Anversa con il titolo di «pittore di fiori»: ma la sua attività spazia su

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Anversa con il titolo di «pittore di fiori»: ma la sua attività spazia su
Anversa con il titolo di «pittore di fiori»: ma la sua attività spazia su un arco già conosciuto
della grande Allegoria, in cui con il pretesto tematico dell'illustrazione delle stagioni, dei continenti, dei temperamenti, Kessel può impiantare un immaginario particolarmente ricco e
dettagliato. È un universo accumulato di oggetti artificiali e elementi naturali, ciascuno caratterizzato dalla propria storia, dalla propria provenienza: inquadrate in grandi e spesso sfuggenti architetture il pittore celebra la concentrazione delle ricchezze che da ogni parte del
mondo convergono nella stanza delle meraviglie. In esse sono spesso presenti le pitture di
fiori, a testimoniare un'ulteriore raccolta di preziosità, fino al gioco caleidoscopico della autocitazione, come nell'Europa della Alte Pinakothek di Monaco.
La produzione di quadri autonomi di fiori (tav. 215), sia sotto forma di ghirlande mutuate da Daniel Seghers, sia nel grande e nel piccolo bouquet inserito nel contenitore di vetro è
estremamente varia e accreditata: in esse Kessel, oltre a una ben sperimentata perizia nell'inquadramento atmosferico dell'oggetto, dimostra la sua inclinazione per l'osservazione alle soglie del microscopico, provocando una proliferazione di insetti e di bruchi ancora una volta
portatori di un valore di transitorietà, ma senza dubbio esempi di una perizia e un interesse
sostanzialmente dettati da una compiacenza virtuosistica, dalla logica della sorpresa e della
lettura spaesante.
Ma provvisoriamente si può affermare che con Kessel la composizione di fiori inizia a
perdere quelle caratteristiche tematiche e compositive che abbiamo accettato come criterio,
senza dubbio parziale, nella nostra segmentazione del problema: l'interruzione quindi nella
continuità cronologica tende a favorire una dimostrazione dell'assunto preposto.
IL CONTRIBUTO FRANCESE
La composizione autonoma di fiori in Francia, prima di arrivare a una sua prima affermazione anche ufficiale (Linard viene nominato «pittore e cameriere ordinario del re» nel
1631) riceve un impulso determinante dalla robusta e significativa presenza a Parigi di una colonia di pittori fuori usciti dalla Germania o dai Paesi bassi: Parigi degli anni venti sembra essere un porto calmo intestato alla tolleranza mentre altrove la guerra di religione devasta e distrugge. È allora possibile una collaborazione fra gli artisti fiamminghi rimasti fedeli alla religione cattolica, e i fuori usciti: è il caso della Confraternita di Saint-Germain-de-Prés dalla cui
sintesi emergono i nomi di Baugin e di Linard da una parte, Picart, proveniente da Anversa, e
soprattutto di Sebastién Stoskopff (tav. 216) , la cui formazione culturale presso i Saureau a
Francoforte risulta di primaria importanza nell'ambiente.
Michel Faré54, a cui si deve lo studio più sistematico della storia della Natura morta in
Francia, ha cercato di individuare degli antecedenti alla esplosione dell'oggetto inanimato dei
54 Faré (1974)
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217 - Jacques Linard, Museo di Strasburgo.
primi anni del secolo: un riferimento all'emblematica (non a caso la moda delle «Devises»,
delle insegne è importata in Italia dalle armate francesi), una continuità nei confronti del gusto miniaturistico che nel XV e XVI secolo aveva posto la scuola francese fra le più attive e
innovative; il riferimento infine alla decorazione dei Gabinetti, come nel ben noto esempio
del Castello di Beauregard nel Blésois o del Castello di San Marcello a Félines.
Più che una via nazionale comunque, che certamente e legittimamente ha una sua continuità, per la Francia degli esordi del secolo occorre parlare proprio di crogiolo internazionale,
prima di tutto se si considerano gli apporti dai Paesi Bassi già richiamati, in secondo luogo se
si pensa all'attrattiva che Roma continua a esercitare per il mondo transalpino. Non a caso
Félibien, nel suo Decimo discorso sulla pittura cita, come maestri che «godranno sempre di
reputazione per ifiori»,Daniel Seghers (Zègre), Mario dei Fiori e Nicolas Baudesson, dimostrando cioè un'ottica a dir poco europea nell'indicare glorie e priorità.
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A parte comunque l'esito di StoskopfT, unico conosciuto in composizione autonoma
mentre il fiore nel vaso è presente in una composizione allegorica più avanti richiamata, in
cui la rigidità dell'impianto, la dispersione radiale dei fiori sottolineata dallo sviluppo degli
steli e dalla esiguità dimensionale delle corolle, denunciano una ben accentuata arcaicità, il
fiore francese di Linard, datato 1639 (tav. 217), si presenta già maturo dal punto di vista descrittivo e per quanto riguarda la solidità dell'impianto.
Sono presenti ancora, sottolineati dalla rigidità e dalla torsione delle foglie, accenti di
una geometria compositiva simmetrica, accentuata dalla coppia di tulipani aperti in posizione
centrale e lo stesso vaso campeggia in modo imponente nel campo: ma è certamente innovativo il modo in cui Linard sottolinea la storia del singolo fiore, il suo mutevole orientarsi nello spazio e la sua capacità fisionomica fortemente differenziata.
Semplice nell'organizzazione e complesso come varietà di soluzione d'immagine, segno
di uno studio analitico del fiore dal vero, il bouquet di Linard tende a occupare con imponenza l'intero campo compositivo, affermando in questo modo una lettura ravvicinata e l'isolamento, l'esaurienza plastica dell'insieme: la materia cromatica, se ne può vedere un significativo esempio anche nella «cesta di primule» ora in collezione privata, è densa e corposa, accentuando in questo modo la plasticità tattile del soggetto.
Una intenzione compositiva libera da schemi simmetrici è invece documentata dall'attività del già citato fiammingo Jean Michel Picart (tav. 218) che, giunto giovane a Parigi, percorre una carriera particolarmente luminosa; nel 1640 entra all'Accademia di San Luca, che
raccoglie i più importanti generisti di Parigi e costituisce una corporazione particolarmente
orgogliosa e combattiva, caratterizzata dai continui scambi e contatti fra i pittori.
La soluzione del vaso di fiori collocato sulla scatola di truciolo adottata da Picart nella
composizione di tav. 218 è simile a quella realizzata da Linard, che però aggiunge una certa
monumentalità nel bouquet assente nell'esempio illustrato, ora al Museo di Karlsrhue. È appunto la leggerezza compositiva dei fiori, il loro disporsi libero fino a formare una sinuosa ellisse particolarmente accentuata dal gioco della luce che evidenzia la profondità e la sfaccettatura tridimensionale della composizione: dal primo piano del fiore caduto e capovolto per poi
passare al ramo curvato inclinato verso il basso e successivamente al più ampio sviluppo assimmetrico del bouquet.
Una delle caratteristiche di questo primo tempo della composizione di fiori francesi è la
nettezza della figurazione, che non giunge comunque all'analiticità dei Paesi Bassi, e l'assenza della composizione monumentale, la scelta di un punto di vista ravvicinato che permette,
nella riduzione del bouquet, una sua lettura più semplice e una più facile integrazione del décor ambientale. Anche quando Picart sceglie un vaso dal collo largo, come illustrato nella tav.
219, l'effetto non è mai di gigantismo ma il sistema vaso/bouquet risulta nel complesso equilibrato: a partire da un nucleo centrale addensato di foglie e fiori si emancipano, nella lunghezza dei gambi liberamente disposti l'alto ciuffo di garofani interrotti da un ramo di natura
estranea, i garofani diversamente orientati, importanti nel loro netto stagliarsi sul fondo.
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218 - Jean-Michel Picart, C
priv., Francia.
219 - Jean-Michel Picart, Coli, priv., Amsterdam.
L'effetto ottenuto da Picart ha una prepotente resa plastica: la profondità nella quale il
vaso decorato in rilievo è collocato, ha una sua ben dichiarata evidenza, segno dell'interesse
accordato da Picart agli effetti illusionistici che la pittura deve ricercare: la luce così radente e
capace di modellare nettamente le forme rende comunque leggermente artificiosa la replica
del fiore. Una medesima osservazione di particolare attenzione alla stereometria del fiore a
scapito della sua fragilità di effetto tattile può essere la caratteristica della produzione floreale
di Augustin Bouquet, di incerta biografia ma certamente collocabile nella prima metà del
XVII secolo (tav. 220).
Il pittore sembra costruire i suoi fiori a partire da rigidi schemi geometrici con un effetto
che se da una parte ottiene una secchezza di figura, dall'altra ne irrigidisce la qualità tattile. Il
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220 - Augustin Bouquet, Coli, priv., Francia.
221 - Augustin Bouquet, Coli, priv., Francia.
bouquet è allora composto per accostamenti e sovrapposizioni di forme fra loro nettamente
distinte e antietiche: si veda il gioco a raggiera delle foglie nel fuoco centrale, di come siano
individuate seccamente le stesse nervature interne e come la stessa luce giochi come elemento differenziante.
Lo stile di Bouquet testimonia ancora una volta la ricchezza e la diversità delle soluzioni
che la composizione di fiori può assumere nella prima metà del secolo: e siamo per così dire
alle soglie della grande stagione del fiore francese, legata soprattutto alla protezione accordata
dalla stessa Corona ai pittori di genere e alla presenza di grandi personalità come J.B. Monnoyer, A.F. Desportes, B. de Fontanay, N. Ricoeur fino a Chardin. Ma questi sviluppi sono
stati esclusi dal presente ragionamento, attento alle origini e al primo affermarsi del genere.
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222 - Nicolas Baudesson, Coli, priv., Francia.
223 - Nicolas Baudesson, Coli, priv., U.S.A.
Esiste comunque una figura centrale, quasi a cerniera fra la prima e la seconda stagione del
fiore francese, ed è Nicolas Baudesson (1611-1680) la cui figura critica è stata efficacemente ricostruita da M. Faré dopo le confusioni attributive degli anni precedenti che avevano smembrato la sua produzione con attribuzioni decisamente divergenti.
La produzione di Baudesson è considerevole e presenta un costante impianto impaginativo (tav. 222, 223): è sempre la parte finale di una balaustra di pietra che, fortemente illuminata, ospita un vaso di vetro dal corpo rotondo a volte perfettamente liscio, a volte decorato a
bugnato, a costituire il piano ambientale prescelto. Questa indicazione, il materializzarsi cioè
della balaustra come oggetto definito come soggetto e come figura, capace cioè di staccarsi
indipendentemente dal fondo indifferenziato, è soluzione affine a quel desiderio di adesione
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alla realtà, di una sua replica che la sensibilità pittorica francese afferma in modo perentorio e
che porterà successivamente alla rinascita e alla reinterpretazione del trompe foeil.
A partire comunque da un impianto costante Baudesson organizza il suo bouquet con
un numero limitato di fiori ricorrenti e con alcune soluzioni che possono essere considerate
quasi una vera e propria sigla dell'artista. Già in un esempio di Picart (tav. 218) si era notato il
curvarsi ellittico verso il basso di un ramo fiorito: nel suo bouquet Baudesson prende un ramo rampicante di convolvolo, a volte ridotto come estensione, a volte invece particolarmente
contorto, perchè tagli la luce riflessa sul vetro e successivamente giunga a terra e spesso
scomparendo aldiqua della balaustra in avanti. Oltre che firma essa è l'indicazione di una
geometria ordinata del bouquet in disfacimento: Baudesson infatti predilige cogliere non tanto il bouquet come «dovrebbe» essere, ma come «appare» una volta che il suo tempo di fioritura è giunto al termine: la variazione di fioritura, l'accartocciarsi dei petali o lo svettare ancora superbo e verticale del fiore non toccato costituiscono una personale interpretazione della transitorietà cui si è fatto riferimento in altra occasione e proprio commentando una composizione attribuita a Baudesson 55 .
Proprio l'originalità e la costanza di questa soluzione può far leggere Baudesson come
l'interprete più originale di una fase iniziale del fiore francese, capace cioè da una parte di
emanciparsi dalla fedeltà descrittiva o dalla analiticità di esiti già descritti ma di non scadere
mai nella decorazione e nel trionfo della rutilanza cromatica come avverrà nella stagione
d'oro ormai alle porte: l'impianto libero, attento al reclinarsi e allo sfarsi del fiore, è sempre e
comunque contenuto in una griglia organizzata, che viene adombrata anche se non realizzata. Una analoga osservazione occorre fare per la capacità di Baudesson nella descrizione del
singolo fiore, appunto interpretato in uno stadio spesso avanzato della sua maturità ma con
una sicurezza di calligrafia ancora netta e evidente. Ciò che sembra allora determinante è un
gioco delle durezze e delle consistenze delle diverse materie, dall'inorganico della pietra che
la luce modella e diversifica, alla trasparenza e specularità, la fredda nettezza del vetro, alla
storia tormentata di un modo organico che il bouquet può testimoniare: una disparità di esiti
che Baudesson organizza con una scansione ordinata, equilibrata dei volumi e delle rese atmosferiche. Non solo per motivi biografici occorre richiamare per Baudesson l'esperienza italiana, sia per quanto il maestro francese possa apprendere dalla eredità post-rinascimentale,
sia per quanto riguarda gli influssi che sugli scenari della penisola può avere il suo magistero.
Sul problema comunque specifico della personalità di Baudesson e sulla presenza di un considerevole materiale ancora in cerca di un autore, e spesso anche di una regione d'origine,
dalla metà del secolo sia in Italia sia in Francia vi è comunque ancora molto da dire.
Ritornando comunque alla continuità del discorso intrapreso, è certamente vero che interrompere una sia pur breve inchiesta sul fiore alle soglie della sua fortuna, come nella storia
francese, sembra essere un peccato di presunzione. In realtà proprio la fortuna che il fiore
avrà fra la fine del Seicento e l'intero Settecento, può essere l'indice significativo della diversità, e quindi della estraneità della seconda stagione rispetto alla prima che abbiamo assunto
come argomento.
55 Bergamo (1980)
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