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Federazione ittaalliiaannaa bancari e assicuurativi via Modena, 5 – 00184 Roma – tel. 06-4746351 / fax 06-4746136 e-mail: [email protected] sito web: www.fiba.it Aderente alla UNI (Union Network International), alla CES (Confederazione Europea dei Sindacati) e alla CISL Internazionale RASSEGNA STAMPA M Ma arrtte ed dìì 19 G Giiu ug gn noo 2 20 0112 2 U Unn aaffooriissm maa aall ggiioorrnnoo............................................................................................................................. 22 Borse in rosso, il voto di Atene non basta.............................................................. 3 Paura su Madrid, volano gli spread ........................................................................ 5 L’euro si cura con la crescita tedesca .................................................................... 7 Ipotesi Tremonti-bond nel piano industriale Mps ................................................ 9 Ghizzoni: UniCredit verrà riorganizzata ................................................................ 10 FonSai riunisce il consiglio sull’azione di responsabilità .................................... 11 Crolla il risparmio, una famiglia su due intacca il patrimonio ........................... 12 I mercati non si fidano, giù le Borse ...................................................................... 13 «Ma perché noi dobbiamo pagare il vostro conto?» ............................................. 14 Merkel detta le condizioni ad Atene «No a sconti sui tempi delle riforme» ...... 16 Investimenti e banche, verso il nuovo Patto .......................................................... 17 Mps studia il prestito-capitale ................................................................................ 18 Ligresti, il verdetto del board .................................................................................. 19 pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 1 Il G20 processa l’Europa “Ha sparato un colpo a vuoto” Ormai è sindrome-banche ................................................................................... 20 E per Monti ora scatta l’allarme Btp ...................................................................... 21 Il fondo di garanzia salva Banca Network ............................................................. 22 Ghizzoni: “Avanti con Unipol contro i Ligresti” ..................................................23 UN AFORISMA AL GIORNO a cura di “eater communications” “ Un a mo g li e b r u tta e u n a f i g li a stu pi da ” son tesori inestimabili!! pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 2 ((aan nttiiccoo p prroovveerrb biioo rru ussssoo)) *il Sole 24ORE* MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012 di: Gianluca Di Donfrancesco – Vittorio Carlini Borse in rosso, il voto di Atene non basta Milano perde il 2,85%, Madrid il 3% - L'euro strappa al rialzo ma poi scende sotto quota 1,26 sul dollaro pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 3 Il voto in Grecia non ha dato sollievo ai mercati. I listini europei, dopo l'apertura all'insù sulla scia della vittoria dei conservatori pro-euro, hanno virato al ribasso per chiudere contrastati: Madrid, maglia nera, ha perso il 2,96%; Milano, su cui ha pesato lo stacco delle cedole (quantificabile in un ribasso dell'1,2%) ha ceduto il 2,85%. In discesa anche Parigi (-0,69%). Francoforte (+0,3%) e Londra (+0,22%) hanno invece strappato il rialzo. Andamento replicato a Wall Street: il Dow Jones perde lo 0,19%, il Nasdaq sale dello 0,78%, mentre lo S&P-500 avanza dello 0,14%. >Alla fine della scorsa settimana, i fondi speculativi si erano posizionati lunghi sui listini, convinti che il voto di Atene avrebbe consegnato il Paese a Syriza, che non accetta il piano di austerity della troika Ue-Bce-Fmi. Questo avrebbe costretto le Banche centrali a intervenire. Ma lo scenario non si è realizzato e i fondi hanno dovuto riposizionarsi. Tuttavia, il focus resta sulle banche centrali: tanto che più che sul G20 o l'Eurogruppo, l'attesa è soprattutto per la riunione della Fed di mercoledì. La speranza? Nuova liquidità che faciliti, in un periodo caratterizzato da volumi contenuti e alta volatilità, il trading. Anche di brevissimo periodo. Come, ad esempio, è successo ieri intorno alle 10. Quando, cioè, un "semplice" sondaggio di Barclays, secondo il quale il 58% degli investitori intervistati dalla banca d'affari ritiene che l'anno prossimo l'Eurozona perderà almeno un membro (un'ipotesi che sarebbe costosissima per l'eventuale Stato uscente e Eurolandia e complicatissima da realizzare), è bastato a dare il «la» al ribasso dei mercati. Simile l'andamento dei mercati valutari. Il mini-rimbalzo dell'euro, che nelle ore immediatamente successive al voto aveva toccato il massimo da un mese a 1,2747 dollari, si è rilevato in fretta per quello che era, una fiammata effimera. Già in chiusura dei mercati asiatici, la moneta unica aveva smarrito lo slancio e nelle prime ore del pomeriggio era sotto 1,26. Una discesa che l'ha portata fino a un minimo di giornata di 1,2556 e che sembra destinata a continuare nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Venerdì sera a New York, il cambio viaggiava a 1,2640. Se nel medio periodo un apprezzamento dell'euro non è giustificato dai fondamentali, nel brevissimo, per riaccendere le pressioni al ribasso è bastato rendersi conto che in Grecia la formazione di un Governo solido e deciso a portare avanti il risanamento non è cosa semplice né rapida e che comunque l'Eurozona ha altri punti deboli che si alimentano a vicenda, come i rendimenti spagnoli ieri hanno ricordato. Da tempo, banche d'affari e analisti prevedono una forte flessione dell'euro. Secondo Morgan Stanley, il dollaro guadagnerà l'8,2% nel 2012. Dal 6 maggio, giorno del precedente voto ad Atene, quello che aveva mandato in stallo la politica greca, l'euro ha perso quasi il 4% sul dollaro e il 5% sullo yen. Il 24 febbraio scambiava ancora a 1,3487 dollari. Il recupero del l'1% messo a segno la scorsa settimana sembra poter essere archiviato come una pausa tecnica. Il calo dell'euro potrebbe essere più rapido se non ci fossero alcuni fattori a frenarlo. A cominciare dal quantitative easing della Fed: dal 2008, la Banca centrale americana, che tiene i tassi prossimi allo zero, ha immesso sul mercato 2mila miliardi di dollari. E un'altra iniezione (forse già alla fine di questa settimana) è data quasi per scontata, considerando che l'economia stenta a prendere slancio con ripercussioni sul mercato del lavoro che complicano la corsa di Barack Obama verso la riconferma alla Casa Bianca a novembre. L'Operation Twist è ormai agli sgoccioli e i mercati sono sempre più convinti che Ben Bernanke si stia preparando a una nuova campagna di allentamento monetario. L'iniziezione di dollari potrebbe però non deprezzare il biglietto verde quanto ci si aspetterebbe. Dopo aver scaricato fiumi di biglietti verdi nel 2011, le Banche centrali stanno ricostituendo le riserve in valuta estera e lo stanno facendo al passo più rapido dal 2004. Al punto da lasciare il settore privato a corto di dollari. Sceso al minimo record del 60,5% nel secondo trimestre del 2011, il peso del dollaro sulle riserve valutarie globali è tornato al 62,1% a dicembre, in crescita dell'1,6%, secondo gli ultimi dati dell'Fmi. Sulla base di queste cifre, Morgan Stanley ha calcolato che le operazioni delle Banche centrali hanno lasciato il settore privato con uno scoperto di 2mila miliardi di dollari rispetto alle necessità dettate dalla crisi. Un gap che era di 400 miliardi di dollari nel 2008. Questo spiegherebbe perché da metà aprile il dollaro si è apprezzato del 3,5% su un paniere di valute, nonostante il contemporaneo consolidarsi delle aspettative per un nuovo allentamento monetario. Un freno a una più repentina flessione dell'euro arriva anche dalla Svizzera: Berna sta cercando di difendere la soglia posta a 1,2 nel cambio con il franco svizzero, per riuscirci spende decine di miliardi per comprare euro. E qualcosa di simile sta cominciando a farla la Danimarca. I capitali che prima si rivolgevano alla Svizzera per trovare un porto franco, sono stati deviati verso la corona danese e quella norvegese. La Danimarca, che dal 1999 ha un peg sull'euro, nell'ultimo mese ha speso per difenderlo più di quanto fatto dall'inizio del 2010. COLPITI I TITOLI BANCARI Dopo un avvio promettente tornano le vendite sul settore del credito In discesa anche Parigi, positive Londra e Francoforte pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 4 IL FILM DELLA GIORNATA 08:30 Samaras, via a consultazioni Il vincitore delle elezioni Antonis Samaras inizia per la seconda volta in sei settimane le consultazioni per formare il governo. Viene annunciato che incontrerà il presidente della Repubblica alle 12.30 per ricevere l'incarico. 09:00 Prima reazione mercati Con una decisa antipazione in Asia (dove l'indice Nikkei a Tokyo chiude a +1,8%), il sollievo per la vittoria dei conservatori pro-euro in Grecia spinge le Borse europee a una fiammata iniziale, con guadagni tra l'1% e quasi il 2%. L'euro recupera. 10:00 Dati sofferenze banche Spagna Viene annunciato che i crediti in sofferenza (oltre i tre mesi) delle banche spagnole sono saliti ai massimi da 18 anni in aprile, all'8,72% del totale. Il rendimento dei bonos decennali supera il 7% e va ai massimi dell'Euro-era. *il Sole 24ORE* MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012 di: Vittorio Carlini Paura su Madrid, volano gli spread Il differenziale Bonos-Bund a 576 punti, il BTp a 464 punti dal decennale tedesco «Tanto peggio tanto meglio». Era l'idea dei mercati che, puntando al risultato negativo (o di stallo) delle elezioni greche, hanno speculato sull'intervento delle banche centrali. Le urne di Atene però, attribuendo la vittoria ai conservatori pro-euro, hanno scongiurato l'azione. Così, gli hedge fund hanno chiuso le posizioni al rialzo e venduto. È anche, e soprattutto, questa la motivazione indicata dagli esperti per il "paradossale" e inatteso andamento di Borse e titoli di Stato di ieri. Cioè, nonostante lo scampato pericolo in Grecia gli asset dei Paesi periferici di Eurolandia sono stati presi a sassate. In particolare, quelli della Spagna. La Spagna sotto attacco Già, la Spagna. Ancora una volta il suo debito pubblico ha vissuto una giornata al "cardiopalmo". Il differenziale del titolo decennale sul Bund, dopo aver toccato il massimo a 589 punti base, ha chiuso a quota 576 (erano 544 venerdì). Cioè, un punto sopra al record italiano del novembre scorso. Il saggio del governativo, dal canto suo, si è assestato al 7,17%: un valore, evidentemente, difficile da sostenere sul medio periodo. In crescita, seppure su valori percentuali e assoluti ben minori, anche lo spread italiano: la differenza tra il BTp e il governativo tedesco ha chiuso a 464 punti base (erano 449 in fine settimana scorsa), con il rendimento del buono al 6,06% (5,95% lo yield di venerdì). In un simile contesto, giocoforza, il differenziale tra Madrid e Roma si è allargato ancora di più, salendo oltre 110 punti base. Un'elezione non risolve Se questi i freddi numeri, quali le loro motivazioni? «Al di là delle mosse degli hedge fund – risponde Gianluca Garbi, ceo di Banca Sistema –, bisogna ricordare che le elezioni di Atene non hanno risolto il problema». Certo, hanno evitato di «aggiungerne un altro. E, tuttavia, i dilemmi dell'euro restano sul tavolo». «Rispetto alla Spagna, poi - fa da Eco Sergio Pigoli, vecchio lupo di Piazza Affari -, da un lato c'è l'incertezza sulla contabilità bancaria. Dall'altro, la loro forte esposizione sull'immobiliare e le società di calcio». Senza dimenticare, inoltre, «il problema della presenza dei titoli tossici». Una situazione che, «anche a fronte – sottolinea Garbi – degli scarsi volumi di questi giorni», permette grandi variazioni di prezzi sui titoli di Stato. Quei balzi, all'insù e all'ingiù che ieri hanno visto di nuovo il «Fly to quality» verso il Bund tedesco. Il rendimento del decennale è tornato a scendere: solo pochi giorni fa all'1,5%, nell'ultima seduta si è assestato all'1,42%. Quindi, almeno in quest'avvio di ottava, gli investitori hanno ripreso le vecchie abitudini, pensando al debito di Berlino come «il» bene rifugio. Un'impostazione di fondo che, tra le altre cose, è stata confermata dall'andamento degli spread di altri Paesi: quello della Francia, dopo avert toccato il massimo di giornata a 122, ha chiuso sempre in crescita a 119; la stessa tripla «A» olandese ha visto il suo differenziale "salire" fino a 54 punti base. In un simile contesto, tra possibili contagi e la politica (soprattutto della Germania) che lascia le porte spalancate alla speculazione anglo-americana, sorge una domanda: il rischio del break up dell'euro è ancora dietro l'angolo? Garbi, ex ceo di Mts, fa professione d'ottimismo: «In primis, va sottolineato che sì la curva dei rendimenti spagnola è spostata verso l'alto; e, tuttavia, non è invertita». Cioè, ancora non è replicato completamente lo scenario che ha caratterizzò l'Italia in avvio di novembre scorso. «Inoltre, l'interbancario funziona». Nel momento di maggiore tensione del 2011, «gli scambi sull'overnight avvenivano ad un tasso di circa il 2,5%». Adesso, invece, il saggio è attorno allo 0,3%. Insomma, lo spazio per intervenire ancora c'è. Ma si restringe sempre più. Come, purtroppo, potrebbe dimostrare anche l'asta a breve di oggi sui Bonos spagnoli. IL PESO DEI FONDI Molti hedge puntavano a un esito anti-euro del voto di Atene: ieri hanno chiuso le posizioni e venduto i titoli di Stato pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 5 IL FILM DELLA GIORNATA 10:20 - Inversione di rotta dei mercati pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 6 L'iniziale entusiasmo evapora in un dietro-front dei mercati guidato da Spagna e Italia, dove il calo degli indici di Borsa supera rapidamente l'1% (mentre ancora Francoforte, Parigi e Londra tengono). L'euro esaurisce la sua spinta. 11:45 Berlino: nessuno sconto ad Atene Un portavoce del Governo tedesco, Georg Streiter, gela l'atmosfera correggendo le aperture indicate dallo stesso ministro degli esteri Guido Westerwelle. «Ora non è il momento per alcun tipo di sconti alla Grecia», dichiara Streiter. 14:00 Si aggravano le perdite I decennali spagnoli toccano un rendimento del 7,21% con un balzo di 34 punti base, mentre quelli italiani arrivano al 6,1%. Gli operatori guardano ai problemi continentali al di là di Atene, dove la Borsa resta solitaria in netta ripresa. *il Sole 24ORE* MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012 di: Mario Sarcinelli L’euro si cura con la crescita tedesca Servono integrazione fiscale e bancaria ma anche politiche macroeconomiche differenziate pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 7 Economisti, politologi e giornalisti danno voce alle apprensioni di molti e si esercitano a stendere protocolli di cura di non facile applicazione. Con l'euroscetticismo in aumento anche laddove era flebile minoranza, la via della guarigione è dai più indicata nella comunitarizzazione, totale o parziale, dei debiti pubblici dell'Eurozona. È questa un'idea che spunterebbe sicuramente le unghie alla speculazione che si avventa sui debiti sovrani dell'Europa meridionale per la frammentazione degli stessi; infatti, le finanze pubbliche di Stati Uniti, Regno Unito e Giappone non sono in migliori condizioni, ma pagano interessi bassissimi, rispetto a quelli italiani o spagnoli. La comunitarizzazione dei debiti, però, incontra la decisa opposizione della Germania e degli altri paesi "virtuosi"; come ha ricordato Hans-Werner Sinn, presidente dell'Ifo Institute, sul New York Times del 12 giugno, non solo v'è il divieto di salvataggio nel Trattato di Maastricht, ma anche una Corte a Karlsruhe che lo farebbe rispettare. Una condivisione del rischio - egli ha aggiunto - è possibile tra gli stati dell'Europa, soltanto dopo che avranno dato luogo a una comune nazione, con una costituzione, una superstruttura legale, un monopolio della forza per il rispetto della legalità, un esercito per la difesa esterna. In altre parole, l'Unione o almeno l'Eurozona si deve trasformare in una federazione, sola struttura che giustifica l'appello alla solidarietà; quest'ultimo appare oggi alla maggior parte dei tedeschi carico di azzardo morale e foriero di ulteriori richieste da parte dei prodighi Gipsi. Che un'unione monetaria, eliminando il tasso di cambio dagli strumenti di aggiustamento e rimpiazzandolo con la molto più faticosa "svalutazione interna", avesse bisogno per sopravvivere di una qualche funzione centralizzata di finanza pubblica ne ero convinto sin dagli anni 80. Infatti, già nel 1969 Peter Kenen aveva sostenuto che un'unione monetaria doveva essere accompagnata da una qualche forma di unione fiscale, poiché un'imposta federale basata sul reddito è in grado di assorbire gli effetti di shock derivanti da spostamenti esogeni della domanda tra i beni prodotti all'interno e quelli di origine estera e che questa maniera di attutire l'impatto era superiore alla stabilizzazione, sia discrezionale sia automatica, fatta a livello regionale. Parecchi anni più tardi, Kenen ha affermato che un'unione fiscale non è essenziale per l'efficace funzionamento di quella monetaria, ma è di aiuto nel compensare per l'imperfetta rispondenza della politica monetaria unica alle esigenze di ciascun paese membro. All'indomani dell'approvazione del Rapporto Delors, fui invitato dal presidente della Commissione europea, insieme con alcuni suoi stretti collaboratori, ad una colazione riservata durante la quale mi venne chiesto, essendo presidente del Comitato monetario, di esprimere la mia opinione sul Rapporto che sarà alla base dell'Unione economica e monetaria. La mia principale osservazione fu: manca una trattazione, almeno un riferimento alle problematiche di fiscal policy. La risposta di Delors fu immediata e netta: a me è stato chiesto di delineare un'unione monetaria, non di riscrivere il Trattato di Roma. Il problema era, quindi, ben presente ai padri fondatori, ma l'indisponibilità politica ad affrontarlo portò al sostanziale fallimento della Commissione intergovernativa per l'unione politica. Negli anni in cui l'euro si è affermato come moneta sia all'interno sia sul piano internazionale non v'è stata una sufficiente lungimiranza per correggere la zoppia da cui era affetto sin dalla nascita. Si è fatto affidamento sull'integrazione finanziaria e sui mercati: nella buona congiuntura l'abbondante offerta di fondi ha contribuito a gonfiare la bolla edilizia in Irlanda e Spagna e a non arginare il pubblico disavanzo in Portogallo, Italia e Grecia, paese dove i conti però erano stati a lungo truccati; in quella avversa ha spinto fortemente i tassi verso l'alto nei Gipsi e verso il basso in quelli forti, ha squilibrato nello stesso senso i processi di rifinanziamento del debito, ha ridotto il grado di integrazione finanziaria in Europa. Si può oggi rapidamente dar vita a una funzione fiscale centralizzata di una qualche dimensione in una cornice federativa? Temo che la crisi non conceda i tempi necessari per un simile salto nella costruzione dell'Europa, mentre sono ancora in attesa di ratifica da parte di molti stati il Trattato su stabilità, coordinamento e governo dell'Uem e quello istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità. Tuttavia, l'iniziativa per il lancio dell'Unione federativa e fiscale andrebbe presa con ogni urgenza per dimostrare che la fiducia nell'avvenire dell'Eurozona è ancora forte e che ad essa si vuole pervenire in tempi certi. Con altrettanta decisione e maggiore velocità si deve procedere con l'Unione bancaria, unificando la supervisione, l'assicurazione dei depositi, la liquidazione delle entità divenute insolventi. Per convincere i mercati a togliere l'assedio ai Gipsi e per rendere nuovamente l'Europa all'interno dei singoli stati membri un obiettivo in grado di assicurare la pace al livello politico e a quello economico, è necessario che si torni a crescere nei paesi assoggettati a massicce dosi di rigore e austerità. Un comprensibile impulso da parte della Germania per rafforzare i meccanismi di controllo comunitario sulla finanza pubblica si è avuto nel bel mezzo di una crisi finanziaria; esso si è ben presto riverberato sull'economia reale, aggravandone la recessione. I fautori del rigore a tutti i costi continuano a sostenere che solo dopo avere messo in ordine i conti pubblici i mercati si convinceranno a ridare fiducia ai paesi oggi in disavanzo e/o sovra-indebitati, le aspettative torneranno ad essere positive e il processo di crescita si riavvierà. È questo un ragionamento, a mio avviso, che non vale se tutti o quasi i paesi europei e in particolare quelli dell'Eurozona devono condurre politiche di austerità, poiché in tal caso la caduta dei redditi si ripercuote sulla domanda che a sua volta, a catena, si riflette negativamente sull'offerta, determinando una spirale recessiva, passibile di sfociare in una depressione. Perché l'austerità in uno o più Paesi ne possa correggere gli squilibri di finanza pubblica è necessario che il o i Paesi che si trovano in condizioni di equilibrio o almeno di minore squilibrio o l'Unione europea come istituzione abbiano la volontà di accrescere la propria domanda interna in modo da permettere a quelli che sono costretti ad attuare una politica restrittiva di poter contare su maggiori esportazioni all'interno dell'area. In mancanza di una politica macroeconomica differenziata, restrittiva per chi è in forte squilibrio ed espansiva per chi non è in tale situazione, un'unione monetaria che ha come obiettivo prioritario la lotta all'inflazione è destinata a spingere sempre più paesi verso la recessione e l'instabilità (vedi il caso dei Paesi Bassi), a prolungare nel tempo il ciclo recessivo e a veder porre in discussione in misura crescente il ruolo e i benefici della moneta unica. L'Unione federativa e fiscale, l'Unione bancaria e, soprattutto, una politica macroeconomica differenziata sono, a mio avviso, le uniche iniziative in grado di mantenere integra l'Eurozona, sia pure con l'aiuto dei muri tagliafuoco per i piccoli paesi. L'incendio divorerà la Spagna e l'Italia se ai miglioramenti sul lato dell'offerta da parte dei governi nazionali non si accompagnerà un'azione sul lato della domanda da parte della Germania e degli altri "virtuosi". pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 8 IL RETROSCENA Quando nacque l’Uem osservai che mancava un riferimento alla fiscal policy ma Delors mi rispose che non poteva riscrivere il Trattato di Roma *il Sole 24ORE* MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012 di: Cesare Peruzzi Credito. A Rocca Salimbeni manca un miliardo per centrare i requisiti dell’Eba Ipotesi Tremonti-bond nel piano industriale Mps Lunedì prossimo le azioni per il rilancio all'esame del cda pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 9 FIRENZE Sarà un piano industriale ispirato al rigore e al taglio dei costi. Chi si aspetta novità strategiche dal documento programmatico 2012-2015 che il consiglio d'amministrazione di Banca Mps, presieduto da Alessandro Profumo, porta in approvazione lunedì prossimo e l'amministratore delegato Fabrizio Viola presenta in pubblico il giorno successivo, rischia di restare deluso. È il ritorno a livelli adeguati di redditività l'obiettivo principale del gruppo (nei primi tre mesi dell'anno l'utile netto è stato di 54,5 milioni) e per centrarlo Viola potrebbe anche decidere d'ispirarsi a modelli già sperimentati in ambito industriale. Prospettiva che non piace al fronte sindacale. «In un momento in cui si paventano pesanti tagli salariali a senso unico e si sta per presentare un piano industriale nel quale il rischio di esuberi e di cessioni indiscriminate di asset cominciano a diventare concreti, le organizzazioni sindacali chiedono di aprire immediatamente un confronto su questioni come premio aziendale, previsioni normative disattese e il tema dei costi - dice un comunicato diffuso ieri -. Altrimenti, di fronte a ulteriori disapplicazioni contrattuali, la mobilitazione sarà generale». Il fronte esterno non è più tranquillo. Viola deve realizzare entro giugno un rafforzamento patrimoniale "straordinario" per 3,2 miliardi, secondo le richieste dell'Autorità bancaria europea (Eba), ma all'appello manca circa un miliardo. Per trovarlo, la banca di Rocca Salimbeni sta valutando l'emissione di cosiddetti Coco-bond (titoli ibridi che si convertono automaticamente in capitale quando il coefficiente patrimoniale scende sotto una certa soglia), ma tra le ipotesi circolate (e non confermate) in questi giorni c'è anche la possibilità di un nuovo utilizzo dei Tremonti-bond, a cui Siena ha già ricorso nel 2009 per 1,9 miliardi (non ancora restituiti). I T-bond, per i quali comunque servirebbe l'ok del ministero dell'Economia (tecnicamente i termini possono essere riaperti), sono titoli ugualmente onerosi ma rispetto ai Coco-bond avrebbero alcuni vantaggi: sono remunerati al pari delle azioni (cioè zero se non c'è dividendo, com'è stato per l'esercizio 2011) e concentrerebbero nelle mani dello Stato questa forma di "esposizione" del gruppo, che ha in portafoglio 26 miliardi di Btp. Il valore dei titoli Montepaschi è anche al centro del confronto tra la Fondazione Mps e le 12 banche creditrici dell'Ente senese. L'accordo raggiunto prevede la restituzione di 664 milioni e la rimodulazione al 2017-2018 per altri 350 milioni. La garanzia di questo credito naturalmente è costituita da azioni Mps (la Fondazione ha il 36,5% della banca che oggi in Borsa vale 2,3 miliardi) e il fatto che siano nuovamente scivolate sotto i 20 centesimi non ha aiutato la trattativa. Che infatti formalmente non è ancora chiusa, al punto che la moratoria (standstill) in scadenza ieri sarà in qualche modo prorogata per l'ennesima volta, in attesa che tutte le parti si decidano a firmare i contratti relativi alla nuova intesa. Dovrebbe essere questione di giorni. Almeno così assicurano a Siena. *il Sole 24ORE* MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012 di: Celestina Dominelli Riassetti. Per «snellire i processi interni» Ghizzoni: UniCredit verrà riorganizzata ROMA Uno sguardo al futuro della sua banca con l'obiettivo di «appiattire il gruppo per essere locali e internazionali allo stesso tempo», come già previsto nel piano strategico. E l'altro puntato oltreconfine al vertice Ue di fine giugno. «L'ideale sarebbe alcune soluzioni concrete subito e una road map per l'integrazione europea nel lungo periodo». L'amministratore delegato di UniCredit, Federico Ghizzoni, coglie l'occasione di una conferenza, organizzata da Italiadecide di Luciano Violante a chiusura del corso 2011-2012 della Scuola per le politiche pubbliche, e ribadisce i prossimi traguardi rispondendo alle domande degli studenti. «Abbiamo deciso di ripensare l'organizzazione del gruppo. Faremo un annuncio a breve. Daremo più autonomia alle realtà locali con più efficienza sul territorio per un maggiore controllo dei costi e risposte più rapide ai clienti. La riorganizzazione vale sia in Italia che fuori dall'Italia». L'ad ha quindi ricordato che il gruppo conta 160mila dipendenti, di cui 60mila circa non hanno contatti diretti con i clienti. «Abbiamo gente che ha voglia di lavorare, lavativi nel gruppo non ce ne sono, ma bisogna semplificare». Riducendo gli sportelli? Ghizzoni ricorda che è un processo avviato da tempo (negli ultimi due anni e mezzo ne sono stati tagliati 800), ma che va valutato in base ai servizi da fornire al cliente. «Non si può decidere a priori quanti sportelli tagliare», spiega l'ad. Quello che invece si deve fare è puntare «alla snellezza dei processi interni». Il numero uno di UniCredit torna poi, sollecitato dagli studenti, sulle richieste di Basilea 3 («si poteva procedere in modo più graduale») e mette in guardia sulle conseguenze dei requisiti di liquidità contenuti nella prima bozza. «Il rischio è quello di un impatto negativo peggiore» rispetto alle regole sul capitale. «Spero prevalga il buon senso», aggiunge indicando di avere la percezione che ci sia «la tendenza a spostare la palla più avanti, proprio per studiare gli effetti recessivi». Le regole, chiarisce, imporrebbero «il matching delle scadenze tra depositi e impieghi ma è molto difficile farlo». Poi l'attenzione si sposta sul vertice Ue del 28 giugno. «Mi sembra che ci sia una maggiore coscienza rispetto al passato dell'urgenza di fare le cose. Oggi i Governi europei hanno maturato l'idea di fare qualcosa». Ed elenca alcune misure da mettere subito in campo per il sistema finanziario: la supervisione europea sui grandi gruppi («ci semplificherebbe la vita»), il fondo di garanzia per i depositi europeo e il resolution fund per le crisi bancarie nell'Ue. Mentre sugli eurobond risponde così. «Non si può pensare di mutualizzare il debito prima di concordare politiche fiscali comuni». pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 10 PRESTO L’ANNUNCIO Management al lavoro: il progetto punta a dare più autonomia alle realtà locali per migliorare l'efficienza sul territorio e ridurre i costi *il Sole 24ORE* MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012 di: Riccardo Sabbatini Assicurazioni. L’Isvap: commissario ad acta se non si sanano le «gravi irregolarità» FonSai riunisce il consiglio sull’azione di responsabilità Il collegio sindacale: Cappelli non è indipendente pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 11 Per la prima volta il Cda di Fonsai sarà chiamato a giudicare i Ligresti e i vecchi amministratori del gruppo per la girandola di operazioni in conflitto d'interesse (complessivamente per 500-600 milioni) che hanno depauperato la società durante la loro gestione. La riunione del board, in programma per oggi e che sarà seguita nei prossimi giorni da riunioni analoghe, è stata convocata in fretta e furia per rispondere all'Isvap che venerdì ha inviato le sue contestazioni al gruppo minacciando di nominare un commissario ad acta in caso di risposte non soddisfacenti. La posta in gioco è alta: azioni di responsabilità nei confronti di amministratori che il consiglio potrebbe proporre a una nuova assemblea degli azionisti (successiva a quella già convocata per fine mese). L'Isvap ha dato due settimane di tempo al cda di Fonsai – precisa una nota diffusa ieri dalla stessa compagnia – «per far cessare definitivamente le irregolarità riscontrate e rimuoverne gli effetti». Non solo. Dovranno essere «individuate e perseguite eventuali responsabilità nel compimento delle operazioni contestate e, per i compensi a vario titolo corrisposti alle parti correlate, assumendo idonee iniziative per il recupero degli esborsi fatti, ove ne ricorrono i presupposti». L'atto d'accusa dell'Isvap riguarda 10 operazioni immobiliari che Fonsai ha sottoscritto con le società dei Ligresti dal 2003 al 2010, le consulenze d'oro (per circa 40 milioni) pagate al presidente onorario del gruppo Salvatore Ligresti, le retribuzioni spropositate incassate dai suoi figli Jonella e Paolo, le sponsorizzazioni (in tutto 3,4 milioni) alla società che gestiva il cavallo di Jonella Ligresti Toulon, la transazione con cui il gruppo alberghiero Atahotel è stato ceduto alla compagnia. Per ciascuna operazione dovranno essere esaminate le relative delibere assembleari, valutate le osservazioni dell'Isvap, quantificati i danni subiti dalla società, individuate le responsabilità. Alla fine il Cda, per le colpe attribuibili ai vecchi amministratori – tra cui potrebbe esservi l'ax Ad Fausto Marchionni – non potrebbe far altro che chiamare a raccolta gli azionisti per decidere un'azione di responsabilità. Sempre che, in questo, non venga anticipato dal collegio sindacale che ha prerogative analoghe a quelle dell'assemblea. Ma un'azione di responsabilità, anche se non sociale, potrebbe essere direttamente portata avanti da azionisti con una partecipazione superiore al 2 per cento (ad esempio i fondi Sator e Palladio che arrivano all'8%). In caso di passività un commissario ad acta – come prevede art. 229 del codice delle assicurazioni – si sostituirà nel compito agli amministratori. Il nuovo filone avviato dall'Isvap non interferisce con l'autorizzazione che l'authority è chiamata a dare – i termini scadono a fine settimana – sull'integrazione Fonsai-Unipol. E neppure su quella attesa negli stessi tempi dalla Consob. Probabilmente se fosse avviata rapidamente un'azione di responsabilità nei confronti dei vecchi amministratori di Fonsai anche il tema della manleva ai Ligresti – la rimozione di quel salvacondotto è stata richiesta dalla Consob per esentare l'acquisizione di Premafin da un'Opa – sarebbe superato nei fatti. Il Cda di oggi discuterà anche la "indipendenza" del consigliere Roberto Cappelli, requisito che il collegio dei sindaci (tornando su un precedente orientamento) non gli ha riconosciuto. Probabilmente per i suoi rapporti con UniCredit. Il fatto è che Cappelli è risultato decisivo, nel comitato degli indipendenti, per approvare l'operazione con Unipol. È anche vero però che lo stesso comitato è stato integrato in questi gironi con altri due consiglieri "favorevoli". Ieri, infine, scadeva l'offerta alternativa ma "non vincolante" di Sator e Palladio. Fonsai ha inviato una nuova lettera ai due fondi per indicare in che modo il confronto può proseguire. Un'iniziativa che, al di là del merito, sembra soprattutto volta a evitare successivi guai legali *il Sole 24ORE* MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012 Dal nostro inviato Marco lo Conte Investimenti. L'indagine annuale di Intesa e Centro Einaudi Crolla il risparmio, una famiglia su due intacca il patrimonio Le scelte di portafoglio restano prudenti TORINO. L'impatto della crisi dell'ultimo anno è tutto in una manciata di dati che spiegano quanto soffre il risparmio degli italiani: riesce ad accantonare qualcosa solo il 38,7% del totale contro il 47,2% dello scorso anno e si riesce a risparmiare solo il 4,1%, dal 4,2% dello scorso anno ma soprattutto dal 7,6% del massimo storico del 1998. E allo stesso tempo aumentano i comportamenti prudenti, almeno da parte di chi riesce a metter da parte qualcosa: il 10,7% del reddito di costoro viene messo da parte, contro il 9% del 2011 e il 7,3% del minimo del 2004. Sono alcuni dei risultati principali dell'Indagine sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani nel 2012, condotta da Intesa Sanpaolo, in collaborazione con il Centro Einaudi e la Doxa. Un sondaggio sui comportamenti finanziari di 1.053 capifamiglia, intervistati tra il gennaio e il febbraio scorsi. L'impatto della crisi, indistricabilmente ormai economica e finanziaria, sui redditi è evidente: solo il 45,7% dichiara entrate sufficienti per il proprio stile di vita (era il 53,4% un anno fa e il 71,7% nel 2002). E di converso al massimo storico è la percentuale di chi dichiara entrate insoddisfacenti (12,5%). Il petrolio dell'Italia, ossia il risparmio, si riduce, si deprezza, si intacca. Almeno per il 46,2% degli italiani. E crolla di dieci punti percentuali, al 61,5% dal 71,1%, la quota di chi ritiene il risparmio utile per gestire le proprie esigenze di vita. L'indagine – tra le più ricche di spunti, dati, rilevazioni sul comportamento finanziario degli italiani – ha verificato come in questo contesto i risparmiatori stiano rifocalizzando priorità e comportamenti: non si risparmia quasi più per acquistare la casa, nel 2012 priorità per il 5,5% degli italiani, dal 12,7% del 2011 e il 25,7% del 2004; quanto per aiutare i figli, per il 19,5%, oppure per integrare la pensione futura, per il 12,8% dal 9,3 del 2005. La recente riforma Monti-Fornero ha ridotto al minimo storico la quota di chi ritiene che disporrà di una pensione sufficiente, al 20,5% (dal 26% e dal 58% del 2002). Il tema della trasmissione delle ricchezze ai figli è stata anche l'occasione per fare un focus su un tema monografico; quest'anno i ricercatori hanno analizzato il comportamento di 1.002 baby-boomers, nati tra il il 1961 e il 1976, segmentati in tre sottocategorie. I loro comportamenti risultano sopra il benchmark complessivo italiano e la loro priorità di risparmio – assoluta per uno su cinque – sono i figli, di cui percepiscono le maggiori incertezze rispetto alla propria vicenda. Le scelte di portafoglio degli italiani restano improntate alla prudenza: in un contesto in cui la metà dei risparmiatori considera più difficile investire oggi (il 47,3%), l'obbligazione detiene il ruolo prìncipe del portafoglio; con la sicurezza obiettivo prioritario per il 53% del totale, mentre solo il 7% vuole incrementare il capitale nel medio e lungo termine. Tra le fonti di informazione si registra una crescita di interesse rilevante della stampa, passata in un anno dal 22,6% al 27,4%, più del web, salito dal 129,6 al 23%. L'indagine registra, dunque, il tentativo del sistema economico e finanziario di procedere a un giro di boa: «Non dobbiamo avere nostalgia per il passato. La crescita degli anni 70 era crescita drogata, che ha prodotto tra l'altro il debito pubblico attuale – ha detto Gregorio De Felice, capoeconomista di Intesa Sanpaolo –. Ci troviamo in presenza di uno snodo doloroso: bisogna spiegare perché è necessario fare sacrifici». «Occorre rigore e fiducia – ha detto Andrea Beltratti, presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo –, ma anche prospettiva: occorre guardare al medio e lungo termine, aiutare i figli non deve essere un'ossessione ma una pianificazione. Da realizzare diffondendo l'educazione finanziaria soprattutto tra i giovani». pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 12 EFFETTO-CRISI La percentuale di chi riesce a mettere da parte qualcosa scende in un anno dal 47,2% al 38,7%© *CORRIERE DELLA SERA* MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012 DA UNO DEI NOSTRI INVIATI Stefania Tamburello I mercati non si fidano, giù le Borse Spread record a 579 in Spagna dopo il voto greco. Il G20: priorità alla crescita Piazza Affari perde il 2,85%. Il confronto tra Obama e Merkel sugli aiuti pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 13 LOS CABOS — I mercati non si fidano. Dopo aver salutato positivamente, in apertura, l'esito delle elezioni greche che hanno premiato la componente politica europeista, hanno virato con decisione e sono tornati a mostrare scetticismo sulla tenuta dell'euro. Colpa del ritorno dei timori sulle banche spagnole ma anche di una scarsa convinzione sulla capacità dell'Europa di manifestare la propria unità politica oltre che monetaria. A condizionare l'andamento delle Borse e dei titoli di Stato sono state le nuove e forti pressioni sui Bonos spagnoli i cui rendimenti sono tornati a toccare la soglia limite del 7% con spread sui Bund tedeschi in volo oltre i 580 punti. Ne hanno risentito in particolare i Btp italiani che indeboliti hanno visto crescere i rendimenti al di sopra del 6% con un differenziale per i decennali di 467 punti. Tra i listini, Milano ha chiuso in perdita, anche a causa dello stacco delle cedole, del 2,85% superata solo da Madrid in calo del 2,96 mentre Parigi ha lasciato sul terreno lo 0,69%. Stabili Francoforte (+0,3%) e Londra (+0,22%). Agli investitori dunque il voto in Grecia, pure importante per la definizione di un quadro generale più tranquillo, non basta. Non fuga i dubbi sul futuro dell'euro. E certo non aiuta la conferma arrivata ieri mattina della posizione tedesca, sfavorevole a ogni ammorbidimento o dilazione degli impegni presi da Atene per ottenere gli aiuti della Ue e del Fmi: «Non ci si può allontanare dalle riforme. Dobbiamo contare sul fatto che la Grecia si atterrà ai suoi impegni», ha detto la cancelliera Angela Merkel prima dell'apertura del vertice dei leader di Stato e di governo del G20 a Los Cabos, punta estrema della Baja California in Messico. Merkel ha gelato così le aspettative di un trattamento più flessibile rispetto all'austerità chiesta ad Atene, che sembrava profilarsi subito dopo il voto per sostenere la formazione del governo guidato da Nuova Democrazia. L'Europa e le turbolenze sui mercati restano dunque al centro delle discussioni del G20. «Siamo estremamente aperti e pronti a impegnarci con i nostri partner, ma certo non siamo qui per prendere lezioni da nessuno. Le sfide non sono solo europee, ma globali», ha affermato il presidente della Commissione Ue José Manuel Barroso. Ma è fuor di dubbio che i problemi del Vecchio Continente siano i più immediati da affrontare: «Il mondo è preoccupato per il rallentamento della crescita e molta attenzione viene data all'Europa. È tempo di agire» ha affermato Barack Obama, sempre più preoccupato per l'impatto della crisi europea sull'economia Usa alla vigilia del suo test elettorale e comunque fiducioso sulle prospettive del voto greco. Il presidente Usa ha incontrato Merkel e ha partecipato al maxi vertice a tarda notte con i leader europei. A Los Cabos però gli incontri bilaterali sono stati forse più importanti delle riunioni ufficiali. Perché hanno dato modo ai vari leader di affrontare i temi più urgenti. Al di là dei richiami, espressi nella sede plenaria, per mettere in atto «tutte le misure necessarie per rafforzare la domanda, sostenere la crescita globale e ristabilire la fiducia», come si legge nella bozza del comunicato finale. In cui si sottolinea l'impegno dell'Europa a «fare i passi necessari per salvaguardare la stabilità del sistema finanziario, rompendo il circolo vizioso tra le banche e il debito degli Stati». E si esprime l'auspicio che la Grecia sia sostenuta nel rimanere all'interno dell'eurozona. Per i leader dei Venti, comunque, «una crescita solida, sostenibile ed equilibrata rimane la principale priorità, in un'ottica di maggiore creazione di occupazione e aumento del benessere della popolazione di tutto il mondo». *CORRIERE DELLA SERA* MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012 DA UNO DEI NOSTRI INVIATI Massimo Gaggi «Ma perché noi dobbiamo pagare il vostro conto?» I dubbi dei Brics. Grilli: speriamo nell'accordo al vertice Ue pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 14 LOS CABOS (Messico) — «Non so esprimermi in un inglese raffinato come il vostro, ma credo che riusciate a capirmi quando dico che i Paesi emergenti, che ancora sono molto poveri, soffrono più degli altri per la crisi economica: la risoluzione del G20 deve rispecchiare questa realtà», non solo le preoccupazioni per il salvataggio dell'euro. La giovane «sherpa» del governo argentino parla nella sala imbandierata dove i rappresentanti dei governi del «direttorio del mondo» (venti Paesi che rappresentano i due terzi della popolazione e quasi il 90 per cento del Pil planetario) emendano la bozza del comunicato finale del vertice. Il testo scorre su grandi schermi appesi alle pareti. Le frasi-chiave appaiono scritte in rosso, i termini sui quali ci si accapiglia, soprattutto il significato da dare alla parola «crescita», vengono evidenziati con uno sfondo azzurro. È un impegno estenuante: un numero infinito di ore di lavoro a porte chiuse. O quasi, visto che un servizio di sicurezza messicano alquanto tollerante lascia filtrare qualche giornalista. L'Argentina non ha molto peso nel G20, né il suo governo è tra i più credibili. Ma questo appello accorato, che lascia freddi i governi occidentali, si guadagna subito l'appoggio convinto del rappresentante del governo cinese, mentre anche lo «sherpa» indiano, barba e turbante, si schiera al suo fianco. È solo un «flash» di un G20, quello iniziato ieri a Los Cabos, sulle coste messicane bagnate dal Pacifico, che si sta rivelando un vero calvario: per i leader europei, messi sotto accusa dal resto del mondo che li considera responsabili del nuovo aggravamento della crisi economica internazionale; per la Germania assediata da tutti gli altri che le chiedono di farsi carico dei problemi dell'euro; per Barack Obama che sollecita, suggerisce, incalza, ma qui tocca con mano le conseguenze dell'indebolimento della leadership Usa. E anche per gli stessi emergenti, dalla Cina al Brasile all'India: alzano la voce nei confronti dell'Europa perché sono spaventati. Fino all'anno scorso guardavano alle difficoltà economiche nelle quali l'Occidente di dibatte dal crollo della Lehman, nel 2008, con un certo distacco, visto che le loro economie continuavano a crescere tumultuosamente. Negli ultimi mesi tutto è cambiato: la crescita per alcuni di loro c'è ancora, ma sta diventando anemica, per altri sta sparendo. Così questi governi, dopo gli anni del miglioramento delle condizioni di vita di popoli che si stanno sollevando dalla povertà, temono ora di trovarsi all'improvviso a gestire situazioni sociali difficili. Alcuni Paesi sembrano soprattutto implorare, come l'Indonesia e il Messico, che hanno ancora il fresco ricordo della disastrosa crisi del 1990 e chiedono ai Grandi di aiutarli a non ricadere in quell'incubo. Altri reagiscono alzando la voce e spingono uno stizzito Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, a replicare con altrettanta durezza: «Non siamo venuti qui a prendere lezioni di democrazia». Ma intanto i Brics (la «lega» degli emergenti, dalla Cina all'India) non hanno ancora definito il loro contributo ai 430 miliardi di dollari del «firewall» a protezione dell'euro che il Fondo monetario si era impegnato ad erigere già nel vertice di due mesi fa. Accanita soprattutto la resistenza del Brasile. La questione forse si sbloccherà oggi, ma è diventata un altro incidente significativo. Le parole di Barroso materializzano i timori di chi pensa che vertici come questo, benché assai più rappresentativi delle nuove realtà mondiali del G8, non siano in grado di concludere accordi concreti, che vadano oltre i documenti generici, proprio per le enormi differenze — economiche ma anche di interessi e di sistemi politici — degli attori in campo. D'altra parte i problemi sono acuti anche all'interno dell'Occidente, area che, pure, è abituata a parlare una lingua politica ed economica comune. Obama, ostenta toni collaborativi, ma è anche spazientito da una crisi europea che pesa negativamente sulle sue prospettive di rielezione. Alla fine di un vertice col presidente messicano Felipe Calderon, esprime soddisfazione per l'esito del voto in Grecia, si dice incoraggiato. Ma, anche se è stato evitato il «Dracmageddon», i mercati restano scettici e impauriti. Il presidente Usa chiede così all'Europa misure adeguate per restituire credibilità alla sua valuta senza lasciare spazio alle nuove tentazioni pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 15 protezioniste che si diffondono nel mondo. Obama incalza la Merkel in ben due incontri: prima in un faccia a faccia dopo il pranzo del G20, poi in un vertice a tarda sera con i leader europei presenti a Los Cabos, da Monti a Hollande. Il premier italiano, impegnato anche lui a ricucire e mediare, continua a esercitare le sue pressioni discrete sulla Merkel, ma ricorda anche a Obama che questa crisi che oggi ha il suo epicentro in Europa, «è nata da squilibri macroeconomici in altri Paesi, con gli Stati Uniti protagonisti». «È un percorso accidentato che speriamo abbia un lieto fine col Consiglio europeo dei prossimi giorni, che la Germania alla fine prenda atto di quello che tutti le chiedono anche qui a Los Cabos» commenta pensoso il viceministro dell'Economia Vittorio Grilli, sul balcone affacciato sull'oceano dell'Hacienda del Mar, l'albergo che ospita Monti. «Oramai le cose da fare sul debito e sulla crescita sono chiare, è l'ora degli impegni. La pressione, soprattutto del mondo anglosassone, quello che ha più peso sui mercati, è fortissima. E le difficoltà di Paesi che fino a ieri sembravamo tranquilli, come l'India, aggiungono pressione. Se anche loro si fermano da dove riparte la crescita?» Il comunicato finale la invoca a gran voce, ma senza entrare nel dettaglio, perché Berlino è contraria a politiche fiscali espansive. «La Germania ci ha promesso che aumenterà i salari» per sostenere la domanda, aggiunge Grilli. «Non so se lo stia già facendo». *CORRIERE DELLA SERA* MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012 DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Paolo Lepri Merkel detta le condizioni ad Atene «No a sconti sui tempi delle riforme» Respinta l’idea di «eurobond leggeri»: «Sono solo i fratelli minori» pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 16 BERLINO — Angela Merkel lo aveva detto prima delle elezioni e lo ha ripetuto all'indomani del voto. «La Grecia deve rispettare gli impegni». Nessuno sconto. Né sui contenuti del piano di riforme previsto dagli accordi con Unione Europea, Bce e Fondo monetario internazionale, né tantomeno sui tempi per realizzarlo. Se sia una posizione tattica lo si vedrà nei prossimi giorni, ma la cancelliera ha preferito mettere le cose in chiaro arrivando al G20 in Messico. «Bisogna dimostrare — ha affermato — che si è in grado di portare a termine il percorso concordato». Più tardi deve aver ribadito la sua linea in un incontro con Barack Obama, tanto che il presidente Usa si è detto «incoraggiato» dal colloquio con la Merkel, convinto che i leader del vecchio continente siano sulla strada giusta per «promuovere la stabilità finanziaria e accrescere l'integrazione europea» La precisazione della cancelliera al G20 era giunta dopo che il ministro degli Esteri Guido Westerwelle, commentando i risultati usciti dalle urne, si era espresso per una possibile revisione dell'«arco temporale» delle riforme chieste ad Atene. L'ex leader del partito liberale ha poi corretto parzialmente il tiro, riconoscendo però il fatto che sono state perdute alcune settimane nella campagna elettorale e che bisogna stabilire che cosa questo significhi per la realizzazione del programma di austerità. Le parole del ministro degli Esteri sono state «sovrainterpretate», è stato il senso del briefing governativo di ieri mattina a Berlino. «Non è questo il momento delle concessioni», ha tagliato corto uno dei portavoce della cancelliera, Georg Streiter, all'ennesima domanda sulle dichiarazioni di Westerwelle. Il problema, però, è che anche le forze greche filoeuropee vogliono che gli accordi siano rivisti. Rispondendo indirettamente al vincitore delle elezioni, il leader di Nuova democrazia Antonis Samaras, che ha ribadito la necessità di rinegoziare il «memorandum» «per fare uscire il popolo dalla dolorosa realtà della disoccupazione», la cancelliera è stata molto ferma. «Non possiamo fare compromessi — ha sostenuto — sulle tappe delle riforme che sono state oggetto di un accordo». Anche Jörg Asmussen, il rappresentante della Germania nel consiglio direttivo della Bce, ha avvertito che concedere più tempo alla Grecia implicherebbe un aumento dei finanziamenti previsti. Non la pensa così, invece, il presidente del Parlamento europeo, il socialdemocratico Martin Schulz, secondo cui il «memorandum» greco «non è scolpito nella pietra come le tavole di Mosè». Intransigenti sulla crisi greca (anche se con qualche smagliatura, come si è visto), i tedeschi non sembrano particolarmente interessati per il momento all'ipotesi degli «eurobill» o «eurobond leggeri», a scadenza e importi limitati, che potrebbero essere emessi dai governi che rispettino le regole di bilancio fissate dall'Ue. «Sono i fratelli minori degli eurobond», ha detto la portavoce del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble. *CORRIERE DELLA SERA* MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012 DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Luigi Offeddu [email protected] Investimenti e banche, verso il nuovo Patto Trattative sul testo per crescita e lavoro L'agenzia Fitch congela i declassamenti pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 17 BRUXELLES — Più scettici, o spietati, degli ottimisti greci, i mercati finanziari non brindano al voto di Atene: come se nulla fosse accaduto, in Europa. Ma invece molto è accaduto, e accadrà ancora. L'agenzia di rating Fitch congela nuovi declassamenti e spiega che l'eurozona si allontana «dal baratro», anche se i rischi non scompaiono. Da Bruxelles a Roma, in tutte le capitali c'è grande soddisfazione. E i leader della Ue assicurano di essere «determinati a usare tutte le leve e gli strumenti» perché decolli il nuovo «compact o patto fra Stati per la crescita e il lavoro», che dovrebbe essere approvato al vertice dei capi di Stato e di governo, il 28-29 giugno. Una prima bozza dell'intesa, che contiene appunto quella promessa, è trapelata ieri: sarà uno dei tavoli su cui si cercherà di sciogliere l'abbraccio mortale fra i debiti delle banche e i debiti sovrani degli Stati; parlerà di investimenti pubblici, di ricapitalizzazione della Bei, la Banca europea per gli investimenti, e di altre misure. Un secondo tavolo di dibattito sarà quello sull'unione bancaria, preparata da un rapporto del cosiddetto «quartetto»: i presidenti della Ue Herman Van Rompuy, della Commissione Europea José Manuel Barroso, dell'eurogruppo Jean-Claude Juncker, e della Banca centrale europea Mario Draghi, lo presenteranno il 26 giugno. Anche in questo dossier, impegni importanti: la vigilanza rafforzata e più focalizzata a Bruxelles, e una garanzia europea sui depositi. Ma bisognerà sottostare ai tempi lunghi della Ue: sull'unione bancaria si deciderà forse solo al vertice Ue d'ottobre. E intanto, qualcuno già imita la Grecia: anche l'Irlanda avrebbe chiesto (ma Bruxelles smentisce) una dilazione nella restituzione dei fondi avuti in prestito dall'Europa. Nei giorni dell'emergenza, ci sono poi altre misure in discussione. Per esempio, quelle riguardanti la mutualizzazione, la messa in comune del debito. Ne ha parlato ieri a Bruxelles il ministro italiano degli Affari europei, Enzo Moavero Milanesi, spiegando che si riprenderà in esame la proposta di un fondo di riscatto per il debito oltre la soglia del 60% del Pil; e il varo di «eurobill» o «eurobond leggeri», titoli a breve termine garantiti dalla Ue. Infine, il grande spaventapasseri, lo «spread» o differenziale di rendimento dei titoli di Stato nazionali a 10 anni rispetto a quelli omologhi tedeschi. Bisogna arginarne la corsa pazza: e la proposta più gettonata, di marchio italiano, è quella che la Bce o un altro organismo finanziario intervengano sul mercato secondario acquistando i titoli minacciati dalla speculazione, ogni volta che gli spread varchino un certo livello. Quello, per esempio, che oggi hanno tranquillamente sfondato in Spagna, attivando i campanelli d'allarme di mezza Europa. *CORRIERE DELLA SERA* MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012 di: Fabrizio Massaro [email protected] Mps studia il prestito-capitale Il pressing della Banca d'Italia per il rafforzamento patrimoniale pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 18 MILANO — A una settimana dall'approvazione del piano industriale di lunedì 25, Mps continua a essere in tensione sui mercati per l'incertezza che circonda il rafforzamento patrimoniale. Ieri in una giornata comunque negativa per le Borse ha perso il 3,4% a 0,186 euro, praticamente ai minimi da un anno e attorno alla soglia che a dicembre costrinse la Fondazione Mps, primo azionista, a rinegoziare i prestiti con le banche e a cedere il 12% per ripagare parte dei debiti (la firma dei contratti è imminente). Il mercato continua a interrogarsi su come l'amministratore delegato Fabrizio Viola rispetterà le indicazioni dell'Eba, l'autorità bancaria europea, che ha chiesto 3,3 miliardi di capitale in più entro il 30 giugno. Finora Viola è riuscito a recuperare circa 2,3 miliardi. Resta il dubbio sulla copertura del miliardo residuo, cui dovrebbe fare fronte con le cessioni di Biverbanca — due i contendenti, Popolare di Vicenza e Cr Asti con quest'ultima in pole position, e da cui si attende circa 200 milioni —, di altri 150-200 sportelli Antonveneta e con un'operazione finanziaria. Viola ha escluso l'aumento di capitale — che farebbe diluire dall'attuale 36% la Fondazione, priva di forza finanziaria — e ha indicato la strada alternativa dei «Co.Co. bond», titoli particolari che si convertono in azioni se il patrimonio (core tier 1) scende sotto una certa soglia. I Co.Co. bond sono una strada finora mai battuta da un istituto italiano, sottolinea l'analista di Deutsche Bank (Db), Paola Sabbione, in un report pubblicato ieri. Mercoledì scorso Viola ha detto che sul punto «la cosa non è definita, è tutto fluido», sottolineando che Mps si sta muovendo in rapporto stretto con la Banca d'Italia: «Abbiamo sempre un atteggiamento collaborativo reciproco». I problemi sui Co.Co bond sono diversi: intanto costano molto cari come interessi, più dei Tremonti bond che Mps ha ancora in pancia per 1,9 miliardi; poi potrebbe essere non facile collocarli sul mercato, in quanto il livello di core tier 1 che fa scattare la conversione (7%) sarebbe vicino a quello della banca dell'8,7% (al netto dei Tremonti bond). In questo caso «le alternative a un collocamento presso investitori istituzionali potrebbero essere la vendita al retail — via mai tentata in Italia e complessa, come successo con il bond convertibile della Bpm — o l'intervento della Cassa depositi e prestiti, o persino un aumento di capitale», sottolinea il report di Db, anche se «non lo consideriamo probabile». Deutsche Bank prevede che il titolo continuerà a essere volatile nel breve termine e per questo conferma il suo prezzo obiettivo di 0,25 euro e il giudizio «hold» (tenere). Nel medio termine invece la banca potrebbe ritrovarsi con un surplus di capitale, visto che le richieste dell'Eba sono temporanee. In particolare nel 2105 va in scadenza un terzo dei titoli di Stato che Mps ha in pancia, e questo annullerebbe parte delle attuali perdite potenziali sui titoli e sui derivati di copertura sugli stessi. Insomma, Viola e il presidente Alessandro Profumo si devono muovere in uno spazio stretto. E contemporaneamente ultimare la parte industriale del piano. Che dovrebbe puntare sui canali alternativi alla banca tradizionale, sui prodotti retail e su un ulteriore controllo dei costi. E poi riequilibrare il rapporto tra raccolta e impieghi e la liquidità, cui la banca (come tutto il sistema) ha rimediato grazie ai maxiprestiti della Bce. *CORRIERE DELLA SERA* MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012 di: Sergio Bocconi Ligresti, il verdetto del board L'Isvap: un commissario se Fonsai non rimedia su operazioni irregolari pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 19 MILANO — Ieri i vertici di Fonsai, il comitato degli indipendenti e i legali si sono riuniti per preparare i lavori del consiglio di oggi, convocato dopo che l'Isvap ha dato 15 giorni di tempo alla compagnia per promuovere azioni di responsabilità e recuperare gli esborsi relativi a una serie di operazioni «irregolari» con parti correlate, cioè con i Ligresti. Scaduti i termini potrà essere l'authority a intervenire nominando un commissario ad acta, che si occuperà cioè delle iniziative da assumere. Il board di oggi sarà probabilmente dedicato a una valutazione approfondita del provvedimento Isvap e il comitato degli amministratori indipendenti (che si occupa delle operazioni con le parti correlate) potrebbe indicare il percorso da seguire: arrivare cioè con una proposta sugli interventi da effettuare nel consiglio immediatamente successivo, che potrebbe essere convocato per lunedì prossimo. Proposte che il board dovrà poi portare a un'assemblea dei soci da mettere in calendario. Il tempo stringe. Ma l'intervento dell'Isvap non interferisce sulla integrazione con Unipol. Lo ha sottolineato ieri Federico Ghizzoni, numero uno di Unicredit: «L'operazione Unipol andrà comunque avanti. La pressione dell'Isvap c'è sempre stata, è giusto che continui, ma penso ci siano i tempi per affrontare le problematiche esistenti all'interno di Fonsai. Non credo che impatterà» sull'aggregazione con il gruppo bolognese. Sempre oggi al board il collegio sindacale potrebbe indicare che Roberto Cappelli, consigliere che fa parte del comitato degli indipendenti, non ha appunto i requisiti di indipendenza. Il board potrebbe decidere diversamente, anche perché li ha appena confermati. In ogni caso il comitato è stato integrato con altri due componenti e per la valutazione delle delibere già prese (come quella sui concambi) potrà essere considerato il voto già da loro espresso. Nel frattempo risulta scaduta alla mezzanotte di ieri l'offerta ter di Palladio e Sator. Ieri Fonsai avrebbe inviato una nuova lettera a replica di quella recente dei due investitori. La compagnia respinge le contestazioni delle società guidate da Roberto Meneguzzo e Matteo Arpe, che in sostanza non considerano accettata la loro proposta perché Fonsai, nel dichiarare la disponibilità ad approfondire, avrebbe aggiunto alcune condizioni. Fonsai risponde confermando le condizioni (due diligence reciproca con accordo di riservatezza; consorzio di garanzia dopo l'accordo) aggiungendo però la disponibilità a discuterne. Oggi si dovrebbero conoscere le valutazioni di Palladio e Sator. *la Repubblica* MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012 DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FEDERICO RAMPINI L’analisi Il G20 processa l’Europa “Ha sparato un colpo a vuoto” Ormai è sindrome-banche Barroso: non siamo venuti a prendere lezioni pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 20 NEW YORK – MONTI e Van Rompuy ricordano che questa crisi non è «nata in Europa ». Barroso è il più stizzito, quasi gli saltano i nervi: «Non siamo venuti al G20 per prendere lezioni di democrazia né di governo dell’economia». La verità è che l’eurozona nel momento della sua massima debolezza si conquista una sorta di nefasta centralità. Nessuno riesce a evitare i contraccolpi della sua crisi: né l’America né la Cina. Il documento finale del G20 invoca perciò «azioni audaci» da parte dell’eurozona per combattere la sua depressione. Emerge da quel testo ufficiale un tema nuovo: si chiede agli Stati membri dell’unione monetaria di «spezzare la spirale negativa che lega i debiti delle banche ai debiti degli Stati sovrani». E’ la sindrome spagnola, descritta in questo passaggiochiave del comunicato. Perché fin dall’apertura del G20 è chiaro che la Grecia è quasi storia passata, il pericolo vero è ormai la Spagna, la quarta economia europea, un malato potenzialmente ben più destabilizzante. L’emergenza greca è “quasi” oscurata, anche se non del tutto. Il risultato del voto di domenica è il meno peggio che si potesse avere, e tuttavia non ha sgombrato il campo dal rischio di un braccio di ferro Berlino-Atene. I futuri governanti della Grecia già chiedono di rinegoziare le condizioni degli aiuti (i 240 miliardi di euro ricevuti da fondo salva-Stati e Fmi, in cambio di una pesante austerity); la Merkel li diffida preventivamente: «Le elezioni non possono rimettere in discussione gli impegni presi dalla Grecia». Dunque sugli schermi radar dei mercati la possibilità di un nuovo stallo sulla Grecia non è scomparsa. Ma da ieri è in secondo piano rispetto all’altro problema. Robert Zoellick, l’americano che è il presidente uscente della Banca mondiale, dice ad alta voce quel che tutti pensano: «L’eurozona ha sparato una cannonata a vuoto». Il colpo andato a vuoto, è l’annuncio del maxisalvataggio delle banche spagnole, che rischiano il crac per le conseguenze della bolla immobiliare. Fino a 100 miliardi di aiuti, è questa la “cannonata” che doveva impressionare i mercati e convincerli finalmente che l’eurozona fa sul serio. Al contrario, il colpo di cannone è stato un flop. Il meccanismo di quell’aiuto è controproducente: poiché non viene versato direttamente alle banche in crisi bensì al Tesoro di Madrid, ne fa aumentare perversamente la quota debito/Pil; inoltre spaventa gli investitori privati perché in caso di bancarotta le loro obbligazioni sarebbero di serie B rispetto al creditore privilegiato che diventa il fondo salva-Stati. Insomma l’annuncio salvifico sulla Spagna è diventato un disastro, tanto più che ha rivelato enormi resistenze a fare ciò che conterebbe davvero: costruire una vera unione bancaria europea. La questione delle banche, che il G20 mette al centro del suo appello, sta avvelenando la crisi europea da tempo. E’ stato sottolineato che il cosiddetto “salvataggio” della Grecia fu in realtà un aiuto alle banche francesi e tedesche esposte per i bond di Atene. Ora più che mai, ogni Paese fa quadrato in difesa del proprio sistema bancario, e la “rinazionalizzazione” del credito è un propagatore della crisi. Quando un colosso francese come il Crédit Agricole rimpatria i propri capitali da Atene, è evidente quali segnali lancia ai suoi partner-concorrenti di Wall Street e Londra: si salvi chi può, l’ultimo che resta è perduto. Per evitare che un fuggi fuggi avvenga in Spagna, poi in Italia, la strada è nota: un’assicurazione europea sui depositi dei risparmiatori (modello Usa), e una vigilanza bancaria anch’essa unificata in capo alla Bce. Ma Barroso svela ancora una volta la natura “in-decisionista” dell’Unione, quando annuncia che la Commissione di Bruxelles presenterà delle “proposte” sull’unione bancaria... in autunno. Una lentezza esasperante, vista da Washington, Pechino o Brasilia. Non a caso i Bric approfittano di questo G20 per sbattere i pugni sul tavolo: aumenteranno sì il proprio contributo al Fmi (che potrebbe servire per ulteriori futuri salvataggi di Stati europei) ma solo dopo che il loro peso decisionale sarà stato adeguatamente rafforzato. Obama non può che prolungare la strategia messa in campo nelle ultime settimane: usare la nuova sponda di Hollande, insieme con Monti, per creare un “cerchio” di pressioni convergenti sulla Merkel, a favore di politiche più generose per la crescita. Cameron mette il dito su un’altra debolezza, quando invoca per la Bce una libertà di stampare moneta analoga a quella di cui godono la Federal Reserve americana e la stessa Bank of England. Ma se Draghi fosse libero di sostenere la crescita come il suo collega americano Bernanke, una politica monetaria più spregiudicata avrebbe già pilotato l’euro in discesa fino alla quota “uno a uno” sul dollaro, o più in giù, aiutando così le esportazioni dal Vecchio continente. Invece nel momento della massima sfiducia dei mercati, l’euro è ancora a 1,26 sul dollaro: un “mistero” fin troppo decifrabile, che gli europei non hanno neppure il coraggio di denunciare. Non sarà Obama a suggerirci la strada di una svalutazione competitiva. *la Repubblica* MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012 DAL NOSTRO INVIATO FRANCESCO BEI Il governo E per Monti ora scatta l’allarme Btp Preoccupazione per i tassi oltre il 6%. Ancora 230 miliardi di titoli da piazzare nel 2012 pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 21 LOS CABOS — «È tempo che i tedeschi si rendano conto che con questo atteggiamento stanno devastando i mercati». Una fonte della delegazione italiana al G20, nel giorno in cui Obama tenta il tutto per tutto per scongiurare il peggio – prima un faccia a faccia con la Merkel, poi un summit con tutti gli europei –, confida la dura realtà del negoziato con la Cancelliera: non è disposta a concedere nulla, siamo al punto di partenza. Ma il tempo stringe e Monti adesso ha paura: «Il vertice di Roma di venerdì prossimo – è il ragionamento amaro del premier - è la nostra ultima occasione. Non possiamo permetterci rendimenti dei Btp così alti». I titoli italiani, dopo una breve boccata d’ossigeno dovuta al risultato greco, hanno infatti di nuovo cominciato a crescere. E la Borsa è ormai in caduta libera. La paura del contagio spagnolo e i dati economici non incoraggianti hanno fatto schizzare lo spread a 464 punti (chiusura a 450) e gli interessi sui titoli a 10 anni oltre la soglia psicologica del 6%. Ora, a far tremare Monti, sono le prossime aste del debito italiano. Da qui alla fine dell’anno resta da collocare circa la metà di quei 450 miliardi previsti per il 2012. Ieri a fare i conti in tasca al Tesoro è stata la tedesca Bild, ricordando che «entro il 2014 l'Italia avrà bisogno di 670 miliardi di nuovi crediti per pagare i vecchi». Cifre mostruose, come quelle del debito pubblico. Cresciuto in termini assoluti, secondo l’ultimo Bollettino statistico della Banca d’Italia, al record di 1.948 miliardi di euro. Un soffio da “quota 2000”. I dirigenti di via XX Settembre hanno cerchiato in rosso, sul calendario, due date bollenti di giugno. Alla vigilia del Consiglio europeo l’Italia dovrà infatti andare di nuovo sul mercato il 26 offrendo Ctz e Btp, il 27 cercando acquirenti per i Bot. Con rendimenti che si prevedono crescenti, visto l’andamento dello spread. Per questo il negoziato con la Germania è diventato febbrile. E sul tavolo l’Italia ha messo da ultimo la proposta di una tagliola automatica dello spread. Un meccanismo che dovrebbe scattare quando i rendimenti superino una soglia prefissata, impedendo quella divaricazione tra Bund tedeschi e titoli pubblici dei paesi più esposti, come appunto la Spagna e l’Italia. L’ipotesi è stata discussa a lungo da Monti e Hollande a palazzo Chigi la scorsa settimana. Scartata l’idea di affidare alla Bce – gelosa della propria indipendenza – l’obbligo di intervenire sui mercati, si è affacciata la possibilità che sia il nascente Esm, il fondo salva-Stati, ad alzare il suo scudo protettivo. Magari dotandolo di quella licenzia bancaria che gli permetta di attingere alle risorse della Bce. Sono operazioni che, tuttavia, incontrano ancora la netta indisponibilità dei tedeschi. E il ministro Enzo Moavero, che sta seguendo la partita in prima persona, non vede al momento grandi spiragli. Da qui il pessimismo di Monti. Per questo ieri la delegazione italiana a Los Cabos si è spesa a fondo affinché nel comunicato finale del vertice, che sarà reso pubblico oggi, fosse inserito il paragrafo 11. Un passaggio in cui si riconosce che quei paesi (come l’Italia e la Spagna) che «stanno adottando il Fiscal Compact», «insieme a politiche per la crescita» e alle «riforme strutturali» devono avere «costi di finanziamento sostenibili». Insomma, chi ha fatto i “compiti a casa” ha diritto a non essere strangolato da uno spread troppo alto. È una dichiarazione di principio, ma almeno è qualcosa. In attesa di uno sblocco del negoziato con i tedeschi sul tavolo europeo, Monti ha aumentato il pressing sulla sua maggioranza. Barroso e Van Rompuy hanno infatti messo in guardia il premier: «Sarebbe un pessimo segnale se l’Italia arrivasse al summit di giugno senza aver approvato la riforma del mercato del lavoro». Monti è deciso ad agire senza indugi. «Se sarà necessario metteremo la fiducia », spiega un ministro. Nei suoi contatti con Roma il Professore ha avuto rassicurazioni da Pd e Pdl. Ma ha comunque voluto mettere in chiaro che «sulla riforma del lavoro ci giochiamo la credibilità accumulata finora». Un allarme che sembra aver raggiunto i suoi destinatari. *la Repubblica* MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012 di: ANDREA GRECO Il fondo di garanzia salva Banca Network Domani intervento da 80 milioni per i correntisti, che saranno trasferiti a Cassa Ravenna pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 22 MILANO — Il fondo paga. Domani l’organo ristretto del fondo interbancario che, a norma di legge, interviene a ristoro dei correntisti degli istituti in crisi deciderà di coprire i 65 milioni di euro che 28mila clienti di Banca Network si trovano bloccati dal 31 maggio («misura necessaria per fronteggiare la situazione di difficoltà della banca»), più i 14 milioni del fondo rischi che il gruppo ha accumulato per le cause legali nate da passate condotte poco virtuose. Prima dell’estate tutto verrà sanato: venerdì Consultinvest sim ha rilevato le masse in gestione, Cassa di Ravenna si occuperà delle attività commerciali – marginali, trattandosi di istituto che opera con una rete di promotori nel risparmio gestito – e in breve tempo Banca Network andrà in amministrazione coatta, che la farà sparire lasciando in ricordo agli azionisti svariate decine di milioni persi. Nomi di riguardo: in primis la Sopaf di Giorgio Magnoni (desiderosa di farsi una sua banca, ma a sua volta incappata in una pesante ristrutturazione dei debiti), Aviva per distribuire polizze, il Banco popolare per mera eredità del passato “lodigiano”, De Agostini come investitore finanziario. Una compagine talmente assortita e litigiosa che nel novembre scorso indusse il Tesoro, su consiglio di Bankitalia, a commissariare l’istituto, dopo un’ispezione che aveva accertato «profondi conflitti tra soci e tra questi e i membri del cda, specie sull’entità dei mezzi necessari ad assicurare il rispetto dei requisiti patrimoniali e garantire le ragioni creditorie di terzi». Banca Network nasce sulle spoglie di Bipielle Net, filiazione web della Banca popolare di Lodi, ai tempi famigerati di Giampiero Fiorani. Nel 2007, saltato il banchiere d’assalto di Codogno, diventa occasione d’impresa per i quattro compratori, con 800 promotori e un centinaio di dipendenti. Ma il progetto si arena quasi subito, tra l’avvio della prima crisi internazionale, le ispezioni di vigilanza che fanno emergere «carenze organizzative e di controllo », le citazioni contro promotori infedeli e collocamenti discutibili, le trattative sterili (con Fideuram, Popolare Vicenza, Bpm). In mezzo, quasi un centinaio di ricapitalizzazioni in più stadi, a coprire le perdite d’esercizio (36 milioni nel 2010, l’ultimo noto), i soci che si citano in giudizio e il patrimonio che lima pericolosamente. Fino a primavera, quando si iniziano a vedere anche episodi di fuga dei depositanti. Lì interviene Via Nazionale, con il blocco di pagamenti e accrediti sui 22mila conti correnti del marchio, anche a salvaguardare la par condicio creditorum. Già venerdì s’era aperto lo spiraglio grosso, con l’intervento di Consultinvest sim, gestore modenese partecipato dalla Cassa di Ravenna (che a ore dovrebbe rilevare le attività retail), pagando, in quote annuali, circa l’1% sulle masse che resteranno in gestione 10 anni (circa 15 milioni) e rilevando qualche dipendente, l’amministrazione e gli avviamenti. Un’altra decina di lavoratori del gruppo vanta diritti di reintegro presso il socio Banco popolare, che per ora tuttavia nicchia. Per gli altri 50 si prospetta la liquidazione, con accesso al Fondo emergenziale per bancari. Al momento, però, quel fondo non é esperibile perché il ministero non ne ha nominato i vertici. *la Repubblica* MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012 di: VITTORIA PULEDDA Ghizzoni: “Avanti con Unipol contro i Ligresti” Sul tavolo del cda Fonsai l’azione di responsabilità per evitare il commissario Isvap pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 23 MILANO — Avanti tutta con Unipol, incuranti delle incursioni della Procura (che ha dichiarato il fallimento di Imco e Sinergia) e del pressing dell’Isvap: è questa la posizione - riconfermata - del numero uno di Unicredit, Federico Ghizzoni, socio con il 6,7% di Fonsai e creditore di peso. «Penso ci siano i tempi per affrontare le problematiche che ci sono all'interno di Fonsai. Non credo che impatterà sull'operazione Unipol, che andrà comunque avanti». In realtà il pressing dell’autorità di vigilanza si è intensificato solo di recente. Ed è di soli pochi giorni fa, il 15 giugno, la notifica ufficiale delle contestazioni mosse alla compagnia sulle operazioni correlate in tema immobiliare, sull’acquisto di Ata hotel e sui compensi corrisposti a vario titolo (consulenze e non) alla famiglia Ligresti e alle società a loro riconducibili. Ora Fonsai ha quindici giorni di tempo per correre ai ripari. Se non lo farà, l’Isvap ha già preannunciato l’arrivo di un commissario ad acta, previsto dall’articolo 229 del Codice delle assicurazioni, che prenderà le decisioni al posto dei consiglieri. Una misura peraltro suggerita un paio di mesi fa da Consob, dopo l’esposto del fondo Amber sulle stesse vicende. Per oggi pomeriggio è stato convocato il cda dell’assicurazione. Che dovrà prendere atto delle contestazioni e decidere come procedere. L’istituto infatti ha chiesto alla compagnia di «far cessare definitivamente le irregolarità riscontrate e rimuoverne gli effetti» ma anche di procedere contro chi ha provocato queste «gravi irregolarità» e, ove ne ricorrano i presupposti, di «assumere iniziative per il recupero degli esborsi fatti». In altre parole, i Ligresti vanno incontro all’azione di responsabilità - anche se difficilmente verrà promossa nel cda di oggi, che farà il punto sul lavoro degli advisor già nominati all’uopo - e nello stesso tempo potrebbero vedersi chiedere indietro quanto percepito, nell’ambito appunto di quel «recupero degli esborsi». Su tutto ciò dovrà deliberare il cda sulle operazioni con parti correlate, concluse entro il 2010. L’amministratore delegato attuale è successivo, anche se Emanuele Erbetta è stato per anni direttore generale: si vedrà quanto il consiglio attuale riuscirà a prendere le distanze dal precedente (anche a prescindere dalla presenza di Jonella e Paolo Gioacchino nel cda). Un’azione di responsabilità ora potrebbe peraltro togliere - in parte - contenuto alla manleva garantita da Unipol post esecuzione dell’aumento di capitale riservato di Premafin, e messa in dubbio dalla Consob (se non a condizione di non concedere l’esenzione dall’opa). Sempre oggi potrebbero arrivare le dimissioni di Roberto Cappelli, consigliere e membro del Comitato degli indipendenti, la cui posizione è stata oggetto di contestazioni da parte della Consob per i legami con Unicredit. La Fiba-Cisl Vi augura di trascorrere una serena giornata A Arrrriivveeddeerrccii aa domani 20 giugno pagina Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 24 ppeerr uunnaa nnuuoovvaa rraasssseeggnnaa ssttaam mppaa!!