Ordine degli Avvocati di Milano

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Ordine degli Avvocati di Milano
Ordine degli Avvocati di Milano - Fondazione Forense
Le questioni di stato: il disconoscimento di paternità e il riconoscimento dei
figli naturali
Milano, 25 gennaio 2012
Maria Dossetti
Bibliografia essenziale generale
Si possono utilmente consultare i contributi dedicati alla filiazione in
Trattato di diritto di famiglia diretto da Zatti, II, Milano, 2002
Il diritto di famiglia. Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, II ed., Torino, 2007
Il nuovo diritto di famiglia. Trattato diretto da Ferrando, Bologna, 2007
Codice della famiglia ipertestuale, Torino, Utet, 2009
Comm. cod. civ. Gabrielli, Della famiglia, a cura di Balestra, Torino, 2010
I - PRINCIPI GENERALI
1) Gli status o lo status di filiazione? Modi diversi di accertamento per un
unico status
Secondo le nozioni istituzionali, quando si parla di modi di accertamento del
rapporto di filiazione, ci si riferisce alle regole che permettono di attribuire ad un
bambino che viene al mondo uno status di filiazione.
Tuttavia, è necessario precisare che, con riguardo al rapporto di filiazione, il
temine “status” è da tempo utilizzato in due diverse accezioni:
a) status in senso sostanziale, che designa il rapporto tra il figlio e i genitori
che lo hanno generato, e che sussiste per il solo fatto della procreazione,
indipendentemente dal suo accertamento (art. 30, 1° comma, Cost.: “E’ dovere e
diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del
matrimonio” ): si tratta del c.d. “principio di responsabilità per la procreazione”.
La titolarità dello status in senso sostanziale spetta ad ogni essere umano ( v.
FERRANDO, La filiazione naturale e la legittimazione2, in Trattato Rescigno,
1997, p. 99 ss.; BIANCA, La famiglia, Milano, 2005, 345 ss.)
La conseguenza pratica più evidente è che il figlio, anche nato fuori del
matrimonio, ha diritto al mantenimento da parte di entrambi i genitori fin dalla
nascita. Tuttavia, il credito per il rimborso, che spetta all’ altro genitore che
abbia provveduto al mantenimento del figlio, è disponibile, e quindi è sottoposto
al principio della domanda, ed inoltre alla prescrizione (v., da ultimo, Cass., 6
novembre 2009, n. 23630; Cass., 25 febbraio 2009, n. 4588, in Foro it., 2009,
1026; Cass., 17 dicembre 2007, n. 26575, in Fam. e dir., 2008, 563 e Trib.
Trani, 27 settembre 2007, ibidem, 564). Nel caso in cui non sia possibile
pervenire ad una esatta determinazione dell'importo dovuto a titolo di rimborso
in favore del genitore che ha provveduto al mantenimento del figlio fin dalla
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nascita, è legittimo il ricorso all'equità (Cass., 19 febbraio 2010, n. 3991; Cass.,
17 giugno 2004, n. 11351; Trib. Bologna, 22 febbraio 2011)
b) status in senso formale: è la nozione tradizionale di status, che si riferisce
al rapporto di filiazione giuridicamente accertato e che colloca la persona in una
determinata relazione con i suoi genitori, la famiglia, la società.
L’attribuzione dello status in senso formale è regolata dalle norme
sull’accertamento del rapporto di filiazione, a seconda che la nascita sia
avvenuta nel matrimonio o fuori del matrimonio. Nel nostro ordinamento, dopo
la riforma del diritto di famiglia, era rimasta ancora una categoria di figli che
non avrebbero mai potuto conseguire uno status di filiazione, quella dei figli
incestuosi di genitori in mala fede. Ma la Corte costituzionale ha cancellato
questa anomalia: v. Corte cost., 28 novembre 2002, n. 494, in Giur. it., 2003,
868 e 1306; Foro it., 2004, I, 1053; Fam. e dir., 2003, 119, che, ammettendo la
dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale su domanda del figlio
incestuoso, ha solennemente proclamato che ogni persona ha diritto ad uno
status filiationis anche in senso formale, secondo un principio riconducibile
all’art. 3 Cost.
La diversa origine del figlio incide però non solo sui modi di accertamento
dello status, ma anche sulla disciplina del rapporto di filiazione.
Da anni ormai si denuncia l’esigenza di introdurre una vera e propria
unificazione della disciplina del rapporto di filiazione, con l’eliminazione degli
aggettivi “legittimo” e “naturale” e quindi la eliminazione di ogni distinzione
quanto agli effetti della filiazione. E’ bene sottolineare che si richiede la
unificazione, non la equiparazione della filiazione naturale a quella legittima,
che presupporrebbe una condizione privilegiata della filiazione legittima.
Un passo importante nel senso del superamento delle differenze di disciplina
tra le due filiazioni è stato compiuto dalla l. 54/2006, sull’affidamento
condiviso: l’art. 4 estende l’applicazione della legge ai figli di genitori non
coniugati, e quindi, in particolare, l’applicazione dell’art. 155, 1° comma, che
dispone che i figli hanno diritto di conservare rapporti significativi con gli
ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale (v. DOSSETTI, La
disciplina unitaria dello status di figlio: un adempimento che non può essere
rinviato, in Fam. Pers. e Succ., 2006, 418).
Dovrà invece essere mantenuta la diversità nell’accertamento della
sussistenza dello status di filiazione .
In particolare, dovrà rimanere la rilevanza del matrimonio nell’accertamento
dello status dei figli nati da genitori coniugati (elemento presente anche in tutte
le recenti riforme europee del diritto della filiazione), mentre il principio
volontaristico potrà continuare ad essere il fondamento del sistema di
accertamento della filiazione rispetto a genitori non coniugati. Oggi, l’istituto
del matrimonio è sempre più depurato dall’idea che esso attribuisca ai coniugi e
ai figli uno status di dignità superiore, mentre viene in primo piano la sua natura
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di impegno con cui i coniugi assumono diritti e doveri reciproci, e nei confronti
dei figli, con carattere “programmatico”, ossia tendenzialmente per tutta la vita.
2) I modi di accertamento della filiazione
a) Filiazione legittima. L’accertamento avviene in modo automatico, in
presenza di alcuni presupposti: matrimonio dei genitori; concepimento in
costanza di matrimonio; nascita dalla moglie e c.d. presunzione di paternità (art.
231 c.c.). L'operatività della presunzione di paternità è però subordinata alla
formazione di un titolo dello stato di figlio legittimo, ossia un atto di nascita
che contenga tutte le indicazioni necessarie perché possa essere attribuita al
marito la paternità (CATTANEO, Della filiazione legittima, in Comm. Scialoja,
Branca, Bologna-Roma, 1988; DOSSETTI, Lo status del figlio nato in costanza di
matrimonio, in FD, 2007, 87). La filiazione legittima è indivisibile, nel senso
che si può essere figli legittimi soltanto di due genitori (a parte i casi eccezionali
di legittimazione unilaterale o adozione legittimante da parte di un solo
genitore).
b) Filiazione naturale. L’accertamento è fondato sul principio volontaristico:
riconoscimento dei genitori, ovvero dichiarazione giudiziale di paternità o
maternità naturale promossa dal figlio. La filiazione naturale è divisibile, nel
senso che l’accertamento del rapporto di filiazione nei confronti di ciascuno dei
genitori deve avvenire in modo autonomo.
Domanda: sarebbe auspicabile il passaggio al principio “mater sempre certa”,
ossia al sistema dell’accertamento automatico della filiazione materna (v.
RENDA, L'accertamento della maternità. Profili sistematici e prospettive
evolutive, Torino, 2008)?
b1) Principio volontaristico e diritto allo status dei figli naturali
Benché il riconoscimento del figlio naturale sia basato sul principio
volontaristico, in giurisprudenza si è ritenuta illecita la condotta del genitore che
non abbia riconosciuto, e dunque non abbia contribuito a mantenere, istruire ed
educare il proprio figlio naturale. Cfr. Trib Modena, 12 settembre 2006: la
condotta del padre “causa un danno esistenziale al figlio naturale e alla madre
che, nel caso di specie, si manifesta, per la donna, sul piano delle relazioni
sociali, per il figlio, nelle ripercussioni sociali derivanti dalla consapevolezza di
non essere mai stato desiderato e trattato come figlio. Il diritto al risarcimento
del danno da essi subito, nonché il diritto della madre al rimborso pro quota
delle spese effettuate per il mantenimento del figlio naturale, può essere tutelato
attraverso il sequestro conservativo autorizzato sui beni del padre”. (V. anche
Trib. Modena (ord.), 11 settembre 2006, in Fam. pers. succ., 2006, 950, che
valuta i danni risarcibili); Trib. Venezia, 18/04/2006: “E’ fonte di responsabilità
extracontrattuale il comportamento di un genitore che venendo meno ai propri
obblighi nascenti dal rapporto di filiazione, abbia scelto di non riconoscere il
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bambino e non abbia provveduto in alcun modo al suo mantenimento”, in Fam.
e dir., 2007, 10, 927, nota di FACCI.
Queste decisioni, in realtà, sembrano confondere i doveri di mantenimento
ecc., di cui all’art. 30, 1° co., Cost. con il “dovere del riconoscimento”, che non
sembra sussistere nel nostro ordinamento. V., infatti, Trib. Trani, 27 settembre
2007, cit., che esclude che un danno esistenziale possa derivare
automaticamente dal mancato riconoscimento - che, si ricorda, non è
obbligatorio – quasi fosse un danno in re ipsa, essendo invece necessaria la
prova rigorosa del danno subito come conseguenza del mancato riconoscimento.
In dottrina, tuttavia, inizia a farsi strada l’opinione che la tutela primaria
dell’identità della persona implichi sul piano sostanziale il diritto soggettivo
del figlio ad essere riconosciuto, ed impone al genitore un obbligo in senso
giuridico, la cui violazione renderebbe praticabile un’azione risarcitoria del
figlio leso nell’“originarietà” dello status (BOLONDI, Commento all’art. 250, in
Comm. cod. civ. Gabrielli, Della famiglia, a cura di Balestra, artt. 177-342 ter,
Torino, 2010, 516 ss.). Secondo un’altra opinione, il genitore che non riconosce
suo iure utitur, ma deve indennizzare il danno non patrimoniale subito dal figlio,
sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 2045 c.c. (GALGANO, Le antiche e le
nuove frontiere del danno risarcibile, in Contr. e impresa, 2009, 100 ss.).
A mio avviso, la responsabilità aquiliana si potrebbe ipotizzare solo in
circostanze molto particolari, e in ogni caso esige la dimostrazione della
sussistenza dei requisiti di cui all’art. 2043 c.c., e in particolare della colpa del
genitore.
b2) La tutela del diritto allo status del figlio naturale deve basarsi, più
precisamente, sulla rimozione dei limiti all’accertamento del rapporto di
filiazione, sia con riguardo ai genitori, sia con riguardo ai figli. La riforma del
diritto di famiglia ha rimosso i limiti riguardanti i figli c.d. adulterini, ma aveva
mantenuto quelli relativi ai figli incestuosi (art. 251 e art. 269, 1° co.).
Tuttavia la Corte costituzionale, dichiarando l’incostituzionalità dell’art. 278,
1° co «nella parte in cui esclude la dichiarazione giudiziale della paternità e
della maternità naturale, e le relative indagini, nei casi in cui, a norma dell'art.
251, 1° co., il riconoscimento è vietato», ha ammesso che i figli incestuosi
possano agire per ottenere la dichiarazione giudiziale, ma ha anche precisato che
non vale l'inverso, ovvero che il riconoscimento sia ammesso in tutti i casi in cui
sia possibile la dichiarazione giudiziale (Corte cost., 28 novembre 2002, n.
494, cit.)
Si è rilevato, in dottrina, che la Corte costituzionale ha in sostanza introdotto
una nuova categoria di figli, i figli non riconoscibili ma dichiarabili,
distinguendo tra divieto di riconoscimento dei figli incestuosi di genitori in mala
fede e divieto di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità (AMBANELLI,
La filiazione non riconoscibile, in Tratt. Bonilini, Cattaneo, III, 2ª ed., Torino,
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2007, 236; FERRANDO, La condizione dei figli incestuosi: la Corte costituzionale
compie il primo passo, in Familia, 2003, 833).
Il divieto del riconoscimento mantiene il suo carattere sanzionatorio nei
confronti dei genitori, ma nessun figlio può essere privato del diritto di
conseguire lo status che gli spetta per nascita.
Così pure, è stato stabilito che è contraria al principio di ordine pubblico
internazionale, che garantisce a chiunque la possibilità di acquisire lo status di
figlio naturale verso il soggetto che l’abbia concepito, la legge straniera che
precluda al padre di riconoscere il figlio nato da una relazione extraconiugale. In
tali casi, troverà sempre applicazione la legge italiana, ai sensi dell’art. 16 l. 31
maggio 1995, n. 218 (Cass., 28 dicembre 2006, n. 27592, in Fam. pers. e
succ., 2007, 597, nota CORBETTA).
Ulteriori ostacoli all’accertamento della filiazione naturale sono stati rimossi
dalle sentenze della Corte costituzionale 10 febbraio 2006, n. 50 (abrogazione
dell’art. 274 c.c.) e 6 luglio 2006, n. 266 (ammissibilità delle prove biologiche
per la prova dell’adulterio nell’azione di disconoscimento).
3) Le azioni di stato in generale
Nell’esposizione tradizionale si distingue tra azioni di stato legittimo e azioni
relative alla filiazione naturale.
I principi ispiratori della disciplina delle azioni di stato: certezza dello status e
verità dello status, che di per sé sono in conflitto. Esigenza di bilanciamento
tra questi due principi.
In linea di principio, la riforma del diritto di famiglia ha dato maggior spazio
alla ricerca della verità: estensione della legittimazione all’azione di
disconoscimento; eliminazione dei limiti alla ricerca della paternità naturale;
ampliamento dei termini delle azioni di stato.
Quanto all’esigenza di certezza degli status, essa è normalmente assicurata
dalle regole in materia di legittimazione e di limitazione temporale dell’azione:
ad esempio, in linea di principio le azioni di stato sono imprescrittibili riguardo
al figlio, mentre si prescrivono con riguardo agli eredi o ai discendenti.
Fa eccezione l’azione di disconoscimento, i cui limiti peculiari (in particolare
quanto a legittimazione e termini) sono dettati non solo a presidio dello stato di
legittimità, ma corrispondono anche all’esigenza che non sia messa in dubbio,
senza fondate ragioni, la fedeltà della moglie.
Rimane comunque escluso dalla legittimazione al disconoscimento il preteso
padre naturale (Corte cost., 27 novembre 1991, n. 429). Nelle recenti riforme
europee della filiazione (ad esempio, Francia, 2006) invece, ne è riconosciuta la
legittimazione.
La Corte europea dei diritti dell’uomo (sent. 24 novembre 2005, n. 74826,
in Fam., Pers. e Succ., 2006, 188) ha riconosciuto che l’istituzione di un termine
per l’esercizio dell’azione di disconoscimento può essere giustificato dalla
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preoccupazione di garantire la certezza giuridica dei rapporti familiari e di
proteggere l’interesse del minore; tuttavia il termine deve essere tale da
realizzare un bilanciamento con l’interesse del ricorrente a far cadere la
presunzione di paternità.
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II – LA FILIAZIONE LEGITTIMA
1) I presupposti della legittimità della filiazione
Art. 231 c.c.: matrimonio dei genitori; concepimento in costanza di
matrimonio; nascita dalla moglie e c.d. presunzione di paternità del marito. Al
concepimento è equiparata la nascita in costanza di matrimonio (art. 233 c.c.).
2) In particolare: la paternità del marito
La presunzione opera quando è formato un titolo dello stato di figlio
legittimo, ossia un atto di nascita che contenga tutte le indicazioni necessarie
perché possa essere attribuita al marito la paternità, in particolare la menzione
dello stato di coniugata della madre.
Cfr., inoltre, art. 30, 1° comma, ord. st. civ., secondo cui la dichiarazione di
nascita deve essere fatta rispettando l’eventuale volontà della madre di non
essere nominata. In base ad una interpretazione storico-sistematica, la norma
non solo conferma il principio, proprio del nostro ordinamento, secondo cui la
madre naturale può scegliere di non riconoscere il figlio, ma estende alla donna
coniugata la facoltà di tacere la propria identità quando ella sia in realtà madre
naturale, ossia quando il figlio sia frutto di adulterio: in questo modo viene
impedita l'individuazione del padre, e l’attribuzione automatica della paternità al
marito, che non corrisponderebbe a verità. Una volta impedita l'attribuzione
della paternità al marito, la donna coniugata può anche riconoscere direttamente
il figlio come proprio figlio naturale, secondo quanto prevede l'art. 250,
1°comma, c.c. (DOSSETTI, L'accertamento della filiazione legittima tra
automatismo e principio volontaristico, in GI, 2002, 1999 ss.; RENDA,
L'accertamento della maternità. Profili sistematici e prospettive evolutive,
Torino, 2008, 131 ss.)
Come conseguenza dei principi appena esposti, si deve anche ritenere che chi dichiari il
neonato come figlio di donna coniugata, nella consapevolezza che il marito non è il padre, ma
determinando così la formazione di un atto di nascita di figlio legittimo, commetta il delitto di
alterazione di stato (art. 567 c.p.) (BISCONTINI, La filiazione legittima, in Tratt. Bonilini,
Cattaneo, III, Filiazione e adozione, 2ª ed., Torino, 2007, 6; RENDA, L'accertamento della
maternità, cit., 88).
In questo senso è pure orientata la giurisprudenza, nelle occasioni in cui è stata chiamata
ad occuparsi della questione (Cass. pen., Sez. VI, 3 luglio 1989; T. Trapani 1 marzo 1982).
L'ampia formulazione dell'art. 30, 1° co., d.p.r. 3.11.2000, n. 396 - «La dichiarazione di
nascita è resa...rispettando l'eventuale volontà della madre di non essere nominata» - ha
tuttavia generato un delicato problema interpretativo. Infatti, la norma, se presa alla lettera,
svincolata dalla sua genesi e dalla sua ratio, potrebbe essere interpretata nel senso che in ogni
caso la donna coniugata abbia la facoltà di non farsi nominare nella dichiarazione di nascita,
anche quando il figlio sia stato concepito con il marito, così che la norma attribuirebbe alla
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madre il potere discrezionale di "qualificare" il rapporto di filiazione, anche privando il figlio
dello stato di legittimità che gli spetta. Chi segue questa linea interpretativa ha infatti
affermato che la norma ha fortemente intaccato il principio della formazione de iure del titolo
dello stato di figlio legittimo, che in un certo senso risulta parificata a quella del titolo di
filiazione naturale, poiché la volontà materna appare arbitra, nell'uno come nell'altro caso, in
ordine all'attribuzione dello status al nato: di conseguenza, nel caso che la moglie si avvalga
della facoltà di non essere nominata, il marito avrebbe soltanto la possibilità di riconoscere il
figlio come proprio figlio naturale (così SESTA, Genitori e figli naturali: il rapporto, in Sesta,
Lena, Valignani, Filiazione naturale. Statuto e accertamento, Milano, 2001, 10; ID., Diritto di
famiglia, 2a ed., Padova, 2005, 496; PALAZZO, La filiazione, in Tratt. Cicu, Messineo, Milano,
2007, 278, 308).
Ma questa interpretazione non può essere seguita per diverse, ed evidenti, ragioni: non solo
è in contrasto con l'origine della norma, ed introdurrebbe un'inaccettabile disparità di
trattamento tra il marito e la moglie, attribuendo solo a quest'ultima il potere di determinare lo
status del figlio, ma soprattutto sarebbe in contrasto con il principio per cui il figlio partorito
dalla moglie e generato dal marito è titolare dello stato legittimo indipendentemente dalla
formazione del titolo corrispondente, poiché quando il figlio è legittimo per nascita, il suo
stato è originario e incontestabile, e può sempre essere reclamato (DOSSETTI,
L'accertamento della filiazione legititma, in GI, 1999, par. 6; RENDA, L'accertamento della
maternità, cit., 131; FERRANDO, La filiazione: problemi attuali e prospettive di riforma, in
FD, 2008, 643).
Si può aggiungere che il riconoscimento come figlio naturale da parte del padre e marito
non solo sarebbe contrario a verità, ma porterebbe a risultati paradossali. Con il
riconoscimento, infatti, il marito si accuserebbe, in sostanza, di un adulterio che non ha
commesso; inoltre, il riconoscimento da parte di una persona coniugata di un figlio naturale
senza che l’altro genitore naturale abbia a sua volta riconosciuto farebbe scattare l’art. 74 l.
adoz., ossia l’obbligo di comunicazione da parte degli ufficiali di stato civile al tribunale per i
minorenni, che può disporre indagini per accertare la veridicità del riconoscimento, e dunque
anche scoprire l’origine legittima del figlio e portare all’incriminazione del padre per
alterazione di stato.
3) L’azione di disconoscimento della paternità ex art. 235
3. 1) I presupposti o condizioni di procedibilità
a) Mancata coabitazione e impotenza (il giudicato che respinge la domanda per
uno dei presupposti non impedisce che la domanda venga ripresentata per
l’altro: App. Milano, 14 febbraio 1997, in Fam. e dir., 1998, 1451).
b) Adulterio: cfr. Cass., 5 giugno 2004, n. 10742, in Fam. e dir., 2004, 569, che
ha sollevato la questione di costituzionalità dell’art. 235, comma 1, n. 3 c.c.
nella parte in cui subordina l’utilizzo delle risultanze della prova genetica o
ematologica alla raggiunta prova dell’adulterio della moglie.
La Corte costituzionale, con sent. 6 luglio 2006, n. 266, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 235 c.c. nella parte in cui, ai fini dell'azione
di disconoscimento della paternità, subordina l'esame delle prove tecniche, da
cui risulta “che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo
sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre”, alla previa
dimostrazione dell'adulterio della moglie. Nella motivazione della decisione si
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legge: “Il subordinare...l'accesso alle prove tecniche, che, da sole, consentono di
affermare se il figlio è nato o meno da colui che è considerato il padre legittimo,
alla previa prova dell'adulterio è, da una parte, irragionevole, attesa l'irrilevanza
di quest'ultima prova al fine dell'accoglimento, nel merito, della domanda
proposta; e, dall'altra, si risolve in un sostanziale impedimento all'esercizio del
diritto di azione garantito dall'art. 24 della Costituzione. E ciò per giunta in
relazione ad azioni volte alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo status e
alla identità biologica”.
Secondo alcuni, la decisione ha sovvertito il sistema precedente, fondato sull'impianto
casistico dell'art. 235, incentrando l'esito del procedimento sui soli risultati degli esami
genetici ed ematologici (BOLONDI, L'azione di disconoscimento della paternità può essere
accolta anche sulla base delle sole risultanze delle indagini genetiche o ematologiche, in FD,
2006, 466; CARBONE V., Basta la prova del DNA e non più dell'adulterio per disconoscere la
paternità, in CorG, 2006, 1368, ivi, 1373; CARBONE E., Disconoscimento di paternità:
un'incisiva riforma orientata al favor veritatis, in Familia, 2006, 1175).
Secondo altri invece, la decisione della Consulta, benché abbia assunto la forma della
dichiarazione di incostituzionalità, appare nella sostanza una sentenza interpretativa, poiché
si limita a superare la lettura consolidata della norma impugnata, che risulta viziata da
incostituzionalità solo se interpretata nel senso di subordinare l'esame delle prove tecniche
alla previa dimostrazione dell'adulterio; di conseguenza, si deve escludere che l'attore in
disconoscimento possa proporre direttamente ed autonomamente le prove tecniche, e sia
esonerato dall'articolare mezzi istruttori idonei a fornire la prova dell'adulterio (o degli altri
fatti in presenza dei quali l'azione è proponibile) (BEMBO, Prova dell'adulterio e indagini
ematogenetiche: la svolta della Consulta, in Fam. Pers. e Succ., 2007, 628, ivi, 635; VIRGA,
Disconoscimento di paternità, prova dell'adulterio e test ematogenetico: tra "τεχνη" e "δικη"
la Consulta opta per il giusto mezzo, in Familia, 2006, 1189, ivi, 1195). Concorda
sostanzialmente con questa valutazione chi ritiene che il vecchio impianto casistico dell'art.
235 non sia stato accantonato, benché si possa prevedere che il nuovo principio porterà a
superare, nella prassi, il ricorso ai criteri della mancata coabitazione e dell'impotenza [RENDA,
La Cassazione recepisce l'intervento della Consulta in materia di disconoscimento della
paternità e (sopravvenuta irrilevanza della) prova dell'adulterio, in FD, 2007, 790, ivi, 796].
Questa seconda impostazione sembra più corretta. La Corte non ha stravolto l’impianto
dell’art. 235, e dunque continuerà ad essere onere dell’attore in disconoscimento provare i
fatti a sostegno della domanda. Una soluzione diversa, che aprisse la strada a indagini
meramente esplorative, renderebbe inutile l’intero art. 235, come anche la stessa presunzione
di paternità (cfr. BEMBO, Prova dell’adulterio, cit., 628.).
Inoltre, ancorare l’azione di disconoscimento ai presupposti tradizionali permette che possano
continuare ad essere applicate le regole sui termini dell’azione, e sulla loro decorrenza.
Prime applicazioni della sentenza della Corte costituzionale: Cass., 22 febbraio
2007, n. 4175, in Fam. e dir., 2007., 787; Cass., 3 aprile 2007, n. 8356)
In ogni caso, perché non sorgano dubbi in ordine al corretto svolgimento delle
indagini ed alla possibilità che siano avvenute manipolazioni, è indispensabile la
garanzia che la consulenza tecnica sia svolta sotto la sorveglianza del giudice e
nel contraddittorio tra le parti; ciò permette anche di garantire il bene
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individuale della riservatezza dell'informazione genetica da abusi (cfr.
Garante della privacy, provvedimento 27 novembre 2008: considerata
illegittima la raccolta di campioni biologici del ricorrente e la loro analisi
all’insaputa dello stesso, e vietato l’utilizzo delle risultanze nel procedimento di
disconoscimento della paternità).
Un ulteriore grave problema in materia di assunzione stragiudiziale delle
prove genetiche è quello del consenso a sottoporre il figlio minore alle relative
indagini. Secondo alcuni, il consenso dovrebbe essere dato da entrambi i
genitori (SESTA, La filiazione, in Tratt. Bessone, IV, Il diritto di famiglia, 3,
Torino, 1999, 48), e i laboratori presso cui le analisi vengono effettuate
dovrebbero
raccoglierlo
(così
PRANDINI,
Implicazioni
giuridiche,
giurisprudenziali e medico legali delle prove biologiche in tema di ricerca della
paternità, in FD, 1999, 199, ivi, 201), mentre, secondo altri, è dubbio che il
consenso di entrambi i genitori sia idoneo, sussistendo un conflitto di interessi
con il figlio, e si ipotizza la nomina di un curatore speciale, che dovrebbe
essere sollecitata al giudice dal consulente richiesto della perizia (FERRANDO,
Prove genetiche, verità biologica e principio di responsabilità nell'accertamento
della filiazione, in RTDPC, 1996, 725, ivi, 733). D'altra parte, potrebbe anche
profilarsi un problema di tutela del figlio minore rispetto ad un indiscriminato
ricorso stragiudiziale alla prova del Dna, effettuato da un genitore all'insaputa
dell'altro (cfr. RENDA, La Cassazione recepisce l'intervento della Consulta, cit.
796).
3. 2) Legittimazione e termini
a) Legittimazione
- I principi in tema di legittimazione: art. 235 c.c.
- In particolare, il preteso padre naturale non è legittimato a proporre l’azione
ma può essere ammesso a testimoniare nel giudizio (App. Milano, 18 marzo
1997, in Dir. famiglia, 1998, 1451), e può anche essere ammesso ad intervenire
nel giudizio davanti alla Corte costituzionale, relativo alla pretesa
incostituzionalità della sua esclusione dalla legittimazione a promuovere
l’azione di disconoscimento (Corte cost. 27 novembre 1991, in Giur. it., 1992, I,
1, 385)
- Litisconsorzio necessario passivo (art. 247)
- Trasmissibilità dell’azione (art. 246): successione in senso lato di soggetti che
normalmente sono anche eredi, ma che succedono non in quanto tali, ma in
quanto congiunti.
- Morte del titolare dell’azione in pendenza del giudizio: si applica l’art. 110 cpc
(subentrano gli eredi) o l’art. 246? L’orientamento più accreditato ritiene che si
applichi l’art. 246, che sembra una ipotesi di successione anomala (ma, in
contrario v. recentemente Trib. Monza, 1° marzo 2005)
10
b) Termini
- Decorrenza dei termini: La Corte costituzionale è intervenuta più volte sulla
decorrenza dei termini, come disciplinati dall’art. 244.
Prima della sentenza della Corte cost. 266/2006, v. anche Cass., 25 febbraio
2005, n. 4090, dove si è respinta la domanda di disconoscimento per decorrenza
dei termini, il cui inizio è stato fissato dal momento in cui l’attore viene a
conoscenza dell’adulterio della moglie, e non dal momento in cui egli
raggiunge la “certezza” negativa della paternità biologica del marito. Dopo la
sentenza della Corte costituzionale, questo principio è stato confermato da
Cass., 2 luglio 2010, n. 15777 (nella specie, l’azione era stata promossa dal
figlio e la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ricollegato la
decorrenza del termine alla pubblicazione di un testamento nel quale il de cuius
aveva riconosciuto l'attore quale suo figlio naturale, ravvisando in ciò un evento
sufficiente a rendere noto l'adulterio della madre) e da Cass., 23 ottobre 2008,
n. 25623, in Foro it., 2008, 3444. L’argomento fondamentale portato dalla Corte
si basa sulla considerazione che “il differimento correlato alla raggiunta certezza della
paternità, in quanto indeterminato ed indeterminabile perchè rimesso a momento successivo
sostanzialmente affidato all'arbitrio della parte interessata, sacrifica in misura irragionevole
i valori di certezza e stabilità dello status di figlio legittimo e dei rapporti familiari, che la
previsione del termine decadenziale mira palesemente a tutelare. Ai fini della decorrenza del
termine annuale non rileva pertanto la prova dell'adulterio ma la sua scoperta, il che vuoi
dire la sua conoscenza da non oltre un anno, non necessariamente accompagnata anche dalla
conoscenza certa dell'incompatibilità genetica. Il momento della conoscenza dell'adulterio
inerisce quindi ad un dato cronologico ed oggettivamente neutro il quale va autonomamente
dimostrato in via prioritaria con ogni mezzo di prova consentito dall'ordinamento e
prescindendo dalle prove relative alla sussistenza del rapporto procreativo, quale evento
condizionante l'ammissibilità dell'azione e quindi estraneo alla materia attinente allo status”.
La Corte poi precisa che la decorrenza del termine è rilevabile d’ufficio,
trattandosi di un termine di decadenza.
Occorre anche ricordare che è stata giudicata manifestamente infondata la
questione di costituzionalità dell'art. 244 nella parte in cui prevede un
termine di decadenza per l'azione di disconoscimento della paternità, in quanto
è stato considerato del tutto coerente con i principi costituzionali la possibilità
che il legislatore ordinario preveda limitazioni nei confronti di detta azione, con
riferimento sia ai casi in cui l'azione può essere esercitata, sia ai tempi della
medesima (C. 20254/2006); lo stesso principio è stato affermato con riferimento
al termine di decadenza di un anno previsto per l'azione di disconoscimento
proposta dal figlio maggiorenne (C. 6302/2007).
- L’azione nell’interesse del minore.
L’art. 244 disciplina anche l’azione nell’interesse del minore. Il quarto comma
della norma prevede che l’azione può anche essere proposta da un curatore
speciale nominato dal giudice, dopo aver assunto sommarie informazioni, su
istanza del figlio che abbia compiuto i sedici anni, ed anche in questo caso
11
titolare dell’azione è il figlio. Egli, dunque, ha complessivamente un termine
non inferiore a tre anni per la proposizione dell’azione: infatti, anche quando il
figlio ultrasedicenne sia consapevole della sua origine non legittima, il termine
per l’azione inizia a decorrere dal compimento della maggiore età, proprio
perché la norma, in considerazione della sua non piena maturità, non esige che
egli richieda la nomina del curatore speciale.
A questo comma la legge sull’adozione e l’affidamento dei minori del 1983 ha
aggiunto la previsione che quando il figlio è minore di sedici anni, l’azione di
disconoscimento possa essere promossa da un curatore speciale nominato dal
giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del pubblico ministero .
La nuova disposizione è stata da alcuni severamente criticata, poiché nel potere di un terzo
estraneo quale il p.m., di promuovere un’azione che potrebbe avere effetti devastanti sulla
convivenza di una famiglia, si è vista una lesione dell’autonomia familiare: è sembrato,
infatti, incompatibile con l’art. 29 Cost. l’attribuzione ad organi dello Stato del potere di far
promuovere un’azione diretta ad incidere sulla condizione familiare di un soggetto, quasi vi
fosse un interesse pubblico, prevalente su quello dei singoli, alla corrispondenza della verità
reale su quella legale. Normalmente, il p.m. verrà sollecitato o dai genitori che abbiano fatto
scadere i termini per il disconoscimento, o dal genitore naturale, che vorrebbe poi riconoscere
il figlio: secondo alcuni si dà in questo modo ingresso a interessi non sempre meritevoli di
particolare tutela. Forse, come qualcuno ha sostenuto, sarebbe stato più lineare attribuire la
legittimazione anche al sedicente padre biologico. In ogni caso, i genitori legittimi e il
sedicente padre biologico assumono nel procedimento la veste di semplici "informatori" e non
la qualità di parti abilitate a far valere situazioni soggettive proprie. Proprio per questa
ragione, essi possono impugnare il provvedimento di nomina, ai sensi dell'art. 111 Cost.,
limitatamente alla sola parte recante la loro condanna alle spese processuali (Cass., 19
settembre 2003, n. 13892).
Un ulteriore elemento critico è stato aggiunto dalla Corte costituzionale che, in una sentenza
interpretativa, ha confermato la corrispondenza ai principi costituzionali della disposizione,
ma ha specificato che qualora l’iter processuale venga avviato dal pubblico ministero, il
giudice, chiamato a nominare il curatore speciale, deve valutare l’interesse del minore alla
proposizione dell’azione e darne conto nel provvedimento di nomina (Corte cost., 27
novembre 1991, n. 429). Questa opzione interpretativa non appare del tutto condivisibile, in
quanto nelle questioni di stato si tratta essenzialmente di stabilire quale sia la verità della
procreazione, e con ciò contrastano valutazioni relative alla convenienza, o meno, che la
verità affiori. Si aggiunge che la Corte ha finito per introdurre un ulteriore presupposto per
l’azione di disconoscimento, consistente nell’interesse del minore, con la conseguenza che
potrebbe giustificarsi il rigetto della domanda anche in presenza di tutte le condizioni
oggettive per il suo accoglimento. Né ci si può nascondere la difficoltà della valutazione
dell’interesse del minore in questa materia, interesse relativamente al quale occorrerebbe fare
una prognosi anche per il futuro. Tuttavia la norma può venire incontro a situazioni concrete,
nelle quali, di fatto, sia il genitore naturale che alleva il figlio, e se questi è in tenera età, è
sicuramente opportuno che il suo status formale venga al più presto chiarito.
- La sospensione del termine
L’art. 245 estende la sospensione del termine per la proposizione dell'azione
di disconoscimento, già prevista per il marito in stato di interdizione per
infermità di mente, ad ogni parte interessata a promuovere l'azione, e quindi
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sicuramente alla nadre e al figlio. È stata inoltre aggiunta la previsione per cui
l'azione può essere promossa dal tutore. Ma il generico riferimento alla “parte
interessata" implica, secondo l’opinione prevalente, che la sospensione si
applichi anche quando interdetto sia uno dei soggetti a cui l'azione è trasmessa
ai sensi dell'art. 246.
La Corte costituzionale ha esteso il beneficio della sospensione del termine
all’incapace naturale, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 245
nella parte in cui non prevede che la decorrenza del termine indicato nell'art. 244
è sospesa anche nei confronti del soggetto che, sebbene non interdetto, versi in
condizione di abituale grave infermità di mente, che lo renda incapace di
provvedere ai propri interessi, sino a che duri tale stato di incapacità naturale (C.
Cost., 25.11.2011, n. 322).
3.3) L’azione di disconoscimento della paternità ex art. 233
L'azione di disconoscimento prevista dall'art. 233 ha la stessa natura di quella
di cui all'art. 235, ma normalmente si esclude che possa essere disciplinata in
modo identico. Sono sicuramente applicabili le disposizioni in materia di
legittimazione attiva e passiva, di termini di decadenza, di rappresentanza ed
assistenza delle parti incapaci (artt. 235, 3° co., 244, 245, 246, 247), mentre
controversa è la disciplina dell'onere della prova.
Secondo un orientamento meno recente, l'attore non sarebbe tenuto a provare
alcuno dei fatti indicati nell'art. 235, 1° co., e anzi sarebbe dispensato dal
provare che il marito non è padre, mentre spetterebbe ai convenuti dare la prova
positiva della paternità; attualmente prevale però l’orientamento secondo il
quale, fermo restando che l'esperibilità dell'azione non è subordinata alla prova
di uno dei fatti indicati dall'art. 235, 1° co., l'attore non può limitarsi a
documentare il tempo della nascita, ma deve anche fornire, con qualunque
mezzo, la prova della non paternità: l'ipotesi disciplinata dall'art. 233 non
sembra infatti fornire argomenti adeguati per una radicale inversione dell'onere
della prova in un'azione che è sicuramente di disconoscimento (Cass. 21 aprile
2000, n. 5248; Cass., 29 dicembre 1990, n. 12211, in Foro it., 1992, I, 198; Trib.
Bologna, 7 giugno 2004)
3.4) Effetti del disconoscimento e cognome
- Accertamento automatico della maternità naturale nei confronti della madre.
Ma gli ufficiali di stato civile lo ammettono se è la madre che ha fatto a suo
tempo la dichiarazione di nascita, altrimenti è ritenuto necessario il
riconoscimento
- La sentenza di disconoscimento elimina lo stato di legittimità del figlio con
efficacia retroattiva ma in certe circostanze il principio subisce adattamenti. Ad
esempio, non pone nel nulla gli effetti già verificatisi, e dunque non può disporsi
la ripetizione delle somme versate dal presunto padre legittimo a titolo di
mantenimento prima della pronuncia c.c., trovando applicazione l’art 2034
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concernente le obbligazioni naturali. Ma potrebbe forse riconoscersi al presunto
padre la possibilità di esperire azione di indebito arricchimento (art. 2041) nei
confronti del padre naturale che abbia successivamente riconosciuto il figlio.
La Cassazione ha infatti stabilito che la pronuncia che priva dello status il figlio,
non incide sulle decisioni, ormai munite dell'efficacia di giudicato, che
presupponevano quello status: nella specie, se, a seguito di separazione
personale, era stato posto a carico del presunto padre un assegno a favore del
figlio minore, la cessazione di tale obbligo dovrà passare attraverso la via della
pronuncia di revisione, che tuttavia comporterà una retroattività del tutto
peculiare, producendo i suoi effetti fin dalla data del passaggio in giudicato della
sentenza di disconoscimento (C. 6011/2003).
Inoltre, la Cassazione penale ha statuito che, ai fini dell'integrazione del delitto
di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il disconoscimento di
paternità, accertato con sentenza passata in giudicato, opera con effetto ex nunc,
poiché il rapporto di discendenza cui fa riferimento la fattispecie incriminatrice
è collegato ad una situazione di diritto e non ad un rapporto di filiazione
naturale: di conseguenza, l'elemento materiale del reato non può ritenersi
cancellato dal successivo accertamento dell'inesistenza del rapporto di filiazione
(C. pen., Sez. VI, 14.4.2008, n. 27051).
- Quanto al cognome, in linea di massima il figlio perde il cognome del marito e
assume quello della madre. Tuttavia può mantenere il suo cognome originario,
se questo è diventato segno distintivo della sua personalità (v. Corte cost., 3
febbraio 1994, n. 13, Corte cost., 23 luglio 1996, n. 297; Corte cost., 11
maggio 2001, n. 120). Attualmente, il principio è stato recepito
nell’Ordinamento dello stato civile: art. 95, ult. comma, d.p.r. 396/2000.
4) La condizione del figlio nato da donna separata (art. 232, 2° comma)
La norma prevede che la presunzione di paternità “non opera decorsi trecento
giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale o dalla omologazione di
separazione consensuale ovvero dalla data della comparizione dei coniugi avanti
al giudice quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente”.
Ma se il figlio è invece denunciato come figlio del marito, quale azione occorre
intentare per rimuovere l’indicazione della paternità: disconoscimento o
contestazione o rettificazione? V., in vario senso, Trib. Agrigento, 3 luglio
2003, in Gius., 2004, I, 108 e; Cass., 20 febbraio 1992, n. 2098, in Giur. it,
1993, I, 1, 1066 (azione di disconoscimento); Trib. Salerno, 8 luglio 1992, in
Dir. famiglia, 1993, 215 e Cass., 30 ottobre 1990, n. 10519, in Nuova giur. civ.
comm., 1991, I, 509 (azione di rettificazione); Trib. Milano,13 luglio 1987, in
Dir. fam., 1988, 352 e Trib. Torino, 19 novembre 1984, in Giur. it., 1986, I, 2,
355 (azione di contestazione) Quest’ultima è probabilmente la qualificazione più
corretta.
Ma quale rimedio se il figlio è legittimo in quanto concepito con il marito
separato, ed è stato denunciato come figlio naturale? L’opinione più accreditata
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ritiene che sia possibile esperire un’azione di accertamento atipica, ma secondo
altri si tratta di azione di reclamo della legittimità.
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FILIAZIONE NATURALE
1) Riconoscimento del figlio naturale
1.1) Natura del riconoscimento: negozio giuridico unilaterale personalissimo;
actus legitimus, ossia che non ammette condizioni.
Vi è, tuttavia, il problema, evidenziato dalla pratica, dell'incertezza sulla
propria paternità di colui che sarebbe disposto a riconoscere: quali i rimedi?
Accertamento tecnico preventivo ex art. 696 c.p.c? Riconoscimento e successiva
impugnazione per difetto di veridicità?
Le condizioni per il riconoscimento: capacità; assenso del figlio
ultrasedicenne; consenso del genitore che per primo ha riconosciuto: sua
funzione.
Il primo riconoscimento non è sottoposto a nessuna forma di controllo, anche
se effettuato tardivamente, purché entro il sedicesimo anno del figlio.
L’unico controllo è quello previsto dall’art. 74 l. adozione, ma riguarda
soltanto i riconoscimenti, fatti da una persona coniugata, di un bambino
denunciato alla nascita come figlio di genitori ignoti: in tal caso l’ufficiale di
stato civile deve immediatamente effettuare una comunicazione al tribunale dei
minorenni, che, se ne ravvede gli estremi, può attivare il procedimento di
impugnazione (V. Cass. pen. Sez. VI, 5 maggio 2008, n. 35806; Cass., 17
febbraio 2006, n. 3563; Trib. Minorenni Roma, 31 marzo 1992, in Dir.
Famiglia, 1993, 188: caso Wertmüller)
1.2) Riconoscimento successivo e valutazione dell’interesse del figlio.
Il problema dell’interesse del figlio al secondo riconoscimento si pone
concretamente se esso interviene quando il figlio è inserito in un ambiente
familiare stabilizzato, ed esempio nella nuova famiglia formata dal genitore.
In ogni caso, il procedimento ex art. 250, 4° comma non ha la funzione di
accertare la veridicità del rapporto di filiazione “sicché in esso resta irrilevante ogni
indagine sulla veridicità del secondo riconoscimento, indagine - questa - che presuppone il
riconoscimento e che può essere svolta in separato giudizio, ove il riconoscimento autorizzato
a norma dell'art. 250 venga impugnato ex art. 263 c.c. Un siffatto accertamento non può
essere quindi svolto nel giudizio di cui all'art. 250, se non al limitato fine - in presenza di
contestazioni della controparte - di verificare, ma solo "incidenter tantum", la legittimazione
attiva del richiedente” (Cass. 29 aprile 1999, n. 4325).
Per la giurisprudenza più risalente l’interesse al secondo riconoscimento era
in re ipsa, e l’opposizione dell’altro genitore era giustificata solo in presenza di
gravi motivi, tali che avrebbero potuto essere posti a base di una pronuncia di
decadenza dalla potestà. Si è successivamente fatto strada, e poi consolidato, un
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diverso orientamento, secondo il quale si sarebbe dovuto individuare e valutare
il concreto interesse del minore ad instaurare rapporti con il genitore che intende
effettuare il riconoscimento successivo al primo.
Questa impostazione però rischiava di attribuire peso a fattori che
riguardavano più che altro i rapporti tra i genitori, quando tra i due vi era
conflittualità, ossia spostava l’ottica sulle questioni di esercizio della potestà,
piuttosto che di attribuzione dello status; in ogni caso, richiedeva al giudice una
difficile previsione sui vantaggi e svantaggi concreti che il secondo
riconoscimento avrebbe potuto portare (aspetti personali, sociali, economici,
familiari e relazionali)
Recentemente però è emersa, nella giurisprudenza di legittimità, una
impostazione nuova. L’interesse del figlio minore al secondo riconoscimento è
individuato nel diritto all’identità personale, nella sua precisa e integrale
dimensione psicofisica, e dunque nel diritto del minore ad identificarsi come
figlio di due genitori noti. Ma a questo diritto corrisponderebbe il diritto del
genitore a riconoscere il figlio, come aspetto del diritto alla genitorialità,
costituzionalmente garantito dall’art. 30 Cost., che può essere sacrificato solo in
presenza di motivi gravi ed irreversibili che inducano a prospettare una
compromissione dello sviluppo del minore: cfr. Cass., 27 maggio 2008, n.
13830, in Foro it., 2008, I, 2457; Cass., 3 gennaio 2008, n. 4, in Fam. pers.
succ., 2008, 10, 777, nota DI STEFANO; Cass., 11 gennaio 2006, n. 395; Cass., 16
novembre 2006, n. 23074; Cass., 11 febbraio 2005, n. 2878, in Fam. Pers. e
Succ., 2006, I, 73, nota SCARANO; Cass., 3 aprile 2003, n. 5115, in Fam. e dir.,
2003, 445, nota FIGONE; App. Milano, 28 marzo 2003, in Fam. e dir., 2003, 457,
nota DE SCRILLI; Cass., 10 maggio 2001, in Nuova Giur. civ. comm, 2002, I,
294, nota LENA; Cass., 27 ottobre 1999, n. 12077, in Dir. famiglia, 2001, 536. (Il
rischio per lo sviluppo del minore è stato ritenuto sussistente nel caso in cui il minore era
stato concepito a seguito di violenza sessuale: Trib. Palermo, 26 gennaio 2009).
Si chiarisce, nelle decisioni della Cassazione citate, che il diritto alla
genitorialità “non si pone in termini di contrapposizione con l’interesse del
minore, ma come misura ed elemento di definizione dello stesso, che è segnato
dal complesso dei diritti che al minore derivano dal riconoscimento e, in
particolare, dal diritto all’identità personale, qui inteso come diritto ad una
genitorialità piena e non dimidiata”(v., in particolare, Cass., 27 maggio 2008,
n. 13830; Cass., 3 gennaio 2008, n. 4; Cass., 11 febbraio 2005, n. 2878; Cass.,
3 aprile 2003, n. 5115, citt.).
A mio avviso, l’esistenza di un diritto alla genitorialità costituzionalmente
garantito è discutibile, ma queste decisioni hanno il merito di porre in evidenza
un aspetto, fino ad ora rimasto alquanto in ombra, dell’interesse del minore al
secondo riconoscimento: l’interesse all’accertamento del suo stato di filiazione
rispetto ad entrambi i genitori, al quale corrisponde l’interesse del genitore ad
essere “riconosciuto” dal figlio, appunto, come genitore (cfr. anche FIGONE,
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Sull’interesse del minore al riconoscimento da parte del genitore naturale, in
Fam. e dir., 2003, 447).
V., inoltre, il problema del secondo riconoscimento da parte del genitore
straniero di fede musulmana, che deve essere risolto non con posizioni
aprioristiche ma valutando in concreto le circostanze: cfr. Cass. 27 ottobre
1999, n. 12077, in Dir. famiglia, 2001, 536, nota GALOPPINI (ammesso il
secondo riconoscimento); Cass., 10 ottobre 2008, n. 24931, in Foro it., 2008,
3472 (negato il secondo riconoscimento).
1.3) Il problema del consenso al secondo riconoscimento nel caso di morte del
genitore che per primo ha riconosciuto (in argomento v. DOSSETTI,
Riconoscimento del figlio naturale minore da parte dell’altro genitore dopo la
morte del genitore che per primo ha riconosciuto, in Fam. Pers. e Succ.,
2/2008).
1.4) Forma del riconoscimento. Il c.d. riconoscimento prenatale (arg. art. 254
c.c.)
Il riconoscimento prenatale permette al figlio di nascere godendo dello status
già costituito.
Problema dell’ammissibilità del riconoscimento prenatale paterno in
mancanza di un precedente o contestuale riconoscimento materno: la questione
era controversa, ma è ora risolta dall’art. 44 ord. st. civ., che dispone che il
riconoscimento del padre può essere solo contestuale o successivo a quello della
madre.
Caso della madre non coniugata morta di parto: il padre riconosce
immediatamente, ma non si attiva per la dichiarazione giudiziale di maternità,
impedendo che si costituisca un rapporto giuridico di parentela con i nonni
materni (il riconoscimento prenatale avrebbe evitato questa drammatica
situazione).
2) Impugnazione del riconoscimento ex art. 263
2.1) Quando il riconoscimento non veritiero è consapevolmente effettuato, può
rispondere a diverse ragioni:
- riconoscimento per compiacenza: cfr. Trib. Tivoli, 24 giugno 2009;
- aggiramento della disciplina dell’adozione (art. 74 l. adoz): Cass., 17
febbraio 2006, n. 3563;
- acquisto della cittadinanza italiana: App. Torino, 26 giugno 2006, in Dir.
famiglia, 2006, 1707
2.2) Competenza
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La competenza è del tribunale ordinario, e il Presidente del tribunale ordinario è
competente anche per l'eventuale nomina di un curatore speciale al minore
legittimato passivo.
Per l’impugnazione del riconoscimento nell’interesse del minore (art. 264, 2°
comma), la competenza è sempre del T. O., ma è controverso a chi spetti la
nomina del curatore speciale (T.O. opp. T. M.).
2.3.) Prova: si deve dimostrare l’assoluta impossibilità che il soggetto che ha
riconosciuto sia in realtà padre biologico; non costituisce prova determinante il
rifiuto del figlio a sottoporsi alla prova del DNA (Cass., 8 maggio 2009, n.
10585)
2.4) Il problema della incostituzionalità dell’art. 263: Cass., 15 aprile 2005,
n. 7924 (manifestamente infondata la censura relativa alla imprescrittibilità
dell’azione); Corte cost., 22 aprile 1997, n. 112, in Fam e dir., 1997, 411
(respinta la censura contro la mancanza della valutazione dell’interesse del
minore per poter accogliere l’azione).
2.5) Rilevanza penale della condotta di chi riconosce falsamente (delitto di
alterazione di stato: art. 567 c.p.); Cass. pen. Sez. VI, 5 maggio 2008, n. 35806.
Recentemente si è anzi precisato che concorre nel reato di alterazione di stato
mediante falso chiunque, pur senza rendere alcuna falsa dichiarazione di nascita,
contribuisca, materialmente o moralmente, con adeguata efficienza causale,
all'evento tipico realizzato dall'autore della dichiarazione che altera lo stato di
nascita (Cass. pen., Sez. VI, 30 giugno 2009, n. 32854, in Dir. Pen. e Processo,
2009, 1357).
3) Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità
3.1) Incostituzionalità del giudizio di ammissibilità (art. 274 c.c.). Corte
cost., 10 febbraio 2006, n. 50: la questione sollevata era circoscritta al
procedimento riguardante l’accertamento della filiazione di soggetti
maggiorenni, ma la Corte ritiene che le ragioni della incostituzionalità,
concentrate appunto sul procedimento, siano comuni anche a quello relativo ai
figli minori. Rimangono però i dubbi sulla sopravvivenza della valutazione della
conformità all’interesse del minore della dichiarazione giudiziale, introdotto a
suo tempo da Corte cost., 20 luglio 1991, n. 341 (cfr., BASINI, La morte del
Minotauro: la Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 274 c.c.,
in Fam. Pers. e Succ., 2006, 403).
3.2) I casi di “paternità rifiutata”, in cui il presunto padre strumentalizza il
giudizio sull’interesse del minore, incolpandosi di comportamenti incompatibili
con il ruolo di genitore, al fine di evitare la dichiarazione di paternità: Cass., 23
19
febbraio 1996, n.1444 e 24 settembre 1996, n. 8413, in Nuova giur. civ.
comm., 1997, I, 78, nota ZATTI; Trib. min Napoli, 10 maggio 1996, in Fam. e
dir., 1996, 343, nota CARBONE; da ultimo App. Roma, 27 maggio 2009 (La
dichiarazione di paternità naturale è contraria all'interesse del minore solo in caso di
concreto accertamento di una condotta del preteso padre tale da giustificare una
dichiarazione di decadenza dalla potestà genitoriale, ovvero di prova dell'esistenza di gravi
rischi per l'equilibrio affettivo e psicologico del minore e per la sua collocazione sociale. Tali
rischi devono risultare da fatti obbiettivi, emergenti dalla pregressa condotta di vita del
preteso padre, ed in mancanza di essi l'interesse del minore va ritenuto di regola sussistente,
a prescindere dai rapporti di affetto che possano in concreto instaurarsi con il presunto
genitore e dalla disponibilità di questo ad instaurarli. E nemmeno detto interesse è escluso
dall'assenza di affectio da parte del presunto padre, né dalla dichiarazione di costui di non
voler comunque adempiere i doveri morali inerenti alla potestà genitoriale).
In altre occasioni è stato avanzato il dubbio di legittimità costituzionale
dell’art. 269 c.c., nella parte in cui non dà rilievo alla volontà del padre di
procreare, mentre la legge sull’interruzione della gravidanza riconosce alla
donna la scelta se portare a termine o interrompere la gravidanza (questione di
costituzionalità giudicata manifestamente infondata): cfr. Cass., 15 marzo 2002,
n. 3793, in Vita not., 2002, 332; Cass., 17 ottobre 1995 n. 10833, in Nuova giur.
civ. comm., 1997, I, 256, nota FARGNOLI; Cass., 18 novembre 1992, n. 12350, in
Nuova giur. civ. comm., 1992, I, 933.
In realtà, si deve escludere che, nella filiazione naturale in senso lato
(diversamente dalla procreazione medicalmente assistita) la volontà di avere, o
non avere, un figlio sia rilevante per l’attribuzione dello status.
3.3) Legittimazione passiva: la domanda deve essere proposta nei confronti del
presunto padre o dei suoi eredi (art. 276 c.c.). In argomento v. Cass., sez. un., 3
novembre 2005, n. 21287, in Fam. Pers. e Succ., 2006, 975, nota TARRICONE:
la decisione, risolvendo un contrasto di giurisprudenza, ha stabilito che
legittimati passivi all’azione sono solo gli eredi del presunto padre e non anche
gli eredi degli eredi.
Recentemente, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile, a più
riprese, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 276, in quanto ha
ritenuto che la pronuncia additiva non appare costituzionalmente obbligata,
potendo il legislatore indicare quale legittimato passivo, in caso di premorienza
sia dei presunti padre o madre sia degli eredi, un curatore speciale nei confronti
del quale promuovere l’azione, ma anche individuare i legittimati negli eredi
degli eredi: Corte cost. (ord.), 20 luglio 2007, n. 319; Corte cost.(ord.), 20
novembre 2008, n. 379; Corte cost., (ord.), 20 marzo 2009, n. 80, in Fam. e
dir., 2009, 545, nota BULDINI.
Conferma questo orientamento, da ultimo, Trib. Milano, 22 giugno 2009, in
Fam. pers. succ., 2010, 108, nota BULDINI (caso pretesa nipote Giacomo
Puccini).
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3.4) Prova della paternità o della maternità: può essere data con qualsiasi
mezzo, comprese le prove genetiche ed ematologiche (art. 269 c.c.). In
argomento v., da ultimo, Cass., 23 luglio 2008, n. 20345 (il giudice può fondare
il proprio convincimento circa l’effettiva sussistenza del rapporto di filiazione
anche su risultanze istruttorie dotate di valore indiziario, sicché il rifiuto
ingiustificato di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un
comportamento valutabile da parte del giudice); conf., Cass., 16 aprile 2008, n.
10051.
Nei giudizi di accertamento del rapporto di filiazione l'interesse del figlio alla
conoscenza delle proprie origini assume valore centrale e costituisce un aspetto
irrinunciabile del diritto all'identità personale; pertanto non possono costituire
ostacolo all'esperimento delle analisi scientifiche né la circostanza che il
(presunto) padre sia morto, né l'eventuale diniego dei familiari e degli eredi. La
sentenza ribadisce l'ammissibilità e l'importanza delle prove scientifiche nei
giudizi di accertamento del rapporto di filiazione e puntualizza la piena
utilizzabilità, ai fini delle analisi del caso, dei reperti biologici prelevati, in vita,
dal corpo del (presunto) padre, poi morto; tali reperti, infatti, costituiscono "parti
staccate" del corpo e, diversamente dalle spoglie del defunto, non costituiscono
oggetto di situazioni giuridiche in capo ai familiari ed agli eredi (Cass., 5 agosto
2008, n. 21128).
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