Haidée, la schiava del Conte di Montecristo
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Haidée, la schiava del Conte di Montecristo
Anno XXXI, 1/31 dicembre 2009, n. 4 13 LA RIVISTA DELLA SCUOLA Brevi cenni di letter atur a fr ancese Haidée, la schiava del Conte di Montecristo Ricerca a cura di BRUNO MÀSTICA D avvero, mio caro visconte, siete destinato ad udire musica; fuggite il pianoforte della signorina Danglars, per cadere nella guzla d’Haydée. “Haydée! Che nome adora- “ bile! Vi sono dunque delle donne che veramente si chiamano Haydée, oltre quelle che sono nominate nei poemi di lord Byron? “Certamente. Haydée è un nome rarissimo in Francia, ma Alexandre Dumas: la vita e le opere Alexandre Dumas (noto anche come Dumas “père”, per non confonderlo con il figlio, l’autore della “Signora delle Camelie”) nasce il 24 luglio del 1802 a Villers-Cotteréts da Marie-Louise Elisabeth Labouret e da Thomas-Alexandre Dumas-Davy de la Pailleterie, generale nella Grande Armée di Napoleone Bonaparte. Reduce dalle campagne d’Italia e d’Egitto, morto nel 1806 lasciando la famiglia in difficili condizioni economiche, il padre diverrà una figura mitica nella fantasia dello scrittore. Nel 1815, in pieno clima di “Terrore Bianco, viene assassinato ad Avignone il maresciallo napoleonico Brune, padrino di Dumas. A questo episodio, oltre che all’arresto e all’imprigionamento di alcuni amici materni, i fratelli Lallemand, accusati, in quanto bonapartisti, di aver complottato contro Luigi XVIII, lo scrittore fa risalire il profondo odio antiborbonico che si rifletterà nelle pagine di molti romanzi, da “Le Comte de Monte-Cristo a “La San Felice” (un “odio istintivo più che meditato... per la Restaurazione”). Dopo aver lavorato come scrivano e fattorino in uno studio notarile a Villers, poi a Crépy-en-VaIois, nel 1823 Dumas si trasferisce a Parigi, ottenendo un impiego presso la cancelleria del duca di Orleans, il futuro re Luigi Filippo. Nel 1824 nasce da Marie-Cathérine Lebay, primo di una mezza dozzina di figli di madri diverse, quell’Alexandre (celebre come Dumas “fils”) destinato a seguire le orme paterne. Raggiunta da autodidatta una solida preparazione culturale, Dumas pubblica senza successo alcuni poemi e collabora, firmandosi ancora col cognome paterno, Davy, alla stesura di “piéces” teatrali fino a che, nel 1828, porta a compimento “Henri III et sa Cour”; il dramma, accettato dal Comitato di Lettura della Comédie-Française, viene trionfalmente messo in scena l’anno successivo. Seguono “Christine”, sulle vicende della regina di Svezia e del suo favorito Monaldeschi e “Antony”, un dramma sul tema dell’adulterio, il suo secondo grande successo. Coinvolto nei moti repubblicani, Dumas parte alla volta della Svizzera e poi, dopo un soggiorno nel Midi, per un viaggio nel Mediterraneo e in Italia. Figlio di un bonapartista, preceduto dalla fama di scrittore liberale, non ottiene il salvacondotto per il Regno di Napoli, che riuscirà tuttavia a visitare sorto falsa identità, quella dell’amico pittore Guichard. A partire dal 1835 Dumas inizia la pubblìcazione dei propri ricordi di viaggio raccolti sotto il titolo complessivo di “Impressions de voyage”: (“Suisse”, “Quinze jours au Sinai”, “Midi de la France”, “Une année à Florence” e “Excursions sur les bords du Rhin”, “Russie”. Nel 1837 Dumas è nominato Cavaliere della Legion d’Onore; ritornerà al teatro nel 1843 con la commedia in quattro atti “Les Demoiselles de Saint-Cyr “(Le educande di Saint-Cyr). Nel 1839 esce, con il titolo di “Jacques Ortis”, una traduzione delle “Ultime lettere di Jacopo Ortis” del Foscolo e, tra il 1839 e il 1841, “Crimes célèbres”, diciotto racconti di argomento storico, preludio alla celeberrima serie dei romanzi. Nel 1844 Dumas pubblica “Les Trois Mousquetaires”, capostipite di una trilogia che comprende “Vingt ans aprés” (1845) e “Le Vicomte de Bragelonne” (1848); il 28 agosto dello stesso 1844 sul “Journal des Débats” esce la prima puntata del “Comte de Monte-Cristo”. Le opere di Dumas sono contese dai giornali; subissato dalle richieste degli editori (tanto che nel 1847 sarà processato per ritardi nella consegna), egli demanda parti sempre più importanti della scrittura a un gruppo di collaboratori, il più famoso dei quali sarà lo storico August Maquet. I romanzi si susseguono a getto continuo: “La Reine Margot”, “Le Batard de Mauléon”, “Joseph Balsamo”, La Coiller de la reine”, “La Comtesse de Charny” “Les Mohicans de Paris”. Nel 1852 Dumas, minacciato dai creditori e caduto politicamente in disgrazia con l'avvento al potere di Napoleone III, si rifugia a Bruxelles; escono frattanto i primi dei ventidue volumi di “Mémoires”, portati a termine nel 1854. Rientrato per un breve periodo a Parigi, dove fonda e dirige numerosi giornali, lo scrittore abbandona nuovamente la patria per compiere un viaggio di oltre un anno in Russia. Nella primavera dei 1860 Dumas si imbarca alla volta dell’Oriente ma, fatto scalo a Genova, decide di unirsi alla spedizione dei Mille. Entra trionfalmente a Napoli a fianco di Garibaldi e viene nominato direttore degli scavi e dei musei cittadini. Al rientro in Francia fa tradurre e pubblicare le “Mémoires de Garibaldi”. Tra il 1862 e il 1864 escono i 10 volumi di storia “Les Bourbons de Naple” e “De l’orgine de brigandage, des causes de sa persistance et des moyens de le détruire”, e “La San Felice” sulla rivoluzione napoletana. Dumas viaggia ancora in Italia e in Germania. Rientra in Francia ospite, ormai incredibilmente povero, del figlio Alexandre, affermato romanziere. Muore a Puys il 5 dicembre 1870. comunissimo in Albania e nell’Epiro; è come se voi diceste, per esempio, Castità, Pudore, Innocenza, è una specie di nome di battesimo come dicono i cristiani. “Oh, quanto è grazioso! disse Alberto - Quanto vedrei volentieri le nostre francesi chiamarsi signorina Bontà, signorina Silenzio, signorina Carità Cristiana! Dite dunque, se la signorina Danglars, invece di chiamarsi Chiara-MariaEugenia, come la chiamano, si chiamasse signorina CastitàPudore-lnnocenza Danglars, diavolo!, che effetto farebbe nelle pubblicazioni matrimoniali!” “Pazzo!” disse il conte.“Non scherzate così ad alta voce! Haydée potrebbe udirvi”. “E se ne inquieterebbe?” “No”, rispose il conte, con la sua aria grave. “É buona?”domandò Alberto. “Non è bontà, è dovere: una schiava non deve inquietarsi contro il suo padrone”. “Orsù, via, adesso non scherzate. Forse ci sono ancora degli schiavi?” “Senza dubbio, poiché Haydée è mia schiava.” “Infatti voi non fate niente, e non avete niente come gli altri. Schiava del signor conte di Montecristo! E succede in Francia! Al modo con cui rimescolate l’oro, è un impiego che deve costare almeno centomila scudi l’anno.” “Centomila scudi! La povera ragazza ne ha posseduti ben altri che questi: é venuta al mondo, e ha dormito sopra tesori tali, che quelli delle “Mille e una notte” sono ben poca cosa.” “É, dunque proprio una principessa?” “Lo avete detto ed é anche una delle più grandi dei suo paese”. “Non ne dubitavo. Ma in che modo una gran principessa é divenuta schiava?” “In qual modo Dionigi il tiranno diventò maestro di scuola? La guerra, mio caro visconte, e il capriccio della sorte.” “E il suo nome è un segreto?” “Per tutti sì, ma non per voi, mio caro visconte. Siete mio amico e tacerete, non è vero?, Se lo promettete...” “Oh, sul mio onore!” “Conoscete voi la storia del Pascià di Giannina?” “D’Ali-Tebelen?” Senza dubbio, poiché fu al suo servizio che mio padre ha fatto fortuna”. “É vero, me n’ero dimenticato”. “Ebbene, che cosa è Haydée rispetto ad Ali-Tebelen? “Non altro che sua figlia.” “Come la figlia di AliPascià!... “Si, e della bella Valisiki.” “Ed è vostra schiava?” “Oh, mio Dio, si.” “In che modo?” “Diavolo, un giorno sono passato sul mercato di Costantinopoli, e l’ho comprata.” “Cosa meravigliosa! Con voi, mio caro conte, non si vive, ma si sogna. Ora ascoltate, forse però la mia domanda sarà troppo indiscreta ... “Dite pure.” “Ma poiché uscite con lei, poiché la conducete all’Opéra ...” “E poi?” “Posso bene arrischiare di domandarvelo?” “Potete arrischiare di domandarmi tutto quello che volete.“ “Ebbene, mio caro conte, presentatemi ad Haydée.” “Volentieri, ma a due condizioni.“ “Le accetto subito.” “La prima è che voi non confiderete mai ad alcuno questa presentazione.” “Benissimo” disse Morcerf, “lo prometto.” E stese la mano. “La seconda è che non direte che vostro padre abbia servito il suo.” “Prometto anche questo.” “A meraviglia, visconte... Non dimenticherete queste due promesse, non è vero?” “Oh!” esclamò Alberto. “Benissimo. Io vi so uomo d’onore.” Il conte batté di nuovo sul campanello. Alì ricomparve. “Avvertite Haydée”gli disse “che vado a prendere il caffè da lei, e fatele comprendere che le domando il permesso di presentarle uno dei miei amici.” Alì s’inchinó, e uscì. “In tal modo, è convenuto, nessuna domanda diretta, caro visconte... Se desiderate sapere qualche cosa, domandatelo a me che la chiederò. “Siamo d’accordo.” Alì ricomparve per la terza volta, e tenne la portiera sollevata per indicare al suo padrone e ad Alberto, che potevano passare. “Entriamo” disse Montecristo. Alberto si passò una mano nei capelli, e si arricciò i baffi, e il conte riprese il cappello, si mise i guanti, e precedette Alberto nell’appartamento, che era sorvegliato da Alì e difeso dalle tre cameriere francesi agli ordini di Myrtho. Haydée aspettava nella prima stanza, che era la sala, con due grand’occhi dilatati dallo stupore: era la prima volta che giungeva fino a lei un uomo, oltre Montecristo. Era seduta sopra un sofà, in un angolo, colle gambe in croce al disotto, e si era fatto, per così dire, un nido delle stoffe di seta broccate e rigate, le più ricche d’Oriente.Vicino a lei la guzla, il cui suono aveva colpito Morcerf: in quella posa era graziosissima. Vedendo Montecristo, si sollevò con quel doppio sorriso di figlia e di amante che era tutto suo; Montecristo le si accostò, e le stese la mano, sulla quale, come d’uso, lei appoggiò le labbra. Alberto era rimasto sulla soglia, sotto il fascino di quella strana bellezza, così estranea alla Francia. “Chi mi porti?” domandò in greco la giovane a Montecristo, un fratello, un amico, una semplice conoscenza, o un nemico?” “Un amico” rispose Montecristo nella stessa lingua. “Il suo nome?” “Il conte Alberto, quello stesso che in Roma liberai dalle mani dei banditi.” “In qual lingua vuoi che gli parli?” Montecristo si voltò ad Alberto. “Sapete il greco moderno?” domandò al giovane. “Ahimè” disse Alberto “neppure il greco antico, mio caro conte! Mai Omero e Platone hanno avuto uno scolaro più duro e direi quasi più sdegnoso, di me.” “Allora” disse Haydée, provando con la domanda stessa che aveva capito la domanda di Montecristo e la risposta di Alberto,“io parlerò in francese o in italiano: se il mio signore vuole che parli.“ Montecristo rif letté un istante. “Parlerai in italiano” disse. Poi volgendosi ad Alberto: “Mi spiace che non intendiate il greco moderno o il greco antico, Haydée li parla entrambi mirabilmente... La povera ragazza sarà costretta a, parlarvi in italiano, cosa che forse vi darà una falsa idea di lei”. Egli fece un segno a Haydée. “Sia benvenuto l’amico che viene col mio signore e padrone” disse la giovane in eccellente toscano, e con quel dolce accento romano che rende sonora la lingua di Dante al pari di quella d’Omero. “Alì, portate il caffè e le pipe.” E Haydée fece un gesto con la mano ad Alberto di avvicinarsi, mentre Alì si ritirava per eseguire gli ordini della padroncina. Montecristo mostrò ad Alberto due pliant, e ciascuno andò a prendere il suo per avvicinarlo ad una specie di candelabro, con un paniere al centro, sovraccarico di fiori naturali, di disegni, di album e di musica. Alì rientrò, portando il caffè e le pipe; in quanto a Battistino, questa parte dell’appartamento gli era interdetta. Alberto rifiutò la pipa che gli presentava il moro. “Oh, prendete, prendete” disse Montecristo. “Haydée è incivilita quasi al pari di una parigina: il fumo degli avana le riesce ingrato, perché non ama i cattivi odori, ma come ben sapete, il tabacco d’Oriente è un profumo.” Alì uscì. Le tazze di caffè erano già preparate; soltanto era stata aggiunta una zuccheriera per Alberto. Montecristo e Haydée bevevano il liquore arabo alla maniera degli arabi, cioè senza zucchero. Haydée allungò la mano, e presa con la punta delle sue dita rosee ed affilate la tazza di porcellana del Giappone, se la portò alle labbra con l’ingenuo piacere di un bimbo che beve o mangia una cosa che gli piace. Nello stesso tempo entrarono due donne, portando due sottocoppe piene di gelati e di sorbetti, che deposero sopra due tavolini da dessert. “Mio caro ospite, e voi, signora” disse Alberto in italiano, “scusate il mio stupore. Sono tutto stordito, ed é cosa naturalissima, poiché mi trovo in Oriente, nel vero Oriente, non come l’avrei potuto vedere, ma come lo sogno in piena Parigi, dove poco fa udivo scorrere gli omnibus, e tintinnare i campanelli dei mercanti di limonata. Oh, signora, perché mai non so parlare il greco! La vostra conversazione, con tutto ciò che vi circonda d’incantevole, darebbe la piena armonia a una serata di cui mi ricorderei per sempre.” “Io parlo abbastanza bene l’italiano per discorrere con voi, signore” disse tranquillamente Haydée.“Se vi piace l’Oriente, farò del mio meglio perché lo troviate qui.” “Di che cosa debbo parlare?” domandò sottovoce Alberto a Montecristo. “Di tutto ciò che volete: del suo paese, della sua gioventù, dei suoi ricordi, oppure, se così preferite, di Roma, di Napoli o di Firenze. “Oh” disse Alberto “sarebbe un’indegnità avere davanti questa bella greca, e parlare come si parlerebbe ad una parigina! Lasciate ch’io le parli dell’Oriente...” “Fate pure, mio caro Alberto, è il discorso a lei più gradevole.” Alberto si voltò verso Haydée. “A quale età la signora ha lasciato la Grecia?”domandò. “A cinque anni” rispose Haydée. “Vi ricordate ancora della vostra patria?”domandò Alberto. “Quando, chiudo gli occhi, rivedo tutto ciò che ho visto. Vi sono due sguardi, lo sguardo del corpo può qualche volta dimenticare, quello dell’anima non dimentica mai.” (In Alexandre Dumas: “Il Conte di Montecristo”, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1984. Per gentile concessione dell’Editore).
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