4 diritto - Giustizia a Milano

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4 diritto - Giustizia a Milano
GIUSTIZIA A MILANO
PERIODICO MENSILE DI GIURISPRUDENZA MILANESE
Anno XXVI - n. 3 - Marzo 2013
Anthea Editrice S.R.L.
Via Freguglia, 4 - MILANO 20122
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Redazione: Via Freguglia, 10 - 20122 Milano
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Trib. Milano 415/10.6.1988 - Roc. 21373
Poste Italiane S.p.A. Sped. A.P. D.L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 Comma 1 - LO/MI
Consiglio direttivo
Avv. CARLO BRETZEL direttore responsabile
Avv. RAFFAELE CAMASSA - Avv. GIGLIOLA GUERRERI Avv PAOLO GIUGGIOLI - Dott.ssa MARIA VITTORIA BORGHETTI Avv. MARIA CECILIA RUBINI - SALVATORE QUATTROCCHI
Caporedattore: Avv. FILIPPO ROSADA
Redazione: Avv. CATERINA DAVELLI - DAVIDE RENZI LAURA QUATTROCCHI
Hanno collaborato a questo numero: Prof. Avv. FILIPPO DANOVI Avv. ANTONIO BANA - Avv. PAOLO BERTAZZOLI - Avv. SERENA
CANESTRELLI - Avv. PAOLO CARDONE - Avv. PAOLO COLOMBO Avv. CATERINA DAVELLI - Avv. ALESSANDRA GIORGETTI Avv. ANDREA PAGANINI - Avv. FILIPPO ROSADA - Avv. MARIA
CECILIA RUBINI - Avv. MICHELA SCHIRO’ - Avv. IOLANDA
SPAGNOLO - Dott.ssa STEFANIA SQUEO - Avv ANTONIA VETRO
RUBRICHE
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Stampa del 18 luglio 2013
Prenotazione aggiornamento 2013
Dvd Repertorio
Giustizia a Milano
Massime dal 1989
Sentenze integrali dal 2006
1 - PERSONE-FAMIGLIA-SUCCESSIONI
2 - DIRITTI REALI E VENDITE IMMOBILIARI
3 - OBBLIGAZIONI - CONTRATTI TITOLI DI CREDITO
4 - DIRITTO DEL LAVORO
5 - TUTELA DEI DIRITTI
• € 200 ivato (dvd + Omaggio Repertorio cartaceo:
elegante volume rilegato in pelle con incisioni color oro)
• € 60 + iva (solo possessori DVD precedente)
6 - DIRITTO INDUSTRIALE
7 - CIRCOLAZIONE STRADALE
8 - ASSICURAZIONI
9 - RESPONSABILITÀ CIVILE
10 - LOCAZIONI E CONDOMINIO
11 - ASSOCIAZIONI E SOCIETÀ
12 - PROCEDURE CONCORSUALI
13 - DIRITTO ALL’INFORMAZIONE
14 - DIRITTO AMMINISTRATIVO
15 - DIRITTO TRIBUTARIO
16 - DIRITTO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE
17 - DIRITTO E PROCEDURA PENALE DEPENALIZZAZIONE
18 - PROCESSO DI COGNIZIONE
19 - PROCEDIMENTI SPECIALI
20 - PROCESSO DI ESECUZIONE
21 - MEDIAZIONE CIVILE
22 - DEONTOLOGIA PROFESSIONALE
Informativa ex legge 196/03 su www.anthea.it
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GIUSTIZIA A MILANO
1
PERSONE
FAMIGLIA
SUCCESSIONI
Corte Appello - Sez. Persone Minori e Famiglia - n. 2503 - 22
marzo 2013 - pres. La Monica - est. Lo Cascio
Separazione dei coniugi - Comportamento tenuto in costanza
di matrimonio - Irrilevanza a particolari condizioni per la
pronuncia di addebito.
Le condotte in violazione dei doveri matrimoniali, poste in
essere quando il rapporto matrimoniale risulti già irreversibilmente compromesso, tanto che il matrimonio risulti un mero
simulacro e dunque privo di affectio maritalis, sono prive di incidenza causale in ordine alla frattura dell’unione maritale
(Nella specie la Corte ha rigettato la richiesta di addebito al
coniuge che aveva abbandonato il tetto coniugale e trattenuto beni e documenti al fine di preordinare una difesa in sede di
separazione). (A.V.)
Tribunale - Sez. IX civ. - n. 4232 - 26 marzo 2013 - pres. Cattaneo - est. Cosmai
Separazione personale - Relazione extraconiugale - Addebito
- Prova del nesso di causalità.
Una relazione extraconiugale determina normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza e costituisce,
di regola, causa della separazione personale addebitabile al
coniuge che ne è responsabile, sempre che non si constati la
mancanza di un nesso di causalità tra l’infedeltà e la crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da
cui risulti la preesistenza di una rottura già irrimediabilmente
in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale. (F.D.)
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dividuazione della persona più idonea a curare la persona e
gli interessi del beneficiario.
Il conferimento di procura ad un soggetto terzo per il compimento di uno o più atti od anche per l’intera amministrazione
del patrimonio del soggetto protetto, non consente al delegante l’esonero degli obblighi di cura e vigilanza rimanendo
egli obbligato in proprio nei confronti dell’assistito. (S.C.)
Tribunale - Sez. IX civ. - n. 3270 - 11 marzo 2013 - pres. Cosmai - est. Cattaneo
Coniugi di nazionalità diversa - Giurisdizione del giudice italiano - Sussiste - Legge sostanziale applicabile - Italiana Sussiste.
In presenza di nazionalità diversa dei coniugi - italiana ed
albanese - sussiste la giurisdizione italiana, a norma dell’art.
3, l o co., lett. a), Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio dell’Unione Europea del 27 novembre 2003, relativo alla
competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000
(conforme sul punto gli artt. 32 e 3, 1° co., L. 3I maggio I995,
n. 2I8), oltre che la competenza territoriale del giudice adito.
Quanto alla legge sostanziale applicabile, non avendo le
parti cittadinanza comune, è indubbia l’applicabilità alla fattispecie ex articolo 31 legge 281/95 della legge italiana in tema
di separazione essendosi in Italia prevalentemente localizzata, la seppur breve vita matrimoniale. (C.D.)
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DIRITTI REALI
E VENDITE IMMOBILIARI
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 979 - 5 marzo 2013 - pres. Ongania - est. Mesiano
Azione di regolamento di confine - Presupposti e limiti.
Tribunale - Sez. IX civ. - n. 3832 - 20 marzo 2013 - pres. Dell’Arciprete - est. Ortolan
Obbligo di mantenimento - Funzione - Presupposti.
L’obbligo di mantenimento rappresenta ancora espressione dell’obbligo di assistenza, funzionale a consentire a ciascun coniuge di condividere, pur dopo la cessazione della
convivenza, la medesima condizione sociale dell’altro e per la
rilevata sussistenza di un evidente squilibrio nelle posizioni
reddituali attuali delle parti. (S.C.)
Tribunale - Sez. I civ. - n. 3612 - 14 marzo 2013 - g.u. Dorigo
Amministrazione di sostegno - Funzione - Natura - Amministrazione di sostegno - Procura a soggetto terzo.
L’amministrazione di sostegno si applica a persona - non interdetta e non inabilitata - che, per effetto di una infermità, ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai
propri interessi, perseguiti attraverso il compimento di uno o
più specifici atti con l’ausilio dell’amministratore di sostegno.
In ragione della sua natura si afferma la non delegabilità dei
compiti propri dell’amministratore di sostegno ad altro, o ad
altri, soggetti mediante procura generale, il cui conferimento
vanificherebbe la scelta operata dal giudice tutelare nella in-
Di fronte all’estrema chiarezza delle dizione del titolo negoziale di divisione e della planimetria ad esso allegata, il titolo
negoziale medesimo deve prevalere sul tipo di frazionamento
allegato, che disegna i confini in modo diverso: infatti, è solo il
titolo di provenienza ad avere valore costitutivo, mentre le
mappe catastali hanno valore ricognitivo. Infatti l’art. 950 c.c.,
assegna al confine delineato dalle mappe catastali natura
sussidiaria, da utilizzare “in mancanza di altri elementi”.
In tema di azione di regolamento di confini, per l’individuazione della linea di separazione fra fondi limitrofi la base primaria dell’indagine del giudice di merito è costituita dall’esame e dalla valutazione dei titoli di acquisto delle rispettive proprietà; solo la mancanza o l’insufficienza di indicazioni sul
confine rilevabile dai titoli, ovvero la loro mancata produzione,
giustifica il ricorso ad altri mezzi di prova, ivi comprese le risultanze delle mappe catastali. (A.G.)
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OBBLIGAZIONI
CONTRATTI
TITOLI DI CREDITO
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 1362 - 27 marzo 2013 - pres. di
Leo - est. Patrone
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Obbligo di forma scritta per i singoli ordini di acquisto di strumenti finanziari - Esclusione.
L’art. 23 TUF prevede l’obbligo di forma scritta non già per i
singoli ordini di acquisto di strumenti finanziari, bensì solo per
il contratto per la prestazione del servizio d’investimento nell’ambito ed in esecuzione del quale i singoli ordini vengono
conferiti. (M.S.).
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 1361 - 27 marzo 2013 - pres. Tarantola - est. Bonaretti
Intermediazione finanziaria - Redazione contratto - Obbligo intermediario.
L’obbligo di redigere il contratto non può che gravare sull’intermediario, tenuto a conservare l’originale e a consegnarne copia al cliente (anche se formato, nel caso di contratto
concluso per scambio di corrispondenza, da due moduli,
contente l’uno la proposta - del cliente - e l’altro l’accettazione
- della banca), di talché ove l’intermediario non sia in grado di
produrlo in giudizio, le conseguenze non possono che tornare in suo danno. (I.S.)
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 1264 - 27 marzo 2013 - pres. Tarantola - est. Bonaretti
Art. 23 T.U.F. - Contratto quadro - Forma.
Il contratto quadro, da redigersi in forma scritta sotto pena
di nullità (art. 23 TUF), deve considerarsi elemento essenziale per la validità di ogni operazione d’investimento che, rispetto ad esso, si pone come semplice negozio esecutivo.
(I.S.)
Corte Appello -Sez. I civ. - n. 1264 - 27 marzo 2013 - pres. Tarantola - est. Bonaretti
Contratto di intermediazione finanziaria - Forma scritta ad
substantiam - Produzione in giudizio.
Per giurisprudenza costante, quando la forma scritta, come
in tema di intermediazione finanziaria, è richiesta ad substantiam e non semplicemente ad probationem, il documento è
necessario per la stessa esistenza del negozio e per il sorgere delle relative obbligazioni. Tale documento deve essere
prodotto in giudizio e deve contenere la manifestazione della
volontà e la sottoscrizione di tutte le parti del contratto. Ciò
anche quando le stesse - ove il contratto, come nella specie,
sia concluso per scambio di corrispondenza - risultino redatte su fogli separati, che debbono mostrarne l’ inscindibile collegamento, non potendosi considerare sufficiente la produzione della dichiarazione, pur ricognitiva, di una sola delle
parti, non corredata cioè della dichiarazione scritta contenente la manifestazione della volontà della controparte .
Discorso analogo è a farsi anche quando le parti ammettano concordemente l’avvenuta stipulazione per iscritto del
contratto stesso.
E ciò risulta in linea con l’orientamento, assolutamente prevalente, che afferma che anche l’eventuale confessione non
può tenere il luogo del documento, dal quale soltanto scaturiscono gli effetti del negozio (Cass. Civ. n. 10163/2011).
Né il contratto d’intermediazione finanziaria può ritenersi
concluso ‘per adesione’ con la sola sottoscrizione del cliente
(trattandosi di contratto dal contenuto liberamente apprezzabile dal cliente, almeno in certi limiti modificabile a sua richiesta e non di rado concluso a seguito di trattative svoltesi tra le
parti, o in forza del successivo ordine di borsa (della cui validità, anzi, costituisce presupposto necessario) o delle successive comunicazioni provenienti dalla banca (contabili, at-
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testati di eseguito, ecc.), riconducibili al novero degli atti giuridici a contenuto partecipativo, dichiarazioni unilaterali che,
rivolte all’altra parte e comunicative di fatti relativi a un rapporto già costituito, restano prive di valenza negoziai, o comunque può ritenersi suscettibile di sanatoria alcuna, posto
che l’esecuzione spontanea da parte dei contraenti non ne
sana la nullità, così come restano irrilevanti manifestazioni di
volontà implicite o desumibili da comportamenti attuativi o,
ancora, riconducibili al genus della ratifica successiva (che
sana retroattivamente, ex art. 1399 cc, soltanto il difetto di
procura, quando un contraente abbia trattato qualificandosi
come rappresentante). (I.S.)
Corte Appello - Sez. III civ. - n. 1183 - 19 marzo 2013 - pres.
Marescotti - est. Brena
Contratto di compravendita - Vizi e difetti del manufatto - Offerta sostituzione - Domanda di risoluzione del contratto per
inadempimento ex art. 1455 c.c. e risarcimento danno Ammissibilità - Presupposti e limiti.
Non tutti i vizi possono costituire l’inadempimento grave richiesto dall’art. 1455 c.c., dal momento che lo scioglimento
del contratto per inadempimento - salvo che la risoluzione
operi di diritto - consegue ad una pronuncia costitutiva, che
presuppone da parte del giudice la valutazione della non
scarsa importanza dell’inadempimento stesso, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte. Tale valutazione viene operata
alla stregua di un duplice criterio, applicandosi in primo luogo
un parametro oggettivo, attraverso la verifica che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia
complessiva del rapporto (in astratto per la sua entità e, in
concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato
all’altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale; l’indagine va, poi, completata
mediante la considerazione di eventuali elementi di carattere
soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le
parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva
riparazione, ad opera dell’una, un reciproco inadempimento
o una protratta tolleranza dell’altra), che possano, in relazione
alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità, nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata
(Cass. civ. n. 2083/2006).
Nel caso di specie, sia l’incidenza parziale e marginale dei
vizi rispetto all’intera fornitura (meno di un quarto del costo
complessivo) sia l’offerta di tempestiva riparazione mediante
la sostituzione, hanno impedito giustamente l’accoglimento
della pronuncia di risoluzione dell’intero contratto, come chiesto. (M.C.R.)
Corte Appello - Sez. III civ. - n. 1095 - 13 marzo 2013 - pres.
Marescotti - est. Cairati
Caparra confirmatoria - Inadempimento - Possibilità di chiedere il doppio della caparra e il risarcimento del danno - Non
sussiste.
La richiesta del risarcimento del danno e la richiesta di versamento del doppio della caparra non sono tra loro compatibili e cumulabili, in quanto secondo l’unanime dottrina e per
consolidato orientamento della giurisprudenza il doppio della
caparra costituisce una forma di risarcimento del danno preventivamente ed esaustivamente quantificato dalle parti per
l’ipotesi che una delle due si rendesse inadempiente: grazie
alla previsione della caparra confirmatoria, il soggetto che ha
versato la caparra può esigere il pagamento del doppio senza dover provare se e in che misura ha subito un danno; mentre, in caso di inadempimento dell’altra parte, il soggetto che
ha pagato la caparra può incamerarla definitivamente, sempre senza dover provare l’effettivo danno subito. L’art. 1385
c.c. fa salva comunque la possibilità di esigere il risarcimento
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del danno secondo le norme generali; la parte che non si accontenta della caparra confirmatoria ma opta per la richiesta
di risarcimento del danno non può pretendere anche la caparra confirmatoria e inoltre dovrà provare nell’an e nel quantum il danno di cui vuole essere risarcita (Cass. n.
17923/2007). (F.R.)
Corte Appello - Sez. III civ. - n. 1050 - 12 marzo 2013 - pres.
D’Agostino - est. Brena
Caparra confirmatoria - Inadempimento - Alternatività tra recesso e risoluzione - Restituzione caparra versata - Dovuta.
In ipotesi di inadempimento di preliminare cui risulta apposta una clausola che preveda una caparra confirmatoria, la
parte adempiente non può proporre e cumulare la domanda
di restituzione del doppio della caparra prevista dall’art. 1385
terzo comma c.c. nell’ipotesi di recesso, con quella di risarcimento del danno conseguente alla risoluzione, poiché si tratta di domande fondate su presupposti tra di loro incompatibili
ed alternativi.
Qualora la parte non inadempiente, invece di recedere dal
contratto, preferisca domandarne la risoluzione ex art. 1385
terzo comma c.c., dovrà provare il danno subito sia nell’an
che nel quantum.
Tuttavia, la restituzione di quanto versato a titolo di caparra
è comunque dovuto dalla parte inadempiente quale effetto
della risoluzione stessa, in conseguenza della caducazione
della sua causa giustificativa, senza alcuna necessità di specifica prova del danno. (A.V.)
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 995 - 6 marzo 2013 - pres. Vigorelli - est. D’Anella
Forma scritta ad substantiam - Sufficienza della dichiarazione
unilaterale del proponente - Non sussiste - Conseguente
nullità - È tale.
Ove il contratto debba essere stipulato in forma scritta ad
substantiam, il documento deve essere prodotto in giudizio e
deve contenere la manifestazione di volontà e la sottoscrizione di tutte le parti contrattuali (Cass. civ. n. 9687/03); tanto è
vero che neppure una dichiarazione di natura confessoria è
idonea a tener luogo del documento, non prodotto in giudizio.
Conseguentemente, allorché il contratto deve essere stipulato in forma scritta ad substantiam, non può di certo ritenersi
sufficiente, ai fini del sorgere di un valido vincolo negoziate, la
dichiarazione unilaterale del proponente, come accade nelle
ipotesi disciplinate dagli artt. 1336 e 1327 c.c. Né può ritenersi che i contratti in esame si siano perfezionati con la loro produzione in giudizio, in quanto in tal caso il vincolo negoziate
verrebbe a sorgere in un momento successivo alla già proposta domanda di nullità per inosservanza della forma prevista
ex lege (Cass. civ. n. 22223/06).
(Nel caso di specie, è stato ritenuto nullo un contratto di servizi di investimento firmato dall’investitore ma non dalla banca) (F.R.)
Corte Appello - Sez. III civ. - n. 985 - 5 marzo 2013 - pres. d’Agostino - est. Pozzetti
Erogazione di finanziamento - Inadempimento del venditore Obbligo di restituzione degli importi erogati al venditore da
parte di quest’ultimo - Sussiste.
In tema di finanziamento per l’acquisto di un veicolo, a fronte dell’accertamento della omessa consegna dell’autovettura
da parte del venditore e, quindi, dell’inadempimento in ordine
alla principale obbligazione a suo carico - non risultando pro-
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vato alcun inadempimento da parte dell’acquirente - ed essendo pacifico il versamento al venditore del finanziamento
oggetto di causa in pagamento anticipato del prezzo dell’auto, non vi è dubbio che la risoluzione del contratto è imputabile al soggetto inadempiente.
Consegue, ai sensi dell’art. 1458 cc, l’obbligo restitutorio a
carico del venditore di rendere l’importo ricevuto a titolo di
corrispettivo per il bene da lui mai consegnato ed oggetto di
un contratto da tempo risolto per sua stessa colpa.
L’obbligo di restituzione della prestazione ricevuta, infatti,è
un effetto naturale della risoluzione del contratto e l’inerente
azione di ripetizione di indebito oggettivo per attenerne la restituzione è accordata dalla legge in ogni ipotesi di acclarata
mancanza di una causa adquirendi, tanto nel caso di nullità,
annullamento, risoluzione o rescissione di un contratto, quanto in quello di qualsiasi altra causa che faccia venir meno il
vincolo originariamente esistente. (F.R.)
Corte Appello - Sez. III civ. - n. 965 - 4 marzo 2013 - pres. d’Agostino - est. Brena
Contratto preliminare di compravendita - Possibilità di parziale
evizione del bene - Applicabilità dell’art. 1481 c.c. - Ammissibilità.
Ai sensi dell’art. 1481 c.c., è facoltà del compratore di sospendere pagamento del prezzo, costituendo applicazione
alla compravendita il principio generale inadimplendi non est
adimplendum di cui all’art. 1460 cod. civ., che postula che l’esercizio dell’autotutela sia conforme a buona fede: a tal fine il
pericolo di perdere la proprietà deve connotarsi per serietà e
concretezza e deve risultare attuale e non già soltanto ipotizzabile in futuro o meramente presuntivo, e ciò sia nell’ipotesi
del contratto di vendita sia in quello preliminare. Ed in vero,
sotto il profilo in esame appare del tutto erroneo operare una
distinzione fra il contratto con immediato effetto traslativo e
quello preliminare, atteso che la garanzia è prevista dall’art.
1481, in considerazione e per effetto del mero fatto obiettivo
della perdita del diritto acquistato dal compratore, perdita che
comporta l’alterazione del sinallagma contrattuale; pertanto,
la garanzia opera indipendentemente dalla colpa del venditore e dalla stessa conoscenza da parte del compratore della
possibile causa della futura evizione (Cass. Civ. n.
8002/2012).
(Nel caso di specie, è stato confermato il diritto del promissario acquirente di sospendere il pagamento in seguito al fatto di essere vento a conoscenza di possibilità di evizione parziale per intervenuta usucapione.) (F.R.)
Corte Appello - Sez. III civ. - n. 965 - 4 marzo 2013 - pres. d’Agostino - est. Brena
Compravendita - Garanzia per evizione - Applicabilità - Presupposti.
In tema di compravendita, la garanzia per evizione opera
indipendentemente dalla sussistenza della colpa del venditore o dalla buona fede dell’acquirente e, quindi, non è esclusa
neppure dalla conoscenza, da parte del compratore, della
possibile causa di futura evizione, ove la stessa effettivamente si verifichi. (F.R.)
Tribunale - Sez. III civ. - n. 3322 - 11 marzo 2013 - g.u. Ferrari
Azione di risoluzione o adempimento del contratto - Onere della prova.
Il creditore che agisce per la risoluzione ovvero per l’adempimento del contratto può limitarsi a fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine
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di scadenza, mentre può limitarsi ad allegare l’inadempimento della controparte: sarà il debitore convenuto a dover fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall’avvenuto adempimento. (S.C.)
Tribunale - Sez. IV civ.- n. 2852 - 1 marzo 2013 - g.u. Fascilla
Inadempimento dell’obbligazione - Riparto dell’onere della
prova.
In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il
creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il
relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte,
mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova
del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto
adempimento.
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DIRITTO
DEL LAVORO
Corte Appello - Sez. Impresa - n. 1249 - 21 marzo 2013 - pres.
est. Santosuosso
Concorrenza sleale - Imitazione servile - Presupposti e limiti Accertamento dell’illecito anticoncorrenziale - Presupposti
e limiti - Onere probatorio - Presupposti.
In ipotesi di accertamento di un illecito anticoncorrenziale,
per imitazione servile della forma di un prodotto, l’imprenditore che imiti servilmente i prodotti di un concorrente che non
siano oggetto di brevetto o di altro diritto di privativa, è colpevole di commettere atti di concorrenza sleale qualora tali imitazioni creino confusione nel mercato di riferimento.
Per ritenere integrato l’illecito anticoncorrenziale, l’oggetto
dell’imitazione non può cadere su qualsiasi forma che contraddistingua il prodotto altrui, ma solamente su quella dotata
di efficacia individualizzante e del carattere della novità. La
tutela garantita dall’art. 2598, comma 1, c.c., comportando
effetti particolarmente importanti pur in mancanza di diritti di
privativa, non può essere estesa alla riproduzione di qualsivoglia forma, ma deve essere contemperata con la necessità di
garantire la massima competizione nel mercato.
In riferimento a tali caratteri, la capacità distintiva riguarda
solamente quelle forme idonee a ricollegare il prodotto ad
una determinata impresa; la novità, invece, fa riferimento alle
forme differenti da quelle già prodotte e immesse sul mercato
da altri. Ciò significa che la ripetizione dei connotati formali di
un manufatto costituisce atto di concorrenza sleale solamente nel caso in cui non si limiti ai profili resi necessari dalle caratteristiche funzionali del prodotto, ma investa qualità del tutto inessenziali alle finalità del medesimo, ovvero si estenda a
forme arbitrarie e capricciose, che non abbiano carattere funzionale sotto il profilo tecnico ed estetico. Essendo questi gli
elementi costitutivi della contraffazione per imitazione servile,
al fine di ritenere integrato tale illecito, l’originalità e la capacità distintiva delle caratteristiche imitate debbono essere
presenti, in via cumulativa, nel prodotto copiato e l’onere di dimostrare tali fatti incombe sull’attore, mentre quello di provare
la loro mancanza spetta, quale fatto estintivo della pretesa attorea, al convenuto. (A.G.)
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Corte Appello - Sezione Lavoro - n. 190 - 6 marzo 2013 - pres.
Curcio - est. Cincotti
Contratto a termine - Previsione della contrattazione collettiva
che il numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo
determinato non possa superare, su base regionale, il limite del 5% dei lavoratori in servizio - Onere della prova a carico del datore di lavoro - Mancato assolvimento - Illegittimità del contratto a termine - Conversione in un contratto a
tempo indeterminato.
La clausola di contingentamento contenuta nell’articolo 25
del CCNL Poste Italiane prevede che il numero dei lavoratori
assunti con contratto a tempo determinato non possa superare, su base regionale, il limite del 5% dei lavoratori in servizio
alla data del 31 dicembre dell’anno precedente.
L’onere della prova del mancato superamento di tale limite
è a carico del datore di lavoro e la mancata produzione in giudizio di documenti, o anche di meri prospetti cui si possa far
riferimento per l’individuazione delle entità numeriche, rendono manifesto il mancato assolvimento di tale onere probatorio.
Da ciò discende l’illegittimità del contratto a termine con la
sua conversione in un contratto a tempo indeterminato. (P.B.)
Corte Appello - Sezione Lavoro - n. 166 - 1 marzo 2013 - pres.
Castellini - est. Sala
Malattia - Svolgimento di lavoro a favore di altro datore di lavoro durante la malattia - Comportamento idoneo a ritardare
la guarigione - Comportamento improntato a malafede - Licenziamento - Sussistenza della giusta causa.
Nel caso di lavoratore in stato di malattia, la presentazione
del certificato medico è funzionale a consentirne la guarigione.
Lo svolgimento della stessa attività lavorativa a favore di diverso datore di lavoro può ritardare la guarigione del medesimo lavoratore ed è comportamento improntato a malafede atto a far venir meno del vincolo di fiducia posto alla base del
rapporto di lavoro.
Tale comportamento giustifica il recesso del datore di lavoro per giusta causa in relazione alla violazione de doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifichi obblighi
contrattuali di diligenza e fedeltà sia nell’ipotesi in cui tale attività sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia sia nel caso in cui la medesima attività, valutata
con giudizio “ex ante” in relazione alla natura della patologia e
delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione ed il rientro in servizio. (P.B.)
Tribunale - Sez. XIII civ. - n. 4020 - 21 marzo 2013 - g.u. Spinnler
Crediti di lavoro - Opposizione a decreto ingiuntivo - Ricorso Necessità - Termine per il deposito - Proposizione con atto
di citazione - Conseguenze.
In tema di opposizione a decreti ingiuntivi relativi a crediti di
lavoro o previdenziali il principio per il quale l’opposizione a
decreto ingiuntivo emesso per crediti nascenti da rapporti di
locazione di immobili urbani - e, più in generale, per tutti i crediti che traggano origine da uno dei rapporti indicati dall’art.
447 bis c.p.c. ( locazione, comodato, affitto di azienda) - va
proposto con ricorso da depositarsi nella cancelleria del giudice emittente nel termine - perentorio ed insuscettibile di sanatoria ex art. 156 c.p.c., comma terzo c.p.c. - di quaranta
giorni dalla notificazione del decreto e, successivamente notificato alla controparte, in uno con il decreto di fissazione dell’udienza.
GIUSTIZIA A MILANO
Nel caso in cui l’opposizione sia stata proposta con atto di
citazione, esso assume un ruolo succedaneo al ricorso soltanto se idoneo a raggiungere lo scopo perseguito con la modalità tipica, ovvero, più precisamente, solo se depositato in
cancelleria, per l’iscrizione a ruolo, entro il quarantesimo giorno della notifica del decreto ingiuntivo.
Viceversa, nel caso in cui l’atto di citazione, pur notificato
nel rispetto del termine fissato dall’art. 641 c.p.c., sia stato depositato in cancelleria oltre l’anzidetto termine, l’opposizione
va considerata tardivamente proposta e quindi inammissibile.
Efficacia sanante non possono rivestire né la spontanea costituzione in giudizio della parte opposta, né l’eventuale provvedimento di conversione del rito ex art. 426 c.p.c., poiché
destinato ad incidere sull’ulteriore corso del procedimento ma
non già a determinare a posteriori un mutamento delle forme
dell’atto introduttivo (Cass. civ. n. 7623/2000; Corte Cost. ord.
n. 153/2000; Cass. civ. S.U. n. 2714/91).
(Nel caso di specie, il decreto ingiuntivo opposto è stato notificato a mezzo posta con raccomandata inviata il 6.5.2010.
La notificazione si è perfezionata per compiuta giacenza, ai
sensi del disposto di cui all’art. 8 comma 4° L. 890/1982, alla
data del 20.5.2010 e non alla data del 21.5.2010 indicata dall’opponente, che corrisponde a timbro attestante il mancato
ritiro del piego presso l’ufficio postale.
Il termine dei 40 giorni per la proposizione dell’opposizione
scadeva il 29.6.2010. L’atto di citazione in opposizione è stato
tempestivamente notificato in data 21.6.2010, ma l’iscrizione
a ruolo è avvenuta in data 1.7.2010, dunque l’opposizione risulta tardiva e per questa ragione inammissibile con conseguente passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo opposto). (C.D.)
7
CIRCOLAZIONE
STRADALE
Tribunale - Sez. X civ. - n. 3975 - 21 marzo 2013 - g.u. Filippi
Sosta arbitraria di veicolo in prossimità di sede tramviaria - Sinistro - Applicabilità dell’art. 2054 co. 1 c.c. - Sussiste - Applicabilità dell’azione diretta di cui alla legge sulla assicurazione obbligatoria - Sussiste.
Contrasta con i principi informatori della materia in tema di
responsabilità civile da circolazione stradale la sentenza pronunciata secondo equità dal giudice di pace che in caso di
sosta (arbitraria) di un veicolo in prossimità della sede tramviaria con conseguente interruzione del traffico abbia dichiarato il difetto di legittimazione passiva della compagnia assicuratrice delle responsabilità civile di quel veicolo (quanto al
risarcimento preteso dall’azienda tranviaria). Rientra, infatti,
nel concetto di circolazione stradale anche la sosta sul sedime stradale e sulle aree equiparate allo stesso, con la conseguente applicabilità dell’art. 2054, comma 1 c.c., che non fa
riferimento a sinistri ma si limita a statuire l’obbligo di risarcire
il danno provocato dalla circolazione stessa ed è, quindi, principio informatore della materia, quale si è formato nell’ambito
del diritto vivente che la sosta costituisce momento della circolazione. (F.R.)
Tribunale - Sez. X civ. - n. 3975 - 21 marzo 2013 - g.u. Filippi
Circolazione dei veicoli - Accertamento della responsabilità Presunzione di pari responsabilità ex art. 2054 co. 2 c.c. Sussiste - Presupposti.
In tema di accertamento della responsabilità civile per dan-
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ni causati dalla circolazione di veicoli, costituisce principio regolatore della materia- al cui rispetto deve conformarsi la decisione equitativa del conciliatore - quello posto dall’art. 2054,
comma 2, c.c., in relazione all’art. 2697 stesso codice, secondo il quale, in caso di scontro tra veicoli, il concorso di ciascun
conducente alla produzione del danno si presume, in difetto
di prova totalmente o parzialmente liberatoria da parte dell’uno, uguale a quello dell’altro. (F.R.)
9
RESPONSABILITÀ
CIVILE
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 1281 - 22 marzo 2013 - pres. Tarantola - est. Zoia
Sentenza di applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e
445 c.p.c. - Elemento di prova - Giudizio civile.
La sentenza penale di applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e 445 c.p.c. - pur non implicando un accertamento capace di fare stato nel giudizio civile - contiene pur sempre una ipotesi di responsabilità di cui il giudice di merito non
può escludere il rilievo senza adeguatamente motivare in
quanto pur non determinando un accertamento insuperabile
di responsabilità nei giudizi civili e amministrativi, costituisce
pur sempre un indiscutibile elemento di prova e, sebbene priva di efficacia automatica in ordine ai fatti accertati, implica
tuttavia l’insussistenza di elementi atti a legittimare l’assoluzione dell’imputato e, quindi, può essere valutata dal giudice
al pari degli altri elementi di giudizio (Cass. civ. n.
26263/2011). (I.S.)
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 1125 - 15 marzo 2013 - pres. de
Ruggero - est. Chiulli
Riconoscimento di sentenza straniera - Presupposti - Violazione dell’ordine pubblico per mancato riconoscimento del anno morale all’interno della legislazione tedesca - Non sussiste.
In materia il Regolamento CE 44/2001, in maniera non
difforme da quanto in precedenza stabilito dalla L. 218/1995,
disciplina sia il caso di riconoscimento della sentenza straniera, sia quello di esecuzione di una decisione di uno Stato
membro in un altro Stato membro.
Per ciò che attiene al riconoscimento, il Regolamento all’articolo 33 stabilisce che le decisioni emesse in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati membri senza che sia
necessario il ricorso ad alcun procedimento.
Gli articoli 34 e 35 stabiliscono i casi nei quali una decisione
straniera non può essere riconosciuta.
Per la parte che interessa e che viene ritenuta applicabile
dall’appellante, il riconoscimento è escluso quando il provvedimento straniero risulti manifestamente contrario all’ordine
pubblico dello Stato membro richiesto.
La giurisprudenza comunitaria ha affermato che l’ordine
pubblico è invocabile soltanto in casi eccezionali (sentenza
della Corte di Giustizia europea del 28 marzo 2000) e che un
ricorso all’uso dell’ordine pubblico è immaginabile solo nel
caso in cui il riconoscimento o l’esecuzione della decisione
pronunciata in un altro Stato contraente contrasti in modo
inaccettabile con l’ordinamento giuridico dello Stato richiesto,
in quanto lesiva di un principio fondamentale.
Poiché l’articolo 36 del Regolamento CE prevede che in
nessun caso la decisione straniera possa formare oggetto di
un riesame nel merito, per rispettare tale divieto, la lesione do-
GIUSTIZIA A MILANO
vrebbe costituire una violazione manifesta di una regola di diritto considerata essenziale nell’ordinamento giuridico dello
Stato richiesto o di un diritto riconosciuto come fondamentale
dallo stesso ordinamento giuridico.
Tra l’altro nella Convenzione di Bruxelles, all’articolo 27, si
sancisce che “il riconoscimento non potrebbe essere rifiutato,
con ricorso all’ordine pubblico, per il motivo che il giudice
straniero abbia applicato una legge diversa da quella stabilita
dalla regola sui conflitti di legge vigenti nello Stato del giudice
davanti al quale è chiesto il riconoscimento”.
Ne consegue pertanto che non si potrebbe rifiutare il riconoscimento di una decisione straniera, facendo ricorso alla
violazione dell’ordine pubblico, solo per una diversa individuazione della legge nazionale applicabile al caso di specie.
(Nel caso di specie, la tesi sostenuta dalla difesa degli appellanti non è apparsa centrata laddove voleva sostenere che
la contrarietà alle norme di ordine pubblico italiano sia ricavabile dalla mancata previsione di risarcimento di un danno morale all’interno della legislazione tedesca, applicata dal Tribunale di Costanza, così in violazione di norme di rango costituzionale previste nel nostro Paese, ricavabili per esempio dagli
articoli che prevedono l’inviolabilità della famiglia - articolo 29
e 30 Costituzione, la tutela della salute - articolo 32 Costituzione, la salvaguardia della dignità della persona - articolo 2 Costituzione.) (F.R.)
Tribunale - Sez. XII civ. - n. 4312 - 27 marzo 2013 - g.u. Cassano Cicuto
Interessi compensativi - Computo.
Gli interessi compensativi decorrono dalla produzione dell’evento di danno sino al tempo della liquidazione e si calcolano sulla somma via via rivalutata nell’arco di tempo suddetto e
non sulla somma già rivalutata. (F.D.)
Tribunale - Sez. X civ. - n. 3330 - 12 marzo 2013 - g.u. Simonetti
Risarcimento del danno - Svalutazione monetaria - Liquidazione d’ufficio - Sussiste.
L’obbligazione di risarcimento del danno costituisce debito
di valore, come tale quantificabile tenendo conto anche d’ufficio della svalutazione monetaria sopravvenuta sino alla data
della liquidazione di un credito risarcitorio (Cass. civ. n.
5843/2010).
Il giudice, pertanto, nel liquidare il danno al momento della
decisione, deve rapportare il valore del medesimo alla data
della liquidazione, operazione cui si può procedere applicando alla somma corrispondente al danno alla data dell’insorgenza dello stesso gli indici lstat Foi di incremento dei prezzi
al consumo fino alla data della liquidazione.
Non provvedendovi il giudice di prime cure, la sentenza sul
punto va riformata e va liquidato in moneta attuale il danno patrimoniale non oggetto di impugnazione, mediante rivalutazione della somma dalla data del preventivo sino alla data di liquidazione. (C.D.)
10
LOCAZIONI
E CONDOMINIO
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 1279 - 22 marzo 2013 - pres. Sodano - est. Vigorelli
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Condominio di edifici - Approvazione consuntivo - Conseguenze - Contestazione della delibera assembleare - Presupposti e conseguenze.
In materia di condominio di edifici, l’eventuale contestazione della delibera assembleare di approvazione del consuntivo e del relativo riparto delle spese, promossa al precipuo
scopo di ottenerne l’annullamento, deve necessariamente avvenire tramite esperimento di impugnazione giudiziale della
stessa, da proporsi nei termini di cui all’articolo 1137 c.c.
Inoltre, poiché l’approvazione da parte dell’assemblea con
le prescritte maggioranze del consuntivo spese e del riparto
rende il credito vantato dal condominio liquido ed esigibile, in
forza di quanto disposto dall’articolo 63 disp. att. c.c., l’amministrazione è legittimata ad agire in via monitoria per ottenere
il pagamento delle somme risultanti a debito dei singoli condomini. (A.G.)
Corte Appello - Sez. III civ. - n. 1189 - 19 marzo 2013 - pres.
est. Marescotti
Condominio di edifici - Tabelle millesimali - Presupposti e limiti
- Costituzione dell’assemblea - Validità delle deliberazioni Presupposti e limiti.
Le tabelle millesimali, pur se predisposte anche al fine del
computo delle maggioranze nelle assemblee, non hanno carattere pregiudiziale rispetto alla costituzione e alla validità
delle deliberazioni assembleari. Tale considerazione deve essere coordinata con il rilievo che il criterio di identificazione
delle quote di partecipazione al condominio, derivando dal
rapporto tra il valore dell’intero edificio e quello relativo alla
proprietà del singolo, esiste prima ed indipendentemente dalla formazione della tabella dei millesimi, la cui esistenza, pertanto, non costituisce requisito di validità delle delibere assembleari.
Questo rapporto di proporzionalità consente sempre di valutare, anche “a posteriori” in giudizio, se le maggioranze richieste per la validità della costituzione dell’assemblea e delle relative deliberazioni siano state raggiunte, in quanto la tabella anzidetta agevola, ma non condiziona, lo svolgimento
dell’assemblea e, in genere, la gestione del condominio.
In questa materia il potere deliberativo dell’assemblea non
è sottoposto ad alcuna condizione, se non quella della formazione di una valida maggioranza costitutiva e deliberativa.
Non è richiesta l’unanimità dei consensi della totalità di partecipanti, perché l’atto di approvazione delle tabelle millesimali,
al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale e non deve essere, dunque, approvato con il consenso
unanime dei condomini; è sufficiente la maggioranza qualificata prevista dall’art. 1136, secondo comma, c.c.
Ne consegue che la deliberazione dell’assemblea condominiale, se anche assunta in mancanza di tabelle millesimali,
non è affetta da alcuna automatica invalidità, non essendovi
alcuna violazione di legge proprio in considerazione della natura e delle finalità della tabelle millesimali.
Diversa è la questione se l’assemblea sia stata regolarmente costituita con le maggioranze dei partecipanti richieste dall’art. 1136 c.c. e se la deliberazione sia stata poi approvata
con le maggiore deliberative stabilite dalla stessa disposizione di legge. La possibilità di procedere alla verifica se le maggioranze raggiunte sono quelle richieste dalla legge presuppone in considerazione del principio dispositivo che informa il
processo civile e del conseguente principio della domanda
(art. 99 c.p.c.) - che la parte interessata (cioè il condomino
dissenziente o assente impugnante) quanto meno alleghi, alla stregua di quanto risulti dal verbale di assemblea, la mancanza del quorum necessario. (A.G.)
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 953 - 4 marzo 2013 pres. Vigorelli - est. D’Anella
GIUSTIZIA A MILANO
Spese condominiali - Regolamento di condominio di tipo contrattuale - Clausola su non concorrenza impresa costruttrice a riparto spese condominiali di appartamenti invenduti Estensione analogica ai Box invenduti - Inammissibilità Opposizione all’imposizione della spesa attraverso opposizione a decreto ingiuntivo anziché con l’opposizione alla
delibera - Inammissibilità.
Il regolamento condominiale, di natura contrattuale, può
derogare al criterio di riparto delle spese, fissato in via generale dall’art. 1123 co. 1 c.c., purché la deroga sia espressamente prevista dalle parti (Cass. civ. n. 1033/2000).
Nel caso di specie, il regolamento condominiale nulla dispone circa le spese dei boxes, rimasti invenduti. Pertanto il
predetto regolamento non può essere interpretato estensivamente, fino a ricomprendere anche i boxes auto, oltre agli appartamenti invenduti previsti dalla clausola, in quanto un’interpretazione di tal genere si pone in contrasto con i criteri
generali posti dall’art. 1123 c.c. citato, secondo cui la deroga
al criterio legale deve essere specificamente convenuta dalle parti.
Occorre considerare che il credito fatto valere è relativo a
spese condominiali regolarmente approvate dall’assemblea
con delibera, che non risulta essere stata impugnata dall’interessato.
Conseguentemente, ogni questione inerente i criteri di ripartizione delle spese condominiali avrebbe dovuto essere
sollevata, semmai, attraverso la tempestiva impugnazione
della delibera assembleare, che ha ripartito le spese secondo
il criterio legale di cui all’art. 1123 c.c., anziché attraverso il
giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il cui ambito è ristretto soltanto alla verifica dell’esistenza e dell’efficacia della
deliberazione assembleare con cui è stata approvata la relativa spesa (Cass. civ. n. n. 27292/2005). (M.C.R.)
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 950 - 4 marzo 2013 - pres. Tarantola - est. Raineri
Condominio - Violazione dell’art.1102 c.c. - Conseguenze
L’installazione senza alcun consenso di un apparecchio di
condizionamento sulla facciata di un fabbricato in posizione
sporgente e perpendicolare, viola il disposto dell’art.1120
c.c., in quanto costituisce una modifica dell’uso del muro comune, alterando la destinazione della facciata stessa (che è
quella di fornire un aspetto architettonico regolare e gradevole dell’edificio, non quello di contenere corpi estranei che turbano l’equilibrio estetico complessivo dell’edificio medesimo), a nulla rilevando, nel caso specifico, la facciata in questione non sia quella principale (lato strada), ma solo quella
che si affaccia sul cortile esposto comunque ai condomini, in
quanto la legge tutela proprio il diritto degli stessi a non subire alterazioni antiestetiche del bene comune (Cass. civ.
n.12343/2003). (S.Sq.)
Tribunale - Sez. XIII civ. - n. 4372 - 28 marzo 2013 - g.u. Gallina
Contratto di locazione - Morosità - Risoluzione del contratto.
Nell’ambito del contratto di locazione, il carattere reiterato
dell’omissione e l’entità della morosità rendono l’inadempimento grave ai sensi dell’art. 1455 c.c. sì da doversi concludere per la declaratoria di risoluzione del contratto per fatto e
colpa della conduttrice. (S.C.)
Tribunale - Sez. XIII civ. - n. 4244 - 28 marzo 2013 - g.u. Santolini
Sfratto per morosità - Contumacia del conduttore - Accogli-
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mento della domanda di risoluzione del contratto e di rilascio - Ammissibilità.
In tema di sfratto per morosità, nel caso in cui il conduttore
sia dichiarato contumace, la domanda di risoluzione e di rilascio deve essere accolta in quanto, provata la sussistenza del
contratto e la regolarità della notifica, ex art. 2697 co. 2 c.c. è
onere del convenuto dare la prova del corretto adempimento.
(F.R)
Tribunale - Sez. XIII civ. - n. 4193 - 25 marzo 2013 - g.u. Buttarelli
Condominio - Tabelle millesimali di natura contrattuale - Natura - Modifica - Unanimità - Tabelle di gestione - Natura - Modificabilità - Unanimità - Non necessarietà.
Le tabelle millesimali sono di natura contrattuale non perché allegate ad un regolamento contrattuale, ma solo in quanto deroghino al regime legale di ripartizione delle spese dando luogo alla “diversa convenzione” di cui all’art. 1123, co. 1,
c.c. Solo in tal caso, per la modifica delle tabelle, viene richiesta l’unanimità dei condomini.
Le tabelle di gestione, altresì, rappresentano soltanto un criterio di suddivisione di talune spese che tiene conto di dati ulteriori rispetto a quello del valore proporzionale dei piani determinato in via generale, sicché la modifica di tali ulteriori tabelle attiene non tanto alla individuazione delle quote di proprietà sulle parti comuni quanto piuttosto alla specificazione
dei criteri di suddivisione della spesa relativa alla conservazione e godimento di tali parti.
L’assemblea, pertanto, in presenza di modificazioni della situazione originaria presupposta dal regolamento, non è priva
di potere di intervento per riparametrare, in base alla mutata
realtà di fatto e nell’ambito dei criteri regolamentari già predefiniti, il proprio diritto di percepire contributi di spesa adeguati, fermo restando il diritto del dissenziente di impugnare e
quindi dimostrare eventuali vizi di eccesso o abuso di potere
in cui la delibera adeguatrice sia incorsa. Quanto alla modifica dei criteri di ripartizione delle spese eccepita da parte attrice, è documentalmente provato che il tecnico incaricato dal
condominio per la rettifica delle tabelle di gestione ha provveduto ad adeguare i valori esistenti rispetto alle modifiche recentemente occorse.
Accertato che le tabelle di gestione per cui è causa sono il
risultato di un’operazione tecnica, secondo criteri predefiniti
nelle tabelle allegate al regolamento, volta ad esprimere in
termini aritmetici il diritto del Condominio a percepire contributi di spesa adeguati, l’approvazione delle stesse compete
all’assemblea ai sensi dell’art. 1136, co. 2, c.c. (P.Ca.)
Tribunale - Sez. XIII civ. - n. 3772 - 18 marzo 2013 - g.u. Rota
Art. 1120, ultimo comma, c.c. - Portata generale - Realizzazione di innovazioni - Potere del singolo condomino - Innovazioni nel Condominio - Contestazione - Onere.
Il disposto di cui all’art. 1120, ultimo comma, c.c. ha portata
generale e si applica anche alle innovazioni che il singolo
condomino può apportare alla cosa comune ai sensi dell’art.
1102 c.c.: la norma è stata ubicata dal Legislatore nelle maglie dell’art. 1120 c.c. proprio per rimarcare il fatto che il divieto ivi contenuto costituisce limite invalicabile anche alla maggioranza dei condomini.
Per realizzare innovazioni sia pur nei limiti di cui agli artt.
1102 e 1120 c.c. il condomino non ha necessità di chiedere
l’autorizzazione dell’assemblea, salve eventuali limitazioni
contenute dei regolamenti condominiali di natura contrattuale
cui i condomini siano vincolati in sede di costituzione del condominio o di acquisto del bene in condominio, rientrando il
potere di realizzazione di innovazione nell’orbita di un diritto
GIUSTIZIA A MILANO
soggettivo spettante al singolo condomino sia pure nei limiti
previsti dalla legge.
Spetta al Condominio od ai singoli condomini che vogliono
contrastare l’innovazione di volta in volta considerata dimostrare in concreto l’esistenza di un elemento ostativo rientrante tra quelli menzionati nell’ultimo comma dell’art. 1120 c.c. o
nell’art. 1102 c.c., pena, in mancanza, la declaratoria di nullità
della delibera assembleare che ne abbia rigettato la fattibilità.
(F.D.)
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PROCEDURE
CONCORSUALI
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 1302 - 26 marzo 2013 - pres.
Fabrizi - est. Formica
Credito di regresso del fideiussore - Pagamento del creditore
dopo la dichiarazione di fallimento del debitore principale
fallito - Natura concorsuale - Sussistenza.
Alla luce del principio ormai consolidato, il credito di regresso del fideiussore che abbia pagato integralmente il creditore
dopo la dichiarazione di fallimento del debitore principale fallito ha natura concorsuale in quanto, oltre a trarre origine da
un atto giuridico anteriore all’apertura della procedura fallimentare, esclude dal concorso, con effetto surrogatorio, il
credito estinto e può quindi essere esercitato dal “solvens”,
nei limiti imposti dalle regole inderogabili del concorso, anche
quando questi non abbia chiesto e ottenuto in precedenza la
insinuazione al passivo con riserva, ex art. 55 legge fall., della
propria pretesi di rivalsa. (M.S.)
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 1281 - 22 marzo 2013 - pres. Tarantola - est. Zoia
Società a responsabilità limitata- Responsabilità amministratori ex art. 2476 c.c. - Presupposti.
La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che, mentre su
chi promuove l’azione gravi esclusivamente l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni e il nesso di causalità, tra
queste e il danno verificatosi, incomba, per converso, su amministratori e sindaci, l’onere di dimostrare la non imputabilità
a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e
dell’adempimento degli obblighi loro imposti. (I.S.)
41
che la sede naturale per la verifica, funditus, della veridicità
dei dati è la successiva relazione particolareggiata del commissario giudiziale, illustrata in occasione dell’adunanza dei
creditori (Cass. civ. n. 18864/2011).
Se è pertanto il commissario giudiziale l’organo al quale è
attribuito dal legislatore della riforma il compito di garantire la
completezza, attendibilità e veridicità dei dati esposti dal debitore così che i creditori siano posti in condizione di decidere
con cognizione di causa sulla base di elementi reali, tuttavia
ciò non significa che al tribunale, in sede di ammissione, sia riservato solo un controllo formale sulla completezza della documentazione. In proposito, appare senz’altro condivisibile
quanto sostenuto in dottrina che il controllo che il Tribunale è
tenuto ad effettuare in sede di ammissione alla procedura di
concordato preventivo si risolve in un esame della validità ed
affidabilità della valutazione espressa dal professionista, al fine di garantire ai creditori una corretta e completa informazione sulla situazione patrimoniale dell’impresa.
Ragioni di economia processuale, che non possono essere
obliterate comportano che l’esame del Tribunale in questa sede deve essere finalizzato ad accertare la serietà della proposta di concordato e il carattere non meramente dilatorio della
medesima, nonché la completezza della documentazione allegata e la sua corrispondenza al tipo richiesto dal legislatore.
Per quanto riguarda in particolare la relazione del professionista, che deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. la rilevanza che assume quest’ultimo documento in questa fase, in relazione alla quale non è previsto lo
svolgimento di attività istruttoria da parte del tribunale, esige
la presenza di una adeguata motivazione che fornisca idoneo
supporto, attraverso la indicazione delle verifiche effettuate e
dei criteri seguiti nell’effettuarle, al giudizio espresso. In altri
termini, la valutazione del professionista deve apparire il frutto
di un’accurata e non superficiale analisi della situazione del
debitore fondata su autonome verifiche ed accertamenti, delle quali deve essere dato conto e dalle quali vengono tratte
conclusioni la cui coerenza e correttezza risulti di immediata
percezione. In tale senso si sono recentemente pronunciate
anche le sezioni unite della S.C., le quali sul punto hanno statuito che il giudice in quanto “deputato a garantire il rispetto
della legalità nello svolgimento della procedura, deve certamente esercitare sulla relazione del professionista attentatore
un controllo concernente la congruità e logicità della motivazione, anche sotto il profilo del collegamento effettivo fra i dati
riscontrati ed il conseguente giudizio” e che, pertanto, detto
obbligo di verifica “non contrasta con il dovere di controllo
della legalità attribuito al giudice e non implica in alcun modo
che da ciò debba necessariamente discendere il riconoscimento di un potere di controllo di merito” (v. Cass., Sez. Unite,
n. 1521/2013).
Nella specie, peraltro, la relazione del professionista allegata alla proposta difetta di tali requisiti, in quanto - come già
sottolineato anche dal tribunale - totalmente immotivata in ordine al giudizio positivo espresso, non risultando quali verifiche sono state eseguite da parte del professionista, la cui relazione, che si è limitata a recepire quanto allegato dalla società nella proposta senza alcuna argomentazione a sostegno, in definitiva nulla attesta. (M.C.R.)
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 1233 - 21 marzo 2013 - pres.
Buono - est. Lombardi
Proposta di concordato preventivo - Corretta informazione dei
creditori - Relazione del professionista ex art. 161 3° co. L.
Fall. - Inadeguatezza della relazione - Poteri di controllo del
tribunale - Sussiste.
In ordine alla natura ed estensione dei poteri di controllo riservati al tribunale in sede di ammissione ex art. 162 L. Fall.,
con riferimento alla relazione del professionista, sussiste la
doverosità di un’analisi del piano esecutivo che sorregge la
proposta di concordato: sia pure, entro la soglia minimale
(consueta in tema di valutazioni tecniche extragiuridiche) della non manifesta inadeguatezza, prima facie, della relazione
del professionista che ne accerti la fattibilità; fermo restando
17
DIRITTO E PROCEDURA
PENALE DEPENALIZZAZIONE
Tribunale - Sez. I pen. - n. 11072 - 22 febbraio 2013 - g.m. Curami
Mancato versamento nei termini previsti per la presentazione
GIUSTIZIA A MILANO
della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta del precedente legale rappresentante - Ipotesi di reato di cui all’art. 10-bis D. Lgs. N. 74/2000 in capo al nuovo rappresentante legale - Insussistenza della penale responsabilità dell’imputato per la condotta omissiva contestatagli - Assoluzione fatto non costituisce reato.
Il legale rappresentante della società che, intervenendo a
ridosso della scadenza del termine di versamento dell’imposta, si trova in una situazione in cui altri hanno violato quegli
obblighi e, soprattutto, non ha la disponibilità delle somme necessarie per adempiere nel termine conclusivo indicato dalla
norma penale, non può ritenersi gravato da un obbligo giuridico ad adempiere. (A.B.)
Nota a sentenza
Il presente procedimento tra origine da un controllo effettuato dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Rho, ai sensi dell’art.
36-bis DPR n. 600/1973, avente ad oggetto la dichiarazione
Modello 770 relativa al periodo di imposta 2007.
Da tale controllo è emerso, infatti, che il Rappresentante Legale della società non aveva versato, nei termini previsti per la
presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta, ritenute alla fonte relative ad emolumenti erogati nell’anno
di imposta 2007, e risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per l’ammontare complessivo di euro 944.303,00 (dunque superiore alla soglia si punibilità di euro 50.000).
Ora, benché l’omesso versamento delle ritenute alla fonte
possa integrare la fattispecie obiettiva del delitto di cui all’art.
10-bis D. lgs. n. 74/2000, deve essere radicalmente esclusa
la rilevanza penale del fatto in contestazione, stante l’assoluta
mancanza dell’elemento soggettivo del reato, rappresentato
dalla volontarietà della condotta.
A ciò si aggiunga che, nel caso di specie, difetta altresì
qualsivoglia conseguenza dannosa del fatto, essendo intervenuta la c.d. transazione fiscale, ai sensi dell’art. 182-ter,
comma 6, l. fall., con cui la società ha definito la propria posizione con l’Agenzia delle Entrate e con Equitalia Esatri.
Risulta in maniera evidente che l’omesso versamento delle
ritenute certificate non sia in alcun modo leggibile come la volontaria sottrazione, da parte del Legale Rappresentante, agli
obblighi di legge, ma sia riconducibile esclusivamente all’impossibilità materiale di far fronte all’obbligazione tributaria.
Tale circostanza assume rilievo onde escludere l’elemento
soggettivo del reato, posto che, ai fini dell’integrazione della
fattispecie, è necessario che il sostituto agisca con dolo, almeno generico (si precisa, a tal proposito, che l’art. 9 della l. delega n. 205/1999 richiedeva, ai fini della punibilità, l’accertamento del dolo specifico di evasione, talché sono ravvisabili dei
profili di illegittimità costituzionale per eccesso di delega).
Ciò significa che il sostituto deve (i) rappresentarsi la situazione tipica (obbligo di versamento di un importo superiore a
euro 50.000 relativamente a ritenute oggetto di certificazione); (ii) essere consapevole della possibilità di agire nella direzione imposta dalla legge: (iii) omettere deliberatamente i
prescritti versamenti.
Ora, come è stato correttamente osservato con specifico riferimento all’ipotesi di illiquidità dell’impresa, “in ossequio al
brocardo ad impossibilia nemo tenetur sembra tuttavia arduo
poter affermare che il sostituto impossibilitato a versare le ritenute scelga consapevolmente, tra diverse alternative, di
omettere il versamento, soprattutto quando la crisi finanziaria
in cui versi l’imprenditore non sia ascrivibile - come nel caso di
specie; ndr - a colpa dello stesso” (COLAIANNI, Art. 10-bis, in
FALSITTA - FANTOZZI - MARONGIU - MOSCHETTI, Commentario breve alle leggi tributarie, Tomo II, Cedam, 2011).
Deve dunque escludersi che il Legale Rappresentante abbia omesso il versamento delle ritenute certificate animato dal
dolo richiesto dalla norma di cui all’art. 10-bis D.lgs. n.
74/2000 e, conseguentemente, deve ritenersi l’insussistenza
del reato in parola, per la mancanza dell’elemento soggettivo
richiesto dalla norma.
Diversamente, si sfocerebbe surrettiziamente in un’inam-
42
missibile forma di attribuzione di responsabilità oggettiva bandita dal nostro ordinamento a seguito delle note sentenze
della Corte Costituzionale n. 322 del 2007 e n. 1085 del 1988 e si punirebbe il sostituto per il suo mero versari in re illicita.
Da ultimo, a scanso di equivoci, occorre precisare che a
nulla varrebbe, ai fini dell’affermazione della penale responsabilità del Protti, invocare la circostanza attenuante di cui all’art. 13 D.lgs. n. 74/2000: detta circostanza, che riconnette
una diminuzione di pena al pagamento del debito tributario
prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, presuppone infatti un delitto perfetto in tutti i suoi elementi - oggettivo e soggettivo - ed è tesa a premiare una forma specifica di ravvedimento operoso.
Tale previsione non può condurre, tuttavia, a ritenere semplicemente attenuato il fatto che non sia mai stato sostenuto
dalla prescritta mens rea, poiché in tal caso il successivo pagamento del debito erariale non é sintomatico di una volontà
postuma di adeguarsi alla pretesa del fisco, ma denota, invece, l’assenza, ab origine, di qualsivoglia volontà del sostituto
di sottrarsi ai propri obblighi di legge.
Concludendo, il Tribunale nella motivazione della sentenza
ha affermato correttamente il principio di cui alla massima.
Avv. Antonio Bana
18
PROCESSO DI
COGNIZIONE
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 1401 - 28 marzo 2013 - pres. De
Ruggiero - est. Garavaglia
Giudizio di appello - Domanda nuova - Inammissibilità - Eccezione.
L’inammissibilità di una domanda nuova, specie se formulata in limine litis, può e deve essere rilevata ex officio dal giudice ed è sottratta alla disponibilità delle parti, rispondendo il divieto di ampliamento del thema decidendum oltre i termini di
rito non solo ad esigenze di difesa del contraddittore, ma anche ad esigenze pubbliche processuali.
Infatti, nel vigore del regime delle preclusioni di cui al nuovo
testo degli artt.183 e 184 cod. proc. civ., introdotto dalla legge
26 novembre 1990, n. 353, la questione della novità della domanda risulta del tutto sottratta alla disponibilità delle parti, e
pertanto pienamente ed esclusivamente ricondotta al rilievo
officioso del giudice, essendo l’intera trattazione improntata al
perseguimento delle esigenze di concentrazione e speditezza che non tollerano - in quanto espressione di un interesse
pubblico - l’ampliamento successivo del thema decidendi anche se su di esso si venga a registrare il consenso del convenuto. (I.S.)
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 1389 - 27 marzo 2013 - pres.
Crivelli - est. Ongania
Appello - Notificazione atto di impugnazione - Variazione domicilio del procuratore costituito o domiciliatario - Presupposti
e conseguenze.
In tema di impugnazione, la notifica presso il procuratore
costituito o domiciliatario va effettuata nel domicilio da lui eletto nel giudizio, se esercente l’ufficio in un circondario diverso
da quello di assegnazione, o altrimenti nel suo domicilio effettivo, previo riscontro, da parte del notificante, delle risultanze
dell’albo professionale, dovendosi escludere che tale onere
di verifica - attuabile anche per via informatica o telematica arrechi un significativo pregiudizio temporale o impedisca di
GIUSTIZIA A MILANO
fruire per l’intero dei termini di impugnazione. Ove, peraltro, la
notifica in detti luoghi abbia avuto ugualmente esito negativo
per caso fortuito o forza maggiore (per la mancata od intempestiva comunicazione del mutamento del domicilio o per il ritardo della sua annotazione ovvero per la morte del procuratore o, comunque, per altro fatto non imputabile al richiedente
attestato dall’ufficiale giudiziario), il procedimento notificatorio, ancora nella fase perfezionativa per il notificante, può essere riattivato e concluso, anche dopo il decorso dei relativi
termini, mediante istanza al giudice “ad quem”, corredata
dall’attestazione dell’omessa notifica, di fissazione di un termine perentorio per il completamento della notificazione ovvero, ove la tardiva notifica dell’atto di impugnazione possa
comportare la nullità per il mancato rispetto dei termini di
comparizione, per la rinnovazione dell’impugnazione ai sensi
dell’art. 164 c.p.c.
Non vi è un onere del procuratore di comunicare il mutamento del domicilio dichiarato all’atto della costituzione in giudizio e, per contro, - considerata la non imprevedibilità di tale
mutamento in relazione alla durata dei processi e delle loro fasi - vi è un onere del difensore di verificare presso l’albo professionale, anteriormente alla notifica dell’impugnazione, il
domicilio del notificando.
Il mancato adempimento a tale onere preventivo di verifica
comporta l’ascrivibilità al notificante dell’eventuale esito negativo della notifica e solo se la notifica non ha potuto perfezionarsi per caso fortuito o forza maggiore, può essere riattivato il procedimento di notificazione una volta spirato il termine semestrale, sottolineando che la notifica che non abbia potuto perfezionarsi per l’interruzione del relativo procedimento,
non è nulla, ma inesistente. (A.G.)
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 1375 - 27 marzo 2013 - pres. Tarantola - est. Boiti
Verifica della autenticità della scrittura privata - Limitata consistenza probatoria della consulenza grafologica - È tale Necessità che il Giudice valuti tutti gli elementi concreti sottoposti al suo esame - Sussiste.
In tema di verifica dell’autenticità della scrittura privata, la limitata consistenza probatoria della consulenza grafologica,
non suscettiva di conclusioni obiettivamente ed assolutamente certe, esige non solo che il giudice fornisca un’adeguata
giustificazione del proprio convincimento in ordine alla condivisibilità delle conclusioni raggiunte dal consulente, ma anche che egli valuti l’autenticità della sottoscrizione dell’atto,
eventualmente ritenuta dalla consulenza, anche in correlazione a tutti gli altri elementi concreti sottoposti al suo esame
(Cass. civ. n. 2579/09). (F.R.)
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 1375 - 27 marzo 2013 - pres. Tarantola - est. Boiti
Testimone - Condizione di dipendente di una delle parti - Conseguenze in merito alla incapacità e/o alla attendibilità Non sussistono.
La condizione di dipendente di una delle parti in causa, oltre a non produrre per ciò solo l’incapacità a testimoniare del
soggetto, non comporta nemmeno che lo stesso sia da considerare in ogni caso, per tale sua condizione, scarsamente attendibile (Cass. civ. n. 15197/04) (F.R.)
Corte Appello - Sez. III civ. - n. 1341 - 26 marzo 2013 - pres.
Patrone - est. Pederzoli
Sospensione ai sensi dell’art. 295 c.p.c. - Presupposti - Sospensione ai sensi dell’art. 337 co. 2 c.p.c. - Presupposti.
43
L’art. 295 c.p.c., la cui ratio è quella di evitare il rischio di un
conflitto di giudicati, fa esclusivo riferimento all’ipotesi in cui
fra due cause pendenti davanti allo stesso giudice o a due
giudici diversi esista un nesso di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico e non già in senso meramente logico, la sospensione necessaria del processo non può essere disposta
nell’ipotesi di contemporanea pendenza davanti a giudici diversi del giudizio sull’an debeatur e di quello sul quantum (fra
i quali esiste un rapporto di pregiudizialità solamente in senso
logico), essendo in tal caso applicabile l’art. 337 co. 2 c.p.c.,
il quale, in caso di impugnazione di una sentenza la cui autorità possa essere invocata in un separato processo, prevede
soltanto la possibilità della sospensione facoltativa di tale processo - tenuto conto altresì del fatto che a norma dell’art. 336
co. c.p.c., la riforma della sentenza sull’an determina l’automatica caducazione della sentenza sul quantum, con conseguente esclusione del conflitto di giudicati (Cass. civ. n.
1406/04). (I.S.)
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 1293 - 25 marzo 2013 - pres.
Buono - est. Bondì
Querela di falso proposta in appello - Mancata conferma della
stessa ex art. 99 disp. att. c.p.c. - Rigetto.
Anche quando la querela di falso sia proposta in via incidentale, il giudice di secondo grado non è tenuto a prendere
in considerazione la querela che sia stata proposta nell’atto di
appello e non sia stata confermata, a norma dell’art 99 disp.
att. c.p.c., davanti all’istruttore e neppure avanti al collegio
(Cass. civ. n. 344/71). In altre parole, se è vero che la querela
proposta con atto di citazione non pone sanzioni di nullità o
d’improcedibilità quando essa non sia, malgrado la predetta
prescrizione normativa, confermata nella prima udienza davanti al giudice istruttore dalla parte personalmente o dal difensore munito di procura speciale (nel senso che alla mancata conferma nella prima udienza consegue soltanto che essa può essere effettuata dal querelante fino al completo esaurimento della trattazione della causa), è altrettanto vero che
ove non venga confermata né alla prima udienza, né successivamente, la stessa va considerata tamquam non esset.
(M.C.R.)
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 1293 - 25 marzo 2013 - pres.
Buono - est. Bondì
Sentenza di appello - Motivazione per relationem sentenza primo grado - Modalità e requisiti.
È legittima la motivazione per relationem della sentenza
pronunciata in sede di gravame, purché il giudice d’appello,
facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della
pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in
modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la
parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto.
Pertanto la conformità della sentenza al modello di cui all’art.
132 n. 4 c.p.c. e l’osservanza degli artt. 115 e 116 c.p.c. non
richiedono che il giudice del merito dia conto di tutte le prove
dedotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate
dalle parti, essendo invece sufficiente e necessario che egli
esponga in maniera concisa gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della sua decisione; ne consegue che risponde al modello legale la motivazione per relationem in cui
il giudice di secondo grado abbia fatto riferimento all’esame
degli atti del primo giudizio ed alla conformità ad essi della
motivazione estesa dal giudice di primo grado, in tal modo
consentendo il controllo sul riesame della questione oggetto
della domanda. (M.C.R.)
GIUSTIZIA A MILANO
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 1261 - 21 marzo 2013 - pres.
Marini - est. Bondì
Giudizio di appello - Specificazione dei motivi - Necessità.
Nel giudizio di appello - che non è un iudicium novum - la
cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso l’enunciazione di specifici motivi.
Tale specificità dei motivi esige che, alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, vengano contrapposte quelle
dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza
separabili dalle argomentazioni che le sorreggono; ragion per
cui, alla parte volitiva dell’appello, deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Pertanto, non si rivela sufficiente il fatto che l’atto d’appello consenta di individuare le
statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità, da
correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata (Cass. civ. n. 10569/2001). (I.S.)
Corte Appello - Sez. III civ. - n. 1189 - 19 marzo 2013 - pres.
est. Marescotti
Appello - Riforma della sentenza - Effetti - Richiesta di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado - Presupposti e limiti - Entità della restituzione - Requisiti.
44
concreta lesione del suo diritto alla difesa, con conseguente
allegazione del pregiudizio subito.
In particolare, è necessario che la parte reiteri la richiesta di
concessione dei predetti termini all’udienza di precisazione
delle conclusioni del primo grado, e nuovamente in appello,
corredando altresì tale richiesta di concrete allegazioni del
pregiudizio subito, o quantomeno delle deduzioni istruttorie
che non ha potuto esplicitare. (A.V.)
Corte Appello - Sez. III civ. - n. 1043 - 12 marzo 2013 - pres.
Patrone - est. Ferrero
Appello - Impugnazione tardiva ex art. 334 c.p.c. - Domanda riconvenzionale - Appello incidentale - Ammissibilità - Sussiste.
Ai sensi dell’art. 334 c.p.c., è ammissibile l’impugnazione
tardiva anche a tutela dell’interesse autonomo dell’impugnante incidentale, se il gravame principale investe una questione
attinente agli interessi di tale parte (Cass. civ. n. 2026/12), come nel caso in esame. L’appello incidentale è, quindi, ammissibile ed è fondato, poiché la proposizione di domanda riconvenzionale nei confronti di una parte già costituita in giudizio
non richiede la notifica dell’atto a tale parte, che, proprio per
effetto della costituzione, viene a conoscenza della domanda
con il deposito dell’atto e può legittimamente esercitare i diritti di difesa in giudizio. (M.C.R.)
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 1013 - 7 marzo 2013 - pres.
Lombardi - est. Bondì
L’art. 336 c.p.c. (nel testo novellato dell’art. 48 L. 353/1990),
disponendo che la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata, comporta che, con la pubblicazione della
sentenza di riforma, viene meno immediatamente l’efficacia
degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva
della stessa, che rimangono privi di qualsiasi giustificazione,
con conseguente obbligo di restituzione delle somme pagate
e di ripristino della situazione precedente.
La richiesta di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado non costituisce domanda nuova ed è perciò ammissibile in appello.
Quanto all’entità della restituzione, essa deve includere anche gli interessi ed implica il riconoscimento degli interessi legali sulle somme versate dal giorno del pagamento fino all’effettiva restituzione, perché la riforma della sentenza provvisoriamente eseguita ha un effetto di restitutio in integrum e “di ripristino della situazione precedente”. L’azione di restituzione
proposta, nei termini in esame, dalla parte vittoriosa non è riconducibile allo schema della condicrio indebiti; essa è volta
ad assicurare l’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore alla decisione riformata e prescinde dalla
buona o mala fede dello accipiens. Il diritto alla restituzione
sorge direttamente in conseguenza della riforma della sentenza, la quale, facendo venir meno ex tunc e definitivamente
il titolo delle attribuzioni in base alla prima sentenza, impone
dli porre la controparte nella medesima situazione in cui si trovava in precedenza. (A.G.)
Appello - Rinuncia agli atti del giudizio da parte dell’appellante
- Mancata accettazione - Dichiarazione di estinzione - Spese del giudizio a carico del rinunciante - Sussiste.
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 1150 - 19 marzo 2013 - pres. Tarantola - est. Vigorelli
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 1375 - 27 marzo 2013 - pres. Tarantola - est. Boiti
Omessa concessione termini 183 sesto comma c.p.c. - Rilevanza - Condizioni.
Rifusione delle spese di lite - Parte vincitrice soggetto che può
detrarre l’IVA - Inammissibilità del rimborso del tributo - È
tale.
La parte che durante il giudizio di appello intenda far rilevare la nullità della sentenza impugnata, per omessa concessione dei termini di cui all’art. 183 sesto comma c.p.c., deve dimostrare che da tale mancata concessione gli è derivata una
La mancata accettazione non può impedire la produzione
dell’effetto legale della dichiarata rinuncia.
Nel caso di specie, l’appellante ha rinunciato in sede di appello agli atti del giudizio, senza accettazione di detta rinuncia
da parte dell’appellato.
L’accettazione della controparte è, infatti, richiesta quando
costei possa avere interesse alla prosecuzione del giudizio
(art. 306 co.1 c.p.c.). Una volta espressa la rinuncia, l’estinzione che ne consegue comporta il passaggio in giudicato
della sentenza di rigetto di primo grado (Cass. civ. n.
5556/95), vale a dire nulla di diverso dallo stesso effetto che
potrebbe raggiungere l’appellato nel caso di definitivo accoglimento nel merito delle conclusioni dallo stesso articolate
nel suo atto introduttivo (ove non viene spiegato appello incidentale).
Di conseguenza, l’appellato è ormai privo di ogni interesse
alla prosecuzione del processo (Cass. civ. n. 8387/99).
Il giudizio dev’essere pertanto dichiarato estinto.
Le spese del giudizio, ai sensi dell’art. 306 co. 4° c.p.c., devono essere poste a carico del rinunciante, senza che rilevi - a
questi fini - la fondatezza o meno dell’opposizione all’estinzione proposta dalla parte nei cui confronti è fatta la rinuncia, essendo sufficiente il dato oggettivo della declaratoria di estinzione del giudizio (Cass. civ. n. 9066/2002). (M.C.R.)
In tema di rifusione delle spese di lite in conseguenza della
soccombenza, non spetta alla Banca in quanto soggetto IVA,
il rimborso di tale tributo, del quale può rivalersi attraverso la
GIUSTIZIA A MILANO
detrazione di cui all’art. 19 d.p.r. n. 633 del 1972 (Cass. civ. n.
3843/95). (F.R.)
Tribunale - Sez. IX civ. - n. 4232 - 26 marzo 2013 - pres. Cattaneo - est. Cosmai
Produzioni documentali - Preclusioni - Visure camerali.
Non può in senso tecnico ritenersi che le visure camerali siano “documenti in senso stretto” ed in particolare proprio perché destinate a ripercorrere la storia della società a cui si riferiscono riportandone dettagliatamente gli eventi non può dirsi
che le medesime soggiacciano alle preclusioni che il vigente
codice di rito prescrive per le produzioni di documenti. (F.D.)
45
mente anche all’erario con la congestione degli uffici giudiziari e l’incremento del rischio del superamento della canone costituzionale della ragionevole durata del processo con ricadute anche di tipo risarcitorio, stante il pericolo di condam1a dello Stato alla corresponsione dell’indennizzo ex lege 89/2001.
Nella specie, l’atteggiamento processuale dell’opponente
di notificare una scarna citazione che non era accompagnata
da alcun documento rilevante né corredata da alcuna istanza
istruttoria specifica; e la successiva condotta, una volta subito il provvedimento di concessione della provvisoria esecuzione, di non dedurre alcuna istanza istruttoria, costituiscono
evidenti indici del carattere dilatorio dell’opposizione e sintomi - quantomeno - di una grave negligenza nell’utilizzo dello
strumento processuale medesimo.(P.Ca.)
Tribunale - Sez. X civ. - n. 3620 - 14 marzo 2013 - g.u. Illarietti
Tribunale - Sez. VI civ. - n. 4172 - 25 marzo 2013 - g.u. Stefani
Remissione in termini - Onere di allegazione -Imputabilità alla
parte.
L’onere di allegazione che incombe sulla parte che intende
avvalersi della prova non può di per sé venir meno in considerazione del decorso di oltre 5 anni, specie laddove il documento che si intende produrre ha ad oggetto una liberatoria
per una garanzia di importo elevato, a cui oltretutto dovrebbe
ragionevolmente conseguire una evidente cura nella conservazione ed una maggiore solerzia nell’esibizione. (S.C.)
Nullità della sentenza di primo grado per mancata integrazione
del contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario
- Sussiste.
L’appello proposto avverso la sentenza del Giudice di Pace
è fondato e deve essere accolto nel caso in cui il contradditorio, nell’ambito della causa di primo grado non venga integrato nei confronti del litisconsorte necessario.
Il Giudice di prime cure ha ritenuto l’improcedibilità della domanda anziché ordinare l’integrazione del contradditorio ai
sensi del disposto di cui all’art. 102 c.p.c. con la conseguenza
che la sentenza deve essere dichiarata nulla a sensi dell’art.
354 c.p.c. ed il procedimento deve essere rimesso al giudice
di primo grado affinché provveda di conseguenza. (C.D.)
Tribunale - Sez. X civ. - n. 3975 - 21 marzo 2013 - g.u. Filippi
Violazione di principi informatori della materia “responsabilità
da circolazione stradale” - Ammissibilità dell’appello ex art.
339 co. 3 c.p.c. come novellato dall’art. 1 D.Lgs. 40/06 - Sussiste.
Nel caso in cui vengano violati principi informatori della (autonoma) materia “responsabilità da circolazione stradale” non solo le presunzioni di colpa stabilite dall’art. 2054 c.c., ma anche
concetti e nozioni di elaborazione giurisprudenziale ritenuti ormai consolidati, deve ritenersi ammissibile l’appello ai sensi dell’art. 339 co. 3 c.p.c. come sostituito dall’art. 1 D.Lgs. 40/06,atteso che “le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo
equità sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o
comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia”. (F.R.)
Tribunale - Sez. V civ. - n. 3793 - 19 marzo 2013 - g.u. Fascilla
Tribunale - Sez. X civ. - n. 3293 - 11 marzo 2013 - g.u. Policicchio
Eccezione di difetto di legittimazione passiva - Qualificazione Mera difesa - Proposizione - Costituzione tardiva - Ammissibilità.
In tema di qualificazione dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva, il Tribunale aderisce all’orientamento della
Suprema Corte (Cass. civ. n. 17701/12) secondo il quale la
stessa si sostanzia nella contestazione di un fatto costitutivo
della domanda, la cui prova grava sull’attore. È priva di rilievo
la contestazione dell’attore circa l’intempestività dell’eccezione di difetto di legittimazione, sollevata da parte convenuta,
costituitasi alla prima udienza.
Infatti, trattandosi di mera difesa, anche in presenza di una
costituzione tardiva, in nessuna decadenza incorre parte convenuta nell’eccepire l’inesistenza di un fatto costitutivo della
domanda nei suoi confronti. (P.Ca.)
Art. 96, comma III, c.p.c. - Potere ufficioso - Utilizzo.
L’art. 96 co. III c.p.c ha introdotto un meccanismo che, sulla
scia della dottrina e delle prime pronunce della giurisprudenza, deve ritenersi non solo e non tanto risarcitorio, quanto anche e soprattutto sanzionatorio (in virtù della finalità di scoraggiare l’abuso del processo e preservare la funzionalità del
sistema giustizia), e come tale sottratto (a differenza dell’ipotesi di cui all’att. 96, comma I, c.p.c.) dalla rigorosa prova del
danno, essendo lo stesso condizionato unicamente all’accertamento di una condotta di grave negligenza o addirittura malafede processuale della parte.
Scopo della norma è la repressione del danno che viene arrecato direttamente alla controparte (si pensi all’allungamento
della tempistica nell’esercizio dei propri diritti ma si pensi- nel
caso delle imprese- alla necessità di affrontare oneri aggiuntivi, quale l’appostamento di un “fondo rischi” per i crediti incagliati o in sofferenza, oppure l’incremento delle difficoltà e dei
costi dell’accesso al finanziamento bancario, ad esempio,
con lo strumento delle anticipazioni su fatture), ma indiretta-
Tribunale - Sez. V civ. - n. 2903 - 1 marzo 2013 - g.u. Migliaccio
Competenza territoriale - Prestazioni dell’avvocato nei confronti del cliente - Foro del consumatore - Sussiste.
Alla luce dei criteri interpretativi enunciati dalla Suprema
Corte (Cass. civ. n.18785/10) secondo cui, se la prestazione
dell’avvocato riguarda la tutela del cliente dal punto di vista
del soddisfacimento di interessi privati, il cliente va considerato consumatore, con la conseguenza che foro territorialmente competente, funzionale inderogabile, è quello previsto
dal codice del consumo, ovvero quello del luogo di residenza
del cliente. (P.Ca.)
Tribunale - Sez. IV civ.- n. 2852 - 1 marzo 2013 - g.u. Fascilla
GIUSTIZIA A MILANO
Opposizione a D.I. a fini dilatori - Integrazione fattispecie art.
93 co.3 c.p.c. - Sussiste.
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Lodo arbitrale - Impugnazione avanti alla Corte di Appello Reiterata mancata comparizione delle parti - Cancellazione della causa - Estinzione del processo.
Integra la fattispecie di cui all’art. 96 co. III c.p.c., l’atteggiamento processuale dell’opponente a decreto ingiuntivo, di notificare una scarna citazione i cui motivi di merito sono talmente generici da essere contenuti in poche pagine e non accompagnata da alcun documento rilevante né corredata da alcuna
istanza istruttoria specifica; nonché la successiva condotta,
una volta subito il provvedimento di concessione della provvisoria esecuzione, di dedurre un’unica circostanza relativa
esclusivamente alla eccezione di incompetenza territoriale,
costituiscono evidenti indici del carattere dilatorio dell’opposizione e sintomi - quantomeno - di una grave negligenza nell’utilizzo dello strumento processuale medesimo. (S.Sq).
L’art. 309 c.p.c. stabilisce che se nel corso del processo
nessuna delle parti si presenta all’udienza, il giudice provvede a norma del 1° comma dell’art. 181 c.p.c..
La causa va, pertanto, rinviata ad un’udienza successiva,
della quale il cancelliere dà comunicazione alle parti costituite.
Se nessuna delle parti compare alla nuova udienza, il giudice ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo (nel testo modificato - a decorrere dal
25 giugno 2008 - dall’art. 50 del DL 25 giugno 2008 n. 112,
convertito nella L. 6 agosto 2008 n. 133). (M.C.R.)
Tribunale - Sez. IV civ.- n. 2850 - 28 febbraio 2013 - g.u. Marconi
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 1230 - 21 marzo 2013 - pres.
Lombardi - est. Colombo
Perfezionamento della notifica - Ammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo.
Decreto ingiuntivo - Seconda opposizione - Seconda iscrizione a ruolo - Ammissibilità.
In tema di perfezionamento della notifica, a seguito delle
decisioni della Corte Costituzionale n. 477 del 2002, nn. 28 e
97 del 2004 e 154 del 2005 si è affermato il principio generale
della scissione fra il momento di perfezionamento della notificazione per il notificante e per il destinatario, deve ritenersi
che la notificazione si perfeziona nei confronti del notificante
al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario,
con la conseguenza che, ove tempestiva, quella consegna
evita alla parte la decadenza correlata all’inosservanza del
termine perentorio entro il quale la notifica va effettuata.
Con riferimento, in particolare, alla valutazione di ammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo nella notifica dello
stesso, la tempestiva consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario perfeziona la notifica per l’opponente, evitando al medesimo anche l’effetto di decadenza, dal rimedio oppositorio, nell’ipotesi di non tempestivo o mancato completamento della
procedura notificatoria per la fase sottratta al suo potere d’impulso. Con la conseguenza, in tale ultimo caso, che è in potere della parte di rinnovare la notifica con il modulo, e nel termine, della opposizione tardiva di cui all’art. 650 c.p.c. 4. (cfr.
Cass. S.U. 4.06.2006 N.10216). (S.Sq.)
L’opponente a decreto ingiuntivo che abbia proposto opposizione non seguita da costituzione in giudizio, ovvero seguita da ritardata costituzione, può legittimamente riproporre
l’opposizione, entro il termine fissato nel decreto ingiuntivo ai
sensi dell’art. 641 c.p.c., primo e secondo comma, accompagnata da rituale e tempestiva costituzione in giudizio.
Tale costituzione deve effettuarsi tramite una seconda iscrizione a ruolo, che risulta necessaria proprio in dipendenza
della successiva notifica dell’atto di citazione.
Il Giudice investito della lite, deve, ove possa, riunire ex art.
273 c.p.c. i due procedimenti, dichiarare l’improcedibilità della prima opposizione a seguito della tardiva costituzione dell’opponente, e decidere invece sulla seconda opposizione,
regolarmente notificata e ritualmente iscritta a ruolo. (A.V.)
Giudice di Pace - Sez. VII civ. - n. 100316 - 14 gennaio 2013 g.i. Mollica
In tema di arbitrato, lo stabilire se una controversia debba
essere decisa dal giudice ordinario o dagli arbitri non integra
una questione di competenza in senso tecnico, bensì di merito, in quanto inerente alla validità o alla interpretazione della
clausola compromissoria, ovvero all’ambito di cognizione attribuita agli arbitri dalla convenzione arbitrale (Cass. Civ. n.
12814/2008).
Trattandosi di questione pregiudiziale di merito, trova applicazione l’art. 819 c.p.c., il quale afferma che “gli arbitri risolvono senza autorità di giudicato tutte le questioni rilevanti per la
decisione della controversia (...) su domanda di parte, le questioni pregiudiziali sono decise con efficacia di giudicato (...)”.
Nel caso di specie, non essendoci stata alcuna richiesta di
parte in tal senso e trattandosi di questione di merito definita
dal collegio, la decisione in ordine alla competenza non può
avere efficacia di lodo parziale. Essa è oggetto di un provvedimento che, ai sensi dell’art. 177 c.p.c, è sempre revocabile
o impugnabile, salvi i casi espressamente previsti. Infondata,
pertanto, risulta essere l’eccezione di nullità ex art. 829 co. 1
n. 8 c.p.c. (M.C.R.)
Opposizione a sanzione amministrativa - Onere della convenuta P.A. della sussistenza degli elementi integranti la violazione contestata - Sussiste.
Nel procedimento di opposizione a sanzione amministrativa pecuniaria, la P.A., pur essendo formalmente convenuta in
giudizio, assume sostanzialmente la veste di attrice, spettando ad essa, ai sensi dell’art. 2697 c.c., fornire la prova dell’esistenza degli elementi di fatto integranti la violazione contestata, in mancanza viene leso il diritto del ricorrente nel merito, risultando irrilevanti gli asseriti vizi formali del verbale impugnato (Cass. Civ. n. 5277/07) (S.S.)
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PROCEDIMENTI
SPECIALI
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 1363 - 27 marzo 2013 - pres. Tarantola - est. Boiti
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 1143 - 19 marzo 2013 - pres.
Raineri - est. Vigorelli
Arbitrato - Controversia in merito alla competenza - Questione
di merito - È tale - Efficacia di lodo parziale - Non sussiste Revocabilità delle decisione - Sussiste.
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 1139 - 19 marzo 2013 - pres.
Raineri - est. Vogorelli
Arbitrato - Questioni pregiudiziali di merito - Presupposti e limiti.
GIUSTIZIA A MILANO
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In tema di arbitrato, lo stabilire se una controversia debba
essere decisa dal giudice ordinario o dagli arbitri non integra
una questione di competenza in senso tecnico, bensì di merito, in quanto inerente alla validità o alla interpretazione della
clausola compromissoria, ovvero all’ambito di cognizione attribuita agli arbitri dalla convenzione arbitrale.
Trattandosi di questione pregiudiziale di merito, trova applicazione l’art. 819 c.p.c. secondo il quale gli arbitri risolvono
senza autorità di giudicato tutte le questioni rilevanti per la decisione della controversia su domanda di parte mentre le
questioni pregiudiziali sono decise con efficacia di giudicato.
Nel caso in cui non ci sia stata alcuna richiesta di parte in tal
senso e si tratti pertanto di questione di merito definita dal
Collegio, la decisione in ordine alla competenza non può avere efficacia di lodo parziale. Essa è oggetto di un provvedimento che, ai sensi dell’art. 177 c.p.c, è sempre revocabile o
impugnabile, salvi i casi espressamente previsti. (A.G.)
tente; inoltre, occorre assegnare un termine per la riassunzione della causa dinnanzi al giudice indicato come competente. (F.D.)
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 1019 - 11 marzo 2013 - pres.
Secchi - est. D’Anella
Tribunale - Sez. III civ. - n. 3122 - 5 marzo 2013 - g.u. Macripò
Arbitrato - Impugnativa del lodo arbitrale per nullità - Presupposti e limiti. - Vizio di omessa o contraddittoria motivazione
- Presupposti e limiti.
L’impugnativa del lodo per nullità ha carattere di impugnazione limitata, in quanto ammessa soltanto per determinati errores in procedendo e, soltanto nei limiti menzionati dall’art.
829, secondo comma, c.p.c., per errores in iudicando.
L’ammissibilità della denuncia di nullità del lodo arbitrale
per inosservanza di regole di diritto in iudicando è circoscritta
entro i medesimi confini della violazione di legge apponibile
con il ricorso per cassazione ex art. 360 n. 3 c.p.c.
Tale denuncia, in quanto ancorata agli elementi accertati
dagli arbitri, postula l’allegazione esplicita dell’erroneità del
canone di diritto applicato rispetto a detti elementi, e non è,
pertanto, proponibile in collegamento con la mera deduzione
di lacune d’indagine e di motivazione, che potrebbero evidenziare l’inosservanza di legge solo all’esito del riscontro
dell’omesso o inadeguato esame di circostanze di carattere
decisivo. Non è sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera prospettazione
di una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a
quella adottata dal giudicante, traducendosi questa in sostanza nella richiesta di un nuovo accertamento di fatto, inammissibile in sede di legittimità.
Nel giudizio di impugnazione per nullità del lodo arbitrale il
vizio di omessa o contraddittoria motivazione può rilevare soltanto nel caso in cui la motivazione sia del tutto mancante ovvero il vizio sia di gravità tale da non consentire la ricostruzione della ratio decidendi. Non ricorre tale vizio nell’ipotesi in
cui gli arbitri abbiano adeguatamente motivato la ragione sottesa alla pronuncia di compensazione delle spese, resa dopo
aver valutato le rispettive posizioni delle parti e l’esito del giudizio. (A.G.)
Tribunale - Sez. XII civ. - n. 3482 - 13 marzo 2013 - g.u.Orsenigo
Opposizione a decreto ingiuntivo - Eccezione di incompetenza
- Nullità del decreto ingiuntivo.
Nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo, prendendosi atto dell’adesione dell’opposto all’eccezione dell’opponente di incompetenza per territorio del giudice che ha
emesso il decreto ingiuntivo, occorre dichiarare la nullità del
decreto ingiuntivo in quanto emesso dal giudice incompe-
Tribunale - Sez. III civ. - n. 3122 - 5 marzo 2013 - g.u. Macripò
Opposizione a precetto - fatti successivi alla formazione del titolo.
In sede di opposizione al precetto - in forza di lodo arbitrale
- possono dedursi solo fatti successivi alla formazione del titolo i quali siano estintivi modificativi o impeditivi della pretesa
del creditore procedente e non già eccezioni inerenti a fatti
che siano anteriori a quel titolo, deducibili esclusivamente nel
procedimento preordinato alla formazione del medesimo.
(F.D.)
Esecuzione - sospensione del titolo - sospensione dell’esecuzione.
Allorquando l’esecuzione inizi in forza di un titolo esecutivo
che, al momento di tale inizio abbia efficacia esecutiva e venga proposta opposizione all’esecuzione, la successiva sopravvenienza della sospensione della sua efficacia esecutiva
da parte del giudice avanti al quale il titolo sia stato impugnato, non ha alcuna incidenza sull’oggetto del giudizio di opposizione, che concerne l’accertamento negativo della sussistenza del diritto di procedere all’esecuzione al momento in
cui l’esecuzione è iniziata, ma assume rilievo come circostanza che può essere fatta constare al giudice dell’esecuzione
nell’ambito del processo esecutivo perché disponga direttamente la sospensione dell’esecuzione. (F.D.)
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PROCESSO
DI ESECUZIONE
Tribunale - Sez. III civ. - n. 3183 - 20 marzo 2013 - g.u. Ferrari
Esecuzione forzata - Mancata apposizione di formula esecutiva sul titolo - Notificazione di precetto - Opposizione agli
atti esecutivi ex art.617 c.p.c. - Nullità del precetto - Sussiste.
Il Tribunale aderisce all’orientamento della giurisprudenza
di legittimità secondo cui nell’espropriazione forzata, minacciata in virtù di ingiunzione dichiarata esecutiva ai sensi dell’art. 654 cod. proc. civ., la mancata menzione, nel precetto,
del provvedimento che ha disposto la esecutorietà e dell’apposizione della formula, comporta non la inesistenza giuridica, ma la nullità del precetto medesimo - per effetto del combinato disposto degli artt. 654, 480 e 479 cod. proc. civ. - la
quale deve essere dedotta mediante opposizione agli atti
esecutivi, nel termine perentorio di cinque giorni dalla notificazione del precetto stesso (Cass. 4649/2006).
Pertanto, in adesione alla predetta giurisprudenza di legittimità, l’opposizione è fondata in quanto il precetto notificato all’opponente va dichiarato, nullo per difetto dell’apposizione
della formula esecutiva. (P.Ca.)
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