Bioremediation di siti contaminati da idrocarburi.
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Bioremediation di siti contaminati da idrocarburi.
Dottorato di Ricerca in Ingegneria Industriale (XVIII ciclo, S.S.d. ING-IND/24) Università degli Studi di Cagliari 2006 BIOREMEDIATION DI SUOLI CONTAMINATI DA IDROCARBURI TESI DI DOTTORATO DI: Dott. Paolo Caredda Tutor: Prof. Antonio Viola Facoltà di Ingegneria Dipartimento di Ingegneria Chimica e dei Materiali Coordinatrice: Prof.ssa Alessandra Fanni Facoltà di Ingegneria Dipartimento di Ingegneria Elettrica ed Elettronica ii …a tutti coloro che mi hanno permesso di realizzare il lavoro di Tesi. iii SOMMARIO La degradazione del gasolio nel suolo è stata studiata da parecchi autori, allo stesso tempo, molti studi ne riportano la incompleta degradazione. Negli ambienti cronicamente contaminati, la pressione selettiva potrebbe arricchire i suoli di microrganismi degradatori di idrocarburi. La nostra ricerca si è inserita in un progetto di bonifica di una ex raffineria di petrolio attualmente adibita a stoccaggio e distribuzione di prodotti petroliferi. La contaminazione è avvenuta negli anni 70, a seguito dello sversamento di una enorme quantità di gasolio. La profondità della zona contaminata è di circa 4-9 m., al di sotto della superficie, nella zona vadosa e nella falda acquifera sottostante, la zona contaminata è di circa 300 m. X 400. La concentrazione di idrocarburi è superiore a 6,8 g, per Kg di terreno secco. Nel sito sono attualmente in fase di ricerca sperimentale la tecnica di Bioslurping (BS) e l’attenuazione naturale controllata (MNA). La fase liquida non acquosa (NAPL) è stata raccolta da un sistema di bioslurping ed è stata separata dall'acqua di falda in un separatore acqua/olio. La composizione dell'idrocarburo è stata determinata in GC/ms, i componenti principali ritrovati sono stati, alcani ramificati, quali pristano e fitano ed alchil naftaleni sostituti. La miscela contaminate differiva sostanzialmente dal gasolio originalmente sversato nel suolo, un gasolio commerciale. Il lavoro descritto è il risultato di due programmi sperimentali: il primo ha implicato il campionamento ed il lavoro in campo, il secondo è stato realizzato in laboratorio, dove sono state allestite prove di biodegradazione degli idrocarburi ed isolati quindi i ceppi batterici ritenuti più interessanti dal punto di vista biodegradativo. La ricerca è stata quindi impostata in funzione delle esigenze di bonifica, e sviluppata a seguito di particolari risultati ottenuti in fase di sperimentazione. Gli obbiettivi della ricerca sono stati così suddivisi: 1. Sperimentazione di fattibilità preliminare alle attività di bonifica 2. Monitoraggio della comunità microbica 3. Caratterizzazione della comunità autoctona degradante 4. Individuazione di ceppi per applicazioni biotecnologiche Sono stati allestiti degli esperimenti in batch, preliminari all’attività di bonifica, utilizzando i batteri ricavati dalla frangia capillare Alla luce dei risultati ottenuti è stato possibile confermare la presenza di una microflora autoctona, potenzialmente capace di degradare la miscela idrocarburica contaminante. In condizioni aerobie e in presenza di nutrienti (Azoto e Fosforo) la comunità autoctona ha mostrato la capacità di degradare alcuni dei componenti principali del contaminante. iv Al fine di valutare se le operazioni di ventilazione messe in atto in campo avessero determinato un effetto sulla dimensione della popolazione microbica, è stata scelta la tecnica di enumerazione most probable number (MPN). Dai risultati ottenuti è emerso che durante l’applicazione della tecnica di Bioslurping il titolo dei microrganismi idrocarburo degradanti è aumentato. Gli isolati sono stati caratterizzati genotipicamente mediante analisi di restrizione del DNA 16S ribosomale (ARDRA), sono stati identificati 14 aplotipi ARDRA differenti. E’ stata determinata parzialmente la sequenza del gene di rRNA 16S per 16 ceppi. La maggior parte degli isolati è stata assegnata agli ordini degli Actinomycetales o degli Rhizobiales. Fra gli ceppi selezionati, il ceppo Gordonia M22 si è rilevato tra i più promettenti dal punto di vista applicativo. Soltanto Gordonia M22 ha rotto lo strato di NAPL nella coltura liquida dopo una settimana di incubazione ed ha mostrato la crescita più veloce nella miscela recalcitrante. Le capacità degradative del ceppo di Gordonia M22 sono state valutate usando la miscela contaminante ed un normale gasolio da trazione come fonte di carbonio. Il ceppo di Gordonia M22 è risultato capace di degradare i componenti principali della miscela contaminante e la percentuale generale di degradazione è stata del 23% dopo 14 giorni di incubazione. In presenza di gasolio come fonte di carbonio, la degradazione è stata del 49%. Sono stati valutati infine gli andamenti cinetici delle reazioni di degradazione. Attraverso interpolazione non lineare sono stati modellati i dati sperimentali al fine di interpretare il comportamento biodegradativo del ceppo Gordonia M22. Il modello che meglio ha interpretato i dati sperimentali sia per la degradazione della miscela contaminante che per il gasolio ipotizza la presenza di una frazione dei contaminanti completamente non degradabile. L’analisi cinetica ha permesso di ipotizzare che nella miscela contaminante è presente una frazione facilmente degradabile con una concentrazione di circa 195 mg/l (23 %) che segue una cinetica di degradazione del primo ordine, con una costante cinetica pari a circa 1,15 1/giorni ed una frazione che non viene sostanzialmente degradata nell’arco temporale preso in esame. Tale frazione, dall’analisi cromatografica, risulterebbe formata sia da composti recalcitranti la biodegradazione, sia da composti parzialmente degradati. v vi INTRODUZIONE 1 CONTAMINAZIONE DEI SUOLI DA IDROCARBURI 1.1 Contaminazione e Risanamento 1.1.1 Nel mondo 1.1.2 In Europa 1.1.3 In Italia 1 2 2 3 1.2 Contaminanti organici nel suolo 1.2.1 Idrocarburi petroliferi 1.2.2 Gli xenobiotici 1.2.3 Effetti della contaminazione sul suolo 4 4 4 5 1.3 Gli Idrocarburi petroliferi 1.3.1 La lavorazione del petrolio 1.3.2 Classificazione 1.3.3 Proprietà 8 8 9 11 1.4 Aspetti normativi delle bonifiche in Italia 1.4.1 Il Decreto Ministeriale n°471 del 1999 12 12 1.5 Tecniche di Risanamento 1.5.1 Obiettivi 1.5.2 Luogo di Trattamento 1.5.3 Principi di Funzionamento 1.5.4 Processi Biologici 14 14 16 16 17 2 BIOREMEDIATION 2.1 Suolo e Sottosuolo 2.1.1 Struttura del suolo 2.1.2 Composizione e stratificazioni 2.1.3 Il suolo e le sue funzioni 20 20 20 21 2.2 I Microrganismi 2.2.1 I Microrganismi nel suolo 2.2.2 I Batteri del suolo superficiale 2.2.3 I Batteri del sottosuolo 2.2.4 Stato metabolico dei batteri nel suolo 23 23 27 28 30 2.3 La Bioremediation 2.3.1 Ruolo dei microrganismi nella Bioremediation 2.3.2 Bioremediation intrinseca ed ingegnerizzata 32 33 34 2.4 Degradazione degli Idrocarburi Petroliferi 2.4.1 Vie di degradazione degli idrocarburi alifatici 2.4.2 Vie di degradazione degli idrocarburi aromatici 36 37 39 vii MATERIALI E METODI 3 TERRENI DI COLTURA 3.1 Preparazione dei terreni 3.1.1 Terreno minimo di coltura Bushnell-Hass (BH; Difco cod. 0578-17). 3.1.2 Terreno minimo BH agarizzato 3.1.3 Terreno minimo BH2 3.1.4 Terreno massimo Tryptic Soy Broth (TSB; Difco cod. 0370-17) 41 41 41 41 42 3.2 43 Preparazione di terreni solidi con idrocarburi sublimati 4 PREPARAZIONE DELLE SOLUZIONI 4.1 Soluzioni utilizzate 4.1.1 Soluzione fisiologica 4.1.2 Soluzione di 2-(4-Iodophenyl)-3-(4-nitrophenyl)-5-phenyl-2H-tetrazolium (INT; SIGMA, cod. I 8377) 4.1.3 Tris-Cl (Sambrook et al, 1989) 4.1.4 TE (Sambrook et al, 1989) 4.1.5 Esadecano lineare (C16) (SIGMA, cod. H0255) 4.1.6 Miscela idrocarburica contaminante 5 CONTA MICROBICA 5.1 Determinazione del Most Probable Number (MPN) 5.1.1 Preparazione del campione di suolo 5.1.2 Preparazione delle diluizioni 5.1.3 Preparazione delle multiwell 5.1.4 Inoculum 5.1.5 Lettura dell’esperimento 6 45 45 45 45 46 46 46 47 47 47 47 47 48 ESTRAZIONE DEL DNA MEDIANTE FASTDNA KIT 6.1 Procedura standard 51 6.2 Controllo del DNA estratto mediante elettroforesi su gel di agarosio 52 7 ANALISI DEL DNA RIBOSOMALE AMPLIFICATO 7.1 Amplificazione del 16S rDNA 7.1.1 Programma di amplificazione 53 53 7.2 Ripetuto per 5 cicli 54 7.3 Ripetuto per 5 cicli 54 7.4 Ripetuto per 25 cicli 54 7.5 ARDRA Amplified Ribosomal DNA Restiction Analysis 7.5.1 Preparazione del gel 7.5.2 BBF per ARDRA 55 55 55 7.6 SEQUENZIAMENTO DEL 16S rDNA 7.6.1 Amplificazione del 16S rDNA 7.6.2 Purificazione del DNA amplificato 7.6.3 Analisi quantitativa del DNA 57 57 57 57 viii 7.6.4 7.6.5 7.6.6 7.6.7 Corsa elettroforetica con un marker di concentrazione Determinazione spettrofotometrica La reazione di sequenziamento Preparazione campioni per sequenziamento 57 58 58 60 7.7 Analisi delle sequenze 60 7.8 Analisi filogenetiche 61 8 ALLESTIMENTO DELLE COLTURE 8.1 Preparazione del pre-inoculum 8.1.1 Preparazione dell’inoculum a partire dalle piastre e dal terreno liquido 8.1.2 Preparazione dell’inoculum a partire dalle piastre e dal terreno liquido 9 9.1 62 62 62 CURVA DI CRESCITA TRAMITE MISURA DEL DNA TOTALE Raccolta delle cellule su filtro 9.2 Saggio del DNA (Burton, K. 1956) 9.2.1 Curva standard 9.2.2 Saggio del DNA di cellule su filtro 64 64 64 65 10 PROCEDURE CHIMICHE ANALITICHE PER LA DETERMINAZIONE DELL'ATTIVITÀ DI DEGRADAZIONE DEI CEPPI ISOLATI 10.1 Metodo di analisi di substrati solidi 10.1.1 Definizioni 10.1.2 Sommario del metodo 10.1.3 Interferenze 10.1.4 Apparecchiature 10.1.5 Reagenti e materiali 10.1.6 Condizioni operative e impostazioni del gascromatografo 10.1.7 Impostazioni dell’iniettore: 10.1.8 Impostazioni FID: 10.1.9 Curve di taratura 10.1.10 Preparazione delle soluzioni standard 10.1.11 Preparazione dei campioni 69 69 69 69 69 70 70 71 71 72 72 72 RISULTATI E DISCUSSIONE 11 IL SITO CONTAMINATO 11.1 Descrizione del sito contaminato 11.2 Biorisanamento in situ 11.2.1 Profilo stratigrafico 11.2.2 Caratterizzazione chimica del contaminante 11.2.3 Analisi agronomiche 11.2.4 Caratterizzazione preliminare delle potenzialità degradative della comunità microbica 74 75 76 76 78 79 ix 12 ATTIVITÁ IN CAMPO 83 12.1 83 Tipologie di intervento in situ 12.2 Bioslurping 12.2.1 Fasi preliminari all’istallazione dei pozzi di bioslurping 12.2.2 “Soil Vapor Extraction” (SVE) 12.2.3 Test respirometrici 12.2.4 Free Product Recovery (FPR) 83 85 87 88 98 12.3 Monitoraggio della comunità microbica durante la bonifica 12.3.1 Metodica di campionamento. 12.3.2 Monitoraggio del campo di prova di bioslurping 103 103 107 12.4 MNA 12.4.1 Monitoraggio dell’attenuazione naturale controllata (MNA) 110 110 13 CARATTERIZZAZIONE DELLA COMUNITÀ AUTOCTONA DEGRADANTE 13.1 Analisi della comunità microbica 13.1.1 Isolamento dei microrganismi arricchiti nel MPN 13.1.2 Tipizzazione dei microrganismi isolati mediante ARDRA “Amplified Ribosomal DNA-Restriction Analysis” 117 113 113 113 14 VALUTAZIONE DELLE CAPACITÀ DEGRADATIVE DEL MICRORGANISMO SELEZIONATO GORDONIA M22BI 128 14.1 Determinazione dei migliori ceppi idrocarburo-degradanti isolati dal sito contaminato 14.1.1 Crescita su terreno agarizzato con idrocarburi forniti sotto forma di vapore 14.1.2 Crescita su terreno agarizzato con idrocarburi sublimati. 14.1.3 Crescita in terreno liquido 128 129 130 131 14.2 Prove di degradazione in batch 14.2.1 Biodegradazione della miscela idrocarburica contaminante 14.2.2 Biodegradazione di gasolio commerciale 14.2.3 Confronto tra la degradazione della miscela contaminante ed il gasolio 133 133 141 148 14.3 Misure di crescita batterica mediante DNA del ceppo Gordonia M22BI 14.3.1 Saggio del DNA 150 150 14.4 Analisi dei dati cinetici 14.4.1 Modellazione dei dati (TPH) 152 153 CONCLUSIONI x xi INTRODUZIONE 1 1.1 CONTAMINAZIONE DEI SUOLI DA IDROCARBURI Contaminazione e Risanamento La tutela dell’ambiente è una delle questioni più serie ed urgenti tra quelle che riguardano la nostra società. La complessità degli interventi da porre in essere è altissima, soprattutto quando si affronta il problema con un’ottica di sistema: se da un lato è evidente a tutti l’impatto della società moderna sull’equilibrio del pianeta, dall’altra è ancora difficilissimo dare indicazioni scientifiche e dimostrabili che possano ispirare ed indirizzare le scelte che la comunità mondiale deve affrontare. In ogni caso l’obiettivo di eliminare o quantomeno contenere gli effetti nocivi di una società industrializzata, numerosa, spregiudicata, ed ancora poco sensibile al problema, appare molto lontano. Fino agli inizi degli anni ’80 la percezione della contaminazione dell’ambiente e del territorio nei paesi maggiormente industrializzati era generalmente associata agli incidenti, con conseguenze difficilmente valutabili. La risposta politica che ne è derivata è stata rivolta ad ottenere il massimo controllo dei rischi. Secondo tale approccio, la contaminazione doveva essere rimossa totalmente o completamente confinata. Gli anni ’90 sono stati caratterizzati dalla presa di coscienza collettiva di quanto la qualità dell’ambiente fosse realmente peggiorata, aumentando in tal senso una richiesta di tecnologie di bonifica ambientale sicure ed a costi contenuti. La tecnica di bioremediation o biorisanamento si è affermata negli ultimi anni come una delle principali tecnologie di bonifica ambientale. Essa è stata, infatti, riconosciuta come un metodo non costoso e altamente efficiente per rimuovere i composti chimici tossici dai suoli e dalle acque di superficie o sotterranee contaminate. Oggigiorno i siti contaminati, il cui numero nei paesi più industrializzati è cresciuto esponenzialmente nell’ultimo decennio, non sono più percepiti in termini di pochi e severi incidenti, ma piuttosto come un problema infrastrutturale e produttivo di varia intensità ed importanza e soprattutto molto più diffuso di quanto si potesse inizialmente stimare. E’ fuor di dubbio che delle soluzioni debbano essere prese e non solo per quanto riguarda i nostri confini nazionali: il problema dell’ambiente è globale e riguarda tutti. 1 1.1.1 Nel mondo Come riportato da Gruiz e da Kriston (1995) una quantità di 6 milioni di tonnellate di rifiuti del petrolio entrano ogni anno nell'ambiente, causando seri problemi ambientali. Nel 1992 l'Ente per la Salvaguardia Ambiente degli Stati Uniti (EPA) riferì che erano presenti circa 1,6 milioni di serbatoi di stoccaggio sotterranei e 37.000 serbatoi di rifiuti pericolosi. Circa 320.000 dei serbatoi di stoccaggio erano continuamente interessati da fenomeni di sversamento, 1.000 venivano confermati ogni settimana come nuovi serbatoi interessati da fenomeni di sversamento di idrocarburi (Cole, 1994), determinando una considerevole quantità di perdite di idrocarburi petroliferi e di contaminazioni dei suoli e delle acque sotterranee (Scheibenbogen et al., 1994). 1.1.2 In Europa Nell’Europa Occidentale sono stati individuati oltre 300.000 siti potenzialmente contaminati, ma si calcola che complessivamente, in tutto il continente europeo, siano molti di più (EEA, 1998). Per molti paesi non è disponibile un quadro completo, anche per la mancanza di definizioni univoche dei dati. Nell’Europa orientale il problema più grave è rappresentato dalla contaminazione dei suoli in prossimità delle basi militari abbandonate. La dimensione del problema è mostrata da due casi riscontrati in Europa. Dal 1993 in Norvegia, iniziarono a riscontrarsi elevate concentrazioni di policlorobifenili (PCB), di idrocarburi policiclici aromatici (PAH) e di metalli pesanti (mercurio, piombo, rame e zinco) in una superficie di circa 600.000 m2 di sedimenti, in prossimità della stazione navale Hokonsvern a Bergen. Poiché livelli elevati di PCB furono riscontrati anche nel pesce e nei granchi, fu emessa la raccomandazione di evitare il consumo di pesce e crostacei della zona. La bonifica previde il dimezzamento dei livelli di contaminazione nell’area interessata entro il 1998. Le restrizioni al consumo di pesce furono (e sono ancora) mantenute per altri 10 anni a partire dal 1998 (Forsvarets Bygningstjeneste, 1996). Nel 1987 a Järvela in Finlandia, furono riscontrate alte concentrazioni, 70140 µg/l di clorofenoli nell’acqua di rubinetto (il limite di emissione per le acque reflue urbane ed industriali che recapitano sul suolo è ≤ 100 µg/l). Successivamente, concentrazioni di clorofenolo tra 56 e 190 µg/l furono trovate nella falda acquifera sottostante, tra un pozzo ed una segheria che produceva compensato, cartone per scatole e legname. Dagli anni quaranta fino al 1984, era stato utilizzato tetraclorofenolo come principale sostanza attiva per inibire la crescita di un parassita, la Ceratostomella, nel legname. La contaminazione delle acque sotterranee aveva colpito anche un 2 lago nelle vicinanze. Tra le persone che avevano consumato pesce del lago fu riscontrato un tasso elevato di rischio di contrarre il linfoma non-Hodgkin (Lampi et al, 1992). 1.1.3 In Italia I siti potenzialmente contaminati sul territorio italiano sono oltre 12.000 (APAT, 2003) (Figura 1—1). Le informazioni raccolte in sede nazionale e regionale, finalizzate alla formulazione del "Programma Nazionale di Bonifica", hanno evidenziato un sottodimensionamento del dato, che andrebbe raddoppiato. Ciò anche in considerazione dell'orientamento seguito dalla Legge 426/98 che, in sede di individuazione dei perimetri dei siti di interesse nazionale, ha compreso oltre alle aree industriali, anche le aree portuali, le aree marine antistanti le aree industriali, le zone lagunari, i corsi d'acqua, per un totale di 260.000 ettari di terra, 70.000 ettari di zone marine, 280 km di coste, pari ad un totale complessivo di circa 330.000 ettari (più dell'1% del territorio nazionale). Figura 1—1. Localizzazione dei Siti di Interesse Nazionale APAT – Centro Tematico Nazionale Territorio e Suolo (2003) 3 1.2 1.2.1 Contaminanti organici nel suolo Idrocarburi petroliferi Spesso, gli idrocarburi petroliferi, a causa di eventi geologici, attraverso una lenta infiltrazione possono rientrare nella biosfera dove sono utilizzati dai microrganismi che nel tempo hanno evoluto le vie metaboliche che ne permettono la degradazione. Tuttavia le enormi quantità di idrocarburi introdotte nell’ecosistema dall’attività umana eccedono la capacità autodepurativa dell’ambiente e la contaminazione da idrocarburi è sempre più spesso causa di disastri ambientali. Sono quindi le enormi quantità di contaminati petroliferi, che ogni giorno sono rilasciate nell’ambiente, a causare l’inquinamento da idrocarburi (Atlas e Bartha, 1997). Figura 1—2. Contaminazione di acque superficiali 1.2.2 Gli xenobiotici Il termine xenobiotico è utilizzato per indicare quei composti che normalmente non sono presenti in natura ma vengono sintetizzati dall’uomo. Le sostanze di sintesi in commercio sono prevalentemente composti organici che derivano dal petrolio. Purtroppo di molti di questi composti, negli ultimi decenni, è stato fatto un uso massivo con conseguenze deleterie per la salute dell’uomo e dell’ambiente. I prodotti che hanno arrecato i danni più gravi sono i pesticidi (insetticidi ed erbicidi) e i policlorobifenili (PCB). I composti organoclorurati, prodotti dall’azione dell’elemento 4 cloro sugli idrocarburi derivati dal petrolio, sono stati largamente utilizzati come insetticidi per l’azione tossica che esercitano su alcune piante (Eweis et al, 1998). Ciò che rende estremamente pericolosi questi composti sono le caratteristiche di cui sono dotati: stabilità e idrofobicità. Il legame carbonio-cloro è molto stabile e la presenza del cloro riduce la reattività degli altri legami presenti nella molecola organica. Inoltre essendo composti di sintesi, di recente immissione nell’ambiente, la loro struttura non è “nota” ai microrganismi, gli artefici dei processi di biorisanamento. Le comunità microbiche naturali non possiedono gli enzimi degradativi necessari per catabolizzare questi composti che risultano perciò recalcitranti alla degradazione e permangono nell’ambiente a lungo. Può comunque accadere che qualcuno di questi composti abbia casualmente una struttura simile a quella di un composto naturale e dunque possono essere impiegati dai microrganismi come substrati e completamente metabolizzati. In alcuni casi i composti xenobiotici possono essere solo parzialmente degradati. Questa degradazione incompleta può portare alla polimerizzazione o alla sintesi di composti ancora più complessi e stabili del composto iniziale. Questo avviene quando il primo passaggio della degradazione, operato spesso da enzimi extracellulari, produce intermedi reattivi. I prodotti polimerici sono particolarmente stabili nell’ambiente in quanto scarsamente biodisponibili, per la mancanza di appropriati enzimi e per le interazioni che instaurano con la materia organica del suolo o dei sedimenti. In alcuni casi i composti xenobiotici possono essere degradati esclusivamente in cometabolismo. Questo processo si realizza quando un microrganismo possiede un enzima che casualmente riconosce come substrato il composto. Tale trasformazione tuttavia è solo parziale e il microrganismo non trae alcun vantaggio da essa. La trasformazione è effettuata solamente quando il microrganismo cresce sfruttando un substrato diverso. Lo xenobiotico può così essere trasformato in un prodotto secondario che può talvolta rappresentare una fonte di carbonio ed energia per altri microrganismi. La maggior parte di questi composti oltre ad essere recalcitrante è idrofoba e perciò non si scioglie facilmente in acqua ma è solubile in oli o tessuti adiposi. Così, quando i composti organoclorurati entrano in un ecosistema subiscono un processo di bioamplificazione (Atlas e Bartha, 1997). 1.2.3 Effetti della contaminazione sul suolo La contaminazione del suolo può provocare effetti sulla salute umana, sugli ecosistemi e sull’economia, nei seguenti modi: • scarichi di contaminanti nel suolo, nelle acque sotterranee o superficiali; • assorbimento di contaminanti da parte delle piante; 5 • contatto diretto di esseri umani con suoli contaminati; • inalazione di polveri o sostanze volatili; • incendi o esplosioni di gas di discarica; • corrosione di tubi sotterranei e altre componenti di edifici dovuta a infiltrazioni di contaminate; • produzione di rifiuti pericolosi secondari; • conflitto con la destinazione d’uso prevista per il suolo. Figura 1—3. Sversamento di greggio I contaminanti solubili in acqua, introdotti nel suolo, possono infiltrarsi nelle acque sotterranee. La mobilità ed i tassi di esposizione variano in misura considerevole, a seconda del tipo di contaminante (degradabilità, volatilità, ecc.), delle condizioni locali del suolo, del ricettore o ecosistema interessato e del clima. Tra i contaminanti idrofobici, i più mobili sono i prodotti petroliferi ed i composti organo-alogenati. Contaminanti come i metalli pesanti presentano una mobilità inferiore, che tuttavia può aumentare in determinate circostanze; ad esempio, il piombo è più mobile in un ambiente acido che in un ambiente neutro o alcalino. Comunque, alla fine tutti i contaminanti possono raggiungere i livelli più profondi della falda, dove sono presenti le riserve di acqua potabile. Le informazioni generali sull’inquinamento delle acque potabili dovuto alla presenza di siti contaminati sono frammentarie. Le risorse idriche potabili di molte zone dell’est europeo sono contaminate da sversamenti di combustibile da ex basi militari. Da un’indagine danese sugli impianti di estrazione chiusi è emerso che, su un totale di 600 pozzi, il 17% delle chiusure è dovuto alla contaminazione del suolo causata da attività industriali, il 60% ad attività 6 agricole e il 23% all’eccessivo sfruttamento della falda (EEA, 1998). I metalli pesanti, in particolare cadmio e rame, possono accumularsi in misura elevata nei vegetali. Questo fenomeno si verifica frequentemente nel caso di ex discariche recuperate e utilizzate a scopo agricolo. La contaminazione delle acque di superficie può provocare l’accumulo di sostanze contaminanti nei pesci. I composti organici clorurati vengono assorbiti in modo particolarmente rapido dai tessuti adiposi dei pesci, come anche certi metalli, tipo il mercurio. I cambiamenti di destinazione d’uso dei terreni possono essere la causa di un aumento dell’esposizione ai suoli contaminati. In passato, molti ex siti industriali e le discariche abbandonate venivano riutilizzati per altri scopi, ad esempio per l’edilizia abitativa e la costruzione di scuole e centri di ricreazione. Il rischio di ingestione o di contatto con la pelle aumenta con la frequenza dell’esposizione e dipende dal tipo di contaminazione e dal relativo grado di tossicità. I bambini nei parchi-giochi sono considerati i soggetti più vulnerabili ed esposti. E’ possibile inalare sostanze volatili e particelle di suolo (attraverso la polvere) da siti contaminati. Fonti tipiche sono gli ex siti di trasformazione o stoccaggio di petrolio, per le sostanze volatili, e le discariche contenenti scorie di metalli pesanti da miniere e impianti di lavorazione dei metalli ubicati nelle vicinanze, per dispersione del particolato. Altri rischi comprendono le esplosioni dovute all’accumulo di metano in ex discariche e l’esposizione a tetracloroetilene da impianti di pulitura a secco. La quantificazione degli effetti dell’esposizione diretta è raramente disponibile, poiché gli effetti dell’ingestione del suolo e del contatto cutaneo nella maggior parte dei casi non sono immediatamente visibili, né misurabili, e si sa poco sul rapporto dose-effetto. 7 1.3 Gli Idrocarburi petroliferi Il Petrolio è una miscela estremamente complessa di idrocarburi. Gli idrocarburi del petrolio sono compresi tra il C6 ed il C40 (Potter nad Simmons, 1998 ), essi sono i principali contaminanti del suolo (Caplan et al, 1993). Gli idrocarburi sono i più semplici composti del carbonio con l'idrogeno. Sono le molecole di base della chimica organica poiché, oltre ad essere molto numerosi, tutti gli altri composti si possono considerare come derivati da essi per sostituzione di un atomo di idrogeno con un cosiddetto gruppo funzionale, quel gruppo chimico, cioè, che conferisce al composto proprietà caratteristiche, diverse da quelle dell'idrocarburo di origine e peculiari di una classe di composti. Gli idrocarburi del petrolio sono diffusi nel nostro ambiente come carburanti e prodotti chimici. Il rilascio incontrollato degli idrocarburi ha un grosso effetto negativo sui nostri suoli e sulle risorse idriche. La contaminazione può derivare dalla fuoriuscita di serbatoi sotterranei di stoccaggio, dalle raffinerie petrolifere e dall’immagazzinamento effettuato in modo non corretto, dagli oleodotti rotti, da fuoriuscite di impianti chimici e dai processi di trasporto (Sherman e Stroo, 1989). Se si aggiungono gli incidenti ed il rischio di esplosione e d’incendio si ricava una ulteriore minaccia per l'ambiente. 1.3.1 La lavorazione del petrolio Dopo l’estrazione, il petrolio viene avviato ad una serie di lavorazioni (che vanno sotto il nome generico di “operazioni di raffineria”) basate sulla distillazione frazionata (topping). Questo processo permette di suddividere il greggio in una serie di frazioni (tagli) aventi intervalli di temperatura di ebollizione diversi, contenenti idrocarburi di vario tipo e destinate a utilizzazioni differenti (Garzanti, 1988). In linea del tutto generale si può dire che le frazioni più leggere, con temperatura di ebollizione più bassa, vengono impiegate nella preparazione delle benzine (fino a 150° C) e del cherosene (da 150 a 230° C), mentre le frazioni intermedie (da 230 a 340° C) servono come base per la produzione di gasolio e di lubrificanti; le frazioni più pesanti (oltre 340° C) sono utilizzate come olio combustibile. Da tutte queste frazioni si possono ottenere tagli più ristretti, ricorrendo a successiva rettifica ed usando tecniche di frazionamento più raffinate, con le quali è possibile separare singole specie molecolari. Nei primi decenni del secolo scorso, la metodologia della distillazione aveva conseguito progressi significativi, ma, pur consentendo una migliore separazione delle varie specie molecolari presenti nel greggio, non riusciva a mutare l’abbondanza relativa di ciascuna di esse. Tale risultato 8 si è ottenuto con l’introduzione della pirolisi o cracking, che comporta la scissione delle molecole più lunghe in altre più corte. Dapprima i metodi di cracking furono esclusivamente termici; ma in queste condizioni veniva prodotto un eccesso di sostanze carboniose (Coke), per cui si passò al cracking catalitico, in cui la presenza di un agente di attivazione delle reazioni utili (sostanze silicoalluminose, tipo argilla, attivate con ossidi metallici) consentiva di operare in condizioni più blande. Per quanto riguarda la qualità della benzina, si deve accennare ai metodi di reforming, che hanno l’obiettivo di migliorarne la qualità, particolarmente per quanto riguarda il comportamento alla combustione (benzine non detonanti). Questi tipi di combustibili sono relativamente viscosi ed insolubili in acqua e sono relativamente stabili al di sotto della superficie (Petrov, 1987). 1.3.1.1 Il gasolio Il gasolio è collocato a metà della frazione distillata (da C6 a C22) con temperature di ebollizione da 202°C a 320°C (Holmes and Thomsom, 1982) e densità 0,85-0,91; la maggior parte degli idrocarburi si trovano tra il C10 and C18. Il Gasolio si ottiene per rettifica degli oli pesanti provenienti dalla distillazione primaria del petrolio (Garzanti, 1988). Può essere preparato anche per cracking di oli pesanti ricchi di idrocarburi ciclici, nel qual caso presenta una viscosità inferiore in quanto ha un minor contenuto di composti paraffinici. Nell’uso comune è anche impropriamente chiamato nafta. Trova prevalentemente impiego come carburante per motori Diesel, e per riscaldamento domestico. Il gasolio da riscaldamento viene utilizzato come combustibile negli impianti termici. La sua principale caratteristica è l’elevato potere calorifico. Lo si può distinguere dagli altri gasoli per il suo colore rosso. Il gasolio da autotrazione è impiegato come carburante per i motori diesel. Di colore chiaro, leggermente ambrato, nel tempo ha visto ridurre progressivamente il suo contenuto di zolfo fino all’attuale 0,33%. Nel gasolio sono presenti diversi classi di idrocarburi come gli alcani, gli aromatici e i naftenici e le loro proporzioni variano da gasolio a gasolio. Tra i parametri maggiormente caratterizzanti il gasolio abbiamo la curva di distillazione, la viscosità, la densità, e il contenuto di zolfo. 1.3.2 Classificazione I composti organici possono essere suddivisi in tre grandi gruppi: A. Alifatici e Aliciclici 9 B. Aromatici C. Eterociclici Il primo gruppo comprende i composti alifatici (dal greco "aleifar" = olio, grasso), sono i composti a catena aperta (detti anche aciclici) e gli aliciclici, o ciclici, i composti chiusi ad anello, con proprietà relativamente simili agli alifatici. Gli idrocarburi alifatici si suddividono a loro volta in (Figura 1—4): a) alcani b) alcheni c) alchini Gli alcani contengono esclusivamente legami di tipo σ e sono detti pertanto saturi. Sono caratterizzati da una certa inerzia chimica: il termine alternativo di paraffine (dal latino "parum affinis") deriva appunto dal fatto che questi composti hanno scarsa tendenza a reagire, perfino con acidi e basi forti. Quando reagiscono danno principalmente reazioni di sostituzione. Alcheni e alchini sono invece idrocarburi insaturi, in quanto contengono legami multipli: un doppio legame gli alcheni, un triplo legame gli alchini. Le loro reazioni caratteristiche sono reazioni di addizione, che tendono a portare la molecola nella condizione satura, con ibridazione sp3. Figura 1—4. Suddivisione degli idrocarburi alifatici Il secondo gruppo comprende gli idrocarburi aromatici, composti caratterizzati da proprietà chimiche del tutto particolari che, come vedremo, ne fanno un gruppo omogeneo, completamente distinto dagli altri idrocarburi. Gli aromatici in senso stretto sono gli idrocarburi che contengono almeno un anello benzenico. Il terzo infine, è formato dagli eterocicli, composti ciclici che contengono nell'anello atomi diversi dal carbonio. 10 1.3.3 Proprietà I prodotti petroliferi hanno proprietà chimiche e fisiche di base simili. Le proprietà di questi composti che hanno un particolare significato per la bioremediation sono: la polarità e solubilità, la volatilità, la tossicità e la biodegradabilità (Cole, 1994). • Polarità e solubilità, i composti non polari tendono ad essere immiscibili in acqua ed a trovarsi ripartiti nei materiali organici nella zona vadosa. Il risultato è che essi sono generalmente meno mobili nei suoli e nelle acque sotterranee e la diffusione dei composti non polari nelle acque sotterranee e negli acquiferi è generalmente più lenta dei composti polari. I contaminanti devono essere in soluzione perché avvengano i processi di biodegradazione, poiché la fase acquosa è l’habitat dei microrganismi che fornisce loro i nutrienti (Eweis et al., 1998). Quindi la solubilità e la velocità di ripartizione dai composti organici alla fase acquosa hanno un alto impatto sulla velocità di biodegradazione. • Volatilità, i composti volatili tendono a ripartirsi dal petrolio alla fase gassosa. Essi sono spesso abbastanza mobili nei suoli insaturi, e le emissioni dalla zona vadosa possono costituire un rischio nel sito contaminato o durante una escavazione (Eweis et al., 1998; Riser-Roberts 1998). • Tossicità, il fattore chiave che determina la necessità di risanare i suoli contaminati e le acque è la tossicità, per l’uomo e per l’ambiente. L’eliminazione o lo scarico agenti chimici tossici nel suolo presentano un problema difficile poiché i materiali tossici possono essere resistenti alla biodegradazione, inoltre una volta che i materiali sono nel suolo sussiste un minor controllo ambientale rispetto al loro trasporto ed al loro destino, ed infine il rischio per le riserve idriche è veramente alto poiché molti substrati inducono effetti tossici anche a basse concentrazioni (Eweis et al., 1998). • Biodegradabilità, i composti organici prontamente metabolizzabili, non tossici (per i microrganismi) sono normalmente ossidati nella zona vadosa molto rapidamente. La biodegradabilità è connessa a fattori quali la solubilità, il grado di ramificazione, il grado di saturazione, e la natura della sostituzione (Eweis et al., 1998). L’effetto della ramificazione è visto nella degradabilità degli isomeri (Gibson 1984; Schaeffer et al., 1979): l’n-ottano ad esempio, è più facilmente degradabile dell’iso-ottano (2,2,4-trimetilpentano), sebbene entrambi abbiano la formula bruta C8H18 (Pasteris et al., 2002). 11 1.4 Aspetti normativi delle bonifiche in Italia Nel corso dell’ultimo decennio è cresciuta, da parte delle amministrazioni pubbliche e degli esperti ambientali, l’esigenza di possedere un riferimento tecnico preciso ed un percorso operativo specifico a livello nazionale in merito alle bonifiche ambientali. Il problema della contaminazione dei terreni e delle falde idriche è stato recepito a livello istituzionale in tutta la sua gravità anche in Italia, dove a partire dal 1997, in notevole ritardo rispetto agli altri paesi membri dell’Unione Europea, sono stati emanati una serie di provvedimenti legislativi, tra i quali il D.L.vo. n. 22/97, il D.M. n. 471/99 e il D.Lgs 152/06, che hanno fornito degli strumenti normativi omogenei sul territorio nazionale per fronteggiare il problema della gestione dei rifiuti, della tutela delle risorse idriche e quello, ad essi correlato, della bonifica dei siti contaminati. Il D.Lgs 152/06 ha recentemente apportato significative modifiche alla modalità di gestione dei sito contaminati. Tuttavia, nella seguente trattazione, verranno approfonditi unicamente gli aspetti principali del D.M. 471/99 in quanto applicato nel sito in oggetto, la cui procedura amministrativa è stata avviata precedentemente all’entrata in vigore del nuovo decreto. 1.4.1 Il Decreto Ministeriale n°471 del 1999 Il Decreto Ministeriale n°471 del 1999 è il regolamento che stabilisce i criteri, le procedure e le modalità per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati. Ai fini dell'applicazione del decreto vengono presentate alcune definizioni: • Sito, area o porzione di territorio, geograficamente definita e delimitata, intesa nelle diverse matrici ambientali e comprensiva delle eventuali strutture edilizie ed impiantistiche presenti; • Sito inquinato, sito che presenta livelli di contaminazione o alterazioni chimiche, fisiche o biologiche del suolo o del sottosuolo o delle acque superficiali o delle acque sotterranee tali da determinare un pericolo per la salute pubblica o per l'ambiente naturale o costruito. Ai fini del presente decreto è inquinato il sito nel quale anche uno solo dei valori di concentrazione delle sostanze inquinanti nel suolo o nel sottosuolo o nelle acque sotterranee o nelle acque superficiali risulta superiore ai valori di concentrazione limite accettabili stabiliti dal presente regolamento; • Sito potenzialmente inquinato: sito nel quale, a causa di specifiche attività antropiche pregresse o in atto, sussiste la possibilità che nel suolo o nel sottosuolo o nelle acque superficiali o nelle acque sotterranee siano presenti sostanze contaminanti in concentrazioni tali da determinare un pericolo per la salute pubblica o per l'ambiente naturale o costruito; 12 • Ripristino ambientale: gli interventi di riqualificazione ambientale e paesaggistica, costituenti complemento degli Interventi di bonifica nei casi in cui sia richiesto, che consentono di recuperare il sito alla effettiva e definitiva, fruibilità per la destinazione d'uso conforme agli strumenti urbanistici in vigore, assicurando la salvaguardia della qualità delle matrici ambientali. 13 1.5 Tecniche di Risanamento In base alla caratterizzazione del sito, alle caratteristiche proprie del sottosuolo e della falda, alla tipologia, alla distribuzione ed alle concentrazioni di miscela contaminante rilevate nel sottosuolo, viene scelto un differente metodo di risanamento. Un metodo tradizionale è scavare il terreno contaminato e destinarlo in discarica sotto condizioni controllate. Questo metodo non consiste in un vero risanamento e non è accettabile per grandi aree o volumi, a causa del costo divenuto proibitivo. Un altro metodo di risanamento ambientale è l’aerazione del terreno. In questo modo si rimuovono gli idrocarburi volatili dalla zona vadosa (insatura). Questa tecnica viene solitamente utilizzata nelle contaminazioni da benzina grezza. Come metodo alternativo, la Bioremediation può essere usata per rimuovere gli agenti inquinanti sia in situ che ex-situ (Cole, 1994). Durante i processi di biotrattamento, gli idrocarburi sono trasformati in anidride carbonica, acqua e biomassa, dai microrganismi (autoctoni) naturalmente disponibili nel suolo (Huesemann, 1994). Questo processo di trasformazione di molecole complesse in molecole semplici, operato dai microrganismi, è denominato biodegradazione. 1.5.1 Obiettivi Una prima classificazione delle tecniche di risanamento introdotta con il D.M. n.° 471/99 è riferibile agli obiettivi che si intende raggiungere con la sua applicazione. Essa distingue gli interventi in: • Bonifica, che consiste nell’eliminazione delle fonti d’inquinamento o nella riduzione delle concentrazioni delle sostanze inquinanti al di sotto dei valori limite previsti per la destinazione d’uso a cui si intende riconvertire il sito. Qualora i suddetti valori di concentrazione limite accettabili non possano essere raggiunti, neppure con l'applicazione delle migliori tecnologie disponibili, a costi sopportabili, verrà attuata una bonifica con misure di sicurezza, atta a ridurre le concentrazioni delle sostanze inquinanti nel suolo, nel sottosuolo, nelle acque. • Messa in sicurezza permanente, con la quale non si provvede all’eliminazione dei contaminanti dal sito, bensì ad impedire la loro diffusione nelle matrici ambientali circostanti minimizzando i possibili effetti sui potenziali recettori. Il sito viene in pratica isolato dal punto di vista degli scambi di contaminazione con l’esterno. Con la messa in sicurezza il sito in sé rimane comunque contaminato e non può essere riconvertito a nessun uso e può essere 14 preceduta da una messa in sicurezza d'emergenza in attesa degli interventi di bonifica e ripristino ambientale (Figura 1—5). Figura 1—5. Schema procedurale previsto dal D.M. n. 471/99 per la progettazione e la realizzazione degli interventi di bonifica 15 1.5.2 Luogo di Trattamento Una ulteriore classificazione può essere operata sulla base del luogo nel quale viene effettuato il trattamento di bonifica e/o messa in sicurezza. In questo caso si possono distinguere gli: • interventi in-situ, che prevedono la decontaminazione senza movimentazione o rimozione del suolo o delle acque da bonificare. Tali interventi risultano in genere più vantaggiosi da un punto di vista economico, in quanto lo scavo rappresenta una percentuale rilevante del costo globale di un trattamento. La carente biodisponibilità della matrice carboniosa, legata alle caratteristiche del suolo, determina normalmente cinetiche di abbattimento relativamente lente. Sono quindi da prevedere tempi di trattamento molto lunghi. • interventi ex-situ, i quali prevedono lo scavo del terreno contaminato o l’estrazione delle acque di falda inquinate in superficie, dove sono successivamente trattate. A loro volta gli interventi ex situ sono suddivisi in: − interventi on-site, nel momento in cui il trattamento dei materiali estratti avvenga nell'area del sito stesso; − interventi off-site, nel caso in cui i materiali vengano inviati in impianti di trattamento o in discariche esterne al sito stesso. 1.5.3 Principi di Funzionamento Vogliamo individuare, infine, sulla base dei principi di funzionamento delle tecniche di bonifica, un’ultima classificazione dei trattamenti di bonifica e messa in sicurezza in ricavabili dal Decreto: • I trattamenti chimico-fisici e termici, sono in genere quelli che presentano le maggiori efficienze di rimozione dei contaminanti e tempi di bonifica relativamente brevi, tuttavia sono anche i più costosi e in generale determinano una modifica delle caratteristiche originali del suolo o delle acque di falda. I trattamenti termici si caratterizzano per l’uso di elevate temperature al fine di distruggere la causa della contaminazione o di favorirne il passaggio di fase. In base a questa distinzione si può parlare di termodistruzione (incenerimento) o di desorbimento termico. Questi trattamenti garantiscono rendimenti di rimozione molto alti. Il soil flushing (lavaggio in-situ) è un trattamento chimico-fisico che consiste in un’operazione di lavaggio del terreno mediante acqua o soluzioni in grado di estrarre e mobilizzare i contaminanti presenti nel suolo. Il soil washing è una tecnica simile, ma realizzata ex-situ. 16 • I trattamenti microbiologici, si basano sull’attività metabolica dei microrganismi, ovvero sull’insieme di reazioni chimiche operate dalle cellule per ottenere energia e produrre nuovo materiale cellulare indispensabili per la loro vita e riproduzione. In funzione del tipo di inquinante, i metodi biologici impiegano una varietà di microrganismi differenti, sia dal punto di vista biologico (batteri e/o funghi), sia per quanto riguarda le reazioni metaboliche utili per la decontaminazione. Questi metodi sono generalmente molto lenti e presentano efficienze di rimozione più basse rispetto ai trattamenti chimico fisici ma sono molto meno costosi e il loro impatto sulle caratteristiche originali del sito è minimo in quanto viene generalmente sfruttata la microflora batterica endogena del suolo e delle acque di falda. Figura 1—6. Principali tecnologie di bonifica 1.5.4 Processi Biologici I processi di Bioremediation possono offrire differenti vantaggi, tra i quali un maneggiamento ed un trasporto minimo dei siti contaminati, così da ridurre i costi ed i rischi potenziali per l’ambiente. La Bioremediation è limitata anche dalla mancanza di comprensione della fisiologia e dell'ecologia microbica dei siti inquinati e dalle interazioni tra la comunità microbica e l'ambiente fisico e geochimica, nel quale i contaminanti sono degradati (Major, 1991). Le tecnologie di trattamento di Bioremediation includono: 17 (1) Bioaugmentation (o Biomagnificazione) definita come la tecnologia di trattamento nella quale i batteri sono aggiunti al mezzo contaminato. Questa tecnica è usata nei bioreattori e nei sistemi ex-situ; (2) Biostimulation (o Biostimolazione), che è un processo di trattamento che stimola le popolazioni microbiche indigene presenti nel terreno o nelle falde. Il trattamento può essere fatto in situ o ex-situ, utilizzando un sistema che preveda un: • bioreattore, il processo viene condotto in contenitori o reattori ed è usato frequentemente per trattare contaminazioni in liquido o in fase semi solida (solida dispersa); • bioventing, spesso associato o generato da un sistema di Bioslurping, è il metodo mediante il quale viene trasportato l’ossigeno nel suolo, il quale stimola la crescita e l’attività microbica; • landfarming, usato per trattare le contaminazioni in fase solida. Esso può essere realizzato in situ o in una cellula di trattamento (Baker e Herson, 1994). 1.5.4.1 Bioslurping Il Bioslurping è una tecnica mista, flessibile e di larga applicabilità, capace di far coesistere l’attuazione contemporanea di due differenti metodologie di bonifica: 1. Soil Vapour Extraction (SVE), è una tecnica che tramite la creazione di un vuoto nel sottosuolo (attraverso un meccanismo di aspirazione di aria), favorisce un ricambio dell’atmosfera interstiziale della zona insatura, che stimola il metabolismo aerobio delle comunità batteriche autoctone. La comunità batterica aerobica normalmente presente nel sottosuolo risponde positivamente a questo flusso di aria ossigenata incrementando tutte le proprie attività metaboliche. In definitiva, la tecnica favorisce da una parte la Bioremediation naturale del suolo, mentre dall’altra, attraverso il meccanismo di aspirazione dell’aria permette la captazione ed il recupero dei vapori organici volatili (VOC) formatisi durante la degradazione microbiologica. 2. Free product recovery (FPR), è una tecnica che, mediante il medesimo meccanismo di aspirazione, consente il recupero dell’ inquinante eventuale presente asportandolo dalla superficie della falda freatica. Con questa tecnica, è altresì possibile recuperare tutti i sottoprodotti idrocarburici leggeri eventualmente formatisi durante la fase di degradazione microbiologica. Il parametro che individua l’efficacia della componente FPR nel bilancio 18 complessivo del Bioslurping è costituito dal quantitativo di inquinante rimosso dal sistema di aspirazione dello slurp tube, mentre i parametri dell’efficacia della componente SVE sono riconducibili agli indicatori dell’attività degradativa da parte dei batteri autoctoni (principalmente CO2, O2 e COV). Figura 1—7. Rappresentazione schematica del pozzo di bioslurping 1.5.4.2 MNA Per Attenuazione Naturale (AN) si intende l’insieme di tutti quei processi fisici, chimici e biologici che si verificano nel sottosuolo senza l’intervento umano e che concorrono a ridurre la massa, la tossicità, la mobilità, il volume o la concentrazione delle sostanze contaminanti presenti. I fenomeni di attenuazione naturale si basano quindi essenzialmente sulla trasformazione dei contaminanti attraverso le trasformazioni abiotiche e/o biotiche (biodegradazione) e la riduzione della mobilità dei contaminanti attraverso l’adsorbimento sulla matrice solida del terreno. L’Attenuazione Naturale Controllata (MNA, Monitored Natural Attenuation – USEPA 1999) utilizza tali processi spontanei per perseguire specifici obiettivi di bonifica di un sito contaminato, attuando al contempo un programma di monitoraggio sull’evoluzione ed il corretto andamento dei fenomeni degradativi. L’attenuazione naturale interviene sia in terreni insaturi che in quelli saturi, ma è soprattutto la falda il luogo dove si raggiungono gli effetti più intensi. 19 2 2.1 BIOREMEDIATION Suolo e Sottosuolo Esistono diverse definizioni del concetto di suolo, a seconda del particolare contesto, scopo e punto di vista dal quale vengono affrontate le problematiche che lo riguardano. Una definizione ampia e soddisfacente in campo ambientale è quella che ha adottato il “Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nel 1990”: “Il suolo è una parte integrante degli ecosistemi della Terra ed è situato all’interfaccia tra la superficie della Terra e il substrato roccioso. E’suddiviso in strati orizzontali sovrapposti con specifiche caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche e svolge svariate funzioni. Dal punto di vista della storia dell’utilizzo del suolo, e dal punto di vista ecologico e ambientale, il concetto di suolo comprende anche le rocce sedimentarie porose e altri materiali permeabili unitamente all’acqua da essi contenuta ed alle riserve di acqua sotterranea” (Consiglio d’Europa, 1990). 2.1.1 Struttura del suolo Il suolo è una struttura porosa costituita dalle fasi liquida, gassosa e solida derivanti dalla presenza di acqua (25-35% v/v), aria (15-22% v/v), struttura minerale (50-60% v/v) e sostanza organica (0,5% v/v) (White, 1982). La struttura del suolo controlla la distribuzione dell’acqua, dell’ossigeno e delle sostanze nutrienti, determinando la zona di bioattività. Generalmente nei terreni più compatti, ad esempio quelli dove prevalgono particelle fini, come l’argilla ed il limo, i nutrienti sono trasportati più lentamente, al contrario nei terreni più permeabili, quali quelli formati da sabbie e ghiaie, il trasporto di queste sostanze è più facile. Le caratteristiche dei suoli, quali la composizione, la dimensione delle particelle, il contenuto percentuale di umidità, la percentuale di carbonio organico e la capacità di scambio cationico possono risultare importanti per il risanamento dai contaminanti (Skladany e Baker, 1994). 2.1.2 Composizione e stratificazioni Per meglio comprendere la struttura del suolo è necessario suddividerlo in cinque zone. La distinzione di tali zone viene fatta sulla base della permeabilità e della capacità che il suolo ha di ritenere l’acqua, elemento che primariamente condiziona la vita dei microrganismi. 20 1. Zona superficiale, insatura e trofica, ricca di humus e di materia organica in decomposizione. 2. Zona insatura, o vadosa, la porzione del suolo in cui i pori non sono completamente saturi di acqua. Essa giace tra la zona superficiale e la zona satura. In questo strato l’acqua si muove principalmente per percolamento. Si tratta di un ambiente oligotrofico che presenta una bassa concentrazione di carbonio organico (generalmente < 0,1%), di azoto e fosforo. Il suo spessore varia considerevolmente: quando la zona satura è poco profonda, o comunque più vicina alla superficie, la zona insatura risulta sottile o talvolta inesistente, come nelle terre sommerse (paludi). Al contrario, ci sono molte aree del mondo, aride o semiaride, in cui la zona insatura può essere spessa diverse centinaia di metri. 3. Zona capillare, il limite di separazione tra zona vadosa e zona satura, in cui il fenomeno dominante è appunto la capillarità. Non ha uno spessore definito, poiché il livello dell’acqua può variare a seconda degli eventi metereologici. 4. Zona satura, si trova subito sotto la frangia capillare. È composta da materiale poroso completamente saturato d'acqua. Rappresenta il corpo idrologico vero e proprio, in cui l'acqua può "scorrere" secondo la conducibilità idraulica che caratterizza lo strato. È un ambiente oligotrofico. 5. 2.1.3 Base della falda è definita come uno strato impermeabile al di sotto della zona satura. Il suolo e le sue funzioni Il suolo si trova a svolgere differenti funzioni (Blum 1990): • Ecologiche, fornisce le sostanze nutritive ed un mezzo di sostegno alle radici delle piante. Opera un’azione di filtraggio, un effetto tampone e di trasformazione, consentendo in questo modo di far fronte alle sostanze nocive, attraverso l’assorbimento, la precipitazione o perfino la decomposizione di queste sostanze, impedendo così ad esse di raggiungere le falde acquifere. Il suolo è l’habitat di differenti specie microbiche necessarie al ciclo della vita. • Socioeconomiche, è fonte di materie prime. Da esso è possibile ricavare biomassa, acqua, argilla, sabbia, ghiaia e minerali, inoltre combustibili (carbone e petrolio). E’ il supporto agli insediamenti umani (abitazioni e infrastrutture, attività di svago). Permette lo smaltimento dei rifiuti. • Culturali, come patrimonio geogenico e culturale, è una fonte di testimonianze paleontologiche e archeologiche, importanti per la comprensione dell’evoluzione della terra e della specie umana (EEA - L’ambiente in Europa). 21 Per le sue molteplici funzioni e per i suoi molteplici impatti, il suolo svolge quindi un ruolo fondamentale per l’ambiente. Esso deve essere considerato, alla stregua di acqua ed aria, come una risorsa necessaria, ma finita e non rinnovabile, dal momento che i fenomeni di rigenerazione, attraverso i processi chimico-fisici e biologici del substrato roccioso, richiedono tempi molto lunghi. Ad esempio, nei climi umidi il tempo necessario per la formazione di uno strato di suolo di appena 2,5 cm è in media di 500 anni (Time Ecology, 1998) Per degrado del suolo si intende la perdita o il deterioramento delle sue funzioni. Le perdite di suolo dovute a impermeabilizzazione ed erosione possono essere considerate in gran parte irreversibili se rapportate al tempo necessario perché esso possa formarsi o rigenerarsi. Un esempio della rapidità della perdita irreversibile di suolo in Europa è la scomparsa di terreno potenzialmente produttivo dovuta allo sviluppo urbano degli anni Settanta, ad un ritmo di circa 120 ettari al giorno in Germania, 35 ettari al giorno in Austria e 10 ettari al giorno in Svizzera (Van Lynden, 1995). I fenomeni di deterioramento del suolo connessi all’antropizzazione sono continuamente in aumento e prevalgono sui fenomeni naturali: ad esempio, il tasso di erosione provocato dagli interventi dell’uomo è 10-15 volte superiore a quello naturale (EEA, 1999). Al deterioramento del suolo dovuto a contaminazione locale o diffusa, può essere spesso posto rimedio prendendo adeguate misure, quali piani di pulizia e di bonifica. Il suolo è suscettibile a diversi tipi di inquinamento, dovuti all’attività dell’uomo in molteplici campi, primo fra tutti quello industriale. Le possibili fonti di inquinamento del suolo possono essere le seguenti (Pin, 2000): • siti dove sono stati smaltiti rifiuti pericolosi o industriali senza un adeguato controllo ambientale; • terreni o falde contaminate da percolato proveniente da discariche di rifiuti solidi; • sversamenti di prodotti chimici che si verificano durante il trasporto; • perdite da serbatoi interrati o fuori terra impiegati per il deposito di petrolio o altri prodotti chimici; • scarichi provenienti da lagune o bacini di trattamento di rifiuti liquidi; • terreni contaminati da precipitato atmosferico; • siti radioattivi per la presenza di lavorazioni di combustibili nucleari; • terreni agricoli contaminati da applicazioni eccessive di pesticidi e insetticidi. 22 2.2 I Microrganismi I microrganismi sono organismi microscopici formati da una singola cellula o da raggruppamenti di cellule (Madigan et al, 2003). Le cellule vivono in natura in associazione con altre cellule in una sorta di agglomerato chiamato popolazione. Il luogo dove la popolazione microbica vive si chiama habitat. In natura le popolazioni convivono ed interagiscono con altre popolazioni cellulari formando le comunità microbiche. Quando si considerano gli organismi viventi insieme alle caratteristiche fisico-chimiche del loro ambiente, si parla di ecosistema. Esistono differenti ecosistemi microbici, i principali sono quelli acquatici (oceani, laghi, fiumi e sorgenti), terrestri (suolo e rocce) e quelli degli organismi superiori: le proprietà di un ecosistema sono in gran parte determinate dall’attività batterica. 2.2.1 I Microrganismi nel suolo Il suolo è abitato da popolazioni indigene (autoctone) di batteri, funghi, alghe e protozoi. Sono inoltre presenti fagi o virus che sono in grado di infettare ciascuna di queste classi di organismi, ma le informazioni a riguardo sono ancora limitate (Maier e Pepper, 1995). Oltre alle popolazioni indigene possiamo trovare microrganismi introdotti con l’attività umana (agenti di controllo biologico o agenti biodegradativi) od animale (escrementi). In generale le colonie microbiche non si distribuiscono uniformemente sulle particelle del terreno. La disponibilità di micronutrienti e di matrice organica, condizionano primariamente la crescita dei microrganismi, e differisce in modo particolare tra l’ambiente superficiale ed il sottosuolo. Tale differenza si riflette in una più alta e più uniforme distribuzione del numero e delle attività dei microrganismi nel suolo superficiale. La maggior parte dei microrganismi si riuniscono a formare degli aggregati, infatti circa l'80-90% delle cellule si adsorbono alla matrice solida mentre le restanti sono libere nel mezzo poroso. La formazione di aggregati e di colonie conferisce notevoli vantaggi ai microrganismi: li protegge dalla predazione da parte dei protozoi; aiuta a concentrare localmente i nutrienti presenti ed a favorire il loro ricircolo; consente di modificare l'ambiente immediatamente circostante le colonie, ottimizzando le condizioni di crescita, attraverso la variazione di fattori come ad esempio il pH. Le cellule in forma libera sono dunque meno frequenti ma rappresentano un importante meccanismo di dispersione dei microrganismi. Quando le riserve di nutrienti, in un particolare punto della superficie del mezzo poroso, si esauriscono, i microrganismi necessitano di un meccanismo attraverso cui raggiungere nuovi siti in grado di soddisfare le loro esigenze 23 nutrizionali. I funghi lo fanno attraverso la produzione di spore rilasciate dai corpi fruttiferi o mediante l'estensione delle ife. Un meccanismo di dispersione analogo è stato evoluto anche dagli attinomiceti (batteri) che producono anch'essi esospore. Alcuni batteri utilizzano invece un differente meccanismo noto come rilascio di cellule figlie free-living. Infatti è noto che le cellule presenti sulla superficie della colonia, subiscono dei cambiamenti nella composizione dello strato superficiale che causa il rilascio di cellule figlie neo-formate. Quando tali cellule free-living crescono, la loro superficie subisce delle variazioni nella composizione chimica che permettono l'adesione ad un nuovo sito caratterizzato da più favorevoli condizioni ambientali (Maier, 1999). Il numero di microrganismi coltivabili dello strato superficiale del suolo può raggiungere il valore di 108 UFC (unità formanti colonia) per grammo di suolo secco, tale valore aumenta di uno o due ordini di grandezza se ottenuto con la tecnica della conta diretta. La differenza tra conta diretta e conta dei coltivabili è maggiore nel sottosuolo, per la presenza di un maggior numero di batteri vitali, ma non coltivabili: tali microrganismi, trovandosi in condizioni ambientali sfavorevoli a causa della carenza di sostanze nutrienti e del basso contenuto di substrato organico, vivono in uno stato di stress e possono subire danni subletali. I microrganismi perdono quindi la capacità di crescere nei comuni terreni di coltura secondo metodi convenzionali. E' noto infatti che il 99% dei microrganismi del suolo non siano coltivabili (Roszak and Colwell, 1987). I microrganismi possono rilasciare gli enzimi nel suolo. Gli enzimi hanno la capacità di catalizzare le reazioni di ossidazione di una varietà di idrocarburi differenti, e alcuni di essi sono caratterizzati da un’ampia specificità di substrato (Gibson and Yeh, 1973). L’attività degli enzimi nel suolo è la somma dell’attività di tutti gli enzimi accumulati. L’attività dell’enzima nativo è il risultato di molti processi che conducono alla combinazione parziale degli enzimi prodotti localmente nell'ambiente suolo. In altre parole, questi enzimi sono immobilizzati sulla superficie delle particelle del terreno (McLaren, 1975). 2.2.1.1 I Funghi I funghi sono microrganismi eucarioti non fototrofi provvisti di pareti cellulari rigide, si distinguono in lieviti e muffe. Tutti i funghi sono eterotrofi e si nutrono mediante l'assorbimento di molecole organiche disciolte. Alcuni funghi sono decompositori, e sono in grado di digerire macromolecole complesse e di trasformarle in molecole più piccole. I funghi miceliari aerobi sono abbondanti sulla superficie del suolo. Il loro numero è generalmente compreso tra 105 e 106 /g di suolo. Analogamente agli attinomiceti, i funghi svolgono un ruolo importante nella decomposizione di polimeri organici semplici e complessi (come la 24 cellulosa e la lignina), alcuni funghi sono anche capaci di degradare sostanze inquinanti. La loro capacità di degradazione aumenta con l’abbassarsi del pH, in quanto, a differenza degli attinomiceti, preferiscono un ambiente acido. Tra i generi maggiormente rappresentati ed attivi nel terreno vi sono: Mucor, Phthium, Fusarium, Tricoderma, Penicillium (produttori di antibiotici), Aspergillus (demolitori dei tannini). I lieviti, anaerobi facoltativi, sono in numero inferiore rispetto ai funghi miceliari, pari a circa 103cellule/g di suolo. Poiché si nutrono di materia organica, li troviamo soprattutto negli strati superficiali, mentre il loro numero decresce rapidamente con l’aumentare della profondità. 2.2.1.2 Le alghe Le alghe sono microrganismi eucarioti fototrofi, tuttavia a maggiori profondità esistono anche alghe capaci di crescere sia autotroficamente che eterotroficamente (alghe verdi e diatomee). La maggior parte si trova comunque nei primi 10 cm di suolo, in numero pari a circa 5.000 – 10.000 cellule/g di suolo. La popolazione algale del suolo presenta delle variazioni stagionali che prevedono un aumento del loro numero in primavera ed in estate. Le alghe sono spesso i primi colonizzatori di un suolo, ed il loro metabolismo è critico per la sua formazione. Infatti il loro metabolismo produce acidi carbonici che favoriscono la degradazione delle particelle minerali circostanti ed inoltre producono una grande quantità di polisaccaridi extracellulari che partecipano alla formazione del suolo, favorendo l’aggregazione delle particelle. 2.2.1.3 I protozoi I protozoi sono microrganismi eucarioti unicellulari non fototrofi privi di parete cellulare. Principalmente rappresentati da flagellati, presenti in maggior numero (amebe e ciliati), sono i predatori di tutti gli altri microrganismi. A causa delle loro dimensioni e della grande richiesta di microrganismi come fonte alimentare, si ritrovano soprattutto ad una profondità di 15–20 cm, prevalentemente nella rizosfera densamente popolata da batteri. I protozoi sono abbastanza numerosi, si trovano in numero di circa 30.000 cellule/g di suolo in terreni incolti, 350.000 cellule/g di suolo in campi coltivati a mais e 1,6x106cellule/g di suolo nelle aree subtropicali. 25 2.2.1.4 I Batteri I batteri sono microrganismi procariotici, che possono essere classificati in diversi modi, ciascuno in funzione dei differenti aspetti del processo metabolico. A livello di fonti di carbonio possono essere distinti in autotrofi o eterotrofi: gli eterotrofi utilizzano uno o più composti organici come fonte di carbonio, mentre gli autotrofi utilizzano la CO2. Parallelamente i batteri sono raggruppati in funzione della sorgente di energia (esterna): chemiotrofi, ottengono energia dall’ossidazione di sostanze chimiche, e fototrofi i quali ricavano la loro energia dalla luce (Pelczar et al., 1986). Alcuni batteri possono ottenere energia solo in presenza di ossigeno, e sono chiamati quindi aerobi, altri solo in assenza di ossigeno, anaerobi; altri ancora possono ottenere energia sia in presenza di ossigeno che in sua assenza, aerobi facoltativi. Figura 2—1. Opzioni metaboliche per ottenere energia I batteri eterotrofi sono gli organismi più importanti per la trasformazione dei composti organici, per questo motivo essi possono essere utilizzati nel trattamento di composti inquinanti, processo definito “biorisanamento (bioremediation). Lo scopo delle tecniche di biorisanamento è di aumentare l’attività microbica. I batteri possono essere classificati in due gruppi, i Gram positivi e i Gram negativi in funzione della composizione e della struttura della loro parete cellulare. I batteri Gram positivi hanno una parete cellulare di peptidoglicano spessa ed una volta colorati con la tecnica di colorazione di Gram (introdotta da Christian Gram nel 1884 per poter distinguere i batteri Gram 26 positivi dai Gram negativi utilizzando una serie di reagenti di colorazione), appaiono blu scuri o viola. I batteri Gram negativi hanno una parete cellulare più complessa per la presenza di una membrana esterna che circonda quella esterna di peptidoglicani. Con la colorazione di Gram, si presentano di colore rosa. 2.2.2 I Batteri del suolo superficiale I batteri sono i microrganismi più numerosi sulla superficie terrestre. Si stima che le specie batteriche costituenti la comunità del suolo, possano raggiungere il numero di 10.000 (Turco e Sadowsky, 1995). Il titolo vitale, variabile in funzione delle condizioni ambientali come composizione del suolo e temperatura, varia tra 107 e 108 cellule/g di suolo, mentre la popolazione totale può superare le 1010 cellule/g di suolo. Generalmente i batteri aerobi superano di due o tre ordini di grandezza quelli anaerobi, mentre la popolazione anaerobica cresce logicamente con l’aumentare della profondità del suolo. Tra i generi più rappresentati vi sono Pseudomonas e Agrobacterium ed in quantità molto inferiore i generi Azotobacter, Rhizobium, Nitrosomonas, Nitrobacter. Gli attinomiceti sono i microrganismi coltivabili più abbondantemente presenti nel suolo. Il loro numero è generalmente uno o due ordini di grandezza più piccolo rispetto alla popolazione batterica totale. Gli attinomiceti sono batteri Gram positivi, solitamente immobili (solo le spore possono essere flagellate), essenzialmente aerobi, capaci di formare miceli ramificati e spore. Gli attinomiceti sono un’importante componente della popolazione batterica, specialmente in condizioni di elevato pH, elevate temperature o stress idrico. Essi rivestono una notevole importanza nel processo di mineralizzazione del materiale organico, essendo in grado di disgregare una grande varietà di composti organici. Essi attaccano le proteine degradate e gli aminoacidi, con produzione di ammoniaca. Nel suolo tra i generi più rappresentati vi sono Nocardia e Rhodococcus, attinomiceti nocardiformi, e Streptomyces. Le nocardie partecipano al processo di degradazione degli idrocarburi e delle cere e contribuiscono al biodeterioramento delle giunture di gomma nelle condutture idriche e di scolo. Sia il genere Nocardia che Rhodococcus sono inoltre accomunati dalla presenza di acidi micolici nella parete. Il genere Streptomyces comprende centinaia di specie anche se il loro numero si sta riducendo con il progredire delle conoscenze tassonomiche. Sono strettamente aerobi, formano catene di spore immobili, racchiuse all’interno di un rivestimento fibroso, spesso pigmentati e con struttura liscia, irsuta o spinosa. Nel suolo rappresentano l’1-20% della popolazione microbica coltivabile e sono responsabili della produzione di sostanze volatili come la geosmina a cui si deve l’odore della terra 27 umida. Questi batteri svolgono un ruolo primario nella degradazione e mineralizzazione di sostanze resistenti come la lignina, la pectina, la chitina, la cheratina, il lattice ed i composti aromatici. Sono inoltre noti per la capacità di sintetizzare una grande quantità di antibiotici. Altri gruppi presenti nel suolo annoverano i batteri corineformi, anch'essi inclusi fra gli attinomiceti e gli sporigeni aerobi tra cui il genere Bacillus. La distribuzione dei batteri è funzione della disponibilità di nutrienti. Inoltre risultano di primaria importanza, la granulometria e la struttura del suolo: in funzione della tessitura infatti, i microrganismi si localizzano diversamente tra i pori dei microaggregati e, dopo avervi aderito, iniziano a moltiplicarsi. E’ importante tener presente che le dimensioni dei pori controllano il flusso dell'acqua: i pori più larghi drenano più rapidamente rispetto a quelli di minor diametro, quindi la parte interna di questi ultimi mantiene un più elevato tasso di umidità, risultando maggiormente adatta allo sviluppo dei microrganismi. Questo giustifica il motivo per cui i batteri Gram-positivi, che sono meglio adattati a condizioni di disidratazione, tendono ad occupare la parte esterna dei microaggregati, mentre i batteri Gram-negativi si localizzano preferenzialmente nella parte più interna. 2.2.3 I Batteri del sottosuolo Lo studio delle comunità microbiche che popolano il sottosuolo è relativamente recente, a causa della mancanza, prima degli anni ’80, di tecniche che potessero garantire prelievi sterili. Per questo abbiamo ancora poche informazioni sui microrganismi che popolano questo ambiente e sui loro metabolismi (Maier e Pepper, 1995). E’ stato comunque recentemente dimostrato che sedimenti e rocce della zona vadosa sono ampiamente popolate da microrganismi vitali (Kieft, 1999). Per analizzare a fondo la distribuzione dei microrganismi in tale comparto si deve tener presente la suddivisione in strati del suolo. Nel sottosuolo poco profondo, le zone più ricche d’acqua sono senza dubbio le più popolate, con un numero relativamente alto di batteri (titolo totale pari a 105-107 cellule/g di suolo). Gran parte della popolazione è costituita da batteri Gram-positivi (sopratutto Streptomiceti) aerobi ed eterotrofi, pur essendo presenti anche batteri anaerobi ed autotrofi (tabella 1). 28 Tabella 1. Ceppi isolati dalla zona vadosa di tre differenti siti di regioni aride e semiaride (Kief, 1999) Hanford Site Nevada Test Site White Bluffs, Eastern WA Streptomycetes Bacillus Arthrobacter Azospirillum Bradyrhizobium Xanthomonas Pseudomonas Telluria Arthrobacter Micrococcus Bacillus Corynebacterium Gordona Acinetobacter Acidovorax Hydrogenophaga Pseudomonas Arthrobacter Micrococcus Clavibacter Nocardioides Planococcus Streptomyces Bacillus Blastobacter Paracoccus Methylobacterium Sphingomonas Batteri isolati dal sottosuolo si sono dimostrati capaci di degradare substrati semplici come il glucosio, così come substrati complessi quali composti aromatici, surfattanti e pesticidi. Queste caratteristiche fanno ritenere che i microrganismi del sottosuolo possano essere utilizzati per decontaminare in situ zone inquinate da una grande varietà di composti organici. Nella zona vadosa, il titolo totale si mantiene alto e decresce solo di un ordine di grandezza rispetto a quello superficiale. Diversamente la conta vitale decresce di quattro ordini di grandezza/g di suolo (Maier e Pepper, 1999). Nella zona insatura l’acqua si presenta in forma di sottile e discontinuo film che forma un menisco concavo nelle fessure tra le particelle. La natura discontinua di questo film d’acqua limita il movimento dei nutrienti dissolti e quello dei microrganismi che è primariamente controllato da fenomeni di diffusione. La zona vadosa presenta normalmente un’elevata umidità, quindi i batteri non sono soggetti a fenomeni di disidratazione. Vista la bassa concentrazione di materia organica e la bassa velocità di diffusione dei nutrienti, i microrganismi presentano una bassa attività metabolica, condizione che può perdurare a lungo. Nella zona satura profonda è presente una grande varietà di microrganismi ed un numero totale che si aggira tra 106 e 107 cellule/g sedimento. Le tipologie più rappresentate includono aerobi e anaerobi facoltativi, denitrificanti, nitrificanti, metanogeni, solfato-riduttori. Sono presenti anche alcuni cianobatteri (oltre a funghi e protozoi). Questi microrganismi sono in grado di metabolizzare zuccheri semplici, acidi organici, polimeri complessi come acido β-idrossibutirrico ed alcuni surfattanti come Tween 40 e Tween 80. Nel sottosuolo si osserva un elevato incremento del numero dei microrganismi negli strati con un’alta quantità di materia organica residua (paleosol) ed in aree contaminate da inquinanti organici o che hanno subito un arricchimento artificiale mediante aggiunta di nutrienti. A dispetto del basso numero e della bassa attività metabolica in situ dei microrganismi presenti nella zona vadosa, questi possono giocare un ruolo importante nel biorecupero del sottosuolo contaminato, nella 29 mobilizzazione o immobilizzazione di contaminanti organici ed inorganici sversati nel suolo, nei cicli biogeochimici. 2.2.4 Stato metabolico dei batteri nel suolo Tutte le cellule richiedono energia, essa può essere ottenuta in tre diversi modi: dai composti chimici di natura organica, da quelli di natura inorganica o dalla luce (Madigan et al, 2003). La grande biodiversità caratteristica del suolo è dovuta alle differenti esigenze nutrizionali dei microrganismi ed alle diverse modalità di utilizzo dei substrati organici e dei nutrienti come donatori e accettori finali di elettroni. Infatti, i composti organici ed inorganici possono essere metabolizzati nell’ambito di un ampio spettro di condizioni redox. Per questo motivo il suolo è considerato un ambiente altamente eterogeneo in cui convivono differenti tipi di organismi, ciascuno dei quali occupa un determinato habitat, e all’interno di questo, una specifica nicchia. Normalmente nel suolo e nei sedimenti, materiali facilmente degradabili come gli zuccheri, sussistono solo transitoriamente, mentre i substrati più difficili da degradare (es. la lignina) persistono per lunghi periodi di tempo. In particolare, le sostanze umiche (che sono componenti stabili della materia organica) vengono degradati molto lentamente con una velocità pari al 2-5% per anno. Nell’ambiente inoltre possono essere presenti fattori limitanti quali il potenziale redox, azoto e fosforo, che impediscono l’utilizzo di un substrato presente in grandi quantità. L’unico momento in cui i batteri del suolo esprimono un’elevata attività metabolica è quando un nuovo substrato viene aggiunto al suolo (es. lettiera di foglie) o quando un determinato microrganismo diventa capace di utilizzare un substrato precedentemente non biodisponibile. In quest'ultimo caso una mutazione genetica o un trasferimento genico orizzontale determina l’espressione di un nuovo sistema enzimatico che consente la degradazione di un substrato precedentemente indegradabile. I microrganismi che esprimono questa nuova funzione, sono in grado di utilizzare il substrato con un’elevata velocità metabolica senza dover competere con altri organismi. Similmente viene espressa un’alta attività metabolica quando un microrganismo alloctono, con una specifica capacità degradativa, viene aggiunto o introdotto nell’ambiente allo scopo, ad esempio, di attivare la biodegradazione di un contaminante organico inquinante. I composti organici presenti sulla Terra, che possono quindi essere usati dai microrganismi per ottenere energia sono svariati. Tutti i composti organici naturali e perfino molti di quelli sintetici possono essere degradati da uno o più gruppi microbici. L’energia è quindi ottenuta per ossidazione (rimozione di elettroni) dei composti e viene conservata all’interno della cellula sotto forma di molecole ad alta energia come l’adenosintrifosfato (ATP) (Madigan et al., 2003). 30 Nel suolo comunque, a parte questi casi, la maggior parte dei batteri si trova in condizioni di stress dovute alla competizione per i nutrienti disponibili. Tale stato di stress si manifesta con una crescita sbilanciata, con la comparsa di morfologie meno definite e più tondeggianti, con danni subletali o letali. Lo stress abiotico può anche determinare la formazione di strutture di quiescenza come le endospore, nel caso del genere Bacillus. 31 2.3 La Bioremediation La tecnica di bioremediation o biorisanamento si è affermata negli ultimi anni come una delle principali tecnologie di bonifica ambientale. "Il Principio più importante della Bioremediation è che i microrganismi possono essere usati per distruggere gli agenti contaminanti pericolosi o per trasformarli in forme meno pericolose” (US National Research Council, 1993). Il biorisanamento di siti contaminati da composti organici, si basa sulla stimolazione dell’attività catabolica di microrganismi capaci di utilizzare i contaminanti organici inquinanti come fonte di carbonio ed energia. I composti organici possono quindi essere completamente degradati ad anidride carbonica ed acqua, ovvero mineralizzati, oppure biotrasformati in composti meno tossici (Rocco e Pin, 2000; Atlas e Bartha, 1997). Da quando ZoBeli (1946) riportò che quasi 100 specie di batteri, rappresentanti 30 generi microbici, possedevano la proprietà di ossidare gli idrocarburi, sono state scoperte molte specie e molti generi, ampiamente diffusi nei suoli, con le stesse capacità (Istituto di Ricerca del Texas, L982a). La Bioremediation è una tecnologia che include in se differenti (approcci metodologici) trattamenti microbiologici, i quali come già accennato presentano alcuni vantaggi, rispetto alle tecniche tradizionali, quali: ¾ costi molto contenuti (in confronto a trattamenti chimico-fisici); ¾ bassi consumi energetici; ¾ scarsi rischi di inquinamento di acque ed atmosfera circostante. I maggiori svantaggi derivano invece: − dalla necessità di valutare preventivamente l’efficacia del trattamento microbiologico; − dalle condizioni ambientali difficili o scarsa presenza di microrganismi degradatori; − dalla scarsa conoscenza della possibilità di biodegradazione di composti xenobiotici e della biodisponibilità dei contaminanti. Il biorisanamento è comunque un processo complesso i cui aspetti quantitativi e qualitativi dipendono dalla natura e dalla quantità del contaminante da eliminare, dal tipo di suolo, e dalle condizioni ambientali e in definitiva dalla composizione della comunità microbica indigena. Tale processo può essere inoltre effettuato in situ, ovvero direttamente sull’ambiente contaminato (suolo), ex situ, estraendo la matrice contaminata e trattandola in appositi impianti. Nel caso in cui tali impianti siano localizzati all’interno del sito, il processo è definito on site. 32 2.3.1 Ruolo dei microrganismi nella Bioremediation La Bioremediation è un processo basato sull’attività dei microrganismi aerobi ed anaerobi eterotrofi (Boopathy, 2000), che si basa sulla stimolazione delle loro capacità cataboliche, per rimuovere i contaminanti dal suolo. I microrganismi sono adsorbiti sulle particelle del suolo attraverso meccanismi di scambio ionico: in generale le particelle del terreno hanno una carica negativa, ed i batteri del suolo possono legarsi attraverso legami ionici coinvolgenti cationi polivalenti (Killharn,1994). Essi possono quindi distruggere l'agente inquinante presente nel suolo attraverso il metabolismo microbico che è il processo vitale della cellula microbica nel quale sono effettuate le attività nutrizionali e funzionali di un organismo (Pelczar et al, 1986). Generalmente, i microrganismi del suolo effettuano due funzioni: prelevano una fonte di carbonio da un contaminante organico ed usano gli elettroni forniti dallo stesso composto per ottenere energia. Schematicamente i fenomeni di biodegradazione delle molecole organiche possono essere rappresentati da reazioni di ossidoriduzione, catalizzate dagli enzimi prodotti dai microrganismi, ossia un processo di trasferimento di uno o più elettroni da composti altamente energetici, donatori di elettroni (ossidati), a composti a minor energia, accettori di elettroni (ridotti), con immagazzinamento finale di energia nelle molecole di ATP (Bonomo, 2005). Esistono due categorie di trasformazioni: nella prima la biodegradazione fornisce carbonio ed energia per supportare la crescita cellulare ed i processi sono perciò “crescita-collegati”; nella seconda la biodegradazione non è legata alla moltiplicazione cellulare e tutto, o quasi tutto, il carbonio è mineralizzato, ovvero trasformato completamente nelle forme inorganiche (es. anidride carbonica e metano), e non accumulato in biomassa (Alexander, 1999). Nei comparti ambientali (suolo) il carbonio assimilato è stimato in: Cassimilato = Csubstrato − Cmineralizzato EQUAZIONE 1 La percentuale di substrato che è mineralizzato e quello che è assimilato dipendono da svariati fattori, quali le specie microbiche che effettuano la biodegradazione, la tipologia del substrato, la sua concentrazione, la temperatura e probabilmente, altri fattori ambientali (Alexander, 1999). Da osservare come non sia possibile generalizzare che la percentuale di mineralizzazione incrementi o diminuisca con l’aumentare della concentrazione. I microrganismi responsabili dei processi di biodegradazione competono fra loro per le fonti di carbonio organico disponibile. La stechiometria dei processi per la conversione della sostanza organica, sinteticamente rappresentata da CH2O, in differenti ambienti redox, può essere schematicamente rappresentata dalle reazioni generali e dai corrispondenti valori dell’energia libera 33 di Gibbs, a pH = 7 (Azadpour Keeley et al., 1999) (Tabella 2). In termini di resa energetica il processo più efficiente è generalmente la respirazione aerobica: quando l’ossigeno diviene carente, si possono instaurare processi in anaerobiosi, in cui vengono utilizzati quali accettori di elettroni, in ordine di preferenza, nitrati (Denitrificazione), il Mn4+, il Fe3+ i solfati e l’anidride carbonica (Metanogenesi). Tabella 2. Reazioni generali di conversione della sostanza organica in differenti ambienti redox e corrispondenti valori dell’energia libera di Gibbs a pH = 7 REAZIONE O2 + CH2O Respirazione aerobica Riduzione dei nitrati Riduzione del manganese Riduzione del ferro Riduzione dei solfati Metanogenesi, fermentazione ∆G0 (kcal mol-1) STECHIOMETRIA 3- + 4NO + 4H + 5CH2O + - 120 2N2 + 5CO2 + 7H2O - 114 2+ 4MnO2 + CH2O + 4H 2Mn + CO2 + 3H2O + 4Fe(OH)3 + CH2O + 8H 2- CO2 + H2O + 2CH2O + SO4 + H 2CH2O 2+ 4Fe + CO2 + 11H2O - 2CO2 + HS + 2H2O CH4 + CO2 - 81 - 28 - 25 - 22 Vi sono casi nei quali, alcuni contaminanti organici (solventi clorurati) possono fungere da accettori di elettroni, dando luogo a reazioni di riduzione (dealogenazione riduttiva), che rappresentano il processo di degradazione di tali sostanze. Oltre ai processi di ossidazione e riduzione alcune sostanze (solventi clorurati, MTBE) possono essere degradate casualmente per processi cometabolici, in cui le molecole in questione reagiscono con gli enzimi prodotti dai microrganismi per altri scopi. 2.3.2 Bioremediation intrinseca ed ingegnerizzata Si possono distinguere due categorie di tecnologie di bioremediation. La prima, può essere identificata come intrinseca (l’MNA, monitored natural attenuation), essa utilizza i microrganismi disponibili naturalmente (autoctoni) per la degradazione dei contaminanti e non necessita di interventi di tipo ingegneristico nel sito. Esperienze pratiche hanno mostrato che meccanismi, quali la biodegradazione, la dispersione, la diluizione, l’adsorbimento, la volatilizzazione ed altre reazioni chimiche, in situazioni favorevoli, sono efficaci nell’indurre, in tempi accettabili e senza l’intervento umano, una riduzione della tossicità o mobilità delle sostanze inquinanti (Wiedermeir et al.,1998). Il secondo gruppo di tecnologie, per potenziare il grado di bioremediation, coinvolge solitamente un intervento di tipo ingegneristico, introducendo cioè ulteriori processi, quali ad 34 esempio l’aggiunta di sostanze nutrienti, di accettori di elettroni, di microrganismi etc. Il principio del risanamento di tipo ingegneristico è di modificare le condizioni ambientali per accelerare l’attività dei processi metabolici dei microrganismi. Di conseguenza, nei processi ingegneristici la degradazione dei contaminanti può essere condotta secondo un programma regolarizzato, tale da ridurre i rischi ed i costi. Uno studio di un caso di Bioremediation intrinseca è stato documentato nell’isola di Vancouver B.C, nel 1973. Furono rovesciate circa 180 tonnellate di petrolio. Cretney et al. (1978) ha riportato che la biodegradazione ha rappresentato la quasi completa rimozione dei n-alcani durante il primo anno dopo lo sversamento. Il pristano ed il fitano furono biodegradati più lentamente, ma eliminati quasi completamente dopo 4 anni. I componenti ramificati del range C28, a C30, si mostrarono come i più resistenti alla degradazione nei confronti di tutti i componenti estratti in gas-cromatografia. Una bioremediation ingegnerizzata fu condotta in un campo di frumento del New Jersey, contaminato con circa 1.9 milioni di litri di cherosene, per oltre 1.5 ettari. Venne intrapreso un programma di risanamento che consisteva in una frequente lavorazione, fertilizzazione e concimazione della terra, e fu monitorata per un periodo di due anni la diminuzione dell’inquinamento da idrocarburi. Durante quel periodo, il contenuto di idrocarburi della superficie del suolo diminuì fino ad un livello insignificante ed il campo tornò ad uno stato produttivo quasi normale (Dibble e Bartha, 1979). 35 2.4 Degradazione degli Idrocarburi Petroliferi Nel 1965, Alexander stabilì il cosiddetto principio dell’infallibilità metabolica, secondo il quale nessun composto organico naturale risulta totalmente recalcitrante alla degradazione nelle condizioni ambientali favorevoli. L’evoluzione dei vari biopolimeri è stata lenta e graduale, dell’ordine di milioni di anni, e parallelamente si sono evolute le vie metaboliche che ne permettono la degradazione. Il principio di Alexander si applica anche al petrolio, che, come abbiamo discusso nei paragrafi precedenti, è una miscela di idrocarburi che si origina dalla materia organica; esistono infatti microrganismi in grado di catabolizzare gli idrocarburi petroliferi (Atlas e Bartha, 1997). La biodegradazione degli idrocarburi è un processo nel quale gli organismi eterotrofi utilizzano gli idrocarburi come fonte di carbonio e di energia. Durante tale processo i microrganismi, attraverso una serie di reazioni di ossido-riduzione, utilizzano gli idrocarburi come donatori di elettroni, mentre l’ossigeno rappresenta l’accettore. La biodegradabilità degli idrocarburi petroliferi dipende dalla struttura chimica delle sue varie componenti. Strutture più semplici sono più facilmente degradabili, strutture più ramificate, al contrario, più lentamente degradabili: gli alcani sono più facilmente degradabili dei composti aromatici; gli anelli dei monoaromatici (BTEX) sono aperti più facilmente di quelli dei composti con più anelli (naftaleni). Tabella 3. Solubilità e viscosità di prodotti petroliferi rappresentativi: Cole GM (1994), “Assessment and Remediation of Petroleum Contaminated Sites” - Boca Raton, FL: CRC Press. Solubility in Cold Water Viscosità Product (at 20 C in ppm) (in Centistokes) Gasoline 1-Pentene Benzene toluene Ethylbenzene Xylenes n-Hexene Cyclohexane i-Octane JP-4 Jet Fuel Kerosene Diesel Light Fuel Oil #1 and #2 Heavy Fuel Oil #4, #5 & #6 Lubricating Oil Used Oil Methanol 50-100 150 1,791 515 775 150 12 210 0.008 <1 <1 <1 <1 <1 < 0.001 < 0.001 > 100,000 0.5-0.6 n/a 0.5 0.5 0.6 0.6 0.4 n/a n/a 0.8-1.2 1.5-2 2-4 1.4-3.6 5.8-194 400-600 40-60 < 0.1 36 In generale, i più leggeri sono più solubili e maggiormente biodegradabili dei pesanti (meno solubili). La resistenza alla biodegradazione di un composto aumenta con l’aumento del peso molecolare. Ad esempio la benzina, che è considerata più facilmente degradabile del gasolio, ha una solubilità da 50 a 100 ppm e viscosità da 0,5 a 0.6 mm2/s, paragonata alla solubilità di meno di 1 ppm ed alla viscosità da 2 a 4 mm2/s del gasolio (Tabella 3). Allo stesso modo, il gasolio è più biodegradabile dell’olio esausto, il quale ha una solubilità minore di 1 ppb e viscosità da 40 a 600 mm2/s. 2.4.1 Vie di degradazione degli idrocarburi alifatici 2.4.1.1 Alcani Grazie alla loro struttura simile agli acidi grassi ed alle paraffine vegetali, entrambi ubiquitari in natura, molti microrganismi possono utilizzare gli alcani, come unica fonte di carbonio ed energia. Generalmente sono considerati gli idrocarburi più facilmente degradabili. La biodegradazione necessita di grandi quantità di ossigeno e comporta l’intervento di un enzima, la monoossigenasi. La degradazione ha inizio con l’inserimento di un atomo di ossigeno nella molecola dell’alcano. Successivamente due enzimi deidrogenasi portano alla formazione di un acido grasso semplice, il quale viene a questo punto combinato al Coenzima A (Figura 2—2). La molecola così formata seguirà la comune via di degradazione degli acidi grassi, ovvero la βossidazione, che taglia consecutivamente frammenti a due atomi di carbonio, con la formazione di molecole di Acetil-CoA, che poi entra nel ciclo degli acidi tricarbossilici (o ciclo di Krebs), CO2 e H2O. A partire da acidi grassi con numero pari di atomi di carbonio, si otterrà una molecola di acetil-CoA; se il numero è dispari, rimarrà una molecola di propionil-CoA, che verrà poi convertita in succinil-CoA, intermedio del ciclo degli acidi tricarbossilici. I microrganismi degradano preferibilmente, e più rapidamente, gli alcani con una catena di lunghezza media C10-C24. Quelli con una catena corta risultano tossici per molti microrganismi, in quanto interagiscono con la membrana cellulare, alterandone la sua fluidità e la sua integrità. Anche gli alcani molto lunghi sono utilizzati più lentamente a causa della loro bassa biodisponibilità, dovuta alla bassa solubilità in acqua. La solubilità è infatti un parametro che decresce con l’allungarsi della molecola. La biodegradabilità degli alcani è anche influenzata negativamente dalle ramificazioni della catena. Composti con atomi di carbonio quaternari (con quattro legami carbonio-carbonio) sono estremamente stabili a causa di un effetto sterico. 37 Figura 2—2. Biodegradazione aerobia degli alcani Gli alcheni sono idrocarburi che contengono uno o più doppi legami. La prima tappa della degradazione degli alcheni è l’attacco all’ultimo o penultimo gruppo metilico; alternativamente, può essere attaccato il doppio legame, con la formazione di un alcool primario o secondario, o di un epossido. Ciascuno di questi composti verrà poi ossidato ad acido grasso e degradato attraverso la β-ossidazione. 2.4.1.2 Aliciclici Gli idrocarburi aliciclici sono i maggiori componenti del petrolio grezzo (dal 20 al 70% del volume); si possono trovare frequentemente in natura nei semi oleosi, nelle paraffine, nei lipidi microbici. I vari componenti possono essere semplici, come il ciclopentano e il cicloesano, o complessi, come il trimetilciclopentano ed alcune cicloparaffine. L’uso dei composti aliciclici nell’industria, e di conseguenza il loro rilascio accidentale nell’ambiente, è più limitato se confrontato con quello degli alifatici e aromatici; di conseguenza anche le ricerche riguardo questi composti sono molto poche. Si ritiene che la degradazione degli aliciclici avvenga principalmente attraverso reazioni commensalistiche e cometaboliche. Nel caso del cicloesano, una popolazione microbica trasforma il 38 cicloesano in cicloesanone, via cicloesanolo; mentre una seconda popolazione permette la lattonizzazione, ovvero l’apertura dell’anello e la mineralizzazione del composto rimanente. 2.4.2 Vie di degradazione degli idrocarburi aromatici I composti aromatici sono costituiti da un anello insaturo con la struttura generale C6R6, dove R rappresenta il gruppo funzionale. Il benzene (C6H6) è il capostipite di questa famiglia. I composti che contengono due o più anelli fusi insieme, sono detti idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Oltre che nel petrolio, gli IPA si trovano nella lignina, e si formano durante la combustione del materiale organico negli incendi delle foreste. Alcuni composti aromatici del petrolio sono cancerogeni per l’uomo. Gli IPA possono essere tossici anche per i microrganismi. Per la loro pericolosità nei confronti della salute umana, la degradazione dei composti aromatici è molto studiata. Il risultato di questi studi ha mostrato come una grande varietà di batteri e funghi sia capace di degradare parzialmente o completamente alcuni di questi composti. Figura 2—3. Degradazione degli aromatici La degradazione aerobia degli IPA prevede l’intervento degli enzimi monoossigenasi e diossigenasi. Generalmente, nei microrganismi procarioti, la prima reazione è un’idrossilazione da parte della diossigenasi; attraverso la formazione di un cis- diidrodiolo, si arriva al catecolo. L’anello del catecolo è poi rotto da una seconda diossigenasi che taglia in orto o in meta. I microrganismi eucarioti, invece, attaccano inizialmente gli IPA con la monossigenasi del citocromo P-450, incorporando un atomo di ossigeno nell’anello e riducendo l’altro ad acqua; si forma un epossido che, per addizione enzimatica di acqua, forma un trans-diidrodiolo. Alternativamente, l’epossido può essere isomerizzato e formare un fenolo che può coniugarsi con solfato, acido 39 glucuronico o glutatione. I composti eterociclici contengono uno o più eteroatomi (azoto, zolfo, ossigeno). Generalmente, i composti eterociclici sono più difficili da degradare degli analoghi aromatici che contengono solo carbonio; questo è probabilmente dovuto all’alta elettronegatività dell’azoto e dell’ossigeno rispetto agli atomi di carbonio. Le condizioni anaerobie sono abbastanza comuni nell’ambiente, in zone acquose ed in sedimenti saturi. Molto spesso, anche in suoli ben areati, troviamo microambienti con quantità di ossigeno limitata, se non nulla. L’anaerobiosi si verifica quando la percentuale di ossigeno consumata dai microrganismi è maggiore della percentuale di ossigeno che diffonde attraverso l’aria o l’acqua (Maier, 1995). Per quanto il processo di degradazione degli idrocarburi petroliferi sia favorito in ambiente aerobio, indagini relativamente recenti hanno evidenziato che molti idrocarburi possono essere degradati in condizioni anaerobie (Figura 2—4). Questo processo sembra essere svolto principalmente da microrganismi che compiono la respirazione anaerobia e che sono perciò in grado di utilizzare come accettori di elettroni nitrati, solfati e ione ferrico. Questo metabolismo produce meno energia di quella derivante dalla riduzione dell’ossigeno; tale reazione procede inoltre ad una velocità inferiore rispetto alla biodegradazione aerobia. Figura 2—4. Biodegradazione anaerobia del benzoato 40 MATERIALI E METODI 3 3.1 3.1.1 TERRENI DI COLTURA Preparazione dei terreni Terreno minimo di coltura Bushnell-Hass (BH; Difco cod. 0578-17). Il terreno minimo BH viene utilizzato per valutare l’attività degradativa degli idrocarburi da parte dei microrganismi. Nel terreno non sono presenti fonti di carbonio; queste verranno fornite aggiungendo l’idrocarburo di cui si vuol verificare la degradazione. La formula (per litro) del terreno Bushnell-Hass, è la seguente: Solfato di magnesio: 0.2 g Cloruro di calcio: 0.02 g Potassio fosfato monobasico: 1 g Ammonio fosfato dibasico: 1 g Nitrato di potassio: 1 g Cloruro ferrico: 0.05 g pH finale: 7.0 + 0.2 a 25°C. Per preparare 1 litro di terreno, occorrono 3.27 g di BH; si sterilizza poi in autoclave (121°C per 15 minuti). 3.1.2 Terreno minimo BH agarizzato Le soluzioni di Agar e di BH vengono preparate in due bottiglie separate ad una concentrazione doppia rispetto a quella finale, sterilizzate in autoclave 15 min 120 °C 0,7 atm, fatte raffreddare fino a 55°C, miscelate e aliquotate in piastra. 3.1.3 Terreno minimo BH2 E’ stato formulato questo terreno minimo perché ha una composizione simile a quella BH, ma presenta una minore concentrazione di ferro. Il solfato di ferro, il solfato di magnesio e il cloruro di 41 calcio sono forniti come soluzioni sterilizzate separatamente e questo impedisce la formazione di precipitati (presenti nel terreno BH) che interferirebbero con le misurazioni. Terreno base K2HPO4 1.32 g/l KH2PO4 1 g/l NH4Cl 0.81 g/l NaNO3 0.84 g/l Sterilizzare in autoclave 1 atm 15 min. Soluzioni di sali FeSO4•7H2O 10 g/l MgSO4•7H2O 1M CaCl2•2H2O 1M Sterilizzare separatamente in autoclave 1 atm 15 min. Addizionare al terreno le soluzioni di sali: FeSO4•7H2O 1 ml/l MgSO4•7H2O 1.7 ml/l CaCl2•2H2O 0.2 ml/l pH finale: 7.0 + 0.2 a 25°C. Il terreno completo non forma precipitati, ma deve essere completato al momento dell’uso. 3.1.4 Terreno massimo Tryptic Soy Broth (TSB; Difco cod. 0370-17) Il terreno massimo TSB permette la coltivazione di una vasta gamma di microrganismi. La formula (per litro), è la seguente: Bacto Triptone: 17 g Bacto Soytone: 3 g Destrosio: 2.5 g Cloruro di sodio: 5 g Potassio fosfato dibasico: 2.5 g pH finale: 7.3 + 0.2 a 25°C. 42 Per preparare 1 litro di terreno, occorrono 30 g di TSB; si sterilizza poi in autoclave (121°C per 15 minuti). 3.2 Preparazione di terreni solidi con idrocarburi sublimati Una piastra magnetica riscaldante, su cui è sistemato un bagno di sabbia, è posta sotto cappa. Della sabbia viene posta in un piatto di alluminio e sistemata in modo tale che la superficie sia piana. Un piatto di alluminio vuoto viene sistemato nella sabbia alla profondità di circa 16 mm e deve essere lasciato sul bagno di sabbia, quando il sistema non è in uso, al fine di stabilizzare la temperatura del bagno. Un termometro viene piazzato con l’angolo più piccolo possibile sotto la superficie del bagno di sabbia cosicché possa essere misurata la temperatura vicino alla sua superficie. 200 mg del composto che deve essere sublimato vengono uniformemente distribuiti nel piatto di alluminio (diametro interno 110 mm). Il composto è distribuito con una spatola. Il piatto e il composto sono tenuti nel bagno di sabbia riscaldato per diversi secondi in modo tale da far avvenire una espansione termica uniforme del fondo del piatto. Una piastra Petri di plastica, contenente BH agarizzato, è stata ristrisciata con il ceppo da analizzare e successivamente raffreddata a circa 10°C, ponendo un altro piatto di alluminio, contenente ghiaccio tritato, sulla superficie della piastra rovesciata per 5 minuti circa o raffreddando la piastra per 45 minuti circa in frigo. La piastra raffreddata e inoculata, viene poi sistemata capovolta sopra il piatto di alluminio riscaldato, contenente il composto che deve essere sublimato. Un secondo piatto di alluminio riempito con ghiaccio tritato è poi piazzato sopra la piastra. A causa della alta temperatura della piastra calda, il ghiaccio deve essere mantenuto durante tutto il processo di sublimazione. Il piatto di alluminio contenente il ghiaccio mantiene la temperatura dell’agar sotto la temperatura ambiente (23°C). La sublimazione del composto deve durare un periodo di tempo sufficiente a far depositare uno strato visibile sull’agar (Tabella 14). L’uniformità della deposizione di composto può essere valutata tramite l’osservazione della variazione in fluorescenza dello strato di composto sublimato alla luce UV. Al fine di evitare la liquefazione del composto deve essere mantenuta una temperatura di almeno 5°C sotto la temperatura di fusione (ad eccezione della prova con octacosano). I cristalli dei composti con le più alte pressioni di vapore, come il naftalene, tendono ad aggregarsi e a volte devono essere frammentati al fine di prevenire una deposizione non uniforme del composto 43 Sebbene i composti aventi una pressione di vapore più bassa richiedano tempi di sublimazione più lunghi o temperature dei bagni di sabbia più alte, essi solitamente non formano aggregati. I composti che sono allo stato liquido durante il processo di sublimazione (octacosano) sono stati mischiati con 1 o 2 grammi di allumina durante il processo di riscaldamento. L’allumina serve a spargere il liquido uniformemente nel piatto di alluminio e a prevenire la formazione di goccioline del composto. Questo metodo di sublimazione effettivamente permette di depositare una consistente quantità di composto sulla superficie dell’agar. Il ceppo è stato incubato a 32°C per 3 giorni. Poiché molte specie batteriche crescono sull’agar senza substrati aggiunti, la presenza di aloni di chiarificazione nello strato di composto sublimato è più efficace nel dimostrare la degradazione del composto della semplice osservazione di crescita batterica in una piastra dove sono semplicemente forniti i composti sotto forma di vapore. La relativamente alta pressione di vapore del naftalene richiede che un filtro di carta immerso nel naftalene liquido sia posto sul coperchio della piastra durante l’incubazione per prevenire che il composto evapori. Tabella 4. Proprietà dei composti, temperatura del piatto d’alluminio e tempo approssimativo richiesto per la sublimazione del composto sulla superficie dell’agar. Temperatura Pressione di Temperatura piatto Tempo approssimativo di fusione vapore (mm Hg) di alluminio (°C) di esposizione (min) Naftalene 80 3.1*10-1 75 0.5 Fenantrene 100 1.0*10-3 95 5 Fluorantene 107 6.4*10-5 95 10 Antracene 218 6.5*10-4 135 5 Octacosano 61 1.1*10-9 135 105 Composto 44 4 4.1 4.1.1 PREPARAZIONE DELLE SOLUZIONI Soluzioni utilizzate Soluzione fisiologica La composizione della soluzione fisiologica è la seguente: NaCl 0.85 g/litro. Si sterilizza in autoclave (121°C per 15 minuti). 4.1.2 Soluzione di 2-(4-Iodophenyl)-3-(4-nitrophenyl)-5-phenyl-2H-tetrazolium SIGMA, cod. I 8377) (INT; Figura 4—1. Formula INT. C19H13ClIN5O2 = 505.70 L’INT è il colorante utilizzato per evidenziare la crescita microbica. Viene ridotto velocemente, ad opera delle deidrogenasi, a formazano (massima lunghezza d’onda = 490 nm), che presenta una colorazione rosso-violetta. Preparare una soluzione in acqua distillata alla concentrazione di 3 g/litro. ¾ Disciogliere mediante sonicazione. ¾ Sterilizzare mediante filtrazione, attraverso un filtro con porosità 0.22 µm. 4.1.3 Tris-Cl (Sambrook et al, 1989) Sciogliere 121.1 g di Tris base in 800 ml di H2O. Lasciare che la soluzione raffreddi a temperatura ambiente prima di aggiustare il pH. Il pH della soluzione di Tris dipende infatti dalla temperatura e decresce approssimativamente di 0.03 unità di pH ad ogni incremento di temperatura di 1°C. Per esempio, una soluzione 0.05 M ha valori di pH di 9.5, 8.9 e 8.6 rispettivamente a 5°C, 25°C e 37°C. 45 Riportare il pH al valore desiderato aggiungendo HCl concentrato (1M). Tabella 5 pH HCl 7.4 70 ml 7.6 60 ml 8.0 42 ml Portare il volume finale della soluzione ad 1 litro con H2O. Aliquotare e sterilizzare per filtrazione con filtri da 0.2 µm. Se la soluzione 1M ha un colore giallo non è di buona qualità e occorre riprepararla. 4.1.4 TE (Sambrook et al, 1989) 100 mM Tris-Cl (di pH desiderato) 10 mM EDTA (pH 8.0) (10x Tris EDTA) Sterilizzare la soluzione per filtrazione attraverso dei filtri da 0.2 µm Conservare il buffer a temperatura ambiente. 4.1.5 Esadecano lineare (C16) (SIGMA, cod. H0255) La purezza del composto è >99% e la sua densità è 0.77 g/ml. Si sterilizza per filtrazione, attraverso un filtro con porosità 0.22 µm. 4.1.6 Miscela idrocarburica contaminante Si preleva dal sito contaminato mediante il bioslurping. Si sterilizza per filtrazione, attraverso un filtro a 0.22 µm di porosità. Il contaminante ha una densità di 0,89 g/ml. 46 5 5.1 5.1.1 CONTA MICROBICA Determinazione del Most Probable Number (MPN) Preparazione del campione di suolo Si prelevano, con spatole sterili metalliche, 2.0 g di sedimento, si risospendono in 18 ml di soluzione fisiologica sterile e si sottopongono ad agitazione vigorosa al vortex per 1 min. e 40 sec. Il particolato viene fatto sedimentare sul fondo della provetta, mentre il surnatante, viene trasferito in un nuovo tubo sterile da 50 ml. Questo ultimo verrà impiegato per la determinazione del titolo vitale dei batteri aerobi eterotrofi e dei batteri “degradatori”. 5.1.2 Preparazione delle diluizioni Vengono eseguite 10 diluizioni seriali 1:10 (da 10-1 a 10-10) del surnatante; queste vengono effettuate in tubi sterili da 13 ml con l’aggiunta di 200 µl della sospensione a 1800 µl di terreno minimo salino BH. 5.1.3 Preparazione delle multiwell Le multiwell profonde da 96 pozzetti (SIGMA; cod. Z37,929-8 e Z37,927-1) vengono sterilizzate in autoclave ed asciugate in stufa; per ogni campione se ne impiegano 3. Le multiwell vengono preparate in questo modo: ¾ Nella prima si aggiungono, a ciascun pozzetto, 180 µl di terreno BH; verranno aggiunti poi 5 µl di esadecano. ¾ Nella seconda si aggiungono, a ciascun pozzetto, 180 µl di terreno BH; verranno aggiunti poi 5 µl di miscela sterile. ¾ 5.1.4 Nella terza si aggiungono, a ciascun pozzetto, 180 µl di terreno TSB. Inoculum In ciascuna piastra multipozzetto vengono aggiunti 20 µl di inoculum di ciascuna delle diluizioni seriali del surnatante. La prima colonna verticale di ogni multiwell viene inoculata con 20 µl della diluizione seriale 10-1, le successive con le diluizioni seriali del campione da 10-2 a 10-10. 47 La colonna 11 non viene inoculata perché serve da controllo della sterilità del terreno (controllo negativo). La 12 viene inoculata col campione non diluito. È importante controllare che l’inoculo sia sceso sul fondo del pozzetto, se necessario, lo si può spingere con puntali sterili. Si sigillano le piastre con parafilm e vengono poi incubate per 15 giorni a 32°C in sacchetti di plastica per evitare l’evaporazione del terreno. 5.1.5 Lettura dell’esperimento Nel caso delle piastre contenenti terreno massimo TSB, i pozzetti positivi verranno identificati grazie alla loro torbidità, indice dell’avvenuta crescita microbica (Fig. 32-A). Il titolo verrà calcolato su 5 righe orizzontali (B-F) delle multiwell (MPN a 5 tubi). Nel caso delle piastre contenenti BH e idrocarburi, si aggiungono in ciascun pozzetto 50 µl di iodionitro tetrazolio (INT, 3 g/l) e si “spipettano” per 4 volte, per omogenare il campione. Le piastre verranno allora incubate 24 ore a 32°C e i pozzetti positivi verranno individuati dalla comparsa del colore viola. Il titolo vitale verrà calcolato su 5 righe orizzontali (B-F) delle multiwell (MPN a 5 tubi) (Fig. 32-B,C). A B Figura 5—1. A: Multiwell con TSB; B: esadecano 48 Figura 5—2. Miscela, al termine di un esperimento di MPN. 5.1.5.1 Calcolo del titolo vitale con la tecnica MPN Il calcolo del titolo vitale viene eseguito nelle righe B-F (MPN a 5 tubi). Per calcolare il numero più probabile (MPN) di microrganismi nel campione originario, selezioniamo la diluizione meno concentrata che presenta tutti e cinque i tubi positivi e assegniamo a p1 il valore di 5. A p2 e p3 assegniamo il valore di tubi positivi delle successive due diluizioni più diluite (Alexander, 1982). Nel caso in cui nessuna diluizione fornisca tutti i tubi positivi selezioniamo la diluizione meno concentrata che presenta più tubi positivi e assegniamo a p1 un valore pari al numero di tubi positivi. A p2 e p3 assegniamo il valore di tubi positivi delle successive due diluizioni più diluite. Nell’esempio in figura 33-A la diluizione meno concentrata che presenta tutti e cinque i tubi positivi (B-F) sarà la diluizione 10-2; il valore di p1 sarà 5. A p2 verrà assegnato il valore di tubi positivi della diluizione 10-3, ovvero 2, e a p3 quello della diluizione 10-4, ovvero 0. Si cerca poi nella tabella 13 il numero corrispondente all’incrocio dei valori dei parametri p1, p2 e p3; esso corrisponderà al numero più probabile di microrganismi presenti nell’inoculum e capaci di crescere nel terreno impiegato nell’esperimento. Per calcolare il titolo vitale presente nella sospensione originaria (di microrganismi estratti dal suolo) è necessario moltiplicare tale valore per la diluizione corrispondente al parametro p2 e per il fattore 50 in modo da esprimere il titolo come cellule/ml (l’inoculum eseguito era infatti di 20 µl). Per convertire il titolo vitale nell’unità di misura cellule/g di suolo è necessario moltiplicare per il fattore di conversione 9 (tenendo presente che 2 g di suolo venivano diluiti in 18 ml di soluzione fisiologica). Titolo vitale (cellule/g di suolo)= MPN*diluizione (p2)*50 *9 49 Per trovare il limite superiore di confidenza del 95% è necessario moltiplicare il titolo vitale per il fattore 3.30, mentre per trovare quello inferiore è necessario dividere per lo stesso fattore. Tabella 6. Calcolo del MPN a 5 tubi. 50 6 ESTRAZIONE DEL DNA MEDIANTE FASTDNA KIT Il FastDNA Kit (BIO 101), utilizzato insieme alla macchina FastPrep Instrument, permette di estrarre DNA genomico purificato da piante, tessuti animali, cellule in coltura, batteri e lieviti in meno di 30 minuti. Con questo kit si esegue una lisi meccanica delle cellule, rappresenta quindi un fattore di estrema importanza la scelta di una idonea matrice di lisi, di un’appropriata soluzione di solubilizzazione e di una giusta quantità di campione. È possibile scegliere tra diverse matrici in relazione al campione su cui stiamo lavorando. Per quanto riguarda la quantità del campione, è necessario partire da un pellet di circa 50-100 mg di cellule. Come soluzione di solubilizzazione per i batteri si utilizza la CLS-TC (Cell Lysis/DNA Solubilizing Solution) che viene consigliata per le cellule batteriche dalla ditta produttrice. Quando viene effettuata la lisi meccanica delle cellule, ad opera dello strumento, è necessario che il volume presente nella colonnina sia idoneo a lasciare uno spazio d’aria minimo di 0,25 cc. Se è presente uno spazio minore è possibile che il campione fuoriesca per rottura o deformazione del tappo. Inoltre ciò determina un aumento di pressione, con la temperatura, durante l’azione del Fast Prep Instrument. Dopo la lisi meccanica delle cellule occorre purificare il nostro DNA. Prima si esegue una centrifugazione per eliminare il pellet di proteine e detriti cellulari, poi al sovranatante recuperato, si aggiunge la Binding Matrix, una matrice verso la quale il DNA ha notevole affinità, e si lascia che si formi il legame del DNA alla resina della matrice. Si aggiunge poi la soluzione SEWS-M (Salt/Ethanol Wasch Solution) contenente Etanolo che, inibendo l’attività enzimatica, ha azione protettiva sul nostro DNA. A questo punto si procede impaccando la resina, con il DNA legato, nello SPIN Filter ed infine eluendo il nostro DNA utilizzando il DES (DNA Elution Solution), verso cui il DNA ha maggiore affinità. 6.1 Procedura standard Prendere una colonnina, scegliendo l’opportuna matrice di lisi. Aggiungere nella colonnina 1 ml di CLS-TC e 50-100 mg di cellule (peso umido) risospese in 200 µl di SF Agitare capovolgendo più volte la colonnina. Omogeneizzare utilizzando il FastPrep Instrument alla velocità 4.0-5.0 per 30 sec. Centrifugare la colonnina per 5 min. a 14000 rpm. 51 Trasferire in eppendorf pulite 600 µl del supernatante evitando i detriti. Aggiungere 600 µl di Binding Matrix, precedentemente agitata, e mescolare gentilmente capovolgendo più volte. Lasciare ad incubare 5 min. a temperatura ambiente. Centrifugare per 1 min. a 14000 rpm. Eliminare il supernatante. Risospendere gentilmente il pellet in 500 µl di SEWS-M (cui precedentemente è stato aggiunto etanolo). Trasferire il contenuto dell’eppendorf in uno SPIN filter. Centrifugare per 1 min. a 14000 rpm. Eliminare il contenuto del Catch Tube. Centrifugare ancora 1 min. a 14000 rpm o comunque finché il complesso Binding Matrix/DNA non risulta asciutto. Trasferire lo SPIN Filter in un nuovo Catch Tube. Aggiungere 100 µl di DES. Lasciare ad incubare 3 min. a temperatura ambiente. Centrifugare 1 min. a 14000 rpm. Eliminare lo Spin Filter e conservare il DNA nel Catch Tube a -20°C. 6.2 Controllo del DNA estratto mediante elettroforesi su gel di agarosio Controllare su gel di agarosio 5 µl di campione. La corsa elettroforetica viene eseguita in un gel di agarosio (0,6 %) preparato impiegando il tampone TAE in presenza del colorante Bromuro di etidio (1 µg/ml). 52 7 7.1 ANALISI DEL DNA RIBOSOMALE AMPLIFICATO Amplificazione del 16S rDNA Il gene del 16S rDNA è amplificato utilizzando come stampo il DNA estratto. La reazione utilizza due primer disegnati in regioni conservate nel dominio dei batteri localizzate alle estremità 5’ e 3’ della regione bersaglio. Dopo aver preparato una miscela contenente i primer, i nucleotidi, il tampone della reazione, l’MgCl2 e l’enzima Taq polimerasi, si aggiungono nel tubo di reazione per PCR, i 2 µl (circa 5 ng) del DNA da amplificare. Si lavora sempre mantenendo le soluzioni e il DNA campione a 4°C. Tabella 7. Composizione della miscela di reazione Volume aggiunto CAMPIONE 2,0 µl H2O distillata 12,6 µl Concentrazione finale Tampone 10X (200mM Tris – HCl pH 8,4; 500 2,0 µl 1X MgCl2 (50 mM) 0,6 µl 1,5 mM Primer P0 (500 ng/µl) 0,3 µl 150 ng Primer P6 (500 ng/µl) 0,3 µl 150 ng 2,0 µl 250 µM 0,2 µl 1U mM KCl) dNTP mix (2,5 mM ciascuno) Taq polimerasi (5 U/µl) 7.1.1 Programma di amplificazione La reazione di amplificazione comprende tre reazioni che avvengono in successione: 1) DENATURAZIONE del DNA a 90-95°C 2) APPAIAMENTO (annealing) dei primer con le sequenze complementari dello stampo a 5060°C 3) POLIMERIZZAZIONE (extension) della nuova molecola di DNA a 72°C 53 Le tre reazioni sono ripetute ciclicamente, dal termostato ciclico, in base ad uno schema dipendente dalla sequenza da amplificare. Lo schema utilizzato per amplificare il gene del 16S rRNA è il seguente ciclo touch-down Tabella 8. Schema utilizzato per amplificare il gene del 16S rRNA 95°C 1’30’’ 95°C 30’’ 60°C 30’’ 72°C 2’ 95°C 30’’ 55°C 30’’ 72°C 2’ 95°C 30’’ 50°C 30’’ 72°C 2’ 72°C 10’00’’ 4°C Forever 7.2 Ripetuto per 5 cicli 7.3 Ripetuto per 5 cicli 7.4 Ripetuto per 25 cicli Nei primi 5 cicli si mantiene un’elevata specificità della reazione di amplificazione rispetto ad un’elevata resa; questo per avere l’amplificazione della sola regione bersaglio. Un’elevata specificità si ottiene facendo avvenire l’annealing in condizioni di alta stringenza (60°C), l’appaiamento può così avvenire solo tra i primer e le sequenze ad esse perfettamente complementari. Nei cicli successivi la temperatura di appaiamento viene abbassata per avere un maggior numero di molecole amplificate. Quando i cicli di amplificazione sono terminati, i campioni sono disposti in ghiaccio e 2 µl di ciascun campione sono caricati su gel di agarosio al 0.8% per verificare la presenza e il grado di amplificazione del gene del 16S rDNA. Insieme ai nostri campioni viene fatto correre sul gel un marcatore di peso molecolare, il GeneRuler 1 kb DNA Ladder, che, dopo elettroforesi, presenta 14 frammenti, uno dei quali di 1500 pb. Al gel, durante la sua preparazione, è aggiunto Bromuro d’Etidio ad una concentrazione di 1 µg/ml. La corsa elettroforetica viene fatta a 100 V per circa 25 minuti. Al termine della migrazione sul gel è visibile, 54 in corrispondenza dei campioni che hanno amplificato, una banda di circa 1500 pb. I campioni che hanno amplificato sono conservati a –20°C. Tabella 9. Sequenze dei primer PRIMER N° di nt SEQUENZA P0 21 5’- GAGAGTTTGATCCTGGCTCAG -3’ P6 20 5’- CTACGGCTACCTTGTTACGA- 3’ I primer vengono acquistati in forma liofilizzata e vengono risospesi in TE sterile (TrisHCl 10 mM; EDTA 1 mM, pH 8.0) alla concentrazione di 5 µg/µl. Per l’uso vengono risospesi in acqua distillata sterile ad una concentrazione di 500 ng/µl e conservati a -20°C. 7.5 ARDRA Amplified Ribosomal DNA Restiction Analysis Si digerisce sempre la stessa quantità di amplificato pari ad un volume di 3-5 µl (a seconda di come è venuta l’amplificazione) con 3 U di enzima (Alu I, Rsa I o Hinf I), in un volume totale di 20 µl. Si incuba la reazione a 37°C in acqua per 3 ore (± 15 minuti). Si inattiva l’enzima a 65°C per 10 minuti. Si carica tutta la digestione su gel di agarosio al 2,0%. 7.5.1 Preparazione del gel Utilizzare sempre lo stesso agarosio, la stessa vaschetta e far correre il gel sempre fino allo stesso punto, contrassegnato da una riga. Il gel viene preparato in tampone TEA 1X alla concentrazione finale di 2.0%, non sciogliere mai utilizzando il microonde. A ebollizione si aggiunge EtBr 0.5 µg/ml. La corsa elettroforetica è operata in tampone TEA 1X con aggiunta di EtBr 0.5 µl/ml. I campioni si preparano aggiungendo 2 µl di Blu di Bromofenolo 10X, preparato appositamente per ARDRA a una concentrazione finale di 0.025% (quindi 10 volte meno concentrato della formulazione standard, Sambrook et al, 1989). 7.5.2 BBF per ARDRA Si prepara una soluzione di BBF allo 0.5% in acqua distillata e da questa si prepara la soluzione finale 10X in TE pH 8.0 e glicerolo 50% 55 Tabella 10 BBF 0.5% 0.5 ml Glicerolo 5.0 ml TE pH 8.0 4.5 ml TOTALE 10 ml Conservare a 4 °C. Si caricano i campioni su gel mettendo ad entrambi i lati i marker di peso molecolare 100 pb o 123 pb e sempre lo stesso in quantità di 1 µg. Si correre il gel a 100 V fino a quando la banda del colorante è arrivata a 2 cm dalla fine della slitta. 56 7.6 7.6.1 SEQUENZIAMENTO DEL 16S rDNA Amplificazione del 16S rDNA La reazione di amplificazione viene condotta nelle condizioni precedentemente illustrate per l’amplificazione del 16S rDNA. 7.6.2 Purificazione del DNA amplificato I prodotti di amplificazione necessitano di essere purificati prima di essere sottoposti a sequenziamento in modo tale da eliminare completamente i primer non incorporati e gli altri reagenti che interferirebbero con le successive reazioni. La purificazione viene realizzata utilizzando il High Pure PCR Product Purification Kit (ROCHE) ed eseguendo le istruzioni della ditta produttrice. Tale metodica viene applicata a tutti i nostri campioni. Il DNA purificato così ottenuto può essere conservato a -20°C. 7.6.3 Analisi quantitativa del DNA Per misurare la quantità di DNA in una soluzione vengono generalmente utilizzati due metodi. Se il campione è puro (senza significative quantità di contaminanti come proteine, fenoli, agarosio o RNA) la misurazione spettrofotometrica dei raggi ultravioletti assorbiti dalle basi è semplice e accurata. Se il campione contiene significative quantità di impurità la quantità di acido nucleico può essere determinata dalla intensità della fluorescenza emessa dall’etidio bromuro dopo elettroforesi su gel di agarosio. 7.6.4 Corsa elettroforetica con un marker di concentrazione Il DNA purificato che deve essere quantificato viene fatto correre su un gel di agarosio (1,2%) insieme a 20 µl di un marker di concentrazione MassRuler DNA Ladder, Mix (MBI). Il marker consente di identificare sia la dimensione, in pb, dei frammenti separati nella corsa elettroforetica sia la loro concentrazione, in ng. Il marker, durante la corsa elettroforetica, viene infatti separato in 20 frammenti discreti, osservabili in luce UV, ciascuno dei quali è caratterizzato da una precisa dimensione e concentrazione. La determinazione della concentrazione del DNA si effettua 57 individuando la banda del Marker, corrispondente ad una esatta concentrazione di DNA, la cui intensità si avvicina maggiormente a quella del nostro campione. 7.6.5 Determinazione spettrofotometrica Sia DNA che RNA mostrano massimi di assorbimento a circa 260 nm, dovuti ai doppi legami coniugati presenti nelle basi che li costituiscono. A 260 nm un valore di densità ottica uguale a 1.0 è dato da una soluzione di DNA a doppio filamento di concentrazione pari a 50 µg/mL (o da una soluzione di RNA di concentrazione 40 µg/mL). Gli acidi nucleici sufficientemente puri danno rapporti A260/A280 di 1.8-2 (un campione di dsDNA molto puro ha un rapporto A260/A280 di circa 1.8) (Reed et al, 2002). Generalmente contaminazioni del campione con proteine o fenoli forniscono valori minori di 1.8 e con RNA valori più grandi di 1.8 (un RNA puro ha un valore di A260/A280=2). Poiché un campione di dsDNA di densità ottica pari a 1 ha una concentrazione approssimativa di 50 µg/mL, la concentrazione di DNA presente nel campione purificato può essere calcolata grazie alla relazione: 50 µg/mL DNA: 1A260 = x µg/mL DNA: A260 del campione. Prima di procedere alla lettura spettrofotometrica occorre centrifugare il DNA purificato. Lo spettrofotometro utilizzato è il “biophotometer” della Eppendorf. Vengono impiegate delle cuvette particolari denominate “uvette”. Sono delle cuvette sterili che permettono di riutilizzare il DNA di cui si determina la concentrazione e la purezza. 7.6.6 La reazione di sequenziamento Il sequenziamento del DNA si basa sul metodo a terminazione di catena di Sanger nel quale la sequenza di una molecola di DNA, a singolo filamento, viene determinata mediante la sintesi enzimatica di catene polinucleotidiche complementari, che terminano nelle posizioni di specifici nucleotidi (Brown, 2000). Il metodo utilizza l’elettroforesi su gel di poliacrilammide per separare molecole di DNA a singolo filamento che differiscono per una sola base (i gel di poliacrilammide possiedono pori di dimensioni inferiori a quelli dei gel di agarosio e permettono di separare con precisione molecole di 10-1500 pb). Il sequenziamento necessita di molecole di DNA a singola elica identiche, dNTPs, DNA polimerasi e una piccola quantità di dideossinucleotidi (ddNTPs). La prima fase consiste nel far appaiare, nello stesso punto di ogni molecola, un breve oligonucleotide 58 che servirà da innesco per la sintesi del nuovo filamento. La DNA polimerasi provvede quindi ad attaccare i nucleotidi e la sintesi può proseguire finchè non viene incorporato un dideossinucleotide. Il dideossinucleotide non possiede il gruppo idrossilico al 3’ necessario per la formazione del legame con il nucleotide successivo. La DNA polimerasi non è in grado di discriminare tra un deossinucleotide e un dideossinucleotide e la sintesi del filamento si arresta. Il risultato è la sintesi di un insieme di molecole di DNA di diversa lunghezza. Originariamente il sequenziamento manuale prevedeva la sintesi separata di filamenti in presenza di un singolo dideossinucleotide. L’insieme di molecole ottenute in presenza di un determinato ddNTP veniva quindi caricata in un pozzetto del gel di poliacrilammide e nei pozzetti successivi erano caricate le altre famiglie di molecole ottenute con gli altri ddNTPs. La sequenza del DNA poteva essere letta al termine dell’elettroforesi. Il frammento con velocità di corsa maggiore rappresentava quello in cui era stato incorporato il dideossinucleotide nella prima posizione del DNA stampo. La banda successiva permetteva di leggere la base incorporata nella seconda posizione e così via. Generalmente la lettura sul gel prevedeva l’impiego di marcatori radioattivi e il profilo delle bande era visualizzato mediante una autoradiografia. Questi marcatori radioattivi oggi sono poco usati a causa dei problemi che possono causare alla salute e all’ambiente. La sostituzione dei marcatori radioattivi con marcatori fluorescenti è alla base dell’automatizzazione del sequenziamento del DNA. Nel sequenziamento automatizzato del DNA sono impiegati dei ddNTPs in cui sono stati incorporati dei fluorofori con emissioni di lunghezza d’onda diversa (cioè con “colori” diversi) che sono letti da un rivelatore di fluorescenza. Catene che terminano con una A sono marcate quindi con un fluoroforo, quelle che terminano con una G con un secondo fluoroforo e così via. E’ quindi possibile effettuare le reazioni relative alle quattro basi assieme e caricare il campione in un unico capillare. La sequenza viene letta non appena le bande passano davanti al rivelatore e può essere visualizzata in un cromatogramma (Figura 7—1). Figura 7—1 Parziale sequenza di un 16s rDNA letta da un sequenziatore automatico. 59 7.6.7 Preparazione campioni per sequenziamento La quantità di DNA necessaria per il sequenziamento varia in base al numero di paia di basi (pb) del frammento amplificato e corrisponde a 10 ng ogni 100 pb. Poiché il nostro amplificato è di 1500 pb il quantitativo di DNA necessario per il sequenziamento è 150 ng. Al quantitativo di DNA corrispondente a 150 ng vengono aggiunti 3,2 pmoli di primer P0 o P6 (1 pmol/µl) ed il volume totale viene portato a 11 µl. Il campione così preparato è pronto per il sequenziamento che viene eseguito impiegando il metodo automatizzato con il sequenziatore Perkin-Elmer ABI 310 analyzer, presso il servizio C.I.B.A.C.I. (Firenze). 7.7 Analisi delle sequenze Il cromatogramma viene letto con il programma Chromas versione 1.51 (32 bit) della Technelysium. Per ogni ceppo di cui è stato sequenziato l’amplificato del 16S rDNA si dispone di due sequenze. La prima sequenza si riferisce alla sintesi che utilizza il primer P0 e l’altra si riferisce alla sintesi che invece utilizza il primer P6 (Figura 7—2): P0 P6 Figura 7—2. 16S rDNA e posizione dei primer P0 e P6. Si analizza il cromatogramma per verificare che le basi assegnate dal programma ai picchi di fluorescenza siano esatte. Terminato questo primo controllo si procede alla ricerca nella banca dati delle sequenze del 16S rDNA del ceppo filogeneticamente più vicino. La ricerca è effettuata collegandosi al sito della RDP II (Ribosomal Database Project II) (http://rdp.cme.msu.edu/html). Nel caso sia utilizzata la sequenza ottenuta impiegando come innesco il primer P6 e necessario ottenere la sequenza invertita e complementare, tramite l’apposita funzione del programma Chromas, prima di procedere alla ricerca nella banca. La ricerca restituisce le sequenze complete del 16S rDNA dei ceppi più simili presenti nelle banche dati. Il confronto con le sequenze più simili presenti nella banca RDP II permette anche di verificare se le due sequenze ottenute sono parzialmente sovrapposte. Nel caso ciò non avvenga si procederà al sequenziamento della regione centrale impiegando per la reazione un primer disegnato in una regione conservata ed interna del 16S rDNA. 60 7.8 Analisi filogenetiche Per l'analisi filogenetica, le sequenze del 16SrDNA sono state confrontate sia con le sequenze della subunità piccola del rRNA dei procarioti del database RDP II (Ribosomal Database Project II) (Maidak et al., 2001), mediante le funzioni RDP che con quelle della GenBank tramite il programma BLASTN (Altschul et al., 1990). Le sequenze del 16SrDNA degli isolati e le sequenze correlate, ottenute tramite il database, sono state allineate con il software MULTIALIN (Corpet, 1998). Gli allineamenti ottenuti sono stati rivisti e corretti manualmente, se necessario. Gli alberi filogenetici sono stati costruiti utilizzando il metodo neighbour-joining (Saitou and Nei, 1987). La matrice di distanza evolutiva è stata ottenuta come descritto da Jukes and Cantor (1969). Il software MEGA, versione 2.0, è stato utilizzato per costruire gli alberi (Kumar et al., 2001). L'analisi Bootstrap (1000 replicati) è stata utilizzata per controllare la topologia dei dati ottenuti con il metodo neighbour-joining. 61 8 8.1 ALLESTIMENTO DELLE COLTURE Preparazione del pre-inoculum A partire dal glicerolato, reisolare il ceppo in almeno 2 piastre di terreno agarizzato TSB ed incubare a 32°C; dopo 4-7 giorni controllare che il ceppo non sia contaminato e preparare il preinoculum in 50 ml di TSB liquido in beuta da 500 ml. Incubare a 32°C per 3 giorni 150 rpm. 8.1.1 Preparazione dell’inoculum a partire dalle piastre e dal terreno liquido 1. Centrifugare a 6.000 rpm 15 min. 2. Eliminare con una pipetta il sopranatante e risospendere in un ugual volume di SF. 3. Centrifugare a 6.000 rpm 15 min. 4. Eliminare con una pipetta il sopranatante e risospendere in un ugual volume di SF. Centrifugare 15 min a 6.000 rpm. Eliminare il sopranatante e risospendere in un appropriato volume di terreno BH2. I lavaggi in SF hanno lo scopo di allontanare le tracce di terreno massimo che potrebbero interferire con le successive determinazioni. 8.1.2 Preparazione dell’inoculum a partire dalle piastre e dal terreno liquido Per ogni tempo cinetico (0, 1, 11) preparare 2 bottiglie da 100 ml con il tappo a vite (resistenti ai solventi – rosso) con 25 ml di volume finale di terreno. 1. Addizionare l’inoculum ad una prima coltura di prova (che poi sarà scartata) ad un OD600 di 0.500. 2. Determinare la OD600 di un inoculum di prova e registrare il valore iniziale. 3. Addizionare l’inoculum anche alle successive colture. 4. Addizionare gasolio invecchiato alla concentrazione finale di 1 g/L. L’idrocarburo è addizionato con la pipetta elettronica e puntali con il filtro con la funzione DIS, che permette di addizionare un liquido senza effettuare il completo svuotamento del puntale (questo permette di eliminare l’errore dovuto alla ritenzione dell’idrocarburo alla plastica). Condizioni di crescita 1. Agitazione 150 rpm 62 2. Temperatura 32°C Tabella 11. Fonti di carbonio ed energia Fonte di carbonio ed energia Stato Sterilizzazione Densità g/ml Classe Quantità per 25 ml (1 g/L) Miscela contaminante Liquido Filtrazione 0.8595 Miscela 29 µl Gasolio da trazione Liquido Filtrazione 0.831 Miscela 24 µl 63 9 9.1 CURVA DI CRESCITA TRAMITE MISURA DEL DNA TOTALE Raccolta delle cellule su filtro I batteri in analisi presentano una bassa densità di galleggiamento e non possono essere raccolti per centrifugazione. La determinazione del DNA è dunque effettuata su cellule raccolte su filtri Whatman GF/F (massima dimensione dei pori 0.7-mm, trattengono il 99% della massa batterieca). La filtrazione è operata con l’apparato da filtrazione Schleicher & Schuell e filtri filters (Bipatnath et al., 1998) 9.2 Saggio del DNA (Burton, K. 1956) Questo saggio è effettuato per seguire nel tempo la crescita di un microrganismo in modo indiretto, mediante misura del contenuto di DNA totale presente nell’unità di volume di coltura. Esso sfrutta la misura colometrica dei prodotti formati dalla reazione del deossiribosio con la difenilammina in acido perclorico 20% (Burton, 1956). L’acido perclorico scinde i legami fosfodiestere e idrolizza i legami glicosidici fra il deossiribosio e le purine. I residui di deossiribosio reagiscono poi con la difenilammina producendo il pigmento blu saggiato spettrofotometricamente a 600 nm. La difenilammina reagisce in modo specifico con il deossiribosio e non reagisce con il riboso: è perciò possibile dosare il DNA in presenza di RNA contaminante. 9.2.1 Curva standard Per l’esecuzione della curva standard è stato usato come il DNA di timo di vitello (Calf thymus DNA standard, dimensione media dei frammenti >13 Kb, Amersham Biosciences). Il DNA è risospeso in SSC 1X a una concentrazione finale di 250 µg/ml; la soluzione è conservata 4°C per una notte, prima di effettuare le successive diluizioni, in modo da consentire una solubilizzazione completa del DNA. Sono poi preparate le seguenti diluizioni del DNA standard in SSC 1X: 100 µg/ml→ 50 µg/ml→ 20 µg/ml→ 10 µg/ml→ 5 µg/ml. Le concentrazioni reali delle singole diluizioni sono misurate tramite determinazione spettrofotometrica alla lunghezza d’onda di 260 nm. Tutti i campioni sono eseguiti in doppio. In tubi di vetro da 10 ml sono aliquotati: 64 1 ml DNA 1 ml acido perclorico 20% 2 ml difenilammina 4% in acido acetico glaciale 0,2 ml acetaldeide 0,16% E’ stato preparato anche un bianco (in doppio) sostituendo 1 ml di DNA con 1 ml di SSC 1X. I campioni, una volta preparati, sono miscelati al vortex ed incubati a 30°C (in bagno ad acqua), tutta la notte. 1 ml di ciascun campione è letto allo spettrofotometro a 600 nm, azzerando contro acqua distillata. Dopo aver calcolato le medie dei valori ottenuti per ciascuna concentrazione, si sottrae il valor medio del bianco. I valori calcolati sono riportati in un sistema di assi cartesiani ortogonali, sull’asse delle ordinate in funzione del quantitativo di DNA espresso in µg/ml. Curva standard S aggio DNA Delta OD600 0,900 0,800 0,700 0,600 0,500 0,400 0,300 Coefficients: b[0] = -3,4759752219e-3 b[1] = 0,0110302931 r ² = 0,9996710204 0,200 0,100 0,000 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 DNA ug/ml Figura 9—1. Curva standard saggio DNA 9.2.2 Saggio del DNA di cellule su filtro Al momento del saggio i campioni, conservati in ghiaccio, sono risospesi in 1 ml di SSC 1X freddo. Per ciascun campione sono aliquotati in tubi di vetro da 10 ml: 1 ml acido perclorico 20% 2 ml difenilammina 4% in acido acetico glaciale 0,2 ml acetaldeide 0,16% I campioni sono miscelati al vortex ed incubati a 30°C per tutta la notte. Poiché i filtri tendono a disgregarsi, trasferire il contenuto dei tubi in tubi da 15 ml di polipropilene. Centrifugare a 5000 rpm per 10 min. 65 Prelevare il sopranatante limpido e misurare l’OD600, azzerando contro acqua distillata. 66 10 PROCEDURE CHIMICHE ANALITICHE PER LA DETERMINAZIONE DELL'ATTIVITÀ DI DEGRADAZIONE DEI CEPPI ISOLATI Le tecniche utilizzate per lo studio dei prodotti di degradazione del campione sono state la Gascromatografia con rivelazione a ionizzazione di fiamma (FID) e la Gascromatografia associata alla Spettrometria di Massa. La prima tecnica consente di fare considerazioni di tipo quantitativo in riferimento agli idrocarburi residui ed è considerata, a questo scopo, la più adatta e veloce. La seconda tecnica è indispensabile per poter eseguire un’identificazione univoca dei diversi componenti la miscela complessa di idrocarburi. Per le analisi in massa è stato utilizzato un gascromatografo ThermoQuest TOP 8000 interfacciato con uno Spettrometro di Massa Quadrupolare MD 800. Colonna gascromatografica VARIAN CPSIL 8, 30m, 0.25 d.i., 0.25 µm film. Carrier: elio a 120 kPa. Iniettore: split con rapporto di splittaggio 140:1. Rampa: 40°C/2min, 10°C/min fino a 310°C per 2 min. MS: full scan range 50-450 a.m.n.; detector 550. Per le analisi in ionizzazione di fiamma è stato utilizzato un gascromatografo ThermoQuest TOP 8000 con rivelazione FID. Colonna gascromatografica VARIAN CPSIL 8, 30m, 0.25 d.i., 0.25 µm film. Carrier: elio a 120 kPa. Iniettore: split con rapporto di splittaggio 30:1. Rampa: 40°C/2min, 10°C/min fino a 310°C per 2 min. Corpo di base rivelatore 300 °C, rapporto aria/idrogeno 10:1 Tutti i campioni sono stati iniettati con autocampionatore ThermoQuest AS 800, nella quantità di 1 µl. I campioni sono stati analizzati sotto diverse condizioni analitiche sperimentali, in particolare modulando la rampa di temperatura ed il rapporto di splittaggio, al fine di raggiungere le migliori condizioni sperimentali e di ottenere un dato statisticamente significativo. In definitiva il dato finale è il risultato di 12 diverse determinazioni. 67 68 10.1 Metodo di analisi di substrati solidi Questo documento descrive il metodo di analisi di substrati solidi quali: sabbie, terreni, polveri, etc. contaminati da idrocarburi DROs mediante gascromatografia associata ad un detector a ionizzazione di fiamma. 10.1.1 Definizioni Tempo di ritenzione: il tempo che impiega un composto ad eluire dalla colonna analitica al rivelatore, partendo da un tempo zero che corrisponde all’inizio della rampa di temperatura del gascromatografo. DROs: Diesel Range Organics (composti organici dell’intervallo del gasolio). TPH: Total Petroleum Hydrocarbons (idrocarburi totali del petrolio). Metodo dello Standard esterno: metodo attraverso il quale la concentrazione dell’analita viene determinata confrontando l’area dei picchi determinati attraverso l’analisi gascromatografica del campione con l’area di uno o più standard di concentrazione nota. La determinazione si ottiene mediante una curva di taratura. 10.1.2 Sommario del metodo Il campione viene trattato per estrarre i composti da analizzare. La soluzione ottenuta per estrazione e centrifugazione, viene introdotta con autocampionatore in un gascromatografo equipaggiato con 30 metri di colonna analitica, contenente fase stazionaria per il 5% fenile e 95% dimetilpolisilossano. I segnali al rivelatore si risolvono con dei picchi che attraverso un sistema di elaborazione ed acquisizione dati, vengono identificati dal tempo di ritenzione. La quantificazione avviene con l’utilizzo di una curva di calibrazione costruita con il metodo dello standard esterno. 10.1.3 Interferenze Nessuna interferenza è stata riscontrata in questo metodo. 10.1.4 Apparecchiature Gascromatografo: • Il sistema analitico è un GC-FID. 69 • Il sistama di iniezione è split/splitless. • Il metodo indicato nel pc CHR 026 è c/ wcc / data/ tph_suoli /( tph_suoli_mth) • Il metodo viene acquisito e gestito in trace 1 di chrom-card for trace. Sistema di acquisizione ed elaborazione dati: E’ un personal computer dotato di scheda di interfaccia strumentale e di un programma di acquisizione ed elaborazione dati. Il software capace acquisire ed elaborare il segnale prodotto dal rivelatore gestisce le funzioni del gascromatografo e dell’autocampionatore. Tabella 12 Strumento Marca Fornitore Tipo Autocampionatore GC FID thermoquest thermoquest thermoquest Thermoquest Thermoquest Thermoquest HS2000 GC 8000 TOP MD800 10.1.5 Reagenti e materiali • n-Esano per gascromatografia • Acqua demineralizzata • Carrier gas – Elio • Colonna capillare in silice fusa con 5% fenil-95% dimetilpolisilossano, 30mt X 0.25mm ID, 0.25 µm film • Normale attrezzatura da laboratorio 10.1.6 Condizioni operative e impostazioni del gascromatografo Programma di temperatura: • inizial temperature 60°C • inizial time 1min • number of ramp 1 • rate dec/min 10 • final temp 325 • hold time 10 min • maximum temperature 350 °C 70 • prep run timeout 10min • equilibration time 1 min Impostazioni dell’autocampionatore: • sample volume 1.0µL • fillin volume 4.0µL • air volume 3.0µL • inyect delay1.0sec • sample pull up speed 4µL/s • injenction speed 5µL/s 10.1.7 Impostazioni dell’iniettore: • base temperature250°C • mode splitless • split flow flow 50ml/min • splitless time 0.33 min • surge pressure 150 kPa • surge duration 1.0 min • carrier: mode costant pressure • initial value 120.0 kPa • initial time 1 min • gas server flow 20 ml/min • gas server time 3.0 min 10.1.8 Impostazioni FID: • base temperature 300 °C • H2 30 ml/ min • Air 300 ml/min • Makeup gas flow 10 mL/min 71 10.1.9 Curve di taratura Le curve di taratura si ottengono acquisendo una serie di soluzioni a concentrazione nota e determinandone la risposta strumentale. Le curve di taratura devono rispettare alcuni criteri di accettabilità: A) Il coefficiente di correlazione deve essere maggiore di 0.995. B) Il punto di intersezione con l’asse delle x deve essere minore o uguale a zero. Nel caso contrario la curva si può correggere eliminando un punto di taratura. La curva di taratura deve essere ripetuta con ogni serie di campioni analizzati perché sia soggetta alle stesse condizioni e variabili subite dal campione e perché sia verificata la linearità. La preparazione della curva di taratura implica la preparazione di una serie di diluizioni da una soluzione madre di gasolio da trazione in esano. 10.1.10Preparazione delle soluzioni standard Soluzione madre di gasolio da trazione: 8.5 g/L in n-esano. Pesare 85 mg di gasolio da trazione in un matraccio da 10 mL e portarlo a volume con n-esano. Al fine di ottenere soluzioni di gasolio da trazione in n-esano nelle concentrazioni di 200, 150, 100, 50, 20 mg/L si diluisco rispettivamente 235, 176, 118, 59, 23 µL di soluzione madre 8.5 g/L in 10 mL di n-esano ciascuna. Il procedimento per la preparazione delle soluzioni di taratura è descritto nella tabella seguente: Tabella 13. Procedimento per la preparazione delle soluzioni di taratura Nome std Concentrazione madre Volume sol madre Vol finale Concentrazione finale std0 std1 std2 std3 std4 std5 8,5 g/L 8,5 g/L 8,5 g/L 8,5 g/L 8,5 g/L 8,5 g/L 0mL 0,023mL 0,059mL 0,118mL 0,176mL 0,235mL 10mL 10mL 10mL 10mL 10mL 10mL 0 mg/L 20mg/L 50mg/L 100mg/L 150mg/L 200mg/L 10.1.11Preparazione dei campioni 20 ml di campione vengono estratti per 4 volte con 5 ml di esano tramite agitazione meccanica. Le aliquote vengono riunite ed analizzate tramite gc_fid . 72 Al campione è stato aggiunto uno standard di estrazione, 1,2,3,triclorobenzene pari a 40mg/L e all’estratto prima dell’analisi uno standard di iniezione, perylene d12 pari a 10 mg/L. 73 RISULTATI E DISCUSSIONE 11 IL SITO CONTAMINATO 11.1 Descrizione del sito contaminato Il lavoro svolto nel corso del Dottorato di Ricerca si colloca nell’ambito degli interventi messi in atto al fine di individuare e sperimentare le tecniche operative di bonifica di un sito contaminato. Il sito in esame si trova nei pressi di un’ex-raffineria, attualmente adibita a deposito di prodotti petroliferi, nell’area dove sono localizzati i serbatoi di stoccaggio (Figura 1-1). Si ritiene che la contaminazione, dovuta alla fuoriuscita accidentale di quantità di gasolio, abbia avuto origine proprio da tali serbatoi e risalga a circa 30-40 anni fa. E’ interessata un’area molto ampia, pari a circa 300 x 400 m. Figura 11—1. Planimetria del sito contaminato 74 11.2 Biorisanamento in situ La sperimentazione delle tecniche di bonifica ha previsto la realizzazione di quattro campi prova, interni al sito e separati di ca. 900 m2, nei quali attuare e monitorare le seguenti tecniche operative: 1. Bioslurping (campi BS1 e BS2) 2. Attenuazione Naturale Controllata (campi MNA1 e MNA2) L’ubicazione dei campi prove sui quali è stato impostato l’iter di sperimentazione in sito è riportata nella Figura 11—2. Figura 11—2. Planimetria del sito contaminato e ubicazione dei campi di prova. 75 La prima fase della sperimentazione delle tecniche di bonifica ha previsto una caratterizzazione preliminare del sito: 1. profilo stratigrafico 2. caratterizzazione chimica della composizione della miscela idrocarburica contaminate 3. analisi agronomica 4. caratterizzazione preliminare delle potenzialità degradative della comunità microbica 11.2.1 Profilo stratigrafico Dall’analisi delle carote estratte durante le perforazioni preliminari, effettuate nel sito, è stato rilevato un profilo stratigrafico omogeneo in entrambe le aree dei campi prova BS1 e BS2, caratterizzato dai seguenti livelli: • 0,0-6,0 m, ghiaia di pezzatura grossolana e ciottoli (Ø max 20 cm.) in abbondante matrice sabbiosa debolmente limosa nocciola; • 6,0-8,0 m, ghiaia di pezzatura grossolana e ciottoli (Ø max 20 cm) in abbondante matrice sabbiosa molto limosa; • 8,0-10,0 m, ghiaia di pezzatura grossolana in abbondante matrice sabbiosa. Lo strato di sottosuolo contaminato origina nella zona insatura, a circa 4 metri, ed interessa parzialmente anche la zona satura, sino ad una profondità di circa 9 metri. La falda acquifera è stata rinvenuta mediamente a ca. 6,0 m. Si ritiene che il gasolio, accidentalmente fuoriuscito sulla superficie, sia filtrato fino a raggiungere la falda. L’elevata permeabilità che caratterizza il suolo ha fatto sì che i movimenti dell’acqua di falda abbiano trascinato la parte del gasolio rimasta in galleggiamento sulla sua superficie. Queste fluttuazioni hanno determinato un ampliamento in senso verticale dell’inquinamento. Attualmente, sulla superficie del suolo non ci sono tracce di miscela idrocarburica contaminante. Al contrario la presenza di anomalie visive e olfattive riconducibili alla presenza di contaminazioni da idrocarburi, sono state rinvenute in tutti i punti di carotaggio nella zona contaminata. 11.2.2 Caratterizzazione chimica del contaminante L’analisi gascromatografica associata a spettrometria di massa della miscela idrocarburica contaminante, eseguita su campioni di suolo prelevati nelle aree dei campi prova BS1 e BS2 e sul 76 contaminante recuperato dalla falda, ha dimostrato che essa presenta caratteristiche del tutto particolari, di cui bisognerà tener conto ai fini dello studio (Figura 11—3): Figura 11—3. A) Composizione di un normale Gasolio da trazione; B) Composizione della miscela contaminante • La miscela è priva, quasi totalmente di alifatici lineari; • Alcuni alifatici ramificati permangono, altri sono assenti o sono presenti in concentrazioni inferiori rispetto al gasolio nativo; • Permangono alcani fortemente ramificati, come fitano e pristano; • La miscela è quasi priva di aromatici monoanello; • Sussistono le specie nafteniche; • Sussistono le specie naftaleniche; • Sono presenti composti solforati quali dibenzotiofene e dibenzotiofeni metilati. La miscela idrocarburica contaminante mostra, dunque, una composizione diversa da quella del gasolio nativo, imputabile ad una parziale degradazione avvenuta costantemente nell’arco dei 30-40 anni di permanenza nel suolo. Per la sua composizione il contaminante residuo risulta più refrattario alla degradazione rispetto al potenziale gasolio nativo (Figura 11—4). 77 Figura 11—4. A sinistra un gasolio da trazione, a destra la miscela idrocarburica contaminante. 11.2.3 Analisi agronomiche É stato determinato il tenore di nitrati, nitriti, ammonio e fosfati. Le analisi sono state condotte su campioni di suolo prelevati nei campi di prova BS1 e BS2. Per ciascun campo di prova sono stati operati 4 carotaggi e i campioni prelevati alla profondità di 3,0 (strato insaturo) o 5,0 m (frangia capillare) sono stati miscelati in modo da ottenere 4 campioni rappresentativi. Nella Tabella 14 sono riportati i risultati delle analisi, dove emerge una carenza di nutrienti, con valori prossimi o inferiori al limite analitico. Tabella 14 Tenore dei nitrati, nitriti, ammonio e fosfati nei campi di prova. Campione Unità di misura Campo BS1 3,0 m Campo BS1 5,0 m Campo BS2 3,0 m Campo BS2 5,0 m Nitrati mg/Kg s.s. 5,2 <5 9,4 <5 Nitriti mg/Kg s.s. <0,05 <0,05 <0,05 <0,05 Ammonio mg/Kg s.s. 1 <1 1 <1 Fosfati mg/Kg s.s. 2,1 1,1 0,7 0,9 In conclusione, l’attività biologica potrebbe essere fortemente condizionata dalla carenza di nutrienti, con conseguente squilibrio del rapporto C/N. Del resto, la litologia dell’area è, come visto in precedenza, caratterizzata da suoli con matrice sabbiosa ricca di ghiaia e ciottoli. Tali terreni possiedono un’elevata macroporosità, sono dotati di debole capacità idrica di trattenuta e sono poveri di elementi nutritivi. Essendo molto soffici e arieggiati mineralizzano rapidamente la sostanza organica, inoltre i nutrienti, e in modo particolare l’azoto, sono trasportati in profondità con le acque di percolazione. 78 11.2.4 Caratterizzazione preliminare delle potenzialità degradative della comunità microbica Allo scopo di valutare attentamente la possibilità di un’attività biologica nei due campi prova e la possibilità di favorire detta attività in modo da ridurre la concentrazione delle sostanze contaminanti presenti, sono stati eseguiti alcuni test in laboratorio sui campioni (Bio 1.0 e Bio 2.0) di sottosuolo prelevati dalla frangia capillare contaminata nei campi di prova BS1 e BS2 (i carotaggi sono stati effettuati nel corso della campagna di campionamenti finalizzata alla caratterizzazione microbiologica, descritta di seguito). L’indagine è stata effettuata allo scopo di verificare le potenzialità degradative della microflora autoctona presente prima della messa in funzione degli impianti. A questo scopo sono stati allestiti due set sperimentali in batch, così costituiti: Set 1 A. BH + Miscela idrocarburica contaminante B. BH + Miscela idrocarburica contaminante + Inoculum (Bio 1.0) C. BH + Miscela idrocarburica contaminante + Inoculum (Bio 2.0) A. Suolo in slurry + Miscela idrocarburica contaminante B. Suolo in slurry + Miscela idrocarburica contaminante + Inoculum (Bio 1.0) C. Suolo in slurry + Miscela idrocarburica contaminante + Inoculum (Bio 2.0) Set 2 Il primo set sperimentale (Set 1) è stato realizzato in modo tale da eliminare i fattori limitanti derivanti dalla carenza di nutrienti (rivelata in situ dalle analisi agronomiche). Sono state a questo scopo allestite tre differenti colture in 20 ml di mezzo minimo salino Bushnell-Haas (BH). Il terreno BH contiene azoto, fosforo e micronutrienti in concentrazioni appropriate per garantire la crescita microbica. Un’aliquota della miscela idrocarburica contaminante (2% p/v), prelevata dal sito e sterilizzata per filtrazione, è stata fornita come unica fonte di carbonio ed energia. Di queste tre colture, una è stata utilizzata come controllo abiotico e non è stata quindi inoculata con microrganismi, mentre le altre due sono state addizionate con i microrganismi estratti da campioni di suolo provenienti dalla frangia capillare contaminata, Bio1.0 o Bio 2.0. Il secondo set sperimentale (Set 2) è stato allestito in modo analogo al Set 1, sostituendo però, in tutte e tre le colture, il mezzo minimo salino BH con un’aliquota di suolo non contaminato prelevato nel campo di prova BS2 (del tutto paragonabile ai campioni prelevati nel campo di prova BS1 per ciò che concerne i valori dei nutrienti). A tal fine 2 g di suolo sono stati addizionati a 20 ml 79 di acqua (slurry) e il tutto è stato sterilizzato in autoclave (0.7 atm 15 min). In questo set sperimentale sono stati forniti ai microrganismi per la crescita esclusivamente i macronutrienti (azoto e fosforo) e i micronutrienti presenti nel suolo del sito. Le 6 colture dei 2 set sperimentali sono state quindi incubate in condizioni aerobiche (in agitazione a 150 rpm) per un periodo di 10 giorni a 32°C. Terminata l’incubazione, è stato possibile riscontrare un’abbondante crescita microbica nelle colture del Set 1 inoculate con i microrganismi della frangia capillare (Figura 11—5). Figura 11—5. Colture in terreno minimo salino BH addizionato con miscela idrocarburica come unica fonte di carbonio ed energia. sx, controllo abiotico non inoculato; dx, coltura inoculata microrganismi estratti da un campione di suolo della frangia capillare contaminata (Bioslurping 2.0). Come atteso, il controllo abiotico non mostrava alcuna crescita. Tale risultato preliminare sembra indicare la presenza di una comunità microbica autoctona aerobica capace di crescere in presenza di contaminante come unica fonte di carbonio. Nelle colture del Set 2, le condizioni sperimentali (slurry) non hanno permesso di stabilire con certezza se fosse avvenuta o meno una crescita microbica. Si è proceduto quindi alla caratterizzazione chimica dei prodotti di degradazione dei due set sperimentali. La tecnica utilizzata è stata la gascromatografia associata alla spettrometria di massa. L’entità della degradazione operata dai microrganismi estratti dalla frangia capillare è stata valutata comparando, per ciascun set, i cromatogrammi del controllo abiotico con quelli delle colture inoculate. Sono discussi di seguito i risultati ottenuti per le principali classi di composti costituenti la miscela idrocarburica contaminante. 80 SET 1 • Alifatici lineari: non si nota diminuzione apprezzabile delle poche specie rimaste in limitatissima quantità. • Alifatici ramificati: nessun composto è degradato completamente, numerose specie ramificate subiscono una degradazione parziale. • Aromatici ad un solo anello (e costituenti leggeri o volatili in generale): rimangono praticamente inalterati. • Nafteni: rimangono praticamente inalterati. • Naftaleni, suddivisibili in quattro classi distinte: naftaleni mono-, di- e tri-metilati e naftaleni superiori. Per queste classi di composti si notano gli effetti più interessanti, infatti, alcune specie mono- e bi-metilate sono ben degradate, i naftaleni trimetilati sono degradati all’8090%, mentre i naftaleni superiori non subiscono alcuna degradazione. • Dibenzotiofeni, suddivisibili in quattro classi distinte: dibenzotiofene, dibenzotiofene metilato, dibenzotiofene dimetilato e superiori. Il dibenzotiofene e il dibenzotiofene monometilato sono completamente degradati, appaiono inalterate le altre specie solforate. I campioni del Set 1 mostrano un’attività degradativa simile quando inoculati con microrganismi estratti da campioni di frangia capillare dei campi di prova Bioslurping 1.0 o Bioslurping 2.0. SET 2 I confronti cromatografici evidenziano come la miscela d’idrocarburi rimanga del tutto inalterata, in tutte le prove. Nell’arco di 10 giorni non si osserva dunque alcuna attività di degradazione ad opera della comunità microbica autoctona. Alla luce dei risultati analitici ottenuti per il Set 1 si può quindi affermare che nella frangia capillare contaminata del sito è presente una comunità microbica autoctona in grado di degradare, in aerobiosi, alcune delle principali classi di idrocarburi componenti la miscela contaminante e in particolar modo la classe dei naftaleni. Al contrario, la medesima comunità microbica non è in grado di operare alcuna degradazione nelle condizioni sperimentali imposte nel Set 2. Sulla base di questo risultato si può ritenere che la scarsità dei nutrienti presenti nel sottosuolo del sito deprima in modo così significativo la biodegradazione dell’inquinante da dover considerare tali nutrienti un importante fattore limitante. 81 Le considerazioni ora esposte inducono dunque ad individuare le condizioni per un’ottimale combinazione fra tipo e quantità di nutrienti da somministrare in situ, ponendo particolare attenzione alle modalità di somministrazione in funzione della qualità e dell’uso delle acque di falda. Sulla base di questi risultati, ed a seguito di ulteriori considerazioni di tipo ingegneristico, di seguito discusse, si è deciso di intervenire con la tecnologia del Biorisanamento in situ. In particolare è stato istallato un impianto di bioslurping allo scopo di recuperare il prodotto libero in galleggiamento sulla falda (free product recovery FPR) e di fornire ossigeno al sistema (soil vapor extraction SVE). Successivamente, all’avvio degli impianti di ossigenazione sono stati effettuati degli studi di modellazione del flusso e del trasporto in falda, finalizzati alla quantificazione dei nutrienti da aggiungere in campo che non costituiscono un rischio sanitario non accettabile. 82 12 ATTIVITÁ IN CAMPO 12.1 Tipologie di intervento in situ Le matrici sotterranee interessate dall’inquinamento di idrocarburi possono essere così suddivise: A. Suolo contaminato nello strato insaturo B. Suolo contaminato nello strato saturo C. Prodotto libero in galleggiamento sulla falda Le concentrazioni di idrocarburi disciolti nelle acque di falda sono molto basse e non richiedono interventi di risanamento. Gli interventi di bonifica sono stati quindi finalizzati a: a. Abbassamento dei valori di idrocarburi nella zona insatura. b. Abbassamento delle concentrazioni di idrocarburi nella zona satura c. Eliminazione del prodotto in galleggiamento La zona contaminata si trova a diversi metri sotto la superficie del suolo. Essa è sovrastata da terreno non contaminato ed investe uno spessore di circa 5 metri: la realizzazione di un risanamento ex situ, risulterebbe molto complessa e particolarmente costosa. In base alla caratterizzazione preliminare effettuata, alle caratteristiche proprie del sottosuolo e della falda, alla distribuzione ed alle concentrazioni di contaminante rilevate, il tipo di intervento scelto per la bonifica è stato il biorisanamento in situ. 12.2 Bioslurping In funzione della tipologia dell’inquinante, una miscela di idrocarburi petroliferi, e la sua collocazione, la zona vadosa e la frangia capillare, si è scelto di sperimentare il Bioslurping una tecnologia di biorisanamento in situ. Come descritto nell’introduzione, la tecnica di Bioslurping è una tecnica mista che prevede la messa in atto congiunta di due specifiche metodologie o tecniche di bonifica: il soil vapour extraction (SVE) ed il free product recovery (FPR) (Figura 12—1). 83 Figura 12—1. A) Tecnica SVE; B) Tecnica FPR 1. La Tecnica SVE, attraverso l’aspirazione forzata di aria dal sottosuolo, da una parte instaura condizioni dinamiche che portano allo strippaggio dei composti presenti in fase gassosa (composti organici volatili, COV), dall’altra favorisce lo spostamento dell’equilibrio di ripartizione liquidogas degli idrocarburi, verso la fase vapore, liberando il sottosuolo da quelli più volatili. L’SVE attua quindi un’intensa attività di ricircolo d’aria nel sottosuolo: nell’area di influenza dei pozzi di bioslurping l’effetto auspicato della ventilazione è la stimolazione della crescita della popolazione di microrganismi aerobi (biostimolazione) ed un aumento della loro attività metabolica, in risposta ad un innalzamento della tensione di O2 nel suolo. 2. La Tecnica FPR, sempre attraverso un meccanismo di aspirazione, consente un parziale recupero dell’inquinante presente sulla superficie dell’acqua di falda (NAPL), associato al recupero dei COV. La miscela acqua-inquinante aspirata dagli slurp tube è stata collegata ad un separatore a gravità acqua/olio, convogliante l’inquinante in un apposito recipiente graduato. L’acqua raccolta nel separatore é stata quindi convogliata alla canaletta di raccolta delle acque oleose del deposito del sito, per essere poi inviata al sistema di trattamento acque dello stabilimento. L’aria aspirata dall’impianto di Bioslurping, prima di essere rilasciata in atmosfera, è stata opportunamente convogliata ad un separatore di condensa e ad un sistema di filtraggio a carboni attivi. 84 12.2.1 Fasi preliminari all’istallazione dei pozzi di bioslurping La sperimentazione della tecnica del bioslurping nel sito contaminato preso in esame è iniziata, di fatto, il 4 Giugno 2002 con le operazioni di terebrazione dei pozzetti di controllo prolungatesi fino all’11 Giugno 2002. La messa in funzione degli impianti è avvenuta il 25 Luglio 2002. Per determinare l’efficacia del Bioslurping nel sito in esame, è stata prevista la realizzazione contemporanea di due “pozzi pilota” indipendenti e non interferenti tra loro (pozzo BS1 e pozzo BS2), al fine di individuare i migliori parametri di lavoro e di determinare, con la sufficiente precisione, la zona di influenza (ZOI - Zone of Influence) in relazione al sito specifico e per l’effettuazione delle prove respirometriche. L’8 e il 9 di Luglio sono state effettuate le terebrazioni dei pozzi di bioslurping BS1 e BS2 mediante carotatore a percussione con diametro di rivestimento da 500 mm e lo start up dell’impianto è avvenuto il 25 luglio 2002. Attorno ad ognuno dei pozzi di bioslurping (BS1 e BS2), sono stati realizzati 4 pozzetti di controllo, disposti come mostrato in Figura 12—2. Figura 12—2. Ubicazione dei due pozzi di bioslurping e dei relativi pozzetti di controllo. Tutti gli 8 pozzetti sono stati strumentati con piezometri, con profondità pari a –10 m dal piano di campagna (p.c.). Tutti i piezometri sono stati completati con tappo a chiusura ermetica e chiusino in metallo fuori terra. Per determinare la profondità dei pozzi, sono state prese in considerazione le oscillazioni del livello di falda nell’arco di un anno, ricorrendo ai dati disponibili sulle misure freatimetriche nel corso del tempo. 85 Su tutti i campioni di suolo/sottosuolo prelevati nel corso delle terebrazioni dei pozzetti di controllo è stato impostato un programma di ricerca per la determinazione del tenore di idrocarburi leggeri (C<12), pesanti (C>12) ed aromatici (BTEX e Stirene), che ha portato alla caratterizzazione chimica della miscela contaminante, descritta in precedenza. Nella Tabella 15 sono riportati i punti di campionamento e le profondità di prelievo. Tabella 15. Punti di campionamento e la profondità di prelievo nei campi di prova. L’impianto istallato ha consentito lo sviluppo di una sperimentazione separata delle due tecniche di base del bioslurping (SVE e FPR), in modo da poterne analizzare approfonditamente i risultati applicativi, in modo distinto. In sintesi la campagna di sperimentazione del bioslurping è stata condotta con la seguente distribuzione degli ambiti applicativi delle tecniche FPR/SVE (Tabella 16). Tabella 16. Fasi di sperimentazione delle tecniche SVE e FPR nei campi di prova BS1 e BS2. 86 12.2.2 “Soil Vapor Extraction” (SVE) Prima Fase sperimentale Dopo lo start up dell’impianto avvenuto il 25 luglio 2002, il programma di sperimentazione è stato impostato in maniera da prevedere una marcia continua dell’SVE con una portata di aspirazione pari a 50 m3/h sui pozzi centrali BS1 e BS2 (interrotta solo per l’effettuazione di alcune prove sperimentali). Lo schema semplificato dell’impianto Bioslurping – SVE, in questa prima fase di sperimentazione, è il seguente: Figura 12—3. Configurazione di lavoro SVE – Bioslurping BS1 e BS2. Seconda Fase sperimentale Nel settembre 2002, in occasione delle modifiche apportate alla configurazione dell’impianto FPR – Bioslurping, si è provveduto a rivedere in un’ottica di complementarietà anche la configurazione dell’impianto SVE. Infatti, al fine di evolvere l’iter sperimentale in maniera razionale e sistematica, si è provveduto a condurre la sperimentazione della tecnica SVE in maniera estesa sul campo 1. La rappresentazione schematica della configurazione del campo 1 della tecnica di sperimentazione SVE è la seguente: Figura 12—4. Configurazione di lavoro SVE Bioslurping (Campo 1). 87 Il termine di questa configurazione sperimentale sul campo 1 ha coinciso con il novembre 2002, quando in forza ai dati acquisiti, si è riorganizzato il prosieguo della sperimentazione invertendo le tecniche applicate, in maniera simmetrica alla configurazione precedente, ovvero passando la sola SVE al campo 2. Nella Tabella 17 sono riassunte le tecniche utilizzate nei 2 campi di prova, nei diversi periodi considerati: Tabella 17. Parametri operativi e configurazioni SVE nei campi prove 1 e 2 L’applicabilità e l’efficienza della tecnica SVE sono state analizzate e valutate prendendo in considerazione l’influenza nell’attività di ossigenazione e quindi di stimolo alla biodegradazione del sito (monitorata da un programma di test respirometrici e microbiologici), misurabile attraverso il Tasso di Degradazione dell’inquinante, inteso come il quantitativo di inquinante, espresso in mg, che i microrganismi sono in grado di rimuovere dalla matrice ambientale suolo/sottosuolo in un intervallo di tempo definito. 12.2.3 Test respirometrici Le prove respirometriche condotte in situ dei seguenti gas interstiziali, anidride carbonica (CO2), ossigeno (O2), sono state correlate all’attività microbiologica, misurata attraverso il monitoraggio sperimentale. Le misurazioni sono state effettuate con uno strumento portatile del tipo Dräger Multiwarn II direttamente dal punto di prelievo all’interno del container. La prima prova respirometrica è stata effettuata nel campo di prova 1, nel periodo tra il 18/09/2002 ed il 20/09/2002. A tale scopo è stato installato un impianto munito di soffiante a canale 88 laterale collegato ai cinque pozzi di venting denominati rispettivamente 1BIO, 2BIO, 3BIO, 4BIO e BS1 (al centro rispetto agli altri quattro). All’interno del container, le 5 linee di aspirazione sono state completate con flussimetro di misurazione di portata, saracinesca di regolazione e punto di prelievo. La rappresentazione schematica della configurazione estesa al campo di prova 1 della tecnica di sperimentazione SVE è riportata in Figura 12—5. Figura 12—5. Schema semplificato impianto di SVE - Bioslurping – BS1. Durante l’esecuzione di questa prova respirometrica gli andamenti dell’O2 e della CO2 sono stati monitorati sia nella fase di funzionamento dell’impianto, sia nelle 25 ore successive allo spegnimento. Il giorno 18/09 alle ore 13:30 in tutti i pozzetti sono state determinate le concentrazioni di O2 e CO2 al tempo zero. Alle ore 14:00 è stata avviata la ventilazione: tutti i pozzetti sono stati ventilati contemporaneamente ad una portata di 28 m3/h. L’impianto è stato spento il giorno 19/09 alle ore 15:30 dopo 25,5 ore di ventilazione: le letture delle concentrazioni dopo lo spegnimento sono state effettuate ad intervalli crescenti di 10, 15 e 30 minuti; il giorno successivo sono proseguite ad intervalli di 2 ore, fino alle ore 15:30 (Figura 12—6). 89 Figura 12—6. Valori di O2 misurati durante la prova SVE del Settembre 2002 – Campo 1. Dal confronto degli andamenti generali del tenore di O2, in ciascun pozzo del campo di prova 1 si riconoscono due distinte situazioni, corrispondenti alla fase di estrazione gas, ed alla fase successiva all’arresto della estrazione gas: 1. Nella prima situazione il trend crescente del tenore di O2, dimostra l’efficacia della tecnica SVE nel favorire un ricambio atmosferico interstiziale (quindi un’ossigenazione) nel sottosuolo del sito; 2. La seconda situazione tende a confermare che il processo di biodegradazione indotto dalla ventilazione continua ad essere attivo, dopo l’arresto del sistema, con un consumo dell’ossigeno interstiziale. Un trend decisamente complementare all’ossigeno è seguito dalla CO2, che decresce quasi linearmente durante tutto l’intervallo di ventilazione, mentre registra un andamento crescente, durante l’intervallo successivo allo spegnimento dell’impianto SVE (Figura 12—7). Figura 12—7. Valori di CO2 misurati durante la prova SVE del Settembre 2002 – campo 1. 90 La complementarietà nei comportamenti di O2 e CO2 permette di conseguire una buona conferma della presenza di un’attività metabolica nel sottosuolo, in cui la CO2 è prodotta dalla trasformazione del materiale organico sottoposto ad ossidazione, con conseguente consumo di O2. A fine prova, l’impianto di aspirazione è stato riattivato, e mantenuto ad esercizio continuo, fino al 7 Ottobre, giorno in cui l’impianto è stato spento ed è stata condotta una prova analoga alla precedente, al fine di studiare la dinamica dei gas interstiziali dopo un funzionamento continuo e prolungato della tecnica SVE, di circa 17 giorni, applicata sempre al campo di prova 1. I trend riportati nei grafici riportati in Figura 12—8 ed in Figura 12—9 sono il risultato del monitoraggio dei gas interstiziali, O2 e CO2, effettuato immediatamente dopo lo spegnimento dell’impianto di SVE. Figura 12—8. Valori di O2 misurati durante la prova respirometrica dell’Ottobre 2002 – campo 1. Figura 12—9. Valori di CO2 misurati durante la prova respirometrica dell’Ottobre 2002 – campo 1. Dall’andamento relativo delle concentrazioni di O2 e CO2 al termine della prova si può confermare, in generale, quanto già emerso nelle prove precedenti, in relazione alla risposta 91 microbiologica del sito, a seguito dell’attività ossigenante prodotta dall’applicazione della tecnica SVE. L’attività di “soil venting” del campo di prova 2 ha interessato un periodo di tempo compreso tra i mesi di Novembre 2002 e Febbraio 2003. Il periodo invernale tuttavia, è stato caratterizzato da forti precipitazioni e basse temperature, che hanno causato differenti problemi, primo tra tutti una minore efficienza del sistema di ventilazione. A novembre 2002, si è provveduto quindi ad implementare la tecnica su tutto il campo di prova 2, con una configurazione perfettamente simmetrica rispetto alla precedente, applicata al campo 1. Le difficili condizioni atmosferiche hanno permesso l’esecuzione di una sola prova respirometrica, il 15 gennaio 2003, monitorando gli andamenti dei gas interstiziali relativamente alle concentrazioni di O2 e CO2, nelle 28 ore successive allo spegnimento dell’impianto. I risultati ottenuti dal test sono rappresentati nei grafici riportati in Figura 12—10 ed in Figura 12—11. Figura 12—10. Valori di CO2 misurati durante la prova respirometrica dell’ Ottobre 2002 – campo 2. 2 Figura 12—11. Valori di CO2 misurati durante la prova respirometrica dell’Ottobre 2002 – campo 2. 92 Si può notare come, immediatamente dopo l’inizio del monitoraggio, in tutti i pozzetti è stato rilevato un decremento delle concentrazioni di O2, accompagnato da un incremento di CO2, a conferma della presenza di un’attività microbiologica in corso. In questa prova tuttavia la diminuzione di O2 e l’incremento di CO2 è stata meno marcata delle prove precedenti. Si può confermare, per concludere, come sussista, nel sito contaminato, un’estrema complementarietà degli andamenti relativi dell’O2 e della CO2, a testimonianza di una attività microbiologica presente nel sottosuolo, beneficiante dell’attività di ventilazione conseguente all’applicazione in sito della tecnica SVE. 12.2.3.1 Valutazione dei dati respirometrici La degradazione del gasolio, porta alla formazione di CO2 e di eventuali prodotti intermedi, derivanti dalla completa o parziale ossidazione dei prodotti organici. Pertanto la capacità estrattiva della tecnica SVE può risultare utile al fine di completare il processo di bonifica, asportando tutti i prodotti formatisi, sia intermedi che finali, ed accelerando la bonifica del sottosuolo. In base al consumo di O2 ricavato dai test respirometrici è possibile stimare il grado di degradazione di ciascun pozzo investigato, potenzialmente raggiungibile con un intervento di ventilazione. Il grado di degradazione costituisce il principale indicatore dell’attività di degradazione microbiologica: esso può essere inteso come il quantitativo di inquinante (espresso in mg) che i microrganismi sono in grado di rimuovere dalla matrice ambientale suolo/sottosuolo in un intervallo di tempo definito (solitamente nell’arco di un giorno). La stima del grado di degradazione può essere calcolata in base al rapporto stechiometrico di ossidazione degli idrocarburi. In presenza di idrocarburi, il rapporto tra idrocarburi ed O2 richiesto per la mineralizzazione varia in un intervallo molto ristretto (0,29 – 0,33): è pertanto ammissibile utilizzare anche per una miscela degradata, derivante dal gasolio, il n-esano come idrocarburo di riferimento (EPA, 1995). Nel calcolo stechiometrico non è considerata la frazione di idrocarburi che si trasforma in biomassa (trascurabile, ma soprattutto di difficile se non impossibile rilevazione). La reazione di ossidazione diviene la seguente: C6 H14 + 9,5O2 → 6CO2 + 7H2O [1] Nella prima fase della prova respirometrica l’andamento del consumo di O2 risulta essere lineare, sino ad una percentuale di circa il 5%, in quanto presente in concentrazioni abbondanti e 93 non essendo un fattore limitante: il consumo va determinato entro questo periodo, dopo lo spegnimento dell’impianto A partire dalla relazione di ossidazione [1] è possibile calcolare il tasso teorico di degradazione degli idrocarburi: KB = K 0 ⋅ θ a ⋅ ρ O2 ⋅ C ⋅ (0,01) ρK EQUAZIONE 2 Dove, KB = tasso di degradazione [mg inquinante/(Kg suolo x giorno)]; K0 = tasso di utilizzazione O2 (% in Vol /giorno); θa = porosità efficace; ρ O2 = densità O2 (mg/l); C = quantità ottenuta dal rapporto tra idrocarburi e O2 richiesto per la mineralizzazione (1:3,5); ρk = densità del suolo (g/cm3). La biodegradazione degli idrocarburi può essere quantificata anche durante la fase di esercizio della tecnica SVE, misurando direttamente la concentrazione di O2 nel gas durante la fase di estrazione. Si assume infatti che, raggiunta una situazione di equilibrio, l’intervento richiami aria atmosferica dalla superficie che quindi attraversa i livelli inquinati. Tali livelli si comportano come un “bioreattore” naturale consumando O2 e producendo CO2. La differenza di O2 nel gas di scarico del “bioreattore” rispetto all’aria atmosferica di ingresso è uno strumento di misura per l’attività microbiologica. La massa degli idrocarburi biodegradata durante l’attività di aspirazione può essere calcolata mediante la formula: HCbio = (Cvbkgd − Cv02 ) 100 × Q × C × ρ O2 × MWO2 × (kg ) (1440 min) × (100 g ) ( giorno) EQUAZIONE 3 Dove, HCbio = massa di idrocarburi degradata Cvbkgd = concentrazione di ossigeno presente in area non contaminata [% in Vol] CvO2 = concentrazione di ossigeno nel gas estratto [% in Vol] Q = portata di aspirazione C = rapporto stechiometrico tra ossigeno e idrocarburi (esano) = (1:3,5) ρO 2 = densità dell’ossigeno [mg/l] 94 MWO2 = peso molecolare dell’ossigeno [g/mole] Nelle tabelle successive sono riportati i risultati del consumo di O2 misurato sperimentalmente nelle prove da Settembre 2002 ad Febbraio 2003, le prime due nel campo di prova 1, l’ultima nel campo di prova 2, con il corrispondente tasso di degradazione idrocarburico calcolato applicando ambedue le precedenti formule [2] e [3]. Dal quantitativo di O2 consumato (% di volume al giorno) è possibile ottenere delle indicazioni in merito alle potenzialità di riuscita della tecnica; a questo proposito, la letteratura (EPA, 1995) riporta che valori di O2 consumato maggiori dell’1% volume/giorno possono essere considerati buoni indicatori dell’applicabilità delle tecnica selezionata nel sito (nel nostro caso sempre superiori). Nella Tabella 18 sono riportati i tassi di degradazione calcolati sulla base dei risultati ottenuti durante la prova respirometrica di Settembre: Tabella 18 Settembre 2002, campo prova 1: consumo di O2 e Tasso di Degradazione. Come evidente in tabella 5, i valori di consumo giornaliero di O2 sono risultati nettamente maggiori del riferimento di letteratura. Tali valori hanno permesso di calcolare un tasso di degradazione medio di circa 7,28 mg di inquinante/kg di suolo al giorno. Per poter valutare l’efficienza in situ della tecnica a regime, il tasso di degradazione ottenuto utilizzando la concentrazione di O2 presente nel gas in uscita dalla SVE, deve essere rapportato al volume di suolo interessato dalla ventilazione, così da confrontarlo con quello ricavato attraverso il valore di consumo giornaliero di O2, dove l’impianto era stato spento prima della misura. Dai dati emersi da uno studio effettuato sui raggi di influenza (ROI) dell’impianto, si può ipotizzare un’area interessata dalla ventilazione di circa 2.000 m2, considerando lo strato contaminato di circa 2 m di spessore, il volume interessato risulterebbe pari a circa 4.000 m3. Dato che il peso specifico del terreno è di circa 1,7 g/cm3 si ricava una massa di terreno pari a circa 6.800 95 t. Il tasso di degradazione complessivo ricavato dalla somma dei singoli valori misurati nei vari punti e presenti in tabella 5, è pari a 84,3 kg di inquinante al giorno, il tasso di degradazione complessivo (somma dei singoli tassi di degradazione) espresso come mg/kg al giorno risulterà quindi pari a 12 mg/kg al giorno circa. Si può osservare come tale valore sia superiore alla media determinata dalla prova respirometrica, 7,3 mg/kg al giorno, dato ricavato già da un buon valore di consumo di ossigeno. Si deduce quindi una buona efficienza di degradazione durante il funzionamento della tecnica. Da tener presente una potenziale sottostima del suolo areato coinvolto, che in tal caso sovrastima il tasso di degradazione. In Tabella 19 sono riportati i valori ottenuti nel secondo test, quello di Ottobre: Tabella 19 Ottobre 2002, campo prova 1: consumo di O2 e Tasso di Degradazione Anche in questo caso abbiamo rapportato la somma dei singoli tassi di degradazione, misurati utilizzando la concentrazione di O2 nel gas in uscita, come mg/kg di suolo al giorno. Il tasso di degradazione complessivo calcolato è stato buono, circa 9,5 mg/kg al giorno, poco meno di quanto riscontrato tre settimane prima. Anche in questo caso i tassi di degradazione calcolati sulla base delle concentrazione di O2 nel gas di scarico, appaiono nettamente superiori a quelli ricavati con i dati delle prove respirometriche. La stima del tasso di degradazione nel campo di prova 2 è stata effettuata nel Gennaio del 2003. Come nei casi precedenti, essa è stata effettuata sia sulla base dei valori di consumo dell’O2 misurati nel corso delle prove respirometriche, sia in base alle concentrazioni di O2 misurate in uscita dalla SVE (Tabella 20) 96 Tabella 20 Gennaio 2003, campo prova 2: consumo di O2 e Tasso di Degradazione Come già accennato in precedenza, nel campo 2 le difficili condizioni atmosferiche stagionali hanno influito sulla prova, e di conseguenza, sulla tecnica di SVE. I tassi di degradazione sono risultati di conseguenza di difficile elaborazione e comunque più contenuti (tasso di degradazione complessivo 5 mg/kg al giorno). Le differenze dei valori ricavati dalle prove respirometriche nei due campi sperimentali sono state giustificate, oltre che dalle differenti condizioni metereologiche, anche dal diverso grado di umidità, temperatura e quindi attività microbiologica conseguente al diverso periodo di effettuazione dei test stessi. In generale, come già affermato, le caratteristiche di applicabilità e di efficacia della componente SVE erano essenzialmente legate alla possibilità di: • indurre un significativo richiamo di aria nel sottosuolo, in modo da contribuire alla stimolazione del processo biodegradativo della comunità aerobica autoctona presente nel sottosuolo del sito; Le evidenze raccolte hanno permesso di confermare che, sotto questi aspetti, la componente di Soil Vapour Extraction della tecnica di Bioslurping, risulta applicabile ed efficace, richiamando e recuperando nel contempo eventuali componenti volatili del contaminante. L’esito delle misure effettuate in campo ha consentito di registrare una buona respirazione microbica, associata ad un buon tasso di degradazione. 97 12.2.4 Free Product Recovery (FPR) I principi di azione del “free product recovery” si basano sull’estrazione fisica del prodotto in saturazione, degli idrocarburi disciolti in falda e della frazione volatile presente nel gas interstiziale in prossimità della frangia capillare. L’applicabilità della tecnologia scelta per il recupero del prodotto in galleggiamento presente nei pozzi, è stata condizionata principalmente dai seguenti fattori: • Profondità del livello acquifero alla quale si è accumulato il prodotto in galleggiamento (NAPL) • Permeabilità dell’acquifero • Volatilità degli idrocarburi In generale, in relazione alle attese iniziali, le potenzialità della componente FPR erano sostanzialmente legate alla possibilità di ottenere il duplice risultato di: • recupero significativo della fase surnatante libera di inquinante; • azione di richiamo del surnatante dall’intorno del punto di suzione, mediante l’applicazione localizzata di un alto grado di vuoto (slurp-tube collocati in prossimità del pelo libero di falda). La misura dei livelli del prodotto surnatante e della falda acquifera rispetto al p.c. (piano di campagna), in ciascun pozzo dei campi prova, è stata effettuata attraverso una sonda dotata di sensori specifici per il rilevamento dell’acqua e dell’inquinante. L’aspirazione dello slurp-tube è stata impostata ad una profondità compresa tra il livello del surnatante e quello della falda acquifera, in modo tale che il punto di aspirazione si trovasse immerso nello spessore apparente di prodotto sempre libero. Prima Fase sperimentale Il 25 luglio 2002, con l’effettivo avvio in campo della sperimentazione, si è applicata la tecnica FPR ai soli pozzi centrali pilota BS1 e BS2, ai quali, come già mostrato, in parallelo veniva applicata anche la tecnica SVE. La configurazione impiantistica impostata in questa prima fase di sperimentazione è stata la seguente: 98 Figura 12—12. Schema semplificato impianto di Bioslurping – FPR in BS1 e BS2. Prima dell’avvio dell’impianto è stata effettuata una misurazione, su tutti i pozzi, dei livelli di falda e di prodotto. Il regime di aspirazione FPR veniva impostato con marcia alternata di 15 minuti sui due campi prove BS1 e BS2, per un periodo complessivo di 5 giorni. Al termine si è proceduto ad un nuovo monitoraggio. Nella Tabella 21 sono riportate le misurazioni dei livelli in entrambi i campi di prova. Tabella 21 Livelli piezometrici di falda e prodotto, rilevati prima (25/07/02) e dopo (30/07/02) Dalla differenza nei livelli di prodotto misurati prima e dopo l’applicazione della FPR, è stata riscontrata una generale diminuzione degli spessori di inquinante, presumibilmente in conseguenza 99 all’aspirazione di prodotto. Tale diminuzione ha evidenziato tuttavia che i quantitativi di inquinante estratti dai pozzi BS1 e BS2 erano in generale di piccola entità. In particolare, è stata osservata una maggiore attitudine al recupero di prodotto del BS2 rispetto al BS1, probabilmente imputabile a locali differenze granulometriche del primo sottosuolo e alla diversa quota locale del piano di campagna (11,7 m s.l.m. BS1, 10,9 m s.l.m. BS2). Seconda Fase sperimentale Al fine di ottimizzare ulteriormente l’efficienza degli impianti di Bioslurping FPR, si è proceduto ad estendere la tecnica FPR dal pozzo pilota centrale a tutti i pozzi di controllo, in modo tale da disporre di risultati più significativi sulla possibilità di una efficace applicazione della tecnica. Nei primi giorni di Settembre 2002, si è deciso di applicare tale configurazione, solamente al campo di prova 2 (ovvero quello che meglio aveva risposto al saggio sperimentale effettuato inizialmente), per massimizzarne le potenzialità. L’estrazione dell’inquinante in questa fase ha previsto tempi di aspirazione di 30 minuti per ogni singolo pozzo, secondo un funzionamento ciclico di tipo on-off applicato a rotazione su tutti i pozzetti di controllo del campo prove: se per esempio l’FPR è in funzione nel pozzo BS1, i pozzi (1BIO, 2BIO, 3BIO e 4BIO) sono configurati in posizione di “riposo”, ossia senza aspirazione, per facilitare l’eventuale ricarica di prodotto. La durata complessiva di un ciclo di FPR è perciò pari a 2,5 ore; nell’arco di 30 minuti, ogni pozzo aspira l’eventuale prodotto presente, mentre per le successive 2 ore rimane in fase di ricarica. Lo schema impiantistico della nuova configurazione di lavoro è il seguente: Figura 12—13. Schema semplificato impianto di Bioslurping FPR – campo 2. 100 La sperimentazione della nuova configurazione impiantistica del campo 2 è stata effettuata il 18 settembre, calibrando i ritmi di aspirazione nel seguente modo: step t0; misura degli spessori apparenti di prodotto in ciascun pozzo del campo 2; step t1; fase di aspirazione della durata di 30 minuti in tutto il campo prove; step t2; misura degli spessori apparenti di prodotto in ciascun pozzo del campo 2; step t3; fase di aspirazione della durata di 30 minuti in tutto il campo prove; step t4; misura degli spessori apparenti di prodotto in ciascun pozzo del campo 2; step t5; ripetizione del ciclo precedente. Dal confronto degli spessori apparenti fra uno step e quello successivo in ciascun pozzetto, è possibile valutare la “ricarica potenziale” dei pozzi, cioè quanto surnatante è richiamato nel pozzetto tra un ciclo di FPR e l’inizio del successivo. I risultati ottenuti sono schematicamente riassunti nei seguenti grafici: Figura 12—14. Variazioni dello spessore apparente di surnatante nei pozzi del campo 2. Se si assume che gli slurp tube siano perennemente immersi nella fase inquinante, esaminando lo spessore apparente di prodotto all’inizio ed alla fine di ogni ciclo, si osserva che il quantitativo estratto diminuisce da un ciclo al successivo. La ricarica dei pozzetti è legata soprattutto alle variazioni del regime idrogeologico di falda che provocano delle escursioni dei livelli freatici seguite da variazioni del livello di prodotto; a piccola scala, tali variazioni possono manifestarsi anche tra un ciclo di esercizio ed il successivo. I risultati ottenuti hanno evidenziato una poco significativa ricarica di prodotto nei pozzi. Appare evidente quindi che la misura del quantitativo di prodotto estratto è condizionata dalle naturali fluttuazioni della falda. 101 Da novembre 2002 si è quindi proseguita la sperimentazione della tecnica FPR nel campo prove 1. La tecnica è stata quindi condotta con una configurazione analoga alla precedente implementando prove FPR su tutti e cinque i pozzi del campo 1 . Le prove sono state condotte misurando lo spessore apparente di inquinante all’interno di ciascun pozzo, prima durante e dopo gli step della sperimentazione, seguendo gli stessi criteri applicati in precedenza al campo prove 2. L’insieme dei dati raccolti, in tali prove ha evidenziato tuttavia che gli alti livelli piezometrici invernali della falda freatica inibivano il recupero di prodotto, rendendo inefficace l’attività di aspirazione (o recupero) dell’inquinante presente. Lo spessore apparente di prodotto nei pozzi è risultato praticamente assente, o comunque trascurabile, relativamente alla meccanica di recupero. In conclusione, nella Tabella 22 sono riportati i dati relativi alle quantità di acqua e prodotto recuperato da Luglio 2002 a Febbraio 2003: recuperato da ciascun pozzo del campo 2, il più “produttivo”, e durante l’intero periodo di effettiva operatività 24 – 29 ottobre 2002, pari a 118 ore di funzionamento: Tabella 22. Quantitativo di prodotto recuperato e quantitativo di acqua emunta nel campo prove 2 I dati riportati in tabella, mostrano che il quantitativo di prodotto recuperato è notevolmente inferiore rispetto al quantitativo di acqua emunta. In particolare, emerge che a fronte di un quantitativo medio di prodotto recuperato pari a 1,84 litri la quantità di acqua emunta è mediamente di 11,5 m3. L’entità dell’inquinamento da prodotto libero surnatante, presso il sito, rappresenta una frazione decisamente piccola e sporadica dell’intero plume inquinante individuato dalla fase di caratterizzazione iniziale. In base alle considerazione già esposte, l’efficacia di recupero di prodotto libero surnatante è risultata bassa, vuoi per la limitata e frammentaria presenza dell’inquinante sul pelo libero della falda, vuoi per i modesti spessori in gioco, vuoi infine per la variabilità freatimetrica. In tali condizioni è ragionevole prendere in considerazione la possibilità di utilizzare, per il recupero della fase libera sporadicamente presente, dispositivi più efficienti e funzionali quali alcuni tipi di skimmer selettivi. 102 12.3 Monitoraggio della comunità microbica durante la bonifica Il monitoraggio delle variazioni nella comunità microbiche, nei campi di prova di bioslurping, rappresenta una metodica per valutare l’efficienza della tecnica di bonifica, complementare ai test respirometrici (ottenuti durante l’attuazione del bioslurping). In particolare, nell’area di influenza dei pozzi BS1 e BS2, l’effetto auspicato dalla ventilazione sarebbe una stimolazione della crescita della popolazione di microrganismi aerobi, in risposta ad un innalzamento della tensione di ossigeno nel suolo. Tale alterazione delle condizioni ambientali potrebbe determinare una proliferazione nella popolazione di microganismi degradatori aerobi e un aumento della loro attività metabolica. Per la valutazione dell’effetto di biostimolazione del bioslurping è stato impostato un programma di campionamento che ha previsto l’esecuzione di 8 sondaggi. 12.3.1 Metodica di campionamento. La caratterizzazione microbiologica dei due campi di prova destinati ad ospitare i pozzi di bioslurping (BS1 e BS2) è iniziata il 16/07/2002, ovvero prima della terebrazione dei pozzi di bioslurping. Tale indagine preliminare ha avuto lo scopo di definire le caratteristiche delle popolazioni microbiche, prima dell’attuazione della tecnica di biorisanamento. La caratterizzazione microbiologica ha richiesto particolari tecniche ed accorgimenti durante il prelievo, a tal fine è stata condotta in campo, in modo da limitare al massimo l’alterazione del campione. La scelta di lavorare sul campo è stata dettata anche dalla notevole distanza esistente tra il sito da campionare ed il Laboratorio della Sezione di Microbiologia e Virologia Generale e Biotecnologie Microbiche del Dip. di Scienze e Tecnologie Biomendiche dell’Università di Cagliari, dove è stata condotta la caratterizzazione microbiologica. E’ stata infatti osservata una differenza di due ordini di grandezza (da 104 a 106cell/g di suolo) nel titolo vitale, tra un campione processato sul campo ed il medesimo campione analizzato in Laboratorio, ivi pervenuto via posta. Tale differenza è stata attribuita alla maggiore ossigenazione subita dal campione durante il periodo di trasporto, che, presumibilmente, avrebbe determinato un incremento del numero dei microrganismi. Per le modalità di campionamento ci siamo attenuti alle direttive riportate nel Decreto n° 010175 del 08/07/2002. Per il prelievo dei campioni sono stati eseguiti dei carotaggi per mezzo di un carotatore a percussione del diametro di 50 mm, sterilizzato mediante riscaldamento con fiamma. Poiché i microrganismi del suolo rispondono tempestivamente a tutte le variazioni ambientali, per le caratterizzazioni microbiologiche è stato impiegato “un campione di suolo fresco 103 e poco manipolato in cui la struttura e le proprietà metaboliche delle comunità microbiche presenti siano poco o affatto alterate” (Decreto n° 010175, 2002). I carotaggi sono stati terebrati uno a circa 3,80 m a monte (rispetto al flusso di falda) del pozzo BS1 e l’altro a 3 m (sempre a monte) del pozzo BS2. Da ciascuna carota sono stati prelevati due campioni di suolo/sottosuolo: uno rappresentativo della zona insatura non contaminata e l’altro della frangia capillare contaminata. Ciascun campione è stato sottoposto a giudizio visivo/olfattivo per valutarne lo stato d’inquinamento (Tabella 23). Il prelievo è consistito in campioni di suolo/sottosuolo di circa 200 grammi: Tabella 23. Campioni raccolti prima della messa in opera dei pozzi di bioslurping. Data del campionamento Campione Bio 1.0 16/07/2002 Bio 2.0 Profondità prelievo (m dal p.c.)b Note 1.00-2.00 5.00-5.20 1.00-2.00 4.50-5.00 Non inquinato Inquinato Non inquinato Inquinato Ciascun campione è stato suddiviso in due parti: una è stata impiegata per la caratterizzazione chimica (della miscela idrocarburica contaminante), l’altra per la caratterizzazione microbiologica (titolazione dei microrganismi). Al fine di valutare se le operazioni di ventilazione, messe in atto nei pozzi di BS1 e BS2, abbiano determinato un effetto di biostimolazione, il campionamento è proseguito con l’esecuzione di altri 7 sondaggi di monitoraggio, successivi alla messa in funzione degli impianti, nell’arco di 250 giorni (Tabella 24). 104 Data Tabella 24. Campioni raccolti durante il monitoraggio dei due campi di prova di bioslurping. Tempo (giorni) dall’inizio Nome Profondità (m) Note della ventilazione (25/07/02) campione BS1.1 05/08/2002 11 BS2.1 BS1.2 29/08/2002 35 BS2.2 BS1.3 27/09/2002 64 BS2.3 BS1.4 13/11/2002 111 BS2.4 BS1.5 18/12/2002 146 BS2.5 BS1.6 14/03/2003 232 BS2.6 BS1.7 01/04/2003 250 BS2.7 2.00 4.30 2.00 4.30 2.00 5.80 2.00 5.30 2.00 5.30 2.00 4.70-5.50 2.00 5.10 2.00 4.80 2.00 5.00 2.00 5.40 2.00 5.30 2.00 4.60 2.00 6.00 2.00 6.00 Non inquinato Inquinato Non inquinato Inquinato Non inquinato Inquinato Non inquinato Inquinato Non inquinato Inquinato Non inquinato Inquinato Non inquinato Inquinato Non inquinato Inquinato Non inquinato Inquinato Non inquinato Inquinato Non inquinato Inquinato Non inquinato Inquinato Non inquinato Inquinato Non inquinato Inquinato b P.C., piano di campagna. Per la caratterizzazione microbiologica è stata scelta la tecnica di enumerazione MPN (Most probable number) che permette di determinare, in terreno liquido, il titolo vitale dei microrganismi. La metodica è molto rapida e si presta all’analisi sul campo (Alexander, 1982). Questa metodica è stata, di fatto, estesamente impiegata per il monitoraggio microbiologico in bonifiche di suoli contaminati da idrocarburi petroliferi, analoghi al presente, ed è considerata la metodica di riferimento per l’analisi microbiologica (Wrenn e Venosa, 1996; Bachoon et al., 2001; Eriksson et al., 2001). Tale tecnica permette di enumerare, attraverso un’analisi statistica, i microrganismi presenti nel campione e capaci di crescere su di uno specifico terreno liquido; la scelta del terreno di coltura consente l’enumerazione di specifici gruppi metabolici di microrganismi. Poiché la tecnica del MPN opera l’enumerazione in terreno liquido, elimina l’inconveniente, posto dalla tecnica di titolazione su terreno solido, della crescita di microrganismi non degradatori, ma capaci di sfruttare, come fonte di carbonio, le impurità presenti nell’Agar (Wrenn e Venosa, 1996). 105 Per ogni campione, sono stati enumerati tre diversi gruppi di microrganismi, impiegando tre diversi terreni di coltura, tutte le prove sono state condotte incubando i microrganismi alla temperatura di crescita di 32° C: • Terreno massimo Tryptic soy Broth (TSB), è un terreno ricco di sostanze nutritive, viene spesso impiegato in letteratura per l’enumerazione dei microrganismi aerobi eterotrofi totali del suolo, ossia per la determinazione del numero totale di microrganismi aerobi capaci di crescere sfruttando composti organici come fonte di carbonio (Eriksson et al., 2001). • Terreno minimo salino Bushnell-Haas (BH) (Difco), addizionato con esadecano come unica fonte di carbonio. L’esadecano è spesso impiegato in letteratura come substrato selettivo per l’enumerazione dei “degradatori” di alcani (Wrenn e Venosa, 1996). • Terreno minimo salino Bushnell-Haas (BH) (Difco), addizionato con la miscela idrocarburica contaminante (precedentemente recuperata dal sito e sterilizzata mediante filtrazione) come unica fonte di carbonio. A causa delle caratteristiche peculiari del contaminante è stata sperimentata per la prima volta una variante della tecnica MPN descritta in letteratura, adattata ad hoc alla problematica in studio: il contaminante estratto dalla falda e sterilizzato per filtrazione è stato scelto come fonte di carbonio nelle titolazioni. Abbiamo infatti ritenuto che nessuno dei composti puri o delle miscele (es. gasoli) disponibili in commercio e impiegati nei precedenti lavori possedessero caratteristiche comparabili a quelle del contaminante attuale. Essendo questo una miscela idrocarburica già abbondantemente degradata, l’esecuzione del titolo MPN in presenza di fonti di carbonio più facilmente metabolizzabili avrebbe potuto comportare una sovrastima del titolo della comunità microbica in grado di degradare il contaminante. In letteratura i microrganismi enumerati mediante la tecnica MPN, in presenza di idrocarburi come unica fonte di carbonio, vengono considerati “degradatori”. I microrganismi enumerati mediante MPN in terreno BH addizionato con il contaminante come unica fonte di carbonio sarebbero dunque in grado di degradare almeno una delle componenti della miscela idrocarburica e quindi, tra i gruppi metabolici enumerati nel presente lavoro, sarebbero i più importanti ai fini della bonifica (Wrenn e Venosa, 1996; Bachoon et al., 2001; Eriksson et al., 2001). Noi riteniamo tuttavia che l’esclusivo impiego della metodica MPN, per quanto consenta di ottenere un arricchimento di microrganismi degradatori, non permetta di trarre conclusioni definitive sulle attività degradative dei microrganismi isolati. Come verrà discusso in seguito, sono attualmente in corso esperimenti di caratterizzazione della reale capacità degradativa dei ceppi arricchiti durante gli esperimenti di titolazione. 106 12.3.2 Monitoraggio del campo di prova di bioslurping Le variazioni nel tempo dei titoli dei tre gruppi metabolici di microrganismi (espressi come cellule/g di suolo) nella zona insatura non contaminata o nella frangia capillare del pozzo BS1 sono riportate in Figura 12—15 e Figura 12—16. Per ciascun dato è riportato nel grafico anche l’intervallo di confidenza del 95%. 1e+8 1e+7 cell/gr suolo 1e+6 1e+5 1e+4 1e+3 1e+2 0 50 100 150 200 250 300 Giorni Terreno TSB Terreno BH+esadecano Terreno BH+miscela Figura 12—15. Monitoraggio del pozzo BS1 nella zona insatura non contaminata. 1. L’analisi dei dati relativi alla zona insatura non contaminata del pozzo di BS1 è la seguente: • Non assistiamo a cambiamenti significativi del titolo microbico degli eterotrofi totali; • Con esadecano, come unica fonte di carbonio, abbiamo un incremento del titolo MPN di circa 20 volte (rispetto al valore iniziale) dopo 64 giorni di ventilazione, che ritorna al valore iniziale dopo 146 giorni di ventilazione; • Con contaminante, come unica fonte di carbonio, il titolo dei microrganismi aumenta di 100 volte (rispetto al valore iniziale) dopo 64 giorni di ventilazione. Questo aumento è indice di moltiplicazione cellulare. Il titolo ritorna ai valori iniziali dopo 146 giorni di ventilazione. Prima dell’inizio della ventilazione, il numero di microrganismi in grado di crescere con il contaminante come unica fonte di carbonio, è inferiore a quello degli altri due gruppi metabolici; dopo 64 giorni di ventilazione i tre gruppi raggiungono un titolo paragonabile. 107 1e+8 1e+7 cell/gr suolo 1e+6 1e+5 1e+4 1e+3 1e+2 0 50 100 150 200 250 300 Giorni Terreno TSB Terreno BH+esadecano Terreno BH+miscela Figura 12—16. Monitoraggio del pozzo BS1 nella frangia capillare contaminata. 2. L’analisi dei dati relativi alla frangia capillare contaminata del pozzo di BS1 è la seguente: • Non assistiamo a cambiamenti significativi del titolo degli eterotrofi totali. • Il titolo dei microrganismi in grado di crescere con esadecano, come unica fonte di carbonio, aumenta a partire da 64 giorni dopo l’inizio della ventilazione. Esso raggiunge il massimo valore (pari a 400 volte del valore iniziale) dopo 146 giorni di ventilazione, per mantenersi costante nei successivi sondaggi. • Il titolo dei microrganismi in grado di crescere con contaminante, come unica fonte di carbonio, aumenta a partire da 64 giorni dopo l’inizio della ventilazione. Esso raggiunge il massimo valore (pari a 1000 volte del valore iniziale) dopo 111 giorni dall’inizio della ventilazione. Nei successivi sondaggi il titolo diminuisce di 70 volte, mantenendosi però sempre al di sopra del titolo iniziale. I dati raccolti nel pozzo BS1 indicano che, nel corso del monitoraggio, le variazioni nel titolo dei diversi gruppi metabolici non sono omogenee. Durante i primi 35 giorni di monitoraggio del pozzo BS1 non si è assistito a cambiamenti significativi nei titoli dei tre gruppi metabolici di microrganismi, sia nella zona insatura non contaminata, che nella frangia capillare contaminata, da attribuire probabilmente alla modalità di attuazione della tecnica di bioslurping nel periodo LuglioAgosto 2002. Dopo 64 giorni dall’inizio della ventilazione, ovvero dopo il cambiamento della configurazione (Tabella 17), è stato registrato un incremento significativo nel titolo dei 108 microrganismi in grado di crescere in presenza di esadecano o della miscela, come unica fonte di carbonio. La moltiplicazione è stata maggiore nella zona contaminata che nella zona non contaminata; i microrganismi in grado di crescere con miscela, come fonte di carbonio, rispondono alla ventilazione, più di quelli capaci di crescita con esadecano, al contrario i microrganismi eterotrofi totali non hanno subito un aumento del numero di cellule/g di suolo. Questo risultato sembrerebbe dunque confermare l’importanza dell’O2 come fattore limitante la crescita microbica nel sito e l’efficacia della tecnica bioslurping nello stimolare la comunità aerobia. Sulla base di quanto detto, stiamo inoltre valutando l’impiego di tecniche di biologia molecolare di caratterizzazione delle comunità microbiche, finalizzate a rendere più sensibile il monitoraggio e la valutazione della composizione della comunità di microrganismi degradatori autoctoni. L’andamento dei titoli delle tre classi di microrganismi nel sito BS2 ha mostrato un andamento di più difficile interpretazione rispetto al sito BS1. A tale proposito ricordiamo che nel periodo di attuazione della tecnica SVE nel campo di prova 2 le condizioni atmosferiche stagionali (forti precipitazioni e basse temperature) hanno causato differenti problemi, primo tra tutti una bassa efficienza del sistema di ventilazione. 109 12.4 MNA Si è deciso inoltre di valutare l’efficienza della metodica Attenuazione Naturale Controllata (MNA, Monitored Natural Attenuation) in cui sono stati individuati due siti di sperimentazione, denominati MNA1 e MNA2. L’Attenuazione Naturale Controllata (MNA, Monitored Natural Attenuation) non comporta l’utilizzo di particolari apparecchiature o la posa in opera di specifici impianti, richiede invece l’attuazione di programmate attività di monitoraggio sullo stato delle matrici ambientali investigate. 12.4.1 Monitoraggio dell’attenuazione naturale controllata (MNA) Il monitoraggio dei campi 1MNA e 2MNA è consistito nell’esecuzione di due sondaggi dopo 250 giorni dal sondaggio preliminare, al fine di registrare eventuali cambiamenti nella composizione della popolazione microbica. Per ciascuna carota sono stati prelevati due campioni rappresentativi della zona non contaminata e di quella contaminata: Data Tabella 25 Campioni raccolti nei campi di prova MNA. Tempo (giorni) Tempo (giorni) Profondità prelievo dall’inizio della dall’inizio della (m dal p.c.)b ventilazione ventilazione 16/07/2002 MNA 1.0 0 01/04/2003 MNA 1.7 250 16/07/2002 MNA 2.0 0 01/04/2003 MNA 2.7 250 2.00 6.00 2.00 6.00 2.00 5.00 2.00 6.00 Note Non inquinato Inquinato Non inquinato Inquinato Non inquinato Inquinato Non inquinato Inquinato b Piano di campagna. Le variazioni nel tempo dei titoli dei tre gruppi metabolici di microrganismi (espressi come cellule/g di suolo), nella zona insatura non contaminata o nella frangia capillare dei siti MNA1 e MNA2 sono riportate in Figura 12—17 ed in Figura 12—18. Per ciascun dato è riportato nel grafico l’intervallo di confidenza del 95%. 1. Nella zona insatura non contaminata del sito MNA1 si osserva una variazione di 16 volte, al limite della significatività, nel titolo dei microrganismi in grado di crescere in presenza di esadecano come unica fonte di carbonio. I titoli degli altri due gruppi metabolici non subiscono invece variazioni significative. 110 1e+8 1e+7 cell/gr suolo 1e+6 1e+5 1e+4 1e+3 1e+2 0 50 100 150 200 250 300 Giorni Figura 12—17. Monitoraggio del sito MNA1 nella zona insatura non contaminata. Nella frangia capillare contaminata del sito MNA1 si osservano variazioni, al limite della significatività, nel titolo degli eterotrofi totali (di 60 volte) e dei microrganismi in grado di crescere con esadecano come unica fonte di carbonio (di 20 volte). Nessun cambiamento significativo si osserva nel titolo dei microrganismi capaci di crescita con contaminante come unica fonte di carbonio. 1e+8 1e+7 1e+6 cell/gr suolo 2. 1e+5 1e+4 1e+3 1e+2 0 50 100 150 200 250 300 Giorni Terreno TSB Terreno BH+esadecano Terreno BH+miscela Figura 12—18. Monitoraggio del sito MNA1 nella frangia capillare contaminata. 111 3. Nella zona insatura non contaminata del sito MNA2 si osservano variazioni, al limite della significatività, nel titolo degli eterotrofi totali (di 47 volte), dei microrganismi in grado di crescere in presenza di esadecano come fonte di carbonio (30 volte) e dei microrganismi in grado di crescere in presenza di contaminante come fonte di carbonio (15 volte). 1e+8 1e+7 cell/gr suolo 1e+6 1e+5 1e+4 1e+3 1e+2 0 50 100 150 200 250 300 Giorni Figura 12—19. Monitoraggio del sito MNA2 nella zona insatura non contaminata. 4. Nella frangia capillare contaminata del sito MNA2 si osserva una variazione di 50 volte, al limite della significatività, nei titoli degli eterotrofi totali. 1e+8 1e+7 cell/gr suolo 1e+6 1e+5 1e+4 1e+3 1e+2 0 50 100 150 200 250 300 G io rn i T e rr e n o T S B T e rr e n o B H + e s a d e c a n o T e rr e n o B H + m is c e la Figura 12—20. Monitoraggio del sito MNA2 nella frangia capillare contaminata. In conclusione l’analisi microbiologica ha evidenziato che nei siti di attenuazione naturale, MNA1 e MNA2, si osservano variazioni, al limite della significatività, del titolo microbico. 112 13 CARATTERIZZAZIONE DELLA COMUNITÀ AUTOCTONA DEGRADANTE 13.1 Analisi della comunità microbica L’analisi della comunità microbica del sito contaminato è stata effettuata tramite: 1. Isolamento dei microrganismi arricchiti nel MPN in terreno minerale con contaminante come unica fonte di carbonio ed energia. 2. Tipizzazione dei microrganismi isolati mediante ARDRA e analisi del gene codificante il 16S rRNA. Il monitoraggio ha riscontrato un elevato titolo di microrganismi capaci di crescere in presenza di contaminante come fonte di carbonio ed energia. La presente caratterizzazione permetterà di analizzare la biodiversità della comunità microbica implicata nel processo di Biorisanamento. 13.1.1 Isolamento dei microrganismi arricchiti nel MPN L’isolamento dei ceppi è stato effettuato dall’arricchimento MPN inoculato con il campione di suolo prelevato nei sondaggi e rappresentativo della frangia capillare contaminata. L’isolamento è stato effettuato a partire da uno dei pozzetti inoculati con la diluizione maggiore che hanno dato crescita positiva. Questa strategia permette l’isolamento dei microrganismi numericamente più rappresentativi in grado di impiegare la miscela idrocarburica contaminante come substrato per la crescita. I ceppi sono stati isolati in tre passaggi in modo da ottenere colture pure (Figura 13—1 e Tabella 26). Nel corso dell’intera procedura sono state mantenute condizioni selettive, ovvero presenza del contaminante come unica fonte di carbonio, con lo scopo di isolare esclusivamente i potenziali degradatori. A tale scopo è stato impiegato il terreno minimo salino BH appositamente formulato. Il primo passaggio dell’isolamento è stato effettuato in terreno agarizzato addizionato con il contaminante (2% w/v) sotto forma di emulsione. Il contenuto del pozzetto è stato diluito serialmente e sono state piastrate le diluizioni 10-1, 10-3 e 10-5. Le colonie singole, ottenute dopo incubazione a 32°C per 10 giorni, sono state osservate allo stereo-microscopio; sono state in tal modo individuate le principali morfologie presenti in piastra e per ogni morfologia sono state scelte 113 5 colonie che sono state ristrisciate sul terreno selettivo BH + contaminante 2% (w/v). Dopo 10 giorni di incubazione è stata valutata l’entità della crescita di ciascun striscio. Il codice impiegato prevedeva i seguenti valori: – (nessuna crescita), +- (crescita stentata), + (crescita), ++ (crescita abbondante). Figura 13—1 Isolamento dei ceppi autoctoni del sito contaminato. Si è proceduto alle successive fasi di isolamento che hanno previsto due isolamenti successivi, a partire da colonia singola, di ciascun ceppo nel terreno selettivo agarizzato BH. Durante questa fase dell’isolamento, la fonte di carbonio (contaminante), era fornita sotto forma di vapori. Siamo stati costretti a non utilizzare il terreno agarizzato contenente il contaminante emulsionato, in quanto non era tecnicamente possibile eseguire isolamenti su di esso. Nel caso in cui, dopo il primo isolamento, si siano osservate più morfologie di colonia, ovvero il ceppo non era una coltura pura, si rendeva necessario procedere all’isolamento di una colonia per ciascuna morfologia osservata (ceppi denominati A, B, C, etc). Al termine della procedura di isolamento ciascun ceppo puro è stato conservato sotto forma di glicerolato. 114 Tabella 26. Ceppi isolati dall’arricchimento MPN dei campioni di sottosuolo BS1.0, BS1.2, BS1.3, BS1.4, BS1.5 in terreno minerale BH con contaminante (ceppi serie BS1.0, BS1.2, BS1.3, BS1.4, BS1.5). Ceppo Morfologia BH+YE 0.1% BS1.0C3A Bianca lucida BS1.0C21A Bianca lucida BS1.0C21B Bianca lucida BS1.0C40B Bianca lucida BS1.0C25 Bianca lucida BS1.0C40A Bianca lucida con chiazze scure Ceppo BS1.2C1Y BS1.2C4Y BS1.2C5Y BS1.2C10BY BS1.2C29CIY BS1.2C31AIY BS1.2C31AIIY BS1.2C32BY BS1.2C29AIIY BS1.2C29BIY BS1.2C32CY Rosa umbonate Rosa umbonate Rosa umbonate Bianche lucide grandi piatte Gialle ruvide margini piatti Bianche ruvide piatte Bianche ruvide piatte Gialle lucide margini piatti Rosate lucide poco bombate Crema lucide poco bombate Crema ruvida opaca margini piatti Ceppo BS1.3C1BY BS1.3C2BY BS1.3C5BIY BS1.3C4BIY BS1.3C4CY BS1.3C5BIIY BS1.3C7BY BS1.3C8Y BS1.3C9Y BS1.3C10Y Morfologia BH+YE 0.1% Gialle lucide poco bombate Gialle lucide cremosa Gialle lucide cremosa Gialle lucide poco bombate Gialle lucide poco bombate Gialle lucide poco bombate Gialle lucide poco bombate Gialle lucide poco bombate Gialle lucide poco bombate Gialle lucide poco bombate Ceppo BS1.4C25AY BS1.4C25BY BS1.4C26AY BS1.4C26BIIY BS1.4C27AIY BS1.4C27AIIBY Morfologia BH+YE 0.1% Morfologia BH+YE 0.1% Gialle bombate lucide Gialle bombate lucide Gialle piatte leggermente umbonate Rosate piatte ruvide Arancio chiare lucide Arancio chiare lucide 115 Ceppo BS1.5C2AY BS1.5C3Y BS1.5C4Y BS1.5C5AY BS1.5C7AY BS1.5C7BY BS1.5C9Y BS1.5C10Y BS1.5C11AY BS1.5C11CY BS1.5C12AIIAY BS1.5C12AIIBY BS1.5C13BY BS1.5C16BIY BS1.5C17Y BS1.5C18AIY BS1.5C18BY BS1.5C1AY BS1.5C21Y Morfologia BH+YE 0.1% Gialla margini chiari bombata Gialla lucida Gialla margini chiari bombata Gialla margini chiari bombata Bianca umbonata Bianca umbonata Bianca umbonata Bianca umbonata Gialla lucida poco bombata Bianca bombata lucida Bianca lucida umbonata Bianca lucida umbonata Bianca trasparente piccola lucida piatta Gialle umbonate Gialla lucida poco bombata Bianca lucida umbonata Bianca lucida Gialla bombata lucida Giallina lucida 13.1.1.1 Isolamento di ceppi del contaminante Una strategia alternativa che è stata impiegata al fine di isolare potenziali batteri degradatori, è stata l’esecuzione di una coltura di arricchimento in cui il contaminante è stato addizionato, prima della sua sterilizzazione, al terreno minimo salino BH. In tal modo il contaminante ha rappresentato sia l’inoculum che l’unica fonte di carbonio. L’arricchimento è stato incubato per 10 giorni alla temperatura di 32°C. Al termine della crescita si è proceduto all’isolamento e alla conservazione dei ceppi selezionati mediante la procedura descritta in precedenza (Tabella 27). Tabella 27. Ceppi isolati dal contaminante mediante arricchimento (Ceppi serie M). Ceppo M3AIA M3AIB M3BI M7A M22A M22BI Morfologia BH+YE 0.1% Arancio bombata opaca Arancio bombata lucida Arancio rugosa Arancio rugosa Arancio lucida bombata Arancio frastagliata rugosa 116 13.1.2 Tipizzazione dei microrganismi isolati mediante ARDRA “Amplified Ribosomal DNARestriction Analysis” La tecnica ARDRA fa parte di un ampio gruppo di tecniche molecolari utilizzate per la tipizzazione (diversificazione in gruppi) dei batteri (Vaneechoutte et al. 1992). In questo tipo di analisi sono accoppiate due tecniche: PCR (reazione a catena della polimerasi) e analisi di restrizione. Il 16S rDNA di un microrganismo è amplificato mediante l’impiego di primer disegnati in regioni conservate del gene 16S rDNA dei Batteri e quindi sottoposto a taglio enzimatico con un enzima di restrizione (Figura 13—2); la successiva analisi elettroforetica su gel di agarosio consente di evidenziare un profilo di restrizione caratteristico del microrganismo. La procedura è ripetuta, per ciascun ceppo, digerendo con enzimi diversi. Figura 13—2. Schematizzazione della metodologia ARDRA. La metodologia ARDRA può essere impiegata per l’analisi di isolati ambientali di cui non sia nota nessuna informazione e rende possibile valutare, in modo rapido ed economico, la biodiversità microbica della comunità oggetto di studio. Mediante confronto tra i profili ARDRA di più ceppi è possibile evidenziare differenze nei siti di riconoscimento degli enzimi di restrizione e dunque nelle sequenze dei 16S rDNA. Maggiori differenze si riscontrano nel profilo ARDRA di due microrganismi, minore sarà la similitudine di sequenza tra i loro 16S rDNA. Generalmente due isolati che mostrino profili ARDRA uguali con 3-5 enzimi di restrizione presentano un’identità di sequenza >97%. Mediante l’analisi ARDRA è dunque possibile suddividere gli isolati in gruppi omogenei, composti da ceppi filogeneticamente vicini. Questa metodologia è stata ampiamente applicata all’analisi delle comunità microbiche naturali in studi di ecologia microbica e di selezione di ceppi di interesse biotecnologico. 117 Tutti gli isolati sono stati caratterizzati mediante l’analisi molecolare ARDRA. Per ciascun ceppo in esame si è proceduto alla: • estrazione del DNA da colture pure cresciute su terreno agarizzato. • amplificazione mediante PCR del gene codificante il 16S rRNA (questo marcatore genetico è presente in tutti gli organismi viventi e sono disponibili inneschi universali che ne permettono l’amplificazione senza alcuna conoscenza preliminare del ceppo). • Il 16S rDNA amplificato è poi digerito mediante enzimi di restrizione e quindi analizzato mediante elettroforesi su gel di agarosio. Il DNA totale è stato estratto impiegando il FastDNA Kit (BIO 101), insieme alla macchina FastPrep Instrument. Questa metodica permette di ottenere un DNA amplificabile da una vastissima gamma di batteri, sia Gram positivi che Gram negativi, senza alcuna messa a punto preliminare. Il DNA estratto è stato controllato mediante elettroforesi su gel di agarosio (0,6%) e impiegato per amplificare, mediante PCR, il 16S rDNA. E’ stato verificato mediante corsa elettroforetica su gel di agarosio (0,8%) che il prodotto amplificato avesse le dimensioni attese di 1.500 pb (Figura 13—3). Il 16S rDNA dei ceppi isolati da una coltura di arricchimento, in cui il contaminante ha rappresentato sia l’inoculum che l’unica fonte di carbonio (serie M), è stato digerito mediante trattamento con tre enzimi di restrizione (Alu I, Rsa I e Hinf I) in digestioni singole. Il profili visualizzati mediante corsa elettroforetica sono stai analizzati mediante il programma informatico Kodak 1D versione 3.5 (Figura 13—4). Tutti gli isolati della serie M presentano un ugual profilo con tutti e tre gli enzimi utilizzati. I ceppi appartengono dunque ad un unico gruppo ARDRA (Gruppo M). Il risultato dell’analisi è mostrato in Tabella 28 ed in Tabella 29 Tabella 28. Profili ottenuti tagliando con le endonucleasi Alu I, Rsa I e Hinf I i 16S rDNA amplificati dei ceppi della serie M. Non sono considerate le bande al di sotto di 100 pb. Banda (pb) Alu I Rsa I Hinf I 1° 410 290 950 2° 325 390 3° 300 480 4° 250 5° 210 6° 155 118 Tabella 29. Profili di restrizione dei ceppi isolati dalla miscela contaminante (ceppi serie M). Nome ceppo M3AIA M3AIB M3BI M7A M22A M22BI Gruppo ARDRA Sequenza 16SrDNA M M M M M M Nd Nd Nd Nd Nd + Figura 13—3. Esempio di analisi elettroforetica dei 16S rDNA amplificati. Ordine dei campioni: 1) BS1.0C3; 2) M3AIA, 3) M3AIB, 4) BS1.0C21, 5)BS1.0C25, 6) M22A, 7)M22BI, 8)BS1.0C40A, 9)BS1.0C40B, 10) marcatore di peso molecolare 1Kb. Figura 13—4. Esempio di analisi elettroforetica dei frammenti di restrizione generati con l’enzima Alu I. Ordine dei campioni: 1) Marcatore di peso molecolare 100 pb, 2) BS1.0C3, 3) M3AIA, 4) M3AIB, 5) BS1.0C21, 6) BS1.0C25, 7) M22A. 119 La tipizzazione dei ceppi isolati dagli arricchimenti MPN è stata effettuata impiegando un solo enzima di restrizione. Gli isolati di un singolo pozzetto MPN, inoculato con la diluizione massima che ha dato crescita, derivano, infatti, dalla divisione clonale di un numero di limitato di cellule compreso tra 1-10; è dunque altamente probabile che isolati con lo stesso profilo siano cloni di una singola cellula inizialmente inoculata nel pozzetto. I 16S rDNA dei ceppi isolati, dopo arricchimento MPN, dalla frangia capillare dei campioni prelevati ai tempi 0 (BS1.0), 2 (BS1.2), 3 (BS1.3), 4 (BS1.4) e 5 (BS1.5) sono stati digeriti, dopo amplificazione in PCR, con il solo enzima di restrizione Alu I. I frammenti di restrizione prodotti da ciascuna reazione sono stati analizzati mediante elettroforesi su gel di agarosio (Figura 13—3). Tutti gli isolati della serie BS1.0 mostravano lo stesso profilo con l’enzima Alu I, denominato Profilo 1 e sono stati dunque collocati nello stesso gruppo ARDRA (Tabella 30). Anche i ceppi delle serie BS1.3 e BS1.4 sono riconducibili, ciascuno, a un singolo profilo (Profili 5 e 6, rispettivamente). Gli isolati della serie BS1.2 sono stati raggruppati in 6 gruppi ARDRA sulla base dei profili Alu I ottenuti (Profili 2, 3, 4, 10, 11, 12) (Tabella 31). Anche gli isolati della serie BS1.5 sono riconducibili a 6 differenti profili Alu I (Tabella 31). Tabella 30. Profili ottenuti tagliando, con la endonucleasi Alu I, i 16S rDNA amplificati dei ceppi della serie BS1.0 e BS1.2. Non sono considerate le bande al di sotto di 100 pb. BS 1.0 Banda (pb) 1° 2° 3° 4° 5° 6° Profilo 1 320 300 250 215 BS 1.2 Profilo 2 1095 770 620 430 150 Profilo 3 250 215 190 165 150 130 Profilo 4 450 420 210 180 Profilo 10 320 395 250 210 170 Profilo 11 405 320 295 210 135 Profilo 12 355 255 240 155 Tabella 31. Ceppi isolati dal suolo della frangia capillare contaminata nel corso del monitoraggio (Ceppi serie BS1.0, BS1.2, BS1.3, BS1.4 e BS1.5). Ceppo BS1.0C3A BS1.0C21A BS1.0C21B BS1.0C40B BS1.0C25 BS1.0C40A Profilo Alu I Sequenza del 16S rDNA 1 1 1 1 1 1 Nd Nd + Nd Nd Nd 120 Ceppo BS1.2C3Y BS1.2C4Y BS1.2C5Y BS1.2C10BY BS1.2C31AIY BS1.2C31AIIY BS1.2C27AY BS1.2C32BY BS1.2C29AIIY BS1.2C32CY Ceppo BS1.3C1BY BS1.3C2BY BS1.3C4BIY BS1.3C4CY BS1.3C5BIIY BS1.3C5BIY BS1.3C7BY BS1.3C8Y BS1.3C9Y BS1.3C10Y Nome ceppo BS1.4C25AY BS1.4C25BY BS1.4C26AY BS1.4C26BIIY BS1.4C27AIY Nome ceppo BS1.5C3Y BS1.5C16BIY BS1.5C1AY BS1.5C2AY BS1.5C4Y BS1.5C5AY BS1.5C11AY BS1.5C11CY BS1.5C13BY BS1.5C12AIIBY BS1.5C18BY BS1.5C9Y BS1.5C10Y BS1.5C21Y Profilo Alu I Sequenza del 16S rDNA 2 2 2 3 4 4 10 10 6 12 Nd Nd + + + Nd + Nd + + Profilo Alu I Sequenza del 16S rDNA 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 + + Nd Nd Nd Nd Nd Nd Nd Nd Profilo Alu I Sequenza del 16S rDNA 6 6 6 6 6 Nd + Nd Nd + Profilo Alu I Sequenza del 16S rDNA 5 5 7 7 7 7 7 8 8 9 9 14 14 15 Nd + + Nd Nd Nd + + Nd Nd + + Nd + 121 13.1.2.1 Analisi del 16S rDNA del ceppo M22BI isolato dal contaminante E' stato scelto il ceppo M22BI come rappresentante del gruppo ARDRA M, caratteristico di tutti i ceppi della serie M; per questo ceppo è stata effettuata la determinazione della sequenza nucleotidica del gene 16S rDNA. Il 16S rDNA amplificato del ceppo M22BI è stato sequenziato impiegando i primer P0 e P6; nel complesso è stata determinata la sequenza di 1.449 pb. La sequenza determinata è stata confrontata con la banca dati RDP II (Ribosomal Database Project II, Cole et al, 2003) mediante l’impiego della funzione Similarity Matrix ver. 1.1. Il risultato dell’analisi è mostrato nella Tabella 32 e nella Figura 13—5. Figura 13—5. Risultato dell’analisi mediante Similarity Matrix ver. 1.1 della sequenza 16S rDNA del ceppo M22BI. Tabella 32. Risultato dell’analisi mediante Similarity Matrix ver. 1.1 della sequenza 16S rDNA del ceppo M22BI Specie Gordonia amicalis Gordonia rubripertincta Gordonia desulfuricans Gordonia bronchialis Gordonia alkanivorans n° di accesso Ceppo Similitudine % con M22BI Bibliografia AF101418 Grd.rubper AF101416 Grd.bronc4 Y18054 DSM 44369T DSM43197T NCIMB 40816T DSM43247T DSM 44369T 100.0 99.0 98.3 98.0 97.8 Kim et al, 2000 Klatte et al, 1994 Kim et al, 1999 Ruimy et al, 1995 Kummer et al, 1999 13.1.2.2 Analisi del 16S rDNA dei ceppi isolati dal suolo della frangia capillare contaminata E’ stata determinata la sequenza nucleotidica parziale, impiegando il primer P0, del 16S rDNA amplificato di almeno un rappresentante per ciascun profilo Alu I individuato nell’analisi dei ceppi delle serie BS1.0-BS1.5. Le sequenze determinate sono state confrontate con la banca dati RDP II, 122 mediante l’impiego della funzione Similarity Matrix versione 1.1. Il risultato dell’analisi è mostrato nella Tabella 33. Tabella 33. Analisi del 16S rDNA dei ceppi isolati dal suolo della frangia capillare contaminata nel corso del monitoraggio. Profilo Nome ceppo Campione ARDRA Alu I BS1.0C21B BS1.0C 1 BS1.2C5Y BS1.2C 2 BS1.2C10BY BS1.2C31AY BS1.2C27AY BS1.2C29AIIY BS1.2C32CY BS1.3C1BY BS1.4C25BY BS1.5C11AY BS1.5C9Y BS1.2C BS1.2C BS1.2C BS1.2C BS1.2C BS1.3C BS1.4C BS1.5C BS1.5C 3 4 10 6 12 5 6 7 14 BS1.5C11CY BS1.5C 8 BS1.5C16BIY BS1.5C18BY BS1.5C BS1.5C 5 9 BS1.5C21Y BS1.5C 15 Ribosomal DataBase Project Best Match Similitudine % Arthrobacter globiformisT Methylobacterium sp. str. GK101 Rhizobium giardiniiT Paenibacillus maceransT Micrococcus sp.1F-15 Gordonia sp. Rhodococcus sp. 309 Xanthobacter flavus H4-14 Gordonia sp. T Xanthobacter autotrophicus Afipia genosp. 7 G8643 Brachymonas petroleovorans CHX * Xanthobacter flavus H4-14 Rhizobium galegae 59A2 Stenotrophomonas maltophilia LMG 10857 Degradatori di idrocarburi in letteratura 98.7 + 100.0 + 100.0 96.2 99.7 99.8 100.0 100.0 99.8 100.0 98.9 + + + + + + + + 99.8 + 100.0 96.7 + - 97.5 + Le sequenze determinate sono state impiegate per la costruzione di alberi filogenetici mostrati nella Figura 13—6. 123 Figura 13—6. Alber filogenetici costruiti mediante il confronto delle sequenze nucleotidiche del 16S rDNA dei ceppi isolati e dei ceppi tipo delle specie filogeneticamente relazionate. A) Isolati appartenenti all’ordine Actinomycetales e ceppi tipo di specie rappresentative dell’ordine. L’albero è stato radicato impiegano la sequenza del ceppo Streptomyces tendaeT. B) Isolati appartenenti all’ordine Rhizobialaes. L’albero è stato radicato impiegando la sequenza del ceppo Rhodobacter capsulatusT appartenente all’ordine Rhodobacterales. A 92 60 Gordonia amicalis IEGM T M22 Gordonia 37 BS1.2C29A 58 BS1.4C25 100 43 Gordonia terraeT Gordonia desulfuricansT 87 97 Gordonia alkalivorans T Gordonia nitida 100 T Rhodococcus Rhodococcus 96 Rhodococcus Rhodococcus Rhodococcus sp. 77 99 BS1.2C32 71 58 96 84 attinomiceti CMN Arthrobacter Arthrobacter Arthrobacter Arthrobacter BS1.0C2 97 43 Micrococcus Micrococcus BS1.2C27 99 78 73 Micrococcus sp. Micrococcus Streptomyces tendae 0,01 attinomiceti 124 B T Xanthobacter flavus T Xanthobacter aminoxidans 69 91 98 58 Genere Xhantobacter BS1.3C1BY T Xanthobacter autotrophicus 77 99 BS1.5C16BIY 100 BS1.5C11AY T Xanthobacter agilis T Xanthobacter tagetidis Afipia genosp. 7 92 100 BS1.5C9Y Bosea sp. 7F T Methylobacterium rhodinum T Methylobacterium zatmanii 100 Genere T Methylobacterium extorquens 89 Methylobacterium Methylobacterium sp. GK101 67 100 83 100 50 100 85 26 53 64 Famiglia Bradyrhizobiaceae T Rhizobium giardinii BS1.2C5Y BS1.2C10BY T Agrobacterium rhizogenes T Rhizobium gallicum T Gruppo Rhizobium yanglingense T Rhizobium radiobacter Rhizobium/Agrobacterium BS1.5C18BY T Rhizobium huautlense Rhizobium galegae 59A2 83 T 93 Rhizobium galegae Rhodobacter capsulatus 0,02 T α-proteobatteri L’analisi complessiva dei dati ottenuti evidenzia che la comunità aerobia coltivabile che popola la frangia capillare contaminata del sottosuolo in studio è dominata da un numero relativamente ristretto di generi batterici. In particolare risultano predominanti ceppi appartenenti agli ordini Rhizobiales ed Actinomycetales. L’analisi condotta dimostra che il ceppo BS1.0C21B appartiene al genere Arthrobacter, un genere frequentemente isolato da suoli contaminati da idrocarburi petroliferi. I ceppi BS1.2C29AIIY, BS1.2C32CY e BS1.4C25BY, appartengono al complex CMN, con (Corynebacterium-Mycobacterium-Nocardia). I batteri appartenenti a questo gruppo sono caratterizzati da una peculiare struttura di parete, caratterizzata dalla presenza di acidi micolici idrofobici. Sono stati descritti svariati ceppi appartenenti al complex CMN capaci di degradare gli idrocarburi petroliferi e probabilmente la parete idrofobica che li caratterizza è implicata nel 125 processo. Anche il ceppo M22BI, arricchito direttamente dal contaminante recuperato dalla falda,è riconducibile al genere Gordonia. In particolare il ceppo M22BI appartiene ad un gruppo di specie filogeneticamente molto vicine, comprendente G. amicalis, G. rubripertincta, G. desulfuricans, G. alkanivorans. E’ interessante notare che i ceppi tipo delle specie G. amicalis e G. desulfuricans sono stati isolati da suolo e sono in grado di desulforare il dibenzotiofene, uno dei componenti della miscela idrocarburica contaminante nel sito da noi analizzato. Ceppi della specie G. alkanivorans degradano invece gli alcani. Il ceppo BS1.2C27AY è stato collocato nel genere Micrococcus; non sono noti al momento isolati di questo taxon degradatori, tuttavia il genere viene spesso isolato da campioni di sottosuolo. Il ceppo BS1.2C31AY è stato collocato all'interno del genere Paenibacillus. Batteri appartenenti a tale genere sono stati isolati da arricchimenti in naftalene e fenantrene di sedimenti e della rizosfera di paludi salate contaminate da idrocarburi petroliferi e si sono dimostrati in grado di utilizzare tali composti come unica fonte di carbonio (Daane et al., 2002). Tra questi è stata individuata una nuova specie, il P. naphtalenovorans. Daane et al. (2001) ipotizzano inoltre che gli isolati appartenenti a tale genere presentino nuovi geni per la degradazione degli IPA, rispetto a quelli fino ad ora noti. Tre degli isolati (BS1.3C2BY, BS1.5C11AY, BS1.5C16BIY) appartengono al genere Xanthobacter. Ceppi appartenenti a tale genere sono in grado di crescere utilizzando composti aliciclici come fonte di carbonio e in tali microrganismi è stata individuata un nuovo tipo di monossigenasi (BVMO, Baeyer-Villiger monooxygenase) (Beilen et al., 2003). Il ceppo X. autotrophicus GJ10 ha mostrato attività di degradazione su composti alifatici alogenati (Janssen et al., 1985 e 1995), mentre nel ceppo Xanthobacter Py2 è stato individuato il sistema di ossidazione degli alcheni e degli epossidi, i cui enzimi chiave sono rappresentati dalla alchene monossigenasi ed epossidasi (Ensign,1996). Il ceppo BS1.5C21Y è stato collocato all’interno del genere Stenotrophomonas, un genere definito soltanto nel 1993 (Palleroni and Bradbury). Il ceppo VUN 10,010, attribuito alla specie S. maltophilia, è stato isolato da suoli contaminati da IPA (Boonchan et al., 1998), esso utilizza il pirene come unica fonte di carbonio e di energia ed inoltre si è dimostrato in grado di degradare anche altri IPA ad alto peso molecolare contenenti più di sette anelli benzenici. La letteratura inoltre riporta che la S. maltophilia T3-c, isolata da un biofiltro per la rimozione del benzene, toluene, etilbenzene e xilene (BTEX) (Lee et al, 2002) cresce utilizzando tali composti, aggiunti singolarmente ad un terreno minimo salino, come unica fonte di carbonio. I ceppi BS1.2C5Y e BS1.5C9Y sono stati assegnati rispettivamente al genere Methylobacterium ed al genere Afipia mentre i ceppi BS1.2C10BY e BS1.5C18BY sono stati 126 collocati nel gruppo Rhizobium/Agrobacterium. In letteratura microrganismi appartenenti a tali generi non sono mai stati annoverati in precedenza come degradatori di idrocarburi petroliferi; solo recentemente (Bodour et al., 2003) è stata dimostrata la capacità di degradare il fenantrene da parte di alcuni rizobi e ceppi di Afipia isolati da una colonna impaccata con terreno argilloso e sabbioso ed esposta, per 6 mesi, ad una soluzione satura di fenantrene. Il ceppo BS1.5C11CY non presenta sequenze simili in RDPII, solamente nella banca dell’ NBCI è presente un’unica sequenza simile (99.8%) di un ceppo appartenente ad un genere non ancora classificato e denominato Brachymonas petroleovorans CHX, appartenete ai β-Proteobatteri (Comamonadaceae). Il ceppo è in grado di degradare il cicloesano ed è stato isolato da campioni di acqua reflua di una raffineria. 127 14 Valutazione delle capacità degradative del microrganismo selezionato Gordonia M22BI 14.1 Determinazione dei migliori ceppi idrocarburo-degradanti isolati dal sito contaminato Nel corso della bonifica è stato monitorato, come parametro microbiologico, il titolo dei microrganismi in grado di crescere in presenza di contaminante come fonte di carbonio (determinato con la metodologia MPN). Come già accennato, riteniamo che l’enumerazione MPN, per quanto consenta di ottenere un arricchimento di microrganismi degradatori, non permetta di trarre conclusioni definitive sulle attività degradative dei microrganismi isolati. Nel terreno minerale impiegato per l’arricchimento potrebbero, infatti, crescere anche microrganismi oligotrofi e chemiolitotrofi autotrofi. Tra i batteri isolati dal sito contaminato e selezionati per la capacità di impiegare la miscela idrocarburica contaminante come substrato, il Gordonia M22BI ha mostrato, in generale le migliori capacità di crescita: • cresce più velocemente, rispetto a tutti gli altri isolati, in terreno agarizzato con miscela idrocarburica contaminante come fonte di carbonio ed energia, formando colonie ben visibili in una settimana di crescita a 32°C . • tra tutti gli isolati è l’unico in grado di rompere lo strato di NAPL nelle colture in terreno liquido BH2 con contaminante (2% p/v) dopo 7 giorni di crescita a 32°C in agitazione. Da evidenziare inoltre che il genere Gordonia risulta essere un genere emergente nei processi di bioremediation (Arenskötter et al, 2004). Sono state quindi sperimentate una serie di procedure. descritte in letteratura, atte a verificare le effettive capacità degradative dei ceppi isolati. Impiegando idrocarburi puri come fonte di carbonio sono state eseguite le seguenti prove: 1. Crescita su terreno agarizzato con idrocarburi forniti sotto forma di vapore 2. Crescita su terreno agarizzato con idrocarburi sublimati 3. Crescita in terreno liquido Al fine di garantire che tutte le prove fisiologiche fossero effettuate a partire da un clone è stata seguita la seguente procedura: 128 a) il ceppo, conservato sotto forma di glicerolato, è stato isolato su terreno solido e fatto crescere a 32°C b) una colonia singola è stata strisciata di nuovo su terreno solido c) a partire dallo striscio è stata preparata una sospensione cellulare in soluzione fisiologica d) la sospensione è stata diluita in modo da ottenerne una con D.O.600 pari a 1.0. 14.1.1 Crescita su terreno agarizzato con idrocarburi forniti sotto forma di vapore 10 µl della sospensione cellulare (D.O.600 = 1) sono strisciati su 7 piastre contenenti il terreno BH agarizzato. Gli idrocarburi, elencati in tabella 1, sono stati posti su un disco sterile di carta bibula, posizionato sul coperchio della piastra Petri. Le piastre sono state incubate a 32°C e la crescita è stata valutata a tempi diversi (Tabella 34). Tabella 34. Crescita su terreno agarizzato con idrocarburi forniti sotto forma di vapore del ceppo M22BI. – (nessuna crescita), +- (crescita stentata), + (crescita), ++ (crescita abbondante). Crescita Crescita Crescita Idrocarburo Classe Stato Atomi di C Quantità (mg) 2 gg 5 gg 30 gg Fenantrene 2-Metil naftalene Naftalene Esadecano Octacosano Contaminante Controllo Aromatico Aromatico Aromatico n-Alcano n-Alcano Miscela* - Solido Liquido Solido Liquido Solido Liquido - 14 11 10 16 28 - 25 25 25 25 25 89 0 +++++ ++ +- ++++++ +++ +- ++++++ ++ ++ +- Il ceppo M22BI si è mostrato in grado di crescere e presumibilmente di degradare sia composti puri quali l’esadecano (Figura 14—1), un n-alcano di media lunghezza, e l’octacosano, un n-alcano a catena lunga, sia la miscela contaminante. Al contrario non ha mostrato una crescita, significativamente diversa dal controllo, con idrocarburi aromatici. Figura 14—1 Crescita su terreno agarizzato del ceppo M22BI. Controllo senza fonte di carbonio (a sinistra); con esadecano sotto forma di vapore (a destra). 129 14.1.2 Crescita su terreno agarizzato con idrocarburi sublimati. I composti insolubili in acqua ed i solidi possono essere forniti come fonte di carbonio per la crescita in terreno solido oltre che come vapori anche con metodi che, con procedure diverse, depositano il composto sull’agar. Questi ultimi metodi offrono il vantaggio di poter visualizzare l’attività di degradazione mediante formazione di aloni e non solamente valutando l’entità della crescita. Nel 1982 Kyohara et al descrissero il metodo “spray-plate method” per lo screening di batteri idrocarburo-degradanti: il metodo prevedeva la vaporizzazione di idrocarburi policiclici aromatici, solubilizzati con solventi organici, con un vaporizzatore per cromatografia a strato sottile, su una piastra agarizzata contenente sali minerali. Dopo l’incubazione, i ceppi degradatori erano individuati mediante comparsa di aloni di chiarificazione attorno alle colonie (un alone trasparente). Questo metodo, estesamente impiegato, presenta tuttavia diversi problemi. Il composto deve essere solubilizzato con acetone o etere i quali possono avere effetti tossici sui batteri o possono essere utilizzati come una fonte alternativa di carbonio. Se i composti sono vaporizzati sulla piastra, prima che venga effettuato lo striscio, la distribuzione del composto può diventare non uniforme; se invece le piastre sono vaporizzate dopo aver seminato il ceppo, le colonie possono risentire dell’impatto delle gocce di solvente. Inoltre la quantità di composto vaporizzata sull’agar non può essere facilmente controllata, risulta inoltre difficile vaporizzare le piastre in modo asettico. Per tutti questi motivi, si è deciso di impiegare un metodo alternativo (Alley e Brown, 2000) che ha permesso di depositare in sicurezza un sottile ed uniforme strato di composto sulla superficie dell’agar mediante sublimazione del composto, evitando quindi l’uso di solventi. Il composto saggiato è stato il fenantrene e Gordonia M22BI il ceppo di cui è stata indagata la capacità di degradazione. Come ceppo di controllo (Figura 14—2) è stato utilizzato un isolato di cui era stata precedentemente attestata la capacità di degradare il fenantrene. Il ceppo “controllo” è risultato positivo, come atteso, alla prova mentre il ceppo M22BI si è rivelato incapace di degradare il fenantrene, confermando i dati ottenuti nella prova di crescita su terreno agarizzato con idrocarburi forniti sotto forma di vapore. Figura 14—2. Prova di degradazione del fenantrene 130 14.1.3 Crescita in terreno liquido In questa prova la sospensione cellulare del ceppo Gordonia M22BI (D.O.600=1) è stata diluita in 25 ml di terreno liquido BH2, in una beuta da 250 ml, alla densità cellulare finale di D.O.600= 0.01. Gli idrocarburi, elencati in Tabella 35, sono stati addizionati alle beute in forma solida o liquida. Poiché i composti non erano preventivamente sterilizzati, per verificare che essi non apportassero una contaminazione, per ciascun composto è stato condotto un esperimento di controllo in cui si ometteva di aggiungere l’inoculum batterico, ma si addizionava il composto. Tutte queste prove di controllo hanno dato, come atteso, esito negativo. Tabella 35. Crescita su terreno liquido con idrocarburi del ceppo M22BI. – (nessuna crescita), +- (crescita stentata), + (crescita), ++ (crescita abbondante). CFU: colony forming units. Idrocarburo Fenantrene 2-Metil naftalene Naftaline Octacosano Contaminante Controllo Classe Quantità (mg) Aromatico Aromatico Aromatico n-Alcano Miscela* - 25 25 25 25 89 0 Titolo vitale (CFU/ml)*105 0 gg 7 gg 11 gg 7 7 7 7 7 7 3450 63 61 1300 100 53 Le colture sono state incubate a 32°C in agitazione continua; la crescita è stata seguita determinando il titolo vitale mediante piastramento in terreno agarizzato (Figura 14—3). Il controllo dell’esperimento è rappresentato dalla crescita in terreno BH2 privo di fonte di carbonio. Titolo vitale (cfu/ml) 1,00E+09 1,00E+08 1,00E+07 1,00E+06 1,00E+05 0 2 4 6 8 10 12 T empo (giorni) Figura 14—3. Andamento nel tempo dei titoli vitali del ceppo M22BI. Blu: BH+octacosano; Rosa: BH+contaminante; Verde: BH. Il ceppo M22BI ha mostrato una significativa crescita in presenza di n-octacosano, dimostrata anche dall’intorbidimento della coltura (Figura 14—4). 131 Figura 14—4. Prova di degradazione dell’octacosano con il ceppo M22BI. Beuta di controllo senza idrocarburo (a sinistra) e la beuta con idrocarburo (a destra). Tuttavia, riteniamo che il titolo sia stato abbondantemente sottostimato, in quanto l’analisi allo stereo-microscopio dei grani di n-octacosano solido rivela che il ceppo aveva prodotto un biofilm sulla sua superficie del substrato (Figura 14—5). Figura 14—5. Ingrandimento di un grano di octacosano solido ricoperto da un film di batteri di colore arancio (l’octacosano puro si presenta originariamente di colore bianco) Il titolo vitale del ceppo M22BI non mostra una differenza significativa nella coltura con contaminante come fonte di carbonio, rispetto al controllo (Figura 14—3). Tuttavia l’intorbidimento della coltura e un’abbondante emulsificazione del contaminante suggeriscono che il ceppo operi una degradazione del contaminante, anche se non accompagnata da un incremento nella biomassa batterica. 132 14.2 Prove di degradazione in batch La biodegradazione del gasolio è stata oggetto di numerosi studi. Sono stati caratterizzati numerosi ceppi, sia Gram-positivi che Gram-negativi, capaci di utilizzare le sue frazioni idrocarburiche come fonte di carbonio ed energia per la crescita. É stato estesamente dimostrato tuttavia, che non tutte le sue componenti presentano lo stesso grado di biodegradabilità e che la componente ramificata è la meno biodegradabile in prove in coltura liquida con ceppi puri (Whyte et al., 1998) o in consorzio (Marchal et al., 2003). Poco è noto invece sulla biodegradabilità di un gasolio “invecchiato” a seguito di una prolungata permanenza nel suolo, nonostante questa tipologia di contaminazione sia molto diffusa, rappresentando quindi un problema sia ambientale che di salute pubblica. La caratterizzazione delle proprietà cataboliche del ceppo Gordonia M22BI è stata fatta principalmente in relazione ad un suo utilizzo come additivo da impiegare per migliorare il processo di biorisanamento di suoli contaminati da prodotti petroliferi (sono in fase di caratterizzazione, anche altri ceppi, con lo scopo di ottenere in futuro un potenziale consorzio con buone capacità degradative). Scopi di questa serie di esperimenti sono stati quindi quelli di: 1. Stimare le capacità di degradazione del ceppo Gordonia M22BI 2. Valutare lo spettro delle componenti degradabili di un gasolio commerciale e di un “gasolio invecchiato” 3. Seguire la curva di crescita con gasolio commerciale o di un “gasolio invecchiato” come substrato per la crescita, tramite determinazione del contenuto di DNA totale 14.2.1 Biodegradazione della miscela idrocarburica contaminante Come modello per lo studio della capacità degradativa del ceppo M22BI è stato impiegata la miscela contaminante, recuperata dal sito contaminato (precedentemente descritto) e sterilizzata per filtrazione. La valutazione della degradazione è stata effettuata misurando la concentrazione idrocarburica residua “Total Petroleum Hydrocarbons” (TPH), mediante gas-cromatografia (GC/FID). La concentrazione idrocarburica residua è stata misurata in doppio paragonando due serie sperimentali: 1. Beute con 20 ml di BH + miscela contaminante 1 g/L (controllo abiotico) 2. Beute con 20 ml di BH + miscela contaminante 1 g/L + Gordonia M22BI (OD6000 = 0,5) 133 14.2.1.1 Total Petroleum Hydrocarbons (TPH) L’analisi è stata effettuata sia sulla coltura inoculata che nel controllo abiotico (non inoculato), allo scopo di determinare l’entità della biodegradazione degli idrocarburi, o eventualmente, della perdita abiotica. Le concentrazioni residue di idrocarburi nelle due prove, ai vari tempi cinetici, sono mostrate in Tabella 36: Tabella 36. Degradazione della miscela contaminante operata dal ceppo M22BI (TPH) Media Miscela Media Miscela Dev.St. Abiotico Dev.St. Degradato TEMPO Controllo Abiotico (mg/L) Degradata (mg/L) 0 1 2 3 7 14 927 779 776 710 718 744 51 22 19 40 18 23 922 918 956 873 889 967 65 2 27 Dopo 7 giorni di incubazione a 32°C in agitazione (150 rpm) in terreno BH2 contenente lo 1 g/l di miscela contaminante, il limite generale di degradazione è stato del 23%. Dopo 14 giorni non è stata osservata una degradazione ulteriore. DEGRADAZIONE MISCELA Concentrazioni (mg/L) 1200 1000 800 600 400 Controllo Abiotico 200 Contaminante + M22 0 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 Giorni (gg) Figura 14—6. Andamento della degradazione della miscela contaminante operata dal ceppo Gordonia M22BI 14.2.1.2 Analisi per classi di contaminanti L’analisi della degradazione per classi di contaminanti è stata effettuata elaborando i cromatogrammi ottenuti utilizzando come detector lo spettrometro di massa, selezionando gli ioni 134 caratteristici di alcani lineari e ramificati (ione selezionato 71 m/z) e di monoaromatici alchilsostituiti e naftaleni alchil-sostituiti (ioni selezionati 119+134+141+155+169). In Figura 14—7 sono mostrati il profilo cromatografico GC/MS del controllo non inoculato e della coltura inoculata. B1 DMN B B M B TMN B B MA Figura 14—7. GC/MS analisi della miscela contaminante estratta da un controllo non inoculato (in alto) ed di una coltura inoculata con Gordonia M22BI (in basso), dopo 10 giorni di incubazione at 32°C. Profilo GC totale MA: monoaromatici alchil-sostituiti B: alcani ramificati; MN metil naftaleni; DMN: dimetil naftaleni; TMN: trimetil naftaleni; B1: pristano; B2: fitano. Per determinare il limite della degradazione delle differenti classi di idrocarburi della miscela contaminante, la somma delle aree dei singoli picchi al tempo 0 (dai campioni in duplicato) è stata confrontata con la somma delle aree dei picchi dopo 7 giorni. La biodegradazione è stata calcolata utilizzando l’equazione 4: Biodegradazione (%) = (∑ Ait =0 − ∑ Ait =7 ) i i ∑ Ait =0 × 100 EQUAZIONE 4 i dove, ∑A è la somma delle aree dei singoli picchi al tempo 0 giorni, ∑A è la somma delle aree dei singoli picchi al tempo 7 giorni, t =0 i i t =7 i i 135 Alifatici Ramificati e Lineari In Tabella 37 sono riportati i valori normalizzati delle aree dei singoli picchi ai vari tempi cinetici analizzati. Il valore della degradazione, calcolato per i singoli picchi e per la totalità dei composti presi in esame, è riferito al tempo 7 giorni. Tabella 37. Miscela contaminante - Degradazione degli alcani lineari ed a catena ramificata ALIFATICI RAMIFICATI E LINEARI Tempi di Ritenzione 16,80 17,91 19,44 20,61 21,96 23,00 23,68 24,24 24,90 25,80 Area Totale Area Standard Interno Area T=0 247.429 322.615 615.114 719.463 188.623 742.974 1.103.344 281.365 868.042 220.921 5.309.890 4.085.583 Area T=1 110.999 139.080 353.948 594.338 162.405 469.893 1.075.756 179.007 892.984 240.936 4.219.345 4.044.550 Area T=7 72.419 52.582 179.973 309.171 61.303 332.637 820.437 96.121 782.034 200.449 2.907.126 4.060.496 Degradazione Finale (%) 71 84 71 57 67 55 26 66 10 9 45 La maggior parte degli alcani a catena ramificata ed i pochi alcani lineari presenti nella miscela sono stati degradati dopo 7 giorni, con una degradazione totale del 45%. In Figura 14—8 è riportato il cromatogramma degli alcani a catena ramificata al tempo 0 e dopo 7 giorni: risulta evidente la diminuzione delle aree dei picchi. I principali picchi residui identificabili sono stati quelli del pristano e del fitano. Il grado di degradazione del pristano (26%) è stato più alto di quello del fitano (10%). Figura 14—8. GS/MS della miscela contaminante - Alifatici ramificati e lineari 136 In Figura 14—9 i valori della degradazione dei singoli picchi sono riportati come istogramma. ALIFATICI RAMIFICATI E LINEARI Singoli Composti Degradazione (%) 100 84 80 71 71 67 57 60 40 66 55 26 20 10 9 0 16,80 17,91 19,44 20,61 21,96 23,00 23,68 24,24 24,90 25,80 Tempi di Ritenzione (min) Figura 14—9. Miscela contaminante: Alifatici ramificati e lineari Monoaromatici Alchil-Sostituiti, Naftaleni Alchil-Sostituiti, Nafteni Alchil-Sostituiti. In Tabella 38, in Tabella 39 ed in Tabella 40 sono riportati i valori normalizzati delle aree dei singoli picchi ai vari tempi cinetici analizzati, rispettivamente per i monoaromatici alchil-sostituiti, i naftaleni alchil-sostituiti ed i nafteni alchil-sostituiti. Il valore della degradazione, calcolato per i singoli picchi e per la totalità dei composti presi in esame, è riferito al tempo 7 giorni. In Figura 14—10, in Figura 14—11 ed in Figura 14—12 i valori della degradazione dei singoli picchi sono riportati come istogrammi. Tabella 38. Miscela contaminante - Degradazione dei monoaromatici alchil sostituiti MONOAROMATICI ALCHIL SOSTITUITI Tempi di Ritenzione 13,68 15,05 15,64 16,05 16,30 16,94 17,35 18,23 19,09 19,55 20,90 21,32 Area Totale Area Standard Interno Area T=0 268.242 1.696.097 1.314.356 595.582 2.022.781 1.000.817 653.620 1.180.436 730.111 1.209.343 1.044.806 330.099 12.046.290 4.555.036 Area T=1 182.624 1.326.257 1.159.722 552.908 1.857.071 785.967 630.592 1.003.639 557.557 329.966 483.129 328.187 9.197.619 4.310.935 Area T=7 177.290 1.218.019 1.043.175 464.364 1.876.225 638.399 471.940 690.928 542.010 352.624 321.490 144.063 7.940.526 4.219.543 Degradazione Finale (%) 34 28 21 22 7 36 28 41 26 71 69 56 34 137 MONOAROMATICI SOSTITUITI Singoli Composti Degradazione (%) 100 71 80 56 60 40 69 34 28 36 21 22 20 41 28 26 17,35 19,09 7 0 13,68 15,64 16,30 20,90 Tempi di Ritenzione (min) Figura 14—10. Miscela contaminante: Monoaromatici alchil sostituiti Tabella 39. Miscela contaminante - Degradazione dei naftaleni sostituiti NAFTALENI SOSTITUITI Tempi di Ritenzione 18,80 19,04 20,24 20,40 20,62 20,93 21,13 21,78 Area Totale Area Standard Interno Area T=0 3.628.381 2.995.449 1.564.658 4.381.222 6.180.064 2.253.754 959.179 177.401 22.140.108 5.146.086 Area T=1 2.651.664 2.881.813 1.329.569 2.820.483 7.756.328 2.064.395 849.065 211.002 20.564.320 4.704.060 Area T=7 2.175.230 2.628.974 1.257.040 1.762.609 6.180.064 2.028.075 845.516 96.641 16.974.149 4.708.715 Degradazione Finale (%) 40 12 20 60 0 10 12 46 23 NAFATLENI SOSTITUITI Singoli Composti Degradazione (%) 100 80 60 60 40 46 40 12 20 20 0 0 18,80 19,04 20,24 20,40 20,62 10 12 20,93 21,13 21,78 Tempi di Ritenzione (min) Figura 14—11. Miscela contaminante: Naftaleni sostituiti 138 Tabella 40. Miscela contaminante - Degradazione dei nafteni sostituiti NAFTENI SOSTITUITI Tempi di Ritenzione 16,87 17,35 17,63 17,93 18,21 18,68 19,01 19,60 20,17 20,47 21,85 22,27 Area Totale Area Standard Interno Area T=0 3.103.585 92.580 411.065 414.445 1.320.111 678.346 385.246 398.535 328.780 238.240 284.334 252.746 7.908.013 4.329.138 Area T=1 2.714.044 65.756 338.420 357.660 1.028.796 512.036 255.375 373.319 291.821 235.869 201.917 0 6.375.013 4.222.820 Area T=7 2.561.642 42.901 267.012 313.055 876.534 472.661 291.236 211.235 324.067 238.240 140.700 151.610 5.890.892 4.229.030 Degradazione Finale (%) 17 54 35 24 34 30 24 47 1 0 51 40 26 NAFTENI SOSTITUITI Singoli Composti Degradazione (%) 100 80 54 60 40 20 51 47 35 24 17 34 30 40 24 1 0 16,87 17,63 18,21 19,01 20,17 0 21,85 Tempi di Ritenzione (min) Figura 14—12. Miscela contaminante: Nafteni sostituiti I monoaromatici alchil-sostituiti, i naftaleni alchil-sostituiti ed i nafteni alchil-sostituiti sono stati degradati parzialmente, 34%, 23% e 26% rispettivamente. Come atteso la degradazione dei composti aromatici è risultata minore di quella degli idrocarburi alifatici. Tra le classi di idrocarburi aromatici considerate, i naftaleni alchil-sostituiti, che contengono due anelli aromatici, sono risultati essere quelli più recalcitranti. Tuttavia, è da sottolineare come le percentuali di degradazione di tutti i composti presi in esame, risultino essere alte in considerazione del lungo tempo di permanenza della miscela contaminante nel suolo. Riteniamo dunque che il ceppo Gordonia M22BI sia capace di degradare efficacemente la maggior parte dei componenti della miscela idrocarburica analizzata. 139 14.2.1.3 Relazione tra i tempi di ritenzione e la degradazione dei singoli composti nella miscela contaminante Il lavoro è proseguito mettendo in relazione i tempi di ritenzione di ciascun composto, raggruppati in categorie (alcani lineari e non, naftaleni sostituiti, ecc), rispettivamente con la loro degradazione percentuale. Si sono potuti osservare alcuni elementi distintivi nella degradazione di alcune categoria di composti: Gli alifatici ramificati e lineari (questi ultimi in minor percentuale data la modesta presenza nella miscela), hanno mostrato una parziale correlazione tra il tempo di ritenzione e la percentuale di degradazione. Ipotizzando che, a parità di polarità, le molecole più grosse hanno un tempo di ritenzione maggiore, e viceversa le molecole più piccole hanno un tempo di ritenzione minore, i risultati hanno mostrato, come prevedibile che, per questa classe di composti, con l’aumentare delle dimensioni delle molecole diminuisce la biodegradazione. Degradazione % ALIFATICI RAMIFICATI E LINEARI 100 80 60 40 y = -6,9068x + 202,36 R2 = 0,6174 20 0 15,00 17,00 19,00 21,00 23,00 25,00 27,00 Tem pi di Ritenzione (min) Degradazione (%) Lineare (Degradazione (%)) Figura 14—13. Relazione tra i tempi di ritenzione e la degradazione dei composti alifatici nella miscela contaminante I nafteni ed i naftaleni sostituiti non hanno mostrato una correlazione significativa. 70 60 50 40 30 20 10 0 18,00 NAFTENI SOSTITUITI 60 D e g ra d a z i o n e % D eg rad az io n e % NAFTALENI SOSTITUITI y = -0,0851x + 26,62 R2 = 2E-05 19,00 20,00 21,00 Tempi di Ritenzione(min) Degradazione (%) Lineare (Degradazione (%) ) 22,00 50 40 y = 0,2375x + 25,273 R2 = 0,0006 30 20 10 0 0 5 10 15 20 25 Tempi di Ritenzione(min) Degradazione (%) Lineare (Degradazione (%)) Figura 14—14 Relazione tra i tempi di ritenzione e la degradazione dei composti alifatici nella miscela contaminante 140 I monoaromatici sostituiti hanno mostrato un comportamento singolare. Essi hanno correlato in modo esattamente contrario rispetto ai composti alifatici: l’aumento del tempo di ritenzione ha determinato un aumento della degradazione percentuale. AROMATICI SOSTITUITI Degradazione % 80 60 40 y = 5,8913x - 66,507 R2 = 0,5006 20 0 0,00 5,00 10,00 15,00 (min) 20,00 25,00 Tempi di Ritenzione Degradazione (%) Lineare (Degradazione (%)) Figura 14—15 Relazione tra i tempi di ritenzione e la degradazione dei composti alifatici nella miscela contaminante L’aumento delle dimensioni molecolari dei monoaromatici è dovuto ai gruppi “R” delle catene alifatiche situate in posizioni variabili: si può ipotizzare che la parte alifatica della molecola sia degradata , con la produzione di composti differenti dal composto di partenza. 14.2.2 Biodegradazione di gasolio commerciale E’ stato scelto un gasolio commerciale da trazione come riferimento. La valutazione della degradazione è stata effettuata paragonando due serie sperimentali, allo scopo di determinare l’entità della perdita abiotica di idrocarburi (a seguito di eventi di volatilizzazione, degradazione abiotica etc.) e della biodegradazione. La valutazione della degradazione è stata effettuata misurando la concentrazione idrocarburica residua “Total Petroleum Hydrocarbons” (TPH), mediante gas-cromatografia (GC/FID), misurata in doppio, paragonando due serie sperimentali: 1. Beute con 20 ml di BH2 + gasolio 1 g/L (controllo abiotico) 2. Beute con 20 ml di BH2 + gasolio 1 g/L + M22BI 141 14.2.2.1 Total Petroleum Hydrocarbons (TPH) La concentrazione idrocarburica residua è stata misurata in doppio sia sulla coltura inoculata che nel controllo abiotico (non inoculato), ai tempi cinetici riportati in Tabella 41. Tabella 41. Degradazione del gasolio operata dal ceppo M22BI (TPH) TEMPO Media Gasolio Degradato (mg/L) Dev.St. Degradato 0 1 2 3 7 14 932 589 568 466 479 454 49 20 22 36 21 40 Media Gasolio Controllo Abiotico (mg/L) Dev.St. Abiotico 940 956 42 20 925 945 899 12 4 25 Dopo 14 giorni di incubazione a 32°C in terreno BH2 contenente 1 g/l di gasolio, il limite generale di degradazione è stato del 51%. DEGRADAZIONE GASOLIO Concentrazione (mg/L) 1200 1000 800 600 400 Controllo Abiotico 200 Gasolio + M22 0 0 5 10 15 Giorni (gg) Figura 14—16. Andamento della degradazione della miscela contaminante operata dal ceppo Gordonia M22BI Il ceppo Gordonia M22BI è risultato quindi capace di degradare una buona percentuale del gasolio preso in esame. 142 14.2.2.2 Analisi per classi di contaminanti L’analisi di degradazione per classi di contaminanti è stata effettuata elaborando cromatogrammi ottenuti utilizzando come detector lo spettrometro di massa, selezionando gli stessi ioni utilizzati per le analisi per la miscela contaminante. In Figura 14—17 sono mostrati il profilo cromatografico in GC/MS delle colture inoculate al tempo 0, 1 e 7 giorni, delle prove in batch. Si può notare facilmente la scomparsa di alcuni picchi, rappresentanti alcune delle componenti idrocarburiche del gasolio. Figura 14—17. GC/MS analisi di un gasolio da trazione estratto dalle colture inoculate con Gordonia M22BI al tempo 0, 1 e 7 giorni a 32°C. Anche in questo caso, per determinare il limite della degradazione delle differenti classi di idrocarburi della miscela contaminante, la somma delle aree dei singoli picchi al tempo 0 (dai campioni in duplicato) è stata confrontata con la somma delle aree dei picchi dopo 7 giorni. La biodegradazione è stata calcolata utilizzando sempre l’equazione 4: Biodegradazione (%) = (∑ Ait =0 − ∑ Ait =7 ) i i t =0 i ∑A × 100 i dove, ∑A t =0 i è la somma delle aree dei singoli picchi al tempo 0 giorni, i 143 ∑A t =7 i è la somma delle aree dei singoli picchi al tempo 7 giorni i Alifatici Ramificati e Lineari In Tabella 42 sono riportati i valori normalizzati delle aree dei singoli picchi ai vari tempi cinetici analizzati. Il valore della degradazione, calcolato per i singoli picchi e per la totalità dei composti presi in esame, è riferito al tempo 7 giorni. Tabella 42 Gasolio - Degradazione degli alcani lineari ed a catena ramificata ALIFATICI LINEARI E NON Tempi di Ritenzione 15,11 16,79 17,89 18,34 19,43 19,79 20,62 21,14 21,98 22,43 22,99 23,66 24,83 25,92 29,88 Area Totale Area Standard Interno Area T=0 461.751 774437 552746 1.016.218 502652 1.303.695 740.235 1.626.240 582.030 1.769.381 621.322 2.528.837 2.166.145 1.137.614 200.766 15.984.069 3.897.913 Area T=1 12.791 90.236 178.343 56.008 344.487 27.477 439.816 21.003 107.481 27.354 559.167 1.088.843 1.003.593 230.388 43.164 4.230.151 3.563.565 Area T=7 Corretta 0 69.723 20.325 44.742 48.420 15.583 70.862 13.613 38.919 14.047 168.159 570.493 670.087 209.897 32.000 1.986.870 4.065.855 Degradazione Finale (%) 100 91 96 96 90 99 90 99 93 99 73 77 69 82 84 88 Al contrario della miscela contaminante, il gasolio commerciale presenta un’alta percentuale di alcani lineari. Tali composti sono stati rapidamente e completamente degradati, mentre la degradazione di quelli a catena ramificata è stata minore: complessivamente la degradazione degli idrocarburi alifatici è stata dell’88%. In Figura 14—18 è riportato il cromatogramma degli alcani: risulta ancor più evidente, rispetto a quanto osservato nella degradazione della miscela contaminante, la diminuzione delle aree dei picchi. 144 Figura 14—18. GS/MS del gasolio- Alifatici lineari e ramificati In questo caso, nel cromatogramma al tempo 0, non è stato possibile risolvere i picchi del pristano e del fitano dai rispettivi composti lineari (n-C17 e n-C18). Nei cromatogrammi dei tempi successivi si osserva la presenza unicamente del composto ramificato, a seguito della degradazione completa del lineare: non è stata quindi quantificabile la degradazione dei due composti ramificati. In Figura 14—19 i valori della degradazione dei singoli picchi sono riportati come istogramma. ALIFATICI RAMIFICATI E LINEARI Singoli Composti Degradazione (%) 100 80 60 40 20 0 15,11 17,89 19,43 20,62 21,98 22,99 24,83 29,88 Tempi di ritenzione (min) Figura 14—19. Gasolio: Alifatici ramificati e lineari Monoaromatici Alchil-Sostituiti, Naftaleni Alchil-Sostituiti, Nafteni Alchil-Sostituiti. In Tabella 43, in Tabella 44 ed in Tabella 45 sono riportati i valori normalizzati delle aree dei singoli picchi ai vari tempi cinetici analizzati, rispettivamente per i monoaromatici alchil-sostituiti, i naftaleni alchil-sostituiti ed i nafteni alchil-sostituiti. Il valore della degradazione, calcolato per i singoli picchi e per la totalità dei composti presi in esame, è riferito al tempo 7 giorni. In Figura 145 14—20, in Figura 14—21 ed in Figura 14—22 i valori della degradazione dei singoli picchi sono riportati come istogrammi. Tabella 43 Gasolio - Degradazione dei monoaromatici alchil sostituiti MONOAROMATICI ALCHIL SOSTITUITI Area T=0 1.515.039 1.405.507 1.434.796 2.408.397 448.031 1.612.073 948.278 693.972 611.927 139.379 11.217.399 4.222.702 Tempi di Ritenzione 13,38 14,92 15,70 16,30 17,33 18,23 19,06 20,13 20,72 21,28 Area Totale Area Standard Interno Area T=7 1.100.134 977.118 1.122.366 1.861.204 332.727 743.717 570.760 510.399 256.795 68.625 7.543.844 4.103.469 Degradazione Finale % 27 30 22 23 26 54 40 26 58 51 33 MONOAROMATICI SOSTITUITI Singoli Composti 70 Degradazione (%) Area T=1 1.143.262 1.043.344 1.152.446 1.769.689 323.332 927.397 604.687 462.530 247.815 179.796 7.854.299 3.677.591 60 50 40 30 20 10 0 13,38 14,92 15,70 16,30 17,33 18,23 19,06 20,13 20,72 21,28 Tempi di ritenzione (min) Figura 14—20 Gasolio: Monoaromatici sostituiti Tabella 44. Gasolio - Degradazione dei naftaleni sostituiti NAFTALENI SOSTITUITI Tempi di Ritenzione 18,80 19,06 19,41 20,22 20,40 20,62 20,92 21,14 21,78 Area Totale Area Standard Interno Area T=0 695.437 559.557 32.367 238.346 850.208 1.602.028 344.591 185.857 19.250 4.527.641 4.354.462 Area T=1 453.288 478.921 0 217.148 406.362 1.508.964 329.477 120.347 14.161 3.528.667 3.901.212 Area T=7 384.192 500.208 12.687 124.066 87.487 1.336.469 337.435 132.919 10.486 2.925.950 4.431.336 Degradazione Finale % 45 11 61 48 90 17 2 28 46 35 146 NAFTALENI SOSTITUITI Singoli Composti Degradazione (%) 100 80 60 40 20 0 18,80 19,06 19,41 20,22 20,40 20,62 20,92 21,14 21,78 Tem pi di ritenzione (m in) Figura 14—21. Gasolio: Naftaleni sostituiti Tabella 45 Gasolio - Degradazione dei nafteni sostituiti NAFTENI SOSTITUITI Tempi di Ritenzione 16,54 16,86 17,60 17,92 18,23 18,66 19,06 19,62 20,12 20,40 20,87 21,28 21,88 Area Totale Area Standard Interno Area T=0 40.922 2.711.122 867.715 483.686 1.944.788 1.089.005 550.783 543.995 271.813 125.355 258.667 40.181 181.005 9.109.037 4.142.225 Area T=7 25.939 2.105.219 788.014 371.498 1.300.648 915.483 470.029 385.349 267.057 89.756 200.769 9.214 118.287 7.047.262 4.199.559 Degradazione Finale % 37 22 9 23 33 16 15 29 2 28 22 77 35 23 NAFTENI SOSTITUITI Singoli Composti 100 Degradazione (%) Area T=1 23.108 2.056.646 829.414 405.124 1.377.169 928.484 599.559 356.923 209.090 148.778 159.769 23.566 162.514 7.280.145 3.666.691 80 60 40 20 0 16,54 17,60 18,23 19,06 20,12 Tempi di ritenzione (min) 20,87 21,88 Figura 14—22. Gasolio: Nafteni sostituiti 147 I monoaromatici alchil-sostituiti, i naftaleni alchil-sostituiti ed i nafteni alchil-sostituiti sono stati degradati parzialmente, 33%, 35% e 23% rispettivamente. Per ciò che concerne la degradazione del gasolio, possiamo quindi osservare come il ceppo Gordonia M22BI, nonostante abbia degradato principalmente le classi alifatiche, sia capace di degradare anche frazione aromatica del gasolio. 14.2.2.3 Relazione tra i tempi di ritenzione e la degradazione dei singoli composti nel gasolio Per quanto riguarda la degradazione del gasolio, la relazione tra i tempi di ritenzione dei composti, e la loro degradazione percentuale, non ha prodotto apprezzabili risultati per nessuna delle quattro classi di composti analizzate. 14.2.3 Confronto tra la degradazione della miscela contaminante ed il gasolio Obiettivo della sperimentazione era quello di valutare se una degradazione, anche parziale, fosse possibile su una miscela contaminante già sottoposta a processi di degradazione, sia biologici sia chimico-fisici, nel corso dei trenta anni di permanenza nel sottosuolo. Il microrganismo isolato nel sito contaminato Gordonia M22BI si è dimostrato in grado di degradare il 23% della miscela, se posto in condizioni ottimali in 7 giorni. In particolare abbiamo potuto osservare degradazioni della frazione alifatica, dei composti monoaromatici, dei nafatleni e dei nafteni sostituiti, rispettivamente pari a 45%, 34%, 23% e 26% (Tabella 46). Come atteso, la percentuale di degradazione totale (TPH) è stata nettamente maggiore nel gasolio che nella miscela contaminante, principalmente a causa della presenza della frazione alifatica lineare, minore nella miscela a causa dei processi degradativi avvenuti nel corso degli anni in campo. Tale frazione nel gasolio è risultata, infatti, essere facilmente degradabile. Per quanto riguarda i composti monoaromatici si osserva che la degradazione per il gasolio e per la miscela contaminante non differisce significativamente. Per i nafteni, si può invece ipotizzare che nella miscela vi sia stata una, seppur modesta, maggiore degradazione. Il motivo di questa maggiore degradazione può essere ricercato nella maggior presenza nel gasolio di composti più facilmente degradabili. È noto infatti che in presenza di più composti, i microrganismi utilizzano preferenzialmente quelli maggiormente degradabili, per poi degradare i più recalcitranti (Chapelle 2001). È possibile ipotizzare quindi che nel gasolio al termine della sperimentazione, vi sia ancora la presenza di nafteni degradabili. Per quanto riguarda i naftaleni, la degradazione è stata maggiore nel gasolio: tale differenza di degradazione è imputabile alla presenza nel gasolio di una 148 componente della frazione dei naftaleni facilmente degradabile e non più presente nella miscela contaminante. Tabella 46. Confronto tra la degradazione della miscela contaminante e del gasolio DEGRADAZIONE % Contaminante Gasolio TPH 23 49 Alifatici 45 88 Aromatici 34 33 Naftaleni 23 35 Nafteni 26 23 149 14.3 Misure di crescita batterica mediante DNA del ceppo Gordonia M22BI Contemporaneamente agli esperimenti di degradazione è stata seguita la crescita del ceppo Gordonia M22BI con contaminante o gasolio come fonte di carbonio. Quando il ceppo è cresciuto con idrocarburi come substrato, la determinazione della OD600 risulta difficile a causa della formazione di grandi flocculi con capacità di galleggiamento e con basso coefficiente di sedimentazione che rendono la centrifugazione (10.000g per 1 ora) delle cellule batteriche impossibile. Per questo motivo la crescita batterica è stata seguita mediante quantificazione del DNA totale. Questo saggio permette di seguire nel tempo la crescita di un microrganismo in modo indiretto, mediante misura del contenuto di DNA totale presente nell’unità di volume di coltura. Esso sfrutta la reazione colorata che si ha dall’interazione tra il deossiribosio e la difenilammina (Burton, 1956). È quindi possibile quantificare il DNA totale mediante lettura spettrofotometrica. Gli esperimenti hanno avuto come scopo quello di valutare se alla degradazione dei contaminanti seguiva una crescita microbica o una mineralizzazione del carbonio idrocarburico. 14.3.1 Saggio del DNA Agli esperimenti di degradazione del ceppo M22BI, precedentemente descritti, sono state associate le curve di crescita eseguite in terreno minerale BH2 e come unica fonte di carbonio (1 g/l) la miscela contaminante o gasolio da trazione. Tabella 47. Esperimento di degradazione in batch con miscela contaminante e gasolio come fonti di carbonio Fonte di carbonio Idrocarburi Stato Filtrazione Densità g/ml Classe Quantità (µl) per 20 ml 1 g/L Gasolio standard Liquido si 0.83 Miscela 24 Gasolio invecchiato Liquido si 0.8595 Miscela 23 Tabella 48. Misure della quantità del DNA totale durante la crescita del ceppo M22BI Tempo (gg) Contaminante Gasolio 0 1 2 3 7 14 DNA ug/ml 1,054 0,737 0,329 0,136 0,204 0,057 DNA ug/ml 0,873 1,043 1,485 Nd 1,394 1,133 150 1,600 DNA totale/ ml coltura 1,400 1,200 1,000 0,800 Gasolio 0,600 Cont aminant e 0,400 0,200 0,000 0 5 10 15 Te m po (gi orn i ) Figura 14—23. Crescita del Ceppo M22BI in Miscela contaminante e gasolio. Il ceppo ha mostrato una forte riduzione nella biomassa batterica durante la crescita con contaminante come unica fonte di carbonio. Riteniamo che il contenuto di DNA totale sia stato sottostimato in quanto, a causa di un’elevata idrofobicità cellulare, durante la crescita con idrocarburi, si osserva un’aggregazione massiccia delle cellule batteriche e un’adesione alla superficie di vetro della beuta. Nonostante ciò riteniamo che non sia avvenuta una significativa crescita batterica durante la degradazione del contaminante. Al contrario la biomassa batterica, valutata misurando il contenuto di DNA totale, ha mostrato un aumento significativo durante la degradazione del gasolio commerciale. Da osservare che il ceppo, in queste condizioni, entra in fase stazionaria dopo il secondo giorno di crescita. 151 14.4 Analisi dei dati cinetici Per l’interpretazione dei dati di cinetiche di biodegradazione sono stati proposti molti modelli. Quando le condizioni ambientali sono mantenute all’optimum, il fattore che influenza la crescita e la degradazione di una fonte di carbonio è la disponibilità del substrato. Tuttavia, in molti casi, in particolare in condizioni di campo, la scomparsa del substrato è dipendente da molti variabili, quali ad esempio: la predazione di altri microrganismi, la biodisponibilità e la presenza di diverse fonti di carbonio. Nonostante ciò, sono stati formulati semplici modelli per i casi in cui la scomparsa del substrato è funzione della concentrazione del substrato stesso e della biomassa microbica. Si assume che cinetiche di Monod modificate possano adeguatamente descrivere questo tipo di situazione (Eweis et al., 1998). La velocità di crescita di una coltura in queste condizioni si può esprimere attraverso una cinetica a saturazione (Monod): r= µ maxC Ks + C ×B Equazione 5 Dove, r è la velocità di crescita, µmax è la velocità specifica di crescita massima, C è la concentrazione del substrato Ks è la costante di semisaturazione. B è la biomassa microbica Definendo inoltre Y come il coefficiente che pone in relazione la velocità di crescita con la velocità di scomparsa del substrato, otteniamo: r = −Y dC dt Equazione 6 è possibile ricavare l’espressione: dC B µ max C =− dt Y Ks + C Equazione 7 152 La biomassa al tempo t può essere espressa in funzione del consumo di substrato e della biomassa iniziale B0: B = B0 + Y (C 0 − C ) Equazione 8 Dove, C0 è la concentrazione iniziale del substrato. Si ricava quindi un’espressione generale che lega la scomparsa del substrato unicamente alla concentrazione del substrato stesso: µ C[ B0 + Y (C 0 − C )] dC = − max dt Y Ks + C Equazione 9 In base alla concentrazione del substrato ed alla biomassa iniziale della coltura microbica, questa espressione può essere integrata e semplificata per ottenere leggi cinetiche che descrivono i diversi andamenti osservati sperimentalmente. In particolare in condizioni di crescita nulla dove B0 >> YC0 e C 0 << K s l’espressione si semplifica ad un espressione di una cinetica del primo ordine: B µ dC = − max 0 C = kC dt Y Ks Equazione 10 la cui espressione integrata è: C = C 0 e − kt Equazione 11 14.4.1 Modellazione dei dati (TPH) Da una semplice osservazione dei dati sperimentali è possibile osservare che la velocità di degradazione del substrato, in condizioni ottimali, subisce una netta diminuzione nel corso della cinetica: per i primi tempi, una cinetica del primo ordine potrebbe ben interpretare l’andamento dei dati mentre, nella seconda parte, la velocità di degradazione subisce un brusco rallentamento sino ad 153 annullarsi. I motivi di questo comportamento cinetico, già osservato nel suolo per altri composti organici, potrebbero essere ricercati nelle differenti capacità e modalità di degradazione dei differenti composti della miscela contaminante e del gasolio, da parte della comunità microbica, quindi dalla presenza di frazioni del substrato recalcitranti alla biodegradazione. In letteratura sono stati ritrovati alcuni modelli cinetici che possono essere utilizzati per le interpolazioni di questo tipo di cinetica (Simkins, 1986; Scow, 1986). Il confronto dei risultati ottenuti dall’applicazione di più modelli può essere utile per valutare la qualità delle varie interpolazioni e la loro precisione Per interpretare i dati cinetici di degradazione è stato utilizzato preliminarmente un modello cinetico di I Ordine come ricavato in precedenza (Modello 1 – Equazione 9). Da una analisi sommaria dei dati, era ben chiaro tuttavia, che tale modello non avrebbe adeguatamente descritto l’andamento, in quanto la degradazione riscontrata si interrompeva bruscamente dopo 7 giorni, con una concentrazione residua di idrocarburi pressoché costante sino al termine dell’esperimento (75% circa). Per rendere conto di tale comportamento abbiamo utilizzato due ulteriori modelli cinetici: il Modello 2 (Equazione 10), costituito da una somma di due termini esponenziali, tale espressione modella la presenza di due distinte frazioni del contaminante a diversa velocità di degradazione; il Modello 3 (Equazione 11), costituito dalla somma di un termine esponenziale e una costante, tale espressione modella la presenza di una frazione degradabile e una completamente recalcitrante alla biodegradazione. Vengono riportate di seguito le equazioni dei tre modelli utilizzati: Modello 1 (Cinetica di primo ordine) C = C0 ⋅ e − kt Equazione 12 Dove, C è la concentrazione del substrato (mg/l) C0 è la concentrazione iniziale del substrato (mg/l) k è la costante cinetica del processo (1/giorno) t è il tempo (giorni) 154 Modello 2 (Somma di esponenziali) C = C01 ⋅ e − k1t + C02 ⋅ e − k2t Equazione 13 Dove, C è la concentrazione del substrato (mg/l) C0,1 è la concentrazione iniziale del substrato della frazione 1 (mg/l) k1 è la costante cinetica del processo relativo alla frazione 1 (1/giorno) C0,2 è la concentrazione iniziale del substrato della frazione 2 (mg/l) k2 è la costante cinetica del processo relativo alla frazione 2 (1/giorno) t è il tempo (giorni) Modello 3 (somma di un termine esponenziale e una costante) C = C0deg r ⋅ e − kt + C0rec Equazione 14 Dove, C è la concentrazione del substrato (mg/l) C0,degr è la concentrazione iniziale del substrato della frazione degradabile (mg/l) k è la costante cinetica del processo (1/giorno) C0,rec è la concentrazione iniziale del substrato della frazione recalcitrante (mg/l) t è il tempo (giorni) Con queste espressioni, utilizzando il software STATISTICA, sono state effettuate regressioni non lineari dei dati cinetici, per stimarne i parametri e verificare la bontà del fitting. Le seguenti tabelle riportano i risultati delle interpolazioni. 155 14.4.1.1 Miscela contaminante Modello 1 Tabella 49. Miscela contaminante: risultati dell’interpolazione dei dati per il modello 1 Model: C =C0*exp(k*t) Dep. var: C Loss: (OBS-PRED)**2 Final loss: 23271.620413 R=.51232 Variance explained: 26.247% K -0,01057 C0 812,3685 Estimate Figura 14—24. Miscela contaminante: accordo tra i dati sperimentali ed il modello 1 Come previsto e come testimoniato dalla Figura 14—24 e dal basso coefficiente R2 (R2 = 0,26), il modello 1 non interpreta adeguatamente i dati sperimentali. Modello 2 Tabella 50. Miscela contaminante: risultati dell’interpolazione dei dati per il modello 2 Model: C = C0,1*exp(k1*t) + C0,2*exp(k2*t) Dep. var: C Loss: (OBS-PRED)**2 Final loss: 1453.0393438 R=.97577 Variance explained: 95.212% Estimate C0,1 193,8896 k1 -1,13857 C0,2 731,4859 k2 -0,00315 Figura 14—25. Miscela contaminante: accordo tra i dati sperimentali ed il modello 2 156 Modello 3 Tabella 51. Miscela contaminante: risultati dell’interpolazione dei dati per il modello 3 Model: C = C0,degr*exp(k*t) + C0,rec Dep. var: C Loss: (OBS-PRED)**2 Final loss: 1875.5343644 R=.96982 Variance explained: 94.056% Estimate C0,degr 197,2976 k -1,17014 C0,rec 728,421 Figura 14—26. Miscela contaminante: accordo tra i dati sperimentali ed il modello 3 Sia per il modello 2 che il modello 3 il fitting ha dato buoni risultati, come testimoniato dai due coefficienti R2, rispettivamente 0,952 e 0,940. Per il modello 2 l’interpolazione ha stimato la concentrazione della frazione più velocemente degradata (C0,1) pari a 193,9 mg/l, con una costante cinetica k1 = 1,138 1/giorni, mentre la concentrazione della frazione degradata lentamente (C0,2) è risultata pari a 731,5 mg/l, con una costante cinetica k2 = 0,003 1/giorni. Il modello 3 ha invece stimato la concentrazione della frazione degradabile (C0,degr) pari a 197,3, con una costante cinetica k = 1,170 1/giorni e la concentrazione della frazione recalcitrante (C0,rec) pari a 728,4 mg/l. Come è possibile notare i due modelli stimano valori simili per le concentrazioni delle due frazioni; inoltre la costante cinetica k2 del modello 2 risulta essere estremamente bassa. Alla luce di queste considerazioni i modelli 2 e 3 possono essere considerati sostanzialmente equivalenti. In conclusione, l’analisi cinetica effettuata permette di ipotizzare che nella miscela contaminante è presente una frazione facilmente degradabile con una concentrazione di circa 195 mg/l (23 %) che segue una cinetica di degradazione del primo ordine, con una costante cinetica pari a circa 1,15 1/giorni ed una frazione che non viene sostanzialmente degradata nell’arco temporale preso in esame. 157 14.4.1.2 Gasolio da Trazione Modello 1 Tabella 52 Gasolio: risultati dell’interpolazione dei dati per il modello 1 Model: C = C0*exp(k*t) Dep. var: C Loss: (OBS-PRED)**2 Final loss: 93935.762713 R=.65145 Variance explained: 42.438% k -0,04808 C0 702,1599 Estimate Figura 14—27. Gasolio: accordo tra i dati sperimentali ed il modello 1 Come previsto, anche per il gasolio il modello 1 non interpreta adeguatamente i dati sperimentali, come testimoniato dalla Figura 14—27 e dal basso coefficiente R2 (R2 = 0,42). Modello 2 Tabella 53. Gasolio: risultati dell’interpolazione dei dati per il modello 2 Model: C = C0,1*exp(k1*t) + C0,2*exp(k2*t) Dep. var: C Loss: (OBS-PRED)**2 Final loss: 3448.0904643 R=.98938 Variance explained: 97.887% Estimate C0,1 425,5792 k1 -1,40393 C0,2 504,6667 k2 -0,00778 Figura 14—28. Gasolio: accordo tra i dati sperimentali ed il modello 2 158 Modello 3: Tabella 54. Gasolio: risultati dell’interpolazione dei dati per il modello 3 Model: C = C0,degr *exp(k1*t) + C0,rec Dep. var: C Loss: (OBS-PRED)**2 Final loss: 4079.8392764 R=.98742 Variance explained: 97.500% Estimate C0,degr 457,1283 k1 -1,15035 C0,rec 470,9562 Figura 14—29. Gasolio: accordo tra i dati sperimentali ed il modello 3 Sia per il modello 2 che il modello 3 il fitting ha dato buoni risultati, come testimoniato dai due coefficienti R2, rispettivamente 0,979 e 0,975. Per il modello 2 l’interpolazione ha stimato la concentrazione della frazione più velocemente degradata (C0,1) pari a 425,6 mg/l, con una costante cinetica k1 = 1,404 1/giorni, mentre la concentrazione della frazione degradata lentamente (C0,2) è risultata pari a 504,7 mg/l, con una costante cinetica k2 = 0,008 1/giorni. Il modello 3 ha invece stimato la concentrazione della frazione degradabile (C0,degr) pari a 457,1, con una costante cinetica k = 1,150 1/giorni e la concentrazione della frazione recalcitrante (C0,rec) pari a 471,0 mg/l. Come è possibile notare dal confronto dei parametri stimati, i due modelli non possono essere considerati equivalenti, così come nel caso della cinetica precedente. Anche in questo caso il modello 2 presenta una basso valore della costante di degradazione della frazione poco degradabile (k2 = 0,008 1/giorni), indicando quindi la presenza di una frazione sostanzialmente non degradabile. Tuttavia, il fatto che il valore della costante C0,2 differisca significativamente dal valore della C0,rec potrebbe far supporre che, al contrario della miscela, nella cinetica di degradazione del gasolio preso in esame, la degradazione della frazione degradabile non è giunta completamente a termine nell’arco temporale sperimentato. 159 CONCLUSIONI La nostra ricerca si è inserita su un progetto di bonifica di una ex raffineria di petrolio, adibita ora a deposito di carburanti, nella quale, circa 35 anni fa, una grossa perdita di gasolio dai serbatoi sotterranei portò ad una enorme contaminazione del sottosuolo. Con il passare degli anni, il gasolio è stato interessato da complessi fenomeni di trasformazione, mostrando oggi una composizione diversa da quella del gasolio nativo, imputabile quindi ad una parziale degradazione abiotica e biotica avvenuta durante la permanenza nel suolo. Per la sua composizione il contaminante residuo risulta più refrattario alla degradazione rispetto al gasolio nativo. Il lavoro descritto è il risultato di due programmi sperimentali: il primo ha implicato il campionamento ed il lavoro in campo, il secondo è stato realizzato in laboratorio dove sono state allestite prove di biodegradazione degli idrocarburi, ed isolati quindi i ceppi batterici ritenuti più interessanti dal punto di vista biodegradativo. La ricerca è stata quindi impostata in funzione delle esigenze di bonifica, e sviluppata a seguito di particolari risultati ottenuti in fase di sperimentazione. Gli obiettivi della ricerca sono stati così suddivisi: 5. Sperimentazione di fattibilità preliminare alle attività di bonifica 6. Monitoraggio della comunità microbica 7. Caratterizzazione della comunità autoctona degradante 8. Individuazione di ceppi per applicazioni biotecnologiche 1 – Sono stati allestiti esperimenti di degradazione in batch, preliminari all’attività di bonifica, utilizzando i microrganismi ricavati dalla frangia capillare. Alla luce dei risultati ottenuti è stato possibile confermare la presenza di una microflora autoctona aerobia, potenzialmente capace di degradare la miscela idrocarburica contaminante. In condizioni aerobie e in presenza di nutrienti (azoto e fosforo) la comunità autoctona ha mostrato la capacità di degradare alcuni dei componenti principali del contaminante. A seguito di successive valutazioni di tipo ingegneristico, è stato deciso di avviare una Bioremediation in situ. Sulla base di ciò è stata avviata la tecnica di Bioslurping, che ha previsto la messa in atto congiunta di due specifiche metodologie o tecniche di bonifica: la soil vapour extraction (SVE) ed la free product recovery (FPR). L’implementazione di alcune prove respirometriche ha mostrato un’estrema complementarietà degli andamenti relativi dell’O2 e della 160 CO2, ad ulteriore testimonianza di un’attività microbiologica presente nel sottosuolo (in cui la CO2 è prodotta dalla trasformazione del materiale organico sottoposto ad ossidazione, con conseguente consumo di O2). Tale attività ha beneficiato della ventilazione conseguente all’applicazione in sito della tecnica SVE, confermando quanto ipotizzato nelle prove preliminari. I valori di consumo di O2 sono stati ampiamente superiori al 1% volume/giorno (valore di riferimento di letteratura): da questi è stato possibile ricavare un tasso di degradazione medio di 4,74 mg di contaminate al giorno per Kg di suolo. Al contrario, avendo osservato sperimentalmente che l’entità dell’inquinamento da prodotto libero surnatante, presso il sito, rappresenta una frazione decisamente piccola e sporadica dell’intero plume inquinante, individuato dalla fase di caratterizzazione iniziale, non è stato ritenuto utile continuare la sperimentazione della tecnica FPR. In conclusione si può ritenere che la carenza di O2, e di nutrienti nel sottosuolo possa deprimere in modo così significativo la biodegradazione dell’inquinante, da dover essere considerata un importante fattore limitante. Risulta necessario per questo motivo un apporto di O2, mediante bioslurping, e di nutrienti, mediante un sistema di distribuzione in campo, perché il processo di degradazione possa essere mantenuto attivo. 2 - Al fine di valutare se le operazioni di ventilazione messe in atto in campo avessero determinato stimolato la crescita della comunità microbica, è stato operato il monitoraggio del titolo vitale nella frangia capillare, tramite l’impiego della tecnica di enumerazione most probable number (MPN). La scelta del terreno di coltura ha consentito l’enumerazione di specifici gruppi metabolici di microrganismi. Da tener presente che in letteratura i microrganismi enumerati mediante la tecnica MPN, in presenza di idrocarburi come unica fonte di carbonio, vengono considerati “degradatori”. Per la valutazione dell’effetto di biostimolazione del bioslurping è stato impostato un programma di campionamento che ha previsto l’esecuzione di 8 sondaggi, nei 2 campi di prova presi in esame: il primo antecedente all’avvio del Bioslurping e 7 nei 250 giorni successivi alla messa in funzione degli impianti (avvenuta il 25.07.2002). Da ciascuna carota sono stati prelevati due campioni di suolo/sottosuolo: uno rappresentativo della zona insatura non contaminata e l’altro della frangia capillare contaminata. Durante i primi 35 giorni di monitoraggio del pozzo BS1 non si è assistito a cambiamenti significativi nei titoli dei tre gruppi metabolici di microrganismi, sia nella zona insatura non contaminata, che nella frangia capillare contaminata, da attribuire probabilmente alla modalità di attuazione della tecnica di bioslurping. Dopo 64 giorni dall’inizio della ventilazione, ovvero dopo il cambiamento della configurazione di bioslurping, è stato registrato un incremento significativo nel titolo dei microrganismi in grado di crescere in presenza di esadecano o della miscela, come unica fonte di carbonio. La moltiplicazione è stata maggiore nella zona 161 contaminata che nella zona non contaminata; i microrganismi in grado di crescere con miscela, come fonte di carbonio, rispondono alla ventilazione, più di quelli capaci di crescita con esadecano, al contrario i microrganismi eterotrofi totali non hanno subito un aumento del numero di cellule/g di suolo. Questo risultato sembrerebbe dunque confermare l’importanza dell’O2 come fattore limitante la crescita microbica nel sito e l’efficacia della tecnica bioslurping nello stimolare la comunità aerobia.. L’andamento dei titoli delle tre classi di microrganismi nel sito BS2 ha mostrato un andamento di più difficile interpretazione rispetto al sito BS1. Dai risultati ottenuti è emerso che, nel corso dell’attuazione della tecnica di Bioslurping, le variazioni nel titolo vitale dei diversi gruppi metabolici non sono state omogenee in tutto il sito. Possiamo affermare però, che il titolo dei microrganismi idrocarburo degradanti nel pozzo BS1 è aumentato, in particolare quello dei microrganismi in grado di utilizzare la miscela contaminante come unica fonte di carbonio. Questo risultato sembrerebbe dunque confermare l’importanza dell’O2 come fattore limitante la biodegradazione operata dai microrganismi e l’efficacia quindi della tecnica di Bioslurping nell’aumentare la sua concentrazione nel sottosuolo. 3 - L’analisi della comunità microbica del sito contaminato è stata effettuata tramite: a. Isolamento dei microrganismi arricchiti nel MPN in terreno minerale con contaminante; b. Tipizzazione dei microrganismi isolati mediante analisi molecolare ARDRA. In laboratorio si è proceduto all’isolamento dei batteri più numerosi, arricchiti nell’MPN, in presenza del contaminante come unica fonte di carbonio. I ceppi isolati dalla frangia capillare contaminata e dal contaminante sono stati identificati mediante la tipizzazione ARDRA e sequenziamento del gene codificante il 16S rRNA. Mediante la costruzione di alberi filogenetici sono state ricostruite le relazioni esistenti tra gli isolati e i ceppi tipo delle specie con la più alta similitudine di sequenza a livello del 16S rDNA. Alcuni ceppi analizzati sono risultati appartenenti a generi frequentemente isolati da suoli contaminati da idrocarburi petroliferi (Arthrobacter, Gordonia, Stenotrophomonas, Xanthobacter, Paenibacillus), altri sono stati assegnati al gruppo Rhizobium/Agrobacterium. Il nostro lavoro rappresenta uno dei primi studi di comunità microbiche di sottosuoli contaminati "da vecchia data". Tale situazione si ritrova in numerosi siti e risulta di più difficile bonifica rispetto a quella dovuta a contaminazioni recenti. Riteniamo inoltre che, nel caso in esame, l'esposizione cronica della comunità microbica del suolo al contaminante e la sua particolare composizione, assunta in seguito ad una parziale degradazione avvenuta nel corso dei 30 anni, potrebbe aver determinato la selezione di “nuovi” ceppi degradatori in seguito a scambio 162 orizzontale e mutazione e l'esistenza di una grande biodiversità nelle vie cataboliche degli idrocarburi e in altre attività metaboliche non ancora caratterizzate. L’analisi condotta ha dimostrato come i ceppi numericamente predominanti appartengano a generi già descritti come coinvolti nella degradazione di idrocarburi petroliferi. Da evidenziare tuttavia, il ritrovamento di microrganismi di generi emergenti per ciò che concerne il loro interessamento nei fenomeni di biodegradazione (Gordonia, Paenibacillus, Rhizobium / Agrobacterium), sui quali abbiamo concentrato la nostra attenzione. La conoscenza di queste comunità può contribuire in futuro alla comprensione dei processi di degradazione negli ambienti naturali contaminati da idrocarburi e allo sviluppo di nuove applicazioni biotecnologiche. 4 - Partendo dal presupposto che l’enumerazione MPN, per quanto consenta di ottenere un arricchimento di microrganismi degradatori, non permetta di trarre conclusioni definitive sulle attività degradative dei microrganismi isolati, abbiamo sperimentato una serie di procedure descritte in letteratura, atte a verificare le effettive capacità degradative dei ceppi isolati. Impiegando idrocarburi puri come fonte di carbonio sono state eseguite le seguenti prove: 1. Crescita su terreno agarizzato con idrocarburi forniti sotto forma di vapore 2. Crescita su terreno agarizzato con idrocarburi sublimati 3. Crescita in terreno liquido Tra i ceppi isolati dal sito contaminato, il ceppo Gordonia M22BI ha mostrato in generale le migliori capacità di crescita, utilizzando idrocarburi come fonte di carbonio: Gordonia M22BI è stato il più veloce, tra gli isolati, a crescere in modo significativo con miscela contaminante come substrato. Abbiamo inoltre potuto osservare che il ceppo era l’unico in grado di rompere lo strato di NAPL nelle colture in liquido, dopo una settimana di incubazione. Abbiamo dunque intrapreso una caratterizzazione delle proprietà cataboliche di questo microrganismo anche in vista di un suo impiego in applicazioni biotecnologiche. Sono state quindi allestite prove di degradazione in liquido, in doppio, utilizzando come inoculo il ceppo Gordonia M22BI e come fonte di carbonio la miscela contaminante, in un caso, ed un gasolio da trazione, nell’altro. La caratterizzazione delle proprietà cataboliche del ceppo Gordonia M22BI è stata fatta principalmente in relazione ad un suo utilizzo come additivo da impiegare per migliorare il processo di biorisanamento di suoli contaminati da prodotti petroliferi. Scopi di questa serie di esperimenti sono stati quindi quelli di: A. Stimare le capacità di degradazione del ceppo M22BI 163 B. Valutare lo spettro delle componenti degradabili di un gasolio commerciale e di un “gasolio invecchiato” Dopo 7 giorni di incubazione a 32°C in terreno BH contenente lo 0,1 % di miscela idrocarburica contaminante (“gasolio invecchiato”), il limite generale di degradazione è stato del 23%. Dopo 14 giorni non è stata osservata una degradazione ulteriore. In particolare abbiamo potuto osservare degradazioni della frazione alifatica, dei composti monoaromatici, dei nafatleni e dei nafteni sostituiti, rispettivamente pari a 45%, 34%, 23% e 26%. Nelle stesse condizioni sperimentali, limite generale di degradazione del gasolio, dopo 14 giorni di incubazione, è stato del 51%. Il ceppo Gordonia M22BI, in assenza di fattori limitanti, è risultato quindi capace di degradare una discreta percentuale della miscela contaminante recuperata dal sito contaminato, ed una buona percentuale del gasolio preso in esame. Come atteso, la percentuale di degradazione totale (TPH) è stata nettamente maggiore nel gasolio che nella miscela contaminante, principalmente a causa della presenza della frazione alifatica lineare, minore nella miscela a causa dei processi degradativi avvenuti nel corso degli anni in campo. Tale frazione nel gasolio è risultata infatti essere facilmente degradabile. Per quanto riguarda i composti monoaromatici si osserva che la degradazione per il gasolio e per la miscela contaminante non differisce significativamente. Per i nafteni, si può invece ipotizzare che nella miscela vi sia stata una, seppur modesta, maggiore degradazione. Il motivo di questa maggiore degradazione può essere ricercato nella maggior presenza nel gasolio di composti più facilmente degradabili. È possibile ipotizzare quindi che nel gasolio al termine della sperimentazione, vi sia ancora la presenza di nafteni degradabili. Per quanto riguarda i naftaleni, la degradazione è stata maggiore nel gasolio: tale differenza di degradazione è imputabile alla presenza nel gasolio di una componente della frazione dei naftaleni facilmente degradabile e non più presente nella miscela contaminante. Per l’interpretazione dei dati di cinetiche di biodegradazione sono stati proposti molti modelli. Quando le condizioni ambientali sono mantenute all’optimum, il fattore che influenza la crescita e la degradazione di una fonte di carbonio è la disponibilità del substrato. Tuttavia, in molti casi, in particolare in condizioni di campo, la scomparsa del substrato è dipendente da molti variabili, quali ad esempio: la predazione di altri microrganismi, la biodisponibilità e la presenza di diverse fonti di carbonio. Nonostante ciò, sono stati formulati semplici modelli per i casi in cui la scomparsa del substrato è funzione della concentrazione del substrato stesso e della biomassa microbica. Si assume che cinetiche di Monod modificate possano adeguatamente descrivere questo tipo di situazione. Da una semplice osservazione dei dati sperimentali è possibile osservare che la velocità di degradazione del substrato, subisce una netta diminuzione nel corso della cinetica. Per i primi 164 tempi, una cinetica del primo ordine potrebbe ben interpretare l’andamento dei dati mentre, nella seconda parte, la velocità di degradazione subisce un brusco rallentamento sino ad annullarsi. I motivi di questo comportamento cinetico, già osservato nel suolo per altri composti organici, potrebbero essere ricercati nelle differenti capacità e modalità di degradazione dei differenti composti della miscela contaminante e del gasolio, da parte della comunità microbica, quindi dalla presenza di frazioni del substrato recalcitranti alla biodegradazione. Sono stati quindi utilizzati alcuni modelli cinetici ritrovati in letteratura, già impiegati per le interpolazioni di questo tipo di cinetica: un Modello (2), costituito da una somma di due termini esponenziali, tale espressione modella la presenza di due distinte frazioni del contaminante a diversa velocità di degradazione; ed un Modello (3), costituito dalla somma di un termine esponenziale ed una costante, tale espressione modella la presenza di una frazione degradabile e una completamente recalcitrante alla biodegradazione. Per quanto riguarda la degradazione della miscela, i due modelli utilizzati hanno stimato valori simili per le concentrazioni delle due frazioni; inoltre la costante cinetica k2 del modello 2 è risultata essere estremamente bassa. Alla luce di queste considerazioni i modelli sono stati considerati sostanzialmente equivalenti. In conclusione, l’analisi cinetica ha permesso di ipotizzare che nella miscela contaminante è presente una frazione facilmente degradabile con una concentrazione di circa 195 mg/l (23 %) che segue una cinetica di degradazione del primo ordine, con una costante cinetica pari a circa 1,15 1/giorni ed una frazione che non viene sostanzialmente degradata nell’arco temporale preso in esame. Tale frazione, dall’analisi cromatografica, risulterebbe formata sia da composti recalcitranti la biodegradazione, sia da composti parzialmente degradati. Anche nella degradazione del gasolio, il modello 2 ha presentato una basso valore della costante di degradazione della frazione poco degradabile (k2 = 0,008 1/giorni), indicando quindi la presenza di una frazione sostanzialmente non degradabile. Tuttavia, il fatto che il valore della costante C0,2 abbia differito significativamente dal valore della C0,rec, ha permesso di supporre che, al contrario della miscela, nella cinetica di degradazione del gasolio preso in esame, la degradazione della frazione degradabile non è giunta completamente a termine nell’arco temporale sperimentato. 165 166 BIBLIOGRAFIA 1. Alexander M. (1982). Most probable number method for microbial populations. In Methods of soil analysis. Part 2. 2nd ed. Edited by A. L. Page. American Society for Agronomy and Soil Science Society of America, Madison, Wis. pp. 815-820. 2. Alexander, M. (1965). Biodegradation: Problems of Molecular Recalcitrance ad microbial fallibility In: Advances in Applied Microbiology, 35-80. N.Y.: Academic Press. 3. APAT 2003. Annuario dei dati ambientali. Edizione 2003. 4. Atlas R.M. e Bartha R. (1997). Microbial Ecology: fundamentals and applications” 4th edition, cap14. 5. Bachoon DS, Hodson RE, Araujo R (2001). 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SCHEMA PROCEDURALE PREVISTO DAL D.M. N. 471/99 PER LA PROGETTAZIONE E LA REALIZZAZIONE DEGLI INTERVENTI DI BONIFICA 15 FIGURA 1—6. PRINCIPALI TECNOLOGIE DI BONIFICA 17 FIGURA 1—7. RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DEL POZZO DI BIOSLURPING 19 FIGURA 2—1. OPZIONI METABOLICHE PER OTTENERE ENERGIA 26 FIGURA 2—2. BIODEGRADAZIONE AEROBIA DEGLI ALCANI 38 FIGURA 2—3. DEGRADAZIONE DEGLI AROMATICI 39 FIGURA 2—4. BIODEGRADAZIONE ANAEROBIA DEL BENZOATO 40 FIGURA 4—1. FORMULA INT. C19H13CLIN5O2 = 505.70 45 FIGURA 5—1. A: MULTIWELL CON TSB; B: ESADECANO 48 FIGURA 5—2. MISCELA, AL TERMINE DI UN ESPERIMENTO DI MPN. 49 FIGURA 7—1 PARZIALE SEQUENZA DI UN 16S RDNA LETTA DA UN SEQUENZIATORE AUTOMATICO. 59 FIGURA 7—2. 16S RDNA E POSIZIONE DEI PRIMER P0 E P6. 60 FIGURA 9—1. CURVA STANDARD SAGGIO DNA 65 FIGURA 11—1. PLANIMETRIA DEL SITO CONTAMINATO 74 FIGURA 11—2. PLANIMETRIA DEL SITO CONTAMINATO E UBICAZIONE DEI CAMPI DI PROVA. 75 FIGURA 11—3. A) COMPOSIZIONE DI UN NORMALE GASOLIO DA TRAZIONE; 77 FIGURA 11—4. A SINISTRA UN GASOLIO DA TRAZIONE, A DESTRA LA MISCELA IDROCARBURICA CONTAMINANTE. 78 FIGURA 11—5. COLTURE IN TERRENO MINIMO SALINO BH ADDIZIONATO CON MISCELA IDROCARBURICA COME UNICA 80 FIGURA 12—1. A) TECNICA SVE; B) TECNICA FPR 84 FIGURA 12—2. UBICAZIONE DEI DUE POZZI DI BIOSLURPING E DEI RELATIVI POZZETTI DI CONTROLLO. 85 FIGURA 12—3. CONFIGURAZIONE DI LAVORO SVE – BIOSLURPING BS1 E BS2. 87 FIGURA 12—4. CONFIGURAZIONE DI LAVORO SVE 87 FIGURA 12—5. SCHEMA SEMPLIFICATO IMPIANTO DI SVE - BIOSLURPING – BS1. 89 FIGURA 12—6. VALORI DI O2 MISURATI DURANTE LA PROVA SVE DEL SETTEMBRE 2002 – CAMPO 1. 90 FIGURA 12—7. VALORI DI CO2 MISURATI DURANTE LA PROVA SVE DEL SETTEMBRE 2002 – CAMPO 1. 90 FIGURA 12—8. VALORI DI O2 MISURATI DURANTE LA PROVA RESPIROMETRICA DELL’OTTOBRE 2002 – CAMPO 1. 91 FIGURA 12—9. VALORI DI CO2 MISURATI DURANTE LA PROVA RESPIROMETRICA DELL’OTTOBRE 2002 – CAMPO 1. 91 FIGURA 12—10. VALORI DI CO2 MISURATI DURANTE LA PROVA RESPIROMETRICA DELL’ OTTOBRE 2002 – CAMPO 2. 92 FIGURA 12—11. VALORI DI CO2 MISURATI DURANTE LA PROVA RESPIROMETRICA DELL’OTTOBRE 2002 – CAMPO 2. 92 FIGURA 12—12. SCHEMA SEMPLIFICATO IMPIANTO DI BIOSLURPING – FPR IN BS1 E BS2. 99 FIGURA 12—13. SCHEMA SEMPLIFICATO IMPIANTO DI BIOSLURPING FPR – CAMPO 2. 100 FIGURA 12—14. VARIAZIONI DELLO SPESSORE APPARENTE DI SURNATANTE NEI POZZI DEL CAMPO2 101 FIGURA 12—15. MONITORAGGIO DEL POZZO BS1 NELLA ZONA INSATURA NON CONTAMINATA. 107 FIGURA 12—16. MONITORAGGIO DEL POZZO BS1 NELLA FRANGIA CAPILLARE CONTAMINATA. 108 FIGURA 12—17. MONITORAGGIO DEL SITO MNA1 NELLA ZONA INSATURA NON CONTAMINATA. 111 FIGURA 12—18. MONITORAGGIO DEL SITO MNA1 NELLA FRANGIA CAPILLARE CONTAMINATA. 111 FIGURA 12—19. MONITORAGGIO DEL SITO MNA2 NELLA ZONA INSATURA NON CONTAMINATA. 112 FIGURA 12—20. MONITORAGGIO DEL SITO MNA2 NELLA FRANGIA CAPILLARE CONTAMINATA. 112 FIGURA 13—1 ISOLAMENTO DEI CEPPI AUTOCTONI DEL SITO CONTAMINATO. 114 FIGURA 13—2. SCHEMATIZZAZIONE DELLA METODOLOGIA ARDRA. 117 FIGURA 13—3. ESEMPIO DI ANALISI ELETTROFORETICA DEI 16S RDNA AMPLIFICATI. ORDINE DEI CAMPIONI: 1) BS1.0C3; 2) M3AIA, 3) M3AIB, 4) BS1.0C21, 5)BS1.0C25, 6) M22A, 7)M22BI, 8)BS1.0C40A, 9)BS1.0C40B, 10) MARCATORE DI PESO MOLECOLARE 1KB. 119 172 FIGURA 13—4. ESEMPIO DI ANALISI ELETTROFORETICA DEI FRAMMENTI DI RESTRIZIONE GENERATI CON L’ENZIMA ALU I. ORDINE DEI CAMPIONI: 1) MARCATORE DI PESO MOLECOLARE 100 PB, 2) BS1.0C3, 3) M3AIA, 4) M3AIB, 5) BS1.0C21, 6) BS1.0C25, 7) M22A. 119 FIGURA 13—5. RISULTATO DELL’ANALISI MEDIANTE SIMILARITY MATRIX VER. 1.1 DELLA SEQUENZA 16S RDNA DEL CEPPO M22BI. 122 FIGURA 13—6. ALBER FILOGENETICI COSTRUITI MEDIANTE IL CONFRONTO DELLE SEQUENZE NUCLEOTIDICHE DEL 16S RDNA DEI CEPPI ISOLATI E DEI CEPPI TIPO DELLE SPECIE FILOGENETICAMENTE RELAZIONATE. 124 FIGURA 14—1 CRESCITA SU TERRENO AGARIZZATO DEL CEPPO M22BI. 129 FIGURA 14—2. PROVA DI DEGRADAZIONE DEL FENANTRENE 130 FIGURA 14—3. ANDAMENTO NEL TEMPO DEI TITOLI VITALI DEL CEPPO M22BI. 131 FIGURA 14—4. PROVA DI DEGRADAZIONE DELL’OCTACOSANO CON IL CEPPO M22BI. BEUTA DI CONTROLLO SENZA IDROCARBURO (A SINISTRA) E LA BEUTA CON IDROCARBURO (A DESTRA). 132 FIGURA 14—5. INGRANDIMENTO DI UN GRANO DI OCTACOSANO SOLIDO RICOPERTO DA UN FILM DI BATTERI DI COLORE ARANCIO (L’OCTACOSANO PURO SI PRESENTA ORIGINARIAMENTE DI COLORE BIANCO) 132 FIGURA 14—6. ANDAMENTO DELLA DEGRADAZIONE DELLA MISCELA CONTAMINANTE OPERATA DAL CEPPO GORDONIA M22BI 134 FIGURA 14—7. GC/MS ANALISI DELLA MISCELA CONTAMINANTE ESTRATTA DA UN CONTROLLO NON INOCULATO (IN ALTO) ED DI UNA COLTURA INOCULATA CON GORDONIA M22BI (IN BASSO), DOPO 10 GIORNI DI INCUBAZIONE AT 32°C. 135 FIGURA 14—8. GS/MS DELLA MISCELA CONTAMINANTE - ALIFATICI RAMIFICATI E LINEARI 136 FIGURA 14—9. MISCELA CONTAMINANTE: ALIFATICI RAMIFICATI E LINEARI 137 FIGURA 14—10. MISCELA CONTAMINANTE: MONOAROMATICI ALCHIL SOSTITUITI 138 FIGURA 14—11. MISCELA CONTAMINANTE: NAFTALENI SOSTITUITI 138 FIGURA 14—12. MISCELA CONTAMINANTE: NAFTENI SOSTITUITI 139 FIGURA 14—13. RELAZIONE TRA I TEMPI DI RITENZIONE E LA DEGRADAZIONE DEI COMPOSTI ALIFATICI NELLA MISCELA CONTAMINANTE 140 FIGURA 14—14 RELAZIONE TRA I TEMPI DI RITENZIONE E LA DEGRADAZIONE DEI COMPOSTI ALIFATICI NELLA MISCELA CONTAMINANTE 140 FIGURA 14—15 RELAZIONE TRA I TEMPI DI RITENZIONE E LA DEGRADAZIONE DEI COMPOSTI ALIFATICI NELLA MISCELA CONTAMINANTE 141 FIGURA 14—16. ANDAMENTO DELLA DEGRADAZIONE DELLA MISCELA CONTAMINANTE OPERATA DAL CEPPO GORDONIA M22BI 142 FIGURA 14—17. GC/MS ANALISI DI UN GASOLIO DA TRAZIONE ESTRATTO DALLE COLTURE INOCULATE CON GORDONIA M22BI AL TEMPO 0, 1 E 7 GIORNI A 32°C. 143 FIGURA 14—18. GS/MS DEL GASOLIO- ALIFATICI LINEARI E RAMIFICATI 145 FIGURA 14—19. GASOLIO: ALIFATICI RAMIFICATI E LINEARI 145 FIGURA 14—20 GASOLIO: MONOAROMATICI SOSTITUITI 146 FIGURA 14—21. GASOLIO: NAFTALENI SOSTITUITI 147 FIGURA 14—22. GASOLIO: NAFTENI SOSTITUITI 147 FIGURA 14—23. CRESCITA DEL CEPPO M22BI IN MISCELA CONTAMINANTE E GASOLIO. 151 FIGURA 14—24. MISCELA CONTAMINANTE: ACCORDO TRA I DATI SPERIMENTALI ED IL MODELLO 1 156 FIGURA 14—25. MISCELA CONTAMINANTE: ACCORDO TRA I DATI SPERIMENTALI ED IL MODELLO 2 156 FIGURA 14—26. MISCELA CONTAMINANTE: ACCORDO TRA I DATI SPERIMENTALI ED IL MODELLO 3 157 FIGURA 14—27. GASOLIO: ACCORDO TRA I DATI SPERIMENTALI ED IL MODELLO 1 158 FIGURA 14—28. GASOLIO: ACCORDO TRA I DATI SPERIMENTALI ED IL MODELLO 2 158 FIGURA 14—29. GASOLIO: ACCORDO TRA I DATI SPERIMENTALI ED IL MODELLO 3 159 173 TABELLA 1. CEPPI ISOLATI DALLA ZONA VADOSA DI TRE DIFFERENTI SITI DI REGIONI ARIDE E SEMIARIDE (KIEF, 1999) 29 TABELLA 2. REAZIONI GENERALI DI CONVERSIONE DELLA SOSTANZA ORGANICA IN DIFFERENTI AMBIENTI REDOX E CORRISPONDENTI VALORI DELL’ENERGIA LIBERA DI GIBBS A PH = 7 34 TABELLA 3. SOLUBILITÀ E VISCOSITÀ DI PRODOTTI PETROLIFERI RAPPRESENTATIVI: COLE GM (1994), “ASSESSMENT AND REMEDIATION OF PETROLEUM CONTAMINATED SITES” - BOCA RATON, FL: CRC PRESS. 36 TABELLA 4. PROPRIETÀ DEI COMPOSTI, TEMPERATURA DEL PIATTO D’ALLUMINIO E 44 TABELLA 5 46 TABELLA 6. CALCOLO DEL MPN A 5 TUBI. 50 TABELLA 7. COMPOSIZIONE DELLA MISCELA DI REAZIONE 53 TABELLA 8. SCHEMA UTILIZZATO PER AMPLIFICARE IL GENE DEL 16S RRNA 54 TABELLA 9. SEQUENZE DEI PRIMER 55 TABELLA 10. 56 TABELLA 11. FONTI DI CARBONIO ED ENERGIA 63 TABELLA 12 70 TABELLA 13. PROCEDIMENTO PER LA PREPARAZIONE DELLE SOLUZIONI DI TARATURA 72 TABELLA 14 TENORE DEI NITRATI, NITRITI, AMMONIO E FOSFATI NEI CAMPI DI PROVA. 78 TABELLA 15. PUNTI DI CAMPIONAMENTO E LA PROFONDITÀ DI PRELIEVO NEI CAMPI DI PROVA. 86 TABELLA 16. FASI DI SPERIMENTAZIONE DELLE TECNICHE SVE E FPR NEI CAMPI DI PROVA BS1 E BS2. 86 TABELLA 17. PARAMETRI OPERATIVI E CONFIGURAZIONI SVE NEI CAMPI PROVE 1 E 2 88 TABELLA 18 SETTEMBRE 2002, CAMPO PROVA 1: CONSUMO DI O2 E TASSO DI DEGRADAZIONE. 95 TABELLA 19 OTTOBRE 2002, CAMPO PROVA 1: CONSUMO DI O2 E TASSO DI DEGRADAZIONE 96 TABELLA 20 GENNAIO 2003, CAMPO PROVA 2: CONSUMO DI O2 E TASSO DI DEGRADAZIONE 97 TABELLA 21 LIVELLI PIEZOMETRICI DI FALDA E PRODOTTO, RILEVATI PRIMA (25/07/02) E DOPO (30/07/02) 99 TABELLA 22. QUANTITATIVO DI PRODOTTO RECUPERATO E QUANTITATIVO DI ACQUA EMUNTA NEL CAMPO PROVE 2 102 TABELLA 23. CAMPIONI RACCOLTI PRIMA DELLA MESSA IN OPERA DEI POZZI DI BIOSLURPING. 104 TABELLA 24. CAMPIONI RACCOLTI DURANTE IL MONITORAGGIO DEI DUE CAMPI DI PROVA DI BIOSLURPING. 105 TABELLA 25 CAMPIONI RACCOLTI NEI CAMPI DI PROVA MNA. 110 TABELLA 26. CEPPI ISOLATI DALL’ARRICCHIMENTO MPN DEI CAMPIONI DI SOTTOSUOLO BS1.0, BS1.2, BS1.3, BS1.4, BS1.5 IN TERRENO MINERALE BH CON CONTAMINANTE (CEPPI SERIE BS1.0, BS1.2, BS1.3, BS1.4, BS1.5). 115 TABELLA 27. CEPPI ISOLATI DAL CONTAMINANTE MEDIANTE ARRICCHIMENTO (CEPPI SERIE M). 116 TABELLA 28. PROFILI OTTENUTI TAGLIANDO CON LE ENDONUCLEASI ALU I, RSA I E HINF I I 16S RDNA AMPLIFICATI DEI CEPPI DELLA SERIE M. NON SONO CONSIDERATE LE BANDE AL DI SOTTO DI 100 PB. 118 TABELLA 29. PROFILI DI RESTRIZIONE DEI CEPPI ISOLATI DALLA MISCELA CONTAMINANTE (CEPPI SERIE M). 119 TABELLA 30. PROFILI OTTENUTI TAGLIANDO, CON LA ENDONUCLEASI ALU I, I 16S RDNA AMPLIFICATI DEI CEPPI DELLA SERIE BS1.0 E BS1.2. NON SONO CONSIDERATE LE BANDE AL DI SOTTO DI 100 PB. 120 TABELLA 31. CEPPI ISOLATI DAL SUOLO DELLA FRANGIA CAPILLARE CONTAMINATA NEL CORSO DEL MONITORAGGIO (CEPPI SERIE BS1.0, BS1.2, BS1.3, BS1.4 E BS1.5). 120 TABELLA 32. RISULTATO DELL’ANALISI MEDIANTE SIMILARITY MATRIX VER. 1.1 DELLA SEQUENZA 16S RDNA DEL CEPPO M22BI 122 TABELLA 33. ANALISI DEL 16S RDNA DEI CEPPI ISOLATI DAL SUOLO DELLA FRANGIA CAPILLARE CONTAMINATA NEL CORSO DEL MONITORAGGIO. 123 TABELLA 34. CRESCITA SU TERRENO AGARIZZATO CON IDROCARBURI FORNITI SOTTO FORMA DI VAPORE DEL CEPPO M22BI. 129 TABELLA 35. CRESCITA SU TERRENO LIQUIDO CON IDROCARBURI DEL CEPPO M22BI. 131 TABELLA 36. DEGRADAZIONE DELLA MISCELA CONTAMINANTE OPERATA DAL CEPPO M22BI (TPH) 134 TABELLA 37. MISCELA CONTAMINANTE - DEGRADAZIONE DEGLI ALCANI LINEARI ED A CATENA RAMIFICATA 136 TABELLA 38. MISCELA CONTAMINANTE - DEGRADAZIONE DEI MONOAROMATICI ALCHIL SOSTITUITI 137 174 TABELLA 39. MISCELA CONTAMINANTE - DEGRADAZIONE DEI NAFTALENI SOSTITUITI 138 TABELLA 40. MISCELA CONTAMINANTE - DEGRADAZIONE DEI NAFTENI SOSTITUITI 139 TABELLA 41. DEGRADAZIONE DEL GASOLIO OPERATA DAL CEPPO M22BI (TPH) 142 TABELLA 42 GASOLIO - DEGRADAZIONE DEGLI ALCANI LINEARI ED A CATENA RAMIFICATA 144 TABELLA 43 GASOLIO - DEGRADAZIONE DEI MONOAROMATICI ALCHIL SOSTITUITI 146 TABELLA 44. GASOLIO - DEGRADAZIONE DEI NAFTALENI SOSTITUITI 146 TABELLA 45 GASOLIO - DEGRADAZIONE DEI NAFTENI SOSTITUITI 147 TABELLA 46. CONFRONTO TRA LA DEGRADAZIONE DELLA MISCELA CONTAMINANTE E DEL GASOLIO 149 TABELLA 47. ESPERIMENTO DI DEGRADAZIONE IN BATCH CON MISCELA CONTAMINANTE E GASOLIO COME FONTI DI CARBONIO 150 TABELLA 48. MISURE DELLA QUANTITÀ DEL DNA TOTALE DURANTE LA CRESCITA DEL CEPPO M22BI 150 TABELLA 49. MISCELA CONTAMINANTE: RISULTATI DELL’INTERPOLAZIONE DEI DATI PER IL MODELLO 1 156 TABELLA 50. MISCELA CONTAMINANTE: RISULTATI DELL’INTERPOLAZIONE DEI DATI PER IL MODELLO 2 156 TABELLA 51. MISCELA CONTAMINANTE: RISULTATI DELL’INTERPOLAZIONE DEI DATI PER IL MODELLO 3 157 TABELLA 52 GASOLIO: RISULTATI DELL’INTERPOLAZIONE DEI DATI PER IL MODELLO 1 158 TABELLA 53. GASOLIO: RISULTATI DELL’INTERPOLAZIONE DEI DATI PER IL MODELLO 2 158 TABELLA 54. GASOLIO: RISULTATI DELL’INTERPOLAZIONE DEI DATI PER IL MODELLO 3 159 175 176
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