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Federazione ittaalliiaannaa bancari e assicuurativi
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RASSEGNA STAMPA
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 Borse in rosso, il voto di Atene non basta.............................................................. 3
 Paura su Madrid, volano gli spread ........................................................................ 5
 L’euro si cura con la crescita tedesca .................................................................... 7
 Ipotesi Tremonti-bond nel piano industriale Mps ................................................ 9
 Ghizzoni: UniCredit verrà riorganizzata ................................................................ 10
 FonSai riunisce il consiglio sull’azione di responsabilità .................................... 11
 Crolla il risparmio, una famiglia su due intacca il patrimonio ........................... 12
 I mercati non si fidano, giù le Borse ...................................................................... 13
 «Ma perché noi dobbiamo pagare il vostro conto?» ............................................. 14
 Merkel detta le condizioni ad Atene «No a sconti sui tempi delle riforme» ...... 16
 Investimenti e banche, verso il nuovo Patto .......................................................... 17
 Mps studia il prestito-capitale ................................................................................ 18
 Ligresti, il verdetto del board .................................................................................. 19
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Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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 Il G20 processa l’Europa “Ha sparato un colpo a vuoto”
Ormai è sindrome-banche ................................................................................... 20
 E per Monti ora scatta l’allarme Btp ...................................................................... 21
 Il fondo di garanzia salva Banca Network ............................................................. 22
 Ghizzoni: “Avanti con Unipol contro i Ligresti” ..................................................23
UN AFORISMA AL GIORNO
a cura di “eater communications”
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Un a mo g li e b r u tta e u n a f i g li a stu pi da
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son tesori inestimabili!!
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Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
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*il Sole 24ORE*
MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012
di: Gianluca Di Donfrancesco – Vittorio Carlini
Borse in rosso,
il voto di Atene non basta
Milano perde il 2,85%, Madrid il 3% - L'euro strappa al rialzo ma poi scende sotto quota
1,26 sul dollaro
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Il voto in Grecia non ha dato sollievo ai mercati. I listini europei, dopo l'apertura all'insù sulla scia della vittoria
dei conservatori pro-euro, hanno virato al ribasso per chiudere contrastati: Madrid, maglia nera, ha perso il
2,96%; Milano, su cui ha pesato lo stacco delle cedole (quantificabile in un ribasso dell'1,2%) ha ceduto il
2,85%. In discesa anche Parigi (-0,69%). Francoforte (+0,3%) e Londra (+0,22%) hanno invece strappato il
rialzo. Andamento replicato a Wall Street: il Dow Jones perde lo 0,19%, il Nasdaq sale dello 0,78%, mentre lo
S&P-500 avanza dello 0,14%.
>Alla fine della scorsa settimana, i fondi speculativi si erano posizionati lunghi sui listini, convinti che il voto
di Atene avrebbe consegnato il Paese a Syriza, che non accetta il piano di austerity della troika Ue-Bce-Fmi.
Questo avrebbe costretto le Banche centrali a intervenire. Ma lo scenario non si è realizzato e i fondi hanno
dovuto riposizionarsi. Tuttavia, il focus resta sulle banche centrali: tanto che più che sul G20 o l'Eurogruppo,
l'attesa è soprattutto per la riunione della Fed di mercoledì.
La speranza? Nuova liquidità che faciliti, in un periodo caratterizzato da volumi contenuti e alta volatilità, il
trading. Anche di brevissimo periodo. Come, ad esempio, è successo ieri intorno alle 10. Quando, cioè, un
"semplice" sondaggio di Barclays, secondo il quale il 58% degli investitori intervistati dalla banca d'affari
ritiene che l'anno prossimo l'Eurozona perderà almeno un membro (un'ipotesi che sarebbe costosissima per
l'eventuale Stato uscente e Eurolandia e complicatissima da realizzare), è bastato a dare il «la» al ribasso dei
mercati.
Simile l'andamento dei mercati valutari. Il mini-rimbalzo dell'euro, che nelle ore immediatamente successive al
voto aveva toccato il massimo da un mese a 1,2747 dollari, si è rilevato in fretta per quello che era, una
fiammata effimera. Già in chiusura dei mercati asiatici, la moneta unica aveva smarrito lo slancio e nelle prime
ore del pomeriggio era sotto 1,26. Una discesa che l'ha portata fino a un minimo di giornata di 1,2556 e che
sembra destinata a continuare nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Venerdì sera a New York, il
cambio viaggiava a 1,2640.
Se nel medio periodo un apprezzamento dell'euro non è giustificato dai fondamentali, nel brevissimo, per
riaccendere le pressioni al ribasso è bastato rendersi conto che in Grecia la formazione di un Governo solido e
deciso a portare avanti il risanamento non è cosa semplice né rapida e che comunque l'Eurozona ha altri punti
deboli che si alimentano a vicenda, come i rendimenti spagnoli ieri hanno ricordato.
Da tempo, banche d'affari e analisti prevedono una forte flessione dell'euro. Secondo Morgan Stanley, il dollaro
guadagnerà l'8,2% nel 2012. Dal 6 maggio, giorno del precedente voto ad Atene, quello che aveva mandato in
stallo la politica greca, l'euro ha perso quasi il 4% sul dollaro e il 5% sullo yen. Il 24 febbraio scambiava ancora
a 1,3487 dollari. Il recupero del l'1% messo a segno la scorsa settimana sembra poter essere archiviato come
una pausa tecnica.
Il calo dell'euro potrebbe essere più rapido se non ci fossero alcuni fattori a frenarlo. A cominciare dal
quantitative easing della Fed: dal 2008, la Banca centrale americana, che tiene i tassi prossimi allo zero, ha
immesso sul mercato 2mila miliardi di dollari. E un'altra iniezione (forse già alla fine di questa settimana) è
data quasi per scontata, considerando che l'economia stenta a prendere slancio con ripercussioni sul mercato del
lavoro che complicano la corsa di Barack Obama verso la riconferma alla Casa Bianca a novembre. L'Operation
Twist è ormai agli sgoccioli e i mercati sono sempre più convinti che Ben Bernanke si stia preparando a una
nuova campagna di allentamento monetario.
L'iniziezione di dollari potrebbe però non deprezzare il biglietto verde quanto ci si aspetterebbe. Dopo aver
scaricato fiumi di biglietti verdi nel 2011, le Banche centrali stanno ricostituendo le riserve in valuta estera e lo
stanno facendo al passo più rapido dal 2004. Al punto da lasciare il settore privato a corto di dollari. Sceso al
minimo record del 60,5% nel secondo trimestre del 2011, il peso del dollaro sulle riserve valutarie globali è
tornato al 62,1% a dicembre, in crescita dell'1,6%, secondo gli ultimi dati dell'Fmi. Sulla base di queste cifre,
Morgan Stanley ha calcolato che le operazioni delle Banche centrali hanno lasciato il settore privato con uno
scoperto di 2mila miliardi di dollari rispetto alle necessità dettate dalla crisi. Un gap che era di 400 miliardi di
dollari nel 2008. Questo spiegherebbe perché da metà aprile il dollaro si è apprezzato del 3,5% su un paniere di
valute, nonostante il contemporaneo consolidarsi delle aspettative per un nuovo allentamento monetario.
Un freno a una più repentina flessione dell'euro arriva anche dalla Svizzera: Berna sta cercando di difendere la
soglia posta a 1,2 nel cambio con il franco svizzero, per riuscirci spende decine di miliardi per comprare euro. E
qualcosa di simile sta cominciando a farla la Danimarca. I capitali che prima si rivolgevano alla Svizzera per
trovare un porto franco, sono stati deviati verso la corona danese e quella norvegese. La Danimarca, che dal
1999 ha un peg sull'euro, nell'ultimo mese ha speso per difenderlo più di quanto fatto dall'inizio del 2010.
COLPITI I TITOLI BANCARI
Dopo un avvio promettente tornano le vendite sul settore del credito In discesa anche Parigi,
positive Londra e Francoforte
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IL FILM DELLA GIORNATA
08:30 Samaras, via a consultazioni
Il vincitore delle elezioni Antonis Samaras inizia per la seconda volta in sei settimane le
consultazioni per formare il governo. Viene annunciato che incontrerà il presidente della
Repubblica alle 12.30 per ricevere l'incarico.
09:00 Prima reazione mercati
Con una decisa antipazione in Asia (dove l'indice Nikkei a Tokyo chiude a +1,8%), il sollievo
per la vittoria dei conservatori pro-euro in Grecia spinge le Borse europee a una fiammata
iniziale, con guadagni tra l'1% e quasi il 2%. L'euro recupera.
10:00 Dati sofferenze banche Spagna
Viene annunciato che i crediti in sofferenza (oltre i tre mesi) delle banche spagnole sono
saliti ai massimi da 18 anni in aprile, all'8,72% del totale. Il rendimento dei bonos decennali
supera il 7% e va ai massimi dell'Euro-era.
*il Sole 24ORE*
MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012
di: Vittorio Carlini
Paura su Madrid, volano gli spread
Il differenziale Bonos-Bund a 576 punti, il BTp a 464 punti dal decennale tedesco
«Tanto peggio tanto meglio». Era l'idea dei mercati che, puntando al risultato negativo (o di stallo) delle
elezioni greche, hanno speculato sull'intervento delle banche centrali. Le urne di Atene però, attribuendo la
vittoria ai conservatori pro-euro, hanno scongiurato l'azione. Così, gli hedge fund hanno chiuso le posizioni al
rialzo e venduto. È anche, e soprattutto, questa la motivazione indicata dagli esperti per il "paradossale" e
inatteso andamento di Borse e titoli di Stato di ieri. Cioè, nonostante lo scampato pericolo in Grecia gli asset dei
Paesi periferici di Eurolandia sono stati presi a sassate. In particolare, quelli della Spagna.
La Spagna sotto attacco
Già, la Spagna. Ancora una volta il suo debito pubblico ha vissuto una giornata al "cardiopalmo". Il
differenziale del titolo decennale sul Bund, dopo aver toccato il massimo a 589 punti base, ha chiuso a quota
576 (erano 544 venerdì). Cioè, un punto sopra al record italiano del novembre scorso. Il saggio del governativo,
dal canto suo, si è assestato al 7,17%: un valore, evidentemente, difficile da sostenere sul medio periodo. In
crescita, seppure su valori percentuali e assoluti ben minori, anche lo spread italiano: la differenza tra il BTp e il
governativo tedesco ha chiuso a 464 punti base (erano 449 in fine settimana scorsa), con il rendimento del
buono al 6,06% (5,95% lo yield di venerdì). In un simile contesto, giocoforza, il differenziale tra Madrid e
Roma si è allargato ancora di più, salendo oltre 110 punti base.
Un'elezione non risolve
Se questi i freddi numeri, quali le loro motivazioni? «Al di là delle mosse degli hedge fund – risponde Gianluca
Garbi, ceo di Banca Sistema –, bisogna ricordare che le elezioni di Atene non hanno risolto il problema». Certo,
hanno evitato di «aggiungerne un altro. E, tuttavia, i dilemmi dell'euro restano sul tavolo». «Rispetto alla
Spagna, poi - fa da Eco Sergio Pigoli, vecchio lupo di Piazza Affari -, da un lato c'è l'incertezza sulla contabilità
bancaria. Dall'altro, la loro forte esposizione sull'immobiliare e le società di calcio». Senza dimenticare, inoltre,
«il problema della presenza dei titoli tossici». Una situazione che, «anche a fronte – sottolinea Garbi – degli
scarsi volumi di questi giorni», permette grandi variazioni di prezzi sui titoli di Stato.
Quei balzi, all'insù e all'ingiù che ieri hanno visto di nuovo il «Fly to quality» verso il Bund tedesco. Il
rendimento del decennale è tornato a scendere: solo pochi giorni fa all'1,5%, nell'ultima seduta si è assestato
all'1,42%. Quindi, almeno in quest'avvio di ottava, gli investitori hanno ripreso le vecchie abitudini, pensando
al debito di Berlino come «il» bene rifugio. Un'impostazione di fondo che, tra le altre cose, è stata confermata
dall'andamento degli spread di altri Paesi: quello della Francia, dopo avert toccato il massimo di giornata a 122,
ha chiuso sempre in crescita a 119; la stessa tripla «A» olandese ha visto il suo differenziale "salire" fino a 54
punti base.
In un simile contesto, tra possibili contagi e la politica (soprattutto della Germania) che lascia le porte
spalancate alla speculazione anglo-americana, sorge una domanda: il rischio del break up dell'euro è ancora
dietro l'angolo? Garbi, ex ceo di Mts, fa professione d'ottimismo: «In primis, va sottolineato che sì la curva dei
rendimenti spagnola è spostata verso l'alto; e, tuttavia, non è invertita». Cioè, ancora non è replicato
completamente lo scenario che ha caratterizzò l'Italia in avvio di novembre scorso. «Inoltre, l'interbancario
funziona». Nel momento di maggiore tensione del 2011, «gli scambi sull'overnight avvenivano ad un tasso di
circa il 2,5%». Adesso, invece, il saggio è attorno allo 0,3%. Insomma, lo spazio per intervenire ancora c'è. Ma
si restringe sempre più. Come, purtroppo, potrebbe dimostrare anche l'asta a breve di oggi sui Bonos spagnoli.
IL PESO DEI FONDI
Molti hedge puntavano a un esito anti-euro del voto di Atene: ieri hanno chiuso le posizioni e
venduto i titoli di Stato
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IL FILM DELLA GIORNATA
10:20 - Inversione di rotta dei mercati
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L'iniziale entusiasmo evapora in un dietro-front dei mercati guidato da Spagna e Italia, dove
il calo degli indici di Borsa supera rapidamente l'1% (mentre ancora Francoforte, Parigi e
Londra tengono). L'euro esaurisce la sua spinta.
11:45 Berlino: nessuno sconto ad Atene
Un portavoce del Governo tedesco, Georg Streiter, gela l'atmosfera correggendo le aperture
indicate dallo stesso ministro degli esteri Guido Westerwelle. «Ora non è il momento per
alcun tipo di sconti alla Grecia», dichiara Streiter.
14:00 Si aggravano le perdite
I decennali spagnoli toccano un rendimento del 7,21% con un balzo di 34 punti base, mentre
quelli italiani arrivano al 6,1%. Gli operatori guardano ai problemi continentali al di là di
Atene, dove la Borsa resta solitaria in netta ripresa.
*il Sole 24ORE*
MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012
di: Mario Sarcinelli
L’euro si cura con la crescita tedesca
Servono integrazione fiscale e bancaria ma anche politiche macroeconomiche differenziate
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Economisti, politologi e giornalisti danno voce alle apprensioni di molti e si esercitano a stendere protocolli di
cura di non facile applicazione. Con l'euroscetticismo in aumento anche laddove era flebile minoranza, la via
della guarigione è dai più indicata nella comunitarizzazione, totale o parziale, dei debiti pubblici dell'Eurozona.
È questa un'idea che spunterebbe sicuramente le unghie alla speculazione che si avventa sui debiti sovrani
dell'Europa meridionale per la frammentazione degli stessi; infatti, le finanze pubbliche di Stati Uniti, Regno
Unito e Giappone non sono in migliori condizioni, ma pagano interessi bassissimi, rispetto a quelli italiani o
spagnoli. La comunitarizzazione dei debiti, però, incontra la decisa opposizione della Germania e degli altri
paesi "virtuosi"; come ha ricordato Hans-Werner Sinn, presidente dell'Ifo Institute, sul New York Times del 12
giugno, non solo v'è il divieto di salvataggio nel Trattato di Maastricht, ma anche una Corte a Karlsruhe che lo
farebbe rispettare. Una condivisione del rischio - egli ha aggiunto - è possibile tra gli stati dell'Europa, soltanto
dopo che avranno dato luogo a una comune nazione, con una costituzione, una superstruttura legale, un
monopolio della forza per il rispetto della legalità, un esercito per la difesa esterna. In altre parole, l'Unione o
almeno l'Eurozona si deve trasformare in una federazione, sola struttura che giustifica l'appello alla solidarietà;
quest'ultimo appare oggi alla maggior parte dei tedeschi carico di azzardo morale e foriero di ulteriori richieste
da parte dei prodighi Gipsi. Che un'unione monetaria, eliminando il tasso di cambio dagli strumenti di
aggiustamento e rimpiazzandolo con la molto più faticosa "svalutazione interna", avesse bisogno per
sopravvivere di una qualche funzione centralizzata di finanza pubblica ne ero convinto sin dagli anni 80. Infatti,
già nel 1969 Peter Kenen aveva sostenuto che un'unione monetaria doveva essere accompagnata da una qualche
forma di unione fiscale, poiché un'imposta federale basata sul reddito è in grado di assorbire gli effetti di shock
derivanti da spostamenti esogeni della domanda tra i beni prodotti all'interno e quelli di origine estera e che
questa maniera di attutire l'impatto era superiore alla stabilizzazione, sia discrezionale sia automatica, fatta a
livello regionale. Parecchi anni più tardi, Kenen ha affermato che un'unione fiscale non è essenziale per
l'efficace funzionamento di quella monetaria, ma è di aiuto nel compensare per l'imperfetta rispondenza della
politica monetaria unica alle esigenze di ciascun paese membro. All'indomani dell'approvazione del Rapporto
Delors, fui invitato dal presidente della Commissione europea, insieme con alcuni suoi stretti collaboratori, ad
una colazione riservata durante la quale mi venne chiesto, essendo presidente del Comitato monetario, di
esprimere la mia opinione sul Rapporto che sarà alla base dell'Unione economica e monetaria. La mia
principale osservazione fu: manca una trattazione, almeno un riferimento alle problematiche di fiscal policy. La
risposta di Delors fu immediata e netta: a me è stato chiesto di delineare un'unione monetaria, non di riscrivere
il Trattato di Roma. Il problema era, quindi, ben presente ai padri fondatori, ma l'indisponibilità politica ad
affrontarlo portò al sostanziale fallimento della Commissione intergovernativa per l'unione politica. Negli anni
in cui l'euro si è affermato come moneta sia all'interno sia sul piano internazionale non v'è stata una sufficiente
lungimiranza per correggere la zoppia da cui era affetto sin dalla nascita. Si è fatto affidamento sull'integrazione
finanziaria e sui mercati: nella buona congiuntura l'abbondante offerta di fondi ha contribuito a gonfiare la bolla
edilizia in Irlanda e Spagna e a non arginare il pubblico disavanzo in Portogallo, Italia e Grecia, paese dove i
conti però erano stati a lungo truccati; in quella avversa ha spinto fortemente i tassi verso l'alto nei Gipsi e verso
il basso in quelli forti, ha squilibrato nello stesso senso i processi di rifinanziamento del debito, ha ridotto il
grado di integrazione finanziaria in Europa. Si può oggi rapidamente dar vita a una funzione fiscale
centralizzata di una qualche dimensione in una cornice federativa? Temo che la crisi non conceda i tempi
necessari per un simile salto nella costruzione dell'Europa, mentre sono ancora in attesa di ratifica da parte di
molti stati il Trattato su stabilità, coordinamento e governo dell'Uem e quello istitutivo del Meccanismo
europeo di stabilità. Tuttavia, l'iniziativa per il lancio dell'Unione federativa e fiscale andrebbe presa con ogni
urgenza per dimostrare che la fiducia nell'avvenire dell'Eurozona è ancora forte e che ad essa si vuole pervenire
in tempi certi. Con altrettanta decisione e maggiore velocità si deve procedere con l'Unione bancaria,
unificando la supervisione, l'assicurazione dei depositi, la liquidazione delle entità divenute insolventi. Per
convincere i mercati a togliere l'assedio ai Gipsi e per rendere nuovamente l'Europa all'interno dei singoli stati
membri un obiettivo in grado di assicurare la pace al livello politico e a quello economico, è necessario che si
torni a crescere nei paesi assoggettati a massicce dosi di rigore e austerità. Un comprensibile impulso da parte
della Germania per rafforzare i meccanismi di controllo comunitario sulla finanza pubblica si è avuto nel bel
mezzo di una crisi finanziaria; esso si è ben presto riverberato sull'economia reale, aggravandone la recessione.
I fautori del rigore a tutti i costi continuano a sostenere che solo dopo avere messo in ordine i conti pubblici i
mercati si convinceranno a ridare fiducia ai paesi oggi in disavanzo e/o sovra-indebitati, le aspettative
torneranno ad essere positive e il processo di crescita si riavvierà. È questo un ragionamento, a mio avviso, che
non vale se tutti o quasi i paesi europei e in particolare quelli dell'Eurozona devono condurre politiche di
austerità, poiché in tal caso la caduta dei redditi si ripercuote sulla domanda che a sua volta, a catena, si riflette
negativamente sull'offerta, determinando una spirale recessiva, passibile di sfociare in una depressione. Perché
l'austerità in uno o più Paesi ne possa correggere gli squilibri di finanza pubblica è necessario che il o i Paesi
che si trovano in condizioni di equilibrio o almeno di minore squilibrio o l'Unione europea come istituzione
abbiano la volontà di accrescere la propria domanda interna in modo da permettere a quelli che sono costretti ad
attuare una politica restrittiva di poter contare su maggiori esportazioni all'interno dell'area. In mancanza di una
politica macroeconomica differenziata, restrittiva per chi è in forte squilibrio ed espansiva per chi non è in tale
situazione, un'unione monetaria che ha come obiettivo prioritario la lotta all'inflazione è destinata a spingere
sempre più paesi verso la recessione e l'instabilità (vedi il caso dei Paesi Bassi), a prolungare nel tempo il ciclo
recessivo e a veder porre in discussione in misura crescente il ruolo e i benefici della moneta unica. L'Unione
federativa e fiscale, l'Unione bancaria e, soprattutto, una politica macroeconomica differenziata sono, a mio
avviso, le uniche iniziative in grado di mantenere integra l'Eurozona, sia pure con l'aiuto dei muri tagliafuoco
per i piccoli paesi. L'incendio divorerà la Spagna e l'Italia se ai miglioramenti sul lato dell'offerta da parte dei
governi nazionali non si accompagnerà un'azione sul lato della domanda da parte della Germania e degli altri
"virtuosi".
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IL RETROSCENA
Quando nacque l’Uem osservai che mancava un riferimento alla fiscal policy ma Delors mi
rispose che non poteva riscrivere il Trattato di Roma
*il Sole 24ORE*
MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012
di: Cesare Peruzzi
Credito. A Rocca Salimbeni manca un miliardo per centrare i requisiti dell’Eba
Ipotesi Tremonti-bond
nel piano industriale Mps
Lunedì prossimo le azioni per il rilancio all'esame del cda
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FIRENZE
Sarà un piano industriale ispirato al rigore e al taglio dei costi. Chi si aspetta novità strategiche dal documento
programmatico 2012-2015 che il consiglio d'amministrazione di Banca Mps, presieduto da Alessandro
Profumo, porta in approvazione lunedì prossimo e l'amministratore delegato Fabrizio Viola presenta in
pubblico il giorno successivo, rischia di restare deluso. È il ritorno a livelli adeguati di redditività l'obiettivo
principale del gruppo (nei primi tre mesi dell'anno l'utile netto è stato di 54,5 milioni) e per centrarlo Viola
potrebbe anche decidere d'ispirarsi a modelli già sperimentati in ambito industriale. Prospettiva che non piace al
fronte sindacale.
«In un momento in cui si paventano pesanti tagli salariali a senso unico e si sta per presentare un piano
industriale nel quale il rischio di esuberi e di cessioni indiscriminate di asset cominciano a diventare concreti, le
organizzazioni sindacali chiedono di aprire immediatamente un confronto su questioni come premio aziendale,
previsioni normative disattese e il tema dei costi - dice un comunicato diffuso ieri -. Altrimenti, di fronte a
ulteriori disapplicazioni contrattuali, la mobilitazione sarà generale».
Il fronte esterno non è più tranquillo. Viola deve realizzare entro giugno un rafforzamento patrimoniale
"straordinario" per 3,2 miliardi, secondo le richieste dell'Autorità bancaria europea (Eba), ma all'appello manca
circa un miliardo. Per trovarlo, la banca di Rocca Salimbeni sta valutando l'emissione di cosiddetti Coco-bond
(titoli ibridi che si convertono automaticamente in capitale quando il coefficiente patrimoniale scende sotto una
certa soglia), ma tra le ipotesi circolate (e non confermate) in questi giorni c'è anche la possibilità di un nuovo
utilizzo dei Tremonti-bond, a cui Siena ha già ricorso nel 2009 per 1,9 miliardi (non ancora restituiti).
I T-bond, per i quali comunque servirebbe l'ok del ministero dell'Economia (tecnicamente i termini possono
essere riaperti), sono titoli ugualmente onerosi ma rispetto ai Coco-bond avrebbero alcuni vantaggi: sono
remunerati al pari delle azioni (cioè zero se non c'è dividendo, com'è stato per l'esercizio 2011) e
concentrerebbero nelle mani dello Stato questa forma di "esposizione" del gruppo, che ha in portafoglio 26
miliardi di Btp.
Il valore dei titoli Montepaschi è anche al centro del confronto tra la Fondazione Mps e le 12 banche creditrici
dell'Ente senese. L'accordo raggiunto prevede la restituzione di 664 milioni e la rimodulazione al 2017-2018
per altri 350 milioni. La garanzia di questo credito naturalmente è costituita da azioni Mps (la Fondazione ha il
36,5% della banca che oggi in Borsa vale 2,3 miliardi) e il fatto che siano nuovamente scivolate sotto i 20
centesimi non ha aiutato la trattativa. Che infatti formalmente non è ancora chiusa, al punto che la moratoria
(standstill) in scadenza ieri sarà in qualche modo prorogata per l'ennesima volta, in attesa che tutte le parti si
decidano a firmare i contratti relativi alla nuova intesa. Dovrebbe essere questione di giorni. Almeno così
assicurano a Siena.
*il Sole 24ORE*
MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012
di: Celestina Dominelli
Riassetti. Per «snellire i processi interni»
Ghizzoni: UniCredit verrà riorganizzata
ROMA
Uno sguardo al futuro della sua banca con l'obiettivo di «appiattire il gruppo per essere locali e internazionali
allo stesso tempo», come già previsto nel piano strategico. E l'altro puntato oltreconfine al vertice Ue di fine
giugno. «L'ideale sarebbe alcune soluzioni concrete subito e una road map per l'integrazione europea nel lungo
periodo». L'amministratore delegato di UniCredit, Federico Ghizzoni, coglie l'occasione di una conferenza,
organizzata da Italiadecide di Luciano Violante a chiusura del corso 2011-2012 della Scuola per le politiche
pubbliche, e ribadisce i prossimi traguardi rispondendo alle domande degli studenti. «Abbiamo deciso di
ripensare l'organizzazione del gruppo. Faremo un annuncio a breve. Daremo più autonomia alle realtà locali
con più efficienza sul territorio per un maggiore controllo dei costi e risposte più rapide ai clienti. La
riorganizzazione vale sia in Italia che fuori dall'Italia».
L'ad ha quindi ricordato che il gruppo conta 160mila dipendenti, di cui 60mila circa non hanno contatti diretti
con i clienti. «Abbiamo gente che ha voglia di lavorare, lavativi nel gruppo non ce ne sono, ma bisogna
semplificare». Riducendo gli sportelli? Ghizzoni ricorda che è un processo avviato da tempo (negli ultimi due
anni e mezzo ne sono stati tagliati 800), ma che va valutato in base ai servizi da fornire al cliente. «Non si può
decidere a priori quanti sportelli tagliare», spiega l'ad. Quello che invece si deve fare è puntare «alla snellezza
dei processi interni».
Il numero uno di UniCredit torna poi, sollecitato dagli studenti, sulle richieste di Basilea 3 («si poteva
procedere in modo più graduale») e mette in guardia sulle conseguenze dei requisiti di liquidità contenuti nella
prima bozza. «Il rischio è quello di un impatto negativo peggiore» rispetto alle regole sul capitale. «Spero
prevalga il buon senso», aggiunge indicando di avere la percezione che ci sia «la tendenza a spostare la palla
più avanti, proprio per studiare gli effetti recessivi». Le regole, chiarisce, imporrebbero «il matching delle
scadenze tra depositi e impieghi ma è molto difficile farlo».
Poi l'attenzione si sposta sul vertice Ue del 28 giugno. «Mi sembra che ci sia una maggiore coscienza rispetto al
passato dell'urgenza di fare le cose. Oggi i Governi europei hanno maturato l'idea di fare qualcosa». Ed elenca
alcune misure da mettere subito in campo per il sistema finanziario: la supervisione europea sui grandi gruppi
(«ci semplificherebbe la vita»), il fondo di garanzia per i depositi europeo e il resolution fund per le crisi
bancarie nell'Ue. Mentre sugli eurobond risponde così. «Non si può pensare di mutualizzare il debito prima di
concordare politiche fiscali comuni».
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Rassegna Stampa del giorno 19 Giugno 2012
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PRESTO L’ANNUNCIO
Management al lavoro: il progetto punta a dare più autonomia alle realtà locali per
migliorare l'efficienza sul territorio e ridurre i costi
*il Sole 24ORE*
MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012
di: Riccardo Sabbatini
Assicurazioni. L’Isvap: commissario ad acta se non si sanano le «gravi irregolarità»
FonSai riunisce il consiglio
sull’azione di responsabilità
Il collegio sindacale: Cappelli non è indipendente
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Per la prima volta il Cda di Fonsai sarà chiamato a giudicare i Ligresti e i vecchi amministratori del gruppo per
la girandola di operazioni in conflitto d'interesse (complessivamente per 500-600 milioni) che hanno
depauperato la società durante la loro gestione. La riunione del board, in programma per oggi e che sarà seguita
nei prossimi giorni da riunioni analoghe, è stata convocata in fretta e furia per rispondere all'Isvap che venerdì
ha inviato le sue contestazioni al gruppo minacciando di nominare un commissario ad acta in caso di risposte
non soddisfacenti.
La posta in gioco è alta: azioni di responsabilità nei confronti di amministratori che il consiglio potrebbe
proporre a una nuova assemblea degli azionisti (successiva a quella già convocata per fine mese). L'Isvap ha
dato due settimane di tempo al cda di Fonsai – precisa una nota diffusa ieri dalla stessa compagnia – «per far
cessare definitivamente le irregolarità riscontrate e rimuoverne gli effetti». Non solo. Dovranno essere
«individuate e perseguite eventuali responsabilità nel compimento delle operazioni contestate e, per i compensi
a vario titolo corrisposti alle parti correlate, assumendo idonee iniziative per il recupero degli esborsi fatti, ove
ne ricorrono i presupposti». L'atto d'accusa dell'Isvap riguarda 10 operazioni immobiliari che Fonsai ha
sottoscritto con le società dei Ligresti dal 2003 al 2010, le consulenze d'oro (per circa 40 milioni) pagate al
presidente onorario del gruppo Salvatore Ligresti, le retribuzioni spropositate incassate dai suoi figli Jonella e
Paolo, le sponsorizzazioni (in tutto 3,4 milioni) alla società che gestiva il cavallo di Jonella Ligresti Toulon, la
transazione con cui il gruppo alberghiero Atahotel è stato ceduto alla compagnia.
Per ciascuna operazione dovranno essere esaminate le relative delibere assembleari, valutate le osservazioni
dell'Isvap, quantificati i danni subiti dalla società, individuate le responsabilità. Alla fine il Cda, per le colpe
attribuibili ai vecchi amministratori – tra cui potrebbe esservi l'ax Ad Fausto Marchionni – non potrebbe far
altro che chiamare a raccolta gli azionisti per decidere un'azione di responsabilità. Sempre che, in questo, non
venga anticipato dal collegio sindacale che ha prerogative analoghe a quelle dell'assemblea. Ma un'azione di
responsabilità, anche se non sociale, potrebbe essere direttamente portata avanti da azionisti con una
partecipazione superiore al 2 per cento (ad esempio i fondi Sator e Palladio che arrivano all'8%). In caso di
passività un commissario ad acta – come prevede art. 229 del codice delle assicurazioni – si sostituirà nel
compito agli amministratori.
Il nuovo filone avviato dall'Isvap non interferisce con l'autorizzazione che l'authority è chiamata a dare – i
termini scadono a fine settimana – sull'integrazione Fonsai-Unipol. E neppure su quella attesa negli stessi tempi
dalla Consob. Probabilmente se fosse avviata rapidamente un'azione di responsabilità nei confronti dei vecchi
amministratori di Fonsai anche il tema della manleva ai Ligresti – la rimozione di quel salvacondotto è stata
richiesta dalla Consob per esentare l'acquisizione di Premafin da un'Opa – sarebbe superato nei fatti.
Il Cda di oggi discuterà anche la "indipendenza" del consigliere Roberto Cappelli, requisito che il collegio dei
sindaci (tornando su un precedente orientamento) non gli ha riconosciuto. Probabilmente per i suoi rapporti con
UniCredit. Il fatto è che Cappelli è risultato decisivo, nel comitato degli indipendenti, per approvare
l'operazione con Unipol. È anche vero però che lo stesso comitato è stato integrato in questi gironi con altri due
consiglieri "favorevoli".
Ieri, infine, scadeva l'offerta alternativa ma "non vincolante" di Sator e Palladio. Fonsai ha inviato una nuova
lettera ai due fondi per indicare in che modo il confronto può proseguire. Un'iniziativa che, al di là del merito,
sembra soprattutto volta a evitare successivi guai legali
*il Sole 24ORE*
MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012
Dal nostro inviato Marco lo Conte
Investimenti. L'indagine annuale di Intesa e Centro Einaudi
Crolla il risparmio, una famiglia
su due intacca il patrimonio
Le scelte di portafoglio restano prudenti
TORINO.
L'impatto della crisi dell'ultimo anno è tutto in una manciata di dati che spiegano quanto soffre il risparmio
degli italiani: riesce ad accantonare qualcosa solo il 38,7% del totale contro il 47,2% dello scorso anno e si
riesce a risparmiare solo il 4,1%, dal 4,2% dello scorso anno ma soprattutto dal 7,6% del massimo storico del
1998. E allo stesso tempo aumentano i comportamenti prudenti, almeno da parte di chi riesce a metter da parte
qualcosa: il 10,7% del reddito di costoro viene messo da parte, contro il 9% del 2011 e il 7,3% del minimo del
2004. Sono alcuni dei risultati principali dell'Indagine sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani nel
2012, condotta da Intesa Sanpaolo, in collaborazione con il Centro Einaudi e la Doxa. Un sondaggio sui
comportamenti finanziari di 1.053 capifamiglia, intervistati tra il gennaio e il febbraio scorsi. L'impatto della
crisi, indistricabilmente ormai economica e finanziaria, sui redditi è evidente: solo il 45,7% dichiara entrate
sufficienti per il proprio stile di vita (era il 53,4% un anno fa e il 71,7% nel 2002). E di converso al massimo
storico è la percentuale di chi dichiara entrate insoddisfacenti (12,5%).
Il petrolio dell'Italia, ossia il risparmio, si riduce, si deprezza, si intacca. Almeno per il 46,2% degli italiani. E
crolla di dieci punti percentuali, al 61,5% dal 71,1%, la quota di chi ritiene il risparmio utile per gestire le
proprie esigenze di vita. L'indagine – tra le più ricche di spunti, dati, rilevazioni sul comportamento finanziario
degli italiani – ha verificato come in questo contesto i risparmiatori stiano rifocalizzando priorità e
comportamenti: non si risparmia quasi più per acquistare la casa, nel 2012 priorità per il 5,5% degli italiani, dal
12,7% del 2011 e il 25,7% del 2004; quanto per aiutare i figli, per il 19,5%, oppure per integrare la pensione
futura, per il 12,8% dal 9,3 del 2005. La recente riforma Monti-Fornero ha ridotto al minimo storico la quota di
chi ritiene che disporrà di una pensione sufficiente, al 20,5% (dal 26% e dal 58% del 2002). Il tema della
trasmissione delle ricchezze ai figli è stata anche l'occasione per fare un focus su un tema monografico;
quest'anno i ricercatori hanno analizzato il comportamento di 1.002 baby-boomers, nati tra il il 1961 e il 1976,
segmentati in tre sottocategorie. I loro comportamenti risultano sopra il benchmark complessivo italiano e la
loro priorità di risparmio – assoluta per uno su cinque – sono i figli, di cui percepiscono le maggiori incertezze
rispetto alla propria vicenda. Le scelte di portafoglio degli italiani restano improntate alla prudenza: in un
contesto in cui la metà dei risparmiatori considera più difficile investire oggi (il 47,3%), l'obbligazione detiene
il ruolo prìncipe del portafoglio; con la sicurezza obiettivo prioritario per il 53% del totale, mentre solo il 7%
vuole incrementare il capitale nel medio e lungo termine. Tra le fonti di informazione si registra una crescita di
interesse rilevante della stampa, passata in un anno dal 22,6% al 27,4%, più del web, salito dal 129,6 al 23%.
L'indagine registra, dunque, il tentativo del sistema economico e finanziario di procedere a un giro di boa: «Non
dobbiamo avere nostalgia per il passato. La crescita degli anni 70 era crescita drogata, che ha prodotto tra l'altro
il debito pubblico attuale – ha detto Gregorio De Felice, capoeconomista di Intesa Sanpaolo –. Ci troviamo in
presenza di uno snodo doloroso: bisogna spiegare perché è necessario fare sacrifici». «Occorre rigore e fiducia
– ha detto Andrea Beltratti, presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo –, ma anche prospettiva:
occorre guardare al medio e lungo termine, aiutare i figli non deve essere un'ossessione ma una pianificazione.
Da realizzare diffondendo l'educazione finanziaria soprattutto tra i giovani».
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EFFETTO-CRISI
La percentuale di chi riesce a mettere da parte qualcosa scende in un anno dal 47,2% al
38,7%©
*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI Stefania Tamburello
I mercati non si fidano, giù le Borse
Spread record a 579 in Spagna dopo il voto greco. Il G20: priorità alla crescita Piazza Affari
perde il 2,85%. Il confronto tra Obama e Merkel sugli aiuti
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LOS CABOS — I mercati non si fidano. Dopo aver salutato positivamente, in apertura, l'esito delle elezioni
greche che hanno premiato la componente politica europeista, hanno virato con decisione e sono tornati a
mostrare scetticismo sulla tenuta dell'euro. Colpa del ritorno dei timori sulle banche spagnole ma anche di una
scarsa convinzione sulla capacità dell'Europa di manifestare la propria unità politica oltre che monetaria. A
condizionare l'andamento delle Borse e dei titoli di Stato sono state le nuove e forti pressioni sui Bonos
spagnoli i cui rendimenti sono tornati a toccare la soglia limite del 7% con spread sui Bund tedeschi in volo
oltre i 580 punti. Ne hanno risentito in particolare i Btp italiani che indeboliti hanno visto crescere i rendimenti
al di sopra del 6% con un differenziale per i decennali di 467 punti. Tra i listini, Milano ha chiuso in perdita,
anche a causa dello stacco delle cedole, del 2,85% superata solo da Madrid in calo del 2,96 mentre Parigi ha
lasciato sul terreno lo 0,69%. Stabili Francoforte (+0,3%) e Londra (+0,22%).
Agli investitori dunque il voto in Grecia, pure importante per la definizione di un quadro generale più
tranquillo, non basta. Non fuga i dubbi sul futuro dell'euro. E certo non aiuta la conferma arrivata ieri mattina
della posizione tedesca, sfavorevole a ogni ammorbidimento o dilazione degli impegni presi da Atene per
ottenere gli aiuti della Ue e del Fmi: «Non ci si può allontanare dalle riforme. Dobbiamo contare sul fatto che la
Grecia si atterrà ai suoi impegni», ha detto la cancelliera Angela Merkel prima dell'apertura del vertice dei
leader di Stato e di governo del G20 a Los Cabos, punta estrema della Baja California in Messico. Merkel ha
gelato così le aspettative di un trattamento più flessibile rispetto all'austerità chiesta ad Atene, che sembrava
profilarsi subito dopo il voto per sostenere la formazione del governo guidato da Nuova Democrazia. L'Europa
e le turbolenze sui mercati restano dunque al centro delle discussioni del G20. «Siamo estremamente aperti e
pronti a impegnarci con i nostri partner, ma certo non siamo qui per prendere lezioni da nessuno. Le sfide non
sono solo europee, ma globali», ha affermato il presidente della Commissione Ue José Manuel Barroso. Ma è
fuor di dubbio che i problemi del Vecchio Continente siano i più immediati da affrontare: «Il mondo è
preoccupato per il rallentamento della crescita e molta attenzione viene data all'Europa. È tempo di agire» ha
affermato Barack Obama, sempre più preoccupato per l'impatto della crisi europea sull'economia Usa alla
vigilia del suo test elettorale e comunque fiducioso sulle prospettive del voto greco. Il presidente Usa ha
incontrato Merkel e ha partecipato al maxi vertice a tarda notte con i leader europei. A Los Cabos però gli
incontri bilaterali sono stati forse più importanti delle riunioni ufficiali. Perché hanno dato modo ai vari leader
di affrontare i temi più urgenti. Al di là dei richiami, espressi nella sede plenaria, per mettere in atto «tutte le
misure necessarie per rafforzare la domanda, sostenere la crescita globale e ristabilire la fiducia», come si legge
nella bozza del comunicato finale. In cui si sottolinea l'impegno dell'Europa a «fare i passi necessari per
salvaguardare la stabilità del sistema finanziario, rompendo il circolo vizioso tra le banche e il debito degli
Stati». E si esprime l'auspicio che la Grecia sia sostenuta nel rimanere all'interno dell'eurozona. Per i leader dei
Venti, comunque, «una crescita solida, sostenibile ed equilibrata rimane la principale priorità, in un'ottica di
maggiore creazione di occupazione e aumento del benessere della popolazione di tutto il mondo».
*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI Massimo Gaggi
«Ma perché noi dobbiamo
pagare il vostro conto?»
I dubbi dei Brics. Grilli: speriamo nell'accordo al vertice Ue
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LOS CABOS (Messico) — «Non so esprimermi in un inglese raffinato come il vostro, ma credo che riusciate a
capirmi quando dico che i Paesi emergenti, che ancora sono molto poveri, soffrono più degli altri per la crisi
economica: la risoluzione del G20 deve rispecchiare questa realtà», non solo le preoccupazioni per il
salvataggio dell'euro. La giovane «sherpa» del governo argentino parla nella sala imbandierata dove i
rappresentanti dei governi del «direttorio del mondo» (venti Paesi che rappresentano i due terzi della
popolazione e quasi il 90 per cento del Pil planetario) emendano la bozza del comunicato finale del vertice. Il
testo scorre su grandi schermi appesi alle pareti. Le frasi-chiave appaiono scritte in rosso, i termini sui quali ci
si accapiglia, soprattutto il significato da dare alla parola «crescita», vengono evidenziati con uno sfondo
azzurro.
È un impegno estenuante: un numero infinito di ore di lavoro a porte chiuse. O quasi, visto che un servizio di
sicurezza messicano alquanto tollerante lascia filtrare qualche giornalista. L'Argentina non ha molto peso nel
G20, né il suo governo è tra i più credibili. Ma questo appello accorato, che lascia freddi i governi occidentali,
si guadagna subito l'appoggio convinto del rappresentante del governo cinese, mentre anche lo «sherpa»
indiano, barba e turbante, si schiera al suo fianco.
È solo un «flash» di un G20, quello iniziato ieri a Los Cabos, sulle coste messicane bagnate dal Pacifico, che si
sta rivelando un vero calvario: per i leader europei, messi sotto accusa dal resto del mondo che li considera
responsabili del nuovo aggravamento della crisi economica internazionale; per la Germania assediata da tutti gli
altri che le chiedono di farsi carico dei problemi dell'euro; per Barack Obama che sollecita, suggerisce, incalza,
ma qui tocca con mano le conseguenze dell'indebolimento della leadership Usa. E anche per gli stessi
emergenti, dalla Cina al Brasile all'India: alzano la voce nei confronti dell'Europa perché sono spaventati.
Fino all'anno scorso guardavano alle difficoltà economiche nelle quali l'Occidente di dibatte dal crollo della
Lehman, nel 2008, con un certo distacco, visto che le loro economie continuavano a crescere tumultuosamente.
Negli ultimi mesi tutto è cambiato: la crescita per alcuni di loro c'è ancora, ma sta diventando anemica, per altri
sta sparendo. Così questi governi, dopo gli anni del miglioramento delle condizioni di vita di popoli che si
stanno sollevando dalla povertà, temono ora di trovarsi all'improvviso a gestire situazioni sociali difficili.
Alcuni Paesi sembrano soprattutto implorare, come l'Indonesia e il Messico, che hanno ancora il fresco ricordo
della disastrosa crisi del 1990 e chiedono ai Grandi di aiutarli a non ricadere in quell'incubo. Altri reagiscono
alzando la voce e spingono uno stizzito Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, a replicare con
altrettanta durezza: «Non siamo venuti qui a prendere lezioni di democrazia». Ma intanto i Brics (la «lega»
degli emergenti, dalla Cina all'India) non hanno ancora definito il loro contributo ai 430 miliardi di dollari del
«firewall» a protezione dell'euro che il Fondo monetario si era impegnato ad erigere già nel vertice di due mesi
fa. Accanita soprattutto la resistenza del Brasile. La questione forse si sbloccherà oggi, ma è diventata un altro
incidente significativo.
Le parole di Barroso materializzano i timori di chi pensa che vertici come questo, benché assai più
rappresentativi delle nuove realtà mondiali del G8, non siano in grado di concludere accordi concreti, che
vadano oltre i documenti generici, proprio per le enormi differenze — economiche ma anche di interessi e di
sistemi politici — degli attori in campo.
D'altra parte i problemi sono acuti anche all'interno dell'Occidente, area che, pure, è abituata a parlare una
lingua politica ed economica comune. Obama, ostenta toni collaborativi, ma è anche spazientito da una crisi
europea che pesa negativamente sulle sue prospettive di rielezione. Alla fine di un vertice col presidente
messicano Felipe Calderon, esprime soddisfazione per l'esito del voto in Grecia, si dice incoraggiato. Ma, anche
se è stato evitato il «Dracmageddon», i mercati restano scettici e impauriti. Il presidente Usa chiede così
all'Europa misure adeguate per restituire credibilità alla sua valuta senza lasciare spazio alle nuove tentazioni
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protezioniste che si diffondono nel mondo. Obama incalza la Merkel in ben due incontri: prima in un faccia a
faccia dopo il pranzo del G20, poi in un vertice a tarda sera con i leader europei presenti a Los Cabos, da Monti
a Hollande.
Il premier italiano, impegnato anche lui a ricucire e mediare, continua a esercitare le sue pressioni discrete sulla
Merkel, ma ricorda anche a Obama che questa crisi che oggi ha il suo epicentro in Europa, «è nata da squilibri
macroeconomici in altri Paesi, con gli Stati Uniti protagonisti».
«È un percorso accidentato che speriamo abbia un lieto fine col Consiglio europeo dei prossimi giorni, che la
Germania alla fine prenda atto di quello che tutti le chiedono anche qui a Los Cabos» commenta pensoso il
viceministro dell'Economia Vittorio Grilli, sul balcone affacciato sull'oceano dell'Hacienda del Mar, l'albergo
che ospita Monti. «Oramai le cose da fare sul debito e sulla crescita sono chiare, è l'ora degli impegni. La
pressione, soprattutto del mondo anglosassone, quello che ha più peso sui mercati, è fortissima. E le difficoltà
di Paesi che fino a ieri sembravamo tranquilli, come l'India, aggiungono pressione. Se anche loro si fermano da
dove riparte la crescita?» Il comunicato finale la invoca a gran voce, ma senza entrare nel dettaglio, perché
Berlino è contraria a politiche fiscali espansive. «La Germania ci ha promesso che aumenterà i salari» per
sostenere la domanda, aggiunge Grilli. «Non so se lo stia già facendo».
*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Paolo Lepri
Merkel detta le condizioni ad Atene
«No a sconti sui tempi delle riforme»
Respinta l’idea di «eurobond leggeri»: «Sono solo i fratelli minori»
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BERLINO — Angela Merkel lo aveva detto prima delle elezioni e lo ha ripetuto all'indomani del voto. «La
Grecia deve rispettare gli impegni». Nessuno sconto. Né sui contenuti del piano di riforme previsto dagli
accordi con Unione Europea, Bce e Fondo monetario internazionale, né tantomeno sui tempi per realizzarlo. Se
sia una posizione tattica lo si vedrà nei prossimi giorni, ma la cancelliera ha preferito mettere le cose in chiaro
arrivando al G20 in Messico. «Bisogna dimostrare — ha affermato — che si è in grado di portare a termine il
percorso concordato».
Più tardi deve aver ribadito la sua linea in un incontro con Barack Obama, tanto che il presidente Usa si è detto
«incoraggiato» dal colloquio con la Merkel, convinto che i leader del vecchio continente siano sulla strada
giusta per «promuovere la stabilità finanziaria e accrescere l'integrazione europea»
La precisazione della cancelliera al G20 era giunta dopo che il ministro degli Esteri Guido Westerwelle,
commentando i risultati usciti dalle urne, si era espresso per una possibile revisione dell'«arco temporale» delle
riforme chieste ad Atene. L'ex leader del partito liberale ha poi corretto parzialmente il tiro, riconoscendo però
il fatto che sono state perdute alcune settimane nella campagna elettorale e che bisogna stabilire che cosa questo
significhi per la realizzazione del programma di austerità. Le parole del ministro degli Esteri sono state
«sovrainterpretate», è stato il senso del briefing governativo di ieri mattina a Berlino. «Non è questo il
momento delle concessioni», ha tagliato corto uno dei portavoce della cancelliera, Georg Streiter, all'ennesima
domanda sulle dichiarazioni di Westerwelle.
Il problema, però, è che anche le forze greche filoeuropee vogliono che gli accordi siano rivisti. Rispondendo
indirettamente al vincitore delle elezioni, il leader di Nuova democrazia Antonis Samaras, che ha ribadito la
necessità di rinegoziare il «memorandum» «per fare uscire il popolo dalla dolorosa realtà della
disoccupazione», la cancelliera è stata molto ferma. «Non possiamo fare compromessi — ha sostenuto — sulle
tappe delle riforme che sono state oggetto di un accordo». Anche Jörg Asmussen, il rappresentante della
Germania nel consiglio direttivo della Bce, ha avvertito che concedere più tempo alla Grecia implicherebbe un
aumento dei finanziamenti previsti. Non la pensa così, invece, il presidente del Parlamento europeo, il
socialdemocratico Martin Schulz, secondo cui il «memorandum» greco «non è scolpito nella pietra come le
tavole di Mosè».
Intransigenti sulla crisi greca (anche se con qualche smagliatura, come si è visto), i tedeschi non sembrano
particolarmente interessati per il momento all'ipotesi degli «eurobill» o «eurobond leggeri», a scadenza e
importi limitati, che potrebbero essere emessi dai governi che rispettino le regole di bilancio fissate dall'Ue.
«Sono i fratelli minori degli eurobond», ha detto la portavoce del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble.
*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Luigi Offeddu
[email protected]
Investimenti e banche,
verso il nuovo Patto
Trattative sul testo per crescita e lavoro L'agenzia Fitch congela i declassamenti
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BRUXELLES — Più scettici, o spietati, degli ottimisti greci, i mercati finanziari non brindano al voto di Atene:
come se nulla fosse accaduto, in Europa. Ma invece molto è accaduto, e accadrà ancora.
L'agenzia di rating Fitch congela nuovi declassamenti e spiega che l'eurozona si allontana «dal baratro», anche
se i rischi non scompaiono. Da Bruxelles a Roma, in tutte le capitali c'è grande soddisfazione. E i leader della
Ue assicurano di essere «determinati a usare tutte le leve e gli strumenti» perché decolli il nuovo «compact o
patto fra Stati per la crescita e il lavoro», che dovrebbe essere approvato al vertice dei capi di Stato e di
governo, il 28-29 giugno. Una prima bozza dell'intesa, che contiene appunto quella promessa, è trapelata ieri:
sarà uno dei tavoli su cui si cercherà di sciogliere l'abbraccio mortale fra i debiti delle banche e i debiti sovrani
degli Stati; parlerà di investimenti pubblici, di ricapitalizzazione della Bei, la Banca europea per gli
investimenti, e di altre misure. Un secondo tavolo di dibattito sarà quello sull'unione bancaria, preparata da un
rapporto del cosiddetto «quartetto»: i presidenti della Ue Herman Van Rompuy, della Commissione Europea
José Manuel Barroso, dell'eurogruppo Jean-Claude Juncker, e della Banca centrale europea Mario Draghi, lo
presenteranno il 26 giugno. Anche in questo dossier, impegni importanti: la vigilanza rafforzata e più
focalizzata a Bruxelles, e una garanzia europea sui depositi. Ma bisognerà sottostare ai tempi lunghi della Ue:
sull'unione bancaria si deciderà forse solo al vertice Ue d'ottobre. E intanto, qualcuno già imita la Grecia: anche
l'Irlanda avrebbe chiesto (ma Bruxelles smentisce) una dilazione nella restituzione dei fondi avuti in prestito
dall'Europa.
Nei giorni dell'emergenza, ci sono poi altre misure in discussione. Per esempio, quelle riguardanti la
mutualizzazione, la messa in comune del debito. Ne ha parlato ieri a Bruxelles il ministro italiano degli Affari
europei, Enzo Moavero Milanesi, spiegando che si riprenderà in esame la proposta di un fondo di riscatto per il
debito oltre la soglia del 60% del Pil; e il varo di «eurobill» o «eurobond leggeri», titoli a breve termine
garantiti dalla Ue. Infine, il grande spaventapasseri, lo «spread» o differenziale di rendimento dei titoli di Stato
nazionali a 10 anni rispetto a quelli omologhi tedeschi. Bisogna arginarne la corsa pazza: e la proposta più
gettonata, di marchio italiano, è quella che la Bce o un altro organismo finanziario intervengano sul mercato
secondario acquistando i titoli minacciati dalla speculazione, ogni volta che gli spread varchino un certo livello.
Quello, per esempio, che oggi hanno tranquillamente sfondato in Spagna, attivando i campanelli d'allarme di
mezza Europa.
*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012
di: Fabrizio Massaro
[email protected]
Mps studia il prestito-capitale
Il pressing della Banca d'Italia per il rafforzamento patrimoniale
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MILANO — A una settimana dall'approvazione del piano industriale di lunedì 25, Mps continua a essere in
tensione sui mercati per l'incertezza che circonda il rafforzamento patrimoniale. Ieri in una giornata comunque
negativa per le Borse ha perso il 3,4% a 0,186 euro, praticamente ai minimi da un anno e attorno alla soglia che
a dicembre costrinse la Fondazione Mps, primo azionista, a rinegoziare i prestiti con le banche e a cedere il
12% per ripagare parte dei debiti (la firma dei contratti è imminente).
Il mercato continua a interrogarsi su come l'amministratore delegato Fabrizio Viola rispetterà le indicazioni
dell'Eba, l'autorità bancaria europea, che ha chiesto 3,3 miliardi di capitale in più entro il 30 giugno. Finora
Viola è riuscito a recuperare circa 2,3 miliardi. Resta il dubbio sulla copertura del miliardo residuo, cui
dovrebbe fare fronte con le cessioni di Biverbanca — due i contendenti, Popolare di Vicenza e Cr Asti con
quest'ultima in pole position, e da cui si attende circa 200 milioni —, di altri 150-200 sportelli Antonveneta e
con un'operazione finanziaria. Viola ha escluso l'aumento di capitale — che farebbe diluire dall'attuale 36% la
Fondazione, priva di forza finanziaria — e ha indicato la strada alternativa dei «Co.Co. bond», titoli particolari
che si convertono in azioni se il patrimonio (core tier 1) scende sotto una certa soglia.
I Co.Co. bond sono una strada finora mai battuta da un istituto italiano, sottolinea l'analista di Deutsche Bank
(Db), Paola Sabbione, in un report pubblicato ieri. Mercoledì scorso Viola ha detto che sul punto «la cosa non è
definita, è tutto fluido», sottolineando che Mps si sta muovendo in rapporto stretto con la Banca d'Italia:
«Abbiamo sempre un atteggiamento collaborativo reciproco».
I problemi sui Co.Co bond sono diversi: intanto costano molto cari come interessi, più dei Tremonti bond che
Mps ha ancora in pancia per 1,9 miliardi; poi potrebbe essere non facile collocarli sul mercato, in quanto il
livello di core tier 1 che fa scattare la conversione (7%) sarebbe vicino a quello della banca dell'8,7% (al netto
dei Tremonti bond). In questo caso «le alternative a un collocamento presso investitori istituzionali potrebbero
essere la vendita al retail — via mai tentata in Italia e complessa, come successo con il bond convertibile della
Bpm — o l'intervento della Cassa depositi e prestiti, o persino un aumento di capitale», sottolinea il report di
Db, anche se «non lo consideriamo probabile». Deutsche Bank prevede che il titolo continuerà a essere volatile
nel breve termine e per questo conferma il suo prezzo obiettivo di 0,25 euro e il giudizio «hold» (tenere). Nel
medio termine invece la banca potrebbe ritrovarsi con un surplus di capitale, visto che le richieste dell'Eba sono
temporanee. In particolare nel 2105 va in scadenza un terzo dei titoli di Stato che Mps ha in pancia, e questo
annullerebbe parte delle attuali perdite potenziali sui titoli e sui derivati di copertura sugli stessi.
Insomma, Viola e il presidente Alessandro Profumo si devono muovere in uno spazio stretto. E
contemporaneamente ultimare la parte industriale del piano. Che dovrebbe puntare sui canali alternativi alla
banca tradizionale, sui prodotti retail e su un ulteriore controllo dei costi. E poi riequilibrare il rapporto tra
raccolta e impieghi e la liquidità, cui la banca (come tutto il sistema) ha rimediato grazie ai maxiprestiti della
Bce.
*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012
di: Sergio Bocconi
Ligresti, il verdetto del board
L'Isvap: un commissario se Fonsai non rimedia su operazioni irregolari
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Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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MILANO — Ieri i vertici di Fonsai, il comitato degli indipendenti e i legali si sono riuniti per preparare i lavori
del consiglio di oggi, convocato dopo che l'Isvap ha dato 15 giorni di tempo alla compagnia per promuovere
azioni di responsabilità e recuperare gli esborsi relativi a una serie di operazioni «irregolari» con parti correlate,
cioè con i Ligresti. Scaduti i termini potrà essere l'authority a intervenire nominando un commissario ad acta,
che si occuperà cioè delle iniziative da assumere. Il board di oggi sarà probabilmente dedicato a una valutazione
approfondita del provvedimento Isvap e il comitato degli amministratori indipendenti (che si occupa delle
operazioni con le parti correlate) potrebbe indicare il percorso da seguire: arrivare cioè con una proposta sugli
interventi da effettuare nel consiglio immediatamente successivo, che potrebbe essere convocato per lunedì
prossimo. Proposte che il board dovrà poi portare a un'assemblea dei soci da mettere in calendario. Il tempo
stringe. Ma l'intervento dell'Isvap non interferisce sulla integrazione con Unipol. Lo ha sottolineato ieri
Federico Ghizzoni, numero uno di Unicredit: «L'operazione Unipol andrà comunque avanti. La pressione
dell'Isvap c'è sempre stata, è giusto che continui, ma penso ci siano i tempi per affrontare le problematiche
esistenti all'interno di Fonsai. Non credo che impatterà» sull'aggregazione con il gruppo bolognese. Sempre
oggi al board il collegio sindacale potrebbe indicare che Roberto Cappelli, consigliere che fa parte del comitato
degli indipendenti, non ha appunto i requisiti di indipendenza. Il board potrebbe decidere diversamente, anche
perché li ha appena confermati. In ogni caso il comitato è stato integrato con altri due componenti e per la
valutazione delle delibere già prese (come quella sui concambi) potrà essere considerato il voto già da loro
espresso.
Nel frattempo risulta scaduta alla mezzanotte di ieri l'offerta ter di Palladio e Sator. Ieri Fonsai avrebbe inviato
una nuova lettera a replica di quella recente dei due investitori. La compagnia respinge le contestazioni delle
società guidate da Roberto Meneguzzo e Matteo Arpe, che in sostanza non considerano accettata la loro
proposta perché Fonsai, nel dichiarare la disponibilità ad approfondire, avrebbe aggiunto alcune condizioni.
Fonsai risponde confermando le condizioni (due diligence reciproca con accordo di riservatezza; consorzio di
garanzia dopo l'accordo) aggiungendo però la disponibilità a discuterne. Oggi si dovrebbero conoscere le
valutazioni di Palladio e Sator.
*la Repubblica*
MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FEDERICO RAMPINI
L’analisi
Il G20 processa l’Europa
“Ha sparato un colpo a vuoto”
Ormai è sindrome-banche
Barroso: non siamo venuti a prendere lezioni
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NEW YORK – MONTI e Van Rompuy ricordano che questa crisi non è «nata in Europa ». Barroso è il più stizzito,
quasi gli saltano i nervi: «Non siamo venuti al G20 per prendere lezioni di democrazia né di governo
dell’economia». La verità è che l’eurozona nel momento della sua massima debolezza si conquista una sorta di
nefasta centralità. Nessuno riesce a evitare i contraccolpi della sua crisi: né l’America né la Cina. Il documento
finale del G20 invoca perciò «azioni audaci» da parte dell’eurozona per combattere la sua depressione. Emerge da
quel testo ufficiale un tema nuovo: si chiede agli Stati membri dell’unione monetaria di «spezzare la spirale negativa
che lega i debiti delle banche ai debiti degli Stati sovrani». E’ la sindrome spagnola, descritta in questo
passaggiochiave del comunicato. Perché fin dall’apertura del G20 è chiaro che la Grecia è quasi storia passata, il
pericolo vero è ormai la Spagna, la quarta economia europea, un malato potenzialmente ben più destabilizzante.
L’emergenza greca è “quasi” oscurata, anche se non del tutto. Il risultato del voto di domenica è il meno peggio che
si potesse avere, e tuttavia non ha sgombrato il campo dal rischio di un braccio di ferro Berlino-Atene. I futuri
governanti della Grecia già chiedono di rinegoziare le condizioni degli aiuti (i 240 miliardi di euro ricevuti da fondo
salva-Stati e Fmi, in cambio di una pesante austerity); la Merkel li diffida preventivamente: «Le elezioni non
possono rimettere in discussione gli impegni presi dalla Grecia».
Dunque sugli schermi radar dei mercati la possibilità di un nuovo stallo sulla Grecia non è scomparsa. Ma da ieri è
in secondo piano rispetto all’altro problema. Robert Zoellick, l’americano che è il presidente uscente della Banca
mondiale, dice ad alta voce quel che tutti pensano: «L’eurozona ha sparato una cannonata a vuoto». Il colpo
andato a vuoto, è l’annuncio del maxisalvataggio delle banche spagnole, che rischiano il crac per le conseguenze
della bolla immobiliare. Fino a 100 miliardi di aiuti, è questa la “cannonata” che doveva impressionare i mercati e
convincerli finalmente che l’eurozona fa sul serio. Al contrario, il colpo di cannone è stato un flop. Il meccanismo di
quell’aiuto è controproducente: poiché non viene versato direttamente alle banche in crisi bensì al Tesoro di Madrid,
ne fa aumentare perversamente la quota debito/Pil; inoltre spaventa gli investitori privati perché in caso di
bancarotta le loro obbligazioni sarebbero di serie B rispetto al creditore privilegiato che diventa il fondo salva-Stati.
Insomma l’annuncio salvifico sulla Spagna è diventato un disastro, tanto più che ha rivelato enormi resistenze a
fare ciò che conterebbe davvero: costruire una vera unione bancaria europea.
La questione delle banche, che il G20 mette al centro del suo appello, sta avvelenando la crisi europea da tempo.
E’ stato sottolineato che il cosiddetto “salvataggio” della Grecia fu in realtà un aiuto alle banche francesi e tedesche
esposte per i bond di Atene. Ora più che mai, ogni Paese fa quadrato in difesa del proprio sistema bancario, e la “rinazionalizzazione” del credito è un propagatore della crisi. Quando un colosso francese come il Crédit Agricole
rimpatria i propri capitali da Atene, è evidente quali segnali lancia ai suoi partner-concorrenti di Wall Street e
Londra: si salvi chi può, l’ultimo che resta è perduto. Per evitare che un fuggi fuggi avvenga in Spagna, poi in Italia,
la strada è nota: un’assicurazione europea sui depositi dei risparmiatori (modello Usa), e una vigilanza bancaria
anch’essa unificata in capo alla Bce. Ma Barroso svela ancora una volta la natura “in-decisionista” dell’Unione,
quando annuncia che la Commissione di Bruxelles presenterà delle “proposte” sull’unione bancaria... in autunno.
Una lentezza esasperante, vista da Washington, Pechino o Brasilia. Non a caso i Bric approfittano di questo G20
per sbattere i pugni sul tavolo: aumenteranno sì il proprio contributo al Fmi (che potrebbe servire per ulteriori futuri
salvataggi di Stati europei) ma solo dopo che il loro peso decisionale sarà stato adeguatamente rafforzato. Obama
non può che prolungare la strategia messa in campo nelle ultime settimane: usare la nuova sponda di Hollande,
insieme con Monti, per creare un “cerchio” di pressioni convergenti sulla Merkel, a favore di politiche più generose
per la crescita.
Cameron mette il dito su un’altra debolezza, quando invoca per la Bce una libertà di stampare moneta analoga a
quella di cui godono la Federal Reserve americana e la stessa Bank of England. Ma se Draghi fosse libero di
sostenere la crescita come il suo collega americano Bernanke, una politica monetaria più spregiudicata avrebbe già
pilotato l’euro in discesa fino alla quota “uno a uno” sul dollaro, o più in giù, aiutando così le esportazioni dal
Vecchio continente. Invece nel momento della massima sfiducia dei mercati, l’euro è ancora a 1,26 sul dollaro: un
“mistero” fin troppo decifrabile, che gli europei non hanno neppure il coraggio di denunciare. Non sarà Obama a
suggerirci la strada di una svalutazione competitiva.
*la Repubblica*
MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012
DAL NOSTRO INVIATO FRANCESCO BEI
Il governo
E per Monti ora scatta l’allarme Btp
Preoccupazione per i tassi oltre il 6%. Ancora 230 miliardi di titoli da piazzare nel 2012
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LOS CABOS
— «È tempo che i tedeschi si rendano conto che con questo atteggiamento stanno devastando i mercati».
Una fonte della delegazione italiana al G20, nel giorno in cui Obama tenta il tutto per tutto per scongiurare il
peggio – prima un faccia a faccia con la Merkel, poi un summit con tutti gli europei –, confida la dura realtà del
negoziato con la Cancelliera: non è disposta a concedere nulla, siamo al punto di partenza. Ma il tempo
stringe e Monti adesso ha paura: «Il vertice di Roma di venerdì prossimo – è il ragionamento amaro del
premier - è la nostra ultima occasione. Non possiamo permetterci rendimenti dei Btp così alti».
I titoli italiani, dopo una breve boccata d’ossigeno dovuta al risultato greco, hanno infatti di nuovo cominciato a
crescere. E la Borsa è ormai in caduta libera. La paura del contagio spagnolo e i dati economici non
incoraggianti hanno fatto schizzare lo spread a 464 punti (chiusura a 450) e gli interessi sui titoli a 10 anni oltre
la soglia psicologica del 6%. Ora, a far tremare Monti, sono le prossime aste del debito italiano. Da qui alla
fine dell’anno resta da collocare circa la metà di quei 450 miliardi previsti per il 2012. Ieri a fare i conti in tasca
al Tesoro è stata la tedesca Bild, ricordando che «entro il 2014 l'Italia avrà bisogno di 670 miliardi di nuovi
crediti per pagare i vecchi». Cifre mostruose, come quelle del debito pubblico. Cresciuto in termini assoluti,
secondo l’ultimo Bollettino statistico della Banca d’Italia, al record di 1.948 miliardi di euro. Un soffio da “quota
2000”. I dirigenti di via XX Settembre hanno cerchiato in rosso, sul calendario, due date bollenti di giugno. Alla
vigilia del Consiglio europeo l’Italia dovrà infatti andare di nuovo sul mercato il 26 offrendo Ctz e Btp, il 27
cercando acquirenti per i Bot. Con rendimenti che si prevedono crescenti, visto l’andamento dello spread.
Per questo il negoziato con la Germania è diventato febbrile. E sul tavolo l’Italia ha messo da ultimo la
proposta di una tagliola automatica dello spread. Un meccanismo che dovrebbe
scattare quando i rendimenti superino una soglia prefissata, impedendo quella divaricazione tra Bund tedeschi
e titoli pubblici dei paesi più esposti, come appunto la Spagna e l’Italia.
L’ipotesi è stata discussa a lungo da Monti e Hollande a palazzo Chigi la scorsa settimana. Scartata l’idea di
affidare alla Bce – gelosa della propria indipendenza – l’obbligo di intervenire
sui mercati, si è affacciata la possibilità che sia il nascente Esm, il fondo salva-Stati, ad alzare il suo scudo
protettivo. Magari dotandolo di quella licenzia bancaria che gli permetta di attingere alle risorse della Bce.
Sono operazioni che, tuttavia, incontrano ancora la netta indisponibilità dei tedeschi. E il ministro Enzo
Moavero, che sta seguendo la partita in prima persona, non vede al momento grandi spiragli.
Da qui il pessimismo di Monti. Per questo ieri la delegazione italiana a Los Cabos si è spesa a fondo affinché
nel comunicato finale del vertice, che sarà reso pubblico oggi, fosse inserito il paragrafo 11. Un passaggio in
cui si riconosce che quei paesi (come l’Italia e la Spagna) che «stanno adottando il Fiscal Compact», «insieme
a politiche per la crescita» e alle «riforme strutturali» devono avere «costi di finanziamento sostenibili».
Insomma, chi ha fatto i “compiti a casa” ha diritto a non essere strangolato da uno spread troppo alto. È una
dichiarazione di principio, ma almeno è qualcosa.
In attesa di uno sblocco del negoziato con i tedeschi sul tavolo europeo, Monti ha aumentato il pressing sulla
sua maggioranza. Barroso e Van Rompuy hanno infatti messo in guardia il premier: «Sarebbe un pessimo
segnale se l’Italia arrivasse al summit di giugno senza aver approvato la riforma del mercato del lavoro». Monti
è deciso ad agire senza indugi. «Se sarà necessario metteremo la fiducia », spiega un ministro. Nei suoi
contatti con Roma il Professore ha avuto rassicurazioni da Pd e Pdl. Ma ha comunque voluto mettere in chiaro
che «sulla riforma del lavoro ci giochiamo la credibilità accumulata finora». Un allarme che sembra aver
raggiunto i suoi destinatari.
*la Repubblica*
MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012
di: ANDREA GRECO
Il fondo di garanzia
salva Banca Network
Domani intervento da 80 milioni per i correntisti, che saranno trasferiti a Cassa Ravenna
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MILANO
— Il fondo paga. Domani l’organo ristretto del fondo interbancario che, a norma di legge, interviene a ristoro
dei correntisti degli istituti in crisi deciderà di coprire i 65 milioni di euro che 28mila clienti di Banca Network si
trovano bloccati dal 31 maggio («misura necessaria per fronteggiare la situazione di difficoltà della banca»),
più i 14 milioni del fondo rischi che il gruppo ha accumulato per le cause legali nate da passate condotte poco
virtuose.
Prima dell’estate tutto verrà sanato: venerdì Consultinvest sim ha rilevato le masse in gestione, Cassa di
Ravenna si occuperà delle attività commerciali – marginali, trattandosi di istituto che opera con una rete di
promotori nel risparmio gestito – e in breve tempo Banca Network andrà in amministrazione coatta, che la farà
sparire lasciando in ricordo agli azionisti svariate decine di milioni persi. Nomi di riguardo: in primis la Sopaf di
Giorgio Magnoni (desiderosa di farsi una sua banca, ma a sua volta incappata in una pesante ristrutturazione
dei debiti), Aviva per distribuire polizze, il Banco popolare per mera eredità del passato “lodigiano”, De
Agostini come investitore finanziario. Una compagine talmente assortita e litigiosa che nel novembre scorso
indusse il Tesoro, su consiglio di Bankitalia, a commissariare l’istituto, dopo un’ispezione che aveva accertato
«profondi conflitti tra soci e tra questi e i membri del cda, specie sull’entità dei mezzi necessari ad assicurare il
rispetto
dei requisiti patrimoniali e garantire le ragioni creditorie di terzi».
Banca Network nasce sulle spoglie di Bipielle Net, filiazione web della Banca popolare di Lodi, ai tempi
famigerati di Giampiero Fiorani. Nel 2007, saltato il banchiere d’assalto di Codogno, diventa occasione
d’impresa per i quattro compratori, con 800 promotori e un centinaio di dipendenti. Ma il progetto si arena
quasi subito, tra l’avvio della prima crisi internazionale, le ispezioni di vigilanza che fanno emergere «carenze
organizzative e di controllo
», le citazioni contro promotori infedeli e collocamenti discutibili, le trattative sterili (con Fideuram, Popolare
Vicenza, Bpm). In mezzo, quasi un centinaio di ricapitalizzazioni in più stadi, a coprire le perdite d’esercizio
(36 milioni nel 2010, l’ultimo noto), i soci che si citano in giudizio e il patrimonio che lima pericolosamente. Fino
a primavera, quando si iniziano a vedere anche episodi di fuga dei depositanti. Lì interviene Via Nazionale,
con il blocco di pagamenti e accrediti sui 22mila conti correnti del marchio, anche a salvaguardare la par
condicio creditorum.
Già venerdì s’era aperto lo spiraglio grosso, con l’intervento di Consultinvest sim, gestore modenese
partecipato dalla Cassa di Ravenna (che a ore dovrebbe rilevare le attività retail), pagando, in quote annuali,
circa l’1% sulle masse che resteranno in gestione 10 anni (circa 15 milioni) e rilevando qualche dipendente,
l’amministrazione e gli avviamenti. Un’altra decina di lavoratori del gruppo vanta diritti di reintegro presso il
socio Banco popolare, che per ora tuttavia nicchia. Per gli altri 50 si prospetta la liquidazione, con accesso al
Fondo emergenziale per bancari. Al momento, però, quel fondo non é esperibile perché il ministero non ne ha
nominato i vertici.
*la Repubblica*
MARTEDÌ, 19 GIUGNO 2012
di: VITTORIA PULEDDA
Ghizzoni: “Avanti con Unipol
contro i Ligresti”
Sul tavolo del cda Fonsai l’azione di responsabilità per evitare il commissario Isvap
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MILANO
— Avanti tutta con Unipol, incuranti delle incursioni della Procura (che ha dichiarato il fallimento di Imco e
Sinergia) e del pressing dell’Isvap: è questa la posizione - riconfermata - del numero uno di Unicredit, Federico
Ghizzoni, socio con il 6,7% di Fonsai e creditore di peso. «Penso ci siano i tempi per affrontare le
problematiche che ci sono all'interno di Fonsai. Non credo che impatterà sull'operazione Unipol, che andrà
comunque avanti».
In realtà il pressing dell’autorità di vigilanza si è intensificato solo di recente. Ed è di soli pochi giorni fa, il 15
giugno, la notifica ufficiale delle contestazioni mosse alla compagnia sulle operazioni
correlate in tema immobiliare, sull’acquisto di Ata hotel e sui compensi corrisposti a vario titolo (consulenze e
non) alla famiglia Ligresti e alle società a loro riconducibili. Ora Fonsai ha quindici giorni di tempo per correre
ai ripari. Se non lo farà, l’Isvap ha già preannunciato l’arrivo di un commissario ad acta, previsto dall’articolo
229 del Codice delle assicurazioni, che prenderà le decisioni al posto dei consiglieri. Una misura peraltro
suggerita un paio di mesi fa da Consob, dopo l’esposto del fondo Amber sulle stesse vicende.
Per oggi pomeriggio è stato convocato il cda dell’assicurazione. Che dovrà prendere atto delle contestazioni e
decidere come procedere. L’istituto infatti ha chiesto alla compagnia di
«far cessare definitivamente le irregolarità riscontrate e rimuoverne gli effetti» ma anche di procedere contro
chi ha provocato queste «gravi irregolarità» e, ove ne ricorrano i presupposti, di «assumere iniziative per il
recupero degli esborsi fatti». In altre parole, i Ligresti vanno incontro all’azione di responsabilità - anche se
difficilmente verrà promossa nel cda di oggi, che farà il punto sul lavoro degli advisor già nominati all’uopo - e
nello stesso tempo potrebbero vedersi chiedere indietro quanto percepito, nell’ambito appunto di quel
«recupero degli esborsi».
Su tutto ciò dovrà deliberare il cda sulle operazioni con parti correlate, concluse entro il 2010. L’amministratore
delegato attuale è successivo, anche se Emanuele
Erbetta è stato per anni direttore generale: si vedrà quanto il consiglio attuale riuscirà a prendere le distanze
dal precedente (anche a prescindere dalla presenza di Jonella e Paolo Gioacchino nel cda). Un’azione di
responsabilità ora potrebbe peraltro togliere - in parte - contenuto alla manleva garantita da Unipol post
esecuzione dell’aumento di capitale riservato di Premafin, e messa in dubbio dalla Consob (se non a
condizione di non concedere l’esenzione dall’opa). Sempre oggi potrebbero arrivare le dimissioni di Roberto
Cappelli, consigliere e membro del Comitato degli indipendenti, la cui posizione è stata oggetto di
contestazioni da parte della Consob per i legami con Unicredit.
La Fiba-Cisl
Vi augura di trascorrere
una serena giornata
A
Arrrriivveeddeerrccii aa
domani 20 giugno
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ppeerr uunnaa nnuuoovvaa
rraasssseeggnnaa ssttaam
mppaa!!