di essa. Durante tutta la giornata non un solo attendente entrò nella stanza sebbene fosse, non senza ragione, la parte più sospetta della casa. Se fossero entrati, mi avrebbero trovato senza bisogno di fare nessuna ricerca; anzi mi avrebbero visto, perché il fuoco aveva prodotto una buca sul mio nascondiglio ed io dovevo girarmi alquanto sul fianco per evitare che la cenere calda mi cadesse sulla testa. Sembrava che le guardie avessero dimenticato tutto di questa stanza; in ogni caso, pareva che non se ne curassero affatto. Si concentrarono invece nelle stanze sottostanti, in una delle quali era stato riferito che mi trovavo io ed avevano scoperto infatti l'altro nascondiglio che intendevo usare. Esso si trovava proprio vicino al luogo in cui ero; ed udii le loro grida di gioia, quando lo trovarono, e la loro costernazione, quando si avvidero che era vuoto. Tutto ciò che trovarono fu un'intatta riserva di provviste, ivi conservata per far fronte ad una perquisizione cosi lunga come quella in corso. Forse conclusero che quello era il luogo di cui aveva parlato la padrona di casa: sarebbe certamente stato facile rispondere di lì a qualsiasi chiamata, fatta da una persona nella stanza da lei menzionata. Tuttavia si attennero al loro piano di demolire tutto l'intonaco di un'altra grande stanza e, con l'aiuto di un falegname, cominciarono il lavoro vicino al soffitto, non lontano dal posto in cui mi trovavo. (Le fasce inferiori dei muri erano tappezzate). Procedendo da destra intorno alla stanza, rimossero l'intonaco finché giunsero esattamente di fronte al posto in cui ero nascosto. Ivi, disperando di trovarmi, si fermarono. Il mio nascondiglio si trovava in un muro spesso del camino, dietro un armadio finemente intagliato ed intarsiato, che non potevano rimuovere senza correre il rischio di romperlo. Tuttavia, se avessero avuto il minimo sospetto che mi trovavo dietro di esso, lo avrebbero fatto a pezzi. Sapevano che due erano le gole del camino e ritennero impossibile che un uomo vi si potesse nascondere. Già prima, durante il secondo giorno di perquisizione, erano stati nella stanza superiore ed avevano esaminato il focolare attraverso il quale mi ero calato nel nascondiglio. Con l'aiuto di una scala, si erano arrampicati dentro la gola e l'avevano battuta con un martello; allora intesi uno di loro che diceva ad un altro: “Vi potrebbe essere benissimo dello spazio sufficiente perché una persona si calasse di qui nel muro del camino sottostante, se la griglia fosse alzata”. “Difficilmente”, rispose l'altro di cui riconobbi la voce, “da quella parte non c'è nessuna entrata nell'altro camino. Ma ve ne potrebbe essere facilmente una di dietro”. Ciò detto, colpì il posto con un calcio. Temei che avesse notato il suono vuoto del vano in cui mi trovavo nascosto. Ma Dio, che pone confini al mare, disse a questi uomini decisi: “Siete giunti fin qui, ma non andrete oltre”. Così Egli risparmiò i suoi figli tanto dolorosamente provati e non volle consegnarli nelle mani dei loro persecutori, né permise che toccasse loro alcunché di peggio per la loro carità verso di me. Poiché le loro ricerche erano terminate in un fallimento, conclusero che ero riuscito a fuggire in un modo o nell'altro. Alla fine del quarto giorno, perciò, se ne andarono. La padrona di casa fu liberata insieme ai servi; ed il traditore rimase sul posto, ancora insospettato, anche dopo che i perquisitori se ne andarono. Furono subito sbarrate le porte della casa e la padrona venne a farmi uscire. Come Lazzaro, che era rimasto sepolto per quattro giorni, venni fuori da quella che sarebbe certamente stata la mia tomba, se la perquisizione fosse durata ancora un po'. Ero tutto emaciato ed indebolito per la mancanza di cibo e di sonno. Avevo passato tutto quel tempo in un posto troppo angusto. Durante la perquisizione la padrona non aveva mangiato assolutamente nulla, in parte perché voleva condividere il mio digiuno, in parte perché voleva sperimentare personalmente quanto avrei potuto resistere senza cibo, ma principalmente per attirare, mediante il digiuno e la preghiera, la misericordia di Dio sopra di me, su se stessa e su tutta la sua famiglia. Quando venni fuori, la trovai così mutata in volto, che sembrava un'altra persona; e credo che, se non fosse stato per la voce e per il vestito, non l'avrei riconosciuta. Il traditore mi incontrò subito dopo. Noi non avevamo ancora nessun sospetto del suo tradimento. Per il momento non fece nulla e non chiamò di nuovo i persecutori, perché sapeva bene che sarei partito prima che quelli potessero esser richiamati. NOTE AL CAPITOLO IX. 1 I giudici di pace erano Babington e Frank (non John Frank, il traditore). I due messaggeri Newell e Worsley erano gli stessi che più tardi catturarono J. G. Sei settimane dopo questo incidente, il 20 maggio 1594, Burghley scrisse ai due giudici chiedendo una relazione su Newell e Worsley, poiché la moglie di Mr. Wiseman si era lagnata del loro cattivo comportamento nella perquisizione di Braddocks, per la quale non avevano nessun documento scritto. Historical MSS Commission, Report, VII, p. 540. 2 1° aprile 1594. 3 Dorothy e Winifred Wiseman, la più piccola delle quali aveva allora dieci anni. Do- rothy, la figlia maggiore, sposò più tardi William Brooksly di Shoby nel Leicestershire, ma restò vedova poco dopo. Winifred, la minore, entrò nel convento delle benedettine a Bruxelles nel marzo del 1602 e morì nel 1647. C.R.S., vol. IX, p. 2; MORRIS, p. 94. 4 Da ciò che segue si può dedurre che furono condotti in una casa vicina, dove furono trattenuti per certo tempo. Ma poiché non si poté provare nulla contro di loro, furono rilasciati. 5 Come afferma più oltre J. G., questo nascondiglio era stato approntato da Nicholas Owen. . X. ARRESTOPrimavera 1594 Feci un pasto leggero e, dopo un po' di riposo, mi incamminai verso la casa di un amico non molto lontana di lì. Ivi, questi mi tenne nascosto per una quindicina di giorni. Tuttavia ero impensierito della situazione in cui avevo lasciato i miei amici e andai a Londra per vedere se potevo aiutarli o confortarli in qualche modo. In questa occasione alloggiai presso una persona di alto rango (1) e fui completamente al sicuro. Fu in questa casa che visse Padre Southwell finché, un anno prima, non fu catturato ed imprigionato nella Torre di Londra. Nel frattempo tuttavia cercai un alloggio in cui restare sicuro ed inosservato ed in cui esser libero di sbrigare tutti gli affari che avevo con i miei amici, poiché ciò era difficile in casa d'altri e, particolarmente, in quella in cui mi trovavo. Con l'aiuto di quell'uomo eccellente che aveva tanta esperienza in accordi del genere, intendo il domestico di Padre Garnet, “Little John”, come era chiamato, trovai un posto veramente magnifico e mi accordai col padrone intorno all'affitto. (Era stato “Little John” colui che aveva costruito i nascondigli; egli stesso aveva allestito quello al quale dovevo la mia salvezza poco tempo prima). Mentre si preparava questa casa, alloggiai in un appartamento dell'abitazione del proprietario (2), coll'intenzione di passarci due o tre giorni per prepararmi al trasferimento. Desideravo, inoltre, ricevere delle lettere dagli amici che avevo appena abbandonato e scrivere per consolarli. Ma ciò fu la mia rovina, poiché essi usarono come messaggero il traditore. Solo pochi amici sapevano del luogo ma Dio aveva decretato che la mia ora era giunta. Una notte, mentre “Little John” ed io eravamo insieme nella nostra camera, il traditore venne a portarci una lettera che esigeva una risposta immediata e partì con essa verso le dieci. Dall'altra casa non ero tornato che alle nove, per la verità contro i desideri della mia ospite, la quale mi aveva pregato con inusitata insistenza di non abbandonarla quella notte. Il traditore partì subito e comunicò ai persecutori dove e quando egli ci aveva lasciato. Questi riunirono un drappello e giunsero nella nostra abitazione a mezzanotte. Ci eravamo appena addormentati, quando John ed io fummo svegliati insieme da un improvviso frastuono che proveniva dall'esterno. Indovinai subito di che si trattava ed ordinai a John di nascondere la lettera che avevamo ricevuto quella sera sotto la cenere del fuoco. Dopo aver fatto ciò, egli tornò a letto; quindi ci sembrò di udire il rumore avvicinarsi su verso la nostra stanza. La porta fu percorsa da alcuni colpi secchi: era chiaro che gli uomini intendevano abbatterla se non avessimo aperto prontamente. Non vi era via di scampo. Quella porta era l'unica apertura della stanza e gli uomini la sbarrarono, perciò dissi a John di alzarsi ed aprirla. Immediatamente degli uomini “armati di spade e bastoni” fecero irruzione e riempirono la stanza, mentre molti altri rimasero fuori, impossibilitati ad entrare. Tra loro notai due ufficiali, uno dei quali mi conosceva bene (3). Ciò significava che non avevo alcuna possibilità di restare sconosciuto. Mi ordinarono di alzarmi e di vestirmi, e lo feci. Fu esaminato tutto quello che era in mio possesso, ma non trovarono nulla che potesse compromettere i miei amici. Quindi mi condussero via sotto scorta insieme al mio compagno; ma Dio ci benedisse perché nessuno di noi era angustiato o mostrava timore (4). Tuttavia ero molto preoccupato della casa di quella signora, che quella notte avevo lasciato per tornare al mio appartamento. Forse mi avevano visto uscire da quella ed avevano seguito le mie orme. Perciò temevo che quella illustre famiglia potesse soffrire per causa mia. Ma i miei timori erano infondati. Appresi più tardi che il traditore aveva comunicato loro semplicemente ove mi aveva lasciato: ivi infatti mi trovarono. L'ufficiale (intendo quello che mi conosceva) mi tenne in casa sua per due notti. O gli interrogatori non erano liberi di trattare con me, subito il primo giorno, o, come pensai più tardi, intendevano interrogare prima il mio compagno, “Little John”. La prima notte notai che la stanza in cui ero rinchiuso non era lontana da terra e che sarebbe stato possibile calarmi dalla finestra stracciando le lenzuola e annodandole insieme così da farne una fune. Lo avrei fatto la notte stessa, ma udii qualcuno muoversi nella stanza vicina alla mia. Pensai che fosse stato posto lì per spiare i miei movimenti; così era infatti. Di conseguenza decisi di rimandare la fuga alla notte successiva, purché non vi fosse la guardia. L'occasione non mi si presentò mai. Per risparmiarsi la spesa di una guardia, il custode mi ammanettò i polsi in maniera tale che non potevo né avvicinare né allontanare le mani. Sebbene adesso mi trovassi più a disagio, avevo la mente più riposata. Ogni idea di fuga era svanita, e, al suo posto, sentivo una grande felicità, perché mi era stato concesso di soffrire tutto ciò per amore di Cristo, e ringraziai Nostro Signore come meglio potei. Il giorno successivo fui condotto davanti ai commissari. Come presidente c'era un gentiluomo che ora è il cancelliere del regno. Una volta questi era stato cattolico, ma, essendo una persona di mondo, era passata dall'altra parte (5). Per prima cosa mi chiesero quale fosse il mio nome e la mia professione nella vita. Quando diedi loro il nome del quale mi servivo, uno di essi gridò il mio vero nome, dicendo che ero un gesuita. Comprendendo immediatamente che l'ufficiale mi aveva smascherato, dissi che sarei stato assolutamente franco e che avrei risposto sinceramente a tutte le domande che riguardavano la mia persona, ma aggiunsi che non avrei detto nulla che avrebbe potuto implicare gli altri. Rivelai loro il mio nome e la mia professione, aggiungendo che ero un prete gesuita, sebbene non ne fossi meritevole. “Chi vi ha mandato qui?”, chiesero. “I superiori della Compagnia”. “Perché?”. “Per riportare le anime erranti al loro Creatore”. “No, voi siete stato mandato per distogliere il popolo dall'obbedienza alla regina, per condurlo alla sudditanza del Papa e per immischiarvi negli affari di Stato”. “Per quanto riguarda gli affari di Stato, risposi, non rientrano nelle nostre competenze, anzi abbiamo proibizione di occuparcene. Questa proibizione si estende a tutti i gesuiti; e vi è, inoltre, una speciale proibizione acclusa nelle istruzioni fornite ai padri mandati in missione (6). Per quanto riguarda l'obbedienza dovuta alla regina e al Papa, ciascuno riceve la sua e le due obbedienze non sono in conflitto. La storia dell'Inghilterra, come quella di ogni altro Stato cristiano, lo dimostra”. Essi continuarono: “Per quanto tempo avete agito da prete in questo paese?”. “Circa sei anni”. “Come sbarcaste? e dove? con chi siete vissuto in tutto questo tempo?”. Risposi che non potevo soddisfare a queste domande, particolarmente all'ultima, senza ledere la mia coscienza. “Ciò implicherebbe altri, feci rilevare, perciò vi prego di scusarmi se non soddisfo i vostri desideri”. Comunque, soggiunsero che era proprio su questi punti che desideravano essere informati e mi ordinarono di rispondere in nome della regina. lo proseguii: “Io onoro la regina ed obbedirò a lei ed a voi in tutto quello che è legittimo. Ma nella presente questione, dovete ritenermi scusato. Se nomino qualche persona che mi ha ospitato o menziono qualche casa in cui ho trovato riparo, delle persone innocenti soffriranno per la gentilezza che mi hanno usato. Questa è la vostra legge, ma per parte mia agirei contro carità e giustizia; perciò non mi convincerete mai a farlo”. “Se non risponderete, ribatterono, dovremo costringervi a farlo”. “Per grazia di Dio, spero che ciò non avverrà mai. Vi prego di nuovo di accettare quanto vi dico. Non risponderò alle vostre domande né adesso né in seguito”. Quindi stilarono l'ordine di imprigionamento e lo porsero agli attendenti, ingiungendo loro di condurmi in prigione. Mentre questi mi conducevano via, l'attuale cancelliere disse loro: “Fate in modo che sia posto in stretta segregazione”. (Questo è quanto fanno con i traditori). “Ma dite ai carcerieri di trattarlo bene, perché è un gentiluomo”. Queste furono le sue umane istruzioni. Ma forse il capo carceriere diede ordini diversi, poiché mi posero in una cella molto scomoda (7). Era una piccola soffitta, che aveva spazio solo per un letto ed un soffitto così basso che non potevo stare in piedi, se non vicino al letto. Aveva una finestra che era sempre aperta così da immettere l'aria più mefitica e da far inzuppare il letto, ogni volta che pioveva. L'ingresso era così basso che non potevo entrare nella stanza stando in piedi, ed anche quando strisciavo sulle ginocchia dovevo chinarmi per attraversarlo. Ma ciò rivelò un vantaggio, poiché mi permetteva di evitare il tanfo del cesso vicino, che non era lieve. Era l'unico usato dai prigionieri in quella parte dell'edificio e la puzza che ne veniva mi teneva desto di notte o mi risvegliava. In questa cella angusta trascorsi due o tre giorni di quiete. Non sentivo alcun dolore, la mia mente era riposata e, con la grazia di Dio, godevo quella pace di spirito che il mondo non dona e non può donare. Il terzo o il quarto giorno fui portato fuori per il secondo interrogatorio, questa volta nella casa di un magistrato di nome Young. Questi era, per così dire, il capo inquisitore dei cattolici che abitavano nelle vicinanze di Londra ed era incaricato delle perquisizioni e delle condanne; era quello che aveva procurato questo guaio al mio ospite e che aveva ricevuto i rapporti del traditore. Con lui c'era un altro uomo che ormai da molti anni eseguiva gli interrogatori sotto la tortura. Il suo nome era Topcliffe. Era una creatura crudele ed assetata del sangue dei cattolici (8). Era di una furbizia e di una astuzia eccezionale e al suo paragone l'altro, sebbene fosse un individuo subdolo e malvagio, sembrava ridotto al silenzio. Infatti pronunciò solo poche parole durante l'interrogatorio. Li trovai tutt'e due, da soli. Young portava abiti ordinari, Topcliffe indossava la toga con una spada che gli pendeva sul fianco. Young era un vecchio e canuto veterano del male. Cominciò con una domanda intorno ai luoghi in cui ero vissuto ed ai cattolici che conoscevo; a questa risposi dicendo che non potevo e non volevo menzionare i nomi per le ragioni che avevo già fornito. Non avevo alcuna intenzione di mettere gli altri nei pasticci. Quindi egli si rivolse a Topcliffe. “Ve l'avevo detto, proferì. Sapevo che l'avreste trovato irremovibile”. Topcliffe volse lo sguardo verso di me e mi fissò trucemente. “Sapete chi sono? lo sono Topcliffe. Senza dubbio avete sentito spesso parlare di me”. Disse ciò per intimidirmi. E, per accrescere l'effetto, sbatté la spada sul tavolo a portata di mano, quasi che intendesse farne uso, se il caso l'avesse richiesto. Ma questo suo agire non approdò a nulla con me. Io non ne fui affatto intimorito. In momenti come questi solevo rispondere sempre con deferenza, ma quando mi avvidi ch'egli tentava di impaurirmi fui deliberatamente rude con lui (9). Egli comprese che non avrebbe ottenuto più nulla da me; afferrò, quindi, la penna e stese un rapporto tanto abile quando mendace dell'interrogatorio. “Ecco, guardate questo foglio, disse. Lo inoltrerò al Consiglio Privato; vi presenta come traditore e per diversi titoli”. Questo è quanto aveva scritto: “L'interrogato fu mandato in Inghilterra dal papa e dal gesuita Persons in missione politica, per sovvertire i sudditi fedeli alla regina e per dissuaderli dall'obbedienza a Sua Maestà. Egli è venuto dal Belgio dove aveva avuto abboccamenti col gesuita Holt e con Mr. William Stanley. Perciò, se rifiuta di rivelare i posti in cui egli è stato e le persone con le quali si è mantenuto in contatto, bisogna concludere che ha recato molto danno allo Stato”. E continuava di questo passo. Io scorsi il foglio e compresi subito che non avrei potuto contestare tutte quelle menzogne con un semplice diniego. Siccome volevo che presentasse al consiglio la mia risposta, gli dissi che avrei replicato per iscritto. Topcliffe ne fu divertito. “Oh, state mostrando un po' di buon senso, adesso”. Comunque, ne fu deluso. Egli sperava di prendermi in fallo in quello che avrei scritto o, per lo meno, di ottenere un saggio della mia scrittura. Con questo avrebbe potuto dimostrare che appartenevano a me certi scritti trovati durante la perquisizione delle case. Mi accorsi del tranello e scrissi in maniera alterata: “Sono stato inviato in Inghilterra dai miei superiori. Non ho mai messo piede in Belgio, né ho visto Padre Holt da quando lasciai Roma. Non ho visto Mr. Stanley, dopo che questi lasciò l'Inghilterra col conte di Leicester. Mi è stato proibito di immischiarmi negli affari di Stato, cosa del resto che non ho mai fatto, né mai farò. I miei sforzi hanno mirato a ricondurre le anime alla conoscenza ed all'amore del Creatore, per farle vivere nell'obbedienza dovuta alla legge di Dio ed a quella dell'uomo; e ritengo che quest'ultima sia una questione di coscienza. Chiedo umilmente che la mia determinazione di non rispondere a domande riguardanti le persone che conosco non sia interpretata come disprezzo dell'autorità. Sono costretto ad agire in tal modo dai comandamenti di Dio. Agire diversamente sarebbe un peccato contro la giustizia e la carità”. Mentre scrivevo, il vecchio diventava sempre più irato. Egli tremava di passione e voleva strapparmi quel foglio. “Io scriverò la verità o nulla”, dissi. “No, egli ringhiò, scrivete così e così, ed io farò una nuova copia di quello che scrivete”. “Scriverò quello che voglio io e non quello che volete voi. Se vi piace, potete mostrare ciò che ho scritto al Consiglio. L'unica cosa che aggiungo è la mia firma”. Quindi firmai proprio sotto l'ultimo rigo, così che egli non aveva più spazio per aggiungere nulla. Si accorse di essere stato battuto e nella sua frustrazione cominciò a vomitare minacce e bestemmie. “Farò in modo che siate portato presso di me e posto in mio potere. Vi appenderò in aria e non avrò pietà di voi; poi attenderò per vedere se Dio vi strapperà dalla mia stretta”. Parlava dal fondo della sentina che aveva in cuore. Ma 1'effetto che produceva sopra di me era opposto a quello che desiderava: egli destò le mie speranze. Io ho sempre disprezzato i blasfemi ed ho imparato per esperienza che Dio insinua la speranza nel cuore dei suoi servi nel momento stesso in cui permette che la tempesta si abbatta su di loro. Risposi brevemente: “Voi non potete fare nulla se Dio non ve lo permette. Egli non abbandona mai coloro che confidano in lui. Sia fatta la volontà di Dio!” Young ingiunse allora al carceriere che mi aveva accompagnato di ricon- durmi in prigione. Mentre questi mi portava via, Topcliffe lo richiamò e gli ordinò di farmi serrare i piedi nei ceppi. Entrambi poi cominciarono ad inveire contro il carceriere, perché mi conduceva via da solo: temevano che potessi fuggire. Così strisciai di nuovo nella mia piccola cella e le mie gambe furono adornate secondo le istruzioni. L'uomo che mi incatenò sembrava spiacente per quel che faceva, ma io non ne fui minimamente rattristato. Proprio al contrario. Mi sentivo molto felice, perché Dio si mostrava così buono con l'ultimo dei suoi servi. Per ricompensare l'uomo del buon servizio che mi aveva reso, gli diedi un po' di denaro e gli dissi che non era affatto una punizione il dover soffrire per causa così buona e così nobile (10). NOTE AL CAPITOLO X 1 La Contessa Anne di Arundel, che allora viveva nell'Arundel House, nello Strand. 2 Come appare dalla deposizione di Frank, il traditore, la casa si trovava in Holborn ed era chiamata “Middleton's'”. Per quel che riguarda questo Middleton, pare che si trattasse di un capitano della marina mercantile che aveva un fratello ad Anversa “col nemico”. Fu imprigionato ed interrogato da Young nell'agosto dello stesso anno. C.S.P.D., 1595-1597, p. 544. 3 Probabilmente l'ufficiale aveva conosciuto J. G. quando questi fu confinato a Marshalsea dieci anni prima. Forse era Newell. Circa un anno dopo egli perquisì la casa della sorella di J. G., Mrs. Jenison, nel Derbyshire. MORRIS, p. 2. 4 J. G. fu arrestato il giorno di San Giorgio, il 23 aprile, da Newell e Worsley. Hat. Cal., VI, p. 311. 5 Costui era sir Thomas Egerton, che fu nominato cancelliere nel 1609. Riprese il proprio posto tra i non-conformisti nel 1577, ma se ne ritrasse un'altra volta e prese parte in qualità di procuratore generale al processo di Campion, del conte di Arundel e di molti altri cattolici. C.R.S., vol. XXII, p. 101. 6 Queste istruzioni furono impartite dal Generale Aquaviva a Persons e a Campion, quando partirono da Roma nel 1580. Esse sono citate, in parte, da RICHARD SIMPSON nel suo Edmund Campion, pp. 99-100: “Non dovevano immischiarsi negli affari di Stato, né scrivere a Roma circa questioni di politica, né parlare o permettere che altri parlasse, in loro presenza, contro la regina, salvo quando si trovassero in compagnia di persone la cui fedeltà fosse stata lungamente provata, e, anche allora, non senza gravi motivi”. Dal 1586 nelle istruzioni date a Padre Garnet e a tutti gli altri preti gesuiti, J. G. incluso, che successivamente entrarono in Inghilterra, l'ultima frase “salvo quando” fu omessa. 7 J. G. fu trattenuto nella prigione di Poultry. Padre Garnet la descrive come “un carcere pessimo senza alcun conforto”. Essa fu allestita trasformando circa quattro case ad ovest della chiesa parrocchiale di S. Mildred in Bread Street. STOW, Survey of London (ed. Thoms), pp. 99, 131. 8 In Narrative of the Gunpowder Plot, J. G. esprime la sua ammirazione per Southwell, il quale “fu consegnato, per disposizione divina, nelle loro mani per incontrarsi a faccia a faccia con Topcliffe, il più crudele tiranno di tutta l'Inghilterra, uomo infame e detestato in tutto il regno per il suo spirito sanguinario e per le sue atrocità”. Narrative, p. 18. 9 Padre Southwell trattò Topcliffe nello stesso modo. “Benché avesse risposto prontamente alle domande rivoltegli dagli altri, quando fu interpellato da Topcliffe non si degnò di rispondergli. Quando gliene fu chiesto il motivo, rispose: “Perché so per esperienza che quell'uomo non ragiona”. HENRY MOORE, Historia Provinciae Anglicanae, libro V, n. 15. 10 J. G. non fece gran caso delle sue sofferenze fisiche. In una lettera indirizzata al Generale della Compagnia in data 7 maggio 1597, Padre Garnet, descrivendo la forza mostrata in prigione da J. G., ci offre dei particolari che J. G. modestamente tralasciò: "Quando fu preso per la prima volta e il carceriere gli assicurò ai piedi dei pesanti ceppi di ferro, egli (J. G.) gli diede del denaro. Il giorno seguente il carceriere, credendo che se glieli avesse tolti gli avrebbe regalato di più, glieli tolse ma non ottenne nulla. Alcuni giorni dopo venne Per rimetterglieli di nuovo ed ancora una volta ricevette una ricompensa; e quando glieli tolse non ebbe neanche un centesimo. Continuarono a giocare così per diverso tempo; ma alla fine il carceriere, vedendo che non otteneva nulla quando gli toglieva i ceppi, glieli lasciò per lungo tempo, così che l'alluce di un piede restò per ben due anni in pericolo di atrofizzazione”. Stonyhurst MSS, Anglia A, II, n. 27. XI. IN CARCERE Primavera - Estate 1594 Rimasi in catene per tre mesi o poco più. Il primo mese lo passai nella pratica degli Esercizi Spirituali, secondo che li potevo rammentare a memoria, dedicando quattro e talvolta cinque ore giornaliere alla meditazione. Per tutto quel tempo sentii la grande bontà di Dio e compresi con quanta liberalità tratta i suoi servi afflitti, quando li priva di ogni specie di conforto terreno. Passarono diversi giorni prima che mi conducessero fuori per sottopormi ad ulteriore esame. Ma, mentre me ne ero stato quietamente disteso in cella, avevano interrogato Richard Fulwood (il traditore aveva rivelato che quegli era il mio domestico) e “Little John” che era stato catturato con me. Essi cercarono di sedurli e di corromperli, ma non riuscirono a strappar loro una sola parola che avesse potuto compromettere gli altri. Quindi ricorsero alle minacce ed alla violenza. Ma la forza dello Spirito Santo, che li corroborava, era troppo grande per essere sopraffatta dagli uomini. Alla fine entrambi furono appesi per tre ore (penso) con i polsi stretti in bracciali di ferro e col corpo penzolante nell'aria: una pena inumana che distende le membra in maniera insopportabile, ma che non sortì risultato alcuno. Nessuno di loro proferì una sillaba che avesse potuto deporre contro uno solo di noi. Blandimenti, minacce, torture, nulla riuscì ad estorcere loro il nome di un singolo luogo in cui uno di noi avesse riparato, né il nome di una sola persona che ci avesse incontrati o protetti (1). Questo è il momento di menzionare la grande bontà e la grande misericordia che Dio mostrò verso di me, il più immeritevole dei suoi servi. Mi riferisco al fatto che non ci fu un solo traditore fra gli uomini che furono catturati in casa mia, né tra quelli presi in casa di quel buon gentiluomo che era il mio ospite, né infine tra coloro che più tardi furono imprigionati, torturati e maltrattati nelle persecuzioni che Dio si degnò di farmi subire. Non uno, ripeto, mi venne meno. Tutti, per grazia di Dio, rimasero fermi sino in fondo. Non uno di quelli che mi furono compagni di lavoro e che solitamente agivano in qualità di miei domestici nelle relazioni con innumerevoli gentiluomini (essi conoscevano tutti i miei amici ed avrebbero potuto causare un danno incalcolabile, diventando ricchi in un batter d'occhio a loro spese); non uno, dico, si lasciò mai sfuggire un'informazione, o si rese colpevole di tradimento, o, per malizia e indiscrezione, fece e disse mai nulla che cagionasse sofferenze ad altri, o infine si comportò in ma- niera minimamente reprensibile. Al contrario, Dio nella Sua condiscendenza donò a molti di loro il suo buono, anzi il suo migliore Spirito (2). Il mio primo servo fu John Lasnet che morì in Spagna dopo essere divenuto fratello gesuita. Il secondo fu Michael Walpole che restò con me solo per breve tempo e che adesso lavora in Inghilterra come prete (3). Il terzo si chiamava Hill. Egli aveva la vocazione per la Compagnia e lo inviai a Reims per farlo studiare nel seminario locale. Studiò filosofia con molto profitto, ma in seguito, al Collegio Inglese, si unì ad una fazione ribelle: fatto, questo, poco edificante. Egli fu l'unico dei miei compagni che riuscì un po' male; tuttavia fu ordinato sacerdote e fu mandato in Inghilterra. Ivi fu catturato e condannato a morte per la fede; ma, invece di essere ucciso, fu trattenuto in prigione, donde più tardi riuscì ad evadere. Egli lavora ancora in Inghilterra (4). Dopo di lui ebbi John Sutton, una persona devota che aveva tre fratelli preti, fra cui un martire ed un gesuita. Per molti anni, fino al tempo del suo arresto, Padre Garnet lo tenne in casa sua. Gli tenne dietro Richard Fulwood, l'uomo al quale ho appena accennato. Questi riuscì ad evadere e, durante il periodo della mia prigionia, riparò da Padre Garnet, che lo prese al suo servizio e lo trattenne fino al giorno della sua beata morte. Il governo sapeva che egli era l'agente di Garnet in quasi tutti i suoi affari ed offrì una somma ingente per la sua cattura, sia prima ma specialmente dopo l'arresto di Padre Garnet. Infatti non gli diedero tregua ed alla fine dovette fuggire dal paese. Attualmente si trova in esilio e sta ancora svolgendo una valida attività in favore della missione. Dopo di lui, venne John Lillie che è molto conosciuto a Roma, perché è divenuto confratello laico. È morto in Inghilterra poco tempo fa. Lo seguirono due ottime persone, che io non assunsi, però, in regolare servizio, ma trattenni solo temporaneamente, mentre ero alla ricerca di una brava persona religiosa che potesse aiutarmi in tutto nelle mie necessità. Alla fine trovai l'uomo che faceva al caso mio. Quando abbandonai l'Inghilterra lo condussi con me e lo lasciai a St. Omers. Ivi si procurò solide fondamenta in greco ed in latino e fu molto amato da tutti i padri, che in seguito lo mandarono in Spagna per gli studi superiori. Ancora si trova in quel paese, dove sta radunando tesori di scienza e di virtù; e, secondo quanto ho recentemente appreso da una lettera del prefetto degli studi, egli è il migliore del corso (5). Questi furono gli uomini che Dio, nella sua misericordia, mi aveva donato, senza che io facessi nulla per meritarli. Essi furono la risposta alla mia co- stante preghiera. La defezione di uno qualsiasi dei nostri collaboratori avrebbe pregiudicato e compromesso la nostra causa più di ogni altra cosa. Se uno solo di essi avesse deciso di tradirci, avrebbe seminato la rovina tra i cattolici. Molti gentiluomini si fidavano di loro allo stesso modo che si fidavano dei preti; essi confidavano in loro, comunicavano loro i nostri recapiti e perfino i nostri nascondigli. E, se un semplice servo, un uomo che non era né cattolico né membro della famiglia (alludo al traditore), era in grado di causare un tale cataclisma nella famiglia del suo padrone, si può facilmente immaginare quello che il domestico di un prete avrebbe potuto provocare tra la gente di alto rango che aveva alloggiato il suo padrone. Ed ora torniamo alla nostra narrazione. Non riuscirono ad estorcere nulla ai due uomini, “Little John” e Richard Fulwood, né ad alcuno dei servi cattolici del mio ospite, neanche l'ammissione che essi mi conoscevano. Avvenne, così, che, per mancanza di testimoni, persero gradualmente la speranza di incamerare tutti i beni e tutti i profitti del mio ospite. Ogni momento, quando avevano qualcosa di nuovo da addossarmi, mi facevano chiamare per l'interrogatorio. In una occasione mi fecero uscire per farmi provare degli indumenti che erano stati trovati in casa del mio ospite (6). Il traditore aveva loro rivelato che erano miei, e quando li indossai, si rivelarono della mia esatta misura (infatti, erano stati confezionati per me), ma io rifiutai di ammettere che mi appartenessero. Young, allora, montò su tutte le furie e disse che mi stavo comportando da ostinato e da stupido. “Quanto più assennato è Padre Southwell! esclamò. All'inizio era ostinato come voi; adesso, invece, è pronto a conformarsi e desidera parlare con qualche dotto”. Al che risposi: “Non credo affatto che Padre Southwell voglia trattare con alcuno, come non credo né alla sua esitazione, né al suo desiderio di apprendere da un eretico ciò che dovrebbe professare. Può darsi benissimo ch'egli abbia sfidato qualche vostro teologo a un dibattito. Così ha fatto Padre Campion e così avrebbero fatto anche molti altri, se voi l'aveste permesso e se aveste garantito dei giudici imparziali” . Young prese la Bibbia e la baciò. “Giuro su questo libro che Southwell ha chiesto un abboccamento con l'intenzione di abbracciare la nostra religione”. “Non credo assolutamente ch'egli abbia fatto una cosa del genere”, ribattei. “Cosa?”, intervenne uno dei suoi uomini. “Voi non credete a Young, quando giura che quanto afferma risponde a verità?”. “Non lo credo e non lo voglio credere, replicai. Ho più fiducia nella fermezza di Padre Southwell che in qualsiasi parola di Young. Senza dubbio, egli si ritiene giustificato a fare dichiarazioni come questa, al fine di ingannarmi”. “Nulla di tutto ciò, rispose Young. Ma voi siete disposto a conformarvi, se anche Southwell lo ha fatto?”. Per “conformarsi” essi intendono il riconoscimento della loro religione deformata. “Naturalmente, no. Io non rifuggo l'eresia e non evito le riunioni ereticali perché egli o qualsiasi altra persona fa così, ma perché rinnegherei Cristo e la Sua fede. E ciò si può fare sia con azioni che con parole. Si tratta di qualcosa che Nostro Signore ci ha proibito con pene molto più gravi dl quelle che qualsiasi uomo può infliggere. Egli disse: "Colui che mi rinnegherà davanti agli uomini anch'io lo rinnegherò davanti al Padre che è nei cieli". Potete forse negarlo?”. Dopo ciò, l'eretico tacque, limitandosi a dire che ero un ostinato - proprio quello che era lui - e ordinando che fossi ricondotto in prigione. In un'altra occasione fui chiamato per mettermi a confronto con tre testimoni. Questi erano i servi di un gentiluomo, Lord Henry Seymour, figlio del duca di Somerset. Essi non erano cattolici ed attestarono che un giorno mi avevano visto pranzare con la loro padrona e con la sorella di lei. Con altri domestici, essi avevano servito a tavola. Queste due sorelle erano figlie del conte di Northumberland. Una di esse era una devota cattolica (7) e, poco tempo prima del mio arresto, era venuta a Londra per esser da me aiutata a riparare in Belgio, dove voleva entrare in convento. Per questo si era messa in viaggio ed alloggiava temporaneamente presso sua sorella, la moglie del conte. Dopo la santa morte del padre, sua sorella aveva abbandonato la fede ed ella era ansiosa di farla ravvedere. Quando le visitai si era in Quaresima e questi tre testimoni dichiararono che la padrona di casa mangiò carne, mentre lady Mary ed io mangiammo pesce (8). Young mi lanciò questa accusa. Egli appariva esultante come se, finalmente, avesse qualcosa che io non potessi negare, senza rivelare i nomi dei miei amici. Ma io risposi che non conoscevo gli uomini che egli aveva portato per testimoni. “Ma noi conosciamo voi, ribatterono questi. Voi siete la stessa persona che fu nel posto tal dei tali, in tale e tale giorno”. “Parlando in tal modo, dissi, farete un grave torto alla vostra padrona”. “Quale impudenza!”, esclamò Young. “Proprio così, ribattei, presumendo, naturalmente, che quanto questi uomini hanno affermato risponda a verità. Ma io non sono in condizione di darvi una risposta definita per le ragioni ormai più volte addotte. È affar loro vedere se quanto asseriscono è vero e se lo dovrebbero dire”. Tutto infuriato, Young ordinò che fossi ricondotto in prigione, ___________________________________________________________ _ NOTE AL CAPITOLO XI 1 L'interrogatorio di Richard Fuldwood, tratto da S.P.D., voI. CCXLVIII, n. 40, è stampato in MORRlS, p. 159. 2 Parlando in particolare di Little John, J. G. mostra di nuovo quanto i sacerdoti si fidassero dei propri servi: “Sì, egli avrebbe potuto impedire ai preti di fuggire, conoscendo la residenza della maggior parte di essi e di tutti quelli della Compagnia. Anzi, avrebbe potuto catturarli come pernici in una rete, conoscendo tutti i loro nascondigli che egli stesso aveva preparato... Nessun altro fece tanto bene quanto lui aiutando nelle loro fatiche i preti che si affaticavano in quella vigna; e neanche dieci uomini avrebbero potuto recare tanto danno quanto ne avrebbe potuto fare lui, solo che lo avesse voluto. Egli ben sapeva che con ciò si sarebbe potuto creare una posizione nel mondo non solo per la ricompensa meritata da un così grande e straordinario servizio, ma anche per la confisca dei beni dei cattolici, molto numerosi e grandi”. Narrative, p. 187. 3 Michael Walpole entrò nella Compagnia l'8 settembre 1593 e ritornò in Inghilterra alla fine del regno di Elisabetta. Diventò uno dei gesuiti inglesi più in vista e fu due volte imprigionato ed esiliato. Nel 1609 pubblicò a Londra una traduzione inglese del De consolatione philosophiae di Boezio e l'anno seguente quando Giacomo I scrisse la sua apologia per il nuovo giuramento d'obbedienza, egli rispose con una Admonition to English catholics. Morì a Siviglia probabilmente nel 1624. JESSOP, p. 299. 4 Thomas Bill entrò nel Collegio Inglese di Roma il 18 dicembre 1593 e fu mandato via quattro anni dopo per il danno che faceva (C.R.S., vol. XXXVII, p. 92). Padre Garnet si riferisce a lui in una lettera a Padre Aquaviva in data 16 aprile 1596: “Voi avete un esempio delle difficoltà che i nostri Padri affrontano: mi riferisco a Thomas Bill, che è un attaccabrighe a Roma. Una volta egli fu compagno del nostro Padre John Gerard e per lungo tempo fu mantenuto in Inghilterra col nostro denaro e non c'è cosa che non conosca sul nostro conto”. Arch. S. J. Roma, Anglia 31, f. 129. 5 Questi era probabilmente Thomas Land, detto altrimenti John Collins, che sarebbe stato un giovanotto di vent'anni quando J. G. “lo lasciò a St. Omers” nel 1606. Di lì andò al seminario di Valladolid nel 1608. Più tardi entrò nella Compagnia in Spagna. C.R.S., vol. XXX, p. 98. 6 Dimostrando che gli indumenti appartenevano a J. G., Young avrebbe potuto accusare William Wiseman di aver albergato dei preti. Questi indumenti furono trovati a Braddocks. Il rapporto della perquisizione riferisce che in casa “c'era un prete del seminario [J. G.] il quale sfuggi ai giudici di pace lasciando indietro il suo corredo”. C.S.P.D., 1591-94, p. 484. 7 Questa “devota cattolica” era lady Mary Percy, l'altra sorella era Jane, moglie di Henry Seymour, figlio del Protettore Somerset. 8 I tre testimoni erano stati chiamati dietro informazione di Frank. Nella sua dichiarazione, che gli esaminatori avevano davanti a loro, Frank asseriva: “Gerard rimase una notte da Lady Mary a Blackfriars, un po' prima della scorsa Pasqua 1594, e Ralph Willis suo servo a casa mia”. S.P.D., Eliz., vol. CCXLVIII, n. 91 . XII. CLINK Estate 1594 - Primavera 1597 Siccome l'unico capo d'accusa dimostrato era la mia condizione sacerdotale, alcuni miei amici (ciò avvenne circa tre mesi più tardi) tentarono di farmi trasferire in una prigione migliore; in ciò riuscirono corrompendo nientemeno che lo stesso Young. Perciò, mi mandarono alla prigione chiamata “the Counter” e mi liberarono delle catene. Quando, all'inizio me le avevano assicurate, erano arrugginite; ma io le avevo rese lucide e scintillanti, portandole ogni giorno e muovendomi con esse, sebbene la mia cella fosse così stretta che avrei potuto attraversarla con soli tre passi, se le mie gambe fossero state libere. Solevo trascinarmi da una parte all'altra a passettini. In tal modo mi tenevo alquanto in movimento. Inoltre, ed è quello che più importava, quando i prigionieri di sotto cominciavano a cantare canzoni lascive e salmi di Ginevra, io potevo soffocare il loro baccano con il suono meno sgradevole delle mie sferraglianti catene. Mi furono tolte, quindi, le catene e pagai le mie spese, che non ammontavano a molto, perché tutto quello che avevo ricevuto era stato il pane con un po' di burro e formaggio. Poi fui condotto alla presenza di Young che finse di essere irato. Cominciò ad ingiuriarmi e ad insultarmi con una violenza che non aveva mai mostrato prima. Tornò di nuovo a domandarmi se volevo confessare dove e con quale gente fossi vissuto; ma risposi di nuovo che non potevo dirglielo con mia buona coscienza e che perciò non l'avrei fatto. “In questo caso, disse, dovrò farvi confinare in una più stretta segregazione. Sarete rinchiuso in maniera più rigorosa e la vostra finestra sarà sbarrata”. Quindi vergò un ordine di detenzione e mi inviò a Clink (1) Tutto ciò non era altro che una messa in scena per schermirsi dall'accusa di corruzione. In realtà, la mia nuova prigione era molto migliore della precedente. Tale, del resto, la trovavano tutti i prigionieri, ed io in particolare, perché molti erano i cattolici relegati in quel luogo (2). Adesso non mi potevano più impedire di ricevere i sacramenti e, come sarà mostrato da quel che segue, privarmi di molte altre consolazioni. Così, fui trattenuto in quel luogo. Ma, con la grazia di Dio, dopo pochi mesi avevamo disposto ogni cosa in maniera che ero in grado di compiere tutti i doveri di un prete gesuita; e, se avessi avuto la possibilità di restare in quella prigione, non avrei mai desiderato di riacquistare la libertà in Inghilterra. Sebbene fossi rinchiuso, consideravo questo trasferimento a Clink come un passaggio dal Purgatorio al Paradiso. Non sentivo più le canzoni oscene ed impudiche, ma, in loro vece, udivo i cattolici che pregavano nella cella attigua. Essi vennero alla mia porta e mi confortarono. Mi mostrarono quindi come avrei potuto mantenere con loro più liberi contatti attraverso un foro praticato nella parete, che essi avevano ricoperto e nascosto con un quadro. Attraverso questa apertura, il giorno dopo, mi passarono delle lettere scritte da alcuni miei amici e, al tempo stesso, mi fornirono di carta, inchiostro e penna, in maniera da poter rispondere. In tal modo ebbi la possibilità di inviare una lettera a Padre Garnet e di narrargli tutta la verità su quanto mi era accaduto, specificando le risposte da me date durante l'interrogatorio, proprio come sopra ho scritto (3). Attraverso questa stessa apertura facevo anche la confessione e ricevevo il SS. Sacramento. Ma neanche ci fu bisogno di continuare a lungo in questo modo, perché alcuni cattolici della prigione erano riusciti ad approntare una chiave che apriva la mia porta. Perciò, ogni mattina, prima che la guardia venisse per l'ispezione, in realtà prima ancora che uscisse dal letto, essi venivano e mi conducevano in un'altra parte della prigione, dove celebravo Messa ed amministravo i sacramenti ai cattolici reclusi in quell'ala della prigione. Essi avevano tutti la chiave della loro porta. Se mi fosse stata lasciata libera la scelta, io avrei scelto proprio quegli stessi vicini che avevo. Nella porta accanto c'era Ralph Emerson, il confratello al quale Padre Campion, in una lettera indirizzata al Padre Generale, si riferisce con le parole: “Il mio piccolo uomo ed io”. Fisicamente era un uomo molto piccolo, ma per vigore e per solidità di spirito era tanto grande, quanto si potrebbe augurare a chiunque. Durante i molti e lunghi anni di prigionia, restò sempre buono e devoto, vero figlio della Compagnia. Restò a Clink ancora per sei o sette anni dopo il mio arrivo e, finalmente, fu trasferito a Wisbeach Castle con altri confessori. Ivi fu colpito da una paralisi che gli fece perdere il controllo di metà del corpo, così che non poteva muoversi né fare la minima azione per aiutarsi. Tuttavia continuò a vivere e si procurò grandi meriti con la pazienza. Alla fine, insieme con i suoi compagni sacerdoti e confessori di Cristo, fu cacciato in esilio e riparò a St. Omers, dove fece una santa morte, edificando tutti coloro che l'assistevano (4). Questo bravo confratello, dicevo, stava nella cella attigua alla mia, mentre sopra di me si trovava John Lillie, che la Provvidenza aveva posto in quel luogo a vantaggio di entrambi. Anche attorno a me c'erano molti buoni e santi uomini. Poiché essi erano liberi nella prigione e chiunque poteva visitarli senza alcun rischio, io potei disporre le cose in modo che i miei amici, giungendo alla porta della prigione, chiedessero di loro e, venendo su, passassero a parlare con me senza attrarre l'attenzione. Tuttavia non permisi che entrassero nella mia cella, ma parlavo loro attraverso l'apertura di cui ho detto. Così, godetti un breve periodo di quiete e di calma che cercai di rendere vantaggioso agli altri, scrivendo, all'esterno, lettere agli amici e parlando, all'interno, con i miei visitatori. Il primo carceriere era d'indole violenta e sorvegliava attentamente che fosse osservato il regolamento. Finché egli fu in servizio, fui costretto a restare sempre in guardia per evitare di essere scoperto. Ma Dio lo rimosse dalla sorveglianza del carcere e, nello stesso tempo, dalla prigione del suo corpo. Gli successe un giovane molto più comprensivo. Con mance e con altri imbonimenti lo indussi a non sorvegliare troppo strettamente le nostre azioni e a venire da me solo quando lo chiamavo, eccetto in certi momenti stabiliti in cui poteva sempre trovarmi pronto a riceverlo. Con tale concessione di libertà potei intraprendere di nuovo il mio lavoro apostolico. Ben presto ascoltai un gran numero di confessioni e riconciliai molte persone alla Chiesa; alcune erano eretiche, ma per la maggior parte erano scismatiche, poiché era più facile avvicinare queste che le altre. Ma dovevo conoscere gli eretici da lungo tempo e dovevo ricevere loro informazioni da amici fidati, prima di arrischiarmi ad introdurli nel segreto della mia libertà. Infatti non riesco a ricordare più di otto o, forse, dieci convertiti dall'eresia. Comunque, quattro di essi entrarono negli ordini religiosi: due nella Compagnia e due in altri ordini. Tra gli scismatici, tuttavia, i convertiti furono numerosi. Anche tra questi alcuni divennero religiosi; mentre altri dedicarono la loro vita a buone opere durante la persecuzione in Inghilterra. Uno di essi fu Mr. John Rigby. Ecco la sua storia. In una circostanza egli si presentò per deporre a favore di una certa signora cattolica che era stata citata in tribunale (5). Poiché i giudici non volevano concedere nessun vantaggio giuridico ad una parte cattolica, gli chiesero quale fosse il suo credo religioso, dal momento che perorava così caldamente per la sua cliente. “Siete un prete?”, gli domandarono. “No”, egli rispose. “Un papista?”. “Sono cattolico”. “Veramente? E da quanto tempo siete tale?”. Egli lo disse loro. “E chi vi ha reso cattolico?”, gli domandarono. Egli non volle implicarmi, perciò fece il nome di un prete che era stato martirizzato poco tempo prima (6). “Così vi siete riconciliato con la Chiesa di Roma?”. Le leggi inique che sono in vigore considerano la riconciliazione con la Chiesa un alto tradimento; ma egli non si avvide del tranello. Gli era stato detto che era peccato non confessare la propria fede cattolica e, forse, non sapeva che era legittimo addossare l'onere della dimostrazione all'accusa, come fanno i cattolici bene informati. Così, quest'uomo retto e timorato di Dio ammise prontamente con coraggio e con magnanimità che si era riconciliato. Fu arrestato su due piedi e gettato in prigione. E quando, più tardi, fu condotto in giudizio, ripeté questa candida confessione ed aggiunse che la sua più grande ambizione era quella di essere cattolico. Egli ascoltò la sentenza con grande gioia e, mentre questa veniva pronunciata, le catene in cui si trovava avvinto davanti alla corte si sciolsero e gli caddero dalle gambe. Il carceriere le rimise a posto, ma (credo di non sbagliare) esse ricaddero una seconda volta. Quindi fu riportato in prigione da dove mi mandò, poco tempo prima del suo martirio, una lettera piena di ringraziamenti per averlo reso cattolico e per averlo aiutato (il che fu sempre cosa insignificante) ad acquistare quella condizione di spirito che egli sperava che sarebbe stata presto perfezionata da Dio. Mi mandò pure il suo borsellino che ancora conservo e che tuttora uso per onorare la memoria del martire, giacché vi tengo il reliquiario. Mentre il martire veniva trascinato al luogo dell'esecuzione sul carro dei condannati si imbatté lungo il percorso in un conte e in un gruppo di altri gentiluomini. Il conte (7), vedendolo trascinar via, chiese quale fosse la sua colpa. Il martire udì la domanda. “Io non sono reo di nessun misfatto contro la mia regina ed il mio paese, disse, ma muoio per la fede cattolica”. Il conte, vedendo che era un uomo imponente e ben fatto, rispose: “Voi eravate fatto per aver moglie e figli, e non per morire per la fede”. “Quanto alla moglie, invoco Dio a testimoniare che non ho mai avuto relazioni con una donna”. (Io stesso posso confermare questa dichiarazione). Il conte ne fu colpito e da quel momento nutrì una maggiore stima per i cattolici e per la loro fede, come in seguito dimostrò in molti modi. Così questo santo uomo volò in cielo dove spero che interceda per il suo indegno padre in Cristo (8). Mentre rimasi in questa prigione, mi fu possibile dettare gli Esercizi Spirituali, poiché il carceriere faceva quello che desideravo. Infatti, veniva da me solo quando lo chiamavo e non si avvicinava mai alle celle dei miei vicini. Potemmo, così, allestire una cappella in una stanza superiore, dove sei o sette uomini si radunavano per gli Esercizi. Tutti decisero di seguire i consigli di Cristo Nostro Signore e tutti rimasero fedeli alla loro risoluzione. A quel tempo solevano venire a Londra molti sacerdoti di mia conoscenza. Siccome essi non avevano alcun posto per alloggiare al sicuro, si fermavano nelle locande per tutta la durata dei loro affari. Inoltre, la maggioranza dei preti che arrivavano dal seminario erano avvertiti di porsi in contatto con me, in modo che io potessi presentarli al loro superiore e fornirli degli altri aiuti di cui necessitavano. Il mio recapito era noto e non cambiò mai, così che potevo essere rintracciato senza difficoltà. D'altra parte, però, non sempre avevo degli alloggi da mettere a loro disposizione e non sempre potevo trovare una casa cattolica a cui indirizzarli. Perciò presi in fitto una casa con un giardino in un quartiere favorevole e, con l'aiuto degli altri amici, l'arredai dei mobili necessari. Colà inviai tutti gli uomini che giunsero con lettere di raccomandazione da parte dei nostri padri all'estero, come pure altre brave persone che ritenevo utili alla nostra causa. Ivi li mantenni finché, con l'aiuto dei miei amici, fui in grado di provvederli di abiti convenienti e delle altre cose loro necessarie, o di procurar loro una residenza, o di comprar loro un cavallo in maniera che potessero visitare i loro amici e parenti nel paese. Affrontavo tutte queste spese e quelle della casa, ricorrendo alle elemosine che mi giungevano. Non che ricevessi elemosine da un gran numero di persone né, tanto meno, che le domandassi a chiunque mi visitasse in prigione. Anzi, non accettavo le elemosine da tutti quelli che me le offrivano. Sia in prigione che fuori, non ebbi mai il desiderio di far ciò, perché mi sarei potuto procurare la taccia di ricevere le elemosine indiscriminatamente, tenendo lontano da me degli uomini che erano ansiosi di consultarmi nelle loro difficoltà spirituali; e perché avrei potuto ricever danaro da gente che non se lo sarebbe potuto permettere e che in seguito si sarebbe pentita di avermelo dato. Perciò, mi attenni al principio di accettare denaro soltanto da quelle poche persone che conoscevo a fondo. Ed infatti la massima parte delle elemosine che ricevevo provenivano da una cerchia ristretta di amici fedeli, che prima mi offrivano i loro servizi e dopo mi donavano il danaro, senza che lo chiedessi, e che erano convinti di ricevere un favore quando lo accettavo. Affidai la cura della casa ad una vedova molto brava e prudente, che in seguito doveva ricevere l'onore del martirio. Ella apparteneva ad una famiglia distinta: il suo nome da ragazza era Heigham e quello di suo marito era Line. Tanto lei che suo marito furono entrambi benedetti da Dio e dovettero soffrire molto per amor Suo. Quando il padre, che era protestante, seppe che sua figlia stava per diventare cattolica, le rifiutò la dote che le aveva promesso. Per la stessa ragione privò dell'eredità anche un figlio. Ma quest'uomo, William Heigham, si fece confratello laico e adesso lavora in Spagna. Son passati ventisei anni da quando lo incontrai per la prima volta: era un giovane di ottima reputazione e di grande eleganza, come molti altri nobili londinesi del suo tempo. Allora, egli teneva in casa sua un sacerdote, un certo Padre Thomson, al cui martirio dovevo in seguito assistere (9). Quando suo padre apprese che anche lui era diventato cattolico, vendette gl'immobili che costituivano il suo patrimonio, con l'intenzione di privarlo di essi. Il loro reddito annuo era calcolato di seimila fiorini. In seguito, lo stesso giovane fu arrestato per la fede e, come ritengo, fu relegato a Bridewell insieme al sacerdote che alloggiava nella sua casa (10). Quella era la prigione riservata ai vagabondi, ai quali si imponevano pesanti lavori sotto la sferza. Lo andai a visitare e lo trovai intento alla grande macina in un mare di sudore. Dopo che fu liberato, prese servizio presso un gentiluomo, del quale conoscevo bene la moglie cattolica. Questa gli affidò l'educazione del figlio; ma egli, oltre i rudimenti di latino, insegnò al ragazzo a suonare l'arpa, uno strumento che egli stesso suonava con grande maestria. Mentre si trovava lì, andai a trovarlo ed ebbi con lui una lunga conversazione intorno alla sua vocazione. Sua sorella, Mrs. Line, sposò un ottimo gentiluomo, cattolico fervente che era erede di un grande patrimonio. A quel tempo suo padre, o forse suo zio (era erede di entrambi), trovandosi sul letto di morte, gli fece recapitare un messaggio in prigione. In questo, egli lo pregava a conformarsi e ad entrare in chiesa almeno una volta, altrimenti avrebbe passato il patrimonio al fratello minore. Il brav'uomo rispose con fermezza: “Se debbo esser posto di fronte all'alternativa di abbandonare il mondo o Dio, allora abbandono il mondo, perché è bene aderire a Dio”. Così, tanto il patrimonio del padre quanto quello dello zio passarono al fratello minore (11). Con questo mi incontrai una volta nella camera del fratello maggiore. Era vestito di seta e di broccato, mentre suo fratello indossava abiti semplici ed ordinari. Quest'anima buona si recò più tardi in Belgio ed il re di Spagna gli assegnò una pensione, parte della quale egli mandava a sua moglie. La loro fu veramente una vita di povertà e di santità. Quando suo marito morì in Belgio, Mrs. Line rimase senza amici in questo mondo e dipese interamente dalla provvidenza di Dio. Perciò, prima del mio imprigionamento, la presentai nella casa presso la quale alloggiavo: la famiglia la provvedeva di cibo e di alloggio, mentre io le procuravo ogni altra cosa che le fosse necessaria (12). Quando decisi di prendere la casa di cui sopra ho fatto menzione, non potei pensare ad altra persona cui affidarne la cura. Ella era capace di amministrare le finanze, di sbrigare le faccende domestiche, di accudire gli ospiti e di destreggiarsi di fronte alle domande degli estranei. Era piena di gentilezza e di discrezione e possedeva la sua anima in grande pace. Era, tuttavia, cronicamente ammalata, giacché soffriva sempre di qualche infermità. Soleva dire spesso: “Naturalmente, desidero sopra ogni altra cosa morire per Cristo, ma sarebbe troppo sperare che ciò avvenga per le mani del boia (13). Forse Nostro Signore permetterà che un giorno sia presa con un prete e sia gettata in qualche fredda e lurida segreta, in cui non mi sarà possibile vivere a lungo in questa vita disgraziata”. Così diceva e, veramente, il suo diletto era nel Signore, “ed il Signore accondiscese alle domande del suo cuore” . Dopo la mia fuga dalla prigione, ella abbandonò la direzione della casa. A quel tempo era conosciuta da tanta gente, che non mi era più sicuro frequentare una casa che fosse da lei occupata. Ella, invece, prese in affitto degli appartamenti in un altro fabbricato e continuò ad accogliervi i sacerdoti. Un giorno, tuttavia, (era la festa della Purificazione), ella fece entrare un numero di cattolici straordinariamente grande per ascoltare la Messa: cosa che non avrebbe mai fatto in casa mia, poiché era più preoccupata della mia sicurezza che della sua. Alcuni vicini notarono la folla e la polizia sopraggiunse immediatamente. Le guardie irruppero nel piano superiore e trovarono una stanza piena di gente. Il celebrante era Padre Francis Page, il martire gesuita. Questi si era spogliato dei paramenti prima che i persecutori arrivassero, perciò fu loro difficile individuare il prete. Ma l'apparenza tranquilla e modesta del padre lo tradì; sospettarono di lui e cominciarono ad interrogarlo insieme a un certo numero di altri presenti. Nessuno, tuttavia, ammise che ci fosse un prete nella stanza, sebbene, giacché l'altare era preparato per la Messa, essi affermassero che stavano attendendone uno. Le guardie non intendevano accettare questa versione e, mentre si avviava un alterco, Padre Page, scorgendo aperta la porta, afferrò l'occasione: si sottrasse alla presa degli uomini che lo tenevano e volò via chiudendo la porta dietro di sé. Si rifugiò nel piano superiore, dove sapeva che Mrs. Line aveva preparato un nascondiglio, e vi si rinchiuse. Fu perquisita tutta la casa, ma non lo trovarono. Mrs. Line ed i nobili presenti nel gruppo furono condotti in prigione, mentre gli altri furono rilasciati sotto cauzione. Dio prolungò la vita della martire oltre quanto ella osasse sperare. Dopo alcuni mesi fu citata in giudizio sotto l'accusa di alloggiare sacerdoti. Interrogata dai giudici se ciò fosse vero o meno, ella né lo negò né lo ammise, ma disse ad alta voce in maniera che potesse ascoltare tutta la corte: “Signori, nulla mi rattrista di più che il pensiero di non averne potuto accogliere ancora altri mille” (14). Ella ascoltò la sentenza di morte con gioia e con gratitudine manifesta. Ma, al tempo stesso, era così debole che fu necessario condurla in aula seduta su una sedia, sulla quale rimase per tutto il processo. Tornata in prigione, poco tempo prima dell'esecuzione, mandò una lettera a Padre Page, il prete che era fuggito quando era stata arrestata. Conservo la lettera con me. In essa dispose delle poche cose in suo possesso e mi lasciò una grande croce d'oro, finemente lavorata, che era appartenuta a suo marito. Ella mi menzionò tre volte nella lettera, riferendosi a me come a suo Padre. Lasciò anche alcuni debiti, che mi pregava di pagare. Poco dopo mi lasciò a voce il suo letto; ma quando andai a svincolarlo dal carceriere, che aveva saccheggiato la cella dopo la sua morte, tutto ciò che potei ottenere fu il copriletto, che usai in seguito ogni volta che fui a Londra e sotto la cui protezione mi sentivo più sicuro. Quando ella raggiunse il luogo dell'esecuzione, vi trovò i ministri pronti a tempestarla di esortazioni, per.farle abbandonare i suoi errori. Ma ella non volle neanche ascoltarli. “Indietro, io non ho nulla in comune con nessuno di voi”, disse seccamente. Quindi, nella sua esaltazione, baciò la forca e, inginocchiatasi, cominciò a pregare. E nella preghiera perseverò finché il boia non eseguì il suo lavoro (15). Così ella affidò l'anima a Dio in compagnia del martire gesuita, Padre Filcock (16), che era stato spesso suo confessore e che era rimasto sempre suo amico. Il suo martirio, però, ebbe luogo a sei o sette anni di distanza dal periodo del quale sto scrivendo. Ella accudì per tre anni la mia casa ed assisté molti santi sacerdoti. Durante questo tempo fece inoltre il voto di castità, virtù che ella praticò anche nella sua vita matrimoniale. In questa casa c'era sempre un prete che soleva fare le visite di misericordia ai miei amici, poiché io non potevo farle personalmente. Il primo di tali sacerdoti fu il francescano martire Padre Jones. Questi era arrivato di recente in Inghilterra ed io fui particolarmente lieto di dargli ospitalità in casa mia, allo scopo di favorire le buone relazioni tra il suo ordine e la Compagnia. Ma dopo pochi mesi si fece degli amici propri e si trasferì con loro. Poco tempo dopo, fu catturato e mostrò una grande fortezza durante il martirio (17). Dopo la sua partenza, accolsi in casa un prete, che era di recente venuto dalla Spagna e che avevo incontrato prima. Era di nobile origine ed aveva avuto un'ottima educazione (il suo nome era Robert Drury), perciò poteva frequentare la migliore società senza destare sospetti. Io lo introdussi tra i miei amici della nobiltà ed egli fornì loro una grande assistenza nei due anni e più, durante i quali occupò la casa. Questo prete fu scelto da Dio per essere suo testimone e martire (18). Fu catturato dopo la mia partenza dall'Inghilterra, proprio due anni fa, e fu condannato dietro accusa di alto tradimento, ricevendo la pena corrispondente. Tuttavia non si poté addurre nulla contro di lui, eccetto il fatto che era un sacerdote e che aveva rifiutato di emettere il nuovo giuramento che oggi viene imposto a tutti. Durante la sua esecuzione si verificò una scena significativa. Alcuni ufficiali superiori che erano presenti lo pregarono di aver pietà di se stesso e di conformarsi alle leggi del re. Doveva soltanto recarsi in chiesa, essi asserivano, e si sarebbe sottratto alla morte. “Bene, signori, rispose il martire, è veramente in vostro potere salvarmi all'istante dalla morte, se risolvo di entrare in chiesa?”. “Naturalmente, ribatterono, vi promettiamo, in nome del re, che non morirete”. Allora il martire si volse alla gente e disse: “Adesso è chiaro per qual genere di tradimento sono condannato. È semplicemente per la nostra religione che moriamo, io e gli altri preti”. Nella loro rabbia, gli ufficiali recisero crudelmente la corda mentre aveva ancora un fil di vita. Alla fine lo uccisero, ma non c'era più nulla che potessero fare. Durante la mia prigionia, visse nella mia abitazione uno dei nostri padri, Padre Curry (19), che era stato ammalato per qualche tempo. Ivi fece una santa morte e fu sepolto in un luogo segreto, poiché i preti che vivono in missione di nascosto vengono anche sepolti segretamente (20). Intanto il mio ospite primitivo (21) che era stato arrestato poco prima di me, era tenuto in cella di rigore. Per tre o quattro mesi né la moglie né alcun suo amico ebbero il permesso di avvicinarlo. In seguito, tuttavia, si perse ogni speranza di trovare una prova contro di lui, perché nessuno dei suoi servi cattolici intendeva confessare nulla (22) ed il traditore, che era l'unico testimone, non mi aveva mai visto nelle mie funzioni sacerdotali. Così, essi lasciarono entrare gradualmente i suoi amici, perché sovvenissero alle sue necessità; tuttavia lo mantennero in rigorosa segregazione. Durante la sua prigionia scrisse un'opera apprezzabile, che divise in tre parti e che intitolò Three Farewells taken of the World ossia Tre morti in stati diversi dell'anima. Nel primo libro descriveva un uomo di buoni principi morali, che l'opinione comune considerava virtuoso, ma che seguiva solo la propria volontà. Ridotto dalla malattia in fin di vita, prima di morire ebbe chiaramente davanti agli occhi il quadro dei suoi errori e confessò a tutti quelli che lo circondavano che giustamente sarebbe stato condannato, specie perché non aveva voluto aprire la sua anima ad un padre spirituale, per esser da lui diretto e consigliato nell'amore di Dio. La seconda parte era dedicata alla storia di una buona e devota signora, che dapprima era desiderosa di sottomettersi alla direzione, ma più tardi fu ingannata dal demonio e decise di esser guida di se stessa in certe cose. Quindi cadde gravemente ammalata. Quando la sua morte era ormai prossima, si pentì e salvò la sua anima con la contrizione e le elemosine. Ma, al momento del suo giudizio particolare, ella ebbe un grave timore e soffrì lungamente in Purgatorio, perché aveva sempre prediletto la sua opinione e la sua volontà. Questa narrazione conteneva molti passi patetici e l'autore vi descriveva gli inganni e gli artifici del demonio con tanto discernimento, che alcuni buoni e santi sacerdoti furono stupiti che un laico potesse conoscerli ed analizzarli tanto bene. Nella terza parte egli rappresentava la santa morte di un uomo buono e religioso. Essendo di agiata condizione, era sempre vissuto nel mondo, ma aveva sempre cercato e seguito la guida del suo padre spirituale, al quale aveva aperto la sua anima per la gloria di Dio. In questa sezione, l'autore dimostrava che la maniera migliore per conoscere se stessi e la volontà di Dio era quella di intraprendere la pratica della meditazione delle cose spi- rituali, sotto la guida di un buon direttore. Quindi passava ad esortare ciascuno a scegliere una guida nella vita spirituale, ad obbedirle (naturalmente, senza esservi obbligato) ed a cercare in lei l'approvazione dei propri giudizi. Questo era lo scopo della terza parte (di fatto, era il fine di tutta l'opera) ed egli descrisse questa guida ideale con tanti particolari che la mente del lettore non poteva non pensare ad un gesuita oppure, in sua vece, ad un sacerdote che fosse amico dei gesuiti e che cercasse il loro consiglio nelle sue difficoltà. In seguito, gli amici fecero alcune copie del libro, che causarono un certo malumore, quando capitarono nelle mani di un gruppo di preti che non erano ben disposti verso la Compagnia. Essi lamentavano che l'effetto del libro sarebbe stato quello di escluderli dalla direzione delle anime. Uno di loro giunse al punto di inviare all'autore una lunga lettera contenente la condanna del libro (23); lo stesso, più tardi, pose in circolazione degli opuscoli che condannavano l'autore. Egli insinuò che ero stato io a scrivere il libro, facendomi schermo del nome dell'autore. Ma ciò era semplicemente falso. Siccome egli era stato rigorosamente segregato ed era stato privato dell'inchiostro, aveva scritto la maggior parte del libro a matita su pezzi di carta; man mano che ne completava una parte, me la spediva perché la rivedessi e ne correggessi gli errori dottrinali. Ciò che lo spinse a scrivere furono l'immenso beneficio, che egli stesso era convinto di aver tratto dalla sottomissione alla guida di un direttore spirituale, e, da questa conseguente, la grande tranquillità di spirito che egli godette perfino quando su di lui pendeva la minaccia di una morte imminente. Fu il suo desiderio di partecipare agli altri questa grazia che lo spinse a scrivere. Tuttavia, volle precisare che il libro non era destinato ad un grande pubblico. Egli aveva in mente, in primo luogo, la sua famiglia; la moglie ed i figli; e, in secondo luogo, gli amici ed i parenti. A questi volle indicare mediante la sua opera il sentiero più sicuro e meritorio per raggiungere la perfezione nel loro stato. Perciò, non potendo incontrarli e non potendo conversare con loro, pose per iscritto i suoi consigli. Egli tentò pure di dimostrare che la perfezione era più necessaria ai laici che ai religiosi (24). Tanto basti per quello che questo ottimo uomo scrisse. Era ben lungi dal rimpiangere di essersi posto per quattro anni sotto la mia direzione, sebbene egli stesso si trovasse, adesso, in tali angustie e tutta la sua famiglia fosse duramente perseguitata per l'accoglienza che mi aveva offerto. Comunque, non perse mai la pazienza, anzi, considerava tutte queste tribola- zioni come il culmine della beatitudine. Era straordinariamente felice. Sebbene sua moglie lo amasse molto teneramente e soffrisse tanto per le sue condizioni, sopportava il dolore con pazienza e rassegnazione. E quando io fui trasferito in questa prigione in cui aveva speranza di vedermi, ella prese una casa nelle vicinanze per potermi parlare e scrivere frequentemente, per donarmi le piccole cose di cui avessi avuto bisogno e per cercare il mio consiglio e la mia direzione nelle sue faccende. In seguito, suo marito riscattò col danaro la sua libertà (25) ed entrambi vi si stabilirono per tutto il tempo in cui rimasi in prigione; inoltre mi aiutarono a fuggire dalla Torre. Ma, subito dopo la mia fuga, tornarono nella loro casa di campagna, perché desideravano riavermi di nuovo in famiglia. ___________________________________________________________ _ NOTE AL CAPITOLO XII l Sulla riva meridionale del fiume, poco distante dall'attuale ponte di Blackfriars. J. G. vi fu trasferito il 6 luglio 1594. Hat. Cat., VI, p. 311. 2 Sulla base di “A table of Catholic Prisoners”, stampato nel C.R.S., vol. n, p. 286, è possibile compilare una lista di alcuni compagni di prigione di J. G., fra i quali ci fu per un po' di tempo Robert Wiseman. La prigione di Clink fu cosi chiamata “perché fu la prigione "of the Clink Liberty" o maniero di Southwark, appartenente ai vescovi di Winchester”. E. BRAYLEY, History of Surrey, vol. V, p. 348. 3 Nel mese di settembre, se non prima, J. G. fu evidentemente in contatto con Padre Garnet. Nella sua lettera del 6 settembre 1594 a Padre Persons, Garnet scrisse: “Egli [J. G.] è stato sottoposto a rigorosa sorveglianza, ma ora è stato trasferito da Compter a Clink, dove col tempo può fare molto bene”. Più tardi, il 19 novembre, egli scrisse: “Il processo dei tre gesuiti, Southwell, Walpole e Gerard è stato sospeso. Gerard sta nella prigione di Clink quasi libero, gli altri due sono così sorvegliati nella Torre che nessuno ha notizie di loro”. Stonyhurst MSS, Anglia, I, n. 81-82. 4 Ralph Emerson sbarcò in Inghilterra con Edmund Campion il 25 giugno 1580. Egli era in prigione da dieci anni quando J. G. lo incontrò a Clink ed è descritto da una spia come “un tipo basso, molto magro e bruno”. Morì a St. Omers il 12 marzo 1604. S.P.D., vol. CLXXIII, n. 64. 5 Mrs. Fortscue, sorella di Mrs. Wiseman. Ella era stata citata alle assise di Newgate “per motivi religiosi”; e siccome allora era sofferente, aveva pregato Rigby, che era al servizio di suo padre, di testimoniarlo davanti alla corte. WORTHINGTON, Life of John Rigby (ed. Newdigate), p. 6. 6 Il francescano P. Jones, che fu ucciso il 12 luglio 1598. 7 Il conte di Rutland. Nel corso della narrazione si fa più volte menzione del suo fratello minore, sir Oliver Manners. 8 John Rigby fu ucciso con grande efferatezza il 21 giugno 1600 a St. Thomas Waterings, che era allora una palude a circa due miglia da Londra, là dove attualmente si ricongiungono le strade di Old Kent e di Peckham Park. La sua prestanza fisica, che il conte di Rutland aveva messo in evidenza, gli fu causa di grandi sofferenze prima della morte. Dopo che il boia gli tagliò la corda, “egli rimase in piedi come un uomo stordito, finché i carnefici non lo gettarono in terra. Riavutosi perfettamente, proferì con chiarezza e ad alta voce: “Che Iddio vi perdoni! Gesù, ricevi la mia anima!”. Subito dopo, un altro uomo crudele, che stava lì vicino e che non era un ufficiale ma un semplice aiutante, gli mise il piede sulla gola e lo calcò tanto che quello non poté più parlare. Altri gli bloccarono le braccia e le gambe, mentre il boia lo smembrava e lo sventrava; e quando si sentì strappare il cuore, egli ebbe ancora la forza di scrollarsi gli uomini che gli tenevano le braccia. Infine, gli spiccarono la testa e lo squartarono... Allontanandosi, ciascuno deprecava la barbarie dell'esecuzione e tutti, in generale, piansero per la sua morte”. R. CHALLONER, Memoirs of Missionary Priests, p. 244-245. John Rigby fu l'ultimo ad essere ucciso a Londra sotto lo “Act of Persuasion” (23 Elizabeth, c. 1), che considerava alto tradimento l'adesione o la riconciliazione con la “Romish Religion”. Durante il regno seguente, nello Yorkshire, vi furono tre ulteriori esecuzioni in forza dello stesso “Act”. 9 Padre William Thomson fu ucciso a Tyburn il 20 aprile 1586, prima che J. G. lasciasse l'Inghilterra alla volta di Roma. 10 Egli fu imprigionato prima a Counter in Wood Street e più tardi fu probabilmente trasferito a Bridewell, dove J. G. l'avrebbe visto quando visitò John Jacob. “William Heigham e Roger Line erano due nobili e furono sorpresi durante la Messa, fuori di Bishopsgate, insieme a Blackburn, alias Tomson, che fu impiccato. Essi sono multati di cento marchi a testa”. (Recusants in the Counter in Wood Street, S.P.D., vol. CXC, n. 33). Entrambi furono mandati in prigione da sir Francis Walsingham: Roger Line il 3 febbraio 1585 e William Heigham il 30 luglio dello stesso anno. (S.P.D., vol. CXCV, n. 51). La famiglia Line abitava a Ringwood nello Hampshire ed era ben conosciuta come non conformista. C.R.S., v. XLIII, p. 88. 11 Quando Roger Line era a Counter in Wood Street, suo zio, Richard Line di Ringwood, stava morendo. “Il patrimonio”, al quale J. G. si riferisce, era probabilmente il castello di Laybrook. Questo passò nelle mani del fratello minore di Roger, un altro Richard Line, che mori proprietario del castello nel 1599. Victoria County History of Hampshire, vol. IV, p. 610. 12 Roger Line morì in esilio per la fede nel 1594; ed è evidente che solo grazie alla presentazione di J. G. la sua vedova trovò asilo presso i Wiseman. 13 “Alcuni anni prima della sua morte, ella disse al suo confessore come Padre Thomson, uno dei suoi vecchi confessori che fini i suoi giorni col martirio nel 1586, le avesse promesso che, se Dio lo avesse reso degno di questa gloriosa fine, egli avrebbe pregato affinché anch'ella ottenesse la stessa felicità” . CHALLONER, Memoirs, p. 258. 14 Queste parole sono scritte in inglese nel manoscritto latino. 15 Anne Line fu l'ultima donna uccisa sotto 1'“Act” (27 Elizabeth, c. 2) che condannava come traditore chiunque accogliesse o aiutasse un prete; l'ultimo uomo fu Robert Grissold, che fu impiccato a Warwich il 16 luglio 1604. 16 Ella fu uccisa a Tyburn il 27 febbraio 1601. “Ella si comportò in maniera molto dolce, paziente e virtuosa fino al suo ultimo respiro. Baciò la forca, si diede la benedizione prima e dopo le preghiere private, la carretta fu allontanata, ella fece il segno della croce e dopo ciò non si mosse più”. Da un resoconto dell'esecuzione, scritto nello stesso giorno. Hist. MSS Commission, Rutland MSS, I, p. 370. 17 Padre Iones fu ucciso a St. Thomas Waterings il 12 luglio 1598. Durante il suo discorso sul patibolo, egli discolpò Mrs Wiseman, negando di aver ricevuto denaro da lei e di aver celebrato Messa nella sua cella. 18 Padre Drury fu il primo martire del seminario di Valladolid. Parti per l'Inghilterra nel 1595 e fu ucciso il 26 febbraio 1607. C.R.S., vol. XXX, p. 9. 19 Nativo della Cornovaglia, fu ordinato il 23 marzo 1577 ed arrivò in Inghilterra nel gennaio 1590. Dopo aver lavorato nel Kent e nel Sussex, giunse a Londra verso la festività di San Michele nel 1593. Per le sue relazioni con Ralph Sherwin, John Cornelius ed altri, fu conosciuto come “l'amico dei martiri”. FOLEY, I, p. 397. 20 Nel periodo cruciale della persecuzione i sacerdoti che vivevano in città venivano spesso sepolti nelle case in cui morivano, essendo pericoloso portare alla sepoltura un cadavere del quale non si potesse dare giustificazione. In campagna si era soliti seppellirli in posti attigui a luoghi sacri, vicino ad una cappella o ad un monastero abbandonati. Padre Curry morì il 31 agosto 1596. Arch. S. J. Roma, Fondo Gesuitico 651, Garnet ad Aquaviva, 18 gennaio 1597. 21 William Wiseman. 22 L'asserzione di J. G. è confermata da una lettera scritta da Mr. Richard Young, magistrato dell'Essex, al Consiglio privato. Young fornisce i nomi di sette servi di Wil- liam Wiseman prigionieri a Colchester, i quali avevano rifiutato di prestare giuramento e di dare informazioni sul loro padrone. C.S.P.D., 1591-1594, p. 484. 23 Il sacerdote era John Mush e la sua lettera, inviata a William Wiseman, è stampata in The Archpriest's Controvery, vol. I (Camden Society, New Series, LVI, pp. 53-62). Da questa lettera risulta chiaro che Mush non conosceva Wiseman. Mush, comunque, aveva un grande passato ricco di attività apostolica ed aveva ben ragione di risentirsi contro quanti insinuavano che né lui né gli altri sacerdoti erano all'altezza delle loro responsabilità. Ma, evidentemente, non era al corrente del fatto che i Wiseman erano grandi benefattori di tutto il clero e che erano stati particolarmente generosi verso i preti rinchiusi nella prigione di Wisbeach. Il 4 luglio 1955 è stato venduto a Sotheby un manoscritto del libro di William Wiseman dal titolo: A treatice of three farewells taken of the world by sundry sorts departing this life. 24 Siccome questo libro fu scritto su ritagli di carta e senza inchiostro, J. G. non si trovava nelle migliori condizioni per riflettere sulla sua dottrina. Sembra che si sia limitato soltanto al dovere di censore, assicurando all'autore che esso non conteneva nulla contro la fede o la morale. Dato che William Wiseman prevedeva che J. G. sarebbe stato ucciso, era ansioso di redigere per sé e per la sua famiglia un sommario dei suoi insegnamenti religiosi e di farlo approvare dallo stesso J. G. prima della sua morte. In tali circostanze, J. G. non si sarebbe sentito il coraggio di censurare l'affetto esuberante ed esagerato mostrato in un'opera che era espressamente destinata alla famiglia, essendo piuttosto un testamento di padre; infatti, come fa rilevare Garnet in una lettera inviata il 28 gennaio 1598 al suo Generale, “era un libro che egli scrisse per sua moglie, poco prima di morire”. Stonyhurst MSS, Anglia A, II, n. 33. 25 William Wiseman non fu mai processato. Dopo essere stato in prigione quasi tre anni, il Consiglio scrisse al Lord capo della magistratura ordinando la sua liberazione o la sua condanna. Ciò avvenne il 19 dicembre 1596. Non molto dopo, presumibilmente, fu rilasciato. Acts of Privy Council (1596), p. 372. XIII. IL SILLOGISMO DEL DECANO Nella prigione, intanto, il mio tempo era completamente assorbito dall'attività. Venivano a visitarmi tanti cattolici che, spesso, c'erano sei o sette persone per volta, che attendevano il turno per conferire con me nella stanza di Fratello Emerson, attigua alla mia. Spesso, alcuni dei miei più cari ed intimi amici dovettero attendere molte ore del pomeriggio ed anche allora, talvolta, fui costretto a dir loro di tornare un altro giorno. In tal modo ebbi la possibilità di ascoltare un gran numero di confessioni generali. Tra gli altri c'era un gentiluomo facoltoso che era stato cattolico per lungo tempo, ma che era vissuto cautamente e quietamente, evitando tutto quello che avrebbe potuto portarlo a conflitto con le autorità. Alla fine, tuttavia, si ritrovò recluso in prigione. Era la cosa che egli meno si aspettava, ma si rivelò provvidenziale. Era sorpreso che fosse stato arrestato per motivi così futili ed insignificanti; ma quando mi raccontò la sua storia, gli feci rilevare che tutto accadeva per decreto provvidenziale di Dio e specialmente una cosa come questa. “Il Nostro Signore e Giudice, dissi, preferisce sovente ammonirci in questo modo. Egli desidera che noi, mentre ancora ne abbiamo la possibilità in vita, "ci riconciliamo subito con l'avversario". E questo non è soltanto il mio consiglio, è anche quello di Nostro Signore che preferisce essere Padre che Giudice”. Lo esortai ad afferrare l'occasione che gli era stata data per riflettere sulla sua vita, esaminando lo stato della sua anima e studiando quali fossero le obbligazioni che egli aveva verso Dio. Gli dissi, inoltre, che non poteva esser sicuro che questa non sarebbe stata la sua ultima occasione: forse gli veniva concessa come una specie di ultima istanza. Fece quello che io gli suggerii e, poiché non sapeva meditare, cominciò a leggere il libro di Padre Granada (1) intitolato Memoriale e si preparò alla confessione. La fece con grande precisione ed entrambi fummo molto soddisfatti dopo di essa. Per tutto questo tempo fu in buona, anzi in ottima salute; ma pochi giorni dopo la sua liberazione dal carcere, cadde ammalato. Non erano ancora passati due mesi che era morto (2). Durante questo periodo Dio mi usava come suo strumento per volgere molti cuori dalle ambizioni mondane all'amore di Dio ed alla pratica dei consigli di Cristo. Tra gli altri, vi erano due giovani impiegati che lavoravano insieme, con un considerevole stipendio, in uno stesso ufficio a Londra. Il nome di uno di loro si trova iscritto, ora, nell'albo dei martiri: Padre Francis Page. L'altro il suo compagno, era una buona persona che, più tardi, studiò teologia con l'intenzione di diventare sacerdote. Anch'egli volle entrare nella Compagnia, ma fece una santa morte prima della conclusione dei suoi studi. Ho sentito dire, da persone che erano con lui, che era un modello di virtù e di modestia. Mr. Francis Page era figlio di genitori agiati. Aveva un aspetto bellissimo e dei modi garbati. Era amato, inoltre, da una donna, la figlia di quelle stesse persone ricche ed influenti che possedevano l'ufficio. Intendendo sposarlo, la donna, molto lodevolmente, lo persuase a divenire cattolico. Ella era buona e devota e spesso veniva a visitarmi. Un giorno, quindi, portò con sé il suo amico Mr. Page che ormai era cattolico. I suoi pensieri erano rivolti al matrimonio. Ma io mi accorsi subito che era un giovane molto modesto ed aperto, proprio il tipo che facilmente si asteneva di fare alcun male e si lasciava entusiasmare da un ideale. Ben presto mi affezionai moltissimo a lui e cominciai a parlargli di seri argomenti, facendogli osservare che forse i genitori della ragazza non avrebbero dato il loro consenso, giacché ella avrebbe sposato sotto la sua condizione. Gli parlai, inoltre, dell'illusorietà del benessere e della felicità terrena. Finalmente gli diedi delle meditazioni da portar via con sé e gli posi per iscritto alcune regole di condotta per la sua vita spirituale. Dio sollevò gradualmente la sua anima dalle cose di questo mondo a quelle dell'eternità; ed alla fine egli decise di lasciare la sua amica e l'impiego che occupava nell'ufficio. Allo scopo di starmi più vicino, volle vivere nella casa della mia ospite vicino alla prigione e per questo prese servizio presso di lei, sebbene questo fosse di gran lunga più umile del suo impiego precedente. Egli aveva più alte aspirazioni e questo rappresentava la preparazione della sua anima. Padre Coffin (3) viveva nella casa della mia ospite ed era in grado di dargli un valido ed amichevole aiuto. Questo padre mi visitava spesso in prigione e mi confortava in innumerevoli modi. Più tardi apprenderete di più intorno al padre Francis Page. Operando da questa prigione, potei mandare in seminario molti giovani e molti ragazzi. Alcuni di loro adesso sono gesuiti e lavorano in Inghilterra, altri si trovano nei seminari dove preparano molti altri operai per la missione. Una volta mandai due ragazzi. Essi dovevano andare a St. Omers e diedi loro delle lettere di raccomandazione. Le avevo scritte col succo di limone, così che la scrittura non apparisse sulla carta, e quindi avvolsi nella carta uno o due colletti, in maniera che sembrasse impiegata a mantenerli puliti. I ragazzi furono catturati. Durante l'interrogatorio, confessarono che li avevo mandati, dopo averli muniti di queste lettere e dopo aver loro raccomandato, una volta che fossero passati per un certo collegio gesuita che si trovava sulla loro rotta per St. Omers (essi dovevano passare per Ostenda, non per la rotta ordinaria, e fu per questo che furono catturati) (4), di dire ai padri del luogo di inumidire i fogli e di leggere quello che avevo scritto. I ragazzi rivelarono tutto ciò e le due lettere, scritte su un unico foglio di carta, furono lette non già da amici, ma da nemici della Compagnia. La prima lettera era scritta in latino e, poiché era indirizzata ai nostri padri fiamminghi, l'avevo firmata col mio stesso nome. La seconda era indirizzata ai nostri Padri inglesi di St. Omers. Così, le lettere furono lette ed io fui chiamato per l'interrogatorio. Questa volta Young non era presente. Egli era morto nei suoi peccati, così miserabilmente come era vissuto. Nella sua vita egli fu il confessore del demonio e nella morte ne fu il martire. Non soltanto morì al servizio del demonio, ma questo suo servizio fu la vera causa della sua morte. Si affannava giorno e notte per causare ai cattolici una sofferenza sempre maggiore, stendendo liste di proscrizioni, impartendo istruzioni ed ascoltando rapporti. In una notte piovosa, verso le due o le tre, si alzò per andare a perquisire alcune case di cattolici. Lo sforzo lo lasciò esausto: si ammalò, contrasse l'etisia e morì (5). Dietro di sé lasciò soltanto debiti, quasi che avesse rinunciato a tutto per servire il demonio. La sua posizione era ben remunerata ed egli faceva larghi bottini tra i poveri cattolici e, ciò che più conta, riceveva da loro lauti compensi per evitare la minaccia di un processo. Si diceva, tuttavia, che i suoi debiti ammontassero a centomila fiorini; anzi, ho sentito parlare di una somma ancor più elevata. Forse pensava che glieli avrebbe pagati la regina, ma non avvenne nulla del genere. Tutto ciò che ella si limitò a fare fu di inviare uno dei suoi cortigiani per visitarlo durante la malattia, prima della morte. Egli fu così compiaciuto di questo favore, che era pronto a cantare il suo Nunc dimittis. Ma era un falso senso di pace quello che lo avvolgeva: l'esaltazione di un'anima che corre verso la rovina. Come un novello Aman, egli non fu invitato ad un banchetto, ma ad un destino eterno. Morì miserabilmente con le lodi della regina sulle labbra ed enumerando le obbligazioni che aveva verso Sua Maestà; ma la sua gioia si mutò in tormento. “La gioia di un ipocrita non dura che un istante” (6). È usanza che il Consiglio abbia sempre un agente, alle cui macchinazioni affidare l'esecuzione dei suoi ordini odiosi. Suo compito era di vessare e di cacciare i servi di Dio. A questo posto successe William Wade, l'attuale governatore della Torre, che allora era segretario dei Lord del Consiglio della Regina. Fu questo l'uomo che allora mi chiamò. Egli mi mostrò un pezzo di carta bianca che avevo dato ai ragazzi e mi chiese se lo riconoscevo. “No”, risposi. Era vero, perché allora non avevo il minimo sospetto che i due ragazzi fossero stati catturati. Allora, egli immerse la carta in una bacinella d'acqua ed apparve la mia scrittura con la mia firma in fondo. Quando la vidi, dissi: “Io non riconosco che quella scrittura sia mia. La mia scrittura è di facile imitazione e la mia firma può esser stata benissimo falsificata. Inoltre, i ragazzi di cui parlate, nella loro paura, hanno potuto dire esattamente quello che gli interrogatori desideravano, danneggiando sé stessi ed i loro amici. Voi non potete sperare che io agisca come loro. Tuttavia, non nego che sia buona cosa inviare dei ragazzi all'estero, per impartire loro una migliore educazione. Certamente lo farei volentieri, solo che ne avessi la possibilità; ma, per quanto lo desiderassi come l'avrei potuto fare, essendo rinchiuso rigorosamente in prigione?”. Wade mi maledì cordialmente perché rifiutai di riconoscere la mia firma e la mia scrittura. “Il fatto si è, egli disse, che voi avete goduto troppa libertà. E non ne avrete più”. Quindi si volse al carceriere e lo rimproverò per avermi concesso tanta libertà di movimento. Fui richiamato per l'interrogatorio in altre due o tre occasioni. Ogni qualvolta uscivo di prigione, indossavo la talare ed il mantello da gesuita, che mi era stato confezionato quando ero andato a vivere con i miei compagni di prigionia cattolici. Quando i ragazzi mi vedevano per la strada mi deridevano, ma i miei nemici morivano di dispetto. La prima volta che indossai la talare, essi mi chiamarono ipocrita. “Quando sono stato arrestato, mi avete chiamato cortigiano, dissi, perché vestivo come uno di loro per camuffarmi, allo scopo di muovermi a mio agio tra le persone di rango, senza essere riconosciuto. Allora vi dissi che non mi piaceva indossare abiti borghesi e che avrei preferito i miei abiti. Adesso li indosso e siete adirati con me. Sia che canti, sia che pianga, non posso piacervi. Dovete trovare sempre qualche lamentela”. “Perché non giravate in questi abiti, prima? dissero. Invece eravate trave- stito ed avevate un nome falso. Nessuna persona per bene si comporta così”. “So perché ciò non vi piace, dissi. Desiderate catturarci subito per porre fine al nostro lavoro per la salvezza delle anime. Non sapete che S. Raffaele fece proprio quello che ho fatto io? Egli si travestì e assunse un nome falso; così poté fare in incognito il lavoro che Dio gli aveva affidato”. Un'altra volta fui interrogato davanti al Decano di Westminster (7), che sostituiva l'abate di quel gran monastero reale. C'era anche Topcliffe con alcuni altri commissari. Essi desideravano mettermi a confronto con la buona vedova, madre della mia ospite che allora era relegata in prigione vicino all'abbazia (8). Ancora non le era stata comminata la sentenza di morte, che fu emessa solo più tardi. Essi volevano vedere se ella mi avrebbe riconosciuto. Quando giunsi, la trovai che mi aspettava. Appena mi vide entrare con le guardie, ella quasi gesticolò per la gioia. Tuttavia si contenne e chiese loro: “È questo l'uomo di cui mi avete parlato? Non lo conosco, però all'apparenza lo direi un prete”. Allora, ella fece un profondo inchino verso di me. Io la ricambiai, ringraziando. Quindi essi mi chiesero se io la riconoscessi. “Non la riconosco, dissi, e sapete in qual modo ordinariamente rispondo a domande come questa e come non menziono mai per nome né le persone né i luoghi, che (a differenza di questa signora) posso aver conosciuto. Come vi ho detto prima, se lo facessi agirei contro la carità e la giustizia” (9). Allora disse Topcliffe: “Dite la verità. Avete o non avete riconciliato della gente con la Chiesa di Roma?”. Scorsi chiaramente il suo proposito sanguinario, perché ciò era espressamente vietato sotto pena di alto tradimento, come ho accennato più sopra nel caso di Mr. Rigby. Ma sapevo bene che ormai ero compromesso a causa del mio sacerdozio; perciò risposi immediatamente: “Sì, ho riconciliato della gente con la Chiesa e mi dispiace di non aver esteso questa grazia ad un maggior numero di persone”. “Bene, disse Topcliffe. E quante avreste desiderato riconciliarne, se ne aveste avuta possibilità? Supponiamo... mille?”. “Sì, certamente, risposi. Centomila; e ancor più, se lo avessi potuto”. “Sarebbe sufficiente ad armare un esercito contro la regina”, aggiunse Topcliffe. “Gli uomini da me riconciliati, ribattei, sarebbero stati sudditi della regina e non avrebbero marciato contro di lei. Noi sosteniamo che l'obbedienza è dovuta a coloro che sono costituiti in autorità”. “Tuttavia, rispose Topcliffe, predicate la ribellione. Guardate, ho qui una bolla del Papa, che è stata scritta a Sanders, quando questi si recò in Irlanda a fomentare la rivolta tra i sudditi della regina. Eccola, leggetela voi stesso” (10). “Non c'è bisogno di leggerla, risposi. Se il papa lo ha inviato, si vede che ne aveva il potere. Io, invece, non l'ho. Noi abbiamo formale proibizione di immischiarci nella politica. Non l'ho mai fatto, e mai lo farò”. “Prendete, disse. Leggetela. Voglio che la leggiate”. Così la presi e, vedendo il nome di Gesù impresso sulla sommità del foglio, lo baciai con reverenza. “Cosa? gridò Topcliffe. Voi baciate la bolla del Papa?” “Io ho baciato il nome di Gesù, al quale è dovuto tutto l'onore e l'amore. Ma se, come voi asserite, questa è veramente una bolla pontificia, allora la onoro anche per questo motivo”. Così dicendo, baciai una seconda volta il foglio. Topcliffe montò in furia e cominciò a lanciarmi imprecazioni e a insultarmi. “Qui fate questo, ma in altri posti ve ne state a baciare le donne”. “Dio ne guardi! risposi. Una cosa del genere non è mai stata detta di me. Questa è una cosa che non potete dire”. “Potete negare, egli proseguì, che nel tal giorno siete stato nella tale casa con la signora tal dei tali, figlia del conte di Northumberland? Senza dubbio, siete stati a letto insieme”. A dire il vero, tanta impudenza mi fece fremere di sdegno, sebbene sapessi che stava parlando, senza quella che egli stesso considerava la minima prova dei fatti (11). “In nome di Dio onnipotente, risposi, giuro che tutte queste insinuazioni sono false”. E nella foga poggiai la mano sopra un libro aperto che stava sul tavolo accanto a me. Era una copia della sacra Bibbia tradotta in Inglese dai riformatori protestanti. Topcliffe non aggiunse altro; in sua vece intervenne il vecchio decano: “Allora siete pronto a giurare sulla nostra Bibbia?”. Adesso i cattolici, che sono in grado di rilevare gli errori di questa traduzione, non usano farlo. Ma io risposi: “Non ho avuto l'attenzione necessaria per considerare di quale versione si trattasse. Desideravo soltanto ribattere le sue false accuse. Vi sono, tutta- via, certe verità in questo libro come, ad esempio, l'Incarnazione e la Passione di Cristo che non sono viziate dalla cattiva traduzione; su queste invoco la testimonianza di Dio. Ma vi sono anche molti passi malamente tradotti, che contengono delle eresie; queste le detesto e le ripudio”. Quindi, con maggior enfasi di prima, stesi una seconda volta la mano sulla Bibbia. Il vecchio ne fu irritato. “Io dimostrerò che siete un eretico”, disse. “Non sarete capace di provarlo”, lo rimbeccai. “Io lo posso provare, replicò. Chiunque nega la Sacra Scrittura è eretico. Voi negate che questa sia la Sacra Scrittura. Ergo...”. “Questo non è un sillogismo, risposi. Esso discende dal generale al particolare e contiene quattro termini”. “Sapevo fare i sillogismi prima che voi nasceste”, rispose il vecchio. “Non ho difficoltà ad ammetterlo, dissi; però quello che avete ora formulato non è assolutamente un sillogismo”. Ma gli altri presenti ci interruppero, poiché non avevano nessuna intenzione di avviare una disputa. Essi miravano a tempestarmi di domande nella speranza che mi sarei lasciato sfuggire qualcosa che non intendevo dire. Alla fine mi rimandarono in prigione. ___________________________________________________________ _ NOTE AL CAPITOLO XIII 1 Il Memorial de la vida cristiana è rimasto fino ad oggi uno dei trattati ascetici più popolari. L'autore, il domenicano Luis de Granada, è probabilmente insuperato perfino tra gli scrittori ascetici spagnoli per la bellezza dell'espressione e per la solidità della dottrina. 2 Questi fu, probabilmente, un gentiluomo di nome James Linacre. Watson, nel suo libro Quodlibets che fu scritto contro la Compagnia ed al quale J. G. si riferisce più tardi, scrive: “Egli agì allo stesso modo col suo amico James Linacre, suo compagno di prigione a Clink, al quale estorse quattrocento sterline. Poi ottenne dallo stesso promessa delle sue terre; ma non ne ebbe nessuna per la morte dello stesso Linacre”. JESSOP, p. 220. 3 Fu ammesso al Collegio Inglese di Roma nel luglio 1588, poco prima che J. G. partisse per l'Inghilterra. Giunse in Inghilterra nel 1594 e più tardi entrò nella Compagnia. FOLEY, VI, p. 178. 4 Sembra che la rotta ordinaria fosse da Gravesend a Dunkerque e che fosse stata tracciata da Richard Fulwood. Probabilmente fu a causa dell'imprigionamento di questo che J. G. fu costretto a mandare i ragazzi via Ostenda. Il sistema di Fulwood è descritto in un rapporto della spia Healy a Lord Salisbury (aprile 1606): “I preti del paese gli raccomandano i giovani da loro prescelti. Egli avvia questi giovani per qualche sentiero appartato vicino al mare, in attesa del buon vento per la navigazione. Quindi un vascello (che, per evitare sospetti, è una vecchia imbarcazione da piccolo cabotaggio o qualcosa di simile) scende vuoto in direzione di Gravesend. Egli lo munisce di remi e di canotti per poi caricare, normalmente oltre Greenwich, i passeggeri ed il carro. Egli stesso, più tardi, porta il denaro che loro appartiene. I passeggeri vengono portati, quindi, a Gravelines oppure a Calais, pagando quaranta scellini per il passaggio”. S.P.D., fames I, vol. XX, n. 47. 5 L'espressione latina è morbus regius. La consunzione è una forma di scrofola o morbo del re; sembra essere la malattia che più verosimilmente deriva dalle cause descritte da J. G. Comunque nel latino classico il morbus regius designa l'itterizia e tale può darsi che sia il significato in questo caso. 6 Il 30 novembre 1594 Young scriveva alla regina: “Penso che al mondo non vi sia suddito così infinitamente obbligato verso la propria sovrana, in quanto in questi miei vecchi, estremi o ultimi giorni vi degnate di riguardare così favorevolmente la misera condizione di un così povero vassallo, prostrato nel corpo dalle infermità, ma rianimato nel cuore dal vostro gentile ricordo”. Con questa lettera egli inviò alla regina tutti gli incartamenti relativi al caso di Wiseman e di J. G. “come gli ultimi frutti di tutti i miei sforzi”. (Hat. Cal., V, pp. 24-25). Da un resoconto sulla situazione finanziaria di Young risulta chiaramente che J. G. non sopravvalutò l'ammontare dei suoi debiti. C.S.P.D.. 1595-1597. p. 103. 7 Gabriel Goodman, Decano di Westminster dal 1561 al 1601. Viene descritto come “un uomo triste e grave”. Era stato in precedenza cappellano di Sir William Cecil e restò sempre suo intimo amico. J. G. lo chiama “un buon vecchio”. Aveva quasi settant'anni quando interrogò J. G. e mori pochi anni dopo, lasciando molti beni ai poveri ed agli ammalati. D.N.B., XXII, p. 130. 8 La prigione di Gatehouse. 9 Sembra che J. G. usasse, insegnando ai suoi amici, aggiungere al diniego qualche osservazione dalla quale risultasse chiaro che si trattava di un caso eccezionale e che egli rispondeva nel senso ammesso dal diritto moderno e dalla prassi del tempo. 10 Sembra poco probabile che il governo si prendesse la briga di contraffare un breve, sebbene non sia stato trovato né un breve, né una bolla, che conferisse a Sanders poteri di sorta per la sua missione in Irlanda nel 1579. The Month, gennaio 1903, p. 80. 11 Padre Garnet riferisce di una simile accusa lanciata contro di lui da Salisbury. “Io non ho mai ricevuto parole irriguardose da parte dei magistrati. Soltanto una volta, quando essi produssero una lettera speditami da Mrs. Vaux e sottoscritta “Vostra sorella carissima A. G.”, Lord Salisbury disse: “Cosa? siete sposato con Mrs. Vaux? Ella si chiama Garnet. Cosa significa ciò? Senex fornicarius!”. Ma la volta successiva egli mi chiese perdono e, protestando che aveva parlato per scherzo, stese il suo braccio sulla mia spalla. Anche gli altri affermarono che ero considerato esemplare in cose del genere”. Hat. Cal., XVIII, p. 111 . XIV. ALTERNATIVA MORTALE Un' altra volta mi condussero per essere interrogato, con tutti gli altri cattolici della prigione, nei pubblici locali del municipio. Topcliffe era presente con molti altri commissari. Dopo esser passati per la trafila delle solite domande e dopo aver ricevuto da me le ormai abituali risposte, vennero al sodo. Da quanto riuscii a comprendere, intendevano chiarire il nostro atteggiamento nei confronti del governo. Speravano di prenderci in fallo nelle nostre risposte intorno alla regina per formulare, poi, un'accusa contro di noi. Volgendosi a me, essi chiesero: “Riconoscete la regina come la vera e legittima sovrana dell'Inghilterra?”. “La riconosco”, risposi. “Nonostante la scomunica lanciata contro di lei da Pio V?”, incalzò Topcliffe. “Riconosco che lei è regina, risposi, benché sappia anche che vi è stata una scomunica”. Sapevo, naturalmente, che il Papa aveva affermato che la scomunica non era ancora entrata in vigore in Inghilterra: essa sarebbe rimasta sospesa finché non fosse stato possibile renderla effettiva. Quindi Topcliffe mi chiese: “Che cosa fareste voi se il Papa dovesse inviare un esercito e dichiarare che il suo unico intento è quello di ricondurre il regno alla confessione cattolica? Che cosa fareste, inoltre, se egli dichiarasse, allo stesso tempo, che non c'è altro mezzo per ristabilire la fede cattolica e se, ricorrendo alla sua autorità apostolica, ingiungesse a ciascuno di sostenerlo? Da quale parte vi schierereste? Da quella del Papa o da quella della regina?” (1). A questo punto scorsi la sottigliezza e l'astuzia perversa di quest'uomo. Aveva formulato la domanda in maniera che una mia qualsiasi risposta mi avrebbe fatto soffrire o nell'anima o nel corpo. Scelsi ponderatamente le parole della risposta: “Io sono un cattolico obbediente ed un suddito fedele alla regina. Se questo dovesse capitare, cosa che non ritengo assolutamente possibile, mi comporterei come un cattolico fedele e come un suddito leale”. “No, no, replicò. lo esigo una risposta chiara ed immediata. Che cosa fareste voi?”. “Vi ho detto ciò che penso e non intendo darvi altra risposta”, tagliai corto. Allora ebbe un accesso violentissimo di rabbia, e vomitò contro di me un torrente di improperi. Finalmente disse: “Già fantasticate che anche quest'anno vi trascinerete sulle ginocchia per adorare la croce. Ma prima che giunga quel tempo, vi posso assicurare che non ne avrete la possibilità” (2). Nella sua squisita gentilezza l'uomo intendeva insinuare che certamente sarei volato in cielo passando per la forca, prima che giungesse quel tempo. Ma egli non era penetrato nel santuario di Dio e non sapeva nulla della mia grande indegnità. Dio gli permise, sì, di compiere le sue peggiori crudeltà su coloro che la Divina Sapienza giudicò degni e preparati (ad esempio, su Padre Southwell e su altri che egli perseguitò fino alla morte), tuttavia la sua ira non riuscì a riversare tanta misericordia sopra di me (3). Né rientrava nelle competenze di quest'uomo pieno di livore ottenermi questa benedizione celeste, sebbene, per mezzo suo, Nostro Signore Gesù avesse rapito in cielo molti altri per i quali era stato preparato un regno dal Padre. Tuttavia, in certo qual modo, le sue parole furono profetiche; ma il senso in cui esse si avverarono fu molto differente da quello che egli intendeva. Ciò accadde nel periodo di Natale (1594). Nella Quaresima successiva, lo stesso Topcliffe si trovava in prigione (4). Egli aveva, in qualche modo, offeso alcuni membri del Consiglio, mentre (se non vado errato) stava perorando al loro cospetto in maniera arroventata a favore di Suo figlio, che aveva passato a fil di spada un uomo nell'atrio dell'ampio salone in cui era riunito il Tribunale della regina (5). Era vicina la domenica di Passione ed i cattolici che, come me, erano in prigione per la loro fede presero ardire quando seppero che Aman, il loro nemico numero uno, stava per essere impiccato sulla sua stessa forca (6). Noi diventammo meno circospetti nella maniera di usare della nostra libertà ed un numero maggiore di persone si accostava ai sacramenti e partecipava alle cerimonie religiose. Il Venerdì Santo vi era una grande folla nella stanza superiore alla mia; vi erano radunati, infatti, tutti i cattolici della prigione e molti altri che venivano dall'esterno. Io avevo compiuto tutte le cerimonie ed avevo letto le preghiere proprie del giorno fino al punto in cui il sacerdote si toglie i calzari. Ma ero appena scalzato ed avevo fatto soltanto un paio di passi per iniziare l'adorazione della croce, facendo le tre genuflessioni man mano che mi appressavo, quando il capo carceriere giunse alla porta della mia cella sottostante. Egli bussò, ma non ottenendo risposta dall'interno, percosse violentemente la porta, facendo un grande rumore. Appena lo sentii, compresi che si trattava del capo carceriere, giacché l'altro non avrebbe mai osato agire in quel modo. Immediatamente mandai giù un uomo a dire che sarei sceso in un istante. Quindi, invece di continuare l'adorazione della croce di legno, mi preparai ad accettare la croce spirituale che Nostro Signore mi stava preparando. Mi spogliai dei paramenti. Quindi mi precipitai per le scale ad impedire che il carceriere venisse su e ci scoprisse tutti, perché allora sì che molti avrebbero sofferto. Appena mi vide, egli gridò: “Che cosa state facendo fuori della cella? Voi dovreste stare rinchiuso in rigorosa segregazione”. Ma conoscevo bene il mio uomo. Fingendo di essere irato con lui, gli chiesi perché, se egli veramente era quell'amico che protestava di essere, era venuto lì in un momento come quello, quando sapeva che noi stavamo recitando le nostre preghiere. “Così voi siete stati a Messa, disse. Andrò a vedere personalmente”. “Voi non farete nulla del genere, risposi. È evidente che non conoscete le cose essenziali nei nostri riguardi. In tutte le parti del mondo oggi la chiesa non celebra una singola Messa. Andate pure, se volete. Ma se lo fate, sappiate che non riceverete più un solo centesimo né da me né da qualsiasi altro cattolico per le nostre celle. Voi potete gettarci tutti quanti tra i mendicanti della prigione comune, se lo desiderate; ma ivi non dovremo pagare nulla e chi ci perderà sarete voi. D'altra parte, se agirete da amico e non irromperete così all'improvviso senza preannuncio non ci troverete ingrati. Finora non potete dire che ci siamo dimostrati irriconoscenti”. Queste parole lo rabbonirono; perciò aggiunsi: “Perché siete venuto qui adesso?”. “Giusto per porgevi i saluti di Mr. Topcliffe”. “I suoi saluti? chiesi. Come mai questa improvvisa amicizia tra lui e me? Non si trova egli nella tale prigione? Egli non può avere più nessun potere contro di me”. “Certo, rispose, tuttavia vi manda egualmente i suoi migliori auguri. Quando oggi l'ho visitato, mi ha chiesto di voi; gli ho detto che voi stavate bene ed egli ha risposto: "Ma lui non sopporta la sua prigionia così pazientemente come me. Voglio che gli porgiate i miei migliori auguri e che gli comunichiate quello che adesso vi ho detto". Perciò sono venuto a dirvelo”. “Molto bene, risposi. Ora riferitegli da parte mia che, grazie all'aiuto di Dio, sono lieto di trovarmi in prigione per la fede. Desidererei soltanto che anch'egli ci si trovasse per la stessa ragione” (7). Quindi il carceriere si allontanò, rimproverando il suo attendente perché non mi aveva tenuto in rigoroso isolamento. Così si avverò la profezia di Topcliffe. Egli mi aveva interrotto nell'atto stesso di fare l'adorazione della croce, senza ricordare naturalmente quello che aveva detto, poiché a quel tempo intendeva qualcosa di ben diverso. Anche Saul era tra i profeti. Tuttavia egli non mi impedì di tornar su per continuare la funzione, che mi aveva fatto interrompere. Il guardiano, che sorvegliava la mia cella, di solito non faceva nulla senza il mio permesso. Il primo carceriere non visse a lungo ed i suoi successori furono molto cortesi con me. Uno di loro, che accolsi nella Chiesa, teneva l'ufficio per diritto di successione; ma dopo la sua conversione, vendette il suo diritto ereditario ed entrò a servizio di un signore cattolico che era mio amico. In seguito accompagnò il figlio del padrone in Italia e seguì la vocazione alla vita religiosa. Adesso è prigioniero per la fede nella stessa prigione in cui fu mio carceriere. L'uomo che prese il suo posto aveva moglie e figli ed era solo il timore della povertà che gli impediva di diventare cattolico. Tuttavia divenne un grande amico mio, anzi, un grande amico di tutti noi. Infatti, quando si avviavano particolari ricerche per catturare dei cattolici indiziati, egli li accoglieva in casa sua e li teneva nascosti. Al tempo della mia fuga dalla Torre, egli fu una delle tre persone che per me si esposero ad un rischio gravissimo. Sebbene si fosse quasi annegato la notte del primo tentativo, pilotò la barca anche la notte successiva. Vi narrerò tutto tra poco, poiché la cosa avvenne solo poco tempo dopo che mi avevano trasferito da questa prigione e rinchiuso nella Torre di Londra. Ecco come avvenne. C'era in questa prigione un prete, che io avevo avuto modo di aiutare in più d'una occasione (8). Al suo arrivo in Inghilterra, lo avevo sistemato in una bella abitazione presso uno dei miei migliori amici. Io stesso avevo accolto nella chiesa sua madre e suo fratello e, quando fu imprigionato, gli procurai degli amici, gli feci numerosi regali e mi mostrai sempre gentile con lui. Tuttavia, avevo notato che non era tanto fermo e che sembrava un po' troppo ansioso di riacquistare la libertà. Perciò, mi guardai dal confidarmi con lui, come avevo fatto con alcuni altri prigionieri, quali Fratel Emerson e John Lillie. Questo brav'uomo, comunque, per qualche ragione che ignoro, mi fece trasferire. Forse sperava che, dopo il mio trasferimento, la gente che vedeva venire da me sarebbe andata da lui. Probabilmente desiderava ingraziarsi le autorità e, così, assicurarsi la libertà o qualcosa del genere. Non posso precisarne il motivo. Comunque, egli diede delle informazioni sul mio conto. Riferì che era presente quando avevo consegnato un pacco di lettere, provenienti da Roma e da Bruxelles, al servo di Padre Garnet, “Little John”, che ho sopra menzionato. (Dopo essere stato catturato con me, fu interrogato; ma non si lasciò sfuggire nulla, come ho già riferito. Quindi, alcuni gentiluomini cattolici sborsarono una somma di denaro e lo fecero liberare. Come molti altri, essi avevano assoluto bisogno dei suoi servizi, perché nel paese non c'era nessuno che sapesse costruire i nascondigli dei preti meglio di lui). Come dicevo, questo prete riferì che avevo consegnato le lettere a “Little John” e che abitualmente ricevevo da preti residenti all'estero delle lettere, indirizzate tanto a me che al mio superiore. Sulla base di queste informazioni, un giorno le autorità inviarono un giudice di pace perché mi interrogasse. Con lui c'erano due messaggeri della regina. Senza nessun preavviso, questi si presentarono nella mia stanza accompagnati dal capo delle guardie. Provvidenzialmente non trovarono nessuno, eccetto due ragazzi ai quali stavo impartendo delle istruzioni prima di inviarli all'estero. Uno di costoro, se ben ricordo, riuscì a partire; l'altro fu messo in prigione per un po' di tempo. Nella mia cella, tuttavia, non trovarono nulla di cui potessi temere, perché conservavo tutte le mie cose e tutte le mie carte in piccoli nascondigli. Fratel Emerson ne era a conoscenza e, quando fui trasferito, pose tutto in salvo, compreso il mio reliquiario che ancora posseggo. Vi era conservato anche del denaro, necessario al mantenimento della mia casa in città, circa mille trecento fiorini. Egli lo inviò al superiore che si prese cura della casa, in vece mia, finché non fui liberato dalla prigione. Questi ufficiali, quindi, entrarono e cominciarono l'interrogatorio, che non durò a lungo, perché non poterono ottenere nessuna delle informazioni che desideravano. Allora cominciarono a perquisire la cella con la speranza di trovare alcune lettere o qualche altro documento compromettente. Mentre il giudice di pace rovistava tra i libri, uno dei messaggeri perquisì la mia persona. Egli mi sbottonò il farsetto e mi vide il cilicio. Dapprima non sapeva che cosa fosse. “Cos'è questo?”, mi chiese. “Un indumento”, risposi. “Ah, è un cilicio”, disse. Allora lo afferrò e tentò di togliermelo a forza (9). La sfrontatezza di questa volgare creatura, debbo confessarlo, mi fece adi- rare più di quanto non mi fosse mai capitato. Stavo per afferrarlo e scaraventarlo fuori. Ma son contento di non averlo fatto. Mi rivolsi, invece, al giudice di pace, che gli ingiunse di desistere all'istante. Così, nella mia cella non trovarono nulla di quanto cercavano, eccetto la mia persona. ___________________________________________________________ _ NOTE AL CAPITOLO XIV 1 Si trattava della “bloody question”, escogitata da Burghley nel 1583 per indurre i cattolici a parlar in maniera tale da poter essere accusati di slealtà verso la corona. Il Card. Allen sollevò una vibrata protesta contro tale procedura nel suo True, Sincere, and Modest Defence (1584), che fu scritto in risposta a Execution of Justice in England di Burghley. Il tentativo fatto da Burghley per giustificare questa novità nella procedura legale aveva profondamente inquietato l'opinione pubblica tanto in Inghilterra che nel continente. Lives of English Martyrs, vol. I, 2a serie, pp. XIX.XXI. 2 Alludeva evidentemente alla liturgia del venerdì santo. 3 Robert Southwell, ucciso a Tyburn il 21 febbraio 1595, e Henry Walpole, ucciso a York il 7 aprile dello stesso anno, furono vittime speciali di Topcliffe che li ebbe nelle sue mani per molti anni. 4 A Gatehouse. Cfr. The Month, marzo 1951, pp. 161-162. 5 Un registro dell'anno 1616, che si trova tra i manoscritti Moore a Cambridge, nel corso di una descrizione delle terre dei Topcliffe, fornisce sul conto di Topcliffe junior questa informazione che conferma la dichiarazione di J. G.: “Egli commise un misfatto e ne fu condannato; ma ottenne il perdono mentre viveva suo padre. Ne commise un secondo, quando suo padre era vivo, uccidendo nella Westminster Hall lo sceriffo di Middlesex, ma riuscì a salvarsi. Dopo di ciò suo padre morì ed egli ottenne un secondo perdono”. Athenaeum, 5 ottobre 1878. 6 Ai sacerdoti venne prontamente alla memoria il paragone di Aman e Mardocheo nel libro di Ester. Cfr. la poesia di Robert Southwell “Scorn not the least”: In Amans pompe poor Mardocheus wept; Yet God did turne his fate upon his foe. 7 Se J G. avesse potuto vedere la lettera che Topcliffe, forse in quello stesso momento, stava scrivendo alla regina, gli avrebbe inviato un messaggio molto differente. In que- sta lettera, datata “Marshalsea, questo venerdì santo o dannato 1595” e che è descritta da JESSOP come la testimonianza più detestabile che sia stata conservata, Topcliffe si vantava di aver spedito (a Tyburn) più traditori di tutti i nobili signori della corte, eccettuati i vostri consiglieri”, e continuava: “In tutte le prigioni si gioisce; pare che le ossa recentemente morte di Padre Southwell a Tyburn e di Padre Walpole a York uccisi tutt'e due dopo il carnevale, vogliano danzare per la gioia”. JESSOP, p. 71. 8 William Atkinson. Sebbene J. G. non lo sapesse, Atkinson stava già dando informazioni su di lui a William Wade. “Cominciò ad essere sospettato” il 2 ottobre 1596, quando fu scoperto da un altro prete accanto alla porta della stanza di Wade. Atkinson promise di rivelare dove si trovavano a Londra tutti questi preti, se fosse stato rilasciato. Perciò fu posto in libertà poco dopo, nell'ottobre del 1596, e, sebbene “ammonito” da J. G., continuò a frequentare la prigione di Clink. J. G. ha ragione di asserire che Atkinson fu il responsabile del suo trasferimento da Clink, perché appena Wade venne a sapere del tradimento di Atkinson, raccomandò che J. G. fosse speditamente trasferito a Wisbeach. (Hat. Cal., VI, p. 413). L'anno seguente il padre di Atkinson, “un povero vecchio che era stato non-conformista per tutta la vita”, apostatò anch'egli e si prestò a tradire numerosi preti coi loro ospiti, svelandoli al Consiglio di York. (Hat. Cal., VII, p. 264). Nel 1595 Atkinson scriveva a Robert Cecil che aveva “perduto milioni di amici cattolici che prima mi mantenevano” e si offrì ad assassinare il conte di Tyrone. “Lo potrei facilmente avvelenare”, scriveva, “con un'ostia avvelenata... e fingendo di voler diventare frate francescano agli ordini del Vescovo Macraith, che stava sempre insieme a Tyrone e ai suoi padri spirituali”. (C.S.P.D., 1595-1597, p. 14, n. 49). I preti apostati e folli sono sempre stati una grave minaccia per i loro antichi confratelli. “Questi preti malvagi ci affliggono tanto” scriveva un gesuita nel dicembre del 1606, “perché oltre Skydmore, l'uomo del vescovo di Canterbury, Rowse, Atkinson, Gravener ed altri recidivi che professano apertamente di tradire i loro fratelli, non sono meno pericolosi coloro che affermano lecito andare alle prediche e alle funzioni religiose”. (MORRIS, p. 305). Atkinson fu responsabile almeno della morte di un prete, Padre Thomas Tichborne, che fu ucciso a Tyburn il 20 aprile 1602. 9 Il 28 febbraio 1594, Benjamin Beard, detenuto per debiti nella prigione di Fleet, offri delle informazioni sui preti in cambio della sua libertà. In una lettera indirizzata ad uno del Consiglio, egli parla di “due gesuiti giunti di recente. Essi sono vestiti di seta, ma sotto le vesti sono cinti di cilicio: ciò basta per farmi ritenere che siano gesuiti”. S.P.D., CCL VII, n. 104 . XV. TORTURA NELLA TORRE Aprile 1597 Essi mi portarono via e mi trasferirono nella Torre di Londra. Ivi mi consegnarono al governatore, un cavaliere chiamato Berkeley, che aveva il titolo di luogotenente della regina. Questi mi fece accompagnare subito in una grande torre a tre piani, ciascuno dei quali ospitava delle celle (1). (Vi sono molte torri del genere all'interno delle fortificazioni). Per quella notte mi assegnò una stanza al primo piano e mi consegnò ad un guardiano (2) nel quale aveva una fiducia speciale. Questi uscì e tornò con un po' di paglia che sparse sul pavimento. Quindi uscì di nuovo, chiudendo la porta della mia cella e sprangandone un' altra di fronte con una grande sbarra e con chiavistelli di ferro. Allora raccomandai la mia anima a Dio che, “scendendo nella fossa col Suo popolo”, non mi abbandonò mai nelle mie catene; quindi alla Beata Vergine, Madre di Misericordia, ai miei protettori ed al mio angelo custode. Dopo aver recitato le preghiere, la mia mente era riposata e mi stesi sulla paglia per dormire. Quella notte dormii molto bene. La mattina successiva presi a passeggiare per la cella. Nella sua fioca luce scorsi il nome del beato Padre Henry Walpole graffito sul muro con un cesello. Quindi scoprii, vicino ad esso, il suo piccolo oratorio dove c'era stata una stretta finestra. Adesso era stata murata, ma su entrambi i lati egli aveva scritto col gesso i nomi di tutti gli ordini degli angeli. In cima, sopra i Cherubini ed i Serafini c'era il nome di Maria, Madre di Dio, ed ancora più in alto il nome di Gesù; su tutti spiccava il nome di Dio scritto in caratteri latini, greci ed ebraici (3). Mi era di grande conforto ritrovarmi in un luogo santificato da questo grande e santo martire e nella stanza in cui egli era stato torturato per tante volte (quattordici in tutto, come ho inteso). Siccome lo torturavano più spesso di quanto volevano che si risapesse, essi non lo facevano nella stanza pubblica a ciò destinata. Non ho difficoltà a credere che fosse torturato tante volte, poiché egli perse completamente l'uso delle dita. Infatti, quando fu ricondotto a York per essere ucciso sul luogo nel quale era stato arrestato al suo sbarco in Inghilterra, egli scrisse di proprio pugno il resoconto di una discussione che aveva lì con alcuni ministri. Parte di esso mi fu dato in seguito insieme ad alcune meditazioni sulla passione di Cristo, che egli scrisse in prigione prima del martirio. A stento riuscii a leggere ciò che aveva scritto, non soltanto perché egli scriveva in fretta ma anche perché la sua mano solo con difficoltà poteva formare le lettere (4). Sembrava la grafia di uno scolaro, non quella di un dotto e di un gentiluomo. Infatti egli era un cortigiano prima dell'esecuzione di Campion e, quando era ancora laico, scrisse dei bei versi inglesi in suo onore, cantando come il sangue del martire avesse riportato il calore non solo nella sua vita ma anche in quella di molti altri, incitandoli a seguire la via più perfetta dei consigli di Cristo (5). Perciò fui molto lieto quanto mi ritrovai nella cella di Padre Walpole; ma io ero troppo indegno per ereditare il luogo in cui questa nobile anima aveva sofferto. Il giorno successivo, forse per ordine o forse con la convinzione di farmi un servizio, il guardiano mi spostò in una cella del piano superiore. Era ampia e, considerando che si trattava di una prigione, molto comoda. Gli dissi che preferivo restare nella cella sottostante e gliene spiegai il motivo, ma egli non volle concedermelo. Quindi lo pregai di lasciarmi andare giù occasionalmente per recitare le preghiere; e questo me lo promise e me lo concesse. Inoltre, si offrì di portarmi un letto se qualche mio amico avesse voluto mandarmelo, perché questi non sono forniti in prigione ed il prigioniero deve procurarsi il letto e qualsiasi altro mobile di cui abbisogni, a condizione che il tutto passi al luogotenente della Torre, anche quando il prigioniero venga liberato. Gli dissi che i miei soli amici erano i compagni della prigione, che avevo appena lasciato. Se fosse andato lì, forse gli avrebbero dato un giaciglio per me. Il carceriere vi si recò subito e gli diedero quel tipo di letto che sapevano di mio gradimento: un semplice materasso, ripieno di lana e di piume, secondo l'usanza italiana. Gli diedero anche un abito ed alcuni panni, dicendogli di tornare sempre e di chiedere qualsiasi cosa di cui io avessi bisogno. Non doveva fare altro che portare un biglietto firmato da me, in cui fossero elencate le cose che desideravo. Gli regalarono del danaro e lo pregarono di trattarmi bene. Il terzo giorno il carceriere venne nella mia stanza subito dopo pranzo. Con uno sguardo rattristato, mi disse che erano arrivati i Lord commissari insieme al procuratore generale della regina e che dovevo scender subito giù da loro. “Sono pronto, dissi. Datemi solo il tempo di recitare un Pater ed un'Ave per le scale”. Egli mi fece uscire e ci avviammo insieme verso l'appartamento del luogotenente entro le mura della Torre. Vi erano cinque uomini ad aspettarmi; di essi nessuno mi aveva interrogato prima, ad eccezione di Wade, che era venuto per dirigere le accuse contro di me (6). Il procuratore generale prese un foglio di carta e cominciò solennemente a redigere un processo verbale d'interrogatorio giuridico. Non mi interrogarono intorno a singoli cattolici; le domande riguardavano soltanto questioni politiche, ed io risposi secondo le linee generali che avevo sempre seguito prima. Dissi che le questioni di Stato erano proibite ai gesuiti e che, di conseguenza, non mi ero mai immischiato in esse; se ne desideravano la conferma, l'avevano. Ormai mi trovavo in prigione da tre anni ed ero stato interrogato innumerevoli volte. Essi non avevano mai trovato un solo rigo, né un singolo testimone, che potesse dimostrare che avevo partecipato ad attività sovversive contro il governo. Quindi mi chiesero delle lettere che avevo recentemente ricevuto dai nostri padri residenti all'estero; allora compresi per la prima volta perché mi avevano trasferito nella Torre. Risposi: “Se in qualche tempo ho ricevuto delle lettere dall'estero, queste non hanno nulla a che fare con la politica. Esse riguardavano soltanto l'assistenza finanziaria dei cattolici che vivevano nel continente” (7). “Non ne avete ricevuto un plico, poco tempo fa, disse Wade, e non lo avete consegnato al signor tal dei tali, perché lo recapitasse a Henry Garnet?” “Se ho ricevuto tale plico e se l'ho fatto recapitare, ho fatto quello che ero tenuto a compiere. Ma, ripeto, le sole lettere che ho ricevuto o spedito sono quelle che, come ho detto, trattano dell'invio di denaro ai religiosi ed agli studenti che sono nel continente”. “Molto bene, risposero, allora diteci il nome dell'uomo, al quale avete consegnato le lettere e dove vive”. “Non lo so, e, se anche lo sapessi, non potrei e non vorrei dirvelo”, e fornii le abituali ragioni della mia risposta. “Voi dite, continuò il procuratore generale, che non avete alcun desiderio di ostacolare il governo. Diteci, allora, dove si trova Padre Garnet. È un nemico dello Stato e voi avete il dovere di riferire intorno a simili individui”. “Non è affatto un nemico dello Stato, risposi. Al contrario, sono certo che, se gli si offrisse l'opportunità di dare la vita per la regina e per il paese, sarebbe lieto di farlo. Ma io non so dove vive e, se lo sapessi, non ve lo direi”. “Allora faremo in modo che ce lo diciate prima che noi lasciamo questo luogo”. “Voglia Dio che non ci riusciate”, risposi. Mi mostrarono allora un mandato per sottopormi alla tortura (8). L'avevano portata con sé e me la porsero perché la leggessi. (In questa prigione si richiede una special autorizzazione per la tortura). Vidi che l'autorizzazione era stilata e firmata legalmente, quindi risposi: “Con l'aiuto di Dio non farò mai nulla che sia ingiusto né agirò contro la mia coscienza e la mia fede cattolica. Voi mi avete in vostro potere. Non potete farmi altro che quello che Dio vi permetterà; più di tanto non potete”. Allora cominciarono ad implorarmi a non costringerli a prendere dei provvedimenti che loro ripugnavano. Dissero che avrebbero dovuto sottopormi giornalmente alla tortura per tutto il resto dei miei giorni, finché non avessi dato le informazioni che desideravano. “Confido nella bontà di Dio, risposi. Spero che egli mi impedisca di commettere un tale peccato, quello, cioè, di accusare delle persone innocenti. Siamo tutti nelle mani di Dio e, quindi, non temo affatto quello che voi mi potete fare”. Questo fu il senso delle mie risposte, per quanto adesso riesco a ricordare. Ci avviammo verso la stanza della tortura in forma di solenne processione, guidata dalle guardie munite di torce accese (9). Era una buia stanza sotterranea, proprio vicino all'entrata. Era un luogo ampio in cui c'era qualsiasi congegno e qualsiasi arnese di umano tormento. Me ne mostrarono qualcuno e dissero che li avrei provati tutti. Quindi mi chiesero di nuovo se volevo confessare. “Non posso”, dissi. Caddi in ginocchio per recitare qualche preghiera (10). Quindi mi condussero ad una grande colonna, uno dei pali di legno che sostenevano il soffitto di quella grande stanza sotterranea. Fissati alla sommità vi erano degli uncini di ferro che sostenevano gravi pesi. Mi assicurarono i polsi in bracciali metallici e mi ordinarono di fare due o tre passi su una scala. Allora mi furono sollevate le braccia ed una barra di ferro fu infilata nell'anello del primo bracciale, quindi fu assicurata sull'uncino ed infine passata per l'anello del secondo bracciale. Ciò fatto, assicurarono la barra con un gancio per impedirle di scivolare; quindi, togliendo uno per volta gli scalini che avevo sotto i piedi, mi fecero penzolare per le braccia legate sulla mia testa. Tuttavia, toccavo ancora terra con la punta degli alluci e furono costretti a scavare il pavimento sotto di essi. Mi avevano sospeso all'ultimo uncino del palo e non potevano sollevarmi di più, senza infiggerne un altro (11). Così appeso, cominciai a pregare. Gli uomini che mi stavano intorno mi chiesero se adesso desideravo confessare. “Non posso e non voglio”, risposi. A stento potevo proferire le parole, tanto lacerante era il dolore in cui mi sentivo immerso. Esso era più acuto all'addome ed al torace, alle mani ed alle braccia. Tutto il sangue del corpo sembrava fluirmi nelle mani e nelle braccia e credevo che esso uscisse dai polpastrelli delle dita e dai pori della pelle. Ma era solo la sensazione causata dai muscoli tumefatti al di sopra dei bracciali che mi serravano le braccia. Il dolore era così intenso, che pensavo di non poterlo sopportare; ma a quello si aggiungeva una tentazione interiore. Tuttavia non avevo alcuna intenzione né il minimo desiderio di dar loro l'informazione che desideravano. Il Signore riguardò alla mia debolezza con gli occhi della sua misericordia e non permise che fossi tentato oltre le mie forze. Con la tentazione Egli mi mandò anche l'aiuto. Vedendo l'agonia e la lotta che si svolgevano nella mia mente, Egli mi mandò questo misericordioso pensiero: la cosa peggiore che possono farti è quella di ucciderti e tu spesso hai desiderato di dare la vita per il tuo Signore Iddio. Egli vede tutto quello che stai sopportando. Egli può far tutto. Tu sei sotto lo sguardo di Dio. Con queste considerazioni, Dio nella Sua infinita bontà e misericordia mi diede la grazia della rassegnazione e, col desiderio di morire e la speranza di ottenere tale grazia, Gli offrii tutto me stesso, affinché disponesse di me secondo i suoi desideri. Da quel momento cessò il conflitto nel mio spirito ed anche il dolore fisico mi sembrò più sopportabile di prima, sebbene sia sicuro che in realtà esso fosse aumentato sotto la tensione crescente ed il graduale indebolimento del mio corpo. Quando i gentiluomini presenti videro che non rispondevo alle loro domande, se ne andarono nell'appartamento del luogotenente ove si trattennero. Tuttavia si mantennero continuamente in contatto per sapere come le cose procedevano con me. Insieme al mio carceriere restarono tre o quattro uomini robusti per sorvegliare e dirigere l'andamento della tortura. Il carceriere, penso, restò per compassione, perché prendeva a brevi intervalli un panno e mi asciugava il sudore, che mi sgorgava a rivoli dalla faccia e da tutto il corpo. Ciò mi sollevava alquanto; tuttavia egli aumentava le mie sofferenze quando incominciava a parlare. Non faceva altro che pregarmi e supplicarmi affinché avessi pietà di me stesso e dicessi a quei signori quello che desideravano sapere. Egli mi suggeriva tante umane considerazioni, che io pensai che il demonio stesso lo inducesse a fingere tanta affezione o che i miei torturatori lo avessero lasciato lì di proposito per tendermi un tranello. Ma sentivo tutte queste suggestioni del nemico come colpi sferrati a distanza: sembrava che non mi raggiungessero lo spirito e che non causassero in me effetto di sorta. Più d'una volta lo interruppi: “Finiscila, per amor del cielo! Pensi che io intenda perdere l'anima per salvare la vita? Mi stai esasperando”. Ma egli continuò, aiutato varie volte anche dagli altri. “Voi resterete offeso per tutta la vita, seppure riuscirete a sopravvivere. E sarete torturato ogni giorno finché confesserete” . Ma io pregavo a bassa voce come meglio potevo, invocando i nomi di Gesù e di Maria (12). Ad un certo momento, dopo l'una, penso, caddi in deliquio. Non so per quanto tempo rimasi privo di sensi; ma non penso che fossi stato lungo, perché gli uomini mi sollevarono il corpo o mi inserirono i pioli sotto i piedi, finché non rinvenni. Ma, quando mi intesero pregare, mi fecero subito penzolare di nuovo. Continuarono a farlo ogni volta che svenivo (otto o nove volte in quel giorno) finché non suonarono le cinque. Dopo le quattro o poco prima delle cinque, Wade ritornò. Avvicinandosi mi chiese: “Siete pronto adesso ad obbedire alla regina e al suo Consiglio?”. “Voi volete che io faccia un'azione peccaminosa. Non la farò”, risposi. “Tutto quello che dovete dire, disse Wade, è che desiderate parlare con Cecil, segretario di sua maestà” (13). “Non ho nulla da dirgli, replicai, se non quello che vi ho già detto. Se chiedessi di parlare con lui, la gente ne sarebbe scandalizzata. Si penserebbe che mi sono arreso e che avrei detto, alla fine, qualcosa che non avrei potuto dire”. Tutto infuriato, mi volse improvvisamente le spalle e si precipitò fuori della stanza, gridando con collera ad alta voce: “Allora restate lì appeso finché non cadrete dal palo in putrefazione”. Egli se ne andò. Penso che allora abbiano abbandonato la Torre anche i commissari, perché alle cinque in punto suona la campana della Torre, ai cui rintocchi tutti debbono allontanarsi, se non vogliono che i cancelli chiudano loro l'uscita (14). Un po' più tardi mi calarono in terra. Le mie gambe ed i miei piedi non erano danneggiati, tuttavia mi riusciva faticoso restare in piedi. Mi ricondussero nella cella. Durante il tragitto incontrammo alcuni prigionieri che godevano libertà all'intorno della Torre, ed io mi volsi per parlare al carceriere, con l'intenzione di farmi ascoltare da loro. “Ciò che mi sorprende, dissi, è che i commissari desiderino che io riveli dove sia la casa di Padre Garnet. Ma non sanno che è peccato tradire un uomo innocente? Non lo farò mai, neanche se dovrò morire”. Dissi ciò per impedire che essi, come spesso fanno, spargessero la voce che avevo confessato qualcosa. Desideravo, inoltre, far sapere, attraverso queste persone, che ero stato interrogato principalmente intorno a Padre Garnet, in modo che ne venisse a conoscenza e si ponesse in salvo. Mi accorsi che il carceriere non gradì quelle mie parole, dette in presenza di altri, ma ciò mi lasciò del tutto indifferente (15). Quando raggiunsi la cella, si mostrò veramente rattristato delle mie condizioni. Accese il fuoco e mi portò un po' di cibo, poiché era quasi ora della cena. Ma potei ingerire ben poco. Quindi mi distesi sul letto e riposai tranquillamente fino all'indomani. Il mattino seguente, dopo che furono aperti i cancelli della Torre, il carceriere venne a dirmi che Wade era arrivato e che dovevo scendere da lui. Indossai un mantello a larghe maniche, perché non potevo infilare le mani enfiate nelle maniche del mio vestito, e scesi. Quando entrai in casa del luogotenente, Wade mi disse: “Sono stato mandato qui in nome della regina e del suo segretario, Cecil (16). Essi asseriscono di sapere con certezza che Garnet si occupa di politica e rappresenta un pericolo per lo Stato. Tanto affermano sia la regina, sulla sua parola di sovrana, sia Cecil, sul suo onore. A meno che non scegliate di contraddirli, dovrete risolvervi a consegnarlo”. “Essi non possono parlare per esperienza, risposi, né in base ad alcuna informazione degna di fede, giacché non conoscono quest'uomo. Io sono vissuto con lui e lo conosco bene; vi posso assicurare che non è come lo descrivono” (17). “Orsù, disse Wade, perché non ammettere la verità e non rispondere alle nostre domande?”. “Non posso e non voglio”, risposi. “Sarebbe meglio per voi che lo faceste”; e dicendo questo, chiamò un signore che aspettava nella stanza attigua. Questi era un uomo ben piantato che Wade chiamò “ufficiale della tortura”. Sapevo che l'ufficio esisteva, ma più tardi venni a sapere che quell'uomo non ne aveva l'incarico. Si trattava d'un ufficiale di artiglieria. Wade gli diede questo titolo per terrorizzarmi. “Per ordine della regina e del consiglio, disse al signore, vi do quest'uomo in consegna. Oggi dovrete torturarlo due volte; e continuerete così ogni giorno, finché non avrà confessato”. L'uomo mi prese in consegna. Wade uscì. Noi ci avviammo verso la stanza della tortura, come avevamo fatto prima. Mi furono applicati i bracciali nello stesso posto in cui mi erano stati applicati l'ultima volta. Essi non si sarebbero adattati in nessun'altra parte, poiché da entrambi i lati la carne aveva formato due piccoli rigonfiamenti, lasciando un solco in mezzo, ed i bracciali potevano essere assicurati solo in questo solco. Quando me li misero, sentii un dolore lancinante. Ma Dio mi aiutò ed io Gli offrii con gioia le mie mani ed il mio cuore. Fui sospeso nella stessa maniera di prima. Adesso, però, il dolore era più acuto alle mani e meno intenso al torace e all'addome. Ciò dipendeva forse dal fatto che non avevo mangiato nulla quella mattina. Restai a pregare in questa posizione, talvolta ad alta voce, tal'altra sommessamente; e mi affidai alla protezione di Nostro Signore Gesù e della Sua S. Madre. Questa volta passò più tempo prima che svenissi; ma quando venni meno, trovarono più difficile farmi rinvenire, tanto che pensarono che fossi morto o che certamente stessi morendo. Perciò chiamarono il luogotenente. Non so per quanto tempo egli rimase lì o per quanto tempo io rimasi svenuto. Ma quando tornai in me, non ero più appeso; invece stavo seduto su una panca, mentre alcuni uomini mi sostenevano da entrambe le parti. C'era molta gente all'intorno. Alcuni dei presenti mi avevano aperto la chiostra dei denti con un chiodo o con qualche strumento di ferro e m'avevano versato dell'acqua calda in gola. Quando il luogotenente vide che potevo parlare di nuovo, disse: “Non vedete quanto sarebbe meglio sottomettervi alla regina, invece di morire in tal modo?”. Dio mi aiutò ed io fui in grado di rispondere con maggior vigore di quanto ne avessi sentito fino a quel momento. “No, non lo faccio! dissi. Preferisco morire mille volte piuttosto che far quello che mi suggeriscono”. “Non volete confessare, allora?”. “No, non voglio, dissi; e non lo vorrò finché nel mio corpo rimarrà un alito di vita”. “Molto bene. Allora dobbiamo appendervi di nuovo, adesso, ed una terza volta dopo pranzo”. Parlava come se fosse spiacente di dover eseguire gli ordini. “Eamus in nomine Domini! dissi. Ho solo una vita; ma anche se ne avessi parecchie le sacrificherei tutte per la stessa causa”. Mi trascinai sui piedi e tentai di portarmi presso la colonna, ma dovetti essere aiutato. Ormai ero molto debole. Se avevo ancora un po' di forza mi era data da Dio, perché ero membro della Compagnia, per quanto ne fossi veramente indegno. Fui appeso di nuovo. Adesso il dolore era intenso; ma sentivo una grande consolazione di spirito, che mi sembrava provenire dal desiderio della morte. Dio solo sa se esso scaturiva da un vero desiderio della sofferenza per amore di Cristo, oppure da una bramosia egoistica di essere con Lui. Ma allora ero convinto che stessi per morire. Ed il mio cuore si riempiva di grande gioia, mentre mi abbandonavo alla Sua volontà ed alla Sua protezione, disprezzando il volere degli uomini. Oh! possa Dio concedermi sempre lo stesso spirito, sebbene sia sicuro che ai suoi occhi esso fosse tutt'altro che perfetto, perché la mia vita doveva essere più lunga di quanto allora pensassi e Dio mi diede altro tempo per farlo più perfetto ai suoi occhi; infatti, come sembra, allora non era ancor pronto. Forse il governatore della Torre comprese che non avrebbe ottenuto nulla, se avesse continuato a torturarmi; o forse era ora di pranzo, oppure, infine, fu mosso da un genuino senso di compassione per me. Qualunque ne fosse la ragione, ordinò che fossi deposto a terra. Quel giorno mi sembrò di essere rimasto appeso solo un'ora, la seconda volta. Personalmente, ritengo che egli fosse mosso da compassione, poiché poco tempo dopo la mia fuga una persona di rango mi disse di aver inteso dire da Sir Richard Berkeley, cioè dallo stesso luogotenente, che egli si era liberamente dimesso dal suo ufficio, perché non desiderava più essere strumento di così crudeli torture a degli uomini innocenti. Ad ogni modo, resta il fatto che si dimise, e a distanza di soli tre o quattro mesi dalla sua entrata in carica. Il suo posto fu preso da un altro cavaliere (18), e fu sotto di questo che fuggii. Il carceriere mi ricondusse nella mia stanza. I suoi occhi mi sembravano turgidi di lacrime. Egli mi assicurò che sua moglie, che io non avevo mai visto, aveva pianto e pregato per me, durante tutto quel tempo. Mi portò un po' di cibo; ma potei mangiare ben poco, e quel poco lo aveva tagliato a pezzettini. Per molti giorni non potei tenere un coltello nelle mani e quel giorno non potei muovere le dita né aiutarmi in nessun modo. Egli dovette fare tutto per me. Ma, nonostante ciò, gli fu ordinato di portarmi via il coltello, le forbici ed il rasoio. lo pensai che temessero che mi volessi suicidare; ma più tardi appresi che facevano sempre così nella Torre, quando ricevevano l'autorizzazione di assoggettare un prigioniero alla tortura. Mi aspettavo di essere ripreso e torturato, come avevano minacciato (19). Ma Dio conosceva la debolezza del Suo soldato e gli concesse una breve battaglia per timore che venisse sconfitto. A molti, più forti di me, come Padre Walpole, Padre Southwell ed altri, egli aveva concesso un dura lotta affinché potessero uscirne trionfatori. Tali uomini “in breve tempo fecero una lunga corsa”; ma io ero chiaramente indegno del loro premio (20) e fui lasciato a percorrere tutta la lunghezza dei miei giorni, per riparare le mie sconfitte e per purificare con molte lacrime un'anima che non ero ritenuto capace di lavare, in una sola volta e subito, col mio sangue. Tale fu il beneplacito di Dio; sia fatto secondo il suo volere (21). ___________________________________________________________ _ NOTE AL CAPITOLO XV 1 La Torre del Sale, nell'angolo sud-est di Inner Ward. J. G. vi fu trasferito da Clink il 12 aprile 1597. C.R.S., vol. IV, p. 233. 2 Si chiamava Bennett, come risulta da Hat. Cal., VII, p. 417. 3 Per una più dettagliata relazione sulle iscrizioni riportate da J. G., si veda MORRIS, pp. 290-297. C'è nella cella di J. G. il disegno semplice e grossolano di un grande cuore trafitto da una freccia con le iniziali “J. G.” scritte sotto. Queste sono riportate come “1. G.” nelle iscrizioni elencate nella relazione della Torre del Sale nel quarto volume della “Royal Commission of Historical Monuments”, vol. IV, East London, p. 82. Siccome la prima lettera è indubbiamente una “J”, il disegno può essere stato inciso da Gerard. 4 Le due pagine manoscritte, riprodotte in C.R.S., voI. V, pp. 190, 259, nella sezione dedicata alle lettere e agli interrogatori di Henry Walpole, permettono al lettore moderno di fare lo stesso paragone. La testimonianza di J. G. è confermata dal gesuita Padre Holtby, il quale ricevette alcuni versi scritti da Walpole, mentre questi attendeva di esser ucciso nella prigione di York. “Il mio amico, egli dice, ne ha la copia nello Yorkshire, ma è scritta cosi male (per l'amputazione dei pollici) che è stata una gran fatica leggerla, benché io ritenga che la sua scrittura gli fosse familiare”. JESSOP, p. 253. 5 Si tratta della poesia che incomincia casi: Why do I use paper, pen and ink. La strofa che J. G. formulava nella sua mente era probabilmente la seguente: We cannot fear a mortal torment, we; This martyr's blood hath moistened all our hearts; Those parted quartes when we chance to see: We learn to play the constant Christian's parts. His head doth speak and heavenly precepts give, How we the like should frame ourselves to live. Vi sono trenta strofe. Una parte di questa poesia è stampata da L. I. GUINEY in Recusant Poets, pp. 178-180; tutta completa si trova in The Month, gennaio-febbraio 1872. Benché J. G. fosse severamente torturato, non fu trattato così brutalmente come Padre Southwell o come Padre Walpole. Ciò può essere motivato dalle sue potenti amicizie a corte. 6 I nomi delle cinque persone che formavano la giuria sono forniti delle firme del rapporto ufficiale dell'interrogatorio. Essi sono: Richard Berkeley, luogotenente della Torre; Edward Coke, che era stato lanciato in una brillante carriera giuridica dalla sua recente nomina a procuratore generale, che gli era stata conferita nel 1594 e in cui era stato preferito a Bacone; Thomas Fleming, nominato avvocato generale nel novembre 1595 e più tardi primo lord giudice della corte regia; Francesco Bacone, il futuro cancelliere, che già da diversi anni lamentava una serie di delusioni a causa dell'inefficace appoggio del conte di Essex; e William Wade, che allora era segretario del Consiglio privato e in seguito divenne luogotenente della Torre. Il loro rapporto è datato 14 aprile 1597. S.P.D., CCLXII, n. 123. 7 I termini precisi della risposta di J. G. si trovano scritti di suo pugno nel rapporto del suo interrogatorio. “Io rifiuto, dice, non per una slealtà d'animo, quasi che voglia essere salvato, ma perché ritengo che queste cose non rientrino assolutamente tra gli affari di Stato, dei quali non mi sarei mai occupato come non mi sono occupato di tutto ciò che esula dal campo puramente spirituale”. Il rapporto mostra che J. G. fece il tentativo di evadere da Clink mediante chiavi false. Questa fu, probabilmente, un'ulteriore ragione del suo trasferimento nella Torre. C.S.P.D., 1595-1597, p. 389. 8 Questo mandato è trascritto nel registro del Consiglio privato senza i nomi dei firmatari (vol. XXVII, p. 38). In esso si davano le seguenti istruzioni al luogotenente della Torre: “In forza di ciò lo farete ammanettare e lo farete assoggettare alle torture usate in quel luogo”. Dal mandato risulta che tanta severità era dovuta al fatto che J. G. riceveva informazioni dall'estero. 9 Si dice che un passaggio sotterraneo collegasse gli appartamenti del luogotenente, in cui J. G. fu interrogato, con le stanze che si trovano sotto la Torre Bianca, dove egli fu torturato. 10 “Egli soleva cadere in ginocchio davanti alla porta della stanza di tortura per raccomandarsi alla misericordia di Dio e per implorare il dono della pazienza nei suoi dolori. Come pure, quando si trovava sulla ruota di tortura, invocava continuamente e con molta dolcezza Dio e il santo nome di Gesù”. ALLEN, Death and Martyrdom of Father Edmund Campion (ed. 1908), p. 13. La lettura di questo passo può esser considerata senz'altro come una parte della preparazione di J. G. al proprio giudizio, di maniera che il comportamento di Campion aveva ormai stabilito come un rituale fra tutti i martiri. 11 Come indica il suo soprannome “Long John”, J. G. era molto alto e robusto; in tale tortura egli dovette soffrire più crudelmente di un uomo più gracile. La sospensione per le braccia, nella maniera descritta da J. G., evitava le slogature provocate dalla ruota. Siccome l'opinione pubblica era insorta contro le crudeltà praticate da Norton, il “maestro di tortura” della regina, Topcliffe, che da Elisabetta aveva ricevuto licenza di torturare in privato, introdusse questa raffinatezza che era conosciuta col nome di “manette o bracciali”. 12 “Gli inquisitori dicono che egli [J. G.] è molto ostinato; sotto la tortura essi non riescono a strappargli di bocca la minima parola, eccetto l'invocazione Gesù!”. Garnet al Generale, il 7 maggio 1597. Stonyhurst MSS, Anglia, II, n. 27. 13 Questi fu Robert Cecil, il secondogenito di Lord Burghley. L'anno precedente era stato nominato Segretario di Stato, dopo un considerevole ritardo causato dalla rivalità della fazione di Essex. 14 J. G. dice che Wade partì. In realtà rimase nella speranza che J. G. avrebbe fatto la confessione necessaria. A testimonianza del fatto che quella notte (15-16 aprile) egli alloggiò nella Torre, invece di tornare a casa sua a Charing Cross, si veda C.R.S., vol. IV, p. 232. 15 Questo messaggio ingegnosamente spedito pervenne a Padre Garnet. Otto settimane più tardi, scrivendo al Generale della Compagnia il 10 giugno, Padre Garnet dice: “Egli [J. G.] è stato sospeso tre volte per le braccia fin quasi a morirne, il che si verificò due volte in un solo giorno. A Questa tortura fu assoggettato (come adesso apprendo con sicurezza) nella speranza di fargli rivelare dove fosse il suo superiore e per mezzo di quale persona gli avesse inviato quelle lettere che erano state recapitate a lui da Padre Persons”. Stonyhurst MSS, GRENE, Collectanea P., vol. II, f. 548. 16 Questa era probabilmente una menzogna. Com'è stato detto nella nota precedente, Wade aveva passato la notte nella Torre, ed è da escludere che avesse avuto la possibilità di conferire con la regina e con Cecil dopo che J. G. fu torturato la prima volta. 17 Il 19 novembre 1594, mentre J. G. era a Clink, Garnet scrisse a Padre Persons parlando della regina in termini molto leali: “Sua Maestà si è trovata in pericolo a causa di una breve infermità; ma grazie a Dio si è ripresa molto bene. Ieri ha assistito al trionfo, tutta vestita di giallo, ed era un conforto vederla cosi fresca e vigorosa”. Stonyhurst MSS, Anglia A, I, n. 82. 18 Sir John Peyton, che divenne governatore della Torre nel giugno 1597, mantenne quest'ufficio fino al luglio 1605, data in cui gli successe William Wade. 19 J. G. fu condotto una terza volta nella stanza di tortura. Padre Garnet menziona il fatto nella sua lettera del 7 maggio. “Recentemente lo hanno portato nella stanza di tortura, in cui i carnefici e gli interrogatori erano pronti ad iniziare la loro opera. Ma quando entrò in quel luogo, egli cadde subito in ginocchio e prese a pregar Dio ad alta voce affinché, come ad alcuni suoi santi aveva dato la forza per sopportare di essere smembrati da cavalli per amore di Cristo, cosi gli desse forza e coraggio per farsi tagliare a pezzi prima di proferire una parola che tornasse a svantaggio di qualcuno o della gloria di Dio. Ed essi, vedendolo così risoluto, non lo torturarono”. Stonyhurst MSS, Anglia A, II. n. 27. 20 “Non ipse martyrio, sed ipsi martyrium defuit”, scrisse Padre Christopher Grene, un ammiratore di J. G. del diciassettesimo secolo. Con Padre Persons e Padre Garnet, J. G. fu uno dei primi storici dei martiri inglesi. Dal 1588, anno del suo arrivo, fino al 1594, anno della sua cattura, egli tenne un elenco accurato di tutti quelli che subirono il martirio. È l'elenco più antico, nel suo genere, ed è conservato nel collegio di Stonyhurst. Anglia, vol. VII, n. 26; esso è stampato in C.R.S., vol. V, pp. 288-293. 21 L'11 giugno Garnet scrisse a Padre Persons: “Recentemente abbiamo saputo con certezza che il conte di Essex ha lodato la sua [di J. G.] costanza, dichiarando che non poteva fare a meno di onorare ed ammirare quest’uomo. Un segretario del Consiglio reale nega che la regina volle che venisse ucciso. Per John questo sarà una grande preoccupazione”. Stonyhurst MSS. GRENE, Collectanea. vol. II, p. 548 XVI. CORRISPONDENZA CLANDESTINA Abbandonato a me stesso nella mia cella, passavo la maggior parte del tempo in preghiera. Adesso, come durante i primi giorni della mia prigionia, facevo gli Esercizi Spirituali. Ogni giorno impiegavo quattro e talvolta cinque ore nella meditazione; così feci per un mese intero. Con me avevo anche il breviario; e ogni giorno riesaminavo le azioni della Messa proprio come fanno gli studenti di teologia, quando si preparano per l'ordinazione. Li ripassavo con grande devozione e col desiderio della comunione, di cui sentivo moltissimo il bisogno quando giungevo al punto in cui in una Messa vera il prete compie il sacrificio e consuma le oblata. Tale pratica mi procurò molte consolazioni tra le mie sofferenze. Dopo tre settimane, per quanto riesco a ricordare, fui in grado di muovere le dita, di tenere un coltello in mano e di cibarmi (1), Quando ebbi finito gli Esercizi Spirituali, chiesi il permesso di ricevere dei libri, ma mi concessero soltanto una Bibbia che mi fu inviata dalla mia vecchia prigione. Quindi domandai un po' di danaro, sperando di indurre gradualmente il carceriere a portarmi segretamente diverse cose di cui avevo bisogno, possibilmente anche dei libri. Grazie ai miei amici, tutto quello che avevo chiesto mi giunse con sicurezza per mezzo suo. In seguito, chiesi al carceriere di comprarmi delle arance molto grosse. Siccome questi frutti gli piacevano in maniera particolare, gliene regalai alcuni; ma già pensavo di servirmene più tardi in altro modo. Ogni giorno, dopo pranzo, facevo esercizio con le mani, perché non cenavo mai, sebbene tale pasto mi venisse sempre offerto. Il cibo veniva fornito a spese della regina ed era abbondante: ogni giorno mi passavano sei pagnottine di pane molto buono. (La qualità dei pasti nella prigione varia secondo il rango dei prigionieri. La scala è puramente sociale e, senza prendere in considerazione lo stato religioso, considera primo ciò che dovrebbe essere considerato ultimo) (2). L'esercizio che facevo con le dita consisteva nel tagliare le bucce di arance in forma di piccole croci; quindi le cucivo insieme a coppie e le legavo su un filo di seta, facendone rosari. Intanto avevo già spremuto in un piccolo recipiente il succo delle arance. La mia mossa successiva fu quella di chiedere al carceriere di portare alcune di quelle croci ed alcuni di quei rosari agli amici rinchiusi nella mia vecchia prigione. Siccome egli pensava che da ciò non potesse derivare alcun inconveniente, acconsentì. Tuttavia non avevo ancora una penna, né osavo chiederla. In ogni caso, anche se me l'avessero procurata, difficilmente sarei stato capace di scrivere. Seb- bene potessi ormai tenere in mano una penna, a stento riuscivo a sentire che avevo qualche cosa tra le dita. Il mio senso del tatto rimase intorpidito per cinque mesi e non lo riacquistai completamente. Fino al tempo della mia fuga, che avvenne sei mesi dopo, ebbi sempre una certa rigidità nelle dita (3). Siccome non osavo chiedere al carceriere una penna per scrivere, gli domandai se potevo avere una piuma per la pulizia dei denti. Egli me la portò ed io ne aguzzai l'estremità a punta, la tagliai e l'adattai in un pezzo di legno. Col resto della piuma feci uno stecchino, procurando che apparisse sufficientemente lungo, in maniera che il carceriere non potesse sospettare che ne avevo tagliato un pezzo. Quindi glielo mostrai e gli chiesi un po' di carta per avvolgere i rosari. Alla fine, ottenni anche il permesso di scrivere a carboncino alcune righe nelle quali chiedevo agli amici di pregare per me. Egli mi permise tutto ciò senza sospettare assolutamente di nulla. In realtà, sullo stesso pezzo di carta avevo scritto agli amici con succo di arance, dicendo loro di rispondere nello stesso modo qualora avessero ricevuto la nota, ma di non scrivere molto, all'inizio. Inoltre suggerii loro di regalare un po' di danaro al carceriere, promettendogli qualcosa ogni volta che avesse portato loro un rosario o una croce oppure un breve messaggio scritto, in cui li assicuravo che stavo bene. I miei amici ricevettero il rosario avvolto nella carta. Essi sapevano che, se ne avessi avuto occasione, avrei scritto loro qualcosa in succo di arance, come solevo fare quando ero con loro. Perciò si recarono immediatamente in una stanza del piano superiore e, accostando la carta al fuoco, lessero quello che avevo scritto. Risposero nella stessa maniera mandandomi in regalo alcune caramelle ed altri dolci, il che fornì loro il pretesto di ricorrere ad un foglio di carta per avvolgerli. Continuammo a comunicare così per i sei mesi successivi. Quando ci accorgemmo che il carceriere non mancava di consegnare fedelmente messaggi, diventammo più fiduciosi. Per i primi due o tre mesi egli non sospettò minimamente di portare delle lettere dagli uni agli altri. Al termine dei tre mesi gli chiesi se mi avrebbe permesso di scrivere delle lettere a matita ed egli me lo concesse. Gliele consegnavo sempre aperte, in maniera che potesse leggerle. Nelle righe scritte a matita mi limitavo soltanto ad argomenti spirituali, ma negli intervalli in bianco tra un rigo e l'altro impartivo dettagliate istruzioni a molti amici che si trovavano all'esterno. Naturalmente, egli non ne sapeva nulla. In realtà, come ebbi presto a scoprire, il mio carceriere non sapeva leggere. Ma fingeva molto abilmente di esserne capace e soleva sbirciare dietro le mie spalle, mentre rileggevo ad alta voce tutto quello che avevo scritto a matita. Tuttavia, cominciai a sospettare che fosse analfabeta e decisi di metterlo alla prova. Un giorno, mentre guardava sul foglio, io lessi qualcosa del tutto differente da ciò che avevo scritto. Ripetei ciò quattro o cinque volte e, quando notai che non mi correggeva, mi volsi a lui con un sorriso e gli dissi francamente che non c'era bisogno che continuasse a guardarmi. Allora ammise di non saper leggere e disse che gli piaceva ascoltare ciò che leggevo. Da allora mi permise di scrivere tutto quello che volevo e recapitava indiscriminatamente tutto ai miei amici. Alla fine mi procurò dell'inchiostro e cominciò a portare lettere sigillate. Quando si avvide che avevo relazioni solo con poche persone, sulla cui discrezione si poteva contare, e quando comprese che né essi né io potevamo tradirlo, fece tutto ciò che gli chiedevamo. Naturalmente, riceveva ogni volta del danaro. Tuttavia mi pregò di non chiedergli di andare così spesso a Clink, perché alla fine sarebbe caduto in sospetto ed entrambi ne avremmo subìto le conseguenze. Egli suggerì che un amico lo incontrasse in un luogo vicino alla Torre e ricevesse da lui le lettere. Ma non volli che alcuno venisse a contatto con lui, eccezion fatta per i prigionieri, che non correvano alcun rischio, se ammettevano di conoscermi o se mi mandavano doni ed elemosine. Sapevo che il carceriere non avrebbe parlato a nessuno delle lettere, perché ciò avrebbe recato danno tanto a lui quanto alle persone alle quali le recapitava. Egli lo sapeva bene. Ed anche se lo avesse desiderato, non era grande il danno che avrebbe potuto recare a me ed ai miei amici. Nelle mie lettere non scrissi mai i loro nomi, neanche quando ero in libertà; usavo invece altri nomi che erano riconosciuti dai destinatari. Chiamavo uno “figlio mio”, un altro “amico mio” o “nipote mio”, e le loro mogli, “sorella”, “figlia”; così che, se le lettere fossero state intercettate, cosa che non si verificò mai, nessuno avrebbe saputo a chi mi riferivo. Inoltre, non usai mai né succo di limone, né succo di cedro. Ci fu una sola occasione in cui lo feci nella mia prigione primitiva. Si trattava delle lettere che Wade intercettò; ma allora c'era una ragione speciale. Quelle erano lettere di raccomandazione e dovevano esser lette prima in un luogo, per essere portate poi in un altro; ed il succo di limone ha questa proprietà che si rende manifesto sia con l'acqua che col calore. Se la carta viene portata all'aperto e viene asciugata, la scrittura sparisce; ma può essere letta una seconda volta, quando venga di nuovo bagnata o riscaldata. Il succo di arance, invece, è diverso: esso non si fa leggere con l'acqua; questa infatti sbiadisce la scrittura e nulla può farla ritornare. Il caldo la fa apparire; in modo, però, che rimanga sempre visibile. Perciò, una lettera scritta con succo di arance non può esser consegnata senza che il destinatario sappia se è stata o non è stata letta. Se essa è stata letta e contiene qualcosa di compromettente, egli può disconoscerla. Io ero certo, quindi, che tutte le mie lettere avevano raggiunto i miei amici e che le loro mi avevano raggiunto con sicurezza. In questa maniera ricevevo da loro tutte le informazioni necessarie ed essi ricevevano quell'aiuto spirituale che richiedevano da me (4). Per rendermi doppiamente sicuro che tutto andasse bene, feci in modo che fosse rilasciato John Lillie mediante la generosità di alcuni amici che riscattarono la sua libertà. Quindi disposi che tutto quello che mi veniva indirizzato dall'esterno fosse consegnato a lui solo e a nessun altro e che egli lo affidasse al carceriere. In seguito, fu col suo aiuto che riuscii a fuggire, cosa alla quale non pensavo minimamente, quando per la prima volta mi servii di lui per recapitare le mie lettere. Allora, il mio unico intento era quello di facilitare le comunicazioni e di far recapitare un numero sempre maggiore di lettere. I quattro mesi successivi passarono tranquillamente. Entro la fine del primo mese avevo ricevuto dei libri ed avevo cominciato a studiare un po'. Fu in quel periodo che avvenne un incidente che mi causò una buona dose di ansietà. Francis Page (del quale ho parlato prima) risiedeva presso il mio ospite primitivo (5), che adesso era stato rilasciato dalla prigione. Quando fui trasferito nella Torre, Page scoprì in quale parte ero relegato e, con la sua consueta gentilezza, prese a venire ogni giorno in un luogo situato a una certa distanza, ma abbastanza vicino per poter osservare la mia finestra dove sperava di avvistarmi. Un giorno, (era d'estate e faceva molto caldo) stavo accanto alla finestra e finalmente mi scorse. Si scoprì il capo e cominciò a passeggiare su e giù. Ogni volta, si fermava allo stesso punto, si voltava nella mia direzione e si toglieva il cappello. Per non attrarre l'attenzione, fingeva di ravviarsi i capelli o di farsi qualche altra cosa sulla testa, tanto per dare un motivo apparente al suo gesto. Lo fece un gran numero di volte, prima che lo riconoscessi dagli abiti che indossava. Lo salutai a gesti, quindi lo benedissi e mi ritirai dalla finestra. Sebbene i segni che faceva non potessero essere osservati, c'era sempre il pericolo che qualcuno lo potesse scorgere e se ne potesse insospettire. Ma il brav'uomo non era soddisfatto. Veniva ogni giorno per la mia benedizione e passava diverso tempo a passeggiare su e giù, volgendosi alla mia cella e togliendosi il cappello ogni volta. Gli feci cenno di cessare, ma egli continuò. Alla fine le autorità notarono che veniva ogni giorno e che si comportava allo stesso modo. Mi addolorai profondamente, quando un giorno lo vidi afferrare e portare via. Fu condotto dal luogotenente e fu interrogato su di me e sui miei amici; ma non rivelò nulla. Disse semplicemente che gli piaceva passeggiare lungo l'ampio corso del Tamigi e che veniva lì solo per diporto. Tuttavia, lo trattennero prigioniero nella Torre per diversi giorni, mentre facevano le indagini. Così scoprirono che abitava nella casa del mio ospite, e ciò li confermò nel sospetto che era stato mandato lì per comunicare con me mediante segni. Ma egli non ammise nulla ed alla fine mi mandarono a chiamare. Furono fatte entrare anche le altre persone che usualmente mi interrogavano. Mr. Page camminava su e giù per l'anticamera col carceriere, quando passai per recarmi nel refettorio, dove si sarebbe tenuto l'interrogatorio. La prima cosa che essi dissero fu: “Vi è qui un certo Francis Page. Egli dice di conoscervi bene e di desiderare moltissimo di avere un abboccamento con voi”. “Se lo vuole, lo può, risposi. Ma chi è questo Francis Page? Non conosco nessuno che abbia questo nome”. “Non potete affermarlo, dissero. Egli vi conosce molto bene. In ogni caso, vi conosce abbastanza bene per distinguervi da molto distante. Viene qui ogni giorno soltanto per vedervi”. Io continuai a negare ed essi non ebbero alcun altro elemento per procedere; perciò non ottennero nulla da me né con l'inganno né con le minacce. Ordinarono allora che fossi ricondotto in cella. Durante il tragitto passai per l'anticamera. Ivi c'era Page con un certo numero di altre persone. Mi guardai intorno e gridai con quanto fiato avevo in gola: “C'è qui qualcuno che si chiama Page? Quest'uomo attesta di conoscermi bene e di venire ad osservarmi alla finestra. Io conosco quest'uomo solo in Adamo. Perché mai ci si dovrebbe mettere nei guai, parlando in tal modo?”. Il carceriere cercò di farmi star zitto, ma non ci riuscì. Naturalmente, neanche per un momento potevo pensare che Page avesse confessato qualcosa. Ma desideravo impedire loro di dire a Page che avevo riferito di lui quelle cose che si voleva egli avesse riferito di me. Tale era, infatti, il loro piano. Essi gli avevano già detto che avevo ammesso di conoscerlo. Adesso volevano che lui mi vedesse entrare nella stanza dell'interrogatorio, così da potergli dire, poi, che avevo confermato tutto quello che, secondo la loro versione, avevo detto prima. Ma io rovinai il loro gioco. Quando mi fecero entrare, Page si limitò a ripetere quello che mi aveva sentito dire poco prima, mentre attraversavo l'anticamera. Essi erano stati giocati e, nel loro disappunto, presero ad inveire contro il carceriere e mi coprirono di vituperi. Poco tempo dopo, Mr. Page riscattò la sua libertà (6). Egli attraversò la Manica, compì i suoi studi in Belgio, fu ordinato sacerdote e, più tardi, tornò in Inghilterra. Per lo più lavorò a Londra, dove fu amato dalle innumerevoli anime che aiutò. Dietro mia richiesta, si prese cura particolare di Mrs. Line, nel cui appartamento (come ho già narrato) fu catturato e riuscì a fuggire. Quindi, coronò i suoi desideri e fu ammesso nella Compagnia. Ma, prima ancora di trasferirsi in Belgio, fu catturato. “Fu provato come l'oro nel crogiolo, e fu accettato come la vittima di un olocausto: egli lavò la sua stola nel sangue dell'agnello”. Ora non passeggia più in lungo e in largo presso le rive del Tamigi, cercando di scorgermi nella Torre; ma dal cielo, ove vive sereno e felice, china lo sguardo su di me, che ancora vengo sbattuto tra i marosi dai venti e dalle tempeste. Ma egli, ne sono sicuro, è ancora ansioso della mia salvezza (7). Spesso diceva alla gente quanto era stato rincuorato quel giorno, quando udì ciò che gridai passando per l'anticamera. Ciò gli permise di scorgere l'inganno e di schermirsene. Durante la detenzione nella Torre non mi fu concesso di ricevere visitatori e mi fu impossibile, perciò, trattare direttamente con le anime. Comunque fui in grado di fare qualcosa per corrispondenza, ma solo nel caso di persone di cui ero sicuro che non avrebbero rivelato la mia segreta organizzazione di corrispondenza clandestina. Dopo la sua liberazione, John Lillie si trovava a passare un giorno per una strada di Londra, quando due nobili signore, madre e figlia (8), gli si avvicinarono e gli chiesero se, all'occasione, egli poteva accompagnarle a farmi visita nella cella della prigione. Sapendo quanto ciò sarebbe stato difficile, egli tentò di dissuaderle. Ma esse insistettero e non gli diedero pace finché non promise di proporre la cosa al mio carceriere, chiedendo a questo di lasciarle passare come sue parenti. Fu promessa al prigioniero una grande somma di danaro ed egli acconsen- tì; le signore, inoltre, regalarono a sua moglie un vestito nuovo. Quindi, esse si vestirono come semplici cittadine di Londra (le donne del popolo vestono in foggia molto differente da quella delle signore di società) e vennero con John Lillie. Esse finsero di voler visitare la moglie del carceriere e di voler vedere i leoni che sono custoditi nella Torre insieme agli altri animali che i curiosi vengono a visitare. Dopo aver compiuto la visita, il carceriere le condusse entro le mura ed attese il momento buono per introdurle nella mia stanza, esponendosi ad un grande rischio per una piccola ricompensa. Appena mi videro, mi corsero incontro e si gettarono in ginocchio per baciarmi i piedi. Ingaggiarono entrambe una piccola lotta, ciascuna per esser la prima a baciarmeli. Come potevo rifiutarmi, quando esse avevano rischiato tanto per questo? Mi pregarono insistentemente perché lo permettessi, tanto che alla fine accondiscesi: sapevo bene che esse onoravano non già la mia persona, ma un prigioniero di Cristo. Seguì una breve conversazione, quindi mi consegnarono alcuni regali che avevano comprato e se ne partirono molto confortate. Erano convinte che non mi avrebbero visto mai più, perché avevano sentito dire in città che si era giunti alla decisione di processarmi e condannarmi (9). Un giorno anche il mio superiore, Padre Garnet, mi mandò una lettera nella quale mi comunicava la stessa lieta notizia. Era una lettera piena di conforto. Egli mi esortava a prepararmi all'esecuzione e, lo confesso con sincerità, “io gioii alle cose che mi venivano dette”. Ma la mia grande indegnità mi impedì di entrare nella casa del Signore. Una grazia come questa è un dono di Dio: essa non si può ottenere per il solo fatto che la si desideri o anche la si solleciti. Ma era nascosto a Padre Garnet che questa grazia era in serbo per lui, non per me. Ora non mi resta altro che pregare Dio affinché mi permetta, almeno, di seguirlo da lontano fino alla croce che egli onorò ed amò tanto. Dio compì il desiderio del suo cuore perché nella festa dell'Invenzione della Santa Croce la sua anima trovò il vero amore. Adesso, mi resta solo il dovere di ricordare che nella stessa festa dell'Invenzione della Santa Croce, giorno in cui quel caro sacerdote fu coronato in cielo, Dio nella sua bontà mi concesse due grandi favori mediante la sua intercessione. Quali essi siano stati lo dirò brevemente alla fine di questa narrazione. Adesso debbo affrettarmi. In questa biografia, infatti, ho già riservato a questi avvenimenti modesti e senza importanza una trattazione più ampia di quanto non meritino. Padre Garnet, allora, mi mandò una lettera d'avviso; e la maniera di agire e di parlare dei miei guardiani confermava la stessa promessa. Infatti, torna- rono tutte le persone che nella precedente occasione mi avevano interrogato col potere di sottopormi a tortura (10). Ma questa volta il loro intento era diverso. Essi avevano in programma di sottopormi ad un interrogatorio, prima di farmi passare per un processo formale. Il procuratore generale della regina mi rivolse una serie di domande seguendo, come egli attestava, lo stesso frasario, il medesimo ordine e le stesse formalità che avrebbe usato nell'azione legale vera e propria. Cominciò dal mio sacerdozio e dalla mia venuta in Inghilterra come prete e come gesuita. Quindi, mi chiese se avessi trattato con persone nell'intento di distoglierle dalla fede e dalla professione religiosa approvata dalla legge, per farle passare all'obbedienza pontificia. Confessai immediatamente di essere colpevole per questo rispetto, il che era sufficiente per una sentenza giuridica. Ma quando mi chiesero di nominare le persone con le quali avevo complottato contro il governo, negai di aver fatto una cosa del genere. Tuttavia essi insistettero: come potevo io essere così ansioso della conversione dell'Inghilterra, essi argomentavano, e nello stesso tempo tenermi lontano dalla politica, che rappresentava il mezzo migliore per raggiungere il mio scopo? Per quanto riesca a ricordare, risposi come segue: “Vi spiegherò chiaramente le mie convinzioni in materia di conversione e di politica, in maniera che non rimanga alcun dubbio in voi e non abbiate alcuna necessità di interrogarmi ulteriormente. Invoco come testimoni Dio ed i suoi angeli: non sto mentendo. Non vi nascondo nulla di quanto serbo in cuore. Se potessi realizzare ogni mio volere e desiderio, vorrei che tutta l'Inghilterra ritornasse a Roma ed alla fede cattolica: regina, Consiglio, voi stessi e tutti i magistrati di questo reame. Vorrei però che ciò avvenisse in maniera, miei signori, che né la regina, né voi, né alcun ufficiale dello Stato perdesse l'onore ed il diritto che adesso gode ed in maniera che non un solo capello della vostra testa perisse, affinché voi possiate essere felici sia nella vita presente che in quella futura. Ma non dovete pensare che io desideri questa conversione per un qualsiasi motivo egoistico mio proprio, per essere, ad esempio, liberato e così poter fruire dei beni della vita. Chiamo Dio Onnipotente in testimone; mi recherei volentieri domani mattina ad essere impiccato, proprio così come mi trovo davanti a voi. Questi sono i miei pensieri e le mie aspirazioni. Non sono nemico né di voi né della regina, come del resto non lo sono mai stato”. Per qualche momento il procuratore generale rimase interdetto. Quindi mi chiese di nominare i cattolici che conoscevo. Conoscevo io il signor tal dei tali? “Non lo conoscevo”, dissi. E, come sempre, spiegai che, quand'anche lo conoscessi, non potevo dirlo. Allora egli passò alla questione dell'equivoco ed incominciò a discreditare la figura di Padre Southwell. Ora, nel suo processo, Padre Southwell aveva rifiutato di riconoscere una donna, che era stata citata a deporre per l'accusa (11). Sebbene questa giurasse che egli era stato in casa di suo padre e che vi era stato ricevuto in qualità di prete, Padre Southwell negò; e ciò, nonostante che egli fosse stato catturato in quella stessa casa e nel medesimo nascondiglio, che la donna aveva rivelato ai perquisitori. Questa era una creatura mostruosa e non ebbe ritegno di mercanteggiare la vita di suo padre, oltre quella di Padre Southwell. Ma Cristo, che non era venuto per portare la pace ma la spada tra i buoni ed i cattivi, separò questa figlia perversa dai suoi buoni genitori. Padre Southwell rimase stupito dell'impudenza della donna, tuttavia negò tutto quello che ella depose. Ed egli spiegò perché aveva agito così, chiarendo i suoi motivi e dimostrando in maniera perspicua e convincente che era ingiusto da parte sua gravare il fardello di quelli che già soffrivano per la fede e che erano stati cortesi con lui. Proseguendo, pertanto, dimostrò in maniera molto dotta che era legittimo e, in alcuni casi, perfino necessario ricorrere all'equivoco. Sebbene molti, egli diceva, ne ripudiassero la dottrina, dimostrò che esistevano solide ragioni in suo favore, e che essa godeva di vasta autorità nella Sacra Scrittura e presso i Dottori della Chiesa (12). Il procuratore generale respinse questa dottrina e tentò di mostrare come essa favorisca la menzogna e mini l'essenza stessa delle relazioni sociali. Al contrario, io sostenni che l'equivoco differisce dalla menzogna. Nell'equivoco l'intenzione non è quella di ingannare, il che rappresenta l'essenza stessa della menzogna, ma semplicemente di tener velata la verità, nei casi in cui la parte interrogata non è tenuta a rivelarla. Negare ad un uomo ciò a cui egli non ha alcun diritto non significa ingannare. Dimostrai anche che tale insegnamento non distrugge i vincoli della società, né rende impossibili le relazioni umane. “L'equivoco, dissi, non potrebbe essere ammesso nei contratti, giacché ogni uomo è tenuto a dare al suo vicino anche il più piccolo debito, e nei contratti la verità è dovuta alla parte contraente. Né esso può essere invocato nella conversazione ordinaria a pregiudizio della pura verità e della sincerità cristiana e, ancor meno, nelle questioni che ricadono sotto la giu- risdizione legittima dello Stato. Così, ad esempio, un uomo non può negare un crimine se egli è reo e viene legittimamente interrogato (13). “Che cosa intendete per interrogatorio legittimo?”, domandò il procuratore generale. “La domanda deve esser posta da una persona che ha autorità o giurisdizione e deve riguardare un'azione in qualche maniera dannosa allo Stato, altrimenti la legge non può autorizzarla. Le azioni cattive che sono puramente interne sono riservate soltanto al giudizio di Dio. Inoltre, si deve portare qualche prova contro la parte incriminata. È costume in Inghilterra che l'accusato, quando venga interrogato se è colpevole o meno, risponda “non sono reo”, finché non siano prodotte testimonianze contro di lui o finché non venga emesso un verdetto di reità da parte di una giuria che esamini il caso. Questa è la prassi generale e nessuno chiama ciò mentire. In generale, l'equivoco è illegittimo, salvo il caso però in cui una persona deve rispondere, sia direttamente che indirettamente, ad una domanda che l'interrogante non ha diritto di fare o in cui una risposta giusta risulti dannosa alla parte interrogata”. Quindi spiegai che tale fu la pratica di Nostro Signore, dei santi e di tutti gli uomini assennati. “Lo stesso collegio che mi sta esaminando, conclusi, farebbe lo stesso se, per esempio, venisse interrogato su qualche segreto peccato o se fosse attaccato dai ladri che gli chiedessero dove è nascosto il proprio danaro”. “Quando fu che Nostro Signore ricorse all'equivoco?”, domandarono. “Quando disse agli Apostoli, risposi, che nessuno conosceva il giorno del Giudizio, neanche il Figlio dell'Uomo; ed ancora quando disse che non sarebbe andato a Gerusalemme per la festa, mentre invece ci andò. Egli sapeva che ci sarebbe andato, quando affermò il contrario”. Wade intervenne: “Cristo ignorava il giorno del Giudizio in quanto Figlio dell'Uomo”. “Il verbo ignorare, dissi, non si può usare nel caso del Verbo di Dio incarnato. La Sua natura umana era unita ipostaticamente a quella divina. Egli fu costituito giudice da Dio Padre, e di conseguenza doveva conoscere tutto ciò che riguardava il Suo ufficio. Inoltre, Egli era infinita sapienza e conosceva tutto quello che riguardava Se stesso”. Ora, i protestanti non ammettono tutto quello che San Paolo insegna. Naturalmente, essi pretendono di seguirlo; ma ecco un punto che pongono in questione: Paolo insegna che la pienezza della divinità risiedeva in Cristo, corporalmente, e che in Lui c'erano tutti i tesori della sapienza e della co- noscenza di Dio. Tuttavia, in quel momento non mi sovvenni di questo passo (14). Essi non ebbero praticamente nessuna risposta da opporre. Ma il procuratore generale annotò ogni parola e mi disse che tra breve l'avrebbe usata contro di me, quando sarei stato citato per il processo (15). Ma non mantenne la promessa, perché io ero indegno di entrare nella casa di Dio. Nulla di contaminato può entrarvi. Ed io dovevo essere ancora purificato e dovevo passare ancora molto tempo in esilio; solo allora, con l'aiuto di Dio, potevo essere salvato, ma quasi passando tra il fuoco. Questo interrogatorio avvenne durante il “Trinity Term” o periodo della Trinità, come viene chiamato (16). Durante l'anno vi sono tre periodi in cui i tribunali sono aperti e molta gente viene a Londra col suo seguito. A motivo del maggiore afflusso di gente in città, si scelgono questi tre periodi per processare i preti che si è deciso di condannare a morte. Sembrava allora che tale fosse il loro piano. Ma l'uomo propone e Dio dispone; ed Egli aveva disposto differentemente, nel mio caso. Questo periodo passò e sembrava che non ci fosse nessuna speranza di processarmi in pubblico. Nel mio riposo forzato mi dedicai maggiormente allo studio. Ma cominciai a pensare che mi tenevano lì perché intendevano tagliarmi fuori dal mondo esterno e che questa era la ragione per cui mi avevano trasferito in una prigione più rigorosa e più appartata (17). _________________________________________________________ NOTE AL CAPITOLO XVI 1 Sullo stato di prostrazione di Edmund Campion dopo la tortura il Cardinale Allen fornisce le stesse indicazioni. “Quando, il giorno successivo (dopo la tortura), il carceriere gli chiese come si sentisse le mani ed i piedi, egli rispose: "Non male, perché non me li sento per nulla". E sentendosi le mani e i piedi intorpiditi, si paragonava ad un elefante che, una volta caduto, non riesce ad alzarsi. Quando poté reggere il pane, doveva tenerlo tra entrambe le palme delle mani ed egli si paragonava ad una scimmia. Tanto era allegro nello spirito quest'uomo di Dio, nonostante tutte le sue sofferenze fisiche”. ALLEN, Edmund Campion, p. 14. 2 Nelle fatture della Torre si trovano numerose tracce delle spese di J. G.; eccone un esempio: “A metà dell'estate 1597: John Gerrat, Gent. 12 aprile - San Giovanni Battista... vitto, guardiano, petrolio, bucato. 12 sterline, 11 scellini, 7 pence”. Tower Bills, C.R.S., vol. IV, p. 233. 3 In giugno, J. G., adducendo lo stato precario della salute, chiese il permesso di fare un po' di movimento all'aria aperta. La sua richiesta fu trasmessa a Cecil il 20 giugno dal luogotenente Sir Richard Berkeley. “Gerrat, prigioniero nella Torre è malato e debole; mi ha importunato per ricevere l'autorizzazione di prendere aria su un muro presso la prigione. Mi si prega di avvertirvi, perché io sono il loro portavoce, come essi mi chiamano. Quest'uomo ha bisogno di medicine”. Hat. Cal., VII, p. 260. 4 È interessante notare che J. G. riuscì in quello che risultò impossibile a Garnet. Nel 1606, quando Garnet stesso era prigioniero nella Torre, mandò sei lettere (Gunpowder Plot Book, n. 241-246), scritte in parte con succo d'arance, che furono intercettate e lette per intero dal luogotenente. Garnet fu ingannato dal suo guardiano che finse di essergli amico, offrendosi per consegnare le lettere ai suoi amici. Al contrario, questi le portò al luogotenente, il quale, dopo averle lette, le fece copiare anche nella parte scritta con succo d'arance, e poi fece inviare queste copie alle persone alle quali erano indirizzate. Tutte queste persone, J. G. incluso, furono ingannate ritenendo di aver ricevuto lettere originali e non lette. 5 William Wiseman. 6 Il Page rimase in prigione “dalla vigilia di Pentecoste [14 maggio] al 13 ottobre” 1597. C.R.S., vol. X, p. 1. 7 Page fu ucciso a Tyburn il 20 aprile 1602. J. G. sarebbe rimasto profondamente addolorato se avesse saputo che Padre Page, che gli era così profondamente affezionato, era stato tradito e catturato ad opera dello stesso giovane, John Bird, la spia che aveva ingannato anche lui, spillandogli una raccomandazione per entrare in un seminario all'estero. (Hat. Cal., XII, p. 265). La formula dei voti, con la quale Padre Page fu ammesso nella Compagnia e che egli firmò sul carro del supplizio prima di partire per la prigione di Tyburn, è conservata nel collegio di Manresa a Roehampton. 8 Le visitatrici di J. G. furono quasi certamente Anne, contessa di Arundel, e la sua figlia Elizabeth, che aveva allora tredici anni. Dieci anni prima la contessa aveva visitato William Weston a Clink in circostanze analoghe. J. G. rimase con lei nella primavera del 1584 e Lillie fu ben conosciuto da lei come intermediario. 9 All'inizio di maggio del 1595 Charles Paget, un esiliato inglese, scrisse da Bruxelles a Thomas Throgmorton, residente a Roma, che “erano state stabilite le esecuzioni dei Padri Edmondes (William Weston), Walpole, Gerard e di Mr. Pound”. 10 Dalle “Sex Quaestiones” di George Abbot risulta che Francis Bacon non fu membro della giuria in questa occasione. La sua fortuna si era eclissata, dopo che gli erano stati preferiti i suoi rivali Coke e Fleming, con grande disappunto del suo protettore Essex. Aveva appena pubblicato in febbraio la sua prima raccolta dei saggi, e tentava allora di conquistare la mano di Lady Elizabeth Hatton, nipote di Burghley; ma anche in questo suo progetto fu battuto da Coke. 11 Anne Bellamy, che durante la sua prigionia fu rovinata da Topcliffe e da questo data in moglie a Nicholas Jones, sottoguardiano di Gate House. Troubles, II serie, pp. 61-64. 12 Per la difesa che Southwell fece del ricorso all'equivoco vedi appendice E. 13 Il rapporto ufficiale dell'interrogatorio aiuta a comprendere il pensiero di J. G. “Egli afferma che un testimonio interrogato juridice e su faccende temporali, che non riguardino né la religione né i cattolici, non possa rispondere con l'equivoco”. STRYPE, Annals IV, ed. 1824, p. 428. 14 Si riferisce ai famosi versetti della lettera ai Colossesi, II,3.9. Questa franca precisazione dimostra come J. G. si aspettasse che la sua semplice narrazione fosse letta solo da intimi amici. 15 Questo documento fu mandato prima al dottor Abbot, direttore dell'University College, ad Oxford, e più tardi all'arcivescovo di Canterbury. Egli fece di questo documento l'argomento della sua prima conferenza nella “School of Divinity” durante il trimestre della festa di S. Michele. Questa conferenza fornisce i più ampi particolari sull'interrogatorio di J. G. “A tutta prima, ciò che essi [gli interrogatori] avevano sentito sembrò riprovevole e blasfemo. Essi insistettero nel domandare e nel pregare istantemente che [J. G.] scrivesse sull'argomento il suo parere con parole proprie. Se questo, infatti, non fosse stato fermato sulla carta, si sarebbe potuto aggiungere, nella relazione, tutto un castello di inesattezze. Ma il gesuita cominciò a schermirsi in maniera decisa. Non aveva nessuna intenzione di scrivere; e non perché quanto aveva detto non rispondesse a verità, ma perché non voleva diffondere tali cose. Comunque, la commissione regia insisté perché egli aggiungesse per iscritto una nota ad una relazione delle sue dichiarazioni, fatta da testimoni, cosicché fosse evidente che questa era realmente la sua difesa e quella del suo compagno [Southwell]. Ma si rifiutò di fare anche questo. “Che uomini sofisticati essi sono! Con stupide e frivole restrizioni di significato o, piuttosto, con vergognose evasioni fanno di tutto per seppellire la verità in una nube di caligine. 'Non vidi' significa 'non vidi con l'intenzione di raccontarvelo'. Il Figlio dell'Uomo non conobbe 'il giorno del giudizio' significa che 'Egli non lo conobbe con l'intenzione o col proposito di renderlo noto o di rivelarlo'”. (Traduzione dal Latino). Il piacevole incontro tra J. G. ed Abbot, raccontato più tardi, dimostra che questo libro non venne mai nelle mani di J. G., sebbene egli ne avesse sentito alcune vaghe descrizioni. Negli Annali di STRYPE, vol. IV, (ed. 1824), pp. 427-429, la lettera di Coke a Burghley è stampata insieme ad un estratto della relazione ufficiale che conferma l'esattezza della dichiarazione di Abbot. Coke si riferisce a “questa strana opinione di questi preti infantili e di questi diabolici buoni padri” e dichiara che “egli [J. G.] fu richiesto di porre per iscritto la sua opinione perché non fosse capita male. Ma egli rifiutò non perché ciò non fosse vero, ma perché non voleva pubblicarlo. Allora fu inviato a firmarla ed egli rifiutò anche questo”. Il procuratore generale fece firmare dagli interrogatori la relazione di questa discussione, ma J. G. si rifiutò di firmare. Egli ritenne che questi punti delicati di teologia morale non dovessero essere argomento di una popolare e pubblica discussione. Tanto J. G. quanto Padre Southwell fecero capire che questo genere di discussioni era contro l'interesse pubblico: non era stato scelto da loro, ma imposto dal governo. Per la relazione dell'interrogatorio, vedere appendice E. 16 Esattamente il 13 maggio (cfr. una lettera di Coke a Burghley, STRYPE, Annals IV, ed. 1824, p. 427). Il periodo della Trinità nel 1597 cominciò, infatti, il 23 maggio, dieci giorni dopo l'interrogatorio di J. G. Il rapporto ufficiale di questo interrogatorio è stampato nell'appendice G. 17 Molto rimane ignoto circa i non-conformisti durante questo periodo ed è impossibile per ora spiegare la ragione del rimando dell'esecuzione di J. G., che era stata chiaramente decisa. Dal 21 febbraio 1595, quando Padre Southwell subì il martirio, nessun prete fu ucciso a Londra fino al 12 luglio 1598, quando la vittima fu John Jones, amico di J. G. Probabilmente come conseguenza della generale disapprovazione dell'esecuzione di Southwell, la regina espresse sei settimane dopo “l'intenzione di condannare all'esilio i preti del seminario che si trovavano in diverse prigioni del regno”. (Acts of Privy Council, vol. XXVII, p. 21). Questo potrebbe significare che la sanguinosa persecuzione fu sul punto di cessare a causa del comportamento risoluto dei sacerdoti e dei laici cattolici . XVII. LA FUGA 4 ottobre 1597 Io feci del mio meglio per rassegnarmi alla volontà di Dio ed accettare tutte le restrizioni che mi furono imposte. Era l'ultimo giorno di luglio, festa del nostro beato Padre (1). Stavo facendo la meditazione ed ero assillato dal desiderio di poter celebrare di nuovo la Messa, quando improvvisamente mi venne in mente questo pensiero: avrei potuto celebrarla nella cella di un gentiluomo cattolico che si trovava nella Torre di fronte a me. Tra la sua cella e la mia c'era soltanto un giardino (2). Egli era lì prigioniero da dieci anni e sul suo capo pendeva la condanna di morte; ma la sentenza non era stata eseguita. Soleva salire ogni giorno sul terrazzo sopra la sua cella, dove gli veniva concesso di passeggiare per fare un po' di movimento. Di lì era solito salutarmi ed attendere in ginocchio la mia benedizione. Quando, più tardi, tornai a considerare la mia idea, pensai che ciò si poteva fare solo se il carceriere si lasciava convincere a lasciarmi andare da lui. La moglie di questo gentiluomo poteva visitarlo in giorni stabiliti per portargli la biancheria pulita e le altre cose di cui abbisognava. Ella le portava in un cesto, e, siccome lo faceva da anni, i carcerieri avevano perso l'abitudine di esaminare il contenuto (3). Col suo aiuto, io speravo di poter procurare a poco a poco tutto l'occorrente per la Messa. Naturalmente, l'avrebbero fornito i miei amici. Decisi di tentare. Così feci segno a quel signore di osservare i gesti che stavo per fargli: non osavo chiamarlo perché la distanza era rilevante e potevo essere facilmente ascoltato. Egli mi fissò mentre prendevo carta e penna e fingevo di scrivere; quindi, avvicinai la lettera ai carboni accesi e la sollevai di nuovo tenendola tra le mani, come se dovessi leggerla; avvolsi, infine nel foglio una delle mie croci e feci il gesto di volerlo mandare a lui. Mi sembrava che egli seguisse ciò che cercavo di fargli comprendere. La mossa successiva fu quella di indurre il carceriere a portare una delle mie croci o rosari al mio buon compagno di prigionia perché lo stesso uomo sorvegliava entrambi. Dapprima, egli rifiutò, dicendo che non poteva rischiare, in quanto non aveva alcuna prova da cui risultasse che ci si poteva fidare dell'altro. “Se quell'uomo dicesse qualcosa a sua moglie e se questo qualcosa venisse risaputo, sarebbe finita per me”, disse. Ma io lo incoraggiai, dicendo gli che ciò era molto improbabile. Quindi gli misi in mano un po' di danaro, come sempre ero solito fare, ed egli acconsentì. Prese la lettera e la consegnò, ma il gentiluomo non scrisse nulla di risposta, come gli avevo chiesto di fare. Il giorno successivo, quando venne fuori per la passeggiata sul terrazzo, mi ringraziò a gesti, tenendo tra le mani la croce che gli avevo mandato. Siccome, tre giorni dopo, non aveva ancora risposto, cominciai a sospettarne il motivo. Così, ripetei con grande precisione tutta la serie dei segni mostrandogli come io spremessi il succo di un'arancia ed intingessi la penna in quel succo e infine, per far comparire la scrittura, avvicinassi la carta al fuoco. Questa volta comprese: avvicinò la lettera al fuoco e la lesse. Nella risposta mi disse quello che egli aveva capito la prima volta. Credeva che gli avessi detto di bruciare la carta, perché vi avevo scritto alcune parole a matita, ed egli l'aveva fatto. Rispose alla mia domanda, dicendosi convinto che il piano era realizzabile, purché il carceriere mi permettesse di visitarlo in serata e di passar con lui tutto il giorno seguente. Sua moglie avrebbe portato tutto il necessario per la Messa, se questo le fosse stato consegnato. Quindi passai a sondare il carceriere; mi avrebbe permesso di andare a visitare il mio compagno di prigione una sola volta? Gli dissi che desideravo pranzare con lui e promisi di fargli prendere parte al festino. Egli rifiutò recisamente. Temeva che mi si vedesse attraversare il giardino o che il luogotenente dovesse scegliere proprio quel giorno per farmi visita. Ma io gli feci osservare che ciò non era mai capitato e che era molto difficile che avvenisse e, per porre termine alla questione, ricorsi all'argomento del denaro. Gli promisi di pagarlo in contanti per i suoi buoni uffici. Egli acconsentì. Fissai il giorno della festa della Natività della Madonna (4). Nel frattempo disposi che la moglie del prigioniero si recasse in un certo posto della città. Ivi avrebbe incontrato John Lillie, che, seguendo le istruzioni contenute nella mia lettera, le avrebbe consegnato tutto l'occorrente per la Messa. Avevo detto a Lillie di procurare un certo numero di particole ed una pisside, poiché desideravo conservare il SS. Sacramento. Lillie procurò ogni cosa e la donna portò tutto entro la prigione. Quando calò la notte, andai col mio guardiano e rimasi con quel signore tutta la notte ed il giorno seguente. Secondo la promessa che avevamo fatto al carceriere, non una parola fu detta alla moglie del signore. Quella mattina celebrai la Messa. Io sentii una grandissima consolazione e diedi la comunione a quel nobile confessore di Cristo che era rimasto per tanti anni senza tale conforto. Consacrai inoltre ventidue particole che riposi in una pisside insieme ad un corporale e che portai con me nella mia cella. Così rinnovai in seguito il divino banchetto per molti giorni con una gioia e con un diletto rinnovellati. Quella sera, mentre attraversavo il giardino, non pensavo minimamente alla fuga. Avevo pensato unicamente al Signore Gesù, raffigurato come Nostro Redentore nel pane di Elia cotto sotto la cenere, affinché mi desse la forza ed il coraggio di cui avevo ancora bisogno, per compiere il resto del mio arduo cammino verso la montagna del Signore. Ma, mentre passavamo insieme la giornata successiva, rimasi colpito dalla vicinanza di quella torre al fossato che circondava le fortificazioni esterne, e pensai che sarebbe stato possibile ad un uomo calarsi con una fune dal tetto della torre sul muro situato al di là del fossato. Chiesi al gentiluomo che ne pensasse. “Sì, si potrebbe farlo facilmente, disse, solo che avessimo alcuni amici veramente fidati, disposti a correre il rischio di aiutarci”. “Gli amici non mancano davvero, risposi, purché la cosa sia realizzabile e purché ne valga veramente la pena”. “Per quanto mi riguarda, disse, sono dispostissimo a fare il tentativo. Sarei molto felice se potessi vivere nascostamente con i miei amici, con la consolazione dei sacramenti e con piacevoli compagni, invece di passare i miei giorni come un romito tra queste quattro mura”. “Bene, dissi. Adesso pregheremo per questo e intanto sottoporrò la cosa al mio superiore e farò tutto quello che egli giudicherà opportuno”. Quindi, per tutto il tempo che passammo insieme, discutemmo sui particolari del piano che avremmo seguito, se avessimo deciso di effettuare il tentativo. Quella notte, quando ritornai nella cella, scrissi al mio superiore tramite John Lillie e gli esposi i particolari del piano. Padre Garnet rispose che naturalmente avrei dovuto tentarlo, solo che non dovevo rischiare l'osso del collo nella discesa. Scrissi poi al mio ospite primitivo (5) e gli comunicai che stavamo per tentare la fuga e lo invitai a riferire la cosa al minor numero possibile di persone. Se il piano veniva risaputo tutto sarebbe sfumato. Quindi chiesi a John Lillie e a Richard Fulwood (allora si trovava al servizio di Padre Garnet) se essi fossero disposti a rischiare e, se lo fossero, di portarsi in una notte stabilita sotto il lato estremo del fossato, di fronte alla torre bas- sa che avevo descritto, vicino al luogo in cui era stato catturato Mr. Page. Essi avrebbero dovuto portare con sé una fune ed assicurarla ad un palo; noi ci saremmo trovati sul terrazzo della torre ed avremmo gettato loro una palla di ferro legata ad uno spago resistente, come quello usato per legare le balle. Nell'oscurità avrebbero dovuto udire il rumore della palla al contatto del suolo, trovare lo spago ed annodarlo al capo libero della fune. Ciò fatto noi avremmo issato la fune, tirando l'altro capo della corda che tenevamo nelle nostre mani. Dissi loro di appuntarsi un pezzo di carta bianca o un fazzoletto sul petto della giacca, perché volevamo esser sicuri della loro identità prima di gettare la corda. Inoltre, essi avrebbero dovuto portare una barca a remi in modo che ci potessimo allontanare immediatamente. Quando tutto fu disposto e fu fissata la notte, il mio vecchio ospite fu preso da timore per il rischio in cui mi stavo mettendo. Volle che prima tentassi di vedere se fosse possibile indurre il carceriere, dietro lauto compenso, a farmi uscire di prigione, cosa che avrei potuto fare facilmente indossando abiti presi in prestito. Quindi, a nome di un mio amico, John Lillie offrì al carceriere mille fiorini in contanti ed un vitalizio annuo di cento fiorini. Il carceriere non volle saperne. Se avesse accettato, disse, sarebbe diventato un fuorilegge per il resto della vita; e se fosse stato catturato, sarebbe stato impiccato. Così l'idea fu abbandonata e ritornammo al nostro piano primitivo. Io sollecitai fervide preghiere da parte di tutti quelli che furono informati del segreto. Un signore erede di un grande patrimonio fece voto di digiunare un giorno alla settimana per tutta la vita, se riuscivo a mettermi in salvo. Venne la notte. Dopo aver ricevuto del danaro, il guardiano mi permise di andare a visitare il mio compagno di prigione. Andai. Ci rinchiuse entrambi nella cella, sbarrò la porta, come sempre faceva, e se ne andò. Ma aveva sprangato anche la porta interna che dava sulla scala che conduceva al terrazzo; perciò noi fummo costretti a togliere con un coltello la pietra che bloccava il chiavistello: non c'era altra via d'uscita. Alla fine ci arrampicammo silenziosamente su per la scala senza lume, perché una guardia era piantonata ogni notte nel giardino ai piedi del muro; e quando parlavamo, lo facevamo appena bisbigliando. A mezzanotte vedemmo avvicinarsi la barca con i nostri amici. John Lillie e Richard Fulwood erano ai remi ed una terza persona sedeva al timone. Era il mio vecchio guardiano di Clink che ci aveva procurato la barca. Mentre essi si avvicinavano e si preparavano a sbarcare, uscì un uomo da uno dei poveri abitacoli lungo la riva per fare qualche cosa. Quando egli vide la barca avvicinarsi cominciò a parlare con gli uomini, pensando che fossero pescatori. Quindi si ritirò a dormire. Ma i nostri liberatori ebbero timore di sbarcare, finché non fosse passato un tempo sufficiente perché quello si addormentasse. Così presero a vogare lentamente su e giù, ma intanto il tempo passava e si fece troppo tardi per compiere un tentativo quella notte. Essi ritornarono indietro verso il ponte, ma intanto la corrente era cambiata e fluiva vorticosamente. Essa sbatté la piccola imbarcazione contro i piloni gettati sul letto del fiume per infrangere la violenza delle acque. La barca si incagliò e non si poté spostare né avanti né indietro. Intanto l'acqua saliva e sbatteva la barca con tale veemenza, che ad ogni ondata sembrava che si dovesse capovolgere e che gli occupanti dovessero precipitare in acqua. Ad essi non rimase altro che pregare Dio e chiedere aiuto (6). Noi eravamo sul tetto della torre e udivamo le loro grida. Giunsero degli uomini sulla riva e li potevamo scorgere alla luce delle loro torce. Accorsero alle loro barche e partirono al salvataggio. Diverse barche giunsero vicinissime, ma gli uomini ebbero paura di abbordare, perché la corrente era troppo forte. Formando un semicerchio intorno alla barca in pericolo, rimasero come spettatori ad osservare quei poveretti senza osare soccorrerli. Tra tutte quelle grida, riconobbi la voce di Richard Fulwood. “Li riconosco, dissi. Sono i nostri amici in pericolo”. Il mio compagno non voleva credere che io potessi distinguere la voce di qualcuno a tale distanza (7), ma io la riconobbi fin troppo bene e mi sentii distrutto al pensiero che uomini tanto devoti stessero rischiando la vita per me. Pregammo fervidamente per loro. Sebbene avessimo osservato molte persone accorrere in loro aiuto, non erano ancora in salvo. Quindi osservammo una luce abbassarsi dal parapetto del ponte ed una specie di cesto pendere all'altro capo di una fune. Se essi riuscivano ad entrarci, potevano essere issati. Dio soccorse i suoi servi in pericolo, e alla fine giunse una grossa imbarcazione di mare con sei marinai a bordo. Questi si accostarono in maniera pericolosa alla barca beccheggiante e trassero sul ponte Lillie e Fulwood. Quindi la piccola barca si capovolse immediatamente, prima che il terzo uomo potesse essere soccorso, quasi che si fosse tenuta alla superficie per riguardo dei cattolici che portava. Comunque, per misericordia di Dio, l'uomo che era stato rovesciato in acqua riuscì ad afferrare la fune calatagli dal ponte; e così fu tratto in salvo. Tutti i salvati furono poi condotti alle loro case. Il giorno successivo John Lillie mi mandò una lettera, come al solito, tramite il carceriere. Mi sarei potuto ragionevolmente aspettare che mi dicesse qualcosa del genere: “Ora sappiamo, ed il pericolo della notte scorsa ce lo ha dimostrato, che Dio non vuole che insistiamo nell'impresa della fuga”. Ma fu proprio il contrario. La lettera cominciava: “Non fu disegno di Dio che dovessimo riuscire la notte scorsa, ma ci ha misericordiosamente sottratti al pericolo: Egli ha soltanto rimandato il giorno. Con l'aiuto di Dio torneremo questa notte”. Tanta determinazione e i sentimenti devoti dell'uomo rassicurarono il mio compagno. Egli si sentiva certo che saremmo riusciti. Ma io incontrai una grande difficoltà nell'ottenere dal carceriere il permesso di passare una seconda notte fuori della mia cella; inoltre temevamo moltissimo che avrebbe notato la pietra spostata quando, in serata, sarebbe venuto a sbarrare la porta. Tuttavia non se ne accorse. Frattanto avevo scritto tre lettere che intendevo lasciare nella cella. La prima era indirizzata al mio carceriere, per giustificarmi di aver organizzato la fuga a sua insaputa. Dissi che avevo soltanto esercitato i miei diritti: non avevo commesso alcun delitto ed ero ingiustamente trattenuto in prigione. Gli dissi che lo avrei ricordato sempre nelle mie preghiere, se non avessi avuto altro modo di aiutarlo. Lo scopo di questa lettera era quello di ridurre la sua responsabilità, nel caso che fosse imprigionato per la nostra fuga. La seconda era indirizzata al luogotenente. In questa lettera tornavo a scusare il carceriere, protestando davanti a Dio che egli non era al corrente della mia fuga e che non l'avrebbe mai permessa, se ne fosse venuto a conoscenza. A prova di ciò, menzionai l'offerta allettante che gli avevamo fatto e che aveva rifiutato. Quanto al permesso di andare dalla mia cella ad un'altra, lo avevo estorto solo con le suppliche più insistenti e sarebbe stato ingiusto mandarlo a morte per questo. Indirizzai la terza lettera ai lord del consiglio. In primo luogo enumerai i motivi che avevo di recuperare la libertà che mi apparteneva per diritto. Non l'avevo fatto semplicemente per amore di libertà, ma per amore delle anime, quelle anime che andavano quotidianamente perdute in Inghilterra. Desideravo evadere per strapparle al peccato e all'eresia. Per quanto riguardava gli affari di Stato, essi conoscevano il mio ineccepibile passato e potevano esser sicuri che non l'avrei macchiato in futuro. Finalmente protestai e provai che né il luogotenente né il carceriere potevano essere accu- sati di connivenza e di consenso. Essi non avevano saputo niente: la mia fuga era dovuta interamente alla mia iniziativa ed a quella dei miei amici”. Lasciai queste lettere affinché fossero raccolte dal guardiano. Scrissi anche un'ultima lettera che portai con me. Questa fu consegnata al guardiano (come apprenderete) il mattino seguente, ma non da John Lillie. Al momento opportuno ci recammo sulla torre. La barca si avvicinò. Questa volta non interferì nessuno ed essa si accostò placidamente alla riva. Lo scismatico rimase a bordo, mentre i due cattolici sbarcarono recando una nuova fune, giacché avevano gettato la vecchia nel fiume quando s'erano trovati in pericolo la notte precedente. Seguendo le mie istruzioni, la assicurarono ad un palo e quindi attesero il rumore della palla di ferro che noi lanciammo verso di loro. Essa fu rintracciata senza difficoltà e la corda fu annodata all'altro capo della fune. Ma risultò molto difficile tirarla su giacché essa era più spessa e, per giunta, doppia. Tali erano state le istruzioni di Padre Garnet, il quale li aveva messi in guardia dal pericolo che la fune si rompesse sotto il peso del mio corpo. Ma in realtà egli aveva accresciuto il pericolo. Sorse inoltre una nuova difficoltà, che noi non avevamo previsto. La distanza tra la torre, da una parte, ed il palo, dall'altra, era molto grande e la fune, invece di scendere quasi perpendicolarmente, si tendeva quasi orizzontalmente tra i due punti. Dovevamo, quindi, discendere a forza di braccia lungo la fune. Era impossibile scivolare per inerzia. Questo lo scoprimmo perché avevamo fatto un fagotto, avvolgendo nel mio mantello i miei libri e le altre cose, e lo avevamo adagiato sulla fune per vedere di farlo scivolare lungo di essa. La cosa non era riuscita; ma, fortunatamente, il fagotto si fermò prima ancora che si sottraesse alla portata delle nostre braccia, giacché, se si fosse fermato oltre, noi non saremmo mai più discesi. Perciò lo tirammo su e lo abbandonammo sul posto (8). Il mio compagno, intanto, aveva cambiato opinione: aveva sempre sostenuto che sarebbe stata la cosa più semplice del mondo calarci giù, ma adesso cominciava a vederne il rischio. “Comunque, se rimango qui, sarò certamente impiccato, disse. Se adesso rigettiamo la fune, essa cadrà nel fossato ed il rumore dell'acqua tradirà noi ed i nostri amici. Io vado giù e Dio mi aiuti. Preferisco afferrare questa occasione che restarmene qui rinchiuso senza alcuna speranza”. Così formulò una preghiera e si aggrappò alla fune. Egli si calò abbastanza facilmente perché aveva molta forza e la fune era ancora tesa. Ma la sua discesa allentò la fune rendendo molto più ardua la mia. Di ciò mi accorsi solo quando cominciai a discendere. Mi raccomandai a Dio ed a nostro Signore Gesù, alla Beata Vergine, al mio angelo custode e specialmente a Padre Southwell, che fu imprigionato qui vicino finché non fu condotto al martirio (9); mi raccomandai infine a Padre Walpole ed a tutti i nostri martiri. Afferrai la fune con la mano destra e poi con la sinistra. Per evitare di cadere incrociai le gambe intorno alla fune in maniera che essa fosse libera di scivolare tra i miei stinchi. Avevo percorso appena tre o quattro yarde con il viso rivolto verso il basso, quando improvvisamente il mio corpo si capovolse sotto il suo stesso peso e fui sul punto di precipitare. Ero ancora molto debole e con la fune allentata ed il corpo penzolante all'ingiù praticamente non potevo continuare la discesa. Con molto sforzo, riuscii a portarmi fino a metà della fune, ma lì mi fermai. Le forze mi stavano venendo meno ed il respiro, che era già breve all'inizio, sembrava del tutto spento. Alla fine, con l'aiuto dei santi e, penso, per l'efficacia delle preghiere dei miei amici che di sotto mi tendevano la fune, guadagnai qualche metro; ma dopo mi fermai di nuovo. A quel punto pensai che non sarei mai stato capace a continuare. Ma io ero determinato a non cadere nel fossato finché fossi ancora in grado di tenermi alla fune. Tentai di recuperare a poco a poco le forze e così, usando delle gambe e delle braccia come meglio potevo, riuscii, grazie a Dio, a raggiungere il muro sul lato esterno del fossato. Ma i miei piedi toccavano appena la cima del muro mentre il resto del corpo penzolava orizzontalmente, con la testa sullo stesso piano dei piedi: tanto si era allentata la fune. Proprio non so come avrei potuto guadagnare il muro, se non fosse stato per John Lillie. In qualche modo (non è mai riuscito a dirmi come abbia fatto) egli salì sul muro, mi afferrò per i piedi, mi tirò sopra e mi depose sano e salvo a terra. Non riuscivo a stare in piedi, tanto ero stanco. Per ristorarmi mi diedero un po' di cordiale e qualcosa che avevano avuto la precauzione di portare con sé; così potei raggiungere la barca. Prima di imbarcarci, essi slegarono la fune dal palo, ne tagliarono una parte e lasciarono che il resto pendesse lungo il muro della torre. Il nostro piano primitivo era quello di tirarla giù del tutto e per questo l'avevamo passata intorno ad un grosso cannone situato sul terrazzo senza annodarla. Ma provvidenzialmente non riuscimmo a districarla; se lo avessimo fatto, essa sarebbe caduta nel fossato con un grande rumore di acqua e noi ci saremmo trovati nei guai. Salimmo sulla barca e ringraziammo Dio, “che ci aveva sottratti dalle mani dei nostri persecutori ed aveva deluso le aspettative dei protestanti”. Ringraziammo, inoltre, gli uomini che avevano sfidato per noi tanti pericoli. Remammo per un buon tratto prima di avvicinare a riva la barca. Quindi mandai il mio compagno di prigione con John Lillie a casa mia, che era ancora custodita dalla santa vedova Mrs. Line, mentre io presi Richard Fulwood e mi recai con lui in casa di Padre Garnet (10). Quando giungemmo nei sobborghi della città, trovammo i cavalli pronti per noi. Li teneva “Little John”, servo di Padre Garnet; prima che spuntasse l'alba, “Little John” ed io eravamo in sella. A quel tempo, Padre Garnet era in campagna (11). Cavalcammo direttamente alla volta della sua abitazione e pranzammo con lui. La gioia era grande. Noi tutti ringraziammo Dio perché ero sfuggito dalle mani dei miei nemici nel nome del Signore. Frattanto avevo mandato Richard Fulwood in un luogo che avevamo scelto in precedenza. Ivi doveva portare un cavallo e tenersi pronto a fuggire col mio carceriere, qualora egli fosse stato disposto a partire subito. Come ho già detto, avevo scritto una lettera che doveva essere consegnata al carceriere, quando questi si sarebbe recato per il suo consueto incontro mattutino con John Lillie. Quel mattino, però, non fu Lillie a venire. Io gli avevo ordinato di non aggirarsi fuori di casa, finché la tempesta che avevamo previsto non fosse cessata. Al suo posto scelsi un altro messaggero che il mio carceriere conosceva. Naturalmente, fu sorpreso di trovare un altro uomo, tuttavia non disse nulla. Ma proprio mentre si voltava per andare a consegnare, come riteneva, la lettera nella maniera consueta, il messaggero lo afferrò. “La lettera è per voi e per nessun altro”, disse. “Per me? Chi la manda?”. “Un amico, rispose l'altro, ma non so chi sia”. Il carceriere ammutolì. “Ma io non so leggere. Se è urgente, leggetemela, per favore”. L'uomo lesse la lettera che aveva portato. In essa informavo il carceriere che ero fuggito di prigione e, al fine di calmarlo, gli spiegavo brevemente perché avevo fatto così. Quindi feci rilevare che, sebbene non ne fossi obbligato giacché avevo messo in atto i miei diritti, tuttavia avrei provveduto alla sua salvezza. Egli era stato sempre fedele nei suoi servizi e adesso lo avrei aiutato. Se voleva salvar la pelle, avevo un uomo pronto con un cavallo, per portarlo in luogo sicuro ad una discreta distanza da Londra. Gli avrei assegnato duecento fiorini annui ed egli avrebbe potuto condurre una vita decorosa. Aggiunsi però questa condizione: se egli accettava l'offerta, doveva sistemare subito i suoi affari nella Torre e riparare immediatamente nel luogo in cui il mio messaggero l'avrebbe condotto. Stava proprio tornando alla Torre per sistemare le sue faccende e per porre in salvo sua moglie, quando un suo collega carceriere gli corse incontro. “Dileguati quanto prima, disse. I tuoi prigionieri sono fuggiti dalla piccola torre. Il luogotenente sta facendo battere il posto per scovarti. Se ti acciuffa, Dio ti aiuti”. Tutto tremante, l'uomo rincorse il messaggero. Lo pregò per l'amor di Dio di condurlo nel luogo in cui c'erano i cavalli ad aspettare. Il messaggero lo condusse e trovò Richard Fulwood che aspettava con due cavalli. Si posero in cammino e Richard lo condusse nella casa di un mio amico a circa cento miglia da Londra. Avevo già spedito una lettera a questo gentiluomo, per chiedergli se sarebbe stato così gentile da ospitare il carceriere e da proteggerlo, nel caso che fosse venuto. Lo esortai tuttavia a non fidarsi di lui, né a fargli sapere che egli mi conosceva. Richard Fulwood, dissi, gli avrebbe rimborsato tutte le spese. Se il carceriere voleva parlare di me e dei suoi affari, egli doveva rifiutare di ascoltarlo. Tutto andò come avevano previsto. Il mio amico non fu minimamente molestato ed il carceriere rimase al sicuro nella sua casa. Dopo un anno egli si trasferì in un'altra contea. Ivi divenne cattolico e visse tranquillamente con la sua famiglia, grazie al vitalizio annuo che gli inviavo regolarmente secondo la promessa, ed ivi morì quattro o cinque anni dopo. Con questa fuga per salvare la vita, Dio lo aveva sottratto alla tentazione di peccare e, come spero, gli ha dato un posto in Cielo. Quando ero in prigione, sovente avevo provato la sua fede: la sua intelligenza era convinta, ma non potevo operare sulla sua volontà. Spero che la mia fuga dalla prigione sia stata, nelle disposizioni di Dio, occasione della sua fuga dall'inferno. Quando il luogotenente scoprì che i suoi prigionieri ed il loro guardiano erano fuggiti, si presentò al Consiglio, portando con sé le lettere che avevo lasciato. I lord del Consiglio rimasero stupiti della maniera in cui ero fuggito. Uno di loro, un consigliere influente, disse ad un gentiluomo suo dipendente (come in seguito mi fu riferito) che egli era lieto della mia fuga. Il luogotenente chiese l'autorizzazione per iniziare le ricerche in tutta Londra ed in tutti i luoghi sospetti, ma gli altri gli risposero che sarebbe stato inutile (12). “Non potete sperare di trovarlo, dissero. Se ha amici che sono disposti a fare tutto questo per lui, potete starne sicuro, non avranno difficoltà a pro- curargli cavalli e nascondigli ed a tenerlo ben lontano dal vostro guinzaglio”. Fu effettuata una perquisizione in uno o due luoghi. Da quel che mi risulta, non fu preso nessuno degno di rilievo (13). ___________________________________________________________ _ NOTE AL CAPITOLO XVII 1 S. Ignazio, fondatore della Compagnia di Gesù. Egli fu beatificato il 27 luglio 1609, l'anno in cui scriveva J. G. Egli non fu canonizzato che il 12 marzo 1622. 2 John Arden, che fu imprigionato nella Cradle Tower, nel lato opposto al giardino privato della regina. John Arden era un gentiluomo di Northants ed apparteneva ad una ben nota famiglia di Brookley. Fu condannato nel 1587 per pretesa complicità nel complotto di Babington. Northants Record Society, Finch-Hatton MSS 124, fol. 32. 3 John Arden fu arrestato da Richard Jackson nel gennaio 1587 e fu portato a Windsor (P.R.O., Treasury Chamber Accounts, 28 gennaio 1587). Durante la sua prigionia John Lamer, il musicista della regina, godette della sua proprietà, (C.S.P.D., 15981601, p. 94). Nel luglio 1590 sua moglie ottenne il permesso di visitarlo una o due volte la settimana. (Acts of the Privy Council, vol. 19, p. 363). 4 L'8 settembre 1597. 5 William Wiseman. 6 Si trattava del famoso Old London Bridge aperto nel 1209. Misurava 926 piedi di lunghezza ed aveva 19 archi sostenuti da grandi piloni che ostruivano il flusso del fiume. L'esistenza di macchine idrauliche aumentava i rischi del passaggio. Si diceva che i savi andavano sopra il ponte, e che i pazzi ci passavano sotto. Il ponte attuale, che sostituì quello vecchio nel 1831, fu costruito circa sessanta metri più ad ovest. 7 La distanza era di circa mezzo miglio. 8 Non avevano tenuto conto dell'altezza del muro oltre il fossato che impediva L'inclinazione della corda. Poiché J. G. non aveva osato mostrarsi di giorno non aveva potuto fare un calcolo preciso. 9 Padre Southwell fu imprigionato nella Lanthorn Tower, all'angolo del giardino privato della regina, di fronte alla Cradle Tower. 10 A Spitalfields. 11 Ad Uxbrigde. Padre Tesimond, che sbarcò in Inghilterra nel 1597, dice che Padre Garnet viveva a quel tempo in un casa chiamata Morecroftes. “Questa era situata a dodici o tredici miglia da Londra, vicino ad un villaggio chiamato Uxbridge e la casa si chiamava Morecroftes. Io ed il mio compagno ci avviammo a quella volta e vi giungemmo un'ora o due prima del tramonto. Fummo ricevuti con la più calorosa accoglienza e con la più grande cordialità che si potesse immaginare. Con Padre Henry trovai due o tre altri padri della Compagnia che erano venuti a conferire con lui sui loro affari. Erano soliti fare così, ora l'uno ora l'altro”. La narrazione del suo sbarco in Inghilterra si trova in Troubles, I, p. 177. Morecroftes venne più tardi in possesso di Robert Catesby. È interessante notare come questo tipo di casa disegnata per nascondere con facilità i preti passava da un padrone cattolico all'altro. 12 “5 ottobre 1597. Questa notte sono evasi dalla Torre due prigionieri, cioè John Arden e John Garret. L'evasione avvenne poco prima del giorno, perché quando andai nella camera di Arden al mattino trovai che nella sua penna c'era l'inchiostro fresco. L'evasione avvenne così. Il carceriere, un certo Bennet, condusse Garret nella camera di Arden quando tolse le chiavi, e dalla camera di Arden per mezzo di una lunga corda legata sopra il fossato a un palo scivolarono in basso sulla banchina della Torre. Anche Bennet è andato via questa mattina e quando s'aprivano i cancelli... Ho dato l'allarme a Gravesend e al Sindaco di Londra perché sia fatta una perquisizione in Londra e in tutte le franchigie”. Sir John Peyton, luogotenente della Torre di Londra al Consiglio privato. Hat. Cal., VII, pp. 417-18. 13 Quando nel dicembre nell'anno seguente Padre William Weston fu trasferito da Wisbeach nella Torre, fu subito chiamato a giudizio da Sir John Peyton e fu sottoposto ad un serrato interrogatorio per dare informazioni sul nascondiglio di J. G. “Finalmente raggiungemmo la Torre e fummo portati davanti al luogotenente. Ci fece molte domande riguardanti specialmente Padre Gerard che era fuggito pochi mesi prima. Egli disse che avrebbe dato una grande somma di denaro a colui che lo avrebbe di nuovo catturato”. William Weston (ed. Philip Caraman), c. 21. XVIII. LONDRA E HARROWDEN Per alcuni giorni restai tranquillamente presso Padre Garnet. Desideravo recuperare le forze e lasciare che il tempo dissipasse le voci sollevate dalla mia fuga. Allora i miei ospiti, nonché amici fedelissimi, mi pregarono di andare a stare con loro nella casa di Londra (1), vicino alla mia seconda prigione, giacché essi abitavano ancora lì. Accettai l'invito e rimasi al sicuro presso di loro. Ricevevo tuttavia solo pochi visitatori e mi limitavo ad uscire di notte, precauzione, questa, che prendevo quasi sempre a Londra. In quel periodo feci visita solo ad alcuni dei miei migliori amici (2). Tuttavia, visitai la mia casa che era affidata alle cure di Mrs. Line, la futura martire. Ivi viveva ancora Mr. Robert Drury, un altro futuro martire. A quel tempo offrii rifugio ad un gentiluomo, che era stato cappellano del conte di Essex nella spedizione contro la Spagna quando fu occupata Cadice (3). Era un uomo dotto e parlava diverse lingue. Per diventare cattolico, aveva declinato numerose offerte di alte promozioni nella sua chiesa. Egli aveva già provato la prigione e quando gli fu offerta la possibilità di evadere, gli dissi che poteva rifugiarsi in casa mia. Mi presi cura di lui per due o tre mesi. Durante questo tempo gli dettai gli Esercizi Spirituali ed egli si decise ad entrare nella Compagnia. Era un uomo che era stato nutrito, per così dire, al seno di Calvino. Aveva passato la vita nelle armi ed era abituato ad imporre la sua volontà agli altri. Quando manifestò la sua intenzione, gli chiesi di dirmi francamente perché mai scegliesse la Compagnia quando sapeva, o doveva sapere, che ciò significava il contrario di quello a cui era abituato. “Tre sono le ragioni principali, rispose, che mi hanno indotto a prendere questa decisione. Prima, il fatto che gli eretici e tutti i nemici di Dio detestano la Compagnia più di ogni altra istituzione. Ritengo che ciò avvenga perché essa possiede lo spirito di Dio che il demonio non può sopportare e perché, nei piani della Provvidenza di Dio, essa è destinata a distruggere l'eresia ed a combattere ogni genere di peccato. La seconda è la seguente. La Compagnia non permette ai suoi membri di accettare promozioni ecclesiastiche. Perciò è poco probabile che in essa alligni l'ambizione e, poiché i suoi uomini migliori non le vengono sottratti, essa si trova in condizioni di mantenere una tradizione di santità e di cultura. In terzo luogo, essa ha un culto speciale per l'obbedienza. Questa è infatti la virtù che classifico per prima sia in sé stessa, sia per il bene che può recare alle anime. Tutto procederà in ordine in una comunità di uomini, che siano perfettamente uniti nei loro propositi sotto la direzione di Dio”. Queste furono le sue ragioni per entrare nella Compagnia, perciò lo mandai in Belgio da Padre Holt, pregandolo di aiutarlo a proseguire per Roma. Gli diedi trecento fiorini per le spese (4). Prima di abbandonare la casa, dettai gli Esercizi a diverse altre persone. Una di queste fu Mr. Woodward, un prete buono e devoto. Anch'egli desiderava entrare nella Compagnia e si trasferì per questo in Belgio. Ma a quel tempo c'era grande scarsità di preti inglesi nell'esercito ed egli fu temporaneamente destinato a quell'apostolato. Morì sul campo, molto amato e rispettato da chiunque lo conoscesse (5). Mantenni la mia casa solo per un po' di tempo, dopo la fuga. Durante la mia prigionia la gente vi era accorsa con un afflusso di gran lunga maggiore di quanto io stesso avrei tollerato, se fossi stato libero. Troppe persone, infatti, la conoscevano. Ma la ragione principale che mi spinse ad abbandonarla fu che essa era nota all'uomo che era responsabile del mio trasferimento nella Torre (6). Questi si era detto spiacente di quello che aveva fatto ed io lo avevo perdonato volentieri e sentivo per lui la stessa affezione di prima. Poco dopo la mia fuga egli venne rilasciato ed appresi che non godeva una grande stima presso le persone con le quali viveva. Ritenni, quindi, poco saggio tenere una tale persona al corrente di un segreto al quale era affidata la salvezza di tanta gente. Anche Mrs. Line, che era donna di grande prudenza e di grande buon senso, fu dello stesso parere. Perciò le trovammo un'altra casa in cui continuare il suo buon lavoro. Poco tempo prima, era cominciato un movimento di opposizione contro l'Arciprete. Questo prelato era stato nominato da Roma per garantire una certa subordinazione ed un minimo di direzione tra il clero inglese. Ma un gruppo di preti irrequieti fece il possibile per misconoscere il decreto pontificio. Essi sobillarono i fedeli contro l'Arciprete e contro la Compagnia e, come sempre capita, raccolsero attorno a loro un partito di opposizione. Diversi preti che io solevo accogliere ed intrattenere in casa mia appoggiarono questo partito. Tuttavia, venivano desiderosi di ricevere il benvenuto nella casa che, secondo quanto era stato loro detto, era tenuta da Mrs. Line. Così la casa che era destinata a me ed ai miei intimi amici divenne un luogo di richiamo per molti che non erano affatto miei amici e sarebbero potuti diventare anche dei traditori. Fu ciò che mi spinse a prendere altre disposizioni. Poiché sembrava consigliabile stroncare la voce che Mrs. Line tenesse una casa aperta a chiunque, ella si stabilì per un certo tempo per conto suo in una camera presa in affitto in una casa privata. Ma io desideravo ancora avere un luogo di mia proprietà a Londra, per porre in salvo tutti i miei buoni amici ed alloggiare i sacerdoti. Perciò mi accordai con un signore pio e prudente la cui moglie era di merito pari al suo (7). In base a tale accordo prendemmo in affitto una vasta casa, pagando ciascuno metà della spesa. Metà della casa era per loro, l'altra metà per me. Nella mia parte allestii una cappella abbastanza grande e ben arredata. Qui alloggiavo quando ero a Londra e qui mandavo i miei amici ai quali fornivo un po' di danaro per i pasti. Questa nuova sistemazione mi costava appena la metà di quella precedente, che implicava il mantenimento del personale anche quando la casa non era abitata, sebbene solo raramente essa fosse vuota. Feci questo cambiamento appena in tempo per salvare me ed i miei amici. Se mi fossi trattenuto più a lungo, quasi certamente sarei stato catturato di nuovo. Accadde quanto segue. Il prete che mi aveva fatto trasferire da Clink alla Torre (ne ho narrato la storia) cominciò a tempestarmi di lettere. Voleva che gli concedessi un colloquio. Dapprima lo rimandai; in seguito, quando egli cominciò a insistere, non risposi neanche alle sue lettere. Mi scusai dicendo che avevo troppo da fare. Ciò durò per sei mesi. Alla une egli mi inviò una richiesta pressante e si lagnò che non avevo tempo per lui. Io non risposi, tuttavia attesi il momento opportuno. Sapevo dove abitava e mandai un amico a dirgli che, se desiderava vedermi, doveva venire subito col messaggero. Raccomandai al messaggero di impedirgli di indugiare per la strada, di scrivere qualche nota e di parlare ad alcuno durante il percorso. Disposi, inoltre, che il messaggero lo conducesse non già in una casa, ma in un campo, vicino ad uno degli alberghi di corte (8). Era questa una località ben nota per i suoi viali ed egli poteva passeggiare su e giù in compagnia del mio uomo finché io non fossi arrivato. Era notte e c'era una luna splendente. Presi con me due amici, per difendermi da un possibile agguato. Siccome volevo fargli intendere che abitavo in un' altra zona di Londra, aggirai il perimetro esterno del campo, così da non entrare dalla parte in cui si trovava la mia casa. Per caso, tuttavia, passai vicino all'abitazione di un cattolico, che si trovava proprio ai margini del campo ed il brav'uomo mi vide venire proprio da quei pressi. Pensò, forse, che ero appena uscito da quella casa, poiché a quel tempo era abitata dall'Arciprete (9). Comunque, lo trovai che passeggiava su e giù a- spettandomi. Ascoltai pazientemente tutto quello che mi doveva dire e che, per la verità, non conteneva nulla di nuovo. Mi aveva già detto tutto nelle sue lettere ed aveva ricevuto le mie risposte. Ciò accrebbe il mio sospetto, e con ragione. Pochi giorni dopo, sia quella casa d'angolo presso la quale egli mi vide entrare nel campo, sia la vecchia casa che avevo appena lasciato (sebbene lui non lo sapesse) furono entrambe circondate ed accuratamente perquisite nella stessa notte ed alla stessa ora. L'Arciprete si salvò solo per miracolo. Egli ebbe appena il tempo di rifugiarsi in un nascondiglio (10). L'altra casa, in cui il prete sapeva che avevo alloggiato, fu perquisita per due giorni. Il luogotenente della Torre ed il cavaliere maresciallo (11) assunsero di persona la direzione delle ricerche, cosa che fanno solo quando fuggono i loro prigionieri. Ciò rivelò chiaramente che stavano ricercando proprio me e che il prete aveva dato loro informazioni circa la casa. A quel tempo, c'era soltanto un prete insieme ad un cattolico, al quale l'avevo affittata. Tuttavia non li trovarono. Vedendo che non riuscivano a trovarmi, il giorno dopo collocarono delle guardie nella casa del mio ospite, perché in quel periodo egli si era trasferito in campagna. Grazie a Dio, quel giorno non ero lì. Come potete vedere, feci bene a comportarmi cautamente con questo prete e ad abbandonare per tempo la mia vecchia casa. Ormai ero convinto di dover abbandonare anche la mia dimora di campagna e di dover riparare altrove. Sembrava che il mio compito fosse quello di procurare sempre qualche guaio a quei miei buoni e cari amici (12). Tuttavia, quando comunicai loro la mia decisione, non vollero saperne, sebbene in tutte le altre cose fossero sempre pronti ad ascoltarmi. Comunque, poiché non c'era altra maniera per lasciar loro un po' di quiete e di pace, trascurai i loro pii desideri e sottomisi il progetto al mio superiore che l'accolse. Quindi pregai Padre Garnet di mandar loro un altro gesuita, un certo Padre Banks, un uomo buono e devoto che adesso è sacerdote professo e che allora lavorava col caro Padre Oldcorne. Avendo Padre Garnet acconsentito, presentai questo prete alla famiglia, presso la quale restammo insieme ancora un po' di tempo. Intanto andavo in giro molto più del consueto (13). Ebbi così la fortuna, per grazia di Dio, di visitare una nobile famiglia. Già prima ero stato invitato spesse volte ed ero stato atteso per lungo tempo, ma altre faccende mi aveva sempre tenuto lontano. La padrona di casa era un'anima pia e devota che era rimasta vedova di recente (14). Quando giunsi in casa (15), la trovai estremamente affranta per la prematura morte del marito. Questa l'aveva sconvolta tanto che per un anno intero ella non era quasi uscita dalla sua stanza. Ancora tre anni dopo la mia visita, ella era incapace di risolversi ad entrare nell'ala del palazzo in cui era morto suo marito. Oltre al lutto, era oppressa dall'ansietà per l'avvenire di suo figlio che si trovava ancora sotto la tutela materna (16). Egli era uno dei primi baroni del regno, ma i suoi genitori avevano sofferto moltissimo per la loro fede. Una buona parte della loro proprietà e delle loro entrate era sfumata in multe estorte da un governo eretico. Per soddisfare i loro gravi debiti, era stata ipotecata una gran parte del loro patrimonio, tanto che era loro difficile trovare il denaro necessario per le spese correnti. Ma una donna saggia edifica la sua casa e vi fa le sue prove. Trovai che nella famiglia viveva uno dei nostri padri. Era un uomo dotto ed un buon predicatore e stava da loro ormai da un anno (17). Alcuni della famiglia, comunque, erano prevenuti nei suoi confronti, sebbene la signora gli serbasse un grande rispetto e si accostasse frequentemente ai sacramenti. Quando arrivai io, tutti i desideri di questa buona signora sembravano soddisfatti. Ella mi accolse con grande gentilezza ed il suo dolore sembrò mutarsi in gioia. Alcuni familiari vennero ad assicurarmi che, se fossi venuto spesso, o ancor meglio, se fossi rimasto con loro, la signora avrebbe dimenticato il suo lungo dolore, sarebbe diventata una persona differente e tutto sarebbe andato per il meglio. Penso che tutto ciò sia stato suggerito dalla stessa padrona. In seguito, quando ne ebbe occasione, decantò le lodi dei miei ospiti, poiché ella aveva sentito parlare tanto di loro, della loro cappella e dei loro paramenti, come pure della pazienza e della bontà da loro dimostrate durante l'imperversare della persecuzione. Disse che non c'era da stupirsi se erano così straordinari, dal momento che avevano un tale direttore. Se ella avesse avuto lo stesso vantaggio, sarebbe stata come loro e, come sperava, tutto sarebbe andato bene per lei. Vedendo quale falsa idea ella si era formata di me e come si era lasciata indurre a credere che ero una persona migliore di quanto fossi in realtà, le dissi la verità. Le feci osservare che ella riceveva aiuti molto maggiori degli altri. Al che rispose che il suo direttore era un uomo pio e buono e che ella lo rispettava e lo amava moltissimo; tuttavia egli non era mai stato a contatto con gli uomini, giacché era stato sempre assorbito dai suoi studi, così che, quando la discussione si spostava sugli affari o su questioni pratiche, non sapeva dare nessun consiglio utile. Per questo alcune persone della casa non lo volevano. Ma io le feci osservare: “Il fatto si è che essi sono irriconoscenti e non sanno sottomettersi all'auto- rità; se io vivessi con loro, mi tratterebbero senz'altro allo stesso modo”. “Se si comportassero così, ella disse, non resterebbero a lungo in casa, anche se fossero molto più indispensabili di quanto non siano”. Sotto il controllo di lei, infatti, essi avevano cura di tutta la casa. Quindi mi pregò di metterla alla prova e di constatare personalmente se ella intendeva realmente effettuare con docilità tutti quei cambiamenti che, davanti a Dio, io giudicavo necessari. Non potevo declinare un'offerta del genere avanzata da una persona della sua posizione, specie se si considera che mi veniva fatta in un momento in cui dovevo cercarmi una nuova residenza. Mi sembrò più chiaro della luce del sole che in ciò era presente la mano di Dio. Dal primo momento del mio sbarco in Inghilterra fino a quel tempo, la Sua Provvidenza mi aveva spostato da una dimora all'altra; e ciascuna casa, a sua volta, si trovava in posizione migliore della precedente per allargare la cerchia delle mie conoscenze, particolarmente tra le persone di rango, e per confortarle e guidarle nel Suo servizio. Dissi, quindi, che le ero profondamente grato e che avrei sottoposto la sua offerta all'approvazione del mio superiore. Aggiunsi che essa mi riusciva particolarmente gradita per il fatto che ivi sarei vissuto con un altro gesuita, un uomo che amavo moltissimo, mentre altrove mi ero trovato sempre con preti secolari. Al mio ritorno a Londra presentai la proposta a Padre Garnet. Egli fu molto lieto dell'offerta, poiché comprese che con l'andar del tempo la residenza si sarebbe potuta sviluppare in un centro magnifico. L'offerta, egli disse, era molto opportuna. Egli era tempestato di richieste da una famiglia che abitava all'estremo nord, dove i cattolici erano numerosi e non c'era nessun sacerdote della Compagnia, gli chiedevano di mandare proprio quel sacerdote che si trovava lì, affermando che tutti sarebbero stati contenti se egli si fosse potuto recare da loro (18). Gli feci notare che nella casa c'era lavoro per due ed anche più preti e che io ero desiderosissimo di avere un gesuita per compagno. Padre Garnet, comunque, si era già deciso. A causa dell'opposizione che questo prete aveva sollevato, egli l'avrebbe sostituito con un altro sacerdote e non poteva concedermi di averlo per compagno. Allora gli chiesi di darmi Padre John Percy (19), io non lo avevo mai incontrato personalmente; tuttavia avevo avuto la possibilità di conoscerlo tramite una frequente corrispondenza scambiata con lui durante la sua prigionia. Egli era stato catturato nelle Fiandre, e condotto in Olanda, dove era stato identificato e torturato, e poi gettato nella terribile prigione di Bridewell. Dopo un po' di tempo, però, riuscì a fuggire con un altro prete calandosi da una finestra con una fune. Mrs. Line lo aveva accolto nella mia casa, ma dopo un po' di tempo si era trasferito nello Yorkshire. Ivi abitava con un pio cattolico e riuscì così bene ad ingraziarsi la popolazione che, nonostante il consenso di Padre Garnet, mi ci volle un anno intero per farlo partir di lì. Dietro desiderio di questa vedova cortese e con l'approvazione di Padre Garnet, sistemai ogni cosa e lasciai i miei vecchi ospiti così al sicuro e così ben provveduti come erano sempre stati. Adesso stavano molto meglio, perché lasciai con loro Padre Banks, che sotto ogni rispetto era un uomo più in gamba di me. Al principio sembrava che i miei vecchi ospiti non avessero un gran concetto di lui, ma, quando ebbero modo di conoscerlo meglio, constatarono che tutto quello che io avevo detto di lui rispondeva a verità. Ben presto presero a considerarlo come loro padre. In seguito visitai frequentemente quella casa in cui avevo trovato tanta vera devozione e tanta sincera lealtà. Mi sistemai dunque nella nuova residenza. Gradualmente guarii l'eccessivo dolore della mia ospite. Le dissi che il rimpianto degli estinti deve esser mitigato, perché non dobbiamo piangere come uomini che non hanno alcuna speranza. Suo marito, le feci rilevare, era divenuto cattolico prima di morire ed una sola preghiera gli avrebbe giovato molto più di tante lacrime. Queste si sarebbero dovute versare sui nostri e sugli altrui peccati. Quindi le insegnai come meditare, pur essendone ella già capace; aveva infatti intelligenza e talento di primissimo ordine. Così la indussi gradualmente a volgere il suo vecchio cordoglio in un dolore diverso e più nobile, a preporre le cure dell'altra vita a quelle della presente ed infine a riflettere che, sebbene la sua vita fosse stata fino ad allora buona e santa, poteva diventare ancora più santa, seguendo fedelmente gli esempi della vita di Nostro Signore e dei Suoi santi. Prima di tutto ella decise di restare vedova. Poiché non poteva dare a Dio la sua verginità, intendeva offrirgli una vita casta. Si risolse anche a praticare la povertà, nel senso che avrebbe posto al servizio di Dio e dei suoi servi tutto quello che possedeva o che sarebbe venuto in suo possesso; anzi ella stessa sarebbe diventata la loro serva per attendere ai loro bisogni. Ma sopra ogni altra cosa sarebbe stata obbediente. Intendeva eseguire tutto quello che le veniva detto così perfettamente come se ne avesse fatto voto; e, per giunta, si rammaricava perché i nostri sacerdoti avevano proibizione di accettare tali voti. In breve, ella decise, ed io potevo ben vedere la sua risoluzione, di svolgere per quanto le era possibile la parte di Marta e delle altre sante donne che seguivano Cristo e servivano tanto Lui che i Suoi apostoli. Ella era pronta ad impiantare la casa dovunque lo giudicassi più opportuno per i nostri bisogni e protestava continuamente che era pronta a stabilirla sia a Londra che nella più remota parte dell'Inghilterra. Naturalmente, una casa a Londra o nelle sue adiacenze aveva il grande vantaggio di occupare una posizione centrale per il nostro lavoro apostolico; ma, d'altra parte, Londra era troppo pericolosa per me in quel momento. Ivi, in ogni caso, ella non sarebbe rimasta in segreto e si sarebbe esposta al pericolo. Ella era una cattolica notoria ed i lord del Consiglio desideravano tenere d'occhio suo figlio, il barone, per vedere dove e come sarebbe stato educato. Oltre a ciò, ella doveva amministrare le proprietà durante la minorità di suo figlio, ed i coloni e gli amministratori sarebbero venuti continuamente per conferire con lei. Bastava questo per renderle impossibile vivere a Londra sotto falso nome, al quale avrebbe pur dovuto ricorrere se intendeva continuare per un certo tempo il suo buon lavoro. A questo erano ricorse le due signore che assistevano Padre Garnet. Queste erano cognate di questa vedova e figlie dello stesso barone: una era nubile e l'altra vedova (20). Perciò non potevo immaginare come ella avrebbe potuto vivere meglio che tra la sua gente. Era legata da vincoli di sangue o di amicizia con tutte le più influenti famiglie del paese. L'unica questione che restava da decidere era il luogo esatto. La casa in cui allora viveva era vecchia e cadente. Ivi si era trasferito suo suocero la cui moglie era più brava a spendere che a risparmiare. A quel tempo la casa era divenuta inabitabile per una famiglia della loro condizione; ma a circa tre miglia di distanza essi avevano un' altra abitazione più grande che era stata la sede originaria e principale della famiglia (21). Anche questa però era stata trascurata ed in molte parti era del tutto diroccata, quasi una vera e propria rovina. Certamente questo non era il posto in cui, come ella intendeva, avrebbe potuto dare ospitalità a tutti i nobili cattolici che sarebbero venuti a visitarmi per il loro conforto e per la loro consolazione spirituale, giacché questi erano gli unici ospiti che ella desiderava. Inoltre, essa era inadatta alla difesa da improvvise incursioni poliziesche e, di conseguenza, ella non sarebbe mai stata libera come intendeva essere. Quello che vagheggiava, infatti, era una casa in cui la vita procedesse quasi come nei nostri istituti; e fu proprio questo che ella alla fine realizzò. Cercammo dappertutto la casa ideale, ma, pur avendone visitate molte di quella contea, avevano tutte qualche caratteristica che le rendeva non del tutto confacenti al caso nostro. Alla fine, tuttavia, trovammo una dimora principesca costruita dal cancelliere d'Inghilterra che recentemente era morto senza figli. Allora veniva offerta in affitto per tre anni (22). Era ampia e ben edificata: inoltre, rimaneva appartata dalle altre abitazioni ed era circondata da frutteti e giardini magnifici, in cui la gente poteva andare e venire senza essere notata. Ella la prese in affitto per quindicimila fiorini e cominciò a prepararla per noi, poiché era ansiosa di far ultimare le modifiche prima che ci entrassimo. Ma l'uomo propone e Dio dispone sempre, è vero, a maggior profitto dei suoi figli. ___________________________________________________________ _ NOTE AL CAPITOLO XVIII 1 La casa di William Wiseman nello Strand. 2 Nei mesi successivi alla sua fuga, J. G. riuscì a restare nascosto. Il governo si aspettava che avrebbe tentato di evadere in Francia. L'11 febbraio 1598 il conte di Essex scrisse per ordine della regina a Robert Cecil, che stava per partire in missione per la Francia. Gli comunicò come la regina fosse stata informata che J. G. intendeva introdursi nel suo seguito “con un passaporto falso o con una falsa commissione” e trasferirsi con lui nel continente. Più tardi corse voce che si fosse trasferito in Irlanda. C.S.P.D., 1598-1601, p. 21. 3 William Alabaster, che Anthony Wood chiama “il poeta più raro che sia stato prodotto da qualsiasi epoca e da qualsiasi paese”. Nel 1596 Alabaster fu cappellano della famosa spedizione del conte di Essex a Cadice. Quando si converti al cattolicesimo nel 1597, egli scrisse Roxana, “una tragedia contro la Chiesa d'Inghilterra”, che è molto apprezzata dal dotto Johnson nel suo studio sulla poesia latina in Inghilterra. “Se abbiamo prodotto, egli scrive, qualcosa degno di rilievo prima delle elegie di Milton, questo fu forse la Roxana di Alabaster”. La sua conversione preoccupò seriamente il governo ed il suo racconto della medesima, intitolato Sette Ragioni, fu rigorosamente soppresso. Alabaster fu imprigionato molte volte per la sua fede. Dopo due ritorni al protestantesimo e due abiure, fini i suoi giorni come curato di St. Dunstan's-in-theWest nel 1640. I suoi sonetti inglesi sono inediti: essi ammontano ad ottantacinque e sono disposti in gruppi o sequenze. Esprimono qualche profonda esperienza interiore e furono scritti nel 1597, quando l'autore stava nella prigione di Clink ed era conscio (come egli stesso afferma) della sua rara ispirazione. Edmund Spencer scrisse entusiasticamente della sua opera latina Elisaeis: Nor all the brood of Greece: so highly praised: Can match that Muse when it with bayes is crowned And to the pitch of her perfection raised. L. I. GUINEY, Recusant Poets, pp. 335-349; D.N.B., I, p. 211. 4 Durante l'interrogatorio del 22 luglio 1600, William Alabaster confessò che “dopo la fuga del prete Gerard dalla Torre, egli ebbe con lui un colloquio, e a Bruxelles ricevette per ordine e credito di Gerard trenta sterline; indi si recò a Roma da Padre Persons”. (S.P.D., vol. CCLXXV, n. 32). Alabaster fu ammesso nel Collegio Inglese il 30 novembre 1598. C.R.S., vol. XXXVII, p. 12. 5 Padre Philip Woodward, uno dei primi gesuiti che furono cappellani delle truppe inglesi operanti nei Paesi Bassi. Questo fu un ministero regolarmente assolto dai gesuiti inglesi stazionati nelle Fiandre e fu conosciuto come “missio castrensis”. Nel diciassettesimo secolo da quattro a sei erano i preti assegnati a questo ministero. 6 William Atkinson. 7 Mr. e Mrs. Heywood. J. G. divise la casa con loro alla fine dell'estate del 1598. Cf. S.P.D., vol. CCLXXI, n. 107. Mr. Heyvood è indicato come un non-conformista londinese nella lista compilata nel 1588 da Burghley. C.R.S., vol. XXII, p. 123. 8 Lincon's Inn Fields. Poco innanzi, erano state costruite le prime case in quei campi. La carta topografica londinese di Agas (circa 1591) riporta tre case in una posizione vicina all'attuale Sardinia Street. Tra queste e Holborn c'è un'altra fila di tre case sul lato settentrionale. Entro il 1641 quasi tutti i lotti meridionali ed occidentali erano occupati da case. William Kent, (ed.) An Encyclopedia of London, pp. 440-441. 9 George Blackwell, uno dei preti di maggiore esperienza della missione inglese. Fu nominato arciprete 1'8 marzo 1598. Siccome, a causa della persecuzione, la nomina di un vescovo era ritenuta inopportuna tanto dalle autorità romane quanto dalla maggior parte dei preti e dei laici inglesi, fu creato il titolo di arciprete nell'intento di promuovere la disciplina e l'organizzazione tra il clero secolare. La sua nomina provocò la formazione di una piccola fazione tra il clero, in Inghilterra ed all'estero (conosciuta sotto il nome di “Appellansts”), che recò un danno incalcolabile alla causa dei nonconformisti. Il governo, soffiando su questo focolaio, fomentò il dissenso tra i nonconformisti per molte generazioni. All'epoca dell'incidente riportato da J. G., solo da pochi mesi Blackwell era stato liberato dalla prigione. Nella relazione di una spia del tempo egli è descritto come uomo “di bella statura, non molto basso, coi capelli grigi, e dell'età di circa cinquant'otto o sessant'anni. Ha la barba grigia, e sul labbro superiore un neo coperto di peli rossi che contrastano col grigio. Ha la faccia magra, gli occhi un po' infossati e sa parlare bene”. S.P.D., vol. CCLXI, n. 97. 10 Un resoconto dettagliato di questa perquisizione si trova in The Lives of Philip Howard, Earl of Arundel, and of Anne Dacres, his wife” (ed. 1857), p. 216. La contessa di Arundel lo salvò corrompendo il perquisitore e per gratitudine “oltre a donargli in quell'occasione una considerevole somma di denaro, gli mandò ogni anno un pastic- cio di selvaggina per far festa a Natale insieme agli amici”. 11 Il Cavaliere Maresciallo era un cugino di J. G., Sir Thomas Gerard, figlio di Sir Gilbert Gerard di Brandon, che aveva preceduto Coke nella carica di procuratore generale. 12 La famiglia Wiseman. 13 A quel tempo Padre Garnet, temendo che J. G. potesse essere catturato di nuovo e trattato più severamente di prima, pensò di rimandarlo nel continente. “Padre Gerard era molto abbattuto oggi”, scrive Padre Garnet a Padre Persons il 31 marzo 1598, “quando gli ho scritto di prepararsi per partire. Egli venne da me a tale proposito. Veramente mi è di grande aiuto e la sua partenza potrebbe stupire. Spero che camminerà abbastanza cautamente... voi conoscete la mia idea; se pensate che sia cosa buona desidero che egli rimanga. Tutti gli altri stanno bene”. (Stonyhurst MSS, GRENE, Collectanea P., vol. II, p. 551). Circa diciotto mesi dopo, il 17 luglio 1599, fu fatta una perquisizione “per un certo Jarrett evaso dalla Torre” ad Ufton Court, nel Berkshire, in casa di un cattolico, Francis Perkins, a circa sei miglia da Reading. A. MARY SHARPE, A History of Ufton Court, pp. 157-160. 14 Elizabeth Vaux. Era la figlia di sir John Roper, che fu insignito del titolo di Lord Teynham nel 1616. Nel 1585 sposò George, il secondogenito di lord William Vaux, in favore del quale il figlio maggiore Henry rinunciò all'eredità della baronia. Quando il suocero morì, ella ebbe la tutela del suo piccolo figlio Edward, quarto barone Vaux. 15 A Irthlinghorough, castello della famiglia Vaux, due miglia a nord-ovest di Higham Ferrers, nel Northants. 16 Lord Edward Vaux, nato il 13 settembre 1588. Suo padre, George Vaux era morto il 20 agosto 1595, lasciando tre figli e tre figlie alle cure della nuova ospite di J. G. 17 Padre Richard Collins, nativo dello Yorkshire e primo cugino di Guy Fawkes. Giunse in Inghilterra nell'aprile 1596. Troubles, III serie, p. 288. 18 Padre Richard Collins fu mandato presso Mr. Edward Bentley che aveva una casa nel Derbyshire ed un'altra a Little Oaklei, nel Northamptonshire. Nella Note of Jesuits in England compilata nel 1603 (Hat. Cal., vol. XVII, p. 501), “Mr. Cooling” appare quale ospite di “Mr. Bentley nel Northamptonshire”. La moglie di Mr. Bentley era una Roper e cugina di Mrs Vaux. C. ANSTRUTHER, Vaux of Harrowden, pp. 237, 456. 19 Questi era Padre John Percy, alias Fisher, famoso per le sue controversie coll'arcivescovo Laud. Questo incidente è narrato da HENRY MORE (Historia Provinciae, lib. VIII, c. 23): “Fu mandato a Tournay per il noviziato nel 1594 e verso la fine del secondo anno, a causa dell'intensa applicazione nello studio e negli esercizi di pietà, gli venne un tale esaurimento che gli fu proibita qualsiasi preghiera. Per farlo ristabilire, fu mandato al paese nativo e durante il viaggio in Inghilterra passò per l'Olanda. A Flushing fu catturato dai soldati inglesi. Siccome la lettera che portava mostrava chi fosse, lo minacciarono di torturarlo se non avesse rivelato chi lo aveva condotto da Rotterdam. Egli si disse disposto a confessare tutto di sé, ma non degli altri. Lo appesero per le mani ad una puleggia e lo torturarono avvolgendogli una corda di marinaio alla testa. Durante la tortura fissò la sua mente sull'eternità della gioia o della sofferenza e non proferì altro che "O Eternità!". Quel male che i soldati tentarono di fargli, si tramutò in un rimedio, perché il mal di capo e la confusione di cui aveva sofferto durante il noviziato diminuirono da quel tempo fino a cessare. Fu portato a Londra sotto scorta e fu imprigionato a Bridewell, dove la sua cella era una torretta completamente sprovvista di mobili. Il pavimento di mattoni con un po' di paglia fu il suo letto, finché non fu aiutato dalla premura e dalla carità dei cattolici compagni di prigionia e dal nostro Padre Gerard. Quest'ultimo che fu a Clink, tenne con lui una corrispondenza segreta e lo aiutò sia con consigli che con danaro. Dopo circa sette mesi di prigionia, egli riuscì a fuggire attraverso il tetto insieme ad altri due preti e sette laici”. 20 Anne Vaux e sua sorella Eleanor, vedova di Edward Brooksby. 21 Great Harrowden, due miglia a nord di Wellingborough, nel Northants. 22 Si tratta di Kirby Hall, la grande casa fatta costruire da John Thorpe tra il 1570 ed il 1575 a circa venti miglia a nord. Ai nostri giorni non è altro che una rovina situata in una regione molto appartata del Northamptonshire. Vi erano state apportate alcune sistemazioni dal cancelliere, Sir Christopher Hatton, che morì senza figli il 21 novembre 1591. J. G. credeva che egli avesse costruito la casa. Abbiamo due contratti d'affitto di Kirby Hall, datati 24 marzo e 10 aprile 1599. Sono riconoscente a Padre Godfrey Anstruther, O. P., per aver confermato la mia congettura che Kirby Hall è la casa alla quale J. G. si riferisce e per avermi fatto notare i due documenti contrattuali che si trovano nella collezione Finch-Hatton, custodita dalla Northamptonshire Record Society. Quando nel 1643 fu creato per Hatton il titolo di Pari, questo toccò a Kirby. XIX. IL PRETE JOHN Luglio 1599 Questa signora aveva molti servi in casa quando andai ad abitare presso di lei. Molti non erano cattolici, altri lo erano per modo di dire e tutti godevano troppa libertà. Gradualmente eliminai gli abusi. Mediante colloqui privati e pubblici sermoni li condussi lentamente, col soccorso della grazia di Dio, per migliori sentieri. Molti li istruii e li accolsi nella Chiesa, ma vi furono alcuni che dovetti far licenziare perché non sembravano dare alcuna speranza di ravvedimento. Tra questi c'era un uomo che era stato il capo dell'opposizione contro il cappellano precedente e ce n'era anche un altro che rispondeva molto pigramente alla correzione. Una volta quest'uomo si trovava a Londra con noi. Forse fu solo per irriflessione o per sbadataggine o, fors'anche, per semplice insofferenza della più rigida disciplina che era stata instaurata; comunque, egli informò un suo amico traditore che di recente io ero andato a stabilirmi in casa della sua padrona e che vi avevo apportato numerosi cambiamenti, aggiungendo che allora mi trovavo a Londra e menzionando la casa in cui abitavo. (Questa era la mezza casa che avevo preso in affitto). Egli disse di essersi recato lì con la sua padrona e che, mentre io stavo con lei in città per alcuni affari riguardanti suo figlio, i padroni della mia casa erano andati spesso a visitarla. La mia ospite lasciò Londra portando con sé questo servo. Ma egli già aveva combinato il guaio. Il Consiglio venne a sapere che risiedevo nell'abitazione di questa signora, e che allora mi trovavo in città nella tale casa. Diedero immediatamente disposizione che due giudici di pace perquisissero il posto. Non avevo il minimo sospetto del pericolo. Perciò mi ero trattenuto a Londra per affari e stavo assistendo tre gentiluomini che si trovavano nella mia casa per un ritiro. Uno di essi era Mr. Roger Lee, che adesso è insegnante nella scuola inglese di St. Omers. Era un signore di buona famiglia, eccellente persona, e i suoi modi incantevoli lo rendevano il favorito di tutti, specialmente tra le persone della nobiltà. Si trovava sempre con loro a cacciare, ad uccellare ed in tutto il resto. Tutto quello che faceva, lo faceva bene. Inoltre era cattolico ed era una persona tanto buona che stava meditando di ritirarsi dal mondo per seguire Cristo più da vicino. Quando ero a Clink, veniva spesso a visitarmi; così mi fu facile scoprire che egli era chiamato a cose ben più alte della caccia agli uccelli: che era chiamato a diventare cacciatore di uomini e non di bestie. Perciò avevo fissato una data per dettare a questo mio amico un ritiro, giacché volevo che scoprisse per mezzo degli Esercizi la strada sicura che conduce alla vita, sotto la guida di colui che è la Via e la Vita. Dopo aver sistemato i miei affari in città, avevo detto che sarei tornato in campagna. In realtà approfittai di questa solitudine per cominciare il mio ritiro. Mr. Lee ed alcuni altri che stavo istruendo si trovavano in meditazione nelle loro stanze private, quando la tempesta scoppiò all'improvviso. Erano le tre pomeridiane del quarto o quinto giorno del mio ritiro. Improvvisamente John Lillie volò su per le scale ed irruppe nella mia stanza senza bussare, stringendo in pugno la spada sguainata. Fui alquanto spaventato da questa improvvisa irruzione e gli chiesi che cosa stesse succedendo. “Stanno facendo una perquisizione”, disse. “Dove?”, gli chiesi. “Qui! In questa casa! Sono già qui!”. Erano stati molto abili ed avevano bussato gentilmente come se fossero degli amici, così che il servo aveva aperto subito. Egli non sospettava niente, ma ad un tratto forzarono il passaggio e si sparpagliarono per la casa. Mentre John mi stava dicendo quello che era capitato, i giudici vennero su per la scala con la padrona di casa. Giunsero nella stanza in cui eravamo noi. Ma proprio di fronte c'era la cappella che aveva la porta davanti a quella della mia stanza sull'altro lato del corridoio. I magistrati videro aperta la porta della cappella, entrarono e scoprirono un altare ben arredato, sul quale stavano paramenti per la Messa. Perfino quegli eretici non poterono trattenersi dall'ammirarli. Intanto, nella camera opposta, io non sapevo assolutamente che cosa fare. Nella stanza non c'era nessun nascondiglio e l'unica via d'uscita era quello stesso corridoio in cui si trovavano i miei persecutori. Mi tolsi la talare che indossavo, ma non riuscivo a trovare un buco in cui nascondere i miei libri ed il mucchio di fogli contenenti le meditazioni manoscritte. Restammo ad origliare dietro la porta. Sentii uno di loro che disse: “Buon Dio, che cosa abbiamo trovato qui! E dire che stavamo per rinunciare a perquisire la casa, oggi”. Queste parole mi fecero pensare che si trattava di una perquisizione fortuita e che, probabilmente, non avevano alcun mandato, ed essendo venuti solo con pochi uomini. Intanto, stavamo considerando se fosse il caso di tentare una sortita con le armi in pugno e di gua- dagnare l'uscita, strappando le chiavi durante il passaggio al gruppo dei perquisitori. Ci avrebbero aiutati Mr. Lee, il padrone di casa e due o tre servi. D'altro canto, sapevamo che, se fossimo stati presi durante la mischia, la legge sarebbe stata più severa contro il padrone di casa per disprezzo della forza pubblica e per resistenza alla perquisizione. Mentre stavamo discutendo su quello che fosse meglio fare, si appressarono alla stanza e bussarono. Non demmo alcuna risposta e, siccome la porta non aveva né serratura né chiavistello, abbassammo il saliscendi con le dita. Quindi, tornarono a bussare ed udimmo la padrona di casa dire: “Forse il servo che dorme qui ha portato la chiave con sé. Vado a cercarlo”. “In tal caso, veniamo con voi, essi risposero. Forse avete intenzione di nascondere qualcosa”. Senza stare a vedere se nella porta vi fosse una serratura, si allontanarono con la signora, giacché Dio “velò gli occhi degli Assiri affinché non scoprissero il posto e non nuocessero ai Suoi servi; e li condusse via, senza che sapessero dove”. Essi discesero la scala. Con grande presenza di spirito, la padrona li condusse in una stanza dove erano sedute due signore: la sorella della mia ospite (1) e Mrs. Line. Quando gli ufficiali cominciarono ad interrogarle, ella corse su per le scale verso di noi. “In fretta, disse. Presto, nel nascondiglio!”. Ebbe appena il tempo di proferire queste parole e di scendere di nuovo le scale, che i magistrati si accinsero a salire. Ella, però, si fermò sull'ultimo gradino. Tutto questo destò i sospetti dei perquisitori, che mostrarono di voler salire. Essi però non lo potevano fare senza scansare la signora con la violenza, per cui, essendo gentiluomini, se ne astennero. Uno dei perquisitori, tuttavia, allungò la testa oltre la spalla di lei, che se ne stava ritta in maniera da occupare tutta l'ampiezza della scala, per vedere quello che avveniva di sopra. Solo per poco questi non fece in tempo a scorgermi, mentre mi arrampicavo nel nascondiglio. Infatti, appena avevo udito le parole della signora, avevo aperto la porta della stanza, avevo afferrato silenziosamente uno sgabello e mi ero arrampicato nel nascondiglio che era costruito in un abbaino segreto del tetto. Quando fui su, feci cenno a John Lillie di seguirmi. Ma egli era più preoccupato della mia salvezza che della sua e si rifiutò. “Padre, bisbigliò, non posso venire. Non vi è nessuno che possa rispondere dei libri e delle carte che sono nella stanza, poiché essi cercano voi. Se non ne trovano il padrone, non si fermeranno finché non vi abbiano scova- to. Dite soltanto una preghiera per me”. Egli fu veramente un “servo fedele e prudente”, un uomo pieno di carità pronto a dare la vita per il suo amico. Accondiscesi con riluttanza e chiusi la porticina per cui ero entrato. Non riuscivo, invece, ad aprire la porta interna del nascondiglio e certamente mi avrebbero trovato, se non avessero preso John e, presumendo che fosse un prete, non avessero abbandonato le ricerche. Ciò fu quanto Dio si compiacque di disporre grazie alla saggia ed intrepida azione di John. Egli aveva avuto appena il tempo di ritirare lo sgabello, rientrare nella stanza e chiudere la porta, che due dei principali perquisitori salirono le scale e bussarono violentemente. Era chiaro che avrebbero abbattuto la porta, se non fossero riusciti a trovare la chiave. Perciò, questo magnanimo soldato di Cristo aprì e restò impavido davanti a loro. “Chi siete?”, gli chiesero. “Un uomo. Non lo vedete?” “Diteci chi siete. Siete prete?”. “Non ho alcuna intenzione di dirvi se sono prete, rispose. Spetta a voi provarlo. Comunque, sono cattolico”. Sul tavolo scorsero tutti gli appunti delle mie meditazioni, il mio breviario, diversi libri cattolici e, ciò che mi era più caro, i manoscritti e gli appunti delle prediche che ero venuto raccogliendo durante gli ultimi dieci anni. Questi mi erano più cari di qualsiasi altra cosa, certamente più di tutti gli oggetti preziosi che quegli uomini avessero potuto nascondere nei loro scrigni. “Di chi sono queste?”, chiesero quando videro tutte quelle carte. “Mie”, rispose John. “Allora dovete essere un prete. Di chi è questa talare?”. “È una semplice vestaglia che chiunque potrebbe usare”. Ormai si erano convinti che avevano trovato un prete. Riposero con cura tutti i libri e tutte le carte che c'erano nella stanza in una cassa che portarono via. Quindi sprangarono la porta della cappella e vi posero il loro sigillo. Infine, afferrarono John per il braccio, lo condussero giù per le scale e lo consegnarono ai loro uomini. Quando entrò nella stanza in cui erano le signore, quest'uomo ammirevole, che sapeva mantenere sempre il suo posto e che non stava mai a capo coperto in presenza di donne, le salutò entrambe, si tolse il cappello e si pose a sedere. Con fare autorevole si rivolse, quindi, ai due capi della perquisizione. “Queste sono gentildonne e voi dovete badare a trattarle bene. Non le co- nosco personalmente, ma è chiaro che si tratta di persone che meritano il nostro rispetto”. Quando le signore si accorsero che io ero al sicuro e che l'altro prete si era nascosto (Padre Pollen, un uomo anziano che era entrato nella Compagnia a Roma in tarda età: anch' egli aveva raggiunto un nascondiglio) e quando videro l'atteggiamento di gravità che John assumeva, a stento poterono contenere la loro soddisfazione. In quel momento non si curavano affatto della multa o della condanna cui andavano incontro per aver ospitato un prete. Esse erano meravigliate e divertite, e solo con difficoltà si trattennero dal ridere alla vista di John, il quale sosteneva così bene la parte del prete da trarre perfettamente in inganno quei maestri di dolo, che rinunciarono a cercare altri preti (2). Quindi i magistrati che avevano diretto la perquisizione portarono via “il prete John”, il padrone di casa, del quale speravano di poter confiscare tutte le proprietà, ed i due servi. Per quanto riguardava le signore, si disse semplicemente che erano venute dopo pranzo per vedere la padrona di casa e che non sapevano nulla di nessun prete. Esse furono lasciate indisturbate, tuttavia dovettero garantire che si sarebbero presentate, non appena ne fossero richieste. Mr. Roger Lee se la cavò allo stesso modo, sebbene avesse incontrato una maggior difficoltà a persuadere gli ufficiali che era soltanto un visitatore. Alla fine se ne andarono via soddisfatti. Il loro prigioniero fu rinchiuso per la notte, per essere interrogato il giorno seguente. Quando essi uscirono, la padrona di casa si precipitò su per le scale con le altre signore per darmene notizia. Tutti ringraziammo Dio per averci scampati da una cattura ormai certa e benedicemmo l'azione prudente del nostro servo. Quella stessa notte Padre Pollen ed io ci trasferimmo in un'altra casa. Temevamo che i perquisitori scoprissero che John non era affatto un prete e che ritornassero. Il giorno seguente mi affrettai a raggiungere i miei amici in campagna. Fu un lungo viaggio. Quando narrai loro l'accaduto, potei osservare come il timore rabbuiasse il loro volto, che poi gradatamente si rasserenò. Dal fondo del nostro cuore tutti raccomandammo John a Dio con fervide preghiere. Facemmo proprio bene. Il giorno seguente, infatti, gli ufficiali si accorsero di essere stati giocati. Essi scoprirono che John era stato farmacista a Londra per circa sette anni; che per altri otto o nove era stato imprigionato a Clink (3); e che era stato l'intermediario usato dal mio carceriere quando io ero nella Torre (essi avevano catturato la moglie del carceriere, dopo la fuga di questo, ed ella aveva confessato tutto quello che sapeva). Così si accorsero che John non era affatto un prete, ma il servo di un prete, proprio il mio. Allora compresero, quando ormai era troppo tardi, che io ero rimasto nascosto nella stessa casa. Come prova avevano le mie carte, perché non c'era alcun dubbio che fossero le mie. Essi tornarono a perquisire la casa, ma questa volta trovarono il nido deserto: gli uccelli erano volati. John fu portato nella Torre di Londra e gettato in catene. Quindi lo interrogarono sulla mia fuga e su tutti i luoghi che in seguito egli aveva visitato in mia compagnia, John si accorse che il segreto dei suoi rapporti col carceriere era ormai noto. Poiché aveva sempre desiderato, se gli fosse stato concesso, di dare la vita per Cristo, ammise francamente che egli stesso era stato l'organizzatore della mia fuga. Aggiunse che non provava il minimo rammarico per quanto aveva fatto; che anzi l'avrebbe fatto di nuovo, se il caso l'avesse richiesto. Scagionò, invece, il carceriere, protestando che quello non era al corrente della fuga. Quando fu interrogato sui luoghi che egli aveva visitato con me, rispose come gli era stato così spesso insegnato, che cioè non intendeva causare molestie a nessuno, perché menzionare una casa o una famiglia qualsiasi sarebbe stato un peccato contro la giustizia e contro la carità. Poiché erano certi che non avrebbe rivelato nulla, non esercitarono pressioni. Dissero soltanto che sarebbero passati all'azione e che avevano i mezzi per fargli rivelare tutto quello che desideravano sapere (4). “Mai, rispose John. Con l'aiuto di Dio non farò mai una cosa del genere. È vero che sono in vostro potere; ma voi potete farmi solo ciò che Dio vi permette”. Lo condussero nella stanza della tortura. Ivi lo appesero nella stessa maniera che io ho già descritto. Lo torturarono crudelmente per tre ore continue. Tuttavia non poterono strappargli una sola informazione né contro di me, né contro alcun altro. Persero quindi la speranza di indurlo ad implicare alcuno sia con la forza che con le minacce. Perciò, invece di torturarlo, tentarono di fiaccare la sua volontà fino alla sottomissione, relegandolo per tre o quattro mesi nella solitudine di una cella. Fallirono di nuovo. Questa volta, però, accettarono la sconfitta e lo trasferirono ad un'altra prigione: quella in cui solitamente si gettavano i prigionieri in attesa dell'esecuzione (5). Senza dubbio, essi intendevano sbarazzarsi di lui in quel modo, ma Dio aveva disposto diversamente. Restò lì per lungo tempo, tuttavia gli fu concessa una maggiore libertà e gli fu permesso di frequentare gli altri prigionieri cattolici. Un giorno gli si avvicinò un sacerdote che chiese il suo aiuto per fuggire. John si mise all'opera per studiare un piano e trovò la maniera di fuggire anche lui insieme al prete. Poiché si tratta di un avvenimento tipico in cui è evidente la Provvidenza di Dio, mi sento obbligato a narrarlo subito. Accadde quando John era nella Torre. Wade, il principale cacciatore di preti, lo stava interrogando intorno a me e ad altri gesuiti. Conosceva egli Garnet? “No”, fu la risposta di John. “No?”, rispose Wade con un ghigno cinico. “E non conoscete la casa che ha in un luogo chiamato Spital?”. E continuò: “Ora che vi abbiamo portato qui al sicuro, non ho alcun timore di dirvelo. Siamo assolutamente certi che tra pochi giorni trascineremo qui questo Garnet, perché vi faccia compagnia. Egli sta per venire a Londra. Andrà ad alloggiare in quella casa e lì lo acciufferemo”. John sapeva molto bene che Padre Garnet era solito alloggiare in quella casa e restò costernato nell'apprendere che il segreto era stato tradito. Comunque, nel volger di alcuni giorni riuscì a spedire un pacchetto ad un suo amico a Londra. Esso era avvolto in carta bianca e fu recapitato a dovere. Tutti i suoi amici sapevano che, se John ne avesse il destro, avrebbe inviato una lettera in quel modo. Lessero il messaggio in cui si diceva che la casa di Padre Garnet era stata tradita e si raccomandava di farlo subito avvertire. Ciò fu quel che fecero. Padre Garnet fu salvo, perché, come Wade aveva dichiarato, egli si sarebbe sicuramente recato in quella casa pochi giorni dopo. Perciò si tenne alla larga e riuscì a far trasferire da quel luogo tutte le sue cose; così che non fu trovato proprio nulla, quando la casa fu perquisita. Potete facilmente immaginare che retata avrebbero fatto: Padre Garnet in persona con tutti i suoi libri, i paramenti, gli arredi sacri e Dio sa che altro. Dopo la Provvidenza, tutto il merito di questo scampo fu di John. Egli salvò Padre Garnet, come prima aveva salvato me (6). Quando John fu di nuovo in libertà, venne a trovarmi. Sarei stato veramente felice di tenerlo con me, ma non osai. Ormai, egli era fin troppo noto e sarebbe stato fonte di continuo pericolo sia per i miei amici che per me. Infatti, ogni volta che andavo a visitare le case della nobiltà, vi andavo apertamente e John poteva facilmente imbattersi in persone che l'avrebbero potuto riconoscere e che, per il fatto che egli mi accompagnava, avrebbero potuto identificare anche me. Solo poche spie conoscevano i miei tratti (7), perché mi ero tenuto sempre molto appartato e solo una scelta schiera di cattolici fidati aveva parlato con me in prigione. È vero che ero stato interrogato diverse volte in pubblico, ma allora i miei interrogatori si recavano raramente in campagna. Se l'avessero fatto l'avrei risaputo ed avrei procurato di starmene al largo. Per un certo tempo, quindi, collocai John presso Padre Garnet, dove poté condurre in segreto una vita tranquilla. In seguito, quando mi si presentò l'occasione, lo inviai da Padre Persons, affinché potesse realizzare ciò che da tanto tempo sospirava: entrare nella Compagnia. Vi fu ammesso a Roma ed ivi visse come Fratello per sei o sette anni. Tutti lo tenevano in grande stima. Adesso anch'io, per la gloria di Dio, posso dare la mia personale testimonianza del suo carattere e lo posso fare liberamente, perché mi sembra ch'egli sia morto di recente in Inghilterra, dove era ritornato ormai affetto da etisia (8). Ciò che voglio dire è che durante quei cinque o sei anni in cui fu implicato, al mio servizio, in ogni sorta di affari, in luoghi vicini e lontani e con gente di ogni risma (poiché spesso quando io ero di sopra col padrone di casa e coi suoi amici, egli si intratteneva coi servi che in buona parte erano giocatori d'azzardo e simili), per tutto quel tempo circondò il suo cuore e la sua anima delle più grandi attenzioni. Egli non si trovò mai nel pericolo prossimo di peccato mortale. Sovente, nella confessione doveva menzionare qualche peccato veniale commesso molto tempo prima, perché. io potessi avere materia per l'assoluzione (9). Se esistono delle anime innocenti, egli appartenne alla loro schiera. Fu anche un uomo saggio e prudente. Ora che ho finito la storia di John Lillie, debbo ritornare alla mia. Ero appena scampato da questo pericolo, quando per poco non incappai in un altro ancora peggiore; e ci sarei certamente rimasto, se Dio non fosse intervenuto. Ho già narrato la storia di quel servo della mia ospite che ci aveva traditi, confidando ad un suo amico che io abitavo presso la sua padrona e che in quel momento mi trovavo a Londra nella tale casa. Ho narrato inoltre come fu perquisita la casa e come ne fu trascinato via il mio compagno con tutte le mie note. Infine ho descritto la mia fuga. Ora che il Consiglio conosceva la mia casa di campagna, si diede incarico ai giudici di pace della contea di effettuare una perquisizione in casa della signora per catturarmi. Già circolava per l'intera contea la voce, secondo cui la signora avrebbe preso quella splendida dimora, perché si trovava in un luogo remoto in cui avrebbe potuto alloggiare liberamente un gran numero di sacerdoti. La diceria aveva un certo fondamento. Fu proprio a quel tempo che ci trasferimmo nella nuova casa. Stavamo fa- cendo gli ultimi preparativi per una sistemazione definitiva. lo desideravo in special modo decidere subito dove collocare i nascondigli e per questo feci venire “Little John” (Padre Garnet ce lo prestò per l'occasione). Facemmo tutti i preparativi e lasciammo sul posto “Little John” e Hugh Sheldon, che poi doveva prendere a Roma il posto di Lillie, come domestico di Padre Persons. Questi due uomini dovevano allestire i nascondigli. Si erano dimostrati sempre fedelissimi e, di fatto, restarono le uniche due persone che, all'infuori di noi, sapevano dove fossero i nascondigli. Eccetto questi, tutti tornammo lo stesso giorno alla vecchia casa. La Provvidenza di Dio vegliava su di noi. Uno dei servi ci consigliò di prendere una strada diversa per il ritorno, adducendo che sarebbe stata più facile per la carrozza della signora. Fu veramente un consiglio felice quello che seguimmo. Se non lo avessimo seguito, i perquisitori sarebbero stati a casa il giorno seguente di primo mattino, sarebbero piombati su di noi alla sprovvista ed avrebbero sicuramente scovato la loro preda. La rotta ordinaria, quella che evitammo, passava per una cittadina (10) in cui i perquisitori erano in attesa e mi avrebbero certamente identificato. Poiché non ci videro passare, conclusero che stavamo per passare la notte nella nuova casa. Così, la prima cosa che fecero, il mattino seguente, fu di andarci. La casa era così grande che non riuscirono a circondarla completamente. E sebbene avessero condotto un nutrito plotone di uomini, non potevano sorvegliare tutte le uscite. “Little John” fuggì in salvo; catturarono, invece, Hugh Sheldon. Essi, però, non riuscirono a strappargli nulla, perciò lo gettarono in prigione ed in seguito lo trasferirono a Wisbeach. Di lì fu mandato in un' altra prigione insieme ad un folto gruppo di preti. Alla fine fu esiliato insieme a tutti questi (11). I giudici di pace compresero di esser stati beffati e conclusero che la signora doveva essere ritornata il giorno precedente. Ripartirono subito al galoppo e piombarono in casa all'ora di pranzo (12). Un portiere trascurato li fece entrare ed essi salirono nella sala da pranzo prima che ci accorgessimo del loro arrivo. Fortunatamente la padrona di casa era indisposta quel giorno e noi stavamo iniziando il pranzo nella mia stanza. (C'era con noi Mr. Roger Lee, che era venuto da Londra per finire gli Esercizi ivi interrotti. Non aspettava minimamente che Dio gli aveva preparato ben altri “esercizi”). Mi accorsi che erano entrati degli uomini, che si trovavano già nel salone e che avevano forzato la camera dove il barone stava mangiando da solo (13). (Quel giorno anche il ragazzo stava male). Allora compresi di quale visita si trattava. Afferrai in fretta tutto quello che desideravo nascondere e mi precipitai verso il nascondiglio con Padre Percy e Mr. Roger Lee. Se avessero trovato Roger avrebbero sospettato senz'altro la mia presenza, perché egli era con me nella casa di Londra, dove ero stato sorpreso. L'unica via per raggiungere il nascondiglio passava davanti alla porta della stanza in cui erano radunati i perquisitori. Li sentii gridare che intendevano cominciare la perquisizione senza indugio. Anzi, uno di loro sporse la testa oltre la porta per vedere chi stesse passando ed alcuni cattolici che erano nella stanza mi dissero in seguito che probabilmente egli mi aveva scorto. Ma Dio intervenne, perché come si può spiegare altrimenti? Essi stavano lì ad agitarsi ed a gridare che dovevano passare per compiere la perquisizione, e tuttavia si trattennero in un locale aperto proprio quanto fu necessario per consentirci di raggiungere il nascondiglio e di chiuderci al sicuro. Subito dopo si sparpagliarono come se fossero stati lasciati in libertà. Alcuni di essi irruppero nell'appartamento della signora, mentre gli altri penetrarono nelle stanze rimanenti. Senza dubbio ci fu il dito di Dio, che non volle far recidere alla radice il buon lavoro della signora. Anzi, mediante questa manifestazione della Sua Provvidenza, intese confermarla nel suo proposito e conservarla per un futuro ricco di attività e di belle realizzazioni. Essi cercarono per tutto il giorno senza trovare nulla. Quindi si allontanarono con le loro speranze deluse ed inviarono un rapporto al Consiglio. Intanto noi identificammo l'uomo che era responsabile di tutto ciò e lo licenziammo con belle maniere. lo feci sapere che avrei lasciato definitivamente la casa e per un certo tempo prendemmo delle precauzioni del tutto speciali. Un trasferimento qualsiasi nella nuova abitazione era ormai fuori questione. I giudici di pace della contea, che erano eretici rabbiosi, e altri puritani dichiararono che non avrebbero mai lasciato in pace la signora in quella casa (14). Sapevano che ella intendeva trasferircisi per avere un posto in cui poter ospitare i preti. Sebbene essi avessero impedito la manovra, ella non rinunciò al suo proposito e cominciò subito ad adattare la casa in cui allora si trovava (15). Costruì per noi dei quartierini separati vicino alla vecchia cappella, in cui gli antichi baroni solevano ascoltare la messa, quando il tempo piovoso impediva loro di recarsi alla chiesa del villaggio. Ivi fece edificare per me e per Padre Percy una costruzione di tre piani, progettata in maniera ideale e situata in un luogo appartato. Senza esser notati, potevamo passare dalle nostre stanze nel giardino privato e, attraverso ampi viali, inoltrarci nei campi, dove potevamo partire a cavallo per qualsiasi destinazione (16). Ora che la nostra vita era calma e indisturbata, lasciavo frequentemente a casa Padre Percy e andavo in giro nella speranza di stabilire centri con simili presso altre famiglie. Prima che lasciasse l'Inghilterra, Roger Lee, che adesso è diventato prete, mi fu di valido aiuto in questo lavoro. Prima di tutto, egli mi condusse in visita presso un suo parente, il cui padre era membro del Consiglio (17). Questo gentiluomo viveva in una residenza principesca. Egli era scismatico (era, cioè, cattolico per convinzione), ma non c'era nessuna speranza di convertirlo. Si accontentava del desiderio di essere cattolico e rifiutava di andare oltre per timore di offendere suo padre. La padrona di casa era protestante, ma si era già interessata alla fede cattolica e c'era la speranza che col tempo si convertisse (18). La casa poi era piena di protestanti ed era giornalmente frequentata da nobili protestanti, che venivano sia per affari che per visitare il padrone e la moglie. Poiché mi recavo lì pubblicamente, era necessario che tenessi segreta la ragione della mia visita. Al nostro arrivo fummo ricevuti con cortesia ed essi mi accolsero per riguardo al loro caro cugino. Il primo giorno non ebbi occasione di parlare in privato con la signora. Con lei c'era sempre qualcuno e noi dovemmo giocare a carte, passando le giornate proprio come gente che non conosce e non apprezza il valore del tempo. Ma il giorno successivo quando la signora, senza sospettare nulla, si appartò alla finestra della sala da pranzo per regolare il suo piccolo orologio, io la raggiunsi. Prima scambiai con lei alcune brevi parole sull'orologio, poi spostai l'argomento sullo stato dell'anima sua, cercando di convincerla a dedicare a questa maggiore attenzione che a qualsiasi altra cosa. Ella mi fissò stupita, perché io ero l'ultima persona al mondo, dalla quale si aspettasse un discorso del genere. Poiché non sapevo quando avrei avuto un'altra occasione, mi tolsi la maschera. Le dissi che l'unica ragione della mia visita era proprio lei e che ero pronto a risolvere all'istante tutti i suoi dubbi intorno alla fede e che dopo l'avrei istruita. In seguito l'avrei avviata per il sentiero della virtù e le avrei mostrato come fare continui progressi verso la perfezione; cose, queste, che ella non avrebbe mai scoperto in una falsa religione in cui non ci si preoccupa affatto della perfezione. Ella restò impressionata e promise di trovare il momento opportuno per una ulteriore discussione. Poiché era una donna singolarmente modesta e ricca di virtù morali, pensai bene di prospettarle un alto ideale. Fu stabilito il momento. Ella restò soddisfatta in tutti i problemi di fede e divenne cattolica. Dopo di lei, convertii altre persone nella casa; le raccomandai una dama di compagnia cattolica e, finalmente, le suggerii di mantenere costantemente un prete nella sua casa, poiché sarebbe stato facile sistemarlo. Non c'era bisogno di render nota a tutti la sua presenza, come avveniva nel mio caso, trovandomi in una comunità interamente cattolica. Un prete poteva abitare comodamente all'ultimo piano della casa e, dal momento che c'erano ormai dei servi cattolici, si potevano tener lontani da lui quelli protestanti. In realtà non avevo mai visto in tutta l'Inghilterra una casa in cui un prete potesse vivere in segreto con tanta facilità. Per lui c'era una bella stanza che comunicava con un corridoio di circa ottanta piedi di lunghezza. Questo, poi, dava sul giardino che era venuto a costare, secondo quanto ho inteso, diecimila fiorini. Nello stesso corridoio c'era un'altra grande stanza che poteva servire da cappella, oltre ad una terza che il prete poteva usare come sala da pranzo. Questa aveva le giuste dimensioni, un focolare e tutto quello che egli avrebbe potuto desiderare. Sarebbe stato un vero peccato, le feci rilevare, se non ci fosse stato un prete in una casa come quella, che aveva per padrona una cattolica devota e per padrone un uomo tanto cordiale da esser lieto di ospitare dei preti. Talvolta egli veniva alle mie prediche e, in seguito, giunse a preparare l'altare per la Messa ed a recitare quotidianamente il breviario. Tuttavia, rimase fuori dell'Arca e, se fosse caduto improvvisamente nelle acque, sarebbe stato inghiottito dal diluvio. Nella sua presunzione, si riteneva certo di aver il tempo di pentirsi prima della morte. La signora accettò in tutto la mia proposta di alloggiare un prete. Così, le presentai Padre Anthony Hoskins, un uomo abilissimo che di recente era giunto in Inghilterra dalla Spagna, dove con straordinari risultati aveva trascorso dieci anni per compiere i suoi studi di gesuita. Durante la sua permanenza egli fece molto bene ed in diverse direzioni. Rimase con questa famiglia fino a poco tempo fa, allorché fu chiamato per assumere un incarico importante. Ma egli era lontano dal trascorrere tutto il suo tempo nella casa, perché era il tipo che le persone vogliono rivedere e consultare, una volta che lo abbiano incontrato. Al suo posto hanno, adesso, un altro gesuita che è un uomo molto devoto; tuttavia il direttore della signora è ancora Padre Percy, il quale proprio questa settimana ha scritto dicendo: “Una tale (cioè la signora) sta facendo grandi progressi. Ha consacrato la sua famiglia e se stessa alla Madonna di Loreto, intendendo divenire serva sua e di suo Figlio ed offrendole per sempre se stessa e tutti i suoi averi. A ricordo di questa consacrazione, ella ha fatto modellare un cuore d'oro finemente lavorato ed è ansiosa di spedirlo a Loreto quanto prima. Vi sarei grato, se mi poteste suggerire il modo migliore e più sicuro per far recapitare questa sua offerta”. Così egli ha scritto di questa signora. In tal modo, con la grazia di Dio, è stata fondata e si è sviluppata questa casa con la sua chiesa privata. ___________________________________________________________ _ NOTE AL CAPITOLO XIX 1 Lady Mary Novel, sorella di Mrs. Vaux, fondò più tardi ad Anversa il primo convento delle carmelitane inglesi, che adesso si trova a Lanherne nella Cornovaglia. Quando sua sorella Elizabeth fu imprigionata, all'epoca della congiura delle polveri, ella si rivolse all'arciduca Alberto, per ottenere la sua intercessione presso Giacomo I per il rilascio della sorella. G. ANSTRUTHER, Vaux of Harrowden, p. 394. 2 John Lillie fu arrestato nel luglio 1599. Una lettera scritta a Londra il 22 luglio 1599 aiuta a stabilire la data di questo fatto. L'autore dice: “Ti scrissi di una delle case di Mr. Heywood, in cui ci fu una perquisizione e fu arrestato un uomo. Ho saputo che il suo nome è John Lillie. È stato mandato in prigione perché sospettato di aver aiutato il gesuita Gerard a fuggire da quella stessa casa”. S.P.D., voI. CCLXXI, n. 107. 3 John Lillie era stato mandato a Clink nel novembre 1592. C.R.S., vol. II, p.285. 4 Quando il Consiglio venne a conoscenza della fortezza dimostrata da John Lillie durante il suo interrogatorio, “diede ordine a Sir John Peyton di incatenarlo per scoprire i luoghi e le dimore di J. G.”. Peyton, comunque, rispose il 18 luglio: “lo, trovandolo così testardo nelle cose riguardanti la sua causa, ritengo veramente che il mezzo migliore per scoprire il loro compagno traditore è quello di prendere un po' di tempo per lavorarci sopra con uno dei miei servi, che io a bella posta gli ho messo accanto, e di risparmiargli la tortura per venti giorni, se ciò piacerà a vostro Onore. Questo Lillie è al corrente di tutti i loro piani e di tutti i loro complici ed è capace di scoprire tutto su chiunque di loro”. (Hat. Cal., vol. IX, p. 237). Si presume che Lillie sia stato torturato tre settimane dopo. 5 La prigione di Newgate. 6 Lo stesso fatto è narrato da Padre Oswald Tesimond, alias Greenway, nella narrazione del suo sbarco in Inghilterra. “Annoterò in breve i miei ricordi. Un giorno il luogotenente della Torre, un uomo molto crudele verso i cattolici ma specialmente ostile alla nostra Compagnia, gli chiese se conoscesse la casa di Padre Garnet, che era quella di Mrs. Anne Vaux e di sua sorella Mrs. Brooksby. Quando egli disse: "No", il luogotenente rispose: "Va bene, se tu non lo sai, noi sì, e ne siamo così sicuri che ci attendiamo di averlo presto nelle nostre mani. lo non ti avrei mai detto questo se tu non fossi un prigioniero innocuo, che non può assolutamente far sapere ciò né a Garnet né ad alcun altro". Egli allora pronunciò il nome del luogo e della casa, non essendo capace di contenere la gioia all'idea della sua rapida cattura”. (Troubles, I, pp. 179-180). Padre Tesimond prosegue a narrare come egli stesso fu salvato da un simile avvertimento che l'amico di J. G., Padre Roger Filcock, gli mandò dalla prigione. 7 Vi sono tre descrizioni di J. G., fatte da coloro che lo ricercavano. Vedi appendice I. 8 Questa dichiarazione indica la data del suo racconto. John Lillie parti da Roma per l'Inghilterra il 15 maggio 1609 e mori a Londra nel novembre successivo. Quindi, J. G. scrisse questa parte del suo libro alla fine di novembre oppure nel dicembre 1609. In precedenza egli si riferisce al martirio di Drury, avvenuto “due anni fa”. Drury fu ucciso il 26 febbraio 1607. 9 A quell'epoca, la disciplina del segreto confessionale era, per certi punti marginali, meno stretta di quanto sia diventata in seguito. Allora, si considerava legittimo che un confessore testimoniasse in termini generali dell'eccezionale virtù di un penitente. 10 Si trattava senza dubbio di Kettering, che si trova a metà cammino sulla strada che da Kirby Hall conduce ad Irthlingborough. 11 Hugh Sheldon fu trasferito da Wisbeach a Framlingham nel 1603 e fu poi esiliato con l'avvento di Giacomo 1. Sembra che sia stato di nuovo in Inghilterra nel 1606, perché Padre Blount si riferisce al suo arresto per contrabbando di libri cattolici nel paese. Egli fu a Roma nel 1608 e successe a Lillie come segretario di Padre Persons. FOLEY, VII, parte 2, p. 705. 12 Passarono probabilmente attraverso la campagna per Grafton Underwood e Burton Latimer. 13 Aveva allora dieci anni. 14 Il Northamptonshire fu fortemente puritano. Il suo capo era Edmund Snape, curato della chiesa di S. Pietro a Northampton. Costui causò frequenti discordie nel paese. Qualche tempo prima di questo incidente, Burghley aveva visitato questa contea per sedare i dissensi religiosi. The Puritans in Northamptonshire, in fascicolo British Museum, Lansdowne MSS, 64, fo1. 51. 15 Great Harrowden. 16 Della vecchia casa non resta che un bastione che forse faceva parte dell'ala di cui parla J. G. 17 Sir Francis, figlio di John Fortescue di Saulden, nel Buckinghamshire, che fu preposto al Grande Guardaroba della regina Elisabetta e che divenne cancelliere dello scacchiere a partire dal 1589. Sir John Fortescue era figlio di Adrian Fortescue, ucciso sotto Enrico VIII per aver rifiutato il giuramento di supremazia. Suo figlio, Sir Francis, era primo cugino di Roger Lee, essendo le loro madri Cecily ed Amelia tutt'e due figlie ed ereditiere di Sir Edmund Ashfield di Ewelme. (Visitations of Oxford, Harleian Society, vol. V, p. 168). Ciò che rimane di quel grande edificio elisabettiano a Salden, che ora è una fattoria, è descritto in Victoria County History of Buckinghamshire. 18 La moglie di sir Francis Fortescue, Grace, era fìglia di sir John Manners, secondogenito di Thomas, primo conte di Rutland. XX. PARTITA A CARTE CON SIR EVERARD Mr. Roger Lee mi presentò anche a diversi vicini, tra cui vi era un cavaliere della corte della regina (1). Quest'uomo aveva ereditato un grande patrimonio ed aveva sposato una donna che era unica erede delle proprietà paterne (2). In tutta la famiglia non c'era un solo cattolico, né una sola persona che fosse ben disposta verso il cattolicesimo. A quel tempo, infatti, il padre della signora, che era il capo di casa, era un protestante convinto ed il suo unico interesse era quello di ammassare danaro ed immobili per sua figlia. Suo genero dedicava tutto il suo tempo a divertimenti giovanili. Ogni qualvolta andava a Londra, frequentava la corte ed era uno dei gentiluomini pensionati della regina (3). Quando era a casa, non aveva altro interesse eccetto i suoi cani da caccia ed i suoi falchi. Mr. Roger Lee era un suo vicino (4) ed era, egli stesso, un appassionato di questi sport; spesso si univa a lui nella caccia, portando i suoi cani ed i suoi falchi. Approfittando di questa amicizia, Mr. Roger mi presentò in casa di questo signore come suo intimo amico. lo presi a frequentarla con assiduità ed approfittavo di ogni occasione che si presentava, per abbordare l'argomento della dottrina cattolica e della sua pratica. Per evitare i sospetti, facevo in modo che Mr. Lee conducesse per la maggior parte il discorso e che il suo entusiasmo fosse sempre più acceso del mio. Egli recitò così bene la sua parte che quel gentiluomo, ben lontano dall'indovinare chi fossi, gli domandò se io non potessi rappresentare un buon partito per sua sorella (5) . Voleva che ella sposasse un cattolico perché, egli asseriva, erano persone buone ed onorabili. Abbordammo frequentemente l'argomento della salvezza. Riuscimmo subito ad influenzare sua moglie quando restò sola a casa, durante un viaggio del marito a Londra. Ora che i suoi genitori erano morti ed ella era padrona di casa, potevamo parlarle con maggiore libertà. Un giorno, infine, ella manifestò il desiderio di farsi cattolica e si disse ansiosa di parlare quanto prima con un sacerdote. lo sorrisi dentro di me e le dissi che la cosa era possibile, promettendole di discuterne con Mr. Roger Lee. Frattanto dissi che le avrei prima insegnato il metodo di esaminare la sua coscienza, metodo che io stesso avevo appreso da alcuni sacerdoti di esperienza. Dissi, allora, a Mr. Roger Lee che la signora si era decisa ed era pronta a divenire cattolica, essendo suo unico desiderio quello di incontrarsi con un sacerdote. Perciò, lo pregai di rivelarle che io ero appunto un prete. Quando ne fu informata, ella stentò a crederlo, tanto grande fu il suo stu- pore. “Come può essere un prete, quello?”, protestò ella. “Egli vive come un cortigiano. Non l'avete visto giocare a carte con mio marito? E la maniera, poi, in cui gioca... Certo deve aver dedicato molto tempo al gioco. Inoltre, è stato a caccia con mio marito ed io stessa l'ho sentito parlare di caccia e di uccellagione senza errare una sola volta nell'uso dei termini. Nessuno potrebbe farlo cadere in fallo, se non conoscesse perfettamente tale sport”. Così andava obiettando e adduceva altre cose del genere nel tentativo di dimostrare che non potevo assolutamente essere un sacerdote. Mr. Lee, tuttavia, le spiegò: “È vero che parla e si comporta in questo modo. Ma, se non avesse agito così, come immaginate che avrebbe potuto frequentare questa casa, parlare con voi e portarvi lentamente alla fede? Se si fosse presentato qui vestito da prete - e vi posso assicurare che l'avrebbe preferito, se fosse stato possibile - pensate forse che voi l'avreste fatto entrare in casa, per tacere di vostro padre che allora era in vita?” (6). Fu costretta ad ammettere tutto ciò, tuttavia non voleva ancora crederci. Quindi continuò: “Vi prego di non irritarvi, se vi faccio una domanda. Quale altro cattolico, oltre voi, sa che egli è un prete? Lo sa il signor tal dei tali?”, e menzionò il nome. “Certo, le rispose. Anzi, si è confessato spesso con lui”. Quindi, dopo aver passato in rassegna diversi altri nomi, pronunciò quello della mia ospite (7), che abitava nello stesso distretto a circa dieci miglia di distanza. “E ditemi, proseguì, ella sa che lui è un prete, ed è contenta di averlo presso di sé?”. “Naturalmente, disse Mr. Roger Lee, lo sa. Anzi si è affidata con tutta la famiglia alla sua direzione e non desidererebbe aver nessun altro”. Alla fine ammise di essere soddisfatta. Allora Mr. Lee disse: “Voi stessa vedrete come sia una persona completamente diversa, quando abbandonerà la parte che sta recitando”. Il giorno seguente ella non ebbe difficoltà ad ammetterlo, quando mi vide in abiti sacerdotali, poiché non mi aveva mai visto vestito da prete. Fece la confessione con molta diligenza e si fece di me un concetto lusinghiero che non meritavo; quindi accettò in tutto la mia direzione e progettammo insieme grandi cose. Di fatto, ella le ha raggiunte e continua ancora a praticarle (8). Ciò fatto, ci riunimmo tutt'e tre a consiglio e cominciammo a studiare la maniera migliore per far cadere suo marito nella rete di S. Pietro. Ora accadde che suo marito si ammalò a Londra e la moglie decise di andarlo a visitare. Noi ci trovammo sul posto prima di lei. Questa malattia mi fornì proprio il pretesto che andavo cercando. Partendo dall'incertezza della vita umana e dalla certezza (a meno che non ce ne premunissimo) della sofferenza, sia in questo come nell'altro mondo, gli dimostrai che “non abbiamo quaggiù una dimora permanente” e che dobbiamo cercarne una celeste. Io lo trovai molto docile, perché la disgrazia fa sì che gli uomini ragionino seriamente. Questo signore, inoltre, era stato sempre un uomo di sani sentimenti e di buon cuore ed aveva gettato salde fondamenta per la fede. Io lo istruii ed egli si preparò diligentemente alla confessione. A differenza della moglie, non restò minimamente stupito quando gli fu detto che ero un prete. Già prima si era imbattuto in casi del genere. Anzi, fu lieto di avere un confessore che comprendesse degli uomini come lui, che fosse in grado di aiutarlo quando ne fosse richiesto e che si potesse mostrare in società senza pericolo che fosse scoperta la sua condizione sacerdotale (9). Quando feci tutto ciò che era necessario per lui, egli cominciò a preoccuparsi di sua moglie e ci pregò perché lo aiutassimo a conquistarla alla Chiesa. Sorridemmo tra noi, ma non gli rivelammo nulla. Volevamo attendere che ella giungesse per osservare come avrebbero tentato di convertirsi a vicenda.Essi furono una coppia felice e si dedicarono entrambi al servizio di Dio. Il marito, anzi, più tardi sacrificò tutta la sua proprietà, tutta la sua libertà e la sua stessa vita per la Chiesa di Dio. Ve ne narrerò in seguito la storia, poiché si tratta di sir Everard Digby. Se già non fosse stato scritto e pubblicato tanto su lui ed i suoi compagni, mi rimarrebbe molto da dire alla fine di questa narrazione. Comunque, nessun resoconto ha finora reso giustizia alla sincerità dei suoi intenti, né ha presentato tutte le circostanze, in maniera da rendergli il merito che gli è dovuto (10). Dopo questo incontro, essi mi fecero visita nella mia residenza di campagna. Tuttavia, mentre erano lì, sir Everard si aggravò in maniera preoccupante. La sua vita fu in pericolo e tutti i medici di Oxford affermarono che non potevano far nulla per lui. Poiché sembrava che gli sarebbe rimasto poco tempo di vita, egli cominciò a prepararsi seriamente per fare una buona morte, mentre sua moglie prese a disporre le sue cose per condurre una vita più perfetta. Ella passò diversi giorni a studiare, la maniera di meditare, cercando di scoprire quale fosse la volontà di Dio riguardo al suo avvenire, poiché desiderava consacrare la vita alla Sua maggiore glo- ria. In breve, ella aveva intenzione, qualora suo marito fosse morto, di dedicare la vita ad opere buone e di osservare una perpetua castità ed una perfetta obbedienza. Riguardo alle sue proprietà, che erano considerevoli poiché non aveva figli (11), le avrebbe devolute tutte ad opere pie sotto la mia direzione. Inoltre, ella era pronta ad andare a vivere dovunque ed in qualsiasi maniera le avessi suggerito, secondo che avessero richiesto l'onore di Dio ed il bene della sua anima. Era suo desiderio, affermava, andar vestita di poveri panni ed osservare una vera povertà, dovunque si fosse trovata e finché fosse durata la persecuzione. E se l'Inghilterra fosse divenuta di nuovo cattolica, ella avrebbe dato la sua casa (che era grande e ben costruita) e tutte le proprietà che suo padre le aveva lasciato per la fondazione di un istituto; il che sarebbe stato più che sufficiente per una splendida fondazione. Questi erano i suoi piani, ma felicemente Dio aveva altrimenti disposto per il momento. Tutti i medici di Oxford, come ho detto, definirono disperato il caso di Digby, ma io, che lo amavo moltissimo, non persi la speranza. Senza dirgli nulla, mandai a chiamare un dottore di Cambridge. Questi era un cattolico di molta dottrina e di grande esperienza, del quale sapevo per certo che aveva curato degli ammalati spacciati da altri medici (12). Quando egli giunse nella casa in cui stavano questo ottimo uomo e la moglie, gli riferii tutto quello che sapevo intorno alla malattia del paziente. Quindi, mi accertai che domandasse allo stesso Digby tutto quello che poteva dire delle proprie condizioni. Dopo di ciò, gli chiesi se, a suo giudizio, ci fosse qualche speranza. “Sì, rispose, se sir Everard è pronto ad abbandonarsi completamente nelle mie mani, potremmo ancora salvarlo con l'aiuto di Dio”. “Dal momento che il nostro reverendo conosce il dottore e lo ha fatto chiamare, mi affiderò a lui”. Contro le aspettative di tutti il medico lo curò e in maniera così completa che in seguito era difficile trovare tra mille un uomo più robusto e più sano. Egli rimase sempre mio fedelissimo amico, tanto che potevamo essere benissimo fratelli di sangue. Infatti, ci chiamavamo vicendevolmente “fratello”, quando conversavamo o tenevamo corrispondenza (13). Quale fosse il suo attaccamento per me si può facilmente dedurre dal seguente episodio. Una volta che mi ero recato in una certa casa per assistere un morente, gli giunse all'orecchio che mi trovavo in pericolo. Egli fu assalito subito da una grande inquietudine e disse alla moglie che, se mi avessero catturato, avrebbe presidiato tutte le strade lungo le quali mi avrebbero potuto condurre prigioniero a Londra e che avrebbe reclutato una schiera sufficiente di amici e di servi per strapparmi con la forza alle guardie. Se mi avesse mancato lungo la strada, mi avrebbe liberato in un modo o nell'altro, anche a rischio di spendere nel tentativo tutte le sue fortune. Tali erano i sentimenti che nutriva per me, né mai li ebbe a mutare sino alla fine. Anzi, il suo affetto andò crescendo, come dimostrò durante il suo processo, allorché parlò in mia difesa davanti alla Corte (14). Comunque, come ho detto, si era appena rimesso in salute e insieme alla moglie aveva allestito una piccola chiesa domestica simile a quella della casa in cui stavo. Fece approntare una cappella ed una sagrestia, che dotò di ricchi e bellissimi paramenti. Come cappellano accolse un sacerdote gesuita che restò in casa fino alla sua morte (15). Ciò che fece questa famiglia fu imitato anche da altre. Molti gentiluomini cattolici che avevano visitato questa casa ne ammirarono l'assetto e la presero come modello. Essi fondarono delle congregazioni accentrate attorno alle loro case, arredarono le loro cappelle e, dopo aver allestito un'abitazione atta a soddisfare le necessità di un sacerdote, ne accolsero uno con deferenza e rispetto (16). Tra gli altri che si regolarono in tal modo ci fu una signora che abitava vicino ad Oxford (17). Suo marito era cattolico, ma aveva interessi mondani. Tuttavia, finché glielo permetteva la situazione creata da un tal marito, ella si affidò alla mia direzione. Andavo spesso a visitarli ed entrambi mi accoglievano calorosamente. Quindi, vi mandai a lavorare uno dei nostri sacerdoti, Padre Edward Walpole, che ho menzionato all'inizio di questa narrazione, allorché dissi che durante il mio primo anno in Inghilterra egli rinunciò ad un grande patrimonio per seguire Cristo nostro Signore. C'era anche un'altra signora che desiderava fare lo stesso (18). Anch'ella viveva nell'Oxfordshire ed era sposata con un cavaliere, proprietario di beni ingenti, che sperava di diventare un giorno barone e che ancor oggi vive di tale speranza. Quando visitò la nostra casa, questa signora disse che desiderava apprendere la maniera di meditare ed io le insegnai come farlo. Suo marito, però, era protestante e, sebbene ne fosse molto desiderosa, ella non poteva mantenere un prete in casa sua. Perciò, prese disposizioni per mantenere un prete che la visitasse regolarmente durante le assenze del marito. Stabilì, inoltre, di dedicare giornalmente un'ora alla meditazione e, quando non avesse ospiti, un'altra ora e anche due alla lettura spirituale. Ogni sei mesi, poi, avrebbe fatto la confessione generale, prati- ca, questa, osservata da tutte le persone da me menzionate e anche da molte altre che sarebbe troppo lungo nominare individualmente. Ella veniva due volte all'anno a fare la sua confessione ed io notai che non tralasciò mai la sua ora giornaliera di meditazione, né il quotidiano esame di coscienza, eccetto in una occasione in cui suo marito insisté perché restasse con gli ospiti. Aveva, infatti, una grande casa che la teneva sempre indaffarata ed era raro che non avesse gente da ospitare. In questa casa una volta me ne stavo seduto insieme alla signora nella sala da pranzo dopo aver desinato. Con noi c'erano le sue cameriere, mentre i servi erano scesi per fare il loro pasto. Mentre stavamo seduti, discutevamo di argomenti spirituali. Improvvisamente alcuni servi annunziarono un ospite che era appena arrivato. Questi era un dottore di teologia di Oxford ed un ben noto persecutore dei cattolici di nome Abbot (19). Proprio di recente aveva pubblicato un libro contro Padre Southwell, che era stato ucciso, e contro Padre Gerard, che era fuggito dalla Torre. Questi due preti avevano difeso la dottrina dell'equivoco che egli si era accinto a confutare. Dopo la pubblicazione dell'opera quest'uomo valente fu promosso Decano di Winchester, il che gli procurava un reddito annuo di ottomila fiorini. Il gentiluomo, come dissi, fu accompagnato al piano superiore ed entrò nella sala da pranzo (20). Secondo il costume di questi dignitari, indossava una toga di seta che gli giungeva alle ginocchia. Ci trovò, o pensò di trovarci, intenti a giocare a carte. In realtà, noi le avevamo messe da parte, per occuparci di cose migliori, non appena i servi si erano allontanati; le avevamo riprese, quando fu annunziato il signore. Così, ci trovò seduti ad un tavolo da gioco colmo di danaro. Debbo spiegare che quando mi trovavo con cattolici e dovevamo inscenare una partita in circostanze come la presente, eravamo d'accordo che alla fine ciascuno avrebbe riottenuto il proprio denaro e che il perdente avrebbe recitato un' Ave Maria per ogni gettone riacquistato. In questa maniera giocavo spesso con mio fratello Digby e con altri, quando le circostanze ci consigliavano di recitare la nostra parte e di far credere agli astanti che giocavamo a soldi e non per puro svago. Il nostro teologo, quindi, non ebbe il minimo sospetto. Dopo uno scambio di cortesie, cominciò a parlare volubilmente. È tutto quello che tali uomini possono fare. Essi non hanno una solida formazione, ma con le loro parole persuasive piene di umana sapienza seducono le povere anime e “sovvertono intere famiglie, insegnando quello che non dovrebbero”. Poi, dopo un considerevole susseguirsi di frivoli discorsi, quest'uomo passò a riferire le ultime notizie di Londra. Narrò tra l'altro la storia di un puritano che si era precipitato dal campanile di una chiesa, lasciando scritta una nota nella quale affermava di essere certo della sua eterna salvezza. Il dottore non fece menzione di questo ultimo particolare, che io, però, avevo appreso da altra fonte (21). “Pover'uomo, dissi. Che cosa può averlo spinto a distruggere con un solo atto insano il suo corpo e la sua anima.”. “Signore”, rispose il dottore con fare saputo e magistrale. “Signore, non sta a noi emettere un giudizio su alcuno” . “Proprio così, ribattei. È possibile, naturalmente, che l'uomo si sia pentito del suo peccato mentre cadeva inter pontem et fontem, come si suol dire. Ma è molto improbabile. L'ultima azione di quest'uomo, che noi siamo in grado di giudicare, fu un peccato mortale che è meritevole di dannazione”. “Ma noi non sappiamo se la cosa costituisce un tale peccato”, incalzò il dottore. “Chiedo venia, risposi, ma in questo caso non si tratta del nostro giudizio. Qui è questione del giudizio di Dio: Egli ci proibisce sotto pena dell'inferno di uccidere chiunque e, particolarmente, noi stessi, giacché la carità comincia da noi stessi”. Il buon dottore restò interdetto. Non aggiunse altro sull'argomento, ma cambiando discorso disse con un sorriso: “I gentiluomini non dovrebbero disputare su questioni teologiche”. “D'accordo, risposi. Naturalmente noi non pretendiamo di conoscere la teologia, ma dovremmo almeno conoscere la legge di Dio, anche se la nostra professione è quella di giocare alle carte” (22). Quando la signora con la quale stavo giocando udì questa risposta, riuscì a stento a restar seria. Che cosa avrebbe pensato se avesse saputo con chi stava parlando? Ma il dottore non si trattenne più a lungo. Non so se egli partì prima di quanto avesse desiderato; posso dire, invece, che noi ce ne rallegrammo (23). ___________________________________________________________ _ NOTE AL CAPITOLO XX 1 Sir Everard Digby. Discendeva da un'antica famiglia del Rutlandshire, associata a Stoke Dry, piccolo villaggio ad ovest della strada che porta da Kettering a Uppingham. Oggi non resta nulla della sua casa. In Narrative of the Gunpowder Plot, J. G. scrive che egli era “l'uomo più compito del regno in tutte le cose che meritano stima”. Nel 1596, quando aveva solo sedici anni, sposò Mary Mulshaw, una ragazza di appena quindici anni, il cui padre aveva costruito la grande casa signorile di Gothurst (ora Gayhurst) nel nord del Buckinghamshire. Questa esiste ancora ed è uno dei più begli esempi dell'architettura domestica della fine del secolo decimosesto. 2 Mary Mulshaw di Gayhurst, nel Buckinghamshire settentrionale. 3 “Egli confessa di essere stato per sei anni pensionato della regina Elisabetta e di aver prestato giuramento per appartenere a tale corpo ed a nient'altro”. Dall'interrogatorio di Sir E. Digby, C.S.P.D., James I, Gunpowder Plot Book, parte II, n. 135. 4 A Pitstone, sette miglia ad est di Aylesbury, nel Buckinghamshire. 5 Questa sorella, Magdalen, entrò nel convento delle benedettine a Bruxelles il 5 luglio 1608. Morì nel 1659. C.R.S., vol. XIV, p. 180. 6 William Mulshaw deve essere morto prima dell'autunno 1600, perché Roger Lee entrò in noviziato a Roma nell'ottobre di quell'anno. 7 Probabilmente la madre di Roger Lee che stava a Pitstone. Harrowden, la dimora di Mrs. Vaux, si trovava a poco più di dieci miglia da Gayhurst. 8 A causa della partecipazione di suo marito alla congiura delle polveri, a Lady Digby fu interdetta l'educazione dei suoi due figli, i futuri sir Kenelm e sir John Digby. Sopravvisse al marito per quasi cinquant'anni. Holy Oaks, la casa di suo marito a Stoke Dry, lasciata da lei in eredità nel 1645, era ancora sotto sequestro per il suo nonconformismo nel 1653, anno della sua morte. Victoria County History of Rutland, vol. II, p. 223. 9 A quel tempo, William Atkinson, non essendo riuscito a pescare J. G. a Londra, spiava le sue mosse in campagna ed inviava i suoi rapporti a Cecil. Verso il 1602 gli scriveva: “Si riferisce con molta verisimiglianza che Mr. John Gerard, Fisher [Padre Percy] e Litstar [Padre Lister] vogliano partecipare ad una caccia a Beskwood Park, perché non molto tempo fa essi erano con Mrs. Griffin di Dingley ed avevano deciso di recarsi presso lady Markbam, moglie di sir Griffin Markbam, e parimenti Francis Tresham, il giovane Vaux figlio ed erede di Mr. Griffin, li doveva accompagnare”. Beskwood Park era una riserva reale la cui sorveglianza era affidata a sir Griffin Markbam. Hat. Cal., XII, p. 229. 10 In Narrative of the Gunpowder Plot, J. G. tratteggiò con grande ammirazione il carattere di sir Everard Digby. “Egli fu molto compianto da tutti, conclude J. G., ed è ancora stimato e lodato da tutti in Inghilterra, tanto dai cattolici che dagli altri, sebbene nessuno approvi quell'ultimo oltraggioso ed esorbitante attentato contro il re e la patria, nel quale un uomo peraltro tanto degno fu cosi indegnamente coinvolto e perduto, ac- cusando un grande dolore a tutti quelli che lo conoscevano e specialmente a quelli che lo amavano”. Narrative, p. 90. 11 Il suo primo figlio, il celebre sir Kenelm Digby, nacque più tardi, 1'11 luglio 1603. 12 L'uomo al quale si riferisce questa descrizione è il famoso medico George Turner. Aveva studiato a Cambridge ed a Padova e, sebbene fosse conosciuto come cattolico, fu eletto membro del collegio dei medici il 12 agosto 1602, per raccomandazione di sir Robert Cecil, che dalla corte di Oakland scrisse al presidente, dichiarando che era irreprensibile se si astraeva dalla “sua retrività in fatto di religione, in cui peraltro non è assolutamente colpevole né di malizia né di avversione allo Stato; quindi può ricevere questo favore in considerazione del fatto che sul luogo egli è molto stimato per la sua scienza e per la sua pratica da diversi nobili e da altri oltre che da sua stessa Maestà”. Egli mori il 10 marzo 1610. COOPER, Athen. Cantab., vol. II, pp. 526-527. 13 Nelle lettere che sir Everard Digby scrisse alla moglie durante la sua prigionia nella Torre, ci sono molti messaggi per J. G., al quale egli si rivolge sempre come a “Fratello”. Per esempio: “Ringrazia tanto mio fratello per il suo dolce conforto ed assicuralo che ora desidero la morte”. PHILIP SIDNEY, A History of the Gunpowder Plot, p. 127. 14 Non c'è una relazione completa del discorso di sir Everard Digby al suo processo, ma dalle lettere inviate alla moglie non c'è dubbio circa la sua intenzione di parlare in difesa di J. G. Ad esempio: “Qualunque cosa possa fare per lui [J. G.] o per chiunque dei suoi, la farò a qualsiasi costo; finora non ho fatto molto, perché posso fare di più in pubblico, il che ritengo sia la cosa migliore”. PHILIP SIDNEY, A History of the Gunpowder Plot, p. 130. 15 Padre Percy. All'epoca della congiura delle polveri le case di sir Everard furono saccheggiate: a Gothurst si trovò un paio di ferri da ostie ed a Stoke Dry il suo calice valutato 6 scellini ed 8 pence. P.R.O. Exchequer (Various), 178-3574. 16 J. G. non sta qui a pensare al conforto personale di un prete. Dietro la sua concisa dichiarazione c'è evidentemente l'idea che il successo dello sforzo di un missionario dipende dall'eroica cooperazione di un laicato che sia pronto a dare la priorità ai bisogni del sacerdote nella stessa disposizione delle case. Secondo tale prospettiva, le case dei fedeli erano considerate soprattutto come la base da cui il prete poteva operare. Quindi, una cura speciale doveva essere dedicata al luogo della cappella e alle stanze del prete. Ci doveva essere un elaborato sistema di nascondigli in tutte le parti della casa senza alcuna considerazione né della convenienza né dell'intimità degli occupanti; come pure ci doveva essere un facile accesso all'aperta campagna nel caso di un'improvvisa irruzione. Ci si aspettava che i laici presentassero i preti alla società del vicinato, e tutti insieme cooperassero intimamente al ministero sacerdotale. 17 Waterperry, a sette miglia ad est di Oxford, fu per alcuni secoli la dimora della famiglia Curzon, e per lungo tempo un centro della missione gesuita. Clare, figlia di sir Francis Curzon di Waterperry, entrò nel convento delle benedettine a Bruxelles. C.R.S., vol. XIV, p. 178, 181. 18 Lady Agnes Wenman di Thame Park, a dodici miglia ad est di Oxford. Agnes Wenman era figlia di George Fermor di East Neston nel Northamptonshire. Era una lontana parente della famiglia Vaux, poiché sua nonna era Maud, figlia di lord Nicholas Vaux. Sembra che fosse un'amica intima di Elizabeth Vaux e che, all'epoca della congiura delle polveri, tanto lei che suo marito fossero stati sospettati di complicità. Sir Richard Wenman ricevette nel 1596 il titolo di cavaliere per le sue gesta a Cadice e, molto tempo dopo che J. G. aveva scritto l'autobiografia, egli vide realizzata la sua aspirazione, essendo insignito nel 1628 del titolo di Pari d'Irlanda col titolo di barone e visconte Wenman. Thame Park era un'antica proprietà cistercense. Nella cappella costruita da Robert King, l'ultimo abate cistercense di Thame, ci sono le tombe della famiglia, in una delle quali giace Padre Bernard Stafford (morto 1'11 giugno 1788), l'ultimo gesuita che servi come cappellano nella famiglia. STAPLITON, Oxfordshire Missions, p. 251. 19 Costui era George Abbot, più tardi arcivescovo di Canterbury. Era figlio di un tessitore di stoffe di Guildford e fu perseguitato sotto Mary Tudor perché era un fanatico protestante. Ciò potrebbe spiegare perché fosse “persecutore dei cattolici”. “Essi (i non conformisti) possono aspettarsi poca pietà quando il vescovo metropolita fa da mediatore”, scrisse il conte di Northampton nel 1612 riguardo ad alcuni prigionieri cattolici. All'epoca del suo incontro con J. G. a Thame Park, Abbot era professore nell'University College e lettore di Sacra Scrittura ad Oxford. “Aveva rigidi principi di dottrina puritana e le sue idee, racchiuse in orizzonti pericolosamente angusti, trassero dal suo carattere abitualmente triste e tenebroso un aspetto fanatico” (D.N.B., I, p. 6). Più tardi, nel 1599, divenne Decano di Winchester, vescovo di Lichfield (1609), di Londra (1610) e infine arcivescovo di Canterbury (1611). Nel 1621, durante una battuta di caccia nel Hampshire ebbe la sfortuna di uccidere un battitore con una freccia scoccata contro un daino. Il diritto canonico stabiliva che un prelato che avesse commesso omicidio incorreva in una “irregolarità”, che lo rendeva incapace di esercitare la giurisdizione. Tre vescovi eletti si rifiutarono di essere da lui consacrati e la sua “questione teologica” divenne, come egli stesso disse, argomento di discussione dei laici e “tornò a gioia dei papisti e ad ingiuria dei puritani”. D.N.B., I, p. 5. DAVID MATHEW, The Jacobean Age, pp. 111-113. 20 Se J. G. avesse letto il libro di ABBOT, Sex Quaestiones, di cui parla, avrebbe apprezzato l'ironia della situazione. Prima di iniziare la confutazione della dottrina di J. G. in merito all'equivoco, Abbot scrive: “Gerard, come noi tutti riteniamo, è ancora in vita. Solo alcuni mesi fa egli si è abilmente sottratto alla cattività. Egli può risponder di persona, se io altero minimamente le sue parole”. Sex Quaestiones, p. 5. 21 Dorrington, ricco puritano, si gettò dal campanile di San Sepolcro 1'11 aprile 1600. Gli si trovò addosso uno scritto in cui si leggeva: “Signore, salva l'anima mia, ed io loderò il tuo nome”. G. B. HARRISON, Last Elizabethan Journal, p. 77; citato da Sidney Papers, II, 187. 22 Dorrington aveva lavorato come procuratore ed aveva ricoperto una carica alla corte dello scacchiere. Si diceva che fosse stato cognato di sir Francis Walsingham (COOPER, Athen. Cantab., vol. II, p. 164). Una copia della nota che egli lasciò è conservata nella biblioteca di Keswich Hall nel Norfolk. Sembra che si fosse gettato dal campanile della chiesa del Santo Sepolcro, la mattina in cui si doveva aprire un processo contro di lui nella Star Chamber. Hist. MSS, Commission, XII Report, Appendix, Part IX, p. 145. 23 Il profondo affetto di J. G. per Southwell e Garnet probabilmente fece sì che egli non fosse tenero nei suoi rimproveri. All'epoca di questa conversazione, J. G. conosceva Abbot soltanto per un attacco di quest'ultimo a Southwell e, all'epoca in cui scriveva (1609), per un attacco contro la memoria di Garnet che egli aveva descritto come uno “sciocco ubriacone”. Né prima né dopo, J. G. si scomodò per sapere che cosa Abbot avesse detto di lui in una conferenza tenuta ad Oxford nell'autunno del 1597 e pubblicata l'anno seguente. XXI. AMICI A CORTE 1599-1605 È ora di tornare agli avvenimenti londinesi, per narrare quanto accadde dopo la cattura di John Lillie e l'imprigionamento di quel gentiluomo che aveva preso in affitto la casa insieme a me per i bisogni miei e per quelli dei miei amici. Poiché non potevo tenerla più a lungo, cominciai a cercarne un'altra. La trovai e la presi in affitto. Ma una coabitazione era ormai da escludere, poiché non volevo abitare nella casa di chiunque fosse conosciuto come cattolico. Così feci in modo che la locazione fosse intestata al nipote di Mr. Roger Lee, che io avevo accolto nella Chiesa insieme a sua moglie (1). La gente non sapeva che egli era cattolico e, di conseguenza, la casa era al sicuro da ogni sospetto. La usai per tre anni e per tutto quel tempo essa non fu oggetto di una sola perquisizione. Perfino durante l'ondata di persecuzione che si abbatté prima della morte della regina, allorché le prigioni si affollarono di cattolici, nessuno le si avvicinò. Per tenerla impiegai uno scismatico, un uomo buono ed onesto. Quando ero in casa egli attendeva alle mie necessità; e quando ero fuori, riceveva le mie istruzioni per posta. Agli occhi della gente egli appariva come il servo del gentiluomo che aveva preso in affitto la casa, e tale appariva anche ai vicini. Essendo uno scismatico, egli frequentava la loro chiesa; perciò non destava alcun sospetto né sulla sua persona, né sulla casa. Comunque, quando tornavo in città, entravo in casa sempre di notte e durante i mesi estivi uscivo raramente. I miei amici erano soliti visitarmi sia singolarmente che a due a due, alcuni un giorno altri un altro, poiché non desideravo che una folla di visitatori attirasse l'attenzione della casa. Nessuno veniva accompagnato da servi, anche se si trattava di persone di rango che erano abituate a camminare con numerosi domestici. Sia per loro che per me era meglio agire in tal modo, perché mi era possibile continuare così molto più a lungo (2). Fu da questa casa che, non molto tempo dopo, Mr. Lee e tre altre persone partirono per il noviziato (3). Adesso sono tutti sacerdoti e svolgono una grande attività nella Compagnia. L'unica persona che per il momento non è attiva è Padre Strange, che si trova prigioniero nella Torre, dove ha sofferto la crudele tortura ed ha trascorso un periodo di rigorosa segregazione. Naturalmente egli deve trovare dura e deprimente questa solitudine; ma non è mai solo l'uomo che ha Dio per compagno per consolarlo e per compensare abbondantemente la mancanza di quei conforti che noi andiamo cercando nelle cose create. Quando ero prigioniero a Clink, Padre Strange era solito visitarmi. Egli era cattolico prima che io l'incontrassi, e mi accorsi subito che era un giovane interessante e pieno di talenti; inoltre era figlio unico ed erede di un grande patrimonio. Dal momento che poteva muoversi a suo agio in buona compagnia, lo indussi a venire spesso a visitarmi. Alla fine fece gli Esercizi Spirituali, nel corso dei quali si convinse che era suo dovere seguire Nostro Signore Gesù Cristo ed entrare nella Compagnia. Ma finché non avesse preso le disposizioni necessarie (egli doveva vendere le sue proprietà), lo sistemai in casa di Padre Garnet, in maniera che non perdesse l'ideale che aveva concepito, anzi lo rafforzasse. Rimase presso Padre Garnet per circa due anni; finalmente riuscì a districarsi dai suoi impegni temporali. Quindi recise, per così dire, gli ultimi legami che assicuravano la sua barca alle prode inglesi e passò nel continente, divenendo un uomo libero (4). Prima di partire, egli mi presentò ad un suo amico, l'attuale Padre Hart (5). Anch'egli era figlio unico; suo padre, uomo facoltoso, pare che sia ancora vivo. Sebbene non gli avessi dettato gli Esercizi, potevo vederlo di tanto in tanto (ciò fu dopo la mia fuga) e, al posto degli Esercizi, gli insegnai il metodo della meditazione quotidiana. Inoltre gli diedi da leggere alcuni libri devoti tra i quali P. Girolamo Platus. Queste letture destarono in lui il desiderio della vita religiosa e della Compagnia. Adesso lavora nella missione inglese e si muove a suo agio nella buona società, alla quale era abituato prima di abbandonare il mondo. Il terzo fu l'attuale Padre Thomas Smith che è stato a St. Omers durante gli ultimi due anni. Egli si era laureato in lettere ad Oxford e, quando lo incontrai per la prima volta, era precettore del giovane barone, figlio della mia ospite (6); perciò avevo molte occasioni per parlare con lui. Tuttavia egli era uno scismatico e mi accorsi di non poter far nulla con lui, neanche turbare quell'atteggiamento soddisfatto del suo spirito. Era proprio il tipo che può a ragione dire col profeta: “Il mio ventre aderisce alla terra”. Come tutti abbiamo sperimentato, persone del genere si lasciano scuotere più difficilmente degli stessi eretici. Tuttavia conversava spesso con me e frequentava le mie pubbliche istruzioni. Ma egli giaceva come addormentato in un sonno profondo, quasi in letargo; si avvertiva quasi la resistenza dell'uomo forte, armato per difendere la tranquillità della sua casa. Ma alla fine giunse uno più forte di lui che lo sconfisse e lo spogliò e lo avvinse, impadronendosi delle sue opere di difesa. Questo guerriero, che ebbe ragione di lui, fu il fanciullo che ci è stato donato. Proprio la notte di Natale (7), mentre noi tutti e la servitù quasi al completo eravamo radunati per celebrare la nascita del Signore, egli se ne stava a letto. Ma non poteva dormire e cominciò a sentire un senso di vergogna quando prese a riflettere che i tre ragazzi (8) ai quali insegnava erano in piedi a cantare le lodi del Signore e che, con la loro condotta, gli stavano impartendo una tacita lezione che avrebbe dovuto dare a loro. Destato dal sonno dalle grida del divino Infante, cominciò a considerare tutto il tempo da lui sciupato, mentre fanciulli ed ignoranti si affollavano davanti a lui sulla strada del Regno. Fu assalito da un tremito. Si irritò del suo ritardo, saltò dal letto, scese immediatamente in cappella e bussò. Chiese di vedermi subito. Siccome ero occupato, gli feci dire dal messaggero di rimandare la cosa al mattino, quando sarei stato lieto di parlargli. Ma non fu soddisfatto. Disse che doveva parlarmi subito, perciò gli feci riferire di pazientare un po'. Quando finii il mattutino, andai ad incontrarlo così come mi trovavo, rivestito ancora del camice. Appena mi vide, si gettò ai miei piedi. “Padre, mi disse in lacrime, per amor di Dio, vi prego di ascoltare la mia confessione”. Meravigliato del cambiamento che si era prodotto in lui, gli dissi di calmare il suo spirito e gli assicurai che lo avrei ascoltato a tempo conveniente, perché doveva pensare per prima cosa a prepararsi bene. “Padre, rispose, ho indugiato già troppo tempo. Per amor di Dio non mi dite di rimandare ancora”. “Avete ragione, dissi. È necessario agire subito. Ma una cosa è posporre la vostra confessione, un'altra è prendere il tempo necessario per la preparazione. Se non vi preparate e non esaminate attentamente la vostra coscienza, dal momento che nulla ve lo impedisce, a nulla gioverebbe la vostra confessione e la mia assoluzione”. “E se io muoio nel frattempo?”, egli insistette. “In tal caso, dissi, risponderò io per voi davanti a Dio. Adesso andate e destate nel vostro cuore un vero dolore per aver offeso un Dio così buono”. Egli si lasciò convincere, ma era ancora in lacrime quando mi lasciò. Dopo alcuni giorni impiegati in un attento esame di coscienza, divenne cattolico e si unì a noi per celebrare gli ultimi giorni della solennità di cui aveva omesso il primo. Queste tre persone partirono per il Belgio con Mr. Lee. Di lì si portarono a Roma per fare il noviziato a Sant' Andrea, ad eccezione di Padre Rart. Questi li raggiunse più tardi; ma alcuni affari particolari lo riportarono prima degli altri in Inghilterra, dove si trova ancora impegnato in un lavoro proficuo. Durante le mie visite a Londra, non permettevo che venissero in casa mia tutti quelli con i quali ritenevo opportuno un incontro. Alcune volte mi recavo io stesso nelle loro abitazioni, specialmente di notte e durante il periodo invernale. Una volta una signora mi chiamò in casa sua per ascoltare la confessione di un gentiluomo che frequentava la corte. Questi era stretto amico di suo marito, che era anch'egli cattolico e che io conoscevo molto bene. Sebbene fosse ancor giovanissimo, questi era uno dei principali condottieri della guerra irlandese (9). Il cortigiano che egli mi portò a visitare era un barone che adesso, mentre scrivo, ha ereditato il titolo di conte alla morte del padre (10). Questo giovane barone desiderava confessarsi. Poiché non lo avevo mai incontrato prima, io cominciai, come ero solito fare, col domandargli se si fosse preparato. “Sì”, rispose. “Vi accostate spesso ai sacramenti?”. “Due o tre volte all'anno”. “Sarebbe meglio, dissi, se li riceveste più spesso. Allora non avreste bisogno di prepararvi così attentamente. Stando così le cose, vi consiglio di impiegare alcuni giorni a fare un buono ed attento esame di coscienza, come vi mostrerò. Così quando verrete per la confessione, ne trarrete maggior beneficio ed entrambi saremo soddisfatti. Per il futuro vi pregherei di accostarvi con maggiore frequenza ai sacramenti”. Quindi gli elencai le ragioni per le quali doveva regolarsi in tal modo. Egli mi ascoltò molto pazientemente. Quando terminai, egli disse: “Farò volentieri quanto mi suggerite, ma la prossima volta. Per adesso non mi è assolutamente possibile rimandare oltre la confessione”. “Perché?”, gli chiesi. “Domani mi troverò in pericolo di morte, perciò voglio fare adesso i miei preparativi”. “Che cosa intendete dire?”, gli domandai. “Sono stato offeso a corte da un gentiluomo, rispose, ed in maniera da non poter passarci sopra. L'onore mi obbliga a sfidarlo a duello. Ci scontreremo domani in un posto fuori città”. “Cielo! esclamai. Non sapete che cosa significhi ricevere i sacramenti in questo stato? Non è questo il modo di prepararsi ad affrontare il pericolo; non potete mettere a posto la vostra coscienza, in questa maniera. Certo posso pensare che foste in buona fede quando vi siete proposto di confessarvi. Ma così facendo, ecciterete ancor più lo sdegno di Dio e vi allontanerete maggiormente da Lui. I sacramenti non possono avere effetto alcuno, se vi, accostate alla confessione col proponimento di vendicarvi. Inoltre, la cosa che vi siete ripromesso di attuare non solo è peccato in se stessa, ma vi espone alla scomunica. Vi supplico a scacciare questa idea dalla mente. Ci deve essere qualche altra maniera per difendere il vostro buon nome. Se è il vostro onore che volete tutelare, non è questa la strada da seguire. Ciò che in realtà volete difendere è il vostro buon nome nell'opinione degli uomini che non contano per nulla, poiché questa è gente che antepone la propria posizione nel mondo all'onore ed al beneplacito di Dio”. “Ormai non mi posso ritirare, rispose quegli. Troppe persone lo hanno udito. Anche la regina lo sa; ella ha comandato espressamente che non passiamo ai fatti”. “Tanto meglio, ribattei. Quale più valida ragione potreste addurre, per revocare tutto, che l'obbedienza agli ordini della regina? Inoltre, voi siete conosciuto come intimo amico del conte di Essex, che adesso è caduto in disgrazia presso di lei (11). Se sconfiggete il vostro avversario, la regina per ferire il vostro amico conte di Essex, certamente vi punirà per aver frustrato i suoi desideri. Se lo uccidete, ella vi toglierà la vita per la stessa ragione. D'altra parte, se perdete, allora nella vergogna della sconfitta resterete privo dell'onore che adesso vi accingete a difendere. Ma, ciò che più conta, se voi siete ucciso nell'atto stesso di eseguire la vostra vendetta, cadrete in perpetua vergogna e piomberete nel castigo eterno. E mentre vi schermite dalle stoccate che il vostro avversario cerca di portare al vostro corpo, ad ogni passo il demonio cercherà di confiscare fino alla guardia la sua spada nella vostra anima”. Nonostante tutto, il rispetto umano ebbe il sopravvento giacché, dato il suo impegno, era quello che lo influenzava Perciò rispose: “Padre, vi supplico di pregare per me e, se lo potete, di ascoltare la mia confessione”. “Questa è fuori questione, dissi. Voi non siete nella necessità di difendere il vostro onore, come lo potreste essere in caso di guerra. Voi siete lo sfidante ed avreste potuto evitare il duello, poiché vi erano altri mezzi per difendere il vostro buon nome. Se adesso parlate di necessità, siete stato voi che l'avete resa tale. Siete stato voi che avete insistito in questa sconsiglia- ta impresa. Tuttavia, vi dico quanto intendo fare. Ecco un frammento della vera croce tratto dal mio reliquiario. Io lo porrò su un Agnus Dei (12) in maniera che lo possiate portare sulla vostra persona. Con questo potrete forse sperare che Dio, per suo riguardo, vi protegga dal pericolo e vi conceda tempo per pentirvi. Ma badate bene che non intendo darvelo per confermarvi nel vostro perverso proposito. Ve lo do perché lo portiate addosso con riguardo e con reverenza affinché, qualora vi troviate in pericolo - cosa che non vi auguro - Dio si compiaccia di farvi grazia della vita per la buona volontà che dimostrate nell'onorare la Sua croce”. Egli prese il dono con gratitudine e devozione e lo fece cucire all'interno della sua camicia proprio sul cuore, poiché avevano deciso di battersi in maniche di camicia senza armatura. Dio permise che il suo avversario portasse un preciso affondo sul suo cuore. La spada forò la camicia, ma non raggiunse l'epidermide. A sua volta, egli ferì l'avversario spedendolo a terra. Tuttavia, gli risparmiò la vita e si allontanò vincitore. Tutto trionfante venne a riferirmi come fosse stato salvato dal potere della Santa Croce. Quindi, mi ringraziò vivamente e mi promise di essere più attento in avvenire. In seguito la regina lo prese molto a benvolere e gli concesse un regolare servizio a corte. Ben presto, però, egli si stancò di quella vita e, quando morì suo padre, sposò la vedova del conte di Essex (13). Questa era eretica, ma egli la rese cattolica. Adesso, secondo quanto mi si riferisce, conducono entrambi una vita cattolica in Irlanda (14). Ormai è tempo di tornare al cavaliere che mi presentò a questo barone. Seguendo il mio consiglio, egli passò diversi giorni ad esaminare attentamente la sua coscienza; quindi fece una confessione generale col proposito di condurre, in avvenire, una vita migliore. Quando, in seguito, mi disse che era ansioso di tornare alla campagna d'Irlanda, io restai in dubbio sulla legittimità dell'impresa. Allora egli mi promise che se i sacerdoti del luogo, ai quali l'indirizzavo, l'avessero ritenuta illegittima (essi si trovavano sul luogo ed erano, quindi, nella posizione migliore per giudicare), egli avrebbe declinato l'incarico e sarebbe tornato in Inghilterra. Subito dopo il suo arrivo in Irlanda, fu ucciso in battaglia da una palla di moschetto, mentre dava l'assalto ad un bastione ed incitava i suoi uomini a seguirlo. Ma egli si era consultato coi preti (mi comunicò questo per lettera) e questi avevano asserito che era legittimo combattere contro il partito cattolico, perché nessuno sapeva con esattezza perché avesse preso le armi. Dopo la sua morte si verificò un fatto straordinario, che non posso trala- sciare. Sua moglie era una signora devota. L'ultima cosa che si aspettava era la notizia della morte del marito. In quel periodo, però, ella sentiva ogni notte dei colpi alla porta della sua camera. Erano dei colpi forti che la svegliavano. Anche le cameriere che erano nella stanza li sentivano, ma quando aprivano la porta non scorgevano nessuno. Perciò ella si rivolse ad un prete affinché restasse nella stanza con lei e con le cameriere fino al sopraggiungere dei colpi. Appena li udì (cominciavano sempre alla stessa ora), il prete si recò a vedere che cosa stesse avvenendo, ma ancora una volta non c'era nessuno. Il rumore dei colpi durò dal giorno della morte fino a quello in cui ne giunse notizia. Era come se un angelo la invitasse a pregare per l'anima del marito. Durante le mie visite a Londra ebbi spesso occasione di incontrare uomini di rango e potei confermarli nella fede, dirigerli e, in alcuni casi, ricondurli alla Chiesa. Molti portarono dei membri della loro famiglia e alcuni loro amici a farmi visita. Un uomo mi chiese di uscire con lui a cavallo per andare ad incontrare un suo amico in una località a due miglia da Londra. Questi era una persona ricca ed influente: senza alcun dubbio, la persona più importante della sua contea. Il suo grado era immediatamente sotto a quello di un barone - non era né un conte, né un pari - e tutta la sua vita era dedita alla ricerca del piacere. Così, ci incontrammo. Gli dissi chi ero ed egli mi salutò cortesemente, ma allo stesso tempo non volle mostrare che mi conosceva. Quindi recitai la parte del cattolico ansioso che tutti divenissero come lui. Allora gli dissi come avessi sentito dire che egli era amico dei cattolici, ma il peggior nemico di se stesso, perché restava fuori della Chiesa. Sollevò subito la questione se dovesse divenire cattolico per salvarsi l'anima, e gli dimostrai che ciò era necessario. Molto più arduo, però, era staccare la sua volontà dai piaceri del mondo; e fu in questa direzione che portai il mio attacco. Con la grazia di Dio abbattei le sue difese e praticai una breccia, attraverso la quale un buono e salutare consiglio trovò la strada per giungere al suo cuore. Fino a quel momento mi aveva parlato e mi si era rivolto come ad un gentiluomo e come ad un amico di un suo amico, ma allora disse: “Voi siete l'uomo che ascolterà la mia confessione”. Così, stabilimmo il momento ed il luogo conveniente in cui sbrigare la cosa a nostro agio. Pochi giorni dopo, egli giunse alla casa del mio amico vicino a Londra, dove si soffermò finché, con la dovuta preparazione, fu pronto a fare la confessione. Da allora in poi divenne uno dei miei più insigni benefattori. Finché non abbandonai l'Inghilterra, mi assegnò mille fiorini annui, oltre i cavalli e le altre cose di cui occasionalmente avevo bisogno (15). Questo stesso gentiluomo mi presentò a suo cognato, figlio e fratello di un conte ed egli stesso erede della contea (16). Andai ad incontrarlo nello stesso luogo. Prima che tornassimo a separarci, Dio toccò anche il suo cuore e gli concesse la grazia della conversione. Egli rimase soddisfatto su tutti i problemi di fede e di morale e qualche giorno dopo lo resi cattolico. Sono certo che, a Dio piacendo, egli diventerà uno dei principali sostegni della Chiesa. Usavo la mia abitazione per amministrare i sacramenti a questi e ad altri gentiluomini, ma badavo bene a non attirare sul luogo l'attenzione del pubblico, per timore che divenisse conosciuta come casa cattolica. Desideravo usarla come mio rifugio a Londra (naturalmente, per tutti i sacerdoti, e particolarmente per me, il rischio era più grande a Londra che in qualsiasi altro luogo). Uomini influenti ed altolocati sapevano che potevano visitarmi senza alcun rischio di una improvvisa irruzione, perciò venivano con grande tranquillità. Provai per esperienza quanto fosse da loro apprezzata tanta precauzione, poiché essa contribuiva molto alla loro ed alla mia sicurezza. Mantenni questa casa per tre anni, dopo i quali la cedetti ad un amico cattolico, prendendone un'altra proprio vicino allo Strand, la via principale di Londra. In questa strada viveva la maggior parte dei miei amici, perciò potevamo con maggior facilità scambiarci visite reciproche. Dopo essermi trasferito, costatai come fosse rimasta completamente immune da ogni sospetto la casa che avevo abbandonato e che avevo abitato per tre anni. Un giorno il mio domestico mandò a chiamare il giardiniere che egli aveva conosciuto nella mia vecchia casa, perché c'era bisogno di ripulire il giardino (17). Questi venne e fece osservare casualmente: “Sapete, le persone che hanno preso la vostra casa sono dei papisti”, volendo dire che i precedenti occupanti erano buoni protestanti. Era un posto favorevole e molto comodo, munito di ingressi privati davanti e di dietro; inoltre, vi avevo fatto costruire dei sicuri nascondigli. Ci sarei potuto restare senza il minimo rischio al riparo da ogni sospetto ancora per lungo tempo, se non fosse stato per alcuni amici che durante la mia assenza da Londra avevano usato la casa in maniera indiscreta (18). Tuttavia, vi rimasi al sicuro proprio fino al terribile tumulto conosciuto come la congiura delle polveri, di cui tra breve darò un rapido resoconto. Nel frattempo alcuni amici mi presentarono ad un altro gentiluomo, che a quel tempo era erede di una baronia ed attualmente è un pari. Con la grazia di Dio, riuscii a persuaderlo ad accettare il giogo della legge di Dio e a professare la fede cattolica, quindi lo accolsi nella Chiesa. Un altro signore (19) che avevo conosciuto e che avevo spesso incontrato, prima di diventare gesuita, cadde ammalato. La sua vita era stata dedita alla ricerca del piacere, perché era straordinariamente ricco e dissipato. Il suo unico pensiero era stato quello di divertirsi ed egli avrebbe potuto fare da un momento all'altro una brutta fine, se Dio non gli avesse usato pazienza e non lo avesse spinto al momento giusto al pentimento. Sebbene fosse seriamente ammalato, il pensiero della morte non gli era passato neanche per l'anticamera del cervello. Quando mi giunse notizia della sua malattia, feci in modo che mi portassero in camera sua verso le undici di sera, dopo che tutti i suoi amici si erano allontanati. Egli mi riconobbe e fu lieto della mia visita. Allora gli spiegai perché mi ero recato da lui e lo esortai a riflettere seriamente sullo stato della sua anima mentre era ancora in tempo. Gli dissi che, lasciando da parte il modo in cui aveva sperperato il suo patrimonio, avrebbe fatto bene a rendere Dio non suo Giudice, ma suo Amico e Padre amoroso. Lo stato di spossatezza in cui si trovava lo indusse ad ascoltarmi e così “nel tempo opportuno Dio ci ascoltò e nel giorno della salvezza ci aiutò”, giacché egli si disse pronto a fare la confessione all'istante. Comunque, gli dissi che sarei passato la notte successiva; nel frattempo gli suggerii di invitare un suo amico, che io conoscevo, a leggergli la Spiegazione dei Comandamenti di Padre Luis de Granada. Gli dissi di passare un po' di tempo a riflettere su ogni comandamento, per cercare di ricordare come e quante volte lo avesse trasgredito e per suscitare un atto di dolore, prima di passare al successivo. Me lo promise ed io mi impegnai a tornare la notte seguente. Fui puntuale ed ascoltai la sua confessione, dandogli tutto l'aiuto possibile, perché il tempo passato nella preparazione era stato breve e perché, sebbene egli avesse ancora forza, non intendevo arrischiarmi a rimandare ancora la sua confessione. Lo invitai ad accertarsi che fossero estinti tutti i suoi debiti, che erano rilevanti perché egli era stato molto prodigo, e lo esortai anche a “redimere i suoi peccati mediante elemosine”. A tutto questo provvide nel testamento che redasse il giorno seguente. Lasciò, inoltre, una somma cospicua per opere pie, somma che, a quanto mi si riferisce, venne puntualmente versata. Quindi gli dissi di prepararsi a ricevere la Santa Comunione e l'Estrema Unzione la notte seguente e di farsi leggere nel frattempo un libro di devo- zione. Fece questo ed altro. Il giorno successivo egli esortò tutti quelli che andarono a visitarlo a non perder tempo per ordinare la loro vita secondo i desideri di Dio ed a non attendere l'ultimo momento come aveva fatto lui. “Non fate assegnamento sulla speciale misericordia che Dio mi ha usato; ciò sarebbe presunzione ed offendereste Dio. Sotto questo rispetto io ho meritato l'inferno più di mille volte”. Disse molte cose del genere con ardore e senza soggezione, facendo meravigliare tutti del cambiamento avvenuto in lui. Quando i suoi amici gli suggerirono di nascondere il crocifisso che aveva al collo (io gli avevo prestato la mia croce piena di reliquie, in maniera che potesse baciarla e fare atti di devozione e di amore), egli rispose: “Nasconderlo? Non lo nasconderei neanche se nella mia camera ci fosse il più fanatico degli eretici. Fin troppo son rimasto lontano dalla professione della mia fede. Se adesso Dio mi concedesse vita, mi dichiarerei apertamente cattolico”. Erano tutti stupiti del suo modo di parlare, ma nello stesso tempo erano anche molto commossi ed edificati. Allo stesso modo parlò davanti a tutti i pari e a tutti i grandi personaggi che andarono a visitarlo. Così la sua conversione diventò di dominio pubblico ed in seguito passò per la bocca di molti cortigiani. Quando andai a trovarlo la terza notte secondo la promessa, egli si confessò di nuovo con grandi segni di pentimento. Quindi chiese di ricevere il sacramento dell'Estrema Unzione. Mentre compivo il rito, egli si disponeva in maniera che potessi raggiungere con facilità le parti del corpo che dovevo ungere. Lo si sarebbe detto cattolico già da molti anni. Era così felice che alla mia domanda: “Confidate completamente nei meriti di Cristo e nella misericordia di Dio?”, egli rispose: Certo, come potrei fare diversamente? Se non fosse per la grande misericordia che Egli ha mostrato verso di me, sarei dannato all'inferno. Quando riguardo me stesso, non vedo alcun motivo di speranza e sono assalito da grande tremore; ma sono pieno di speranza nella misericordia e nella bontà di Dio. Egli mi ha atteso per tanto tempo ed ora mi ha chiamato, quando ormai ero l'ultimo a meritarlo”. Quindi, prendendo mi la mano, continuò: “Inoltre, padre, non so come dirvi quanto vi sia debitore. Dio vi ha mandato per portarmi questa felicità”. Mi accorsi, tra l'altro, che non aveva alcuna tentazione contro la fede. Egli credeva e professava nella maniera più ferma ciascun articolo del credo; era chiaro, perciò, che Dio aveva infuso nella sua anima l'abito di molte virtù. Quindi, allestii un altare nella sua camera (avevo portato con me tutto il necessario) e celebrai la messa, cui egli assisté con grande devozione e con grande conforto. Più tardi gli portai il Viatico che non avrebbe potuto ricevere con maggior devozione. Quando tutto fu compiuto, gli diedi alcuni brevi consigli per aiutarlo, nel caso che dovesse cadere in agonia prima del mio ritorno. Quando lo lasciai, era pieno di consolazione. Quanto è straordinaria la Provvidenza! Poche ore dopo egli rese l'anima a Dio. Fino all'ultimo momento implorò misericordia e ringraziò Dio per tutta la grazia che aveva ricevuto. Prima di morire, disse agli astanti di provvedere affinché fossero impiegati nell'uso dell'altare alcuni suoi abiti rossi di porpora: egli li aveva ricevuti dal re quando era stato nominato cavaliere del Bagno. L'investitura di questo ordine ha luogo soltanto durante la cerimonia dell'unzione ed incoronazione del re. Questi cavalieri godono la precedenza su tutti gli altri eccetto quelli del nobilissimo ordine della Giarrettiera, e quasi tutti sono conti o pari. (Egli era cavaliere dell'ordine del Bagno, come dicevo, e desiderava che fossero adattate all'uso dell'altare tutte le vesti delle quali era stato rivestito durante l'incoronazione). Gli erano piaciuti i miei paramenti. Sebbene fossero leggeri e facilmente trasportabili, erano fatti magnificamente di seta rossa ornata di ricami d'argento. Dopo la sua morte le vesti mi furono consegnate, secondo il convenuto. lo le feci trasformare in due paramenti completi di colore differente, uno dei quali si trova adesso nell'istituto di St. Omers. In tal modo potei soddisfare il pio desiderio di un gentiluomo la cui conversione, a mio avviso, fu un grande segno della bontà e della Provvidenza di Dio. Nello stesso periodo accolsi nella Chiesa una signora, moglie di un cavaliere che adesso è un ottimo e provvido amico dei nostri padri. A quel tempo suo marito era protestante, ma io avevo assistito suo fratello durante gli Esercizi Spirituali per fargli disprezzare il mondo e seguire i consigli di Cristo. Fu lui che mi presentò alla sorella. Dopo averle parlato una o due volte, ella divenne cattolica, sebbene fosse ben conscia delle gravi sofferenze alle quali andava incontro non appena l'avesse saputo il marito. Accadde proprio così. Dapprima egli fu gentile con lei, quindi passò alle minacce tentando ogni mezzo per ritrarla dalla sua risoluzione. Per lungo tempo sembrò che non ci fosse altro da fare per lei, se non separarsi dal marito, e perdere tutto ciò che aveva al mondo per possedere la sua anima in pace. A causa della sua conversione, il marito fu privato della carica che ricopriva nello Stato; ed ella sopportò con grande fortezza questa prova. Rimase ferma ed imperturbabile, e con l'esempio della sua pazienza e della sua bontà influì sul marito, il quale dapprima diventò amico dei cattolici e poi divenne cattolico egli stesso. Padre Walpole, al quale lo presentai prima che abbandonassi l'Inghilterra, lo accolse nella Chiesa. Ci furono molte altre conversioni, delle quali non posso narrare separatamente. Il mio racconto è ormai del tutto sproporzionato alle cose insignificanti che riferisce. Quanto io ho fatto è nulla se viene paragonato a quello che è stato realizzato dagli altri. Tuttavia c'è una cosa che non posso tralasciare. Questa mi procurò una gioia particolare a motivo della persona che vi fu implicata, perché penso di non aver amato nessuno più sinceramente. Sir Everard Digby, del quale ho più sopra parlato, aveva un amico al quale era profondamente attaccato (20). Egli me lo aveva spesso decantato ed era ansioso di farmi incontrare con lui, per vedere se fosse possibile conquistarlo. Il gentiluomo occupava a corte una mansione che richiedeva la sua quotidiana presenza alle dirette dipendenze del re. Siccome egli non poteva assentarsi molto tempo per volta, ci volle molto prima che riuscissimo a fissare un appuntamento. Alla fine sir Everard incontrò il suo amico quando entrambi ci trovavamo a Londra e gli chiese di venire a casa sua ad un'ora fissata per fare una partita a carte. Non è fuor di luogo rilevare che le carte sono, per così dire, i libri che quasi tutti questi gentiluomini londinesi studiano giorno e notte. Egli accettò di andare. Quando arrivò, invece di trovarci intenti alle carte, ci vide impegnati in una conversazione molto seria. Sir Everard lo pregò di porsi a sedere, finché non fosse giunto il resto della compagnia. Quindi, durante una pausa della conversazione, sir Everard disse: “Ci siamo impegnati entrambi in una conversazione molto seria. Abbiamo discusso, infatti, di religione”. Rivolgendosi poi al gentiluomo, aggiunse: “Voi sapete che io sono ben disposto verso i cattolici e verso la fede cattolica; ho argomentato tuttavia contro la fede con questo mio amico, per vedere quale difesa sia capace di opporre. Egli è un cattolico fervente, e non ho alcun timore di dirvelo”. Quindi, volgendosi verso di me: mi pregò di non adir armi se lo tradivo davanti ad un estraneo. Poi continuò: “Debbo, però, riconoscere che egli ha difeso così validamente la sua posizione che non ho saputo controbatterlo. Sono molto lieto quindi che siate venuto a trarmi d'impaccio”. Il visitatore era giovane e sicuro di sé. Con la sua abilità e con un argo- mento tanto interessante sul quale disputare, pensava che avrebbe trionfato di tutti senza difficoltà e, come mi disse più tardi, mi riguardava un po' dall'alto. Egli cominciò a sollevare obiezioni contro tutto quello che andavo dicendo. lo attesi pazientemente e, quando finì di parlare, gli risposi con poche parole. Quindi tornò alla carica e così continuammo a discutere insieme per circa un'ora. Finalmente io esposi il mio punto di vista in maniera più diffusa e lo confermai con passi della Scrittura, con affermazioni dei Padri e con argomenti che mi venivano a portata. Come spesso mi capitava in occasioni del genere, sentivo che Dio mi metteva le parole sulle labbra, mentre parlavo con grande foga a favore della sua causa. E ciò Egli faceva non già per mio riguardo, né per alcun mio merito. Egli agiva proprio come quando dona il latte ad una madre allorché questa ha un bimbo che abbisogna del nutrimento del suo seno. Il gentiluomo si mostrava desideroso di apprendere. Non era il tipo capace di contestare ciò che gli si presentava col crisma della verità; perciò ascoltava in silenzio mentre, in tono più persuasivo ed efficace del mio, Dio andava parlando al suo cuore. Dio gli diede “orecchie per intendere” e “la parola cadde non già sulla roccia, né tra le spine, ma sul terreno fertile”, un terreno così fertile che,con la grazia di Dio, produsse il centuplo nella stagione del raccolto. Prima di ripartire, decise di diventare cattolico. Portò via con sé un libro che lo aiutasse a prepararsi alla confessione, che fece prima dello scadere della settimana. D'allora in poi, si propose di non limitarsi alla semplice osservanza dei comandamenti. Dio, infatti, lo stava preparando a cose ben più alte. Ricorreva spesso a me per consiglio ed accettava prontamente ogni mio suggerimento; né vi era pericolo che se lo facesse sfuggire dalla mente, anzi agiva sempre di conseguenza e con molta prontezza. Ogni giorno esaminava attentamente la sua coscienza e, quando imparò a meditare, cominciò a fare la meditazione ogni mattina. A tal fine, doveva alzarsi molto presto: in ogni caso, prima del re. Durante l'estate ciò significava all'alba, perché il re andava ogni giorno a caccia ed egli, a motivo del suo ufficio, doveva assistere alla sua colazione (21). Leggeva con fervore libri di devozione e ne portava sempre uno in tasca. Avreste dovuto vederlo a corte o nella sala delle adunanze, specie quando questa era gremita di cortigiani e di nobildonne famose. Egli si avvicinava ad una finestra e leggeva un capitolo dell'Imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis, libro che conosceva dalla prima all'ultima pagina. Dopo quella breve lettura ritornava tra la folla, ma la sua mente vagava altrove, assorta com'era nei propri pensieri. La gente immaginava che stesse ammirando qualche bella signora o che fosse intento a studiare la maniera di raggiungere un posto più elevato. In realtà, egli non aveva nessun bisogno di preoccuparsi di ciò. Era figlio e fratello di un conte; inoltre, il suo ufficio a corte era molto ambito e gli garantiva ogni giorno una continua dimestichezza col sovrano. Egli era un uomo intelligente e sapeva trovare il momento opportuno per fare le sue richieste. Infatti il re gli offrì un ufficio (egli lo vendette più tardi) che, se lo avesse mantenuto, gli avrebbe fruttato più di diecimila fiorini all'anno. Tra non molto avrebbe certamente ricevuto un'alta promozione perché era dotato di una abilità straordinaria nel rendersi accetto ed amato da ciascuno. Infatti, dopo che egli aveva volto le spalle alla corte ed abbandonato tutti gli onori mondani, sentii dire da diverse persone, che occupavano a corte posti di rilievo e che avevano una grande esperienza, che nel volger di quarant'anni essi non avevano conosciuto nessuno che fosse stato così universalmente amato e stimato da tutti e da ciascuno. Ma, ciò che più importava, era un prediletto nella corte del Re dei re ed aveva il cuore rivolto a premi più grandi e più duraturi. Mi chiese di fare gli Esercizi Spirituali, durante i quali decise di abbandonare la corte e di dedicarsi a cose che avrebbero reso la sua vita più preziosa al cospetto di Dio e più utile al servizio del prossimo. Con tutta la rapidità che gli fu possibile, dispose del suo patrimonio in maniera tale da liberarsene per fuggire dall'Inghilterra. Quindi, con sorpresa generale, chiese ed ottenne dal re il permesso di recarsi in Italia, dove ancora si trova. Egli è così ben conosciuto che non c'è bisogno di aggiungere altro. Aggiungerò soltanto una cosa. Da tutte le informazioni mi risulta che, dovunque egli è stato, ha lasciato una favorevole impressione, procurandosi una grande stima e suscitando grandi aspettative (22). Oltre sir Everard Digby, questo gentiluomo aveva un altro intimo amico: era un uomo influente e molto ricco, che aveva grandi talenti ma era dedito alla vita di mondo. Egli lo condusse a farmi visita nella speranza che io riuscissi con la mia opera a farlo cattolico. Tra le sue amiche c'erano due gentildonne, che lo amavano e ne erano soggiogate. Il loro, però, era un affetto lodevole in vista del matrimonio, perché sono sicuro che lo avrebbero preferito al più grande conte d'Inghilterra. Una di loro apparteneva alla corte ed era damigella d'onore della regina, l'altra viveva in campagna e proveniva da una famiglia cattolica. Egli mi presentò la prima che, tramite il mio ministero, si fece cattolica. Quindi le suggerì di riporre il suo cuore in qualcosa di più nobile della sua persona, cioè in Dio, al quale è dovuto tutto il nostro amore. Perciò le disse che egli non avrebbe mai amato una donna se non con l'amore della carità, avendo deciso di non sposarsi. Per quanto riguarda la seconda, che era già cattolica, egli la persuase a farsi suora. Questa si trova adesso in religione e fa molti progressi (23). Sono sicuro che questo gentiluomo fosse stato scelto ed eletto da Dio per condurre molte anime alla pratica dei consigli di Cristo e per esserci d'aiuto in molti modi. ___________________________________________________________ _ NOTE AL CAPITOLO XXI 1 Probabilmente sir Edmund Lenthall di Lachford, nell'Oxon, che era figlio di Eleanor Lee. Sua sorella Agnes divenne benedettina a Bruxelles. C.R.S., vol. XIV, p. 178. 2 In questo periodo CedI ricevette un rapporto falso secondo il quale J. G. era partito per l'Irlanda. “Si supponeva che il gesuita J. G. si dirigesse in Irlanda passando per Westchester. Ultimamente è stato a Londra e si è camuffato con una barba finta e con una parrucca di un color marrone alquanto scuro. Ha la barba molto lunga, tagliata a punta in maniera inappuntabile secondo la moda. In questa acconciatura è stato visto a Clerkenwell”. Hat. Cal., XIV, p. 194. 3 Roger Lee entrò in noviziato a Roma il 27 ottobre 1600. FOLEY, VII, p. 446. 4 Padre Strange entrò nella Compagnia a Sant'Andrea nel 1601. Quando ritornò in Inghilterra due anni dopo, si stabilì con J. G. a Harrowden. In una lettera scritta nell'agosto o nel settembre 1606, Padre Blount si riferisce all'imprigionamento di Padre Strange: “Padre Strange sta nella Torre con grande risolutezza e costanza, nonostante le sue frequenti torture, tanto che i suoi stessi nemici lo lodano molto”. (Stonyhurst MSS, Anglia, vol. III, n. 64). Mrs. Vaux in una lettera, menzionata più tardi da J. G. nel suo racconto, parla delle proprietà di Padre Strange: “I suoi beni, ella dice, sono e saranno, dopo la morte di sua madre, di 800 libbre all'anno. La stessa notizia che egli stava in questa maniera [era stato arrestato] ucciderebbe la madre, essendo figlio unico”. C.S.P.D., James I, vol. XVI, n. 43. 5 Nativo di Kennington, nel Kent, studiò alla Westminster School, ad Oxford e a Londra, dove J. G. lo incontrò. Egli stesso afferma che i suoi genitori “appartenevano alla classe agiata e potevano spendere duecento sterline all'anno”. Quando, il 31 ottobre 1599, fu ammesso al Collegio Inglese, egli scrisse una relazione sugli inizi della sua carriera, nella quale descrive il suo primo incontro con J. G. “Mr. Strange, scrive, promise di farmi conoscere Padre Garret [J. G.]... e non appena egli fu menzionato, siccome avevo sentito parlare della grande fermezza con cui aveva sopportato la tortu- ra nella Torre di Londra, arsi dal desiderio di vederlo...”. Racconta poi come, dopo “molti ostacoli prima che potessi vederlo”, egli fu “grandemente sollevato dai suoi soavi consigli”. (FOLEY, I, pp. 169170). Nel 1611 fu catturato a Harrowden, quando la casa fu perquisita, essendosi diffusa la notizia che J. G. era ritornato in Inghilterra. Morì nel Galles meridionale il 26 luglio 1650 all'età di settantatré anni. 6 Siccome Elizabeth Vaux doveva render noto al consiglio come stava educando suo figlio, fu una misura prudenziale assumere un precettore “Scismatico”. Smith fu seguito da Tutfield, un altro scismatico, che più tardi divenne precettore dei figli di lord Mordaunt. Hat. Cal., XVII, p. 528. 7 Natale 1599. Thomas Smith entrò nel Collegio Inglese di Roma il 24 ottobre dell'anno successivo. Cfr. FOLEY, VI, p. 217. Thomas Smith era nativo dello Staffordshire. Più tardi divenne gesuita e naturalmente continuò nella sua carriera di insegnante a St. Omers. 8 Sembra che sia stato l'inizio d'una piccola scuola del genere di quelle che più tardi furono istituite presso le famiglie non-conformiste. Sono debitore a Padre Godfrey Anstruther, O. P., dei nomi dei due ragazzi che furono educati con il barone. Uno fu John Mulshaw, figlio di Thomas Mulshaw di Finedon, che vi rimase per cinque anni prima di andare all'estero e di farsi gesuita. L'altro fu Henry Killinghall, che non era del luogo, essendo nato nella prigione di York, dove i suoi genitori erano stati imprigionati per la fede; in seguito fu mandato a Harrowden per i suoi studi. Nel 1609 entrò nella Compagnia come fratello laico. C.R.S., vol. XXX, pp. 81, 84. 9 Forse sir Henry Norris, che si batté nelle Fiandre, in Bretagna ed in Irlanda e che si trovava a Londra durante l'inverno 1598-1599. Sir Henry Norris, figlio del barone Henry Norris di Rycot, vicino a Thame, fu ferito a Finniterston nel giugno 1599 e morì dopo l'amputazione di una gamba. In una discussione di carattere familiare una certa lady Susan Chamberlain racconta che sua cognata, lady Bridget Norris (nata Kingsmil e nipote di Sir Robert CedI), moglie del fratello Thomas, “è diventata fervida cattolica e si sforza di convertire le sue sorelle”. (Hat. Cal., XIII, p. 160). Nel novembre del 1598 Henry fu in Inghilterra di passaggio dovendosi portare in Irlanda per la guerra, e si mostrò chiaramente poco entusiasta dell'impresa. I suoi fratelli, William (morto nel 1579), John (morto nel 1597) e Thomas morto nel 1599 (circa nello stesso periodo di Henry) erano inestricabilmente coinvolti nella politica irlandese ed è improbabile che avessero gli scrupoli che J. G. attribuisce più tardi a questo cavaliere. 10 Richard de Burgh, barone Dunkellin, che successe al padre quale quarto conte di Clanricarde, subito dopo questo incontro. Poiché J. G. dice in seguito che a quel tempo Essex si trovava in disgrazia, il fatto che egli passa a narrare deve essere accaduto durante l'anno 1600. 11 Nel novembre del 1599, Essex tornò dall'Irlanda per giustificare le misure che egli aveva adottato. Fu imprigionato e alla fine fu liberato. Il duello quindi sarebbe avvenuto fra la sua caduta in disgrazia verso la fine del 1599 e la sua esecuzione capitale per alto tradimento il 25 febbraio 1601. 12 Vedi nota 22, capitolo I 13 Frances, figlia ed ereditiera di sir Francis Walsingham, segretario di Elisabetta, e vedova, prima di sir Philip Sidney e poi di Robert Devereux, secondo conte di Essex, il favorito della regina, che perì tragicamente nel 1601. Così l'unica figlia di Walsingham, il grande persecutore dei cattolici sotto il regno di Elisabetta, diventò cattolica grazie all'influenza di J. G. 14 Dopo essere succeduto al padre come quarto conte di Clanricarde il 20 maggio 1601, Richard de Burgh si distinse nella battaglia di Kingsale. Più tardi fu insignito del titolo di conte di St. Albans. Egli era a Londra alla fine dell'estate e nel susseguente autunno 1602; presumibilmente fu a quell'epoca che J. G. lo incontrò. In una lettera di cronaca del 25 agosto 1602, Padre Rivers scrive: “Il giovane conte di Clanricarde che somiglia molto al defunto conte di Essex, sta diventando un favorito e si pensa anche che il segretario sia d'accordo con lui, perché egli è uno di quelli che riesce spesso a persuaderla in ciò che essi vorrebbero, ma che essi stessi non osano dire”. (FOLEY, I, p. 46). Suo figlio, il quinto conte, è descritto dallo storico LECKY (vol. II, p. 163) come “un uomo dotato di un forte senso della vita senza paura e senza macchia... un sincero cattolico romano e nello stesso tempo un suddito devoto del governo”. La famiglia rimase cattolica finché l'ottavo conte non fece atto di sottomissione nel 1681 o poco prima. The Complete Peerage, vol. III, pp. 230-233. 15 Richard Bancroft, vescovo di Londra, fa allusione ai cavalli di J. G. in una lettera indirizzata a Cecil 1'11 aprile 1603: “Poiché Mr. Gerard è un grande uomo nero, vestito molto elegantemente; e, essendo seguito da due uomini e da un paggio deve essere ben munito di cavalli”. Hat. Cal., XV, p. 25. 16 Nonostante la grande quantità di particolari, è difficile identificare questa persona con certezza. Forse si tratta di Francis Manners, figlio di John Manners, quarto conte di Rutland, fratello ed erede di Roger Manners, quinto conte. L'amico di J. G. deve essere: 1° “il figlio e il fratello di un conte ed egli stesso erede di una contea”; 2° il cognato di un cavaliere o il marito della sorella di un cavaliere il cui grado “era inferiore a quello di un barone”; 3° in vita nel 1609 quando J. G. stava scrivendo; 4° a Londra tra il 1599 ed il 1605 così che J. G. possa averlo incontrato. Francis Manners sembra soddisfare tutte queste condizioni. Dopo un viaggio all'estero (1598-1600) egli si trovava evidentemente a Londra nel 1600, perché prese parte alla rivolta di Essex al principio dell'anno 1601. Era figlio di John Manners, quarto conte di Rutland che mori nel 1576, e fratello di Roger Manners, quinto conte che nel 1598 sposò Elizabeth, figlia di sir PhiIip Sidney e di Frances Walsingham. Siccome Roger Manners mori nel 1612 senza figli, suo fratello Francis era erede del titolo di conte. Francis Manners era cattolico, “era figlio e fratello di un conte ed egli stesso era erede di una contea”. Era inoltre vivo nel 1609 ed era stato a Londra dal 1600 al 1601. L'unica difficoltà proviene dal suo matrimonio. Francis Manners sposò Frances, figlia di sir Henry Knyvett di Charlton nel Wiltshire, e vedova di sir William Bevill. Siccome il nome da ragazza di Frances era Knyvett J. G. aveva potuto pensare che ella fosse la sorella e non, come difatti era, una semplice parente di sir Thomas Knyvett, il quale pretendeva di essere de ;ure lord Berners e potrebbe ben essere il cavaliere il cui “grado era inferiore a quello di un barone”. Sebbene sir Thomas Knyvett avesse ottenuto da Giacomo I il diritto ed il titolo del baronato, mori nel 1611 (poco dopo il periodo in cui J. G. scriveva), prima di aver ricevuto la conferma della donazione. Non si sa se fosse cattolico, ma egli risponde alla descrizione di J. G. per la ricchezza e per il suo potere. (Historical MSS, Commission, XII, parte 4, Rutland Papers, passim). Potrebbe anche darsi che costui fosse William Percy (1575-1648), poeta e drammaturgo. Egli era il terzo figlio di Henry, nono conte di Northumberiand, fratello di Henry, decimo conte, e suo erede fino alla nascita di Algernon Percy, più tardi undicesimo conte, che fu battezzato il 13 ottobre 1602. In questo caso “suo cognato” sarebbe sir William Herbet che sposò la sorella di William Percy, Eleanor, e che pretendeva di essere il sedicesimo lord feudale di Powis, titolo che era divenuto vacante nel 1551. Nel 1629 sir William Herbert fu fatto barone di Powis. All'epoca del complotto di Gates, suo nipote fu imprigionato per la fede, e la stirpe rimase fermamente giacobita. 17 J. G. amava il giardinaggio. In una lettera del 15 luglio 1606, scritta poco dopo la sua evasione, egli proponeva a Padre Persons alcuni suggerimenti circa le sue occupazioni future ed aggiungeva: “lo potrei aver cura del giardino, perché vi eccello (se mi permettete di vantarmi) essendo questo il mio più grande svago in Inghilterra, e spero che mio fratello [probabilmente sir Oliver Manners] testimonierà di aver veduto molte belle piante da me curate e di aver gustato i frutti di alcune di esse”. Stonyhurst MSS, Anglia A, VI, n. 59. 18 Probabilmente “la casa nei campi dietro la locanda di St. Clement”, dove i cospiratori giurarono il segreto prima della congiura delle polveri. 19 Sir Thomas Langton, barone di Newton-in-Makerfield, nel Lancashire. Fu creato cavaliere del Bagno alla coronazione di Giacomo I e mori a Westminster il 20 febbraio 1604 all'età di 44 anni. Sir Thomas Langton, dopo aver rotto il prematuro fidanzamento con Margaret Shirburn di Stonyhurst, sposò all'età di diciannove anni Elizabeth, figlia di sir John Savage e di Elizabeth Manners. Presumibilmente fu attraverso Oliver Manners che J. G. rinnovò l'amicizia dell'infanzia con sir Thomas Langton. Quando era giovane, sir Thomas aveva ucciso Thomas Hoghton di Hoghton Hall in una rissa per la proprietà del bestiame. C.R.S., Lord Burghley's Map of Lancashire, p. 19. 20 Sir Oliver Manners, quarto figlio del quarto conte di Rutland, era cancelliere del Consiglio. 21 Egli era siniscalco del re. BIRCH, Court of James I, vol. I, p. 49. 22 Oliver Manners fu ordinato prete a Roma il 5 aprile 1611, dopo che J. G. aveva scritto l'Autobiografia. Quando egli morì nel 1618, il Bellarmino che lo aveva ordinato scrisse a J. G.: “Il ricordo dell'eccellente Mr. Oliver mi ha recato una tristezza ed un dolore non lievi non per lui, che ora è innalzato da questo mondo alle gioie del paradiso, ma per quei tanti che egli avrebbe indubbiamente convertito ad una vita proba, se la divina Provvidenza gli avesse concesso di vivere più a lungo”. (Stonyhurst MSS, Anglia A, voI. VIII, n. 107). La sua morte prematura gli risparmiò di diventare un uomo di ministero. I convertiti molto in vista, come Oliver Manners, George Gage, Edward Sanley e Toby Mathew, a causa della persecuzione, erano costretti a mantenere grande segretezza nel caso che fossero diventati sacerdoti, altrimenti dovevano perdere ogni speranza di ritornare in Inghilterra e di servire i loro compatriotti. Giacomo I fece grande uso tanto di Toby Mathew che George Gage, quando trattò con la Spagna. Ma, siccome questi uomini erano amici dei gesuiti, diventarono oggetto di sospetti e di ostilità in certi ambienti cattolici. Fu forse lo smacco di coloro che tentarono di penetrare nel loro segreto che creò la leggenda dei gesuiti laici e dei gesuiti travestiti. 23 Questa fu certamente Anne Bromfield, figlia di sir Edward Bromfield. Sua madre era protestante ed era “Madre delle damigelle d'onore” a corte. La storia della sua riconciliazione con la Chiesa è narrata dettagliatamente nell'opera di ADAM HAMILTON, Chronicle of St. Monica's, pp. 107-110. Sembra che a questo punto J. G. vada indietro nell'ordine cronologico del suo racconto. Anne si riconciliò con la Chiesa poco prima dell'arresto di J. G. Emise la professione il 3 maggio 1599 e diventò più tardi vice priora del convento di Santa Monica. XXII. ULTIMI GIORNI DI FATICHE Le conversioni che si verificarono nel paese furono numerose ed alcuni convertiti erano capi di grandi casati. Dal momento, però, che mi sono già troppo dilungato, mi limiterò a narrare un singolo caso che ebbe un felice inizio ed una migliore fine. La signora era una parente della mia ospite. Sebbene avesse sposato un gentiluomo che era da molti anni cattolico, nessuno, né suo marito, né una qualsiasi amica, e neppure la mia ospite, che l'amava come una sorella, poterono indurla a diventare cattolica. La signora non rifiutava affatto di ascoltare cattolici e preti, perché si dilettava nel discutere con loro su argomenti interessanti, ma non intendeva seguire altra opinione all'infuori della sua. Aveva, per la verità, dei talenti che raramente ho osservato in una donna e la mia ospite spesso versava lacrime sopra di lei. La rattristava la propria incapacità di trovare un rimedio ed era desiderosa che io la incontrassi anche una sola volta. Per la sua intelligenza, per il suo carattere, per il suo tenore di vita e per tutto quel che la riguardava la mia ospite non aveva altro che lodi; l'unico difetto che notava in lei era la sua persistenza nell'eresia. Sebbene ella vivesse in una lontana contea, la mia ospite la pregò di venirci a trovare. Ella accettò l'invito e al suo arrivo mi trovò seduto a conversare in compagnia e vestito come se fossi un ospite appena giunto da Londra. Tutto ciò rispondeva ad un piano prestabilito. Facemmo poco durante il primo e il secondo giorno. Sapevamo di avere molto tempo a nostra disposizione e desideravo che ella si sentisse a suo agio con me. Durante altre visite ella aveva incontrato dei preti nella casa, ma quelli per la maggior parte, se ne erano rimasti per conto proprio nelle loro stanze. Quando stimai che si fosse accorta della mia professione cattolica - era assolutamente fuori questione che mi ritenesse un prete - cominciai lentamente ad introdurre l'argomento della religione. Dapprima parlai molto poco, ma quel poco che dissi era in argomento ed ella sembrò a corto di risposte. Quindi la lasciai. Non intendevo rendere incolmabile il vantaggio; era già abbastanza suscitare in lei il desiderio di ascoltarmi ancora. Alla fine, dopo alcuni giorni, la giudicai pronta. Mi accordai con la mia ospite. Ella doveva avviare il discorso sulla religione; quindi, quando mi avrebbe visto entrare e prender parte alla conversazione, doveva lasciarci soli oppure con una o due delle sue tre figlie, che aveva portato con sé. Facemmo così. Cominciammo ad argomentare in maniera che le sembras- se che il vantaggio passasse dall'una all'altra parte. Continuammo cosi per una o due ore; ma alla fine ella mi ascoltò per altre due o tre ore senza interruzione. Sebbene le sue risposte fossero ormai ben poca cosa, ella non voleva darsi per vinta. Tuttavia mi ringraziò cordialmente e se ne andò infiammata e rossa in viso. Era rimasta chiaramente scossa, anzi le si era mutato il cuore perché corse subito dalla mia ospite. “Cugina, che cosa avete fatto?”. “Che cosa ho fatto?”, chiese la mia ospite. “Chi è quest'uomo che mi avete portato? È proprio vero quel che mi avete detto di lui?”. Quindi cominciò a farle domande sulla mia persona ed a parlare in maniera fin troppo lusinghiera della mia eloquenza e della mia cultura, dicendo che non riusciva a starmi alla pari né a rispondermi. Il giorno seguente Dio completò quel che aveva cominciato in lei. Ella si arrese a discrezione ed io le diedi un libro che la aiutasse a prepararsi alla confessione. Intanto, col consenso e con l'aiuto della madre, istruii le tre figlie. Quando esse appresero il catechismo, ascoltai la loro confessione. Tuttavia, nel corso della propria preparazione, la signora si sentiva agitata e scoraggiata. Non era il pensiero di abbandonar l'eresia, ma la prospettiva della confessione che l'agitava. Perciò la incoraggiai come meglio potei, dicendole che non aveva nessun motivo di temere. Ma dopo aver esaminato sufficientemente la propria coscienza, cominciò a rimandare di giorno in giorno la confessione, adducendo il pretesto che non era pronta. lo non volevo accettarlo. Le dissi che il demonio stava lavorando sul terreno preferito ed ella stessa riconobbe, più tardi, che avevo ragione. Infatti, quando mi obbedì e si confessò, si senti alleggerire di un grave fardello e riempire di consolazione. Infine si disse molto lieta di non averla rimandata oltre. Ho notato spesso che alcune persone trovano molta difficoltà a fare la confessione, quando vengono ricevute nella Chiesa. Alcune si affaticano tanto da sentirsi male e quasi vengono meno; esse debbono sedersi e riposarsi per poi continuare quando si siano alquanto riprese. Ciò è capitato in casi in cui il penitente era in buona salute e si mostrava ansioso di confessarsi. Talvolta, all'atto di ricominciare, cadevano di nuovo in deliquio, anche per due o tre volte nel corso della loro prima confessione. Ma alla fine si sentivano magnificamente e dopo l'assoluzione andavano via pieni di conforto e di gioia. Alcuni infatti mi hanno fatto notare che molte persone, solo che conoscessero il conforto prodotto dalla confessione, per nulla al mondo si lascerebbero indurre ad ometterla. Questa signora era proprio una di queste persone. Dopo la confessione si alzò profondamente confortata e corse a ringraziare la cugina, per mezzo della quale aveva ottenuto questa felicità. Dio infatti era stato misericordioso con lei ed ella divenne molto devota. Una volta tornata a casa, cominciò a fare dei magnifici paramenti e, quando ne aveva occasione, dava rifugio a sacerdoti. Ciò, tuttavia, non le bastava. Ella desiderava tornare ad abitare con noi, in maniera da poter si accostare con maggiore frequenza ai sacramenti ed ascoltare i sermoni che tenevo ogni domenica e durante i giorni festivi. Rimase infatti con noi per circa due anni e per tutto quel tempo crebbe in devozione e lesse molti libri ascetici. Era chiaro ormai che la sua vita era guidata da una grazia speciale e dalla Provvidenza di Dio. Alla fine di questo periodo, durante il quale aveva goduto una salute invidiabile, ella fu colpita da una malattia ed in pochi giorni si indebolì tanto che i medici non poterono far nulla per lei. Allora le consigliammo di prepararsi per la vita futura ed ella tornò a fare un'accurata confessione della sua vita passata. Quindi, quando si sentì vicina all'agonia, chiese di scrivere a suo fratello che era un eretico e che, forse, era il peggior nemico dei cattolici nella sua contea. Volle mandargli una lettera scritta per mano di sua figlia e firmata di suo stesso pugno. In questa ella rammentava al fratello per quanto tempo fosse stata un'accesa sostenitrice della nuova religione. Di conseguenza egli poteva essere ben sicuro che ella non avrebbe mai cambiato parere senza solide ragioni. Ella aveva infatti dei motivi eccellenti ed inoppugnabili a sostegno della fede che aveva abbracciato. Protestò, inoltre, che dal giorno in cui era divenuta cattolica era vissuta in pace con se stessa, mentre prima non aveva mai goduto la vera pace dell'anima. Infine lo supplicò a provvedere alla propria anima. “lo, tua sorella, scrisse, ormai in punto di morte, ti prego e ti supplico con queste mie ultime parole di abbracciare l'antica fede cattolica; ed io protesto che in nessun'altra fede gli uomini possono esser salvati”. Tali erano i suoi sentimenti, quando era quasi entrata in agonia. Essi erano un segno sicuro della sincerità della sua conversione, giacché ella nutriva vera carità per il prossimo. Le feci alcune domande e, vedendo che non aveva la tentazione né di presumere né di disperare della misericordia di Dio, l'aiutai come meglio potei a farle emettere degli atti di confidenza in Dio. Quando fu sul punto di morire, le porsi un'immagine di Cristo sofferente che ella prese e baciò con affetto. Quindi le posi in mano una medaglia benedetta e le suggerii, al fine di guadagnare indulgenze, di invocare il nome di Gesù almeno col cuore, perché non poteva più parlare, e le dissi di farmi cenno se lo avesse fatto. Ella annuì, strinse la medaglia e la baciò ripetute volte. Poi le suggerii di rinnovare il dolore per i peccati commessi durante la sua vita contro Dio, che era così buono in Se stesso e che l'aveva fatta oggetto di tante misericordie. Tornai a dirle di alzare la mano in segno di assenso ed ella lo fece con prontezza e con fervore. Quindi la invitai ad esprimere il suo rammarico per esser vissuta nell'eresia e per aver resistito a Dio ed alla Sua Chiesa, ed anche questa volta si espresse con un gesto. Alla fine le suggerii di formulare il desiderio di veder ritornare alla fede tutti gli eretici, come pure le dissi di offrire la sua vita per la loro conversione. Ella annuì di nuovo con prontezza. Dopo di che, con la sua mano ormai fredda afferrò la mia e la strinse, quasi che volesse mostrarmi il conforto che i miei suggerimenti le stavano procurando. La consolai e l'incoraggiai fino all'ultimo respiro dicendole di lodare Dio nel suo cuore, di desiderare che tutte le Sue creature lo lodassero e lo servissero, e di offrire a tal fine la sua vita. Ella mi rispose sollevando ed abbassando la mano, proprio come le avevo detto di fare poco prima, quando desideravo accertarmi del suo assenso. Erano presenti molte persone, tra cui anche un prete. Tutte restarono piene di ammirazione e dissero di non aver mai assistito ad una morte come quella. Così ella continuò fino all'ultimo respiro a rispondere ai miei suggerimenti nella maniera che ho descritto, cioè alzando leggermente la mano quando le era impossibile sollevarla del tutto. In questo stato rese l'anima a Dio senza alcun turbamento di spirito e senza alcun sussulto nel corpo. Ella si avviò tranquillamente al riposo come una persona che si addormenta. La minore delle sue figlie era morta prima di lei nella nostra casa. Anch'essa fece una santa morte. La seconda aveva sposato un ricco gentiluomo e lo aveva portato da me per renderlo cattolico, partendosi da una località molto lontana. La maggiore vive ancora nella stessa casa. Ella si trova in attesa degli sponsali, non però con un uomo, ma con Dio, perché ha la vocazione per la vita religiosa. Intanto trascorre devotamente il suo tempo e si dedica al servizio dei sacerdoti, come ha fatto e continua a fare la stessa signora che accudisce la casa. Avrei dovuto terminare già da tempo. Ho oltrepassato di molto i limiti che dapprima mi ero prefisso. Ormai resta ben poco da dire e lo esporrò in breve. In quella casa potei dare gli Esercizi Spirituali a molte persone. In parte si trattava di gente che vi abitava, in parte di visitatori; in ogni caso però raggiunsi i risultati che desideravo. Vi furono due persone che fecero soltanto la prima settimana degli Esercizi; esse desideravano condurre una vita buona e santa. Uno di essi è ormai padre di famiglia, compie molte opere buone e si mantiene nostro fedele amico. L'altro (1) venne a fare gli Esercizi sotto la mia direzione inaspettatamente, senza essere invitato. lo gli chiesi che cosa lo avesse determinato a ciò ed egli rispose: “In un libro scritto contro la Compagnia (2) ho letto che voi ricorrete a questo mezzo per indurre la gente ad entrare nella vita religiosa, per poi derubarla dei propri beni. Il mio nome era menzionato tra quello di altre persone che avevano fatto gli Esercizi sotto la vostra direzione. Si diceva che, sebbene non foste riuscito a farmi entrare in religione, voi mi avete estorto un'ingente somma di denaro”. Egli continuò: “So che mia moglie vi è molto devota perché l'avete resa cattolica, ma so anche che non avete preso mai un centesimo né da me né da lei. Poiché vi hanno calunniato in maniera cosi bassa, sono venuto a confutare le loro menzogne”. Egli fece gli Esercizi e ne trasse un grande profitto. Più tardi mi scrisse di trovargli un prete capace di muoversi in società. lo lo trovai e stavo proprio per mandarlo da lui quando, all'improvviso, si verificò un grave rivolgimento che per un certo tempo ci tolse ogni possibilità di continuare la nostra opera di bene. Si tratta della congiura delle polveri, come vien detta. In quello stesso periodo avevo disposto le cose in maniera che alcuni amici si recassero nel continente. Se non ci fosse altra prova, questa basterebbe da sola a dimostrare che non sapevo nulla del complotto. Una era una signora che aveva intenzione di entrare nel convento delle benedettine a Bruxelles (3), dove era stata preceduta da due altre signore da me inviate, che adesso occupano nello stesso convento un posto di responsabilità. L'altro era un ministro protestante che avevo istruito ed accolto nella Chiesa e che fu l'ultimo ad essere da me riconciliato prima di quel cataclisma (4). Quando questi, ed altri con loro, stavano sul punto di imbarcarsi, giunse l'ordine di bloccare ogni nave in partenza dal porto. Furono entrambi catturati ed imprigionati: sono stati rilasciati solo due anni fa. Adesso l'ex-ministro sta compiendo gli studi al Collegio Inglese di Roma, mentre la signora è suora professa nel convento verso il quale era diretta allorché fu catturata (5). Oltre questo, vi era stato soltanto un altro ministro che avevo convertito. Adesso è sacerdote e sta lavorando nella missione. Durante la mia perma- nenza in questa ultima dimora, mandai in seminario numerosi giovani che, a Dio piacendo, diventeranno buoni mietitori nella stagione della messe (6). Certo, però, se noi riceviamo le cose buone da Dio, dobbiamo esser pronti ad accettare anche le cattive. Forse “cattive” non è l'attributo appropriato alle cose che vengono da Dio, dal momento che ci sono inviate a nostra edificazione. In realtà esse sono buone per i Suoi servi, se questi le ricevono nella maniera dovuta ed adorano le disposizioni di Colui che dona e riprende. Durante il tempo in cui rimasi in questa casa, Dio aveva operato molte cose che erano riuscite di mio grande conforto. Mi aveva dato delle grandi consolazioni grazie alle conversioni che si verificarono ed agli straordinari progressi che molte anime facevano nella virtù. Né mancarono i conforti materiali. Ivi ogni cosa era disposta molto bene ed io ricevevo tutto quello di cui avevo bisogno. Avevo numerosi e bellissimi cavalli per i miei viaggi missionari ed avevo tutto il necessario per portare avanti il mio lavoro. All'interno della casa tutto era disposto bene ed in maniera conveniente. Miei compagni erano Padre Strange, che adesso si trova nella Torre (Padre Percy era stato inviato presso Mr. Digby dal superiore), ed un altro sacerdote che restò con noi per lungo tempo (7). Eravamo anche ben forniti di buoni libri che tenevamo nella biblioteca senza alcuna preoccupazione di nasconderli. Era risaputo, infatti, che appartenevano al giovane barone, al quale erano stati lasciati in eredità dallo zio, che era una persona molto dotta e molto conosciuta per la sua pietà (8). Questo gentiluomo aveva rinunciato al suo diritto ed al suo titolo a favore del fratello minore, il padre dell'attuale barone, per dedicarsi interamente a Dio ed agli studi. Se fosse vissuto più a lungo, sarebbe entrato nella Compagnia. Era desideroso di diventare gesuita ed il suo unico rimpianto sul letto di morte fu proprio quello di non poter essere ammesso subito nella Compagnia. Inoltre, avevamo molti e bellissimi paramenti sacri: due paia per ogni colore usato dalla chiesa, uno per uso ordinario, l'altro per le grandi feste. Alcuni di questi erano ornati con figure di squisita fattura ed erano ricamati di oro e tempestati di perle. Sull'altare c'erano sei candelabri di argento massiccio, mentre due più piccoli si trovavano ai lati per l'elevazione. Le ampolline, la bacinella del lavabo, il campanello e il turibolo erano tutti di argento lavorato; le lampade pendevano da catene d'argento, mentre l'altare era dominato da un crocifisso anch'esso d'argento. Per le grandi feste avevamo un crocifisso d'oro di trenta centimetri. In cima recava cesellato un pellicano, sul braccio destro un' aquila con le ali spiegate recante sul dorso i suoi piccoli nell'atto di apprendere a volare, sul braccio sinistro una fenice morente tra le fiamme in maniera da risorgere dalle sue ceneri e sul piede una chioccia che radunava sotto le ali i suoi pulcini. Il tutto era lavorato in oro da un valente artista. Avevo anche un drappo prezioso che recava impresso il Santo Nome. La mia ospite me lo aveva donato il primo Natale della mia permanenza in casa sua. Il nome era formato da spille d'oro e “l'alone” circostante aveva dei raggi costituiti alternativamente da due o tre spille. Era circa il doppio del foglio di carta sul quale scrivo e conteneva complessivamente duecentoquaranta spille, ad ognuna delle quali era assicurata una grande perla. Queste non erano perfettamente modellate (se lo fossero state, il valore del drappo sarebbe stato favoloso; così com'era, esso valeva un migliaio di fiorini). Sul fondo vi era un colofòn che l'artista aveva decorato d'oro e di gemme, in forma di monogramma del Santo Nome; nel centro c'era un cuore dal quale raggiava una croce di diamanti. Questo fu un regalo di Capodanno che la devota vedova mi fece in onore del Santo Nome di Gesù, nel giorno della festività. Tutti questi tesori sono tenuti in custodia per la Compagnia (9); nel frattempo sono usati nella cappella domestica dai nostri padri che operano in quella residenza. lo, che ho mostrato tanto poco apprezzamento per queste e per molte altre cose datemi da Dio, fui costretto a lasciarle ad altri che ne erano più degni e che le sapevano usare con maggiore vantaggio. ___________________________________________________________ _ NOTE AL CAPITOLO XXII 1 Henry Hastings, nipote di Francis Hastings secondo conte di Huntington. Siccome la madre di Henry Hastings era Jocosa, sorella del primo lord Teynham, Henry Hastings era primo cugino di Elizabeth Vaux. Egli divenne più tardi sir Henry Hastings di Kirby e, poi, di Braunston. AI tempo della congiura delle polveri divenne sospetto ma non fu molestato. H. N. BELL, The Huntingdon Peerage, p. 61; Hat. Cal., XVIII, p. 5. 2 Quodlibetical Questions, libro pubblicato nel 1602 dal prete rinnegato William Watson, del quale Padre Persons scriveva: “Egli è di aspetto deforme e di modi villani; il suo sguardo, poi, è cosi inquieto che sembra guardare contemporaneamente in nove direzioni”. Nel suo libro A Decacordon of Ten Quodlibetical Questions (1601), William Watson aveva pubblicato i nomi di un grande numero di cattolici che erano convertiti oppure ospiti di J. G. Il danno che egli fece con questo libro alla causa cattolica fu immenso, ma probabilmente era mezzo pazzo. A quel tempo era intento a denunciare J. G. a Cecil per immaginari intrighi politici, e l'anno seguente (1603) egli stesso fu ucciso per un indubbio complotto. Sul patibolo si penti e chiese perdono per tutto il male che aveva causato ai suoi fratelli cattolici. D.N.B., vol. LX, p. 42. 3 Questa fu forse Helen Dolman, figlia di sir Robert Dolman di Pocklington, nello Yorkshire, che emise la professione a Bruxelles il 29 aprile 1608. Register of Benedictine Convent at Bruxelles. C.R.S., vol. XIV, p. 179. 4 Tutto preoccupato di “affrettarsi”, J. G. ha omesso una vicenda singolare. Questo exministro era John Golding. Era già stato fissato il giorno delle sue nozze, ma poi fu rimandato. Nel frattempo fu convertito da J. G. Entrò al Collegio Inglese a Roma e fu ordinato nell'aprile 1615. FOLEY, VI, p. 249. 5 Watson, nel suo libro Quodlibets, fornisce i nomi di un certo numero di donne che J. G. aveva “persuaso a diventare suore”. Oltre lady Mary Percy, Do. rothy Rookwood e le due figlie di William Wiseman, egli menziona “Mrs. Tremaine, figlia di Mr. Tremaine della Cornovaglia, Mrs. Mary Tremaine del Dorsetshire e Mrs. Anne Arundel”. Naturalmente, la lista di Watson è incompleta perché egli scrisse nel 1602, tre anni prima della partenza del gruppo che J. G. inviò alla vigilia della congiura delle polveri. 6 È possibile rintracciare i nomi di più di trenta candidati al sacerdozio, inviati nel continente da J. G., nei registri del Collegio Inglese a Roma ed in quelli del seminario di Valladolid. Cfr. Diary of the English College, FOLEY, VI; Valladolid Registers, C.R.S., vol. XXX. Oltre agli studenti dei due collegi, non bisogna trascurare i molti giovani che, come ad esempio Woodward, furono mandati a Douai né gli altri che, sull'esempio dei due Wiseman, entrarono direttamente nel noviziato dei gesuiti. 7 Padre Singleton. 8 Henry Vaux, uno dei gentiluomini cattolici che accolsero in maniera entusiastica Campion e Persons al loro arrivo in Inghilterra nel 1580. Morì non molto dopo la sua scarcerazione in casa di sua sorella, Mrs. Brooksby, a Creat Ashby, nel Leicestershire, nel novembre 1587. Nella sua vita di Campion, conservata manoscritta a Stonyhurst, Padre Persons parla di lui come di “quel signore santo e benedetto, Mr. Henry Vaux, la cui vita fu un raro specchio di religione e di santità per tutti quelli che lo conobbero e che con lui conversarono. Morì dolcemente in Inghilterra, dopo aver rinunciato, molto tempo prima della sua morte allorché era in perfetta salute, all'eredità del baronato in favore del suo fratello minore, riservando per sé una piccola somma annua per poter vivere nello studio e nella preghiera tutti i giorni della sua vita”. Compose una lunga poesia sulla passione di Cristo, che comincia: Supplicium Domini referens caedemque nefandum. Una copia di questa poesia è conservata tra i manoscritti di Condover House, nello Shropshire. Historical Manuscripts Commission, Appendice al V rapporto, p. 354. 9 Nel 1611 si era sparsa la voce che J. G. era tornato in Inghilterra e, nella speranza di catturarlo, Salisbury ordinò un'altra perquisizione a Harrowden. Alla vigilia della festa di Tutti i Santi nel 1611, di notte furono scalate le mura ed i perquisitori irruppero nelle stanze dei padri senza che nessun allarme potesse essere dato. Tutti gli arredi dell'altare, le suppellettili ed i paramenti menzionati da J. G. furono sequestrati e portati via insieme con i due padri Percy e Hart. L'inventario governativo di questi oggetti conferma nei dettagli la descrizione di J. G. P.R.O. Transcripts 9, n. 89; FOLEY, VII, p. 1028. XXIII. LA CONGIURA DELLE POLVERI 5 Novembre 1605 - 3 Maggio 1606 Poiché i miei amici più stretti furono implicati nella catastrofe della congiura delle polveri, il Consiglio mi diede una caccia continua e spietata. Nella mia casa furono mandati alcuni giudici di pace. Essi avevano ordine di perquisirla attentamente e, nel caso che non riuscissero a trovarmi, dovevano restarvi finché non fossero stati richiamati. Un corpo di guardia doveva presidiare la casa per tutto il giorno, mentre di notte uno speciale cordone di vigilanza doveva essere istituito tutto all'intorno per un raggio di tre miglia, con l'ordine di arrestare qualsiasi estraneo che vi si aggirasse. Tutto ciò fu eseguito alla lettera. Appena ci giunse la notizia che era stato scoperto un complotto e che alcuni nostri amici erano stati uccisi ed altri catturati, ci preparammo ad affrontare ogni sofferenza (1). Tuttavia, non fummo colti alla sprovvista e, sebbene la perquisizione fosse durata molti giorni, non fu scoperto nulla finché la mia ospite non rivelò al capo dei perquisitori un nascondiglio in cui si trovavano soltanto pochi libri. Sperava di indurli a credere che, se ci fosse stato un prete in casa, egli si sarebbe nascosto in quel luogo, ripromettendosi che quelli avrebbero interrotto le ricerche. Essi invece continuarono fino allo scadere del nono giorno (2). Io ero nel mio nascondiglio, nel quale potevo sedere comodamente ma non avevo spazio sufficiente per stare in piedi. Comunque non patii la fame perché ogni notte mi veniva portato segretamente il cibo. Al termine del quarto o del quinto giorno (3), quando il rigore della perquisizione si era alquanto mitigato, i miei amici vennero di notte, mi presero e mi fecero riscaldare al fuoco. Era d'inverno, proprio prima del periodo natalizio. Dopo nove giorni, la pattuglia dei perquisitori si ritirò. Essi si convinsero, forse, che io non sarei potuto restare lì per tutto quel tempo senza essere scoperto. Intanto essi avevano catturato un prete che si stava appressando alla nostra casa per mettersi al riparo e non sapeva nulla del cordone di guardie che la presidiava. Pochi giorni prima, quando venimmo a conoscenza del complotto, egli era partito dietro mio suggerimento per vedere Padre Garnet e per chiedergli che cosa avremmo dovuto fare in simile frangente. Questo buon prete era Padre Thomas Laithwaite, che adesso è gesuita e lavora in Inghilterra (4). Egli fu catturato durante il tragitto, ma riuscì a fuggire. Era stato fermato lungo la strada ed era stato condotto in una locanda; quindi doveva essere interrogato e trasferito subito in prigione. Ma dopo essere entrato nella locanda, si tolse il mantello e la spada per tornare nella stalla, quasi avesse intenzione di occuparsi del suo cavallo e di portarlo a bere. Vicino alla locanda c'era un ruscello, e disse allo stalliere di accompagnarvi subito la sua bestia. Egli andò con lui, ma, quando vi giunse, si rivolse al ragazzo dicendogli: “Va a preparare il fieno e spargi un po' di paglia in maniera che il mio cavallo vi si possa adagiare. lo verrò non appena avrà finito di bere”. Il ragazzo tornò alla stalla senza pensare ad altro. Intanto il padre saltò a cavallo e lo spronò nel corso d'acqua, raggiungendo la riva opposta. Siccome il suo mantello e la sua spada erano rimasti nella locanda, essi non sospettarono dello stratagemma, finché non si accorsero che egli mancava da molto tempo ed il ragazzo non raccontò loro l'accaduto. Si misero immediatamente all'inseguimento; ma era troppo tardi. Il buon padre conosceva molto bene la contrada e raggiunse prima di sera una casa cattolica. I vi si nascose per alcuni giorni. Quando si avvide che non poteva raggiungere Padre Garnet, tentò di ritornare da me pensando che il pericolo fosse cessato. Così egli evitò Cariddi per cadere nelle fauci di Scilla, perché, come ho detto, fu preso e trascinato a Londra (5). Poiché non furono in grado di provare il suo sacerdozio, fu concesso a suo fratello di versare una somma per la sua liberazione. Quando cominciarono queste tribolazioni c'erano due sacerdoti nella mia casa, uno dei quali, come ho detto, era Padre Strange. Entrambi avevano espresso il desiderio di trasferirsi presso Padre Garnet, ma furono tutt'e due catturati durante il tragitto. Uno (6) fu relegato a Bridewell e fu in seguito esiliato con altri sacerdoti. L'altro, cioè Padre Strange, fu imprigionato nella Torre dove soffrì molto, come ho sopra accennato. La storia della cospirazione è ben nota. Essa è stata descritta sia da amici che da nemici, ma forse non è stata narrata così come verrà trattata in seguito. Quando lasciai l'Inghilterra mi fu ordinato di scrivere un resoconto completo dell'avvenimento ed io l'ho fatto come meglio ho potuto (7). Non ho intenzione di ripetere qui quello che ho scritto a sufficienza circa le condizioni dell'Inghilterra a quel tempo, come cioè l'avvento del re, ben lungi dall'apportare una tregua della persecuzione, segnò l'inizio di una nuova ondata più aspra e dolorosa della precedente (8). I cattolici si aspettavano ormai - e non pochi lo davano per scontato - che il nuovo parlamento a- vrebbe emanato contro di loro delle leggi più crudeli e severe di quelle già in vigore. Non c'era da attendersi alcuna mitigazione del regime di Elisabetta. Il giogo che i cattolici avevano così lungamente sopportato sulle loro spalle ricurve doveva diventare ancor più pesante. Un gruppo di cattolici giovani e ardenti, vedendo come sarebbero stati esposti non alla sferza ma agli scorpioni, si convinsero che ormai non restava loro più alcuna speranza, se non si fossero decisi a passare all'azione. Era già stata stipulata la pace tra Sua Maestà Cattolica ed il re d'Inghilterra, una pace di cui i cattolici non godettero alcun beneficio, sebbene essi ne avessero più diritto dei malvagi. Di fronte a tali prospettive, queste persone dimenticarono, forse, la pazienza e la pace con cui dovremmo possedere la nostra anima. Essi non poterono sopportare più a lungo che le cose sante venissero calpestate, che i fedeli fossero derubati dei loro averi e che venissero assoggettati ad innumerevoli torti. Era una perdita giornaliera di anime che proprio rattristava. Essi decisero quindi di sollevare il popolo di Dio dallo stato in cui era caduto per far guerra, in tutta segretezza, ai nemici delle loro anime e dei loro corpi, che erano nello stesso tempo i nemici della causa cattolica. Dico “in tutta segretezza” perché non c'era neanche da pensare ad una opposizione aperta, né ad una sollevazione dei cattolici. Il nerbo delle forze cattoliche, bisogna riconoscerlo, era stato infranto e disperso; in ultimo, anzi, i cattolici erano stati privati anche delle armi. Avvenne così che le persone di cui sto parlando ricorsero alla congiura per liberare se stessi, ed altri con loro, da questa terribile schiavitù di anima e di corpo. Essi pensarono che l'unica maniera di raggiungere il loro scopo era quella di spazzar via, d'un sol colpo, i loro nemici e gli avversari principali della causa cattolica. Ho discusso tutti questi argomenti nel libro che ho menzionato. In esso ho fornito anche un resoconto dettagliato del metodo che avevano deciso di usare ed ho spiegato come, quando tutto fu pronto all'attuazione del piano, uno di essi (9) manifestò il complotto in confessione ad un padre della nostra Compagnia. Questo sacerdote rifiutò di ascoltarlo oltre, se non gli fosse stato consentito di notificare la cosa al superiore, salvo restando il sigillo sacramentale. Quando il superiore venne a conoscenza della congiura sanguinosa, ordinò a questo padre di fare tutto il possibile per impedire al suo penitente di attuarlo. Quindi scrisse immediatamente al papa, pregando Sua Santità di proibire ai cattolici di ricorrere alla violenza esterna. Ho narrato come, dopo che la congiura era stata scoperta e resa di pubblica ragione, il superiore e Padre Oldcorne furono catturati in casa di quest'ul- timo. Essi furono scoperti dopo una lunga perquisizione, essendo rimasti per dodici giorni chiusi in un nascondiglio (10). Con loro furono catturati due servi o, come ho sempre sentito dire e ritengo, due Fratelli della Compagnia. Entrambi furono condannati a morte e subirono il martirio. Il primo, Ralph, mori con Padre Oldcorne, del quale era stato domestico e compagno. Mentre il padre saliva la scala che conduceva sul palco dell'esecuzione, Ralph afferrò i suoi piedi e glieli baciò, ringraziandolo delle sue gentilezze e di quanto aveva fatto per lui. Quindi lodò Dio che gli concedeva di terminare così felicemente i suoi giorni in quella santa compagnia (11). L'altro fu “Little John”. Per quasi vent'anni era stato compagno di Padre Garnet ed io ho avuto occasione di menzionarlo frequentemente nel corso di questa narrazione. Egli era ben conosciuto come il più abile progettista e costruttore di nascondigli in Inghilterra. Di conseguenza era l'uomo che poteva consegnare il maggior numero di preti come pure danneggiare e tradire più cattolici di chiunque altro. Lo torturarono a lungo senza pietà; quindi, incapaci di strappargli la minima informazione, lo uccisero; ma non erano riusciti a spezzare la sua costanza (12). In quel libro ho narrato anche come Padre Garnet e Padre Oldcorne furono condotti a Londra. Essi furono sottoposti a continui interrogatori, specie Padre Garnet; entrambi poi furono torturati, particolarmente Padre Oldcorne (13). Questi fu ricondotto a Worcester. Sebbene non avessero potuto trovare nulla contro di lui, egli fu condannato, impiccato e squartato. La sua fu veramente la santa morte di un martire (14). Alle assise speciali di Londra Padre Garnet fu condannato senza che fosse stata dimostrata la sua colpevolezza. Egli oppose una così limpida difesa della sua condotta che i presenti restarono stupiti e lo lodarono, finché Cecil e gli altri non lo avvilirono, rendendo impossibile a quest'uomo di somma modestia di difendersi dalle calunnie lanciate contro di lui (15). Condotto al luogo dell'esecuzione, egli si comportò con coraggio e con umiltà. Tutto il suo comportamento e la maniera in cui egli accettò, o meglio accolse, la morte e le sofferenze toccarono il cuore dei suoi acerrimi nemici e tutti si allontanarono ammirati della sua condotta (16). Tutti questi particolari ai quali ho semplicemente accennato, sono stati descritti diffusamente nell'altra mia narrazione. Adesso voglio aggiungere soltanto qualcosa circa la maniera in cui ottenemmo la festuca sulla quale apparve l'immagine miracolosa di Padre Garnet, perché in seguito ho assistito sul letto di morte l'uomo che la trovò, o meglio, l'uomo al quale Dio la donò. Poco tempo prima di morire, quest'uomo mi riferì di aver sperimentato uno straordinario fervore di spirito nel giorno in cui avvenne la morte di questo santo sacerdote. Egli desiderava assistere all'esecuzione allo scopo, forse, di procurarsi qualche piccola reliquia. Perciò si fece largo fin sotto il palco sul quale il boia stava squartando il corpo del martire, ma temeva di allungare le mani perché tutt'intorno vi erano degli ufficiali. Proprio in quel momento il carnefice spiccò la testa da quel corpo venerabile e la gettò in un cesto pieno di paglia. In quel mentre un filo di paglia gli volò in mano o, almeno, così vicino che poté coglierla senza attrarre l'attenzione. Questa paglia era macchiata di sangue ed egli la conservò con grande venerazione. Per alcuni giorni, come egli mi disse, sperimentò per le cose spirituali e per i consigli di Cristo un'attrazione maggiore di quella di prima. Infatti non ebbe pace finché non rinunciò alla sua proprietà e non prese disposizioni per attraversare la Manica e cominciare gli studi per il sacerdozio. Egli desiderava ardentemente entrare nella Compagnia e questo suo desiderio durò fino alla morte che avvenne a St. Omers. Quando si trovò sul letto di morte diede tanta edificazione che nessuno dei presenti poté ricordare una morte più santa. Aggiungerò a questo punto un episodio riguardante il martirio di Padre Oldcorne. Nell'altro mio libro ho accennato ad una lettera ricevuta dall'Inghilterra. In essa si diceva che, quando gli intestini di questo santo martire furono gettati nel fuoco, conforme alla sentenza, essi arsero per sedici giorni che corrispondevano esattamente ai sedici anni durante i quali egli lavorò in quella contea, accendendo il fuoco dell'amore divino ed alimentandolo con la sua parola e col suo esempio. Proprio di recente ho parlato di ciò con un buon sacerdote che si trova attualmente a St. Omers e che è conosciuto come Padre North (17). A quel tempo questo prete si trovava in prigione a Worcester e molte persone gli riferirono che il fuoco, oltre a durare produceva grandi fiammate, nonostante cadesse una fitta pioggia; che inoltre la gente si recava in folla a vedere quel fenomeno e confermava la verità del racconto quando tornava a casa; e che, infine, al sedicesimo o diciassettesimo giorno il fuoco si dovette estinguere o almeno ricoprire con uno strato di terra. Questo padre aggiunse di aver visto, nel cortile della casa in cui erano stati catturati i due padri, una corona disegnata nell'erba, un'erba del tutto differente per colore e per forma da quella circostante: essa era più alta e disposta chiaramente in forma di una corona imperiale. Dopo l'arresto dei padri la casa era stata abbandonata. Gli animali, che erano penetrati nel giardino attraverso i cancelli abbattuti, vi pascolarono per diversi mesi, ma per tutto quel tempo non toccarono né calpestarono la corona. Egli la considerava come il simbolo dell'innocenza dei padri e come un segno del loro premio eterno (18). Penso che farei bene ad aggiungere poche righe su me stesso, prima di concludere. Nell'altro libro dissi che era stato proclamato un bando contro tre padri gesuiti. lo ero uno di loro e, sebbene fossi il meno importante, il mio nome fu menzionato per primo quasi che fossi il capo: io che ero soggetto al secondo nominato e, sotto ogni rispetto, di gran lunga inferiore al terzo (19). Tutto ciò - mi sia concesso di protestarlo solennemente - era assolutamente infondato. lo non sapevo proprio nulla della congiura e, a differenza degli altri due, neanche sotto il sigillo sacramentale. lo non avevo neanche la minima idea di questa macchinazione finché non ci giunsero delle voci secondo le quali si diceva che era stato scoperto un complotto. Anche allora la notizia non ci raggiunse prima di qualsiasi altra persona che abitava in quella parte del paese. Dalla lunga perquisizione durata nove giorni, mi resi conto che ero sospettato e ricercato in maniera particolare. Allora scrissi una lettera aperta, sotto forma di uno scritto indirizzato ad un amico, in cui fornivo molte prove e protestavo, al di là di ogni cavillo, che ero assolutamente innocente delle accuse lanciate contro di me. Feci fare molte copie della lettera e le feci spargere per le strade di Londra durante le prime ore del mattino. Molte persone le raccolsero e le lessero. Una copia fu mostrata al re da un membro del Consiglio che era amico mio o della mia causa (20). Il re, secondo quanto mi hanno riferito, disse che la lettera lo convinceva (21). Ma più tardi, quando si conobbe la residenza di Padre Garnet e si affacciò la speranza di catturarlo e di scaricare ogni colpa sulla Compagnia, essi pensarono che fosse necessario additare alcuni dei nostri padri come i principali artefici del complotto (22). Il mio nome fu associato a quello dei due padri che erano stati diffamati da uno dei servi di Mr. Catesby. Prima di morire, questi si penti e confessò pubblicamente di aver agito contro coscienza quando riferì tali cose. Aveva avuto paura della morte e sperava di esser perdonato; inoltre il segretario Cecil lo aveva adescato passandogli del denaro. Forse a quel tempo alcune persone sospettarono realmente che io fossi al corrente della congiura. Si sapeva che molti gentiluomini imprigionati erano miei amici e mi avevano visitato regolarmente nella mia dimora londinese. Uno di essi lo aveva confessato durante il suo interrogatorio, affermando però che io non conoscevo assolutamente nulla del loro com- plotto. Dopo averli interrogati tutti, essi non avevano ancora nulla di cui accusarmi. Mr. Digby, che era mio intimo amico e che per tale ragione fu più rigorosamente interrogato nei miei riguardi, protestò apertamente davanti alla corte che non aveva mai osato confidarmi le sue intenzioni per timore che lo dissuadessi dal tentativo (23). Tutto ciò giunse al mio orecchio. Appresi anche diversi fatti riguardanti Padre Garnet dai quali risultava che egli era a conoscenza del complotto anche se sotto il sigillo sacramentale e che lo aveva appreso da un membro della Compagnia (24), che anch'egli lo conobbe sotto il sigillo. Mi sembrò, quindi, di essere sufficientemente lavato dell'accusa. Allo scopo, poi, di mettere in evidenza questo fatto, scrissi le tre lettere ai tre Lord più influenti del Consiglio, poco tempo prima della morte dei gentiluomini che furono condannati. Con argomenti molto probanti dimostrai che non sapevo nulla della cospirazione e mostrai loro la maniera in cui avrebbero potuto convincersene, finché quei signori erano ancora in vita (25). Se lo abbiano fatto o meno, non lo so. So soltanto che durante il processo intentato contro Padre Garnet (e cioè dopo che essi avevano ricevuto queste lettere) essi non mi menzionarono una sola volta, sebbene facessero il possibile per diffamare tutta la Compagnia e per coinvolgere tutta la missione inglese (26). Essi dichiararono colpevoli i tre sacerdoti: i due che avevano appreso la cosa in confessione e Padre Oldcorne, non in quanto era al corrente del complotto ma in quanto agì da complice dopo il fatto. Io cercai tuttavia di tenermi ben nascosto (27). Allora mi trovavo a Londra in una casa che nessuno conosceva (28). Mediante la protezione di Dio fui salvo e, se l'avessi ritenuto opportuno, sarei potuto restare ancora più a lungo. Non abbandonai l'Inghilterra per sfuggire alla cattura. Non era il tempo di lavorare, e dal momento che dovevamo starcene molto quieti, approfittai dell'occasione per trasferirmi qui e riposarmi alquanto (29). Dopo un così lungo periodo di lavoro dissipante in mezzo a gente di ogni specie, desideravo un momento di respiro per riacquistare le forze e per prepararmi al lavoro che mi attendeva in futuro. A quel tempo ero solo. Quasi tutti i miei amici o si trovavano in prigione o vivevano in tali angustie che a stento potevano badare a se stessi. Ogni luogo era sorvegliato; era impossibile trovare un posto sicuro (30). Per l'indiscrezione di alcuni, come ho già detto, avevo perduto la mia casa a Londra ed ancora non mi ero deciso ad abbandonare l'Inghilterra. Ciò nonostante, riuscii a trovare a Londra un'altra casa, forse più adatta della precedente alle mie nuove ne- cessità. La feci arredare di tutte quelle cose di cui avevo bisogno e vi costruii alcuni nascondigli sicuri. In essa passai tranquillamente tutta la Quaresima che precedette la mia fuga. Oltre a questa, presi in affitto una seconda abitazione, molto più grande e più bella, in cui intendevo coabitare con Padre Anthony Hoskins. Dopo la mia partenza, fu usata dal mio superiore per un tempo considerevole. Verso la fine della Quaresima esposi al pericolo la prima di queste due case, quando tentai di liberare uno dei nostri padri. Avvenne così. Il buon sacerdote, Padre Thomas Everett, era andato a stabilirsi a Londra in casa di un gentiluomo (31) ove incontrò alcuni traditori o, per lo meno, alcune persone che non riuscirono a tener chiusa la bocca. La cosa venne risaputa dal Consiglio. Poiché questo padre era quasi della mia stessa altezza ed aveva i capelli neri, Cecil pensò che si trattasse di me. Pronunciando il mio nome, andava dicendo agli amici che questa volta mi avrebbe acciuffato infallibilmente. Invece si lasciò sfuggire tutt'e due. Appena seppi che quel sacerdote si era recato in quella casa in cui la sua presenza non era stata mantenuta segreta, chiesi al Signore che mi aveva tenuto nascosto in casa sua, prima che mi trasferissi nella mia nuova abitazione, di andare a prendere quel padre e di tenerlo in casa per un po' di tempo. Quegli obbedì prontamente ed il sacerdote riparò da lui; mentre la casa che aveva appena abbandonato veniva perquisita da un capo all'altro. Pochi giorni dopo perquisirono la casa in cui egli si era trasferito, perché vi avevano trovato alcuni libri di Padre Garnet che il padrone di casa era solito custodire (32). Non trovarono nessuno, perché Padre Everett si rifugiò in un nascondiglio; comunque trassero in prigione il padrone e la padrona di casa. Quando mi giunse questa notizia, mi allarmai. Nella casa non c'era più nessun cattolico che conoscesse il nascondiglio del padre ed io temetti ch'egli sarebbe morto di fame o, altrimenti, che sarebbe uscito e sarebbe stato catturato. Quindi vi inviai alcuni uomini, dopo aver loro descritto il luogo in cui il sacerdote era nascosto. Essi lo chiamarono e bussarono sul suo nascondiglio, tuttavia egli rifiutò di aprire. Sebbene gli assicurassero che erano stati inviati da me per liberarlo, egli non rispose. Le loro voci non gli erano familiari ed egli temeva che fosse un tranello dei perquisitori. Talvolta, infatti, fingono di andarsene per poi ritornare poco dopo; imitando la voce di un amico, si aggirano per le stanze annunziano che i perquisitori sono partiti ed invitano la gente nascosta ad uscire fuori. Questo era quanto il buon padre sospettava, perciò non diede risposta. Gli uomini che avevo mandato si trattennero a lungo e furono costretti a torna- re tardi. Lungo la strada caddero nelle mani delle guardie. Per quella notte furono tenuti in custodia, ma il giorno successivo dopo qualche difficoltà furono rilasciati. Si venne a sapere che uno di essi era vissuto con un cattolico e si sospettò che anche lui fosse tale. Questo fatto attrasse i sospetti sulla mia casa, giacché si seppe anche che abitava lì. Apparentemente la casa era stata affittata da uno scismatico che non era sospetto, ma ormai la cosa aveva perso ogni significato. Quattro giorni dopo, la più alta autorità di Londra, cioè il sindaco, venne a perquisire il luogo con una pattuglia di guardie. Nel frattempo mi era stato riferito che Padre Everett aveva rifiutato di rispondere; ero convinto che fosse ancora lì e temevo che morisse di fame. La notte seguente mandai di nuovo i miei uomini accompagnati, questa volta, da colui che aveva costruito il nascondiglio e sapeva come aprirlo. Con grande sollievo il padre uscì fuori ed essi lo condussero nella mia casa dove si trattenne. Intanto io mi ero trasferito presso un amico la cui casa era molto sicura. Egli temeva che l'arresto degli uomini che avevo inviato a liberare il padre potesse far orientare i perquisitori verso la mia casa. Ciò accadde a sole tre notti di distanza. Era il Giovedì santo (33). Padre Everett stava celebrando Messa ed aveva appena finito l'Offertorio, quando una masnada tumultuante irruppe attraverso il cancello del giardino. Il sindaco era furibondo e si mosse così rapidamente che attraversò il giardino, entrò nella casa e raggiunse le scale proprio mentre il padre, tutto rivestito dei paramenti e con un fagotto di suppellettili sacre sotto il braccio, si eclissava nel nascondiglio. Ma gli ambienti erano così chiusi che il sindaco ed i suoi uomini fiutarono l'odore caratteristico delle candele appena spente. Certi di aver sorpreso un prete, presero a perquisire con maggiore diligenza. Non trovarono neanche uno dei tre nascondigli. Tutti quelli che non erano nascosti e che si confessarono cattolici furono trascinati via insieme allo scismatico che era ritenuto da loro il padrone di casa. Ancora una volta riuscii a far liberare Padre Everett dalla prigione del suo nascondiglio. Gli consigliai di abbandonare Londra e decisi di non usare la mia casa per un po' di tempo, perché ormai era conosciuta come una casa cattolica. Vedendomi costretto a restare inoperoso, senza alcuna possibilità di lavorare, approfittai della prima occasione per attraversare la Manica e trasferirmi qui. Raccomandai i miei amici a diversi sacerdoti e pregai questi ultimi affinché lì assistessero in maniera speciale durante la mia assenza. Per quanto riguarda la mia ospite, ella era stata portata a Londra quando avevano fatto quella prolungata perquisizione in casa sua, nella speranza di catturarmi. Ella fu interrogata insistentemente intorno a me davanti al Consiglio, ma rispose a tutte le domande in maniera ineccepibile (34). Alla fine le presentarono una lettera che ella aveva scritto ad un suo parente, chiedendogli di provvedere al rilascio di Padre Strange e dell'altro padre da me menzionato prima. Questo signore era la personalità più influente della contea nella quale quelli erano stati catturati (35), ed ella pensava che mediante questa lettera sarebbe riuscita a farli rilasciare. Quest'uomo fedifrago, che così spesso si era detto pronto ad eseguire qualsiasi servizio di cui ella lo avrebbe richiesto, dimostrò ancora una volta la verità delle parole del profeta: “I nemici dell'uomo sono quelli di casa sua”. Egli aveva consegnato la sua lettera al Consiglio. Agitando questa lettera in maniera che ella la vedesse, dissero: “Non vi rendete conto che siete completamente alla mercé del re sia per la vita che per la morte? Vi sarà risparmiata la vita se ci direte dove si trova Padre Gerard”. “Non lo so, rispose, e quand'anche lo sapessi, non ve lo direi”. Allora un lord del Consiglio (36), che in passato le si era mostrato amico in diverse occasioni, si alzò e l'accompagnò cortesemente alla porta. Durante il percorso le disse con fare persuasivo: “Abbiate un po' di pietà di voi stessa e dei vostri figli e dite loro quello che desiderano sapere. In caso contrario dovrete morire”. Ella rispose ad alta voce: “Allora preferisco morire, signore”. Mentre ella parlava si aprì la porta. I suoi servi che attendevano di fuori la udirono (37) e scoppiarono tutti in lacrime. Quelli invece le avevano detto così per intimorirla, giacché in quella occasione non la misero neanche in prigione. La mandarono invece in città in casa di un gentiluomo (38) e, dopo averla trattenuta un po' di tempo in custodia, la lasciarono libera a condizione che restasse a Londra. Uno dei lord più influenti del Consiglio confidò ad un amico che nulla deponeva contro di lei eccetto il fatto che era una fanatica papista e che sorpassava gli altri per i mali che istigava. Io ero ancora a Londra. Appena ella fu liberata da quello stato di sorveglianza, completamente dimentica di sé, volle prendersi cura della mia persona. Ogni giorno mi inviava notizie per lettera. Mi procurò tutto il necessario per la casa e, quando seppe che desideravo recarmi all'estero per un certo tempo, disse che non dovevo badare a spese pur di mettermi sicuramente in salvo, poiché ella avrebbe sostenuto con gioia tutte le spese an- che se la cosa dovesse costare cinquemila fiorini. Infatti ella me ne diede mille per il viaggio. Io l'affidai alle cure di Padre Percy che era già vissuto molto tempo con me nella sua casa. Egli si trova ancora sul posto dove fa molto bene; e sono certo che continuerà a farlo. Andai direttamente a Roma da dove fui poi inviato in queste regioni per stabilirmi a Lovanio. Quel che mi sia capitato e quale sia l'opera degli altri padri si può apprendere dalle Lettere Annuali (39). Nella data del 3 maggio, giorno in cui Padre Garnet volò in cielo, ho ricevuto due favori segnalati, che ritengo frutto della sua intercessione. Il primo fu questo. Quando, dopo precedenti accordi, giunsi al porto dal quale dovevo salpare dall'Inghilterra insieme ad alcuni altri funzionari, questi si intimorirono e dissero che non potevano mantenere la promessa. Fino al momento dell'imbarco si rifiutarono di portarmi. Ma proprio in quel momento Padre Garnet venne accolto in cielo e non dimenticò me che ero rimasto sulla terra. Improvvisamente cambiarono opinione. L'ambasciatore venne personalmente a prendermi ed egli stesso mi aiutò a vestire la livrea degli uomini del seguito in modo che potessi passare come uno di loro e fuggire (40). Così potei partire, ma in cuor mio sono sicuro che lo debbo alle preghiere di Padre Garnet. Il secondo e più segnalato favore è quello che mi fu concesso tre anni dopo, sempre il giorno 3 maggio. In quella data, infatti, per quanto ne fossi indegno, fui ammesso nel corpo della Compagnia mediante i quattro voti. Considerò ciò di gran lunga il più grande favore che abbia mai ricevuto e sembra che Dio abbia voluto mostrarmi che anche questo mi era stato ottenuto dalle preghiere di Padre Garnet, poiché vi è una strana somiglianza tra le circostanze della mia professione e quelle del suo martirio. In tutt'e due i casi il giorno originariamente fissato era il 10 maggio, festa dei santi apostoli Filippo e Giacomo, ma in entrambi delle circostanze impreviste rimandarono l'evento al 3 maggio 41. Voglia Dio concedermi di amare e di portare sempre fedelmente la croce di Cristo per camminare in maniera degna della vocazione alla quale sono chiamato. “Una cosa sola ho chiesto al Signore, una cosa che continuerò sempre a chiedergli, cioè che possa vivere tutti i miei giorni nella casa di Dio”. Sì, finché non mi mostrerò riconoscente dei favori che ho ricevuto. Finora sono stato una pianta sterile, perciò prego affinché possa cominciare a portare qualche frutto ad opera dell'olivo nel quale sono stato innestato. ___________________________________________________________ _ NOTE AL CAPITOLO XXIII 1 Nel suo interrogatorio Elizabeth Vaux dichiarò che “ella non aveva sentito nulla del tumulto di Londra prima di mercoledì (6 novembre) dopo il compimento dell'attentato. Solo sir George Fermor e sua moglie, andando lì per caso, le raccontarono il fatto”. (S.P.D., James I, XVI, n. 88). Nel suo interrogatorio (ib. XIX, n. 43), Padre Strange dichiarò che la notizia raggiunse Harrowden il 4 novembre, ma ciò è evidentemente un errore oppure un'invenzione maliziosa. Catesby e Percy furono uccisi mentre i due Wrights, Rookwood e Grant furono catturati a Holbeach House, vicino a Stourbridge, quando il gruppo fu. raggiunto il 9 novembre. Se J. G. si riferisce a questo incidente e non alla cattura di Fawkes e degli altri a Londra, bisogna supporre che egli ne abbia ricevuto notizia prima che Harrowden fosse circondata. 2 Questo incidente è descritto da William Tate, il giudice di pace incaricato delle indagini, in una lettera spedita a Salisbury e datata “Harrowden, 15 novembre”. “Dissi a Richard Richardson, un domestico di Mrs. Vaux, allora presente, di agire sinceramente con me e questi dopo un po' di tergiversazione apri la porta. Al che entrai ed ispezionai di persona: lo trovai il luogo più segreto che avessi mai visto, disposto in maniera tale che era impossibile scoprirlo. I vi scoprii molti libri papisti e diversi oggetti pertinenti alla loro superstiziosa religione, ma nessun uomo. Sono sicuro che nessun poté fuggire di lì dopo che io ero entrato nella casa, avendola presidiata tutt'intorno giorno e notte ed essendo le chiavi di tutte le porte nelle mani mie e in quelle dei servi”. La lettera di Tate è stampata in Hatfield Calendar, XVII, pp. 490-491. Il resoconto della perquisizione corrisponde esattamente a quello fatto da J. G. in Narrative, p. 138. J. G. fa capire che Tate scopri proprio quello che Mrs. Vaux risolse di rivelare. Tate era un amico di famiglia e, come succedeva cosi spesso durante la persecuzione dei cattolici, doveva svolgere un compito a lui sgradito. 3 La perquisizione cominciò il 12 novembre. “Ho usato tutta la speditezza possibile per penetrare da Mrs. Vaux, nella sua casa di Harrowden, dove mi sono presentato con la più grande segretezza possibile martedì 12 del corrente mese tra le dodici e l'una dello stesso giorno”. William Tate a Salisbury il 13 novembre 1606. C.S.P.D., James I, CCXVI, n. 92. In Narrative (p. 138) J. G. fornisce una descrizione più dettagliata di questa perquisizione. Sebbene Tate usasse “tutta la speditezza possibile”, lo stesso non si può dire del governo. Il fatto che Salisbury attese una settimana prima di passare all'azione potrebbe significare che egli giudicò innocenti sia J. G. che Mrs. Vaux. 4 Padre Thomas Laithwaite mori in Inghilterra il 10 giugno 1655, quarantanove anni dopo la sua ammissione nella Compagnia. Per il suo interrogatorio vedi MORRIS, pp. 404-405. 5 “Diedi ordine che si facesse una guardia severissima giorno e notte in tutta la campagna adiacente e non si permettesse il passaggio ad alcuno... In quella occasione furono arrestate diverse persone ed un certo John Laithwoode fu portato in mia presenza... Al primo interrogatorio egli si dimostrò insofferente e insolente, ma il giorno seguente fu di migliore umore”. William Tate a Salisbury, 15 novembre 1605. Hat. Cal., XVII, p. 490. 6 Padre William Singleton, uno degli assistenti dell'arciprete. Egli fu catturato con Padre Strange a Kenilworth il 7 novembre mentre si recava a Hinlip. C.S.P.D., 16031610, p. 300; C.R.S., vol. XLI, pp. 23-24. 7 Ci si riferisce al lavoro di J. G. Narrative of the Gunpowder Plot, stampata in Condition of Catholics under James I (1871) di MORRIS. 8 Il 22 febbraio 1604 fu divulgato un editto che imponeva a tutti i gesuiti ed ai preti del seminario di lasciare il paese prima del 19 marzo. Fu richiamata in vigore l'ammenda di venti sterline al mese per non conformismo; la stessa fu resa retroattiva in maniera da eliminare ogni indulgenza sopravvenuta col nuovo regno. Il 24 aprile fu presentato ai Comuni un progetto di legge che reintegrava tutte le misure elisabettiane contro i cattolici, corredandole di pene suppletive per coloro che mandavano i propri figli all'estero per procurar loro una educazione cattolica. Nello stesso anno una nuova ondata di persecuzioni si riversò sul paese. L'effetto di queste leggi contro i cattolici che aiutavano gli ecclesiastici è descritto nella lettera inviata da Padre Garnet a Persons il 4 ottobre dell'anno seguente: “Se qualche padrona di casa non è completamente perduta, ella sta meglio di molte sue vicine”. 9 Questi fu Robert Catesby, l'istigatore della congiura che rivelò il complotto a Padre Tesimond in confessione. 10 “Quando uscimmo fuori, scrisse Padre Garnet, sembravamo due spettri... L'uomo che ci scovò fuggì via per la paura, temendo che noi gli avremmo scaricato addosso qualche pistola”. Essi furono catturati il 27 gennaio 1606. (Cfr. S.P.D., James I, XIX, n. 11). Nella stessa lettera Padre Garnet fornisce un'accurata descrizione dei nascondigli. “Dopo essere rimasti in quel buco per sette giorni, sette notti e diverse ore, chiunque può immaginare quanto fossimo stanchi, e veramente lo eravamo. Solo raramente potevamo distenderci per metà, dato che il luogo non era alto abbastanza, ed avevamo le estremità così irrigidite che, sedendoci, non potevamo trovare posto per loro. Perciò avevamo un dolore continuo alle gambe che erano tutte enfiate, specialmente le mie, e così rimasero finché non fummo portati nella Torre. Se avessimo avuto almeno mezza giornata di libertà per uscire, avremmo sgombrato dei libri e dei mobili quel posto che, se fosse stato munito di un gabinetto, avremmo potuto abitare per un quarto di anno. Tutti i miei amici si meraviglieranno che nessuno di noi, specialmente io, fosse andato al gabinetto per tutto quel tempo, sebbene avessimo modo di fare servitii piccoli per i quali tuttavia fummo in grande imbarazzo fin dal primo giorno. Eravamo contenti e felici lì dentro e sentivamo ogni giorno le guardie che ci cercavano con grande alacrità, cosa me mi fece veramente temere che il luogo sarebbe stato scoperto. Se avessi saputo in tempo del bando lanciato contro di me, sarei uscito fuori e mi sarei offerto prigioniero a Mr. Abington, anche se non avesse voluto”. 11 Dopo aver servito come cuoco al seminario di Douai, Ralph Ashby entrò nella Compagnia come fratello laico ed andò in Inghilterra con Padre Greenway nel marzo del 1598. Per otto anni lavorò come domestico di Oldcorne e fu catturato insieme a Nicholas Owen (“Little John”) a Hinlip House il 23 gennaio 1606. Dopo tremende torture nella Torre, fu ucciso con Padre Oldcorne a Worcester il 7 aprile dello stesso anno. FOLEY, IV, p. 267 seg. 12 Non c'è nessuna testimonianza scritta né della famiglia, né del luogo e della data di nascita, né dell'ingresso della Compagnia di Nicholas Owen. Probabilmente era un falegname o un muratore e divenne gesuita prima del 1580. Fu arrestato il 23 gennaio 1606 e fu portato prima nella prigione di Marshalsea e poi nella Torre. Fu appeso con enormi pesi legati ai piedi finché, come dice J. G., “i suoi intestini non uscirono fuori insieme con la vita”. J. G., Narrative of the Gunpowder Plot. Egli mori il 2 marzo 1606. GODFREY ANSTRUTHER, O. P. “Notes on the English Martyrs”, The Ransomer, vol. XII, n. 5, p. 11. 13 Padre Garnet fu torturato solo una volta, mentre Padre Oldcorne lo fu per cinque ore per quattro o cinque giorni consecutivi. Cfr. Narrative, pp. 181, 271. 14 Padre Oldcorne e Fratel Ralph Ashly furono uccisi a Worcester il 7 aprile 1606. 15 Garnet fu processato nella Guildhall il 27 marzo. Il re fu presente “in privato” al processo che durò dalle otto del mattino alle sette di sera. MORRIS (p. 390) riporta una relazione di quell'epoca secondo cui il re avrebbe dichiarato: “Il gesuita non ha giocato a carte scoperte”, ma io non sono stato in grado di stabilire l'autenticità di questa affermazione. 16 Il re concesse a Padre Garnet la grazia di restare appeso finché non fosse morto. Una lettera di Sir Charles Cornwallis descrive il “dolore espresso dal popolo per l'esecuzione del gesuita, e... quando il boia mostrò la testa di lui ed esclamò "Dio salvi il re", non ci fu uno solo che rispose "Amen"! Anzi piombarono tutti sul boia che a stento ebbe salva la vita. Queste parole sono tratte da una relazione scritta da North, segretario dell'ambasciatore spagnolo, e sono citate da Cornwallis in questa lettera come una dimostrazione dell'“impegno” preso “per rendere Garnet innocente”. Hat. Cal., XVIII, p. 265. 17 Costui è Padre John Floyd nativo del Cambridgeshire. Fu arrestato mentre tentava di visitare Padre Oldcorne in cella nella prigione di Worcester. Fu esiliato nel 1606. FOLEY, VII, parte I, p. 268. 18 Per i resoconti contemporanei di tali avvenimenti e per la sensazione che essi suscitarono vedi Appendice G. 19 Questo bando reca la data del 15 gennaio 1606, diverse settimane dopo che i cospiratori furono catturati. In una lettera del 22 gennaio Salisbury commenta: “Questi tre descritti nel bando rappresentano gli stessi cardini dell'ordine e ne sono gli oracoli”. Il bando si trova in C.S.P.D., James I, 1603-1610, p. 280, ed è seguito da una descrizione di J. G. (vedi Appendice I), di Garnet e di Greenway. Questo fu presumibilmente mandato in tutti gli uffici postali del paese. 20 Costui fu Thomas Howard, conte di Northampton, come afferma lo stesso J. G. in una lettera inviata a Richard Smith, vescovo di Calcedonia, in data 10 settembre 1630: “Una persona fu incaricata di diffondere copie della mia summenzionata lettera nelle varie strade di Londra, ed una copia in particolare fu inviata al conte di Northampton, il quale la porse al re. Il sovrano fu tanto persuaso delle mie ragioni che avrebbe anche desistito dalla caccia spietata fatta per catturarmi, se per scopi personali Cecil non lo avesse reso più violento che mai. Essendo persuaso che alcuni cospiratori avevano tramato contro la sua vita in particolare e sapendo che molti di loro erano miei amici, egli sperava che, se mi avesse catturato, avrebbe potuto scoprire col mio aiuto quanti e quali fossero stati i cospiratori. Per questa unica ragione non ebbe mai pace finché non persuase il re, come di cosa a lui inequivocabilmente ben nota e chiaramente provata, che io non ero soltanto un complice, ma il capo e l'istigatore del complotto e che, di conseguenza, dovevo figurare capolista nel bando che era stato proclamato”. MORRIS, p. 429. 21 È impossibile rintracciare la lettera, ma una copia venne in mano di Padre Michael Walpole. “Considerando la lettera di Gerard”, egli scrisse il 29 gennaio 1606, “lettera che ho visto, posso dire soltanto che sembrava cosi efficace che non c'era nulla da aggiungere. Perciò sono pienamente persuaso che Sua Maestà e tutto il Consiglio rimarranno soddisfatti di lui in cuor loro. Di fatto si dà per certo che Sua Maestà si sia espresso in tal senso, quando vide la sua lettera”. BARTOLI, Inghilterra, libro VI, cap. 6, p. 510. 22 Cfr. la lettera di Salisbury a sir Thomas Edmunds in data 22 gennaio 1606. “E sebbene nel libro di Sua Maestà non ci sia nessun riferimento a loro [i tre gesuiti menzionati nel bando], non può essere altro che frivola l'illazione che i gesuiti ne approfittino a loro vantaggio, cercando di scagionare il loro ordine”. Hat. Cal., XVIII, p. 28. È significativo il fatto che, sebbene Padre Garnet e Padre Oldcorne fossero stati catturati il 27 gennaio, Salisbury non ne fu informato ufficialmente prima del 30. Siccome deve averlo saputo prima, sembra probabile che egli abbia impedito la notificazione ufficiale della loro cattura, finché non avesse eliminato tutti i testimoni in favore di Garnet, giacché i cospiratori che erano stati processati il 27 gennaio furono frettolosamente uccisi il 30 ed il 31 dello stesso mese. 23 Non ci resta una relazione completa del discorso di Digby, ma dai messaggi inviati a J. G. e contenuti nelle lettere che egli scrisse a sua moglie non c'è dubbio circa l'intenzione di Digby di liberare J. G. dall'imputazione. In una lettera egli dichiara me nel suo interrogatorio “davanti a tutti i Lord io discolpai tutti i sacerdoti di tutto quello che so. Ma ora mi si permetta di dire quale dolore sia stato per me il sentire che sono state condannate tante cose intorno alle quali ritenevo me i cattolici la pensassero diversamente... quando seppi quello che i cattolici ed i preti pensavano della questione, e che sarebbe stato un grande peccato quello me avrebbe determinato la mia fine, tutto ciò fece piombare nel dubbio la mia coscienza circa le mie migliori azioni... Soltanto ciò mi fece desiderare ancora la vita per aver modo di incontrare un Padre spirituale”. PHILIP SIDNEY, A History of the Gunpowder Plot, pp. 123-124. 24 Padre TesinIond, alias Greenway. 25 Fu metodo peculiare di J. G. quello di scrivere tre lettere per essere sicuro che la sua dichiarazione di innocenza raggiungesse il Consiglio. Soltanto due delle tre lettere esistono ancora: sono indirizzate a Lennox ed a Salisbury e recano, tutt'e due, la data del 23 gennaio 1603. Nella prima egli suggerisce “che tutti i principali cospiratori... siano interrogati prima di morire, chiedendo loro di confessare, come farebbero di fronte al terribile tribunale verso il quale sono incamminati, se mi hanno fatto partecipe della cosa oppure se io l'ho comunicata loro in qualsivoglia modo, o se essi possono attestare di propria autorità che io ero al corrente della cosa. E sono sicuro che nessuno di loro mi accuserà, a meno che non risulti evidente che lo facciano nella speranza di aver salva la vita. Ma è chiaro, dai segni che dànno, che essi muoiono nel timore di Dio e con la speranza della loro salvezza”. C.S.P.D., James I, vol. XVIII, n. 35. Quando fu di nuovo avanzata contro J. G. l'accusa di complicità, questa volta da parte dei suoi compagni cattolici, e quando essa fu resa di pubblica ragione nel 1630 con un libro scritto da Richard Smith, vescovo di Calcedonia, J. G. in una lettera al vescovo rivelò questa tipica ed interessante offerta che egli aveva fatto al tempo della congiura delle polveri: “Sebbene... vedessi che la procedura proposta da me ai consiglieri non era accetta, essendo la cosa recente e trovandomi a Londra, chiesi ai padri il permesso di presentarmi in persona al Consiglio di Stato. Ed io l'avrei fatto, se me ne avessero dato licenza e se il Consiglio avesse proceduto contro di me e non a motivo della religione, ma per sola complicità, essendo questa propriamente in questione, anche a rischio, essendo trovato colpevole, d'esser trattato nel peggiore dei modi. Giuro che feci e rinnovai questa richiesta parecchie volte ai nostri padri. Di essi alcuni sono ancora in vita e possono testimoniarlo; a loro, però, non sembrò giusto acconsentirvi”. MORRIS p. 435. 26 Uno dei più forti argomenti a favore dell'innocenza di J. G. è che egli non è menzionato in nessuno dei ventidue interrogatori ai quali fu sottoposto Padre Garnet. Né vi è alcun indizio che Garnet, il quale fu molto candido nelle sue risposte, considerasse minimamente necessario difendere J. G. Comunque, J. G. si sbaglia nel dire che egli non fu menzionato “durante il processo”, perché il suo nome si trova nell'atto di accusa di Padre Garnet. 27 Per lo meno quattro cattolici rinnegati, che sostenevano di conoscere J. G., avevano offerto a Salisbury i loro servigi come spie ed avevano ricevuto del denaro per il suo arresto. Una di essi, lady Markham, offre un'interessante testimonianza del concetto in cui J. G. era tenuto nelle campagne del Northamptonshlte. In una lettera a Salisbury ella afferma: “lo incontro molta gente che è disposta a credere che non vi fosse polvere di sorta, così facilmente come si lascia convincere che questo santo uomo [J. G.] abbia preso parte al complotto. Per certo tutti lo hanno sempre ammirato fino al punto di sentirsi felici e beati nell'ascoltarlo e di ritenere il loro tetto santificato dal suo passaggio nella loro casa”. C.S.P.D., James I, vol. XVI, n. 88. Le quattro spie, dalle quali Salisbury accettò l'offerta dei servizi, sono: -1° George Southwicke, un ex-cattolico fallito (Hat. Cal., XVIII, p. 47), che osservava e riferiva sui movimenti dei gesuiti inglesi all'estero. In una curiosa lettera, inviata a Salisbury in data 5 novembre 1605, egli afferma che per otto giorni aveva cavalcato giorno e notte per scoprire i cospiratori (G. Plot Book, n. 16) e chiede il permesso per poter arrestare J. G., permesso che gli fu concesso e rinnovato il 19 novembre. -2° William Udall, che fu imprigionato all'epoca del complotto di Watson (1603). Nel giugno del 1606 egli era ancora sicuro che J. G. fosse in “giro per Londra” ed ancora in agosto diceva a Salisbury di avere informazioni speciali circa i luoghi in cui John Gerard si trovava e prometteva di consegnarlo tra poco insieme a Greenway. (Hat. Cal., XVIII, pp. 173, 181, 242). Nel luglio del 1608 egli reclamò il pagamento per aver scoperto “cinque tipografie di libri sediziosi e un gesuita”. C.S.P.D., James I, 1603-1610, p. 449. -3° W. N., la cui identità è incerta. Egli viveva al Sign of the White Rose a Calais, ove attendeva il momento di arrestare J. G. al suo sbarco. Egli era ben informato e, evidentemente, era venuto a conoscenza del piano di J. G. per la fuga. (Hat. Cal., XVIII, pp. 103-104). Nel giugno del 1606 egli si recò in Inghilterra, ove passò alcune settimane per vedere se “incontravo Jarret [J. G.], che è ancora in Inghilterra, sebbene secondo le informazioni generali d'oltre Manica sia dall'altra parte, mentre Padre Baldwin [a St. Omers] mi disse che egli si era trasferito qui”. Hat. Cal., XVIII, pp. 84, 103, 176. -4° Lady Markham, forse la più pericolosa di tutti loro. Suo marito fu imprigionato all'epoca del complotto di Bye (1603) e più tardi fu esiliato. Salisbury accettò la sua offerta di tradire J. G. in cambio della reintegrazione del patrimonio familiare. Il 18 novembre ella era ad Harrowden durante la perquisizione. Dopo aver cercato J. G. nel Northamptonshire, in gennaio andò a Londra, dove “spera di vedere presto Gerard”. Salisbury le diede carta bianca per l'arresto di J. G. C.S.P.D., James I, 1603-1610, pp. 259, 278, 280. Altri due cattolici si offrirono a Salisbury per catturare “il gesuita numero uno”, ma non è certo che li abbia accettati. La spia chiamata Radcliffe sembra che fosse troppo ben nota ai cattolici per essere utile al governo. (Hat. Cal., XVIII, Pp. 41, 43); l'altra, Alexander Bradshaw, che in precedenza era stato studente di teologia a Roma, ebbe una parte rilevante nei tentativi effettuati per catturare J. G. e Greenway, adducendo la sua particolare idoneità a quel genere di lavoro, perché “i .gesuiti tra tutti gli uomini hanno abbracciato me”, ma egli giunse troppo tardi. Ib., pp. 8-9, 18, 382; Westminster Archives, VIII, n. 23. 28 Grazie ad un'indicazione contenuta in English Spanish Pilgrim di WADSWORTH (1629), p. 25, questa può essere identificata nella casa del dotto Taylor. Come gratitudine per questo servizio che “egli aveva fatto alla Compagnia, proteggendo nella sua camera quel gesuita Padre Gerard”, Padre Richard Blount presentò il figlio di lui, Mr. Henry Taylor, all'ambasciatore spagnolo, che gli ottenne il posto di segretario all'ambasciata di Londra. 29 Sotto l'incalzare di questi eventi, padre Stanney, che J. G. ha menzionato nelle prime pagine del presente volume, usci di senno e fu trovato in uno stato delirante prima a Ockingham, poi a Reading. Hat. Cal., XVII, p. 607. 30 Padre Tesimond fu arrestato in una strada di Londra mentre leggeva la descrizione della sua persona sul manifesto che notificava il suo bando. Vi era molta gente tutt'intorno ed egli si lasciò condurre via quietamente, ma quando si trovò a passare per una strada poco frequentata, sfuggi al suo custode, riparò nel Suffolk e raggiunse il continente con un carico di maiali macellati. 31 Cfr. sopra, cap. IV. 32 Il 4 aprile Garnet scrisse ad Anne Vaux due lettere che vennero intercettate da Wade, governatore della Torre, ed inoltrate a Salisbury. In esse si faceva chiaramente menzione di certi libri che si trovavano nella casa dei Vaux ad Erith, nel Kent, e nell'altra casa alla quale si riferisce J. G. Quest'ultima era la casa dell'irruzione. (Hat. Cal., XVIII, p. 97). In un'altra lettera del 21 aprile Garnet dice che Erith e “l'altra casa” erano state depredate. C.S.P.D., James I, 1603 1610, p. 312. 33 17 aprile 1606. 34 Elizabeth Vaux fu portata a Londra il 16 novembre. (Poscritto della lettera di Tate a Salisbury, G. Plot Book, n. 21). Raggiunse Londra la sera del 18 novembre e fu interrogata la stessa notte. (Hat. Cal., XVII, p. 496). Per il suo interrogatorio vedi C.S.P.D., James I, vol. XVI, n. 88. 35 Sir Richard Verney, sceriffo del Warwickshire, era zio di sir George Simeon, che l'anno precedente aveva sposato la figlia di Mrs. Vaux. Questa lettera reca la data del 12 novembre, il quarto giorno della perquisizione a Harrowden, e probabilmente fu scritta con l'aiuto di J. G. quando di notte uscì dal suo nascondiglio. Mrs. Vaux scrive: “Vostra nipote Mary vi cederà la sua porzione piuttosto che permettere che lui [Padre Strange] venga implicato”. (C.S.P.D., James I, CCXVI, n. 227). Sir Richard Verney la ricevette il giorno seguente e la passò a Salisbury la sera stessa. Hat. Cal., XVII, p. 484. 36 Il conte di Northampton. Cfr. MORRIS, p. 449. 37 “Diversi suoi servi furono gettati in prigione, spesso furono rigorosamente interrogati e furono assoggettati a numerose minacce, quando non vollero confessare che Padre Gerard era stato in casa di lord Vaux. Da loro, però, non si poté ottenere nulla”. Narrative, p. 141. Per i loro interrogatori V. MORRIS, p. 455. 38 La casa di sir John Swinnerton che era incaricato di riscuotere !'imposta sui vini. (Hat. Cal., XVII, p. 168). In una lettera, priva di data e scritta da questa casa a Salisbury, Elizabeth Vaux afferma che il motivo della sua detenzione è riposto nella loro speranza di “strapparmi le informazioni necessarie per la scoperta di quella persona [J. G.]” e protesta che “non è in mio potere farlo, ma prego Gesù affinché lo consegni nelle vostre mani se egli è colpevole, cosa di cui ho forti ragioni per dubitare”. 39 Lettere inviate ogni anno a Roma al Generale della Compagnia per fornirgli un resoconto degli avvenimenti principali occorsi durante l'anno in ciascuna casa dei gesuiti. Alcune delle lettere annuali, alle quali J. G. si riferisce, sono pubblicate in FOLEY, VII, parte 2. 40 J. G. fece la traversata al seguito del marchese di St. Germain, ambasciatore spagnolo, e del barone Hobach, ambasciatore dei Paesi Bassi, che erano sbarcati a Dover il 21 aprile in missione speciale per congratularsi con Giacomo I, che era scampato alla congiura delle polveri (Hat. Cal., XVIII, p. 117). Può darsi che la fuga di J. G. sia stata preparata all'estero, giacché sembra che la spia N. W. sia venuta a conoscenza del piano. Il 20 maggio, Padre Baldwin, allora a Bruxelles, scrisse a Roma a Padre Persons: “Dall'ultima mia lettera di cinque giorni fa, sono giunti a St. Omers Padre Gerard ed un certo Richard Fulwood, che Padre Garnet usava tenere al suo servizio per tutti gli affari importanti relativi alle operazioni di transito e che riceveva e custodiva presso di sé tutte le cose. Ritengo che anche lui sia un gesuita. Essi si trovano ancora nascosti e ciò è indispensabile per qualche tempo, specialmente se si pensa che sono stati condotti dal marchese ambasciatore, che in maniera veramente abile e gentile ebbe grande cura di loro”. In un'altra lettera, scritta il 3 luglio da Padre Baldwin, risulta evidente che J. G. era “più che stanco”. “Qui [a Bruxelles] c'era ora Richard Fulwood, il quale mi riferisce che Padre Gerard è molto malato a St. Omers; lo stesso mi ha detto che voi volete che egli venga a Roma. Temo che il viaggio lo finirebbe”. Stonyhurst MSS, Anglia A, VI. 41 Cfr. la lettera di sir Dudley Carleton a John Chamberlain, in data 2 maggio 1606: “Si pensava ieri che Garnet avrebbe festeggiato l'inizio di maggio sul patibolo che mercoledì è stato innalzato per lui nel cimitero di San Paolo; ma si è ritenuto più opportuno rimandare tutto a domani per timore di disordini tra gli apprendisti e gli altri, in un giorno di tale licenza”. C.S.P.D., James I, vol. XXI, n. 4. APPENDICE A CRONOLOGIA DEI PRIMI ANNI DI GERARD È impossibile conciliare la cronologia dei primi anni di J. G., così come ci è data dal manoscritto dell'Autobiografia, con le date fornite da altri documenti. Si è supposto, quindi, che a J. G. difettasse la memoria e che, mentre la precisione con cui egli riferisce gli avvenimenti della sua vita missionaria ha del sorprendente, i ricordi dei suoi primi anni fossero confusi. Sembra più probabile, tuttavia, che siano stati fatti degli errori dal copista. Ciò sembra confermato da due passi dell'Autobiografia. J. G. afferma che gli fu accordata la dispensa per l'ordinazione, perché gli “mancavano pochi mesi per raggiungere l'età canonica” (cioè, venticinque anni). Poiché egli fu ordinato nell'estate 1588, “quando la flotta spagnola veleggiava verso l'Inghilterra”, bisognerebbe porre la sua nascita negli ultimi mesi del 1564. Ciò concorda con la dichiarazione di Padre Nathaniel Southwell, secondo la quale egli nacque il 4 ottobre 1564. Ma se egli aveva diciannove anni (come si legge nel manoscritto) quando si recò per la prima volta in Francia, in base al suo stesso computo degli anni intermedi egli avrebbe avuto più di venticinque anni già all'inizio dei suoi studi a Roma. L'errore è evidente. Comunque, poiché nel manoscritto si legge: “Avevo diciannove anni... ed ero ancora un ragazzo”, non ci può esser dubbio, penso, che si tratti di un errore di trascrizione. È poco probabile, infatti, che nel periodo elisabettiano un giovane entrato nel ventesimo anno si ritenesse “ancora un ragazzo”. Una ulteriore ragione per pensare ad uno sbaglio del copista ci è fornita da un'altra dichiarazione di J. G., sulla quale Padre Godfrey Anstruther, O. P., ha gentilmente richiamato la mia attenzione. Nel gennaio 1628, circa venti anni dopo la stesura dell'Autobiografia, in una deposizione riguardante la vita di Edmund Campion J. G. dice: “Non vidi mai il beato Padre Campion, perché io ero in Francia mentre egli lavorava alacremente in Inghilterra nella vigna di Cristo”. (Westminster Archives, II, n° 39). La precisione di questa testimonianza mostra come nella sua mente non vi fosse alcuna confusione circa le date dei suoi primi anni. Poiché il manoscritto originale di J. G. sembra essere andato definitivamente perduto, non abbiamo nessun elemento onde poter stabilire se egli abbia usato cifre romane o cifre arabiche nell'indicare la sua età, oppure se abbia scritto i numeri per disteso. Se egli usò le cifre romane, si spiega facilmente un errore di trascrizione. In considerazione dell'accuratezza dimostrata in tutti gli altri passi, in cui le sue dichiarazioni possono essere controllate, è poco probabile che J. G. abbia scritto che aveva quindici anni, quando si recò ad Oxford, e diciannove, quando lasciò l'Inghilterra per la prima volta. Perciò ho corretto il testo ed ho sostituito le date ivi riportate, con quelle scritte con tutta probabilità da J. G. Ecco la cronologia del primo periodo della sua vita, secondo quanto è stato ricostruito in base a documenti estranei all'Autobiografia: 1564, 4 ottobre. Nascita a Etwall Hall. (NATHANIEL SODTHWELL) Catalogus Primorum Patrum, Stonyhurst MSS). Il giorno seguente, 5 ottobre, battesimo nella chiesa parrocchiale di Etwall. Cfr. registro parrocchiale di Etwall. 1575, dicembre. Immatricolazione a Oxford. A. CLARK, Register of the University of Oxford, vol. II, parte 2, p. 63. 1577, 29 agosto. Arrivo a Douai. F. T. KNOX, Douai Diaries, p. 129. (Nel marzo 1578 il collegio si trasferì a Reims). 1580-1581, autunnoestate. Al collegio di Clermont, a Parigi. 1581, autunno. Visita a Padre Persons a Rouen. L. HICKS, Letters and Memorials of Fr. Persons. C.R.S., volume XXXIX, pp. 42-43. 1583, primavera. Ritorno in Inghilterra. (Nel marzo del 1583 fu segnalato a Clermont da una spia. C.S.P. Foreign, 1583, p. 585). 1584, 5 marzo. Imprigionamento a Marshalsea. Prison Lists, c.R.S., voI. II, p. 233. 1585, Pasqua. Liberazione. (Garanzie periodiche, 1585-1586. MORRIS) p. 23). 1586, fine maggio. Partenza dall'Inghilterra ed incontro con Padre Holt a Parigi. Vedi nota 26, capitolo I del presente volume. L. HICKS, op. cit., p. 303. 1586, 5 agosto. Al Collegio Inglese di Roma. Pilgrim Book: FOLEY, VI, p. 559. 1588, luglio. Ordinazione. 1588, 15 agosto. Ingresso nella Compagnia e poi partenza per l'Inghilterra. Queste date sono certe e corrispondono esattamente all'ordine degli eventi descritti nell'Autobiografia ed alla loro durata J. G., dice che fu ad Oxford “meno di un anno”, a Reims “circa tre anni”, a Clermont “un anno”, durante il quale cadde seriamente ammalato, e “circa un anno”in Inghilterra prima che tentasse di tornare nel continente. Egli aggiunge, inoltre, che dopo il suo rilascio dalla prigione passò alquanto tempo prima che si potesse esimere dall'obbligo di ripresentarsi ad intervalli periodici. Tutte queste dichiarazioni sono confermate dai documenti riportati nella tavola. Egli deve esser rimasto in Inghilterra, quindi, per circa due anni dopo la sua liberazione da Marshalsea. Presumibilmente fu in questo periodo, poiché non si vede in quale altro tempo ciò possa essere avvenuto, che egli divenne esperto di falconeria. L'unica difficoltà apparente deriva dalle sue dichiarazioni intorno a Mr. Lewknor e Padre William Sutton. Sutton tornò per la prima volta in Inghilterra da sacerdote nel luglio 1577 (F. T. KNOX) Douai Diaries, p. 126), poco tempo prima che J. G. si trasferisse a Douai; e fu nel corso dello stesso anno che Lewknor abbandonò il suo incarico ad Oxford (c. w. BOA SE) Register of the University of Oxford, vol. I, p. 263). Tuttavia J. G. non dice che egli ebbe Lewknor e Sutton come insegnanti dopo aver abbandonato Oxford, ma semplicemente che questi insegnanti vissero nella casa di suo padre. Seguendo il metodo che poi avrebbe adottato nel corso di tutta la narrazione, mentre parla di Bryn, J. G. raccoglie tutto quello che aveva da dire sull'argomento della sua casa e segnala, come cosa degna di nota, che queste due persone vissero a Bryn sotto la protezione di suo padre. Mentre J. G. era a Reims e a Parigi, Lewknor, che non abbandonò l'Inghilterra fino al maggio o al giugno del 1579 (Douai Diaries) p. 153), rimase a Bryn ad insegnare latino al fratello di J. G., il quale, essendo l'erede, non andò all'estero per compiere gli studi. Quando nel marzo 1583 J. G. tornò da Parigi, Sutton, che aveva fatto un viaggio sul continente, ritornò a Bryn in compagnia di J. G. ed ivi insegnò greco a lui ed al fratello (Catalogus Primorum Patrum). È possibile, naturalmente, che J. G., prima di partire per Reims, abbia avuto a Bryn per un anno Lewknor come insegnante, se questi, come altri membri dei collegi di Oxford, abbandonò l'università alquanto prima di dimettersi dal suo incarico. APPENDICE B LA RESIDENZA DI CAMPAGNA DI PADRE GARNET Non è possibile identificare con sicurezza la residenza di campagna di Padre Garnet. John Gerard dice che essa si trovava nel Warwickshire, a circa cento miglia da Londra. Alan Fea (Rooms of Mystery and Romance) sostiene che fosse Coughton Court, che dista un po' più di cento miglia; ma Granville Squiers (Secret Hiding-Places) pp. 28-34) la identifica, sebbene con prove non del tutto convincenti, con Baddesley Clinton, una bella residenza restaurata con cura, che sorge proprio a novantanove miglia da Londra. Questa è appartata ed è difficile trovarla. Ciò spiegherebbe l'imbarazzo della spia governativa nell'indicarne l'esatta ubicazione (S.P.D., CCXXIX, n° 78). Si trova a diciotto miglia da Hinlip Hall, la residenza di Padre Oldcorne nel Worcestershire, che Gerard dice “non molto lontana”. Inoltre, la tradizione secondo cui in essa visse Guy Fawkes si potrebbe spiegare facilmente con la confusione tra i nomi Vaux e Fawkes, giacché Garnet viveva in campagna presso le due sorelle Vaux. Passando ad ispezionare i nascondigli di entrambe le case, Squiers scopri che quelli di Baddesley Clinton rispondevano esattamente alla descrizione fornita da Gerard. Nei sotterranei dell'ala ovest di Baddesley vi è un tunnel, che la percorre nella sua intera lunghezza. In origine era la fognatura della casa, ma poi fu adattata a nascondiglio probabilmente da Nicholas Owen, che dirottò la fognatura, facendovi costruire sopra una torretta sporgente dalle mura. L'entrata principale era lungo un cunicolo che partiva dalla sagrestia; ce n'era anche un'altra che faceva capo alla stanza del prete. Allo sbocco del tunnel c'era una pesante lastra di pietra incastrata tra due scanalature verticali del muro, così che l'acqua del fossato vi poteva facilmente permeare. Gerard dice che l'acqua gli arrivava alle caviglie. Squiers (p. 33) cita la testimonianza di altri preti nascosti con Gerard e mostra come essa corrisponda esattamente alla costruzione in cui c'era il nascondiglio di Baddesley Clinton. APPENDICE C IL POZZO DI S. WINEFRID Holywell, come luogo di pellegrinaggio, ha una storia ininterrotta che risale ai tempi precedenti la Riforma e giunge fino ai nostri giorni. Nei secoli decimosesto e decimosettimo il governo, a quel che sembra, non fu in grado di arrestare l'afflusso dei pellegrini. Nel 1624 la spia Gee riferiva che “ogni anno, verso il culmine dell'estate, molti papisti superstiziosi del Lancashire, dello Staffordshire e di altre più lontane contee si recano in pellegrinaggio, specialmente quelli del più debole sesso femminile, che vi tengono convegno con diversi preti di loro conoscenza, i quali ne approfittano per convocare le loro assemblee e per tenere il sinodo principale, al fine di consultarsi e di promuovere la causa cattolica, come essi la chiamano... Mi sia lecito aggiungere che l'estate scorsa (1623) ebbero tanto ardire da introdursi a più riprese nella chiesa o cappella pubblica di Holywell per celebrarvi messa, senza incontrare resistenza alcuna. Non è da escludere che essi pretenderanno la stessa libertà qui in Inghilterra”. (JOHN GEE, Foot out of the Snare, in SOMER, Collection of Tracts, vol. III, pp. 64-65). Le informazioni di Gee sono comprovate da una relazione ufficiale presentata al Consiglio il 28 ottobre 1626 dal sindaco di Poole, Montgomery: “In ossequio alle direttive impartite da Vostra Signoria... ho adottato, nell'ambito del possibile, le misure migliori per impedire l'afflusso di persone malconsigliate in fatto di religione al pozzo di S. Winefrid, nel Flintshire, sia costringendo gli albergatori ed i forestieri, sorpresi sul luogo, a rivelare i nomi dei loro ospiti ai più vicini giudici di pace, sia dislocando sul posto un corpo di guardie. Queste misure. :. si sono rivelate efficacissime. Infatti, mentre in passato, per tutta la durata dell'estate c'era un continuo concorso di uomini e di donne, tra cui molte personalità di rilievo, che affluivano in folla sotto forma di pellegrinaggio... nulla di tutto ciò vi è stato la scorsa estate”. (S.P.D., Charles I, vol. XXXVIII, n° 73). Comunque, le stesse disposizioni per impedire i pellegrinaggi furono adottate dieci anni dopo (S.P.D., Charles I, vol. CCCLXI, nO 25, 1636). Nel 1629, i nomi delle persone di rango che visitarono il pozzo nella festa di S. Winefrid furono inviati al Consiglio (ib., vol. CLI, n° 13). La lista include: Lord William Howard, lord Shrewsbury, sir Thomas Gerard, Mr. Blundell di Crosby, sir John Talbot di Bashaw, lady Palkland ecc... “con molti altri cavalieri, dame, gentiluomini e gentildonne di diverse contee, fino a raggiungere il numero di millequattrocento o millecinquecento persone; oltre a questi si calcola che siano stati presenti centocinquanta e più preti, per la maggior parte ben noti come tali”. La narrazione di alcuni miracoli avvenuti al pozzo di S. Winefrid si può trovare in FOLEY, IV, pp. 536-537. APPENDICE D BRADDOCKS Al giorno d'oggi, Braddocks è una fattoria. Due terzi dell'edificio primitivo, che era circondato da un magnifico parco di daini, sono stati demoliti; ma l'ala destra della vecchia abitazione, la parte che ancora rimane, contiene il nascondiglio descritto da John Gerard. Nella cappella Nicholas Owen rimosse i mattoni del focolare e vi costruì un falso camino. “Lì sotto”, scrive Granville Squiers (Secret HidingPlaces, c. XXIII), “scavò in profondità nel muro maestro”. Il vano, che egli fece, raggiunge l'ampia sala di soggiorno sottostante, e resta in alto e leggermente a lato del camino di stile rinascimentale. Da questo locale era separato soltanto da un graticcio ricoperto di intonaco e protetto da alcuni pannelli di assito. L'ampia sala di soggiorno è molto modificata e restaurata; ma il camino di pietra c'è ancora, sebbene sia stata rimossa la pesante sovrastruttura. “La cappella, continua lo Squiers, è spoglia, ma in buone condizioni. Quando lo vidi per la prima volta, l'arco di stile Tudor del camino era stato ostruito da tanto tempo che il più vecchio abitante non se ne poteva ricordare; e quando vi praticammo un'apertura trovammo che il camino era ingombro di generazioni e generazioni di nidi d'uccelli. Sotto di esso il focolare era stato livellato con materiale solido. Impiegammo due o tre giorni per riportarlo alla luce; ma finalmente le nostre fatiche furono ricompensate perché potemmo osservare il nascondiglio, la cui muratura si presentava così recente come se Nicholas Owen l'avesse ultimato solo una settimana prima... Osservando attentamente sotto il considerevole strato di pulviscolo rimasto sul fondo della buca, scoprii alcune piccole tracce di cenere di legno bruciato, che ritengo esser quella caduta sul malcapitato Gerard durante l'ultima terribile notte di ricerche. Quando furono rimossi i resti del falso focolare, il leggero strato di cenere deve esser rimasto inosservato sul fondo; e poiché non c'è dubbio che questa storia sia rimasta occulta per molto tempo dopo che il nascondiglio era stato di nuovo murato, bisogna concludere che questa cenere è autentica... Si ricorderà che Mrs. Wiseman porse un vasetto di gelatina di cotogne a Gerard, proprio mentre questi stava per calarsi nel nascondiglio; ed è interessante notare come nel giardino ci sia ancora un vecchio albero di cotogne”. APPENDICE E DIFESA DI PADRE SOUTHWELL DEL RICORSO ALL'EQUIVOCO Un resoconto contemporaneo della tesi sostenuta da Padre Southwell a difesa dell'equivoco è riprodotto da Janelle in Robert Southwell) pp. 81-82. “Il procuratore (sir Edward Coke)... accusò in maniera particolare Mr. Southwell di una dottrina quanto mai perversa ed esecrabile, affermando che egli aveva insegnato ad una gentildonna che, qualora fosse stata interrogata se Robert Southwell fosse stato in casa di suo padre, ella avrebbe potuto negarlo dietro giuramento, con l'intenzione interna di non riferirlo a loro. A dimostrazione di ciò, introdussero proprio quella gentildonna, che si chiamava Anne ed era figlia di Mr. Bellamy. Dopo aver prestato giuramento, ella affermò che egli le aveva detto che, qualora le avessero chiesto dietro giuramento se avesse o non avesse visto un prete, ella lo avrebbe potuto tranquillamente negare, anche se lo aveva visto, tenendo ben presente questo significato dell'espressione che, cioè, ella non l'aveva visto con l'intento di tradirlo. “Mr. Southwell rispose che quanto egli aveva detto, nel senso da lui inteso, (se essi gli consentivano di spiegare il senso delle proprie parole) lo avrebbe dimostrato conforme alla Parola di Dio ed alle leggi ecclesiastiche e civili. Aggiunse che ciò non rappresentava una semplice opinione personale, ma rispondeva al pensiero dei Dottori e dei Padri della Chiesa ed obbediva alla prassi ed al costume di tutte le epoche, in tutte le nazioni cristiane. Sostenne, infine, che se essi non l'avessero ammesso, avrebbero compromesso il governo sia politico che religioso di tutti gli Stati e lo stesso segreto dell'uomo; come pure avrebbero reso impossibile l'esistenza di questo e di qualsiasi altro Stato, la formazione di un qualsivoglia governo ed il perseguimento di qualunque politica. Ma passando egli a spiegare e a dimostrare quanto andava affermando, essi lo interrompevano continuamente e seguitavano ad esecrare quella barbara dottrina, cercando di persuadere il pubblico che essi (i gesuiti) insegnavano che fosse lecito commettere uno spergiuro volontario. Al che egli cominciò ad infervorarsi e a condannare un così orribile misfatto, dicendo al signor procuratore che egli doveva ammettere la sua dottrina, "altrimenti io dimostrerò che voi non siete un suddito fedele, né un amico della regina". "Davvero?, ribatté il signor procuratore, sentiamo un po'". Mr. Southwell cominciò: "Suppo- niamo che il re di Francia invada il territorio di Sua Maestà la Regina e che (Dio non voglia) ella sia costretta dai suoi nemici a cercare scampo in una casa privata, di cui nessuno sappia ad eccezione del signor procuratore. Supponiamo anche che il signor procuratore sia costretto a giurare e che il suo rifiuto sia inteso come la confessione della presenza della regina in quella casa (giacché suppongo anche questo). Se in un caso del genere il signor procuratore fosse interrogato e rifiutasse di giurare che non sa dove sia la regina, con l'intenzione di non rivelarlo ad essi, io dico che il signor procuratore non sarebbe né un suddito fedele, né un amico di Sua Maestà". “Il primo giudice disse che egli avrebbe dovuto rifiutare il giuramento. Mr. Southwell rispose che col suo silenzio avrebbe tradito la sovrana. Ma il procuratore concluse dicendo che il caso non era identico e, invaso da collera, chiamò ripetutamente Mr. Southwell un prete fanciullone e gli disse che non aveva letto gli autori. "Io ho letto anche quelli che li hanno letti, mentre voi, signor procuratore, nello studio del vostro diritto non vi preoccupate di afferrare i fondamenti ed i principi della legge, ma riferite l'opinione di altri uomini". "Ah, disse il procuratore, voi avete studiato il prof. Allen, il prof. Parsons, lo Hold, il Traytor ecc". "Allora, intervenne il lord primo giudice, se questa dottrina fosse accettata, abolirebbe ogni giustizia, perché noi siamo uomini e non dèi e possiamo giudicare soltanto in base alle parole ed alle azioni esteriori, e non secondo i segreti e le intenzioni interne". Mr. Southwell disse che in questo caso bisogna presupporre alcune cose: che il rifiuto di prestar giuramento significa confessare il fatto, che il giuramento viene imposto da persone che non esercitano una autorità legittima, che ogni giuramento dovrebbe contenere giudizio, giustizia e verità e che nessun uomo è tenuto a rispondere a ciascun altro uomo che lo interroghi, a meno che non si tratti di giudice competente. E qui fece l'esempio del ladro che obbliga un uomo onesto a dirgli dietro giuramento quale sia la strada sicura. Mentre, però, egli procedeva a spiegare il significato delle sue parole, veniva continuamente interrotto, perché essi non volevano consentirgli assolutamente di aggiungere altro. Quindi li invitò ad aver pazienza, e disse chiaramente che essi non intendevano permettergli di dimostrare quanto aveva affermato e che certo lo avrebbero contraddetto allo stesso modo anche se egli avesse sostenuto quella medesima tesi da essi contrapposta. A questo punto Topcliffe cominciò a riscaldarsi ed a sputare insulti, come ormai gli è abituale... ma fu ben presto invitato a desistere. Dopo che alla giuria furono comunicate alcune cose riguardanti unicamente l'accusa, quella si ritirò in un edificio separato per discutere il verdetto”. APPENDICE F RELAZIONE DELL'INTERROGATORIO DI PADRE GERARD SULL'EQUIVOCO La presente relazione dell'interrogatorio di Padre Gerard sulla questione dell'equivoco si trova tra i manoscritti di Petyt (38/f. 341) a Inner Temple. Essa è stata scritta e firmata il 13 maggio 1597, giorno dell'interrogatorio. È proprio il caso di riportarla per intero, perché essa testimonia della straordinaria precisione mostrata da Padre Gerard in Narrative) scritta a dieci anni di distanza dagli avvenimenti. “Si disse allora al gesuita John Gerard come durante il processo di Southwell, il prete reo di alto tradimento, uno dei giudici avesse domandato in pubblica seduta ad una testimone di dire dietro giuramento se Southwell fosse mai stato in casa di Bellamy e come quella avesse risposto che era stata persuasa da Southwell a giurare di non averlo visto in casa di Bellamy, tenendo bene in mente il sottinteso che non l'aveva visto con l'intento di rivelarlo ad essi, mentre in realtà lo aveva visto diverse volte in casa di Bellamy. E quando Southwell fu accusato di ciò, egli lo confessò apertamente ma cercò di giustificarsi adducendo il passo di Geremia secondo il quale l'uomo dovrebbe giurare in sudicio, justitia et veritate. Ora quando fu chiesto a questo John Gerard quale fosse la sua opinione riguardo alla suddetta tesi di Southwell, questi disse che era dello stesso parere e prese a giustificarla ricorrendo all'esempio del Nostro Signore Gesù Cristo, il quale disse ai suoi discepoli che essi sarebbero andati a Gerusalemme, ego autem non ascendam) intendendo serbare per sé il segreto della cosa. Egli aggiunse anche che il Nostro Salvatore disse di non conoscere il giorno del giudizio, volendo mantenere il segreto per sé. E spiegò che, essendo Egli il Figlio dell'Uomo, lo conosceva e non poteva ignorare nulla. Aggiunse però che se un testimone viene interrogato juridice su questioni temporali che non riguardino né la religione, né i cattolici, non può rispondere ricorrendo al suddetto equivoco. E siccome questa opinione e la relativa difesa sembravano condannabili e blasfeme, gli fu chiesto di porre per iscritto il suo parere per evitare che le sue parole venissero fraintese. Ma egli rifiutò, non perché quanto asseriva fosse falso, ma perché non intendeva pubblicarlo. APPENDICE G LA PAGLIA DI PADRE GARNET Foley (IV, pp. 129-131) riporta da uno scritto conservato nel British Museum (Documenti riguardanti i gesuiti inglesi, Add. MSS. 21, 203, Plut. CLII, F). A relation of the figure which appeareth in the ear of a straw in the chall or husk thereof. “Dopo che Padre Henry Garnet, superiore della Compagnia di Gesù in Inghilterra, fu ucciso per ordine di Giacomo attualmente re di questo regno, il terzo giorno di maggio dell'anno 1606, festa della Invenzione della Croce, la sua testa apparve a vivi colori quasi che conservasse lo stesso colorito e le stesse sembianze naturali che le erano proprie prima che fosse spiccata. A quella vista tanto gli eretici quanto i cattolici furono pervasi di stupore. La meraviglia aumentò quando la testa fu, secondo il costume, gettata nell'acqua bollente e quando, infissa su una pertica, fu esposta sul ponte di Londra senza subire alcuna alterazione. Perciò ci fu, per la durata di sei settimane, uno straordinario concorso di popolo. I cittadini affluivano a centinaia per vedere lo spettacolo insolito e meraviglioso offerto dalla testa di questo martire glorioso, il cui volto continuava a mantenere inalterato il suo aspetto gentile e vitale, senza acquistare quel colore cereo e bluastro che normalmente assumono le teste quando vengono spiccate dal corpo. Allora i magistrati della città ed i membri del Consiglio, confusi dal miracolo ed indispettiti dal continuo afflusso di popolo che accorreva ad ammirare quello spettacolo inaspettato, diedero ordini affinché la testa fosse girata in maniera da volgere il viso all'insù, per impedire alla gente la vista del volto, come fino ad allora era avvenuto. In certi momenti gli astanti erano così numerosi, tanto sul ponte e negli spazi antistanti quanto sui balconi delle case e sulle imbarcazioni del fiume, che diverse persone calcolarono di quattrocento o cinquecento il numero dei presenti. “Quando il volto fu così girato, esso apparve in maniera miracolosa sulla spiga di grano che era macchiata del suo sangue e che era stata raccolta da un uomo che aveva assistito al martirio. Questi si era recato sul luogo dell'esecuzione col proposito di bagnare un fazzoletto o qualche altro panno nel sangue del martire. A questo scopo era accorso tra i primi e si era appressato al palco quanto più gli era stato possibile. Quando i carnefici cominciarono a squartare il corpo di questo martire glorioso, egli finse di essere pressato dalla folla, che si accalcava per vedere, e si spinse fin sotto il palco, dove bagnò col sangue che scorreva dalle fessure dell'assito il suo cappello, alcuni suoi indumenti ed un panno che aveva apposta preparato. Mentre la folla si allontanava (dopo che il martire era stato tagliato a pezzi) egli si fece largo tra la calca e si fermò sullo stesso lato del palco dove il boia stava gettando le membra in un grande cesto sul cui fondo giaceva una spiga di grano. Mentre il carnefice vi gettava le membra, questa volò e gli cadde in seno. Egli la prese e la conservò, perché vide che era macchiata di sangue. In seguito, la donò ad una donna cattolica che era moglie di un sarto londinese e che la ripose nel suo reliquiario insieme ad altre reliquie, curvandola a forma di anello. Questa donna la conservò devotamente finché un giorno, parlando di questo martire, disse al suo interlocutore che ella conservava una spiga di grano macchiata del suo sangue. Questi la pregò di fargliela vedere ed ella gli porse il reliquiario in cui era custodita. Egli lo aprì e attraverso il vetro scorse il volto di un uomo. Al che fu preso da stupore e lo fece osservare alla donna. Tutto ciò avvenne alla presenza di colui che per primo aveva raccolto la spiga, così queste tre persone videro distintamente il viso di un uomo dall'aspetto glorioso. Tutto era proporzionato: barba, bocca, occhi, fronte. Sulla testa poggiava una corona, sulla fronte splendevano una croce ed una stella e, nella parte inferiore del volto, il mento era come quello di un cherubino. Questa cosa ammirabile fu mostrata ad altri amici, così che la notizia si sparse gradualmente per tutta la città, specialmente quando il signore di Northampton divulgò il contenuto di un suo discorso pronunciato al processo di Garnet contro il papa, i gesuiti e lo stesso martire. Ormai il miracolo era divenuto di pubblica ragione, contandosi a centinaia le persone che l'avevano visto. Molti, perciò, dicevano ironicamente: "Una paglia per il libro del signore di Northampton". A rendere più noto il prodigio così mirabilmente operato da Dio, le cose si svolsero in maniera tale che gli stessi eretici furono testimoni oculari di questa meraviglia. Infatti sia nelle mani dell'ambasciatore di Spagna che in quelle di altri, molti, finanche alcuni membri del Consiglio del re, la poterono ammirare. In casa dell'ambasciatore di Spagna ci fu per molti giorni un tale concorso di nobili e di gentiluomini, non solo cattolici ma anche scismatici ed eretici, che non furono più ammessi quelli che entravano continuamente per rivedere lo spettacolo e se ne ripartivano meravigliati, confortati ed edificati, essendo unanimemente convinti che si trattava di un fatto soprannaturale. A maggiore confusione dei nemici della Chiesa Cattolica, furono convocati diversi pittori per vedere se fosse possibile imitare con la loro arte un volto simile, ma essi lo negarono. Visto da una parte, il viso appare piccolo; visto dall'altra oppure da lontano, diventa molto più grande, pur conservando sempre la stessa perfezione. Esso opera sulle spettatore onesto quello stesso effetto che il sole produce in colui che fissa gli occhi sul suo splendore. Tuttavia la spiga conserva il suo colore naturale. Soltanto quella parte in cui si trova il volto appare più chiara, mentre questo appare come inciso nella spiga sulle glume in cui si è formato il grano, sebbene tutta l'immagine sia disegnata dal sangue. Né l'arte, né la lingua, né la penna valgono ad esprimere la cosa così come si presenta nella realtà. “Gli eretici, specialmente i vescovi ed i pastori, attribuiscono quest'opera di Dio a stregoneria, a qualche liquido speciale oppure a qualche segreta invenzione del genere. Ben sapendo come la notizia di tale portento si sia diffusa per tutto il regno, allo scopo di distruggere o, almeno, di minimizzare il valore del miracolo, essi hanno fatto circolare numerose imitazioni, che però non reggono il confronto con l'immagine originale. Lo stesso vescovo di Canterbury si è messo all'opera insieme ad alcuni pittori coll'intento di realizzare un'imitazione. Ma coloro che hanno visto l'originale si sono rifiutati, giacché sanno che è impossibile riprodurla con le semplici risorse della loro arte”. Quindi lo scrittore procede a descrivere l'episodio riguardante Padre Oldcorne che John Gerard riferisce nel c. 23. “Sono avvenuti anche altri prodigi mediante i quali sembrò che Dio volesse manifestare la gloria di questo grande santo e del suo compagno, Padre Edward Oldcorne. Anche questo sacerdote era membro della Compagnia di Gesù; fu condannato a morte quasi contemporaneamente all'altro e fu ucciso a Worcester ai confini del Galles. Davanti alla casa nella quale essi furono catturati si formò una corona di erba alta un piede e mezzo e simile alla giunchiglia marina. Tale corona aveva un disegno perfetto ed era di un colore verde intenso. Essa costituiva la meraviglia di quanti andavano a vederla, tanto più che le bestie che vi pascolavano accanto non toccavano mai l'erba da cui era formata. Anche quando furono gettati nel fuoco gli intestini di Padre Oldcorne e quelli di altre due persone uccise con lui, le fiamme riarsero per quattordici giorni, alimentando lo stupore della gente che in gran numero affluiva ad ammirare lo strano fenomeno. Neanche la pioggia che qualche volta cadde abbondantemente sul posto riuscì ad estinguere le fiamme. Il fuoco continuò ad ardere con la stessa intensità del primo giorno e della prima ora finché le autorità non diedero ordine di disperdere la sterpaglia e di estinguere le bragi, cosa che avvenne quattordici giorni dopo l'esecuzione”. APPENDICE H VITA DI PADRE GERARD DOPO LA SUA FUGA DALL'INGHILTERRA Padre Gerard passò in Belgio il 3 maggio 1606 in compagnia degli ambasciatori di Spagna e di Fiandra. Dopo essersi fermato per sei settimane a St. Omers, proseguì per Tivoli, ove trascorse un periodo di riposo. Nei primi mesi del 1607 fu nominato penitenziere inglese a S. Pietro e, due anni dopo, fu inviato nelle Fiandre per aiutare nella loro formazione i novizi del noviziato inglese stabilito a Lovanio. Nel 1614 fu aperto a Liegi uno studentato di filosofia e di teologia e Padre Gerard ne fu il primo rettore. “Egli lo costruì dalle fondamenta in stile elegante grazie alle elemosine raccolte in tutte le parti”. (Nathaniel Southwell, Catalogus Primorum Patrum, p. 32). Nel 1622 tornò a visitare Roma per ottenere l'appoggio papale per il nuovo istituto di religiose fondato da Mary Ward. Al suo ritorno in Belgio, fu nominato rettore della casa dei gesuiti inglesi a Ghent, dove i sacerdoti novelli fecero il loro terzo anno di prova sotto la sua direzione. Dal 1627 al 1637, gli ultimi dieci anni della sua vita, fu confessore al Collegio Inglese di Roma. Ivi morì all'età di settantatré anni, il 27 luglio 1637. APPENDICE I DESCRIZIONI CONTEMPORANEE DI PADRE GERARD Vi sono tre descrizioni contemporanee dell'aspetto di J. G. La prima è quella di Topcliffe che fu redatta qualche tempo dopo la fuga di J. G. dalla Torre: “John Gerard, gesuita, è di circa trent'anni e di buona statura. È alquanto più alto di Tho Layton ed è eretto nel passo e nel portamento; il suo sguardo ed i suoi occhi sono piuttosto penetranti; i suoi capelli sono ricci e nerastri per natura, mentre la sua barba è alquanto rada. A mio parere, il naso è piuttosto largo e rivolto all'insù e le labbra sono carnose e sporgenti, specie quello superiore che è rivolto verso il naso. È curioso durante il discorso, se non ha mutato abitudine: quando parla gestisce e sorride continuamente, il suo discorso è esitante e la pronuncia blesa” (1). La seconda fu indirizzata dalla spia William Byrd a Robert Cecil, il 27 agosto 1601. “L'identificazione di Gerard può riuscire più facile se si tiene presente questa descrizione di lui e del suo abito. È di alta statura e di alte spalle, specialmente quando indossa la cappa. Ha capelli neri e carnagione bruna, naso aquilino e fronte ampia. Veste generalmente in maniera costosa e adatta alla difesa, in pelle scamosciata trapunta di ricami d'oro e d'argento. Indossa farsetto di raso, calze di velluto di tutti i colori con ricami corrispondenti, e porta spade e daghe dorate o argentate” (2). La terza fu posta in circolazione al tempo della congiura delle polveri: “John Gerard, alias Brooke, è di alta statura ed è ben proporzionato. La sua carnagione è bruna o nerastra, il viso è ampio, gli zigomi sono sporgenti, ma sotto di essi le guance sono alquanto infossate. Normalmente ha capelli lunghi, a meno che adesso non se li sia tagliati; la sua barba è ben rasata, tuttavia porta piccoli baffi ed un pizzetto sotto il labbro inferiore. È intorno ai quarant'anni” (3). ___________________________________________________________ NOTE ALL’APPENDICE I 1 S.P.D., Vol. CLXV, n. 21. 2 Hat. Cal., XI, p. 365. 3 P.R.O., Proclamation Book, p. 121.