Amastia, Ipomastia ed Ipotrofia mammaria

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Amastia, Ipomastia ed Ipotrofia mammaria
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Amastia, Ipomastia ed Ipotrofia mammaria
Autori:
Fabio Santanelli, Professore Associato, Titolare Cattedra di Chirurgia Plastica, Direttore Scuola di
Specializzazione in Chirurgia Plastica, Università di Roma, Responsabile Unità Operativa di
Chirurgia Plastica, Azienda Ospedaliera Sant Andrea, Roma.
Ha collaborato alla stesura del capitolo: Dott./Dott.ssa Daniela Masia.
[Curriculum Vitae] [Pubblicazioni]
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Introduzione
Nella donna la forma e il volume delle mammelle giocano un ruolo chiave nell’ambito della propria
sessualità, femminilità, autostima e nelle relazionarsi col sesso opposto. Per definire un’anomalia
mammaria ci si rifà a dei parametri standard, che consentono di definire un seno ideale e di
identificare eventuali anomalie di forma, di volume o asimmetrie. L’ipertrofia mammaria
rappresenta sicuramente la malformazione volumetrica più frequente, ma durante lo sviluppo la
mammella femminile può andare incontro anche ad anomalie in difetto, con ridotto o mancato
sviluppo mammario: si parla in questo caso di ipomastia e amastia.
Per ipomastia si intende un deficit del volume mammario di grado più o meno marcato, mono o
bilaterale. Eziologicamente possiamo distinguere tra situazioni congenite e acquisite. Le ipomastie
congenite possono apparentemente essere prive di cause oppure essere aociate ad alterazioni di
natura ormonale (deficit di produzione di estrogeni o alterata sensibilità dei recettori ormonali in
epoca pre-puberale) o ancora correlate ad una agenesia delle ovaie o a deficienza ovarica. Se
associata ad un morfotipo androide della paziente, l’ipomastia può essere dovuta ad anomalie
cromosomiche come la sindrome di Turner, o essere legata ad endocrinopatie complesse; in questi
casi un’ormonoterapia può non essere sufficiente per consentire uno sviluppo mammario e si rende
così necessario un intervento chirurgico correttivo.
Le ipomastie acquisite sono caratterizzate invece da un'involuzione della ghiandola mammaria
(ipotrofia) e possono essere distinte in:
idiopatiche
post-gravidiche o post-allattamento
disendocrine (menopausa, etc.)
iatrogene (post-terapia radiante, chirurgica)
L’amastia è invece una condizione più rara nella quale lo sviluppo della ghiandola mammaria è
completamente assente; essa può essere associata anche ad una mancanza del complesso areolacapezzolo (CAC): si parla in questo caso di amastia con atelia. Anch’essa può essere mono- o
bilaterale e in quest’ultimo caso può far parte di un quadro sindromico più complesso con anomalie
di altri distretti corporei.
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Né è un esempio la Sindrome di Poland, descritta da Alfred Poland nel 1941 e caratterizzata da
ipoplasia mammaria con deficit di sviluppo dell’arto superiore (brachisindattilia), agenesia del
muscolo piccolo pettorale, agenesia dell’inserzione sternocostale del muscolo gran pettorale e
assenza delle cartilagini costali 2, 3 e 4 o 3, 4, e 5.
Le implicazioni psicologiche che una mammella ipoplasica o completamente assente possono avere
nella giovane donna, sono spesso tali da giustificare un intervento chirurgico correttivo.
L’intervento di mastoplastica additiva rappresenta una delle procedure maggiormente richieste al
chirurgo plastico e nonostante la pubblicità a sfavore degli impianti protesici degli anni ’90, negli
ultimi anni questo intervento ha senza dubbio incrementato la propria popolarità. Uno screening
psicologico dovrebbe sempre essere effettuato a tutte le pazienti desiderose di sottoporvisi al fine di
valutare le reali motivazioni e di escludere eventuali forzature esterne. Sempre più spesso si tratta di
giovani donne nullipare che richiedono un intervento chirurgico talvolta dopo aver consultato delle
amiche che lo hanno già fatto, ma frequentemente ci si trova di fronte anche a donne più adulte e
pluripare con delle mammelle divenute ipotrofiche a seguito dei vari influssi ormonali pre- e postgravidici.
Scopo della chirurgia è quello di aumentare il volume della mammella, conferendo o mantenendo
una forma armoniosa e lasciando cicatrici che siano le più discrete possibili.
Cenni storici
Gli interventi di aumento del seno, seppur concepiti in maniera diversa rispetto al concetto odierno
di mastoplastica additiva, risalgono ai primi del '900, quando Gersuny effettuò il primo intervento
di aumento mammario con l'ausilio della paraffina. Ben presto però ci si rese conto che questa
provocava numerosi effetti collaterali tra cui la formazione di paraffinomi e il suo utilizzo venne
rapidamente interrotto. Si andò allora alla ricerca di materiali più biotollerabili e meno tossici
(Pangman, 1951) quali polietilene, alcool polivinilico, poliuretano, teflon, fino a quando, anche in
questo caso, non si resero evidenti complicanze quali infezione, fistolizzazione e contrattura
capsulare che portarono all’interruzione del loro utilizzo.
Venne così introdotto il silicone, che per diversi anni (anni '40-'60) fu utilizzato in forma liquida,
fino a quando non ci si accorse dei gravi effetti collaterali dovuti alla migrazione del silicone nei
tessuti circostanti, con formazione di siliconomi, che in molte pazienti portavano addirittura alla
mastectomia. L'era moderna degli impianti in gel di silicone risale invece al 1960 con Cronin e
Gerow. A partire da questa data tutti i dispositivi sono stati fabbricati con un guscio esterno fatto di
un elastomero di silicone e un prodotto di riempimento. Inizialmente tale guscio era liscio, di natura
e spessore variabile e per un certo periodo (anni ‘70) era talmente fine che andava facilmente
incontro a rottura. La variabilità negli elastomeri del silicone era funzione del tipo di riempimento,
che poteva essere fisiologica o gel di silicone. Poiché però questo genere di protesi portava spesso
alla formazione di una contrattura della capsula periprotesica (vedi complicanze), alcuni costruttori
avevano pensato di rivestire le protesi di una schiuma di poliuretano che s’incorporava alla capsula
stessa, riducendo il rischio di contrattura. Si vide infatti che il poliuretano veniva integrato
dall'organismo nell'arco di 2-3 anni, rallentando il processo di formazione della capsula
periprotesica. Nel 1968 comparvero così i primi impianti con rivestimento di poliuretano e
dimostrarono la proprietà di ridurre notevolmente l'incidenza di contrattura capsulare.
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Con l’osservazione di questi eventi, si pensò di modificare direttamente il guscio protesico da liscio
a corrugato ed ottenere così lo stesso effetto. A metà degli anni ’80 nacquero dunque le protesi
testurizzate, ovvero costituite da una superficie rugosa (Vedi fig. 1) . Il grado di testurizzazione era
variabile e consentiva un’aderenza della protesi alla capsula con un minor rischio di contrattura e
dislocazione. Per ciò che concerne il prodotto di riempimento, questo poteva essere introdotto
direttamente dal produttore oppure dal chirurgo al momento dell’intervento, tramite l’ausilio di una
valvola: si trattava in questo caso di protesi espandibili o espansori che venivano riempiti
essenzialmente di fisiologica, utilizzate però per lo più nelle malformazioni (Sdr. di Poland) o nelle
ricostruzioni mammarie. Le prime protesi saline sono state introdotte dalla Arion nel 1964 in
Europa e dalla Heyer-Schulte nel 1968 negli Stati Uniti. Alla ricerca del prodotto di riempimento
ideale, negli anni ’90 sono stati utilizzati diversi i materiali, tra questi trigliceridi vegetali come
l’olio di soia, l’idrogel o il poilivinilpirrolidone, successivamente ritirati dal commercio in quanto
non sufficientemente sicuri. Accanto alla ricerca di materiali di riempimento più idonei, nel corso
degli anni è stata modificata anche la forma degli impianti fino a raggiungere la gamma di protesi
oggi disponibili.
Le prime protesi erano tonde e sono ancor oggi utilizzate, ma attualmente esistono delle protesi
cosiddette anatomiche la cui forma conferisce al seno un aspetto più naturale e la cui proiezione è
variabile e funzione della morfologia della paziente, oltre che del risultato che si desidera ottenere.
Data la differenza nei due assi degli impianti, orizzontale e verticale, il loro posizionamento deve
però essere più scrupoloso. Le protesi anatomiche proposte dalla McGhan nel 1993 e modificate nel
1997 sono prodotte oggi anche da altre aziende quali Mentor, Silimed ed Eurosilicone, PIP, Nagor,
ecc.
La normativa vigente attualmente in Italia in merito ai dispositivi medici procede dall'attuazione
stabilita con il Decreto Legislativo del 24 febbraio 1997, n. 46 (Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
6 marzo 1997, n. 54, Supplemento Ordinario) della direttiva 93/42/CEE emanata dalla Comunità
Europea, che dispone regole generali per l'immissione in commercio e la messa in servizio di ogni
tipo di dispositivo medico, ivi comprese le protesi mammarie. Tale normativa assegna al Ministero
della Salute, in qualità di autorità competente, il compito di coordinare la vigilanza ed il
monitoraggio sulla circolazione dei dispositivi medici.
Fig. 1: Protesi rotonda di gel di silicone coesivo con involucro esterno in silicone testurizzato
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Sviluppo embrionario ed Anatomia della mammella
La mammella si sviluppa a partire dalla sesta settimana di vita embrionale, dal bottone mammario
ed è assimilabile ad un annesso cutaneo di origine ectodermica che nasce dalle creste mammarie.
Esse si estendono bilateralmente dal cavo ascellare alla regione inguinale e involvono con la
crescita, eccezion fatta per quelle della regione pettorale che, verso la sedicesima settimana di
gestazione, danno origine ad un ispessimento ectodermico da cui poi prenderà origine il bottone
solido costituito dai dotti galattofori che andranno poi incontro ad arborizzazione e
permeabilizzazione. La cute areolare pigmentata è anch’essa di origine ectodermica ed è visibile già
al quinto mese di gestazione. Subito dopo la nascita il capezzolo diviene prominente grazie alle
fibre muscolari sottostanti che, sotto l’effetto di stimolazioni esterne, si contraggono. Con la
pubertà, sotto l’effetto di influssi ormonali, la ghiandola mammaria scinde la fascia superficiale in
due foglietti che finiranno per racchiuderla, dando origine a due protuberanze emisferiche e spesso
simmetriche.
La mammella risulta sospesa alla parete toracica anteriore e topograficamente il suo limite superiore
corrisponde alla II costa quello inferiore al solco sottomammario che generalmente corrisponde alla
VI-VII costa, quello mediale è rappresentato dalla linea margino-sternale ed il limite laterale
corrisponde alla linea ascellare media ed al bordo laterale del muscolo gran dorsale. I limiti
superiore, mediale e laterale della cute mammaria sono molto sfumati rispetto alla cute toracica, al
contrario del limite inferiore, rappresentato dal solco sottomammario, la cui cute presenta
un’angolazione, di circa 90°, che lo rende fisso e ben marcato rispetto alla cute toracica.
Un seno ideale è un seno armonioso, non ptosico e proporzionato al morfotipo della paziente,
facilmente riscontrabile in una giovane donna. Con l’età, la forza di gravità e le influenze ormonali,
le mammelle tendono a diventare ptosiche e tale ptosi sarà tanto maggiore quanto maggiore è il
volume mammario. Per poter definire un’anatomia mammaria normale o ideale alla quale
rapportarci per un eventuale intervento correttivo, dobbiamo tenere presenti alcuni parametri
morfologici quali la base di impianto del cono mammario, il solco sottomammario, il complesso
areola-capezzolo (CAC) e i rapporti tra essi. Il CAC è centrato sul cono mammario ed è costituito
dall’areola, la cui circonferenza è di circa 14 cm con un diametro medio di 4.2 cm, e dal capezzolo,
situato al centro dell'areola di forma cilindrica, lungo circa 8-10 mm e con un diametro di 9-10 mm.
Esso dista in media 20-21 cm dal controlaterale e dal giugulo, distanza comunque variabile in
funzione della conformazione e della circonferenza toracica. Profondamente la ghiandola
mammaria è separata dal piano costale da una fascia e da due piani muscolari costituiti il primo dal
muscolo grande pettorale ed il secondo dal muscolo piccolo pettorale. Anteriormente, sul derma, la
ghiandola è fissata grazie alla presenza dei legamenti di Cooper, tra i quali si sviluppano i lobuli
adiposi.
La mammella femminile va incontro a modificazioni di volume, di consistenza e di forma, sia
periodicamente in rapporto con i cicli mestruali, sia durante tutte le epoche che caratterizzano la vita
di una donna: l'adolescenza, la gravidanza e l'allattamento, la menopausa, la senilità. Durante
l'adolescenza la forma delle mammelle è variabilmente emisferica, conica o discoidale; durante la
gravidanza e l'allattamento, a causa del loro peso diventano pendenti con accentuazione del solco
sottomammario: la porzione superiore diviene convessa, i quadranti inferiori più pieni ed il CAC si
abbassa. L'atrofia e la perdita di peso con conseguente appiattimento della porzione inferiore e ptosi
mammaria caratterizzano l'età senile. Il volume è variabilissimo in rapporto col volume ghiandolare
e soprattutto col suo contenuto in grasso, che può dipendere da condizioni sociali, clima e razza.
Nella donna giovane non nutrice il peso medio di una mammella può variare da 150 a 220 gr, nella
donna che allatti varia in media tra i 400-500 gr, potendo raggiungere anche il peso di 900 gr.
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Indicazioni
L'intervento è in generale possibile dopo che è avvenuta la normale maturazione fisica; sono quindi
da valutare, caso per caso le adolescenti, mentre, in generale, non si hanno controindicazioni a
partire dai 18 anni. In particolare l’intervento risulta indicato in caso di:
mammelle troppo piccole (ipomastia)
involuzione mammaria post-gravidanza, allattamento o dimagrimento
asimmetria mammaria (amastia o ipomastia monolaterale).
Un esame obiettivo accurato consente di effettuare una corretta programmazione dell’intervento che
sarà completato da un dettagliato colloquio con la paziente, la quale esprimerà le proprie aspettative
in merito alla forma e al volume desiderato.
Per sottoporsi ad un intervento di chirurgia estetica elettiva bisogna essere assolutamente in buone
condizioni fisiche e non in stato di gravidanza. Un esame clinico, alcuni esami di laboratorio, una
radiografia del torace (oltre i 30 anni) ed un elettrocardiogramma sono sufficienti come
preparazione all’intervento.
Controindicazioni
Questo intervento, come tutti quelli non indispensabili, è controindicato ogni qualvolta venga a
costituire una minaccia per la salute della paziente. L’eventuale presenza di malattia fibro-cistica o
di una tumefazione mammaria assume carattere prioritario e, naturalmente, si rivaluta la paziente
dopo un’accurata diagnosi ed eventuale trattamento della neoformazione. Nella settimana
precedente l’intervento bisogna evitare di assumere aspirina, che riducendo la capacità di
coagulazione del sangue potrebbe provocare delle complicazioni, inoltre, qualora la paziente si trovi
in fase mestruale è bene posticipare l’intervento. Infine, a parte le comuni controindicazioni come
malattie infettive in corso oppure diabete o malattie cardiovascolari in atto o pregresse relative a
tutti gli interventi chirurgici, bisogna considerare la cicatrizzazione propria di ogni paziente che
potrebbe influenzare il risultato estetico finale soprattutto per i segni delle cicatrici.
Valutazione preoperatoria
Nell’ambito dell’esame obiettivo, è importante valutare innanzitutto il volume mammario di
partenza e il grado di ptosi ghiandolare e/o del CAC, tenendo presente che oltre un dato volume,
una certa ptosi è fisiologica e potrà essere corretta dalla sola mastoplastica additiva solo se di lieve
entità, in caso contrario si renderà necessario anche un intervento di mastopessi. E' importante
identificare inoltre eventuali alterazioni scheletriche soprattutto a livello della colonna vertebrale e
le preesistenti asimmetrie che possono condurre a delle asimmetrie mammarie postoperatorie o a un
mal posizionamento del complesso areola-capezzolo (CAC). Deve inoltre essere misurata la
distanza del CAC dalla linea mediana e dal giugulo in quanto se vi è una differenza, questa dovrà
essere corretta; deve essere misurata anche la distanza tra le due mammelle, poiché se questo spazio
è congenitamente troppo ampio, non potrà essere corretto dall’intervento di mastoplastica additiva.
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Eventuali asimmetrie di volume devono ugualmente essere identificate sia per poter scegliere un
impianto mammario adeguato, sia per portarlo all’attenzione anche della paziente che dovrà essere
informata che una perfetta simmetria mammaria è praticamente impossibile da ottenere. Tra gli
esami strumentali pre-operatori da eseguire, fondamentale dopo i 30 anni è l’esecuzione di
un’ecografia mammaria e/o di una mammografia al fine di escludere eventuali patologie ghiandolari
in atto.
Nel pre-operatorio dovrà inoltre essere valutato il sito di posizionamento dell’impianto mammario.
Infatti, se il volume mammario e i tessuti molli in genere sono tali da consentire un’adeguata
copertura della protesi, questa potrà essere posizionata direttamente in sede retroghiandolare, senza
la necessità di una dissezione sottomuscolare (Vedi fig. 2) . E' questa una tecnica frequentemente
utilizzata, semplice, poco dolorosa e la cui convalescenza avviene in maniera rapida. Nel caso in cui
la paziente fosse invece particolarmente magra, con un volume mammario e un tessuto sottocutaneo
poco rappresentato, sarà opportuno posizionare la protesi in sede retromuscolare, al di sotto del
muscolo gran pettorale, garantendo così una miglior copertura dell’impianto, nonché un maggior
camuffamento dei suoi contorni, che risulterebbero altrimenti visibili e poco naturali (Vedi fig. 3) .
Quest'approccio potrebbe inizialmente risultare più doloroso rispetto al precedente, ma alla lunga
darà un risultato estetico migliore, secondo alcuni con un minor rischio di contrattura capsulare
(vedi complicanze) grazie al continuo attrito muscolo-protesi, dovuto alla costante attività
muscolare. In ogni caso, qualunque sia la sede di impianto, sarà importante essere scrupolosi e
simmetrici nella dissezione della tasca protesica per evitare successive dislocazioni della protesi,
verso l’alto o verso il basso e/o eventuali asimmetrie del solco sottomammario.
Fig. 2: Posizionamento di protesi mammaria sottoghiandolare, sopra il muscolo grande pettorale.
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Fig. 3: Posizionamento di protesi mammaria sottomuscolare, nel piano tra il muscolo grande
pettorale e le coste.
Trattamento chirurgico
In generale è buona norma eseguire delle foto pre-operatorie al fine di identificare eventuali
anomalie posturali, di forma o volume mammario, di posizionamento del CAC o del solco
sottomammario. Inoltre un disegno preoperatorio consente di definire i contorni della mammella e
la posizione del solco. Oltre alla scelta del posizionamento della protesi in sede retroghiandolare o
sottomuscolare, altri due aspetti devono essere presi in considerazione prima di intraprendere un
intervento di mastoplastica additiva:
1. Scelta della protesi
2. Accesso chirurgico
3. Posizionamento
SCELTA DELLA PROTESI
Poiché non è possibile avere a disposizione tutte le protesi disponibili in commercio e quindi
constatare direttamente le caratteristiche delle stesse, spesso è necessario affidarsi ai dati forniti dal
costruttore in merito alla natura della protesi e al suo prodotto di riempimento, soluzione fisiologica
o gel di silicone, al grado di testurizzazione e alle caratteristiche di forma, tonde o anatomiche,
volume e proiezione. Tutti questi aspetti devono essere presi in considerazione insieme
all’osservazione delle caratteristiche dei tessuti molli di copertura, del morfotipo della paziente e
delle aspettative della stessa, cercando in ogni caso di scegliere una protesi i cui bordi non
debordino in maniera eccessiva dai contorni naturali della mammella.
In pratica in caso di pazienti con amastia o grave ipomastia è consigliabile l'uso di protesi
anatomiche (Vedi fig. 4) , che sebbene riempite con gel di silicone altamente coesivo, e pertanto
più rigide, sono in grado di fornire una forma mammaria più naturale in assenza di ghiandola della
paziente.
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In caso invece di pazienti con una mammella già sufficientemente rappresentata sarà possibile
utilizzare protesi rotonde con vario grado di proiezione (Vedi fig. 5) , sufficienti ad esaltare la
salienza mammaria già presente, ottenendo comunque un risultato naturale.
ACCESSO CHIRURGICO
Qualunque via d’accesso, implica una seppur minima cicatrice, pertanto è necessario essere precisi
nell’incisione per evitare qualunque distorsione finale.
Il solco sottomammario fornisce una via d’accesso semplice che consente un’ottima visibilità e
controllo della dissezione del futuro alloggiamento protesico, oltre che un più accurato
posizionamento dell’impianto. Quest’approccio può inoltre essere utilizzato sia per il
posizionamento di protesi retroghiandolari che sottomuscolari, di qualunque tipo esse siano, liscie o
tesaurizzate, rotonde o anatomiche e per qualunque dimensione della mammella. Diversi sono i
vantaggi dell’accesso sottomammario: è in continuità con l’alloggiamento protesico, non lede il
parenchima ghiandolare e le dimensioni dell’incisione possono essere abbastanza piccole da
nascondersi nel solco sottomammario, ma al contempo, qualora necessario, possono essere
aumentate per ottenere una miglior esposizione. E’ importante valutare preoperatoriamente
eventuali asimmetrie nell’altezza del solco ed è necessario pianificare accuratamente il punto in cui
cadrà la cicatrice finale. A tal fine è bene disegnare l’incisione, con la paziente in posizione eretta o
seduta e gli arti superiori addotti. Inoltre può essere utile disegnare anche una linea perpendicolare
al solco e passante per il bordo mediale dell’areola, in quanto la cicatrice finale non dovrà
estendersi oltre 1 cm medialmente rispetto al punto d’intersezione, mentre la restante parte
dell’incisione si estenderà lateralmente a questo punto, per una lunghezza di circa 5 cm. (Vedi fig.
6) (Vedi fig. 7) (Vedi fig. 8) (Vedi fig. 9) .
Se le dimensioni dell’areola lo consentono, anche l'accesso periareolare appare di facile
realizzazione in quanto fornisce un controllo diretto della sede di impianto e dell’emostasi e
consente il posizionamento di protesi sia in sede retroghiandolare che sottopettorale, anche se
comporta una sezione della ghiandola mammaria, che comunque non ha particolari implicazioni
cliniche o radiografiche. Anche in questo caso è bene disegnare nel preoperatorio, con la paziente in
posizione eretta e arti addotti, la linea mediana, il solco sottomammario originario e quello previsto
dopo il posizionamento dell’impianto. L’incisione, normalmente emi-periareolare inferiore, dovrà
essere effettuata al limite tra la cute areolare pigmentata e la cute mammaria, zona in cui la cicatrice
finale si rende meno visibile. La dissezione prosegue quindi attraverso il parenchima ghiandolare,
perpendicolarmente alla parete toracica, fino ad identificare la fascia del muscolo gran pettorale, al
di sopra della quale verrà creata la tasca protesica, se questa era stata prevista in sede
retroghiandolare; qualora invece si voglia posizionare la protesi dietro al muscolo gran pettorale, è
necessario identificarne il bordo muscolare laterale che viene sollevato; il muscolo è quindi inciso
medialmente lungo l’asse delle sue fibre e separato dall'inserzione sternocostale per l’estensione
necessaria al posizionamento dell’impianto.
Più indaginoso appare invece l'approccio ascellare. Si è visto infatti che questa via d’acceso
comporta un maggior rischio di complicanze quali il difficile controllo dell’emostasi,
posizionamento asimmetrico delle protesi o asimmetria dei solchi sottomammari e talvolta è
necessaria la conversione all’approccio sottomammario. Al contrario dei precedenti,
quest’approccio viene utilizzato soprattutto per il posizionamento di protesi soprapettorali e in
questo caso l’incisione cutanea dovrà essere effettuata lungo una piega ascellare pre-esistente, non
dovrà oltrepassare la linea ascellare anteriore ed avrà un’estensione di circa 4-5 cm.
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A livello ascellare la dissezione è sottocutanea, avendo cura di preservare il nervo
intercostobrachiale, fino ad identificare il bordo laterale del muscolo gran pettorale, che offre
l’accesso al piano sopra o sottomuscolare. Nel caso di quest'ultimo il muscolo viene quindi
disinserito dalle inserzioni condrosternali più distali e la loggia protesica retromuscolare è creata,
prestando attenzione a non allargarla troppo in senso cefalico, in quanto ciò potrebbe comportare
una successiva dislocazione della protesi. A questo punto, una volta verificata con diffilcoltà
l’emostasi, la protesi può essere inserita nella neo-tasca, facendo attenzione a non ruotarla durante il
suo posizionamento. Come detto prima il relativo sanguinamento del piano sopramuscolare ne
consiglia l'uso per la difficile visualizzazione delle perforanti intercostali, inoltre la scarsa
visualizzazione della posizione della protesi ne consiglia l'uso di protesi simmetriche rotonde e non
protesi anatomiche (Vedi fig. 10) (Vedi fig. 11) (Vedi fig. 12) (Vedi fig. 13) .
Posizionamento
Una volta selezionata il tipo di protesi ed eseguito l'accesso chirurgico più idonea resta da preparare
la tasca per l'alloggio della protesi.
Il posizionamento sottoghiandolare, preferito nelle pazienti che possono fornire una buona
copertura ghiandolare adiposa della protesi, viene eseguito creando uno spazio per via smussa tra la
fascia mammaria profonda e la fascia pettorale, un piano relativamente avascolare, se non nella
porzione mediale dove potrebbero essere recisi i rami perforanti intercostali della ammaria interna.
Deve essere eseguita una emostasi accurata ed il confezionamento della tasca deve essere di
dimensioni corrispondenti a quelle della protesi e simmetrica alla controlaterale.
In pazienti, invece, che a causa della loro magrezza o della assenza di ghiandola non forniscono una
buona copertura dell'impianto, si esegue un posizionamento sottomuscolare. Dopo aver individuato
il margine laterale del muscolo grande pettorale si crea per via smussa una tasca tra quest'ultimo ed
il piano costale. Al fine però di rendere il risultato naturale, sarà poi necessario interrompere le
inserzioni caudali e in parte anche sternocostali del muscolo stesso che altrimenti causerebbero un
dislocamento laterale della protesi, in questa fase l'emostasi deve esere molto accurata perchè
s'interrompono le perforanti intercostali provenienti dalla arteria e vena mammaria interna. Bisogna
infine aver cura di non creare un spazio troppo ampio medialmente, in quanto si potrebbe produrre
una sinmastia. Indipendentemente dal tipo di posizionamento, l'uso di drenaggi è facoltativo.
Qualunque sia la via d’accesso effettuata, prima di chiudere suturando i tessuti per piani anatomici,
le mammelle devono essere osservate attentamente sul tavolo operatorio, al fine di valutare la
simmetria in termini di volume, posizione e contorno protesico, sede del solco sottomammario e
posizione dell’areola.
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Fig. 4: Protesi mammaria anatomica con parete in silicone testurizzato e contenuto in gel coesivo di
silicone.
Fig. 5: Protesi mammaria rotonda (non anatomica) con parete in silicone testurizzato e contenuto in
gel coesivo di silicone.
Fig. 6: Ipomastia in paziente di 23 anni: prospetto.
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Fig. 7: Ipomastia in paziente di 23 anni: profilo.
Fig. 8: Correzione della ipomastia mediante impianto di protesi anatomiche a parete testurizzata nel
piano sottomuscolare, attraverso un accesso sottomammario: prospetto.
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Fig. 9: Correzione della ipomastia mediante impianto di protesi anatomiche a parete testurizzata nel
piano sottomuscolare, attraverso un accesso sottomammario: profilo.
Fig. 10: Ipotrofia mammaria in paziente di 30 anni: prospetto.
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Fig. 11: Ipotrofia mammaria in paziente di 30 anni: profilo.
Fig. 12: Correzione della ipotrofia mediante impianto di protesi rotonde a parete testurizzata nel
piano retroghiandolare, attraverso un accesso ascellare: prospetto.
Fig. 13: Correzione della ipotrofia mediante impianto di protesi rotonde a parete testurizzata nel
piano retroghiandolare, attraverso un accesso ascellare: profilo.
Rischi e Complicanze
Per lungo tempo si è discusso se l’impianto di protesi in silicone potesse essere o meno responsabile
di un aumentato rischio di sviluppare tumori mammari o malattie sistemiche autoimmuni o
connettivali e, nonostante in letteratura vi siano valide dimostrazioni dell’assenza di correlazioni tra
esse, persistono ancor oggi un certo timore che ciò si verifichi e una certa riluttanza da parte delle
pazienti. In realtà è stato scientificamente dimostrato che l’intervento di mastoplastica additiva con
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protesi, non ha alcuna influenza sull’insorgenza del cancro della mammella o di sindromi
connettivali autoimmuni e non. Al contrario consente di ridurre il rischio di riscontrare un tumore in
fase avanzata grazie al maggior numero di controlli a cui vengono invitate a sottoporsi le pazienti, e
favorendo così una diagnosi e un trattamento precoci.
Che il posizionamento di un dispositivo protesico in sede mammaria renda difficoltosa l’esecuzione
di esami quali la mammografia è invece un dato di fatto; in effetti, la presenza di una protesi,
soprattutto in sede retroghiandolare, rende più difficoltoso lo studio della mammella, in quanto
provoca una distorsione dovuta all'interposizione di una massa opaca che oscura una parte della
ghiandola, rendendo difficoltoso il riconoscimento di eventuali depositi di calcio in tessuto
peritumorale. Una volta informato il radiologo, il problema viene però superato attraverso l’utilizzo
di proiezioni particolari. Per una donna portatrice di protesi mammarie è possibile inoltre allattare al
seno in quanto è stato dimostrato che il silicone non filtra nel latte e l’intervento non ne pregiudica
la produzione.
Nell'ambito della mastoplastica additiva e, in generale, in tutti gli interventi in cui sia richiesto
l'utilizzo di protesi, i rischi legati all'intervento possono essere, per semplicità, suddivisi in generici
e rischi specifici. Tra le possibili complicanze generiche abbiamo:
Ematomi: dovuti ad un più o meno importante sanguinamento, sono una complicanza rara
(0.5%), caratterizzata dall'accumulo di sangue all'interno dell'alloggiamento protesico e se di
grossa entità può rendere necessario un re-intervento per la loro evacuazione; tale rischio
può essere ridotto dal posizionamento di drenaggio per le prime 24-48 ore postoperatorie.
Infezioni: sono un rischio generico connesso con qualunque atto chirurgico, ma, grazie
all'alta sterilità intraoperatoria, nelle mastoplastiche additive sono estremamente rare e
possono essere prevenute dalla copertura della paziente con una profilassi antibiotica.
L’infezione dell’alloggiamento protesico è estremamente raro ma, se presente, può essere
necessario rimuovere l’impianto ed attendere alcune settimane o mesi prima di ripetere
l’intervento.
Difetti di guarigione delle ferite: sono spesso imprevedibili, in quanto connessi a fattori
individuali che esulano dal chirurgo e che possono portare al formarsi di una cicatrice
ipertrofica, cheloidea, slargata o iperpigmentata, ma che possono essere corretti con una
trattamento locale o con una semplice revisione secondaria.
Tra le complicanze specifiche abbiamo invece:
Dislocazione della protesi: è spesso dovuta all'allestimento di una tasca protesica troppo
grande rispetto al suo contenuto e porta ad una migrazione della protesi rispetto al sito che
era stato programmato. Questo tipo di complicanza non sempre necessita di un re-intervento,
ma spesso può essere corretta esternamente con l'ausilio di apposite fasciature che
consentono di guidare la protesi nella posizione desiderata
Rottura della protesi: molto rara se spontanea, può essere dovuta a dei traumatismi diretti
sulla regione toracica e porta necessariamente a un reintervento con sostituzione
dell’impianto. E’ comunque importante ricordare che un impianto mammario non ha una
durata eterna e che è buona norma sottoporsi a controlli annuali dopo i 10-12 anni
dall'intervento.
Visibilità e palpabilità della protesi: può essere legata o ad una cattiva scelta del suo
posizionamento (sottoghiandolare piuttosto che sottomuscolare) rispetto alla conformazione
della paziente, o ad un dimagrimento importante della stessa, successivo all’intervento, che
rende visibile e/o palpabile una protesi retroghinadolare inizialmente ben collocata. Oppure
ad una ghiandola troppo piccola per coprire le dimensioni della protesi.
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Alterazioni della sensibilità della regione mammaria: complicanza poco frequente e
molto soggettiva, a volte interessante solo il CAC, altre estesa a tutta la regione mammaria;
l’anestesia è di solito temporanea, ma in alcuni rarissimi casi può essere permanente.
Contrattura della capsula periprotesica: rappresenta senza dubbio la complicanza più
frequente e temuta. Tale capsula non è altro che un involucro fibroso che racchiude la
protesi, involucro che l’organismo normalmente crea al fine di isolarsi da essa in quanto,
seppur biocompatibile, rappresenta comunque un materiale inorganico che l’organismo
riconosce come estraneo. Raramente la capsula può, dopo 3-4 mesi ma anche a distanza di
anni, andare incontro a delle modificazioni di grado più o meno variabile, secondo la
classificazione di Beker. Tali alteraziono portano ad una costrizione della protesi che le
conferisce una maggiore consistenza, talvolta non rilevabile (Grado 1), talaltra avvertita
dalla paziente (Grado II); in altri rarissimi casi oltre all’aumento di consistenza si verifica
anche un cambiamento della forma della mammella (Grado III) ed un dislocamento della
protesi con dolenzia (Grado IV). Il grado II di contrazione può essere ben tollerato dalla
paziente, in particolare se la protesi è stata posta sotto il muscolo, e non richiedere pertanto
la correzione che è invece necessaria solo nei gradi III e IV, per fortuna molto rari (3-4%).
Nonostante sia difficile prevedere una sua evenienza, la contrattura della capsula
periprotesica può essere talvolta prevenuta riducendo al minimo il rischio di sanguinamenti,
micro-ematomi o infezioni o ancora posizionando la protesi in sede retromuscolare e/o con
l’uso delle protesi moderne a superficie rugosa e gel coesivo.
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