Salamandre, geotritoni, ululoni e rane: i soliti ignoti.

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Salamandre, geotritoni, ululoni e rane: i soliti ignoti.
Salamandre, geotritoni, ululoni e rane: i soliti ignoti.
Endemismi appenninici in Umbria
Cristiano Spilinga1,2, Silvia Carletti1,2, Francesca Montioni1,2, Emi Petruzzi1,2, Bernardino Ragni1
1 Dipartimento
di Biologia Cellulare e Ambientale, Università degli Studi di Perugia
Via Elce di Sotto, 06123 Perugia, Italy
2 Studio Naturalistico Associato Hyla, Via della Pace 4, 06069 Tuoro sul Trasimeno (PG), Italy
[email protected]
Le vicende dei “soliti ignoti” di cui vi parleremo non hanno nulla a che fare con quelle narrate dal
noto regista toscano: il set non è quello della Roma, tanto verace quanto poetica, della fine degli
anni ’50, ma la trama si svolge tra boschi, grotte, antiche fontane e torrenti, luoghi meno famosi ma
altrettanto ricchi di storie da raccontare.
I protagonisti hanno strani nomi: salamandrina dagli occhiali settentrionale, geotritone italiano,
ululone appenninico e rana appenninica, poco conosciuti anche dagli addetti ai lavori e spesso del
tutto ignorati dal grande pubblico.
Appartengono tutti alla Classe degli Anfibi, Vertebrati molto antichi che hanno segnato tappe
importanti nel corso dell’evoluzione della vita dall’ambiente acquatico a quello terrestre.
E proprio la loro peculiarità di vivere a cavallo tra terra e acqua li rende particolarmente sensibili a
tutte le perturbazioni che noi uomini arrechiamo all’ambiente: la frammentazione e scomparsa degli
habitat, l’inquinamento e l’invasione di specie aliene invasive sono solo alcune delle minacce che
incombono sugli Anfibi.
Nella più aggiornata lista rossa degli Anfibi europei pubblicata dalla IUCN (International Union for
Conservation of Nature) si trova scritto che quasi un quarto degli Anfibi sono considerati minacciati
in Europa con popolazioni in calo in più della metà delle specie (59%).
La salamandrina dagli occhiali settentrionale, il geotritone italiano, l’ululone appenninico e la rana
appenninica, oggetto della presente trattazione, sono gravati da diversi gradi di minaccia sia a
livello globale che su scala locale; in questa sede si affrontano tematiche relative alla biologia,
ecologia e distribuzione di queste specie con particolare riferimento all’Umbria, regione nella quale
da oltre un decennio si esplorano boschi, grotte, antiche fontane e torrenti con l’obiettivo di carpire
qualcosa di più sui segreti di questi “soliti ignoti”.
Salamandrina dagli occhiali settentrionale (Salamandrina perspicillata)
È un anfibio urodelo appartenente alla famiglia dei Salamandridae.
Può raggiungere i 12 cm di lunghezza dalla colorazione scura, variabile dal bruno al nero, con una
macchia chiara a forma di “V” tra gli occhi che le conferisce il nome ricordando una paio di
occhiali. Ventralmente presenta una colorazione bianca con pigmentazione nera e rossa, tale pattern
è caratteristico di ciascun individuo e ne consente il riconoscimento.
Il genere Salamandrina, endemismo della regione italiana, presenta una distribuzione piuttosto
continua lungo tutta la catena appenninica, dalla Liguria alla Calabria. Il fiume Volturno costituisce
la linea di demarcazione dell’areale di Salamandrina perspicillata, a nord, e Salamandrina
terdigitata a sud.
Numerosi studi, alcuni dei quali ancora in corso, sono stati condotti in Umbria da più di un
decennio. In particolar modo la popolazione di salamandrina dagli occhiali settentrionale presente
nel Sito di Interesse Comunitario “Boschi dell’Alta Valle del Nestore” è stata oggetto di numerose
indagini prendendo in considerazione la biometria, la fenologia riproduttiva, la predazione a carico
delle uova e la vagilità.
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Il monitoraggio condotto per anni ha evidenziato come, straordinariamente, stagione dopo stagione,
gli stessi animali tornano al loro sito riproduttivo ed in particolare, molto spesso, proprio nella
stessa pozza dove si sono riprodotti l’anno precedente e dove, molto probabilmente, sono nati.
In Umbria la specie è presente con diverse popolazioni, alcune di recente scoperta, distribuite in
maniera discontinua all’interno della regione; la specie frequenta ambienti boschivi, umidi e
ombreggiati, caratterizzati dalla presenza di corsi d’acqua a debole portata nei quali si reca in
primavera per l’ovideposizione.
Le principali minacce sono rappresentate dalla gestione non naturalistica dei boschi, dalle
captazione idriche, dall’inquinamento dei siti riproduttivi e dall’introduzione di specie ittiche
predatrici.
La salamandrina dagli occhiali settentrionale è inclusa negli Allegati II e IV della Direttiva Habitat
92/43/CEE e considerata Least Concern dalla IUCN.
Geotritone italiano (Speleomantes italicus)
Il geotritone italiano è un anfibio urodelo appartenente alla famiglia dei Plethodontidae.
Può raggiungere i 12 cm di lunghezza e presenta una colorazione dorsale dal bruno-scuro al brunorossastro con pigmentazione più chiara.
La specie è monotipica ed appartiene ad un genere di cui fanno parte solo sette specie presenti in
Italia, dalla provincia di Reggio Emilia a quella di Pescara, e Francia sud-orientale. Quattro di
queste sette specie sono esclusive della Sardegna.
Il maschio e la femmina sono molto simili tra loro, anche se quest’ultima è mediamente più grande;
inoltre, non possiede i due denti molto sviluppati che sporgono dal labbro superiore e il corpo
ghiandolare mentoniero visibile sotto la gola del maschio.
Dopo l’accoppiamento, per molti versi ancora poco conosciuto, la femmina depone le proprie uova
al di fuori dell’acqua e vi rimane acciambellata intorno per 10-12 mesi fino alla loro schiusa,
attuando delle vere e proprie cure parentali.
Da alcuni anni si indaga la distribuzione del geotritone in Umbria, su aspetti dell’ecologia e sono in
corso studi sulla nicchia trofica di una popolazione localizzata in una cavità naturale di Monte
Tezio, massiccio calcareo nei pressi di Perugia.
In Umbria la specie è presente esclusivamente nella provincia di Perugia con una distribuzione
discontinua lungo la dorsale appenninica che va dai monti di Scheggia e Pascelupo fino alla
Valnerina con alcune stazioni localizzate nel settore centro-settentrionale delle regione.
Il geotritone italiano frequenta siti ipogei di varia natura, forre e pareti umide in bosco tra i 220 e i
1400 m s.l.m..
I principali fattori di minaccia per la specie in Umbria sono legati allo sfruttamento dei boschi senza
criteri naturalistici e alla turisticizzazione e “valorizzazione” delle cavità naturali.
La specie è inclusa nell’Allegato IV della Direttiva Habitat 92/43/CEE e considerata Near
Threatened dalla IUCN.
Ululone appenninico (Bombina pachypus)
L’ululone appenninico è un anfibio anuro appartenente alla famiglia dei Bombinatoridae.
L’aspetto è quello di un rospetto di circa 5 cm con una livrea dalla caratteristica colorazione
ventrale gialla con macchie grigio-azzurre.
Quel colore non orna invano il corpo dell’animale. Ha un suo ruolo: costituisce un’arma di difesa
per il suo proprietario. Questo tipo di colorazioni vengono definite di tipo aposematico e
rappresentano una difesa passiva dell’animale, che in caso di pericolo è in grado di inarcarsi per
mostrarla al predatore di turno.
Bombina pachypus è specie monotipica considerata in passato una sottospecie di Bombina
variegata ed è diffusa nell’Italia peninsulare dall’entroterra genovese all’Aspromonte.
Da alcuni anni si indaga la distribuzione dell’ululone appenninico in Umbria e recentemente sono
state svolte ricerche sulla fenologia riproduttiva di alcune popolazioni della Valnerina.
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La specie è localizzata in pochi settori della regione con il maggior numero di segnalazioni
provenienti dall’Umbria sud-orientale ed in particolare dai monti dello Spoletino e della Valnerina.
I siti maggiormente utilizzati dalla specie per la riproduzione sono rappresentati da manufatti quali
vecchi fontanili utilizzati per l’abbeveraggio del bestiame e pozze effimere lungo i sentieri.
Proprio in relazione agli ambienti frequentati i maggiori rischi per la specie sono rappresentati
dall’alterazione e conseguente scomparsa di questi siti.
L’ululone appenninico è incluso negli Allegati II e IV della Direttiva Habitat 92/43/CEE e
considerato Endangered dalla IUCN.
Rana appenninica (Rana italica)
La rana appenninica è un anfibio anuro appartenente alla famiglia Ranidae nell’ambito della quale è
riconducibile alla divisione delle rane rosse.
Uno dei caratteri discriminanti che consente di riconoscere rana appenninica dalle altre rane rosse, è
la pigmentazione a livello della gola caratterizzata da una colorazione scura con una banda bianca
longitudinale in posizione mediana. Dorsalmente Rana italica presenta una colorazione brunorossastra e la lunghezza totale raggiunge i 7,5 cm.
Analisi genetiche hanno consentito di distinguere Rana italica da Rana graeca, nome con il quale in
passato era indicata anche la specie presente lungo la dorsale appenninica.
L’areale della specie si estende dalla Liguria centrale a tutta la Calabria.
Studi condotti per la realizzazione della monografia “Anfibi e Rettili dell’Umbria”, pubblicata nel
2006, e successive osservazioni hanno evidenziato come la distribuzione di Rana italica nella
regione sia piuttosto continua, pur selezionando esclusivamente boschi freschi ed umidi nelle cui
vicinanze siano presenti corsi d’acqua perenni; tra le rane rosse, infatti, rana appenninica è quella
maggiormente legata agli ambienti acquatici.
Le principali minacce per la specie sono rappresentate dalle captazioni idriche, dalla riduzione della
copertura boschiva e dall’introduzione di specie ittiche predatrici. Un’ulteriore grave minaccia è
inoltre rappresentata da agenti patogeni quali il micete Amphibiocystidium sp. la cui parassitosi a
carico di Rana italica è stata rilevata per la prima volta in una popolazione dell’Alta Valle del
Nestore.
La rana appenninica è inclusa nell’Allegato IV della Direttiva Habitat 92/43/CEE e considerata
Least Concern dalla IUCN.
Il problema della frammentazione
La gran parte degli ecologi e dei biologi concorda nell’indicare, tra i maggiori fattori antropici
causanti la caduta planetaria di biodiversità, l’interruzione della continuità ecologica del paesaggio
naturale, seminaturale e colturale. Lo sviluppo degli insediamenti e delle infrastrutture lineari di
collegamento e di trasporto, frammenta ecosistemi e agrosistemi, interrompendo e riducendo habitat
faunistici. Nei paesi storicamente industrializzati la frammentazione ecologica prevale sulla
riduzione quantitativa di ecosistemi, i quali, almeno per alcune tipologie, hanno addirittura
incontrato, negli ultimi decenni, un recupero anche significativo della loro estensione totale. Paesi
nei quali lo sviluppo industriale ed economico rappresenta un fenomeno recente (ultimi decenni) la
rapida riduzione, trasformazione, alterazione degli ecosistemi, prevale sulla loro frammentazione.
In Italia, dagli anni ’70 dello scorso secolo, alcuni ecosistemi hanno incontrato uno sviluppo areale
molto significativo. Ad esempio le formazioni legnose spontanee (foreste, boschi, macchie,
garrighe) presentano, oggi, una estensione totale paragonabile a quella precedente il XVI – XVII
secolo. La continuità degli ecosistemi è, invece, continuamente minacciata ed interrotta dallo
sviluppo progressivo e inarrestabile degli insediamenti, delle infrastrutture lineari, del prelievo
idrico.
Gli Anfibi sono, tra i vertebrati tetrapodi, quelli più vulnerabili alla frammentazione ecologica, sia
per la loro dipendenza riproduttiva dall’acqua, sia per la loro peculiare morfo-fisiologia che li
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espone incisivamente alla disidratazione, sia per la struttura e l’abilità locomotorie che
condizionano, a parità di taglia, una forte riduzione della capacità di dispersione.
Gli Anfibi, quindi, possono ricevere un elevato beneficio dalla conservazione, dal recupero e dallo
sviluppo di una adeguata “rete ecologica territoriale”.
L’ecological network è visto dall’anzidetta gran parte degli ecologi e biologi, come un valido, se
non unico, mezzo per mitigare, arrestare, recuperare quella perdita di naturalità e di connettività
ecologica che caratterizza i paesaggi del Terzo Millennio.
In breve, una rete ecologica territoriale è rappresentata, come tutte le reti, da un sistema di “nodi” e
“internodi” reciprocamente connessi. Componenti puntuali (nodi) e lineari (internodi) che, insieme,
possono collegare entità disperse nello spazio, altrimenti isolate e incollegabili. I nodi,
concettualmente puntiformi, possono essere il mero “crocicchio” al quale giungono e dal quale si
dipartono due o più internodi; oppure un’area, anche vasta ma coprente una piccola porzione dello
spazio considerato, alla quale arrivano e dalla quale partono internodi. La natura ecologica dei nodi
e degli internodi è la stessa: ecosistema, ecotono, agrosistema estensivo e/o storico-tradizionale,
formazione vegetale spontanea, et cetera. La differenza funzionale tra essi risiede nella forma e,
conseguentemente, nelle dimensioni: la forma di un nodo-crocicchio non differisce da quella del
frammento di internodo che s’incontra con gli altri, quindi un punto o poco più; la forma di un
nodo-area è ben diversa, è dotata di lunghezza, larghezza e superficie, quindi di spazio di
consistenza indefinita. Quest’ultima potrebbe essere tale da sostenere un deme della specie il cui
habitat coincida con la natura ecologica di quello spazio-nodo. L’internodo, il segmento di sviluppo
indefinito che collega due nodi, è una linea, geometricamente dotata di una sola dimensione, la
lunghezza, quindi sprovvista di superficie e di spazio. Nella realtà gli internodi sono effettivamente
dotati di una larghezza, ma la sua entità è del tutto trascurabile rispetto alla lunghezza, tanto che
l’esiguo spazio lineariforme di habitat generato dall’internodo, non potrà mai sostenere, in generale,
un deme dell’anzidetta specie. Naturalmente l’altra variabile dimensionale da considerare nella
valutazione delle reti ecologiche è rappresentata dalla taglia della specie animale della quale si
tratta. Tutti gli Anfibi sono dotati di una taglia ridottissima, se non mediamente la minore tra le
classi di vertebrati tetrapodi; ciò significa che anche internodi, caratterizzati da habitat specifico,
possono sostenere demi di tale specie, come per i nodi-area.
Nel gergo ecologico-biologico le componenti dell’ecological network sono definite “corridoi” o
“pietre di guado”, gli internodi, “crocicchi”, “aree”, “roccheforti”, “source”, “patch”, i nodi.
Allorquando l’estensione di un nodo sia sufficientemente grande, il deme della specie considerata
può assumere le dimensioni e la struttura di una sua “popolazione vitale”, capace di perpetuarsi a
tempo indeterminato in condizioni di stabilità ecologica dell’ambiente. Nella fattispecie tale nodo
assume la preziosa funzione di “sorgente” (source) di individui e genotipi della specie che, tramite i
corridoi e le pietre di guado, si distribuiscono nella rete, fondando e/o integrando e/o rifornendo
demi negli altri nodi. Nel caso in cui i nodi della rete non siano in grado di consentire a nessuno dei
demi che li abitano di assumere lo stato di popolazione vitale, la continuità ecologica assicurata
dagli internodi, tale che individui e genotipi possono circolare agevolmente in ogni sua parte, il
sistema assume, nel suo insieme, la funzione di “metapopolazione”. Quest’ultima, pur essendo
ripartita in porzioni spazialmente distanti ha le caratteristiche di popolazione vitale.
Visto che, relativamente agli Anfibi, anche i corridoi e le pietre di guado possono sostenere demi e
popolazioni specifici, risulta evidente quanto le reti ecologiche territoriali siano importanti per la
loro conservazione a lungo termine in paesaggi ecologici fortemente frammentati.
La Regione Umbria, in collaborazione con Università e Istituzioni di ricerca nazionali ed estere, ha
realizzato un laborioso progetto pluriennale, culminato con la pubblicazione della RERU (Rete
Ecologica Regionale dell’Umbria) nel 2009. Al volume tecnico-scientifico è associata una
cartografia digitale a scala di dettaglio (1:10.000) nella quale è “disegnato” il sistema di nodi e
internodi della rete regionale, basato sulla distribuzione territoriale di 22 temi ambientali che
descrivono il paesaggio naturale, seminaturale e antropico umbro. La conservazione e l’uso
sostenibile di corridoi, pietre di guado e patch dell’ecological network regionale sono regolati da
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specifiche norme di legge: la loro efficacia nella conservazione a lungo termine della batracofauna
umbra è ovviamente demandata alla consapevolezza dei cittadini e alla qualità culturale della classe
politico-amministrativa.
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