Disegnare al nido - Libreria Universo

Transcript

Disegnare al nido - Libreria Universo
DISEGNARE AL NIDO
15
1
Disegnare al nido
Un luogo comune: il bambino naturalmente artista
Su una grande parete color crema sono appese delle scritte: «arte in mostra»,
«le nostre opere d’arte», «artisti in erba». Potrebbero sembrare titoli d’apertura di
un’esposizione di qualche galleria o museo d’arte, ma in realtà si tratta di frasi che
campeggiano in un grande salone d’entrata di una scuola d’infanzia. Come questa,
molte altre scuole e nidi d’infanzia fanno sfoggio di disegni o pitture dei bambini
dagli attributi artistici.
Ricordo in particolare una scuola d’infanzia in cui le insegnanti appendevano
titoli simili in bella vista sopra o accanto a disegni disposti senza ordine e senza
alcun elemento che avrebbe potuto avvicinarli alle didascalie dei quadri e delle opere
d’arte. Semplicemente si trattava di prodotti fatti dai bambini, a volte simili tra loro,
senza riferimento al nome, al titolo, al tipo di tecnica e di materiali utilizzati.
Capita spesso d’imbattersi in allestimenti murali che in qualche modo testimoniano la volontà di accomunare i prodotti dell’attività graÞco-pittorica dei bambini
all’arte adulta.
Anche fuori dalla scuola il binomio arte-bambino è diventato negli anni oggetto
di crescente interesse, addirittura quasi una moda, preso di mira anche dal marketing
pubblicitario e dai programmi televisivi.
D’altra parte se la crescita dell’offerta della didattica legata all’arte (da parte di
musei, gallerie, ma anche di associazioni e cooperative educative) può essere letta
16
NIDO D’INFANZIA 2
come indice di una maggior attenzione e sensibilità verso il mondo della cultura,
non è detto che attraverso queste esperienze i bambini si trasformino in artisti o
che riescano a loro volta a produrre un’opera d’arte. Più semplicemente le diverse
iniziative dovrebbero essere lette come occasione per avvicinare i bambini ai luoghi
e agli oggetti d’arte.
Anche in letteratura non mancano testi che Þn dal titolo potrebbero giustiÞcare
il connubio arte-bambini. L’arte dei bambini, scritto da Corrado Ricci più di un
secolo fa, Grammatica dell’arte infantile, di Arno Stern del 1968, Analisi dell’arte
infantile di Roda Kellog, del 1970, pubblicato in Italia nel 1979, solo per citare i
titoli più espliciti. In realtà molte di queste pubblicazioni chiariscono e tendono a
ridimensionare se non a confutare il rapporto tra disegno infantile e arte.
Non è comunque affatto dimostrato che bastino dei colori stesi su un foglio
e l’utilizzo di tecniche d’effetto o grandi disegni per poter parlare di arte, almeno
per i bambini.
Come educatori dobbiamo affrontare questo problema visto che dai suoi esiti
dipende il senso assegnato all’attività del disegnare e del dipingere sin dai contesti
del nido.
Sappiamo bene che queste attività possono essere proposte con Þnalità differenti: l’uso di pennelli, pennarelli e grandi superÞci da colorare può servire per la
scoperta di sé e del proprio corpo, o più semplicemente dei materiali stessi, oppure
per imparare a riconoscere i colori.
Molte volte invece queste esperienze sono proposte in rapporto ad altre attività,
a seguito di un racconto, di una lettura animata, di un gioco motorio, ecc.
Mettiamo, ad esempio, che si racconti ai bambini la storia di Piccola macchia,
di Lionel Le Néouanic (2005). Per chi non la conoscesse è la storia di una macchia
nera che va in cerca di amici e dopo una serie di vicissitudini fa amicizia con alcune Þgure geometriche colorate. Le immagini sono volutamente «concettuali» (la
macchia nera non è disegnata in forma antropomorfa, quindi non ha occhi né arti)
eppure il racconto è chiaro, semplice e divertente soprattutto perché vede la macchia
assumere forme diverse per poi ritornare alle sembianze iniziali.
Dopo la lettura del libro, l’educatrice potrebbe proporre ai bambini di 3 anni di
giocare con Piccola macchia, utilizzando la tempera nera e facendoli «pastrocchiare»
sul foglio. La storia può fungere da pretesto per creare una motivazione signiÞcativa
a scoprire i colori, in particolare quello nero, oppure può servire a creare una sorta
di multimedialità narrativa, per cui il racconto prende vita attraverso l’utilizzo di
diversi formati, supporti e materiali. Sappiamo che la multimedialità è quella caratteristica della cultura di massa e dell’industria culturale per cui lo stesso messaggio
è veicolato attraverso vari media. Pensiamo a un qualsiasi cartone animato di suc-
DISEGNARE AL NIDO
17
cesso e al mondo di Þgurine, immagini, poster, libri a fumetti, gadget che gli ruota
attorno. Al di là dell’operazione di marketing possiamo vederla come una strategia
comunicativa di tipo multimediale.
Nel nostro piccolo potremmo creare un racconto multimediale attorno alla
storia e al personaggio di Piccola macchia, individuando un angolo-parete da allestire appositamente. Potremmo utilizzare il libro e le sue parti illustrate, riprodurle
su grandi fogli, creare delle tessere prodotte dai bambini con la tempera e lasciarle
a loro disposizione assieme alle forme geometriche in formato tridimensionale.
Diversamente, il racconto di Piccola macchia può dialogare e intrecciarsi
con i discorsi dei bambini intenti a giocare con il colore: il nero potrà assumere un
signiÞcato simbolico in quanto non avrà semplice valore in sé ma rappresenterà
Piccola macchia che si materializza nelle mani di ciascuno.
Qui la narrazione è centrale e l’esperienza del colore è Þnalizzata a un fare
del corpo e del pensiero insieme che permette ai bambini di ri-vivere, commentare
e ri-raccontare la storia o più semplicemente alcuni passaggi, così da elaborare e
sistematizzare le proprie emozioni e conoscenze.
Ora, che tutto ciò abbia in qualche modo a che vedere con operazioni di tipo
artistico è tutto da dimostrare e probabilmente se dovessimo appendere alle pareti
le tante «Piccole macchie» fatte dai bambini e dare un titolo all’attività non utilizzeremmo le famose scritte artistiche, ma più probabilmente lo stesso titolo del libro
di Le Néouanic.
Che sia l’assenza di riferimenti a Þnalità precise a suggerirci di ricorrere all’arte
quando disegniamo con i bambini? Sembrerebbe di sì visto che le scritte per così
dire artistiche compaiono più di frequente accanto a pitture e disegni slegati dalle
altre proposte didattiche. Sia chiaro, con questo non intendo dire che si debba ogni
volta proporre il disegno a seguito o in collegamento con un’altra attività, secondo
una programmazione puntuale e complessa. Il «fare per il fare», ossia la possibilità
di sperimentare i materiali per il piacere di scoprirne le proprietà e il possibile utilizzo, ha un valore pedagogico importantissimo, a maggior ragione se si ha a che
fare con bambini molto piccoli come quelli del nido.
A volte può succedere che il senso di quel che si fa, o un nuovo senso imprevisto, prenda forma durante l’attività stessa, scaturendo dal contesto e dalla relazione
che si viene a creare tra i bambini e l’educatrice.
Sta a quest’ultima mettersi in ascolto empatico, ossia assumere un ruolo attivo
con cui osservare e ascoltare i bambini senza pregiudizi. In questo modo è più facile
accogliere i diversi discorsi che si vengono a creare, incentivando la conversazione
e i commenti così da incrementare la complessità della loro produzione verbale e
graÞca. Ma di questo si parlerà più ampiamente nel corso del volume.
18
NIDO D’INFANZIA 2
Qui ci interessa chiarire se davvero siamo convinti che i disegni dei bambini
possano essere deÞniti opere d’arte e se crediamo che le attività per così dire «espressive» favoriscano la scoperta di piccoli artisti. Per trovare delle risposte dovremmo
quanto meno chiarirci che cosa intendiamo per arte: se il prodotto Þnito o l’azione
del bambino o qualcos’altro. E se non è arte dovremmo capire qual è il senso di far
disegnare e dipingere i bambini Þn dal nido.
La questione del rapporto tra disegno infantile e arte adulta è in realtà un argomento complesso, che ha visto studiosi a vario titolo impegnati nel proporre tesi
volte a dimostrarne o confutarne l’origine comune.
Non è mia intenzione proporre una trattazione storica e teorica di questo tema
anche perché esiste un testo molto interessante della psicologa dell’arte Lucia Pizzo
Russo (1988) che ne riporta un’analisi approfondita.
Ciò che può interessare ai Þni del nostro discorso è che ancor oggi non è stato
veramente dimostrato se il disegno infantile sia arte o, più in generale, se il bambino
possa fare arte. Piuttosto, come sottolinea Pizzo Russo, l’arte infantile è Þn da subito
divenuta una fede presente già negli assunti e nelle premesse delle rißessioni teoriche
e quindi mai posta in dubbio. La maggior parte di queste posizioni si riferisce alle
varie deÞnizioni storiche di «arte» elaborate dai ÞlosoÞ, dagli storici, dagli artisti
per ciò che chiamiamo opere d’arte (Pizzo Russo, 1988, p. 15).
Fino agli inizi del Novecento il termine arte era utilizzato per deÞnire tutto
ciò che aveva un legame con il bello ideale, quel bello che rißetteva l’armonia della
natura a sua volta immagine della creazione divina. L’artista era il genio, l’illuminato
in grado di cogliere tale bellezza ed equilibrio. In epoca romantica si pensava che i
bambini possedessero «l’occhio innocente» necessario per guardare alla natura in
tutta purezza e per ciò si cercava in loro qualche manifestazione precoce del genio
artistico.
L’arte per molto tempo, almeno Þno all’avvento delle correnti artistiche
contemporanee, è stata considerata un linguaggio spontaneo, istintuale, dettato da
necessità espressive, e l’opera un prodotto non mediato dalla cultura, ma originato
dall’inconscio.
Da qui l’idea che il bambino, se lasciato libero di disegnare o dipingere, potesse
attingere al proprio mondo interno, ai propri istinti, alla propria immaginazione così
da generare opere d’arte. Su questa scia idealista ancor oggi alcune insegnanti ed
educatrici sono contrarie a rapportarsi con i bambini che disegnano per non interrompere il loro «naturale ßusso creativo».
Con l’avvento dell’arte moderna e contemporanea, mutano anche i signiÞcati di
arte e di estetica. Si passa da un’arte celebrativa di valori assoluti a un’arte laica, indagatrice dei fatti umani, non più legata al bello e a una verità unica e inconfutabile.
DISEGNARE AL NIDO
19
Pur nell’impossibilità di deÞnire in maniera chiara e univoca l’arte contemporanea, è comunque possibile evidenziare le peculiarità che la differenziano dall’arte
precedente. Ad esempio cambia l’attribuzione di valore dell’opera, non più secondo
un giudizio formale bensì guardando all’atto che la origina. Un atto che l’artista,
consapevolmente, carica di simboli e metafore signiÞcanti la realtà storica e culturale
nella quale egli vive.
Gli atti simbolici e metaforici sono il risultato di atti di pensiero attraverso
cui l’artista combina immagini mentali e oggetti, secondo nuove connessioni. Di
conseguenza l’opera e i processi creativi che la generano sono tutt’altro che naturali
e istintivi ma richiedono un bagaglio culturale che al bambino manca.
Da qui le tesi che confutano l’idea del bambino naturalmente artista: per esserlo
dovrebbe, infatti, essere in grado di conoscere e quindi utilizzare gli strumenti culturali in modo da distinguere tra arte e routine comunicativa.
Marco Dallari, che da decenni si occupa di queste tematiche, ci fa notare che
sono stati semmai molti artisti adulti a guardare al disegno infantile, così come alle
pitture primitive, per cercare di risalire all’essenza dell’arte. In effetti, soprattutto
l’arte moderna e contemporanea ha assunto come materiale di ricerca il pensiero
e i processi rappresentativi infantili proprio perché considerati più simili a quelli
dell’arte primitiva. Così, ad esempio, Picasso, che a 15 anni disegnava come Raffaello,
affermò di aver impiegato tutta la vita per imparare a disegnare come un bambino.
In effetti, nei suoi ritratti ribaltati e dipinti in trasparenza tipici del periodo cubista e
post-cubista si possono riconoscere tratti in comune con molti disegni di bambini di
4-5 anni, età in cui si tendono a rappresentare tutti gli elementi che contribuiscono a
rendere riconoscibile e signiÞcativo un soggetto (la caratteristica della esemplarità
così come il fenomeno della trasparenza verranno trattati nel capitolo secondo, nelle
teorie evolutive di Luquet).
Molti altri artisti, invece, abbandonate le regole della prospettiva rinascimentale, hanno scelto di realizzare i loro ritratti secondo la prospettiva sentimentale,
dipingendo le immagini in proporzione diversa a seconda dell’importanza affettiva
a loro assegnata, così come farebbe un bambino di 3 anni quando disegna la sua
famiglia, per cui colloca la mamma al centro del foglio e la disegna grande due
volte la casa o il papà.
A questo punto, chiarito che il bambino non è un artista così come il suo prodotto non è un oggetto d’arte, potremmo convincerci a togliere le famose scritte, a
separarci a malincuore dalla sfera rassicurante e un po’ cool del mondo dell’arte e
iniziare a elaborarne il lutto.
Per fortuna non tutto è perduto e grazie alle posizioni assunte da molta arte
contemporanea, specie quella concettuale, possiamo smettere gli abiti neri e ripren-
20
NIDO D’INFANZIA 2
dere a ballare con l’arte così come fece Rossella O’Hara-Vivien Leigh fresca di
vedovanza, con l’amato-odiato Rhett Butler-Clark Gable in Via col vento.
È, infatti, ricorrendo all’arte contemporanea, e in particolare all’atteggiamento
che andrebbe assunto per comprendere le sue opere, che possiamo rivendicarne un
qualche legame con il disegno infantile.
Secondo gli esperti il rapporto tra disegno infantile e arte adulta non va ricercato nell’oggetto in sé (disegno-opera d’arte) ma deve essere ricondotto ai processi,
mentali e intersoggettivi, che si generano attorno al disegno e alla sua interpretazione.
Vediamo di chiarire con un esempio. Quando ci troviamo di fronte a un’opera d’arte
contemporanea, può capitare che si storca il naso o, al contrario, che si rimanga
rapiti, comunque raramente indifferenti, vista la capacità di queste opere di stupirci e
sedurci. D’istinto ci verrebbe da esprimere un giudizio legato al gusto e magari dire
che una cosa così saremmo riusciti a farla anche noi. In ogni caso ci troveremmo a
un certo punto a chiederci «che cos’è», anche se sarebbe più corretto chiederci «che
senso ha», dal momento che il suo signiÞcato non si dà direttamente, ma è mediato,
reso ambiguo dalle metafore e dai simboli che la compongono.
Molti studiosi dell’arte e molti semiologi, tra cui Umberto Eco (1962), sostengono che una delle caratteristiche della comunicazione artistica sia l’ambiguità.
La differenza tra comunicazione convenzionale e artistica sta nel fatto che mentre
nella prima si utilizzano codici linguistici condivisi che rendono il ricevente sostanzialmente passivo (basta capire la lingua), nel secondo tipo di comunicazione
il ricevente deve assumere un atteggiamento attivo poiché deve costruire almeno
in parte il senso di ciò che gli viene comunicato; questo perché quanto gli viene
comunicato è ambiguo, aperto cioè a più interpretazioni possibili.
Questo atteggiamento di «apertura del senso» fa sì che l’interpretazione dipenda
da un’azione di lettura e codiÞca di tipo intersoggettivo, in quanto si compie nel
rapporto tra l’emittente (l’autore con le proprie intenzioni), il ricevente (che diventa
co-autore del senso dell’opera) e il contesto nel quale avviene la comunicazione.
L’atteggiamento che permette di considerare un oggetto artistico per i suoi
signiÞcati possibili e di guardarlo con ambiguità è stato deÞnito atteggiamento
estetico (Dallari e Francucci, 1988).
Esso è considerato l’atteggiamento più corretto da assumere quando si ha a che
fare con gli scarabocchi e i disegni dei bambini. Ecco allora rintracciato il possibile
legame tra arte (contemporanea) e disegno infantile: come educatori dovremmo
imparare ad assumere l’atteggiamento estetico per guardare i disegni dei bambini in
modo da considerarli come se fossero un’opera d’arte, cioè come oggetti ambigui.
Di solito l’atteggiamento pedagogico tradizionale assunto da molte insegnanti
è quello di insegnare a disegnare e poi di osservare i prodotti Þniti commentandoli
DISEGNARE AL NIDO
21
con i bambini e valutandoli secondo i differenti orientamenti suggeriti dalla psicologia evolutiva. Invece l’approccio estetico richiede di accettare di mettersi in gioco
continuamente e di guardare a ogni disegno con atteggiamento aperto e ßessibile.
Così come si fa per le opere d’arte contemporanea, il signiÞcato del disegno
andrà costruito intersoggettivamente. È, infatti, all’interno della relazione adultobambino che è possibile interpretare e assegnare un signiÞcato agli scarabocchi e
ai disegni dei bambini.
Assumere un atteggiamento estetico di fronte al disegno, o meglio al bambino
che disegna (intendendo quindi l’intero processo), signiÞca, ad esempio, non anticiparne il signiÞcato o non suggerire che cosa e come disegnare, non interpretare i
tracciati sul foglio una volta terminato il disegno, ma costruire il signiÞcato mentre
il bambino disegna, dialogando con lui per invitarlo a esplicitare ciò che sta avvenendo sul foglio.
Sarà fondamentale saper cogliere indizi che facciano presumere che il bambino
utilizzi il linguaggio graÞco per raccontare e raccontarsi qualcosa. Chiaramente se il
bambino possiede un linguaggio verbale abbastanza sviluppato è più facile mettersi in
relazione con lui; è più complicato se il bambino sa pronunciare solo qualche parola.
In questo caso dovremmo saper cogliere altri indicatori, come ad esempio i suoni e i
gesti che accompagnano le tracce, così come le onomatopee o semplici parole.
Dobbiamo essere consapevoli che non possiamo capire appieno il signiÞcato
di quanto il bambino produce se non ci mettiamo in relazione con lui mentre sta
avvenendo l’attività, e nello stesso tempo che il signiÞcato di quanto il bambino sta
facendo si sviluppa proprio dalla nostra relazione con lui. L’assunzione dell’atteggiamento estetico prevede infatti che la comunicazione si dia sempre in un tempo e
in uno spazio precisi che coincidono con la stessa azione codiÞcante.
Il nostro focus, il nostro interesse andranno allora rivolti al bambino che disegna
e non tanto al disegno come prodotto.
In quest’ottica, anziché limitarsi a esporre il prodotto Þnale, avrebbe più senso
esporre alle pareti la documentazione dei diversi momenti che hanno caratterizzato
l’esperienza del disegno. Ad esempio si potrebbero utilizzare le immagini fotograÞche
che mostrano i passaggi attraverso cui i bambini sono giunti al loro disegno Þnale e
soprattutto le frasi dei racconti-commenti che si generano durante l’attività.
Il disegno come esperienza motoria
Una delle domande ricorrenti sul fare disegno al nido riguarda l’età da cui si
può iniziare a proporre il foglio e la matita ai bambini. In effetti, quella dell’età è