CAPIRE I FIGLI: OBIETTIVITA` E REALISMO

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CAPIRE I FIGLI: OBIETTIVITA` E REALISMO
CAPIRE I FIGLI: OBIETTIVITA' E REALISMO NELLA RELAZIONE EDUCATIVA Primo incontro della Scuola per Genitori 2012 – prof. Osvaldo Poli Mercoledì 18.04.2012, Auditorium Biblioteca Comunale di Montebelluna LA VIRTU' DELLA PRUDENZA Per affrontare il tema di questa sera voglio iniziare la mia riflessione parlandovi della virtù della prudenza, assolutamente necessaria per noi genitori. Una virtù che ha perso il suo significato originale ma che, come potete ben intuire, è la principale delle virtù cardinali, la prima, l'auriga virtutum, la mater virtutum, quella più grande, più importante, decisiva. La prudenza è oggi sinonimo di accortezza, cautela, evitamento del rischio; in realtà, nella sua origine etimologica, ha un significato diverso che va riscoperto. Prudenza vuol dire lucidità, realismo, capacità di vedere e di capire come stanno veramente le cose. Innanzitutto, dunque, voglio dirvi che io credo sia necessario ritornare ad essere prudenti in questa prospettiva etimologica, specie quando ci preoccupiamo dei figli: dobbiamo cercare di capire il significato dei loro comportamenti, delle loro azioni, dei loro atteggiamenti, usando obiettività e realismo, guardando alle cose per come sono davvero perchè da una sbagliata diagnosi non può che venire una terapia sbagliata. A seconda del senso che attribuiremo alle frasi dei nostri figli, ai loro vissuti, ai loro atteggiamenti, di conseguenza agiremo. Pertanto, è assolutamente necessario capire qual è la situazione reale che ci proponiamo di osservare, dando il giusto significato ai loro comportamenti. Per non incappare in errori. Da questo punto di vista, allora, diventa fondamentale conoscere i figli, cioè avere uno sguardo “distaccato” su di loro. E' necessario, oltre che sempre più urgente nella nostra prassi educativa, giudicare le cose secondo il dato di realtà (= non filtrate dalle nostre paure, dalle nostre emozioni), quasi che non fossimo noi il papà e la mamma di quel figlio che stiamo osservando. Troppo spesso, invece, quando pensiamo ai figli, abbiamo in mente un disegno che non corrisponde al vero, non li vediamo per come sono; piuttosto sono “i figli disegnati dalla matita delle nostre paure”. Tutto ciò, introducendo la nostra discussione di stasera, per dire che non c'è alcun aiuto, alcun miglioramento, che possiamo dare ai nostri ragazzi a prescindere dalla verità (= cioè dire loro come stanno le cose e quale significato attribuirgli). La prudenza è, da questa prospettiva, l'essenza della nostra capacità di capire i figli. Un esempio. Scrive una mamma: “Mia figlia è ormai grande, 14 anni, ma chiede insistentemente le coccole tanto da sfinirmi. “Mi fai una coccola, mi vuoi bene, mi abbracci”.... mille volte al giorno. A me non viene spontaneo perchè non è più piccolina e devo anche occuparmi della casa senza essere interrotta ogni momento per abbracciarla e accarezzarla. Tuttavia non sono capace di dirle di no o di dirle: “Le faremo stasera sul divano”. E così la coccolo di malavoglia; però, siccome sono un po' scocciata, mi sento anche in colpa di non essere abbastanza affettuosa”. CHIEDO a questa mamma: “Perchè sua figlia vuole tante coccole?” A seconda della risposta che darà alla domanda, agirà di conseguenza. Per cui non si può sbagliare la diagnosi. “Probabilmente non si è sentita amata da me... Non sono riuscita a farle percepire il mio amore... O forse le manca l'affetto del padre che ha un carattere un po' burbero... Non vorrei che poi andasse a cercare l'affetto del primo ragazzo che passa con le prevedibili conseguenze”. Allora CHIEDO alla ragazza: “Perchè vuoi tante coccole?” “Io sono una coccolona, ma so benissimo che la mamma mi vuole bene. Non c'è alcun dubbio che mi voglia bene. La stresso perchè sono un po' infantile, quello che voglio lo voglio e lo voglio subito, come una bambina piccola che si impunta e fa i capricci per ottenere ciò che chiede”. Ecco i due punti di vista diversi. E' evidente che, a seconda della prudenza usata, del significato attribuito al comportamento della figlia, il genitore agirà di conseguenza. O la riempirà di coccole stordendola. Oppure le dirà – più semplicemente e realisticamente -­‐ di farsela passare, senza sentirsi una mamma in colpa. E' fondamentale, lo ribadisco ancora, cercare di capire come stanno davvero le cose, al di là di ciò che si può pensare, immaginare, o di cui si ha paura (= perchè a volte si scambiano le paure per realtà, agendo di conseguenza senza fare la cosa giusta). Quando, ad esempio, il bambino dice alla mamma: “Questa espressione non la so fare...”, a seconda del contesto, del suo carattere e delle circostanze lei capisce se davvero il figlio non sa svolgere il compito oppure si sta lamentando perchè non vuole impegnarsi. Il genitore si comporterà di conseguenza per il bene del figlio, aiutandolo e fornendo gli strumenti per risolvere il probema, o mettendolo davanti alla sua pigrizia. Non c'è dubbio che sia spesso spiacevole, difficile, doloroso chiamare le cose con il proprio nome, ma nell'educazione non si può prescindere dalla verità. Se la stessa espressione di matematica con la mamma ci mette un tempo infinito a svolgerla mentre con il papà -­‐ che lo guarda storto -­‐ in trenta secondi la completa, non potete pensare si tratti di discalculia... Agirete di conseguenza, senza essere presi dai dubbi che “se faccio così non si sente capito, magari ha dei problemi che non conosco...”. Un altro esempio. Una mamma scrive: “La mia bambina in terza elementare non vuole addormentarsi nel lettino da sola. Abbiamo cercato in tutti i modi di convincerla ma non ci siamo riusciti. In genere lei è autonoma, va fuori spesso, si ferma dai cuginetti. Ci chiediamo il significato di questo comportamento1”. “Farà così perchè soffre per non vedere i nonni da due anni?” si domanda la mamma. Ma quali argomenti – chiedo io -­‐ sostengono questa opzione....? “Era molto legata ad una zia vicina alla nostra famiglia con cui abbiamo rotto e che non si è fatta più vedere. Sarà un modo per esprimere un disagio collegato a questa situazione? Una volta ci ha detto: “Ho paura che voi vi trasformate in mostri” ma aveva appena visto un film dell'orrore in televisione... Non riusciamo a capire il problema che ha dentro, la paura che motiva questo suo comportamento”. “Un giorno però alla figlia sfugge: “Vengo nel lettone per controllarvi”. Infatti è molto gelosa. Se noi parliamo lei si intromette, si infastidisce se stiamo insieme...”. Atteggiamenti tipici della gelosia. Trovate qui la chiave interpretativa del comportamento di questa ragazzina2. 1 Le mamme, in particolare, si chiedono sempre il perchè delle cose. E' la loro bellezza, la loro grandezza, ma anche il loro dramma. Qualsiasi atteggiamento, situazione, fatica, vivano i figli, le mamme sono subito pronte a domandarsene il motivo, ad interrogarsi sul significato, ad andare in profondità. L'intelligenza femminile è misteriosamente bella, eppure con una sua drammaticità. Il cuore materno ha sorgenti interpretative sempre aperte. Il senso e la comprensione della profondità e della complessità della vita interiore nelle mamme sono caratteristiche meravigliose, specie quando applicate ai figli. Eppure, dicevo, questo esercizio di analisi è anche drammatico, perchè la donna osserva le cose da talmente tanti punti di vista che alla fine rischia di smarrire il dato di realtà. Tenete conto che il dono del femminile è la profondità; il dono maschile è la direzione. 2 La gelosia non è la paura di perdere l'affetto della mamma. E' piuttosto il rifiuto di perdere l'esclusiva del rapporto amoroso. E' la pretesa di essere l'unico oggetto d'amore del genitore. Di fatto il bambino geloso sa benissimo che non perde l'amore di mamma e papà, lo constata quotidianamente. L'esempio per eccellenza è l'arrivo in casa di Ecco spiegato il fatto: la figlia andava nel lettone perchè quella era la maniera più consona per evitare di avere dei fratellini! Un esempio ancora. “Mio figlio ha 11 anni e mi rende la vita difficile perchè mi manca sempre di rispetto. La vita con lui è una battaglia. Se lo forzo a fare qualcosa mi dice di no oppure rimanda gli impegni. L'altro giorno ha messo in cartella i libri del lunedì dell'anno prima. Mi tocca sempre corrergli dietro. Scrive in modo illeggibile, le parole sembrano dei geroglifici e pretende che io capisca ugualmente altrimenti si arrabbia. Non accetta la mia autorità. Dopo 20 volte che gli dico: “Lavati i denti”, mi guarda e mi risponde: “E tu cosa fai se non me li lavo?”. Mi dice anche: “Tu sei una donna e non capisci niente!”. Era così fin da piccolo. Diceva: “Voglio due caramelle”. “No, ne prendi una” “Allora non ne voglio nessuna”. Io non ce la faccio più”. La mamma, dunque, si chiede: “Perchè questa difficoltà? Che significato gli devo attribuire? Si comporta così perchè è spaventato dal dover affrontare i suoi impegni? Forse non è stato capito nello sforzo che la scuola gli richiede? Oppure, sinceramente, ho proprio un figlio dal pessimo temperamento?”. Porsi le domande è segno di profondità, disponibilità, intelligenza. Ma lo è ancora di più darsi delle risposte adeguate e conseguenti i fatti. I DIFETTI DEI FIGLI Puliamo le lenti dei nostri occhiali. Cerchiamo di essere più obiettivi e realistici nel giudizio verso i nostri figli e i loro comportamenti. Da questo punto di vista, io credo che nell'educazione dobbiamo recuperare alcune parole chiave cadute in disuso. La prima è che i figli hanno dei difetti. Vorrei ridare considerazione a questo concetto che da decenni non viene più utilizzato. E non sto parlando di “problemi”, “aree di miglioramento”, “particolarità”, ma di difetti. Se usiamo la parola “particolarità”, poi con quale legittimazione morale (= altro termine assolutamente da riscoprire) gli potremo chiedere di impegnarsi a superare un ostacolo, una fatica...? Con che diritto riusciremo ad intervenire e ad educarlo se, semplicemente, “è fatto così” e per questo stesso motivo deve andare bene? I figli sono difettati, non nascono perfetti (né dal punto di vista morale nè psicologico...) come la cultura educativa attuale oggi implicitamente sostiene affermando che, anche quando hanno dei problemi, dei dolori, delle fatiche della vita, non è colpa loro: se trovassero un mondo perfetto, delle mamme perfette, delle situazioni perfette, non avrebbero alcuna difficoltà. E' evidente che non funziona così. Lo vedete bene nella quotidianità. Da questo ragionamento consegue che non sempre tutto e comunque ciò che non va nella vita di un figlio è colpa dei genitori; ed in particolare non è sempre e necessariamente colpa della un secondo figlio, di un fratellino/sorellina. La difficoltà emotiva che rende difficile l'accettazione dell'altro è la gelosia: il primogenito sa per certo che non verrà meno l'affetto materno, ma sperimenta di non godere più dell'esclusiva. (= Pensa: “Non è che non vuole più bene a me, è che non vuole più bene SOLO a me”. E' quel “solo” a fare la differenza. Se si rifiuta di accettare la rinuncia, attua comportamenti di ripicca. E tuttavia la responsabilità di questi atteggiamenti non è dei genitori; piuttosto è il figlio a dover faticare per fare il passaggio di crescita). Non cedete mai alla tentazione di dire: “Mio figlio sta male, è colpa mia. A priori”, perchè anche i figli devono impegnarsi per quanto compete loro. Peraltro, il dolore della gelosia, della perdita dell'esclusività, è positivo perchè, quando viene superato, permette di coltivare relazioni autenticamente buone e gratuite. Se invece si trascina fino all'età adulta senza confrontarsi e superare questa dinamica, riverserà sul proprio/a compagno/a gli stessi modi di comportarsi. “Se mi ami rinunci a qualsiasi altra cosa”.... “Se sei amica mia non devi esserlo di nessun altra”... mamma, per lo più perchè non l'ha amato abbastanza. Facciamola finita con queste pseudo certezze perchè altrimenti le mamme restano schiacciate! Non si faranno più figli! Esiste, infatti, in ogni persona un temperamento che è dato in natura3. Ecco un altro concetto scomparso dalla psicologia attuale. I figli nascono già con temperamenti diversi; credo lo possiate vedere bene nei fratelli: uno dolce, uno introverso, uno solare, uno attivo, uno ... Non c'entrano nulla in tutto questo gli errori possibili o probabili dei genitori. Sto proponendovi stasera delle considerazioni che evidentemente ci restituiscono il senso e la misura della nostra responsabilità e di come dobbiamo giocare il nostro ruolo nella partita dell'educazione dei figli. I genitori non sono onnipotenti, non possono portare sulle loro spalle il fardello che altri gli mettono: “Dipende tutto da te!”; “Se vuoi che i figli vadano bene a scuola devi seguirli molto!” … Altrimenti si corre il serio rischio di vivere oppressivamente l'idea che “la colpa è sempre e solo di mamma e papà. Più spesso di mamma”. Tuttavia, chiedo, in questo modo chi si assume la fatica del cambiamento, la responsabilità di crescere? Se la colpa è del genitore, quale figlio si impgenerà per migliorarsi, per maturare e diventare adulto? Esempio uno. “Quanto ha preso tuo figlio in pagella in inglese?” “Suff.” “Pochino, guarda che bisogna seguirli i figli perchè prendano bei voti” = E' COLPA DELLA MAMMA! Esempio due. “Signora, suo figlio a scuola è assonnato, non sta mai attento, è svogliato e assente. Ma LEI, lo manda a letto presto la sera?” = ANCORA COLPA DELLA MAMMA! Esempio tre. “E' tuo il figlio che va in giro tutto il pomeriggio con il motorino per il paese?” “Certo”. “E lo lasci andare anche se non ha una bella pagella?” = IL FIGLIO VA MALE, E' COLPA DELLA MAMMA! VERITA' E GIUSTIZIA Imprimete bene nella vostra testa questo concetto: non c'è nessun amore senza verità. Non c'è nessun amore senza il rispetto e l'onore della verità, per quanto veramente e umilmente riusciamo a conoscere con la nostra intelligenza e nella nostra coscienza. Perchè l'amore per i figli non ci richiede di essere sciocchi e di non vedere le cose per ciò che davvero sono e chiamarle con 3 Si distingue classicamente il temperamento, il carattere, la personalità, l'identità. Sono 4 matrioske, stanno una dentro l'altra. Il temperamento è dato in natura, non abbiamo nessun merito/demerito per averlo in un modo o in un altro. E non c'entra nulla la colpa dei genitori. La responsabilità educativa di mamma e papà forma il carattere. E' diverso per un figlio nascere in una famiglia equlibrata o meno, socevole o introversa... La personalità invece si chiude alla fine dell'adolescenza (= che si prolunga sempre più negli anni) con l'interiorizzazione del valore. Vale a dire che la vita di un figlio non dipende unicamente dagli atteggiamenti della madre (= la mamma non è onnipotente) ma anche dai valori che scegli per sè nella vita. il loro nome. Non c'è in questo nessuna arroganza. L'amore richiede di essere svegli, con gli occhi ben aperti e di onorare la verità, anzi – dirò di più – di amare la verità più del figlio stesso. I figli hanno diritto alla verità. Non è una nostra responsabilità se i figli si comportano in un modo o nell'altro in base alle loro “tendenze”, al loro “temperamento”. Ma è una nostra responsabilità metterli davanti alla verità delle cose. Per esempio, una delle “tendenze” più in voga in questi tempi è quella di non impegnarsi nello studio e a scuola, facendo “il minimo sindacale”; in altre parole essere senza il senso del dovere. Ma i genitori non hanno colpa se i figli fuggono questo aspetto impegnativo della vita, legato alla loro immaturità. Tuttavia hanno la responsabilità di rendersene conto, di vedere le cose per come sono, di chiamarle con il loro nome, di fare ciò che è possibile per aiutare i figli a cambiare se loro lo vogliono. Ripeto: i genitori non posso considerarsi onnipotenti (= come sostiene la cultura psicologica educativa imperante); chi li ritiene tali mette sulle loro spalle una vera croce. Invece anche la responsabilità sull'educazione di una madre e di un padre è limitata a dei parametri ben definiti. Allontanate da voi il determinismo educativo: non pensate davvero che tutto ciò che capita nella vita dei figli è merito/colpa sempre, comunque, necessariamente dei genitori. E' ovvio che i genitori hanno delle responsabilità, ma queste responsabilità vanno individuate bene e vanno distinte da quelle dei figli. Anche i figli hanno delle responsabilità, che devono essere comprese e mai minimizzate. Quante volte avete detto ai vostri figli: “Tieni pulita la tua camera”; “Studia e portati avanti con le lezioni”... Quanta fatica stiamo facendo per tirare su questi figli “normali”!!! La verità vera è che i figli esistono, sono fuori di noi e decidono da sé. A volte ti ascoltano, a volte no. Se pensano che “tanto verranno promossi comunque, che se bocciano loro prima devono bocciare altri dieci ragazzi, che in quella scuola promuovono sempre tutti....” dove volete che andiamo? E' il figlio che decide della sua condotta scolastica. Dunque, torno a domandarvi: crescere i figli significa assumersi delle responsabilità che non competono, o piuttosto metterli davanti alle loro responsabilità, aiutarli a dirsi la verità e a diventare consapevoli anche delle conseguenze delle decisioni che prendono? Pensate davvero che sarebbe possibile cambiare i vostri figli, rispetto ad un atteggiamento, ad un modo di essere o di porsi, senza che loro stessi lo decidano, lo vogliano, lo sappiano e paghino il prezzo della fatica di diventare una persona migliore? In altre parole a prescindere da loro, senza che collaborino al cambiamento? Qui voglio aggiungere un altro invito a tutti voi. Recuperate queste parole: fatica, disciplina, rinuncia, sacrificio, secondo me fondamentali e da troppo tempo in esilio. Non esiste nulla di bello o positivo che i nostri figli possano fare senza fatica, disciplina, rinuncia e sacrificio. Quando uno si rifiuta di accettare il dolore necessario nella vita, come credete potrà mai crescere? Il problema non è mai dato dal dolore, ma dal rifiuto del dolore necessario. Studiare, impegnarsi davvero a scuola, porta un dolore. Non c'è un metodo di studio del tutto facile, che non richieda disciplina, rinuncia... Finchè non si accetta liberamente il dolore, non se ne esce. Voi genitori potete perdere il sonno, minacciarlo, sgridarlo, punirlo, ma non servirà a nulla se vostro figlio non accetterà di partecipare al suo progetto di crescita – lo ribadisco -­‐ con rigore, fatica, impegno. Il presupposto da scardinare dunque è: figlio bravo = mamma brava; figlio non bravo = mamma non brava. Attenzione perchè è letale. Per tutti gli errori che un figlio fa, scatta automaticamente il link materno deleterio e ingiustificato che porta la madre a dire: “E' colpa mia perchè non sono riuscita a osservare, capire, prevedere ed evitare, come invece sono capaci le “brave” mamme”. Ricordate sempre: c'è la questione del temperamento e della responsabilità personale, da cui non si può prescidere. Il problema è che le mamme vivono gli errori educativi dei figli, tutte le cose sbagliate che fanno, come il proprio fallimento. “Mia figlia fa la cosa sbagliata, ma mi sento in colpa e sbagliata io perchè avrei dovuto trovare il modo, le parole, le circostanze, per convincerla a non comportarsi male”. Ammesso che esista, il modo, le parole, le circostanze! Per il bene dei figli è necessario dire loro sempre la verità, perchè senza la verità non c'è amore e i nostri figli non crescono. Maturano se sono messi davanti alla verità che li riguarda, la accettano e fanno la fatica di migliorarsi. I DOVERI DEI FIGLI In più, dovete fissare in testa un altro concetto fondamentale: anche i figli hanno dei doveri. Non hanno solo problemi. Il primo di tutti i doveri è che anch'essi devono amare i genitori, conformemente al loro carattere e proporzionalmente alla loro età. In secondo luogo hanno il dovere di diventare persone migliori. Ci metteranno le fatiche di una vita per amare la verità oltre se stessi, imparando a dire “è colpa mia” se è una loro responsabilità, oppure “hai ragione tu”, se riconoscono il dato reale in quello che gli viene detto. Non è facile, né per noi, né per loro. E, oltre alla verità, devono imparare ad amare la giustizia, che in termini relazionali è la prossimità. Lo ripeto, non c'è nessun amore senza la verità (= la sincerità) e la giustizia (= la prossimità). E non c'è amore senza fatica, rinuncia, disciplina, sacrifico: non si può amare a costo zero. Perciò mettere la biancheria sporca nel cesto, sistemare la propria camera, essere diligente a scuola, vuol dire amare la propria mamma e il proprio papà. Nemmeno i figli hanno il diritto di uccidere (= simbolicamente) le mamme e di approfittare della capacità che hanno di andare loro incontro, di sacrificarsi. Non ci sono serve, solo mamme da amare. Da questo punto di vista e in questa prospettiva anche i padri possono fare molto. Le mamme vanno amate. Punto. E per amare le mamme bisogna fare la fatica di “resettare” anche alcune parti del temperamento che le feriscono, le affaticano, le umiliano. I bambini nascono immaturi, ma poi vanno educati alla prossimità e alla sincerità. Il terzo dovere che i figli hanno non è solo di andare bene a scuola (è troppo poco), devono essere capaci di relazioni buone, amorose, e di fare la fatica di viverle a cominciare dalla famiglia. Del resto, i nostri figli hanno diritto ad essere amati, non sopportati. Un conto è avere pazienza. Ma bisogna chiedere loro la fatica a diventare migliori. E' una responsabilità che li riguarda in prima persona. Un consiglio per le mamme: quando vi sentite stanche, sfinite, probabilmente state prendendo una strada sbagliata. Perchè l'educazione dei figli non significa annullarsi... Due generazioni fa le nostre nonne allevavano cinque figli in tempo di guerra e ce la facevano benissimo. Noi oggi facciamo tanta più fatica, perchè? E' evidente: i buoni rapporti in famiglia tra genitori e figli non dipendono solo dai primi ma anche dai secondi. Se i figli non cercano l'armonia in casa non si va da nessuna parte. E' un prezzo e una fatica che tutti i componenti della famiglia devono pagare. Altrettanto, i buoni rapporti tra fratelli e sorelle richiedono impegno e volontà, andando oltre la gelosia reciproca. Che fare quando, ad esempio, tirano in mezzo la mamma per decidere chi ha torto o chi a ragione, chi ha cominciato, chi è nel giusto.... Una mamma, in questa situazione, ha risposto loro: “Io non c'ero, non so chi ha ragione. Ve la dovete sbrigare tra di voi due”. Allora, siamo noi a dover fare la fatica di ricostruire i fatti ed essere mediatori, o la fatica la devono fare loro? Di chi è la responsabilità del rapporto tra due fratelli? SOLO DEI DIRETTI INTERESSATI. Pur sapendo bene che la reciprocità non è mai facile. Dunque non è vero che i genitori possono tutto, che riescono ad evitare ai figli di fare la cosa sbagliata. Qual'è il confine della nostra responsabilità rispetto al determinismo educativo? A COSA, CIOE', SIAMO TENUTI? 1. A porre i figli di fronte alla verità che li riguarda. 2. A chiedere loro di cambiare, se vogliono. Ci metteranno fatica e sudore per coltivare l'arte della reciprocità, imparare ad amare qualcuno e lasciarsi amare da qualcuno. E questo, io penso, è il vero fine dell'educazione. Troppo poco avere una laurea prestigiosa e parlare bene l'inglese... se poi lasciano scie di dolore in tutti i rapporti che attraversano. Noi vogliamo dei figli grandi, forti, liberi, maturi, che non hanno paura della fatica da fare per diventare migliori. E la maturità umana è amare la verità e la giustizia più di se stessi. Non è l'autonomia, che senza dubbio è importante ma non l'unico metro di misura della crescita verso l'età adulta. Fin da piccoli dobbiamo aiutare i nostri figli a diventare grandi in questo modo. E non c'è un'altra strategia se non spingerli a rendersi conto della verità che li riguarda, dei loro pregi e dei loro difetti. Non diminuiranno l'autostima se li metteremo davanti ai loro limiti. Noi dobbiamo amare i nostri figli, non adorarli4. AMARE I FIGLI La verità è che i figli, in qualche misura, deludono. L'amore per loro non ci obbliga a trovarli perfetti e meravigliosi; piuttosto a vederli così come sono, andarli a prendere là dove sono e accettarli con i loro difetti senza immaginarli migliori. Con la stessa forza della verità con cui ci compiaciamo dei loro pregi e dei loro successi, dobbiamo metterli di fronte ai loro limiti. Alle loro responsabilità. Bisogna amare maggiormente la verità del figlio stesso. E' il figlio che deve accettare la verità che lo riguarda dalle nostre parole. Non noi dobbiamo diventare sciocchi e far finta di non capire come 4 Amare i figli non vuol dire solo provare per loro affetto. L'affetto è una componente dell'amore ma nemmeno la più pregiata. L'affetto non è sufficiente per avere rapporti buoni. Piuttosto è necessario che genitori e figli onorino la verità e la giustizia perchè solo così c'è sincerità e prossimità. Con il solo affetto non c'è reale voglia di vivere assieme, oltre le difficoltà quotidiane. stanno davvero le cose. Lo ripeto ancora una volta: amare i figli significa aiutarli, per quanto siamo capaci e per come ci è possibile, a diventare persone migliori, cioè a fare il loro bene. E questo accade nella misura in cui collaborano, perchè quando non collaborano dobbiamo accettare la nostra impotenza. Amare i figli non vuol dire nemmeno che ci deve piacere il loro carattere. Non è obbligatorio. Noi siamo tenuti ad amare tutti i figli, anche quelli con un brutto carattere. Perchè ognuno ha il suo. Però dobbiamo fare quello che ci è possibile per aiutarli a migliorarsi. Abbiate la consapevolezza che i figli possono deludere, ed è un grande dolore. Se una mamma pensa che il figlio sia meraviglioso e perfetto, credete possa davvero sostenerlo nella crescita e nel cambiamento? Non è l'affetto l'azionista di maggioranza dell'amore, ma la decisione di fare il bene; ed è il tentativo di onorare la verità e la giustizia a tener vivo il sentimento dell'affetto che, altrimenti, passa. Il dramma del nostro tempo sono i figli invivibili, non le mamme che non fanno abbastanza per seguire i figli. In realtà non chiedono con sufficiente energia il cambiamento per diventare maturi. Se non insegnamo ai figli ad amare nella reciprocità, come pensate si comporteranno da adulti, nel matrimonio, con le proprie compagne, i primi compagni... Se non hanno imparato l'abc della prossimità in famiglia, come riusciranno a gestire le proprie relazioni affettive? Saranno parassiti, non uomini e donne capaci di donarsi, di spendersi per il bene altrui. Allora, li poniamo di fronte a queste fatiche? O ci accontentiamo? Abbassiamo il prezzo o mettiamo quello giusto per andare d'accordo? Gli facciamo sconti, che poi chiederanno tutti? Sappiamo infatti bene – lo vediamo prima di tutto dall'esperienza concreta -­‐ che se uno non è capace di reciprocità è perchè è sempre stato esonerato dallo sperimentarsi in questa dimensione. Ribadisco: amare i figli è farli confrontare con la verità. Da questo punto di vista noi abbiamo uno strumento eccezionale, che usiamo pochissimo: dire ciò che sinceramente pensiamo di loro. A confronto le prediche, le punizioni, i castighi non sono altrettanto potenti. Sono molto più forti, più incisive, queste parole: “Caro/a, siedi qui che ora ti dico cosa penso di te come figlio/a e come fratello/sorella”. I figli sono maturi se amano la verità e la accettano perchè questo è il presupposto per cambiare. Un esempio. Due figlie fanno il disegno del castello con il principe. Poi vanno dalla mamma e chiedono quale è il più bello. La mamma tergiversa e dice: “Ma sono belli tutti e due, uno per i colori, uno per la forma e la fantasia”... Lo sa, quella mamma, che non è vero ciò che sta dicendo eppure uccide la verità per non ferire. Invece il papà, più schiettamente, si rivolge ad una e le dice sorridendo: “Tu sei brava in matematica, accontentati”. E' un modo dolce, ironico, di esprimere la verità. E' così che quella bambina impara, un po' alla volta, a vivere su questo mondo. Si può accettare dunque la vita con i suoi limiti? Si può giocare con le carte che la vita ci ha dato in mano, senza lamentarci di continuo o pretendere di crederci (= e far credere agli altri) diversi da come siamo? Altro esempio. Una ragazzina vuole fare la ballerina di danza classica. Fisicamente però non è adatta. Deve essere arrabbiata tutta la vita o farsela passare? Scegliendo qualcosa d'altro per cui, probabilmente, sarà anche più portata? La vita non va rifiutata perchè non è perfetta. I figli hanno diritto ad una vita perfetta? Ad una madre perfetta? Questa idea sarebbe solo indice di immaturità. I figli hanno diritto alla verità. Possono tranquillamente imparare a rinunciare a ciò che non possono avere. Un esempio ancora. “Mamma, chi è più bravo nella mia squadra a giocare a basket?” “Ma, guardandovi, insomma... il livello... tutti più o meno uguali”... Risponde il papà: “E' tre anni che ti dico che non è il tuo sport!” Chi fa il bene educativo del figlio? Il dolore non è sempre un problema. Il dolore della verità accettato libera: esso crea le condizioni perchè i figli possano trovare la loro vera strada. La verità va detta, senza sconti (= è l'aspetto maschile), senza crudezza (= è l'aspetto femminile). Esempio. “Perchè i miei amici non vengono mai a giocare con me al pomeriggio?” La mamma: “Sai, c'è il traffico, il problema dei parcheggi, poi se è brutto tempo, anche le altre mamme hanno tanto da fare...” (= tu sei bello, bravo, buono, la colpa non è tua ma delle circostanze avverse). Così, però, non si mette il figlio in discussione: non si procura a lui del dolore ma lo si tiene dentro la bolla della perfezione e dell'invulnerabilità tipicamente infantile. Io credo sarebbe piuttosto necessario aiutarlo vivere in questo mondo, con coraggio, con forza, con verità. Il papà, invece, risponde così: “Sai, io ho un'altra spiegazione. Ti dico sinceramente cosa penso di te. L'ultima volta che ci sono stati i tuoi amici a casa io ti ho osservato: non li hai fatti giocare con i tuoi giochi, non hanno potuto nemmeno avvicinarsi al computer, li hai costretti a guardare te che pensi di essere tanto bravo... chiaro che non vogliono più venire a giocare qui a casa”. Ci resta male? Speriamo! E' questo dolore che lo sveglia e lo salva. Se lo accetta. E' il rifiuto del dolore che crea i problemi, non il dolore in sé. Il dolore accettato rende migliori, quello rifiutato peggiori. Non serve nemmeno andarlo a cercare il dolore, ci pensa la vita. Ma quello che fa la differenza è l'accettazione o il rifiuto. Vi chiedo: tocca al figlio impegnarsi a diventare più attento e generoso o sono gli amici che devono “farsela passare”? State tranquilli che loro non sono come la mamma, non si sentono in colpa per non andare a trovare l'amico. ECCO COME SI PUO' FARE Un esempio. “Ho una figlia di 12 anni che tratta malissimo la sorella, invece molto affettuosa con lei. A tavola non va mai bene niente, non ascolta nessuno, se la richiami ti ride in faccia, vuole tutti ai suoi ordini”. “Una volta le ho detto: “Siediti qui sul divano, mettiti comoda, ho una cosa da dirti. In questi anni, cara figlia, abbiamo pensato di tutto io e papà. Ci siamo chiesti dove abbiamo sbagliato noi genitori, dove non ti avevamo capito (= una variante del non essere amato, l'incubo delle madri), se ti avessimo fatto mancare qualcosa5. E abbiamo cercato di rimediare, di darti di più, di essere 5 E' importante è bellissimo porsi queste domande, che denotano anche una grande profondità ma è altrettanto fondamentale darsi delle risposte perchè altrimenti dentro di noi risuonano come certezze comprovate e ci attenti, ma non è servito a nulla. Dunque la nostra diagnosi era sbagliata. Ora siamo arrivati alla conclusione che hai un brutto carattere e dunque tocca a te migliorarti. Noi non possiamo farci nulla; possiamo solo aiutarti, se tu stessa lo vuoi e ti impegni”. (...) “Mentre nel pomeriggio le asciugavo i capelli, mi sono accorta che piangeva. “E' per le cose che ti ho detto stamattina?” “Si.” “Mi dispiace, ma sono stata costretta a dirle”. Questa mamma taglia il cordone ombelicale e traccia una riga rossa che separa e distingue le responsabilità della figlia dalle proprie (= finchè il figlio ce l'hai dentro di te, nella pancia, non potrai mai riuscire a fare così, continuerai invece a sentirti responsabile della sua condotta e vorrai salvarlo anche se lui/lei non vuole essere salvato). Quando un genitore dice tutto questo ai figli non lo fa perchè è cattivo o insensibile, anzi. Ama la verità più del figlio stesso; gli consegna il dolore della verità senza sentirsi in colpa, senza dubitare profondamente dell'amore per lui. Altrimenti cosa succede? Se ci lasciamo regolare dallo storcere del naso dei nostri figli facciamo ciò che a loro piace e conviene. Ma questo è aiutarli a crescere? A diventare uomini e donne mature? Poi nella lettera la mamma prosegue: “Improvvisamente mi ha abbracciata, con un abbraccio che stavolta mi sembrava sincero, non con quelli soliti d'abitudine. Adesso posso dire che da qualche giorno qualcosa si muove. Si nota qualche piccolo miglioramento nel rapporto con noi e con la sorellina”. Io sono per questo amore forte, non malato, non insidiato dai sensi di colpa. Altro esempio. “Mio figlio vuole avere ragione anche quando non ce l'ha (= come a ricordarci che i bambini non nascono amanti della verità). Se gli faccio qualche osservazione, si arrabbia, dice di tutto e di più, diventa irragionevole. Se sbaglio una parola, si infuria, mi maltratta e mi offende. Il giorno dopo mi chiede scusa, dice che non gli piace essere così, che si rende conto di essere impulsivo e di arrabiarsi facilmente ma poi mi da un bacino e torna tutto come prima. Allora gli dico: “Sono contenta che tu mi chieda scusa ma non basta. Voglio che tu faccia la fatica di correggere e migliorare il tuo carattere. Se vuoi, ci riesci. A scuola e con le persone non della famiglia ne sei capace perchè nessuno si lamenta mai di te e dicono tutti che sei molto caro. Non vedo perchè dovresti trattare male proprio me. Perchè a me riservi il peggio? Se vuoi andare d'accordo con me anche tu devi fare la tua parte. Altrimenti continueremo a farci la guerra, ad avere un clima insopportabile in casa”. Gli ha detto la verità, lo ha messo di fronte alle fatiche della giustizia. Dopo di chè sarà quello che lui stesso decide. Chiediamo ai nostri figli la fatica di diventare migliori. Creeremo degli uomini e delle donne degni di questo nome che saranno la fortuna per tutti quelli che incontreranno nella vita.
fanno sentire in colpa, impedendoci di agire nel modo giusto. Si evita in questo modo di mettere il figlio davanti al dolore della verità e alla giustizia perchè ci si sente che già si è dato un “insopportabile” dolore.