Perugia, 12 maggio 2012 Eccellenze, Autorità

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Perugia, 12 maggio 2012 Eccellenze, Autorità
Perugia, 12 maggio 2012
Eccellenze, Autorità, cari amici ed amiche
Mi è stato chiesto di intervenire nel corso di questo incontro a metà strada tra
la 46^ settimana sociale di Reggio Calabria e la prossima che si terrà a Torino
nel 2013. In particolare il tema che ne occupa è “vivere la comunità, costruire
un nuovo welfare” e – con particolare riferimento al mio impegno (sono
presidente regionale e dirigente nazionale del Forum delle Associazioni
familiari) - cercherò di entusiasmarvi con riguardo alle immense energie umane
e sociali che la famiglia, e in particolare la famiglia cristiana è in grado di
liberare se adeguatamente custodita dal tessuto ecclesiale, morale e culturale
del Paese.
Il periodo ipotetico è d’obbligo visto che tale custodia sembra sempre più
essere un ricordo del passato. Non più tardi di ieri, sull’onda delle analoghe
dichiarazioni del Presidente degli Stati Uniti Obama, è stato pubblicato
dall’ANSA un sondaggio secondo cui anche il 53,4% dei cittadini della
cattolicissima Italia è favorevole alle nozze gay.
Prima di entrare in medias res è allora quanto mai opportuno interrogarci sulle
ragioni profonde che hanno portato numerose realtà del nostro Paese ed
anche alcune parti del mondo cattolico a lasciar incustodita la famiglia
davanti agli attacchi cui quotidianamente viene sottoposta, favorendo lo
sviluppo di un clima sociale sempre meno family friendly prima dal punto di
vista antropologico e poi sul piano pratico.
Cominciamo allora il nostro ragionamento con una osservazione del papa
Benedetto XVI che ci permette di illuminare meglio il campo.
Dice il papa che “una mentalità che è andata diffondendosi nel nostro tempo,
rinunciando ad ogni riferimento al trascendente, si è dimostrata incapace di
comprendere e preservare l’umano. La diffusione di questa mentalità ha
generato la crisi che viviamo oggi, che è crisi di significato e di valori, prima
che crisi economica e sociale”1
In molti ormai, in ogni luogo e ad ogni livello, si adoperano per cancellare dalle
nostre leggi, dalle nostre istituzioni, dalle nostre consuetudini e anche dalla
nostra cultura non solo la famiglia fondata sul matrimonio ma anche ogni altro
possibile retaggio del cristianesimo.
Gli stessi tuttavia paiono non rendersi conto che l’arretramento del
cristianesimo porta inevitabilmente con sé il ritorno di quelle strutture di
peccato che due millenni di fede avevano via via allontanato dal sentire e dal
vivere comune della nostra realtà sociale.
1 Benedetto XVI “DISCORSO ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I LAICI” - Sala Clementina Venerdì, 25 novembre 2011
In altre parole si vorrebbero mantenere in vita nelle strutture sociali dei paesi
occidentali gli effetti del cristianesimo (libertà, fratellanza, rispetto dell’uomo,
pace, equità, coesione sociale, tolleranza, amore al prossimo) tentando
implacabilmente di eliminarne la causa, e cioè LA FEDE, l’incontro dell’uomo
con Dio.
Questo tentativo è in sé stesso fallace e destinato al fallimento. Eliminando il
cristianesimo infatti si eliminano per forza anche le sue conseguenze,
primariamente nel cuore di ogni uomo e poi, a catena, nella famiglia, nella
società, nel mondo.
La scaturigine di ogni finalità dell’agire umano, anche in campo economico o
sociale, risiede nel cuore di ogni uomo, e non è lo stesso per l’uomo agire “con
Dio” o “senza Dio”. Per questa ragione il Compendio della Dottrina Dociale
della Chiesa sente l’esigenza di riaffermare tra i suoi principi informativi che
“Tutta la vita dell’uomo è una domanda e una ricerca di Dio. Questa relazione
con Dio può essere ignorata oppure dimenticata o rimossa ma non può mai
essere eliminata. (…). La persona umana è un essere personale creato da Dio
per la relazione con Lui, che soltanto nella relazione può vivere ed esprimersi e
che tende naturalmente a Lui”2.
Non è dunque in nessun modo possibile costruire una “Città degli uomini”
serena e ordinata se noi cristiani rinunciamo ad annunciare con la voce e con
la vita ad ogni uomo che la morte è vinta in Cristo, che Dio non si è
dimenticato dell’uomo, di ogni uomo, ma che oggi, anche in questo preciso
momento, sta con noi, ogni cosa è alla sua presenza e sottoposta al suo
potere, e che Lui è Signore della storia e ci ama, ci perdona, ci vuole bene, ci
attende, ci circonda di attenzioni, ci dona vita e vita eterna!
Questo è stato il semplice ma totalizzante messaggio che dodici poveracci
della Galilea hanno portato nella Grande Metropoli due millenni or sono, e che
in soli tre secoli ha fatto cadere il più grande impero del tempo, ha
radicalmente mutato le relazioni personali e sociali e ha fondato una nuova
antropologia, riconoscendo finalmente la dignità di ogni essere umano, cosa
mai vista fino ad allora in tutta la storia dell’umanità.
Qualora per primi noi credenti perdiamo di vista tutto ciò, parole come
“solidarietà”, “rispetto dell’altro”, “accoglienza”, “giustizia”, “carità” rischiano
di assumere significati ben diversi o financo di perdere ogni significato.
Qualche altro esempio, tratto dall’esperienza familiare, potrà aiutarci.
Non capita ormai sempre più spesso di sentire – anche tra credenti – che è
“giusto” il divorzio se una coppia di sposi litiga? Oppure che è caritatevole
aiutare a morire presto il malato terminale o il paziente in stato vegetativo?
Non è forse vero che l’aborto è stato legalizzato dal nostro ordinamento
giuridico giustificato dal “rispetto” per la salute psicofisica della madre? Forse
anche in questa sala qualcuno è convinto che la contraccezione sia un modo
per esercitare la libertà personale, oppure che l’uso degli anticoncezionali sia
una forma di responsabilità e di solidarietà in un mondo già troppo popolato o
magari sia un buon sistema per combattere la povertà del Terzo mondo?
2
Compendio dottrina sociale della Chiesa n. 109
Oppure che il rispetto e l’accoglienza ci impongano di riconoscere i diritti delle
coppie di fatto, magari anche omosessuali, giungendo per conseguenza –
come dice il sondaggio – a riconoscere il matrimonio gay oppure – come
fanno nelle scuole medie di questa città - ad insegnare nelle scuole ai ragazzini
di tredici anni che ognuno può e deve in ogni momento scegliere l’identità
sessuale che più gli aggrada?
Molti credenti e alcune associazioni di credenti purtroppo hanno appoggiato
e appoggiano direttamente o indirettamente, col loro impegno o col loro
voto, col loro attivismo o col loro silenzio devastanti fenomeni come l’aborto, il
divorzio, la fecondazione assistita, la contraccezione, l’eutanasia, il
riconoscimento civile delle coppie di fatto o delle nozze gay.
Non si sente forse dire sempre più spesso, anche nei nostri ambienti fin dagli
anni settanta del secolo scorso “noi non praticheremo mai il divorzio, l’aborto,
la convivenza, etc., ma non è giusto vietarlo a chi lo desidera”?
Ovviamente si tratta di distinguere tra ciò che deve essere vietato e ciò che
semplicemente non deve essere pubblicamente riconosciuto, ma il principio di
fondo è che qualche volta noi laici (e anche qualche presbitero o vescovo)
non ce la sentiamo più di difendere la posizione del magistero della Chiesa su
alcune questioni, perché riteniamo che alcuni principi non siano condivisibili,
oppure che riguardino solo i credenti, oppure ancora che in fondo non spetti a
noi farlo. Queste persone e queste realtà sono sostanzialmente vittime di un
grande inganno, che si sta diffondendo e che ha ormai raggiunto la
maturazione.
Il card. Caffarra, in un suo intervento di quest’anno, riassume in modo
magistrale il punto: riferendosi al matrimonio – ma quale esempio di un
generale fraintendimento della dottrina cristiana – dice che “La proposta
cristiana circa il matrimonio e la famiglia, l’Occidente ha sempre avuto
difficoltà ad accettarla sul piano pratico. E’ stato un atteggiamento che potrei
riassumere nel seguente modo: “questo modo di concepire il matrimonio (ma
si potrebbe dire lo stesso in ordine all’intera dottrina sociale della Chiesa n.d.a.)
è vero, è bello ma non è praticabile nella sua interezza (…). In questi ultimi
decenni tuttavia è avvenuta ed è ancora in atto una vera svolta epocale. Non
è la non praticabilità della proposta cristiana che è messa in questione; è la
sua verità. (…) Non viene detto: la proposta cristiana è impraticabile; viene
detto: è falsa.”. 3
Vorrei richiamare l’attenzione di tutti su questo aspetto, perché è dirimente. La
radice di questa caduta, di questo cataclisma culturale e sociale sta
essenzialmente nella perdita della fede da parte di chi dovrebbe, o avrebbe
dovuto custodire con la parola e con la testimonianza la verità di quanto
annunciato dal Vangelo.
E non si pensi che il problema sia limitato alla famiglia. La famiglia infatti è il
paradigma che informa di sé l’intero vivere sociale, e per questa ragione è la
prima ad essere sotto attacco. Ma già si vedono gli effetti anche su altri piani;
si pensi al fenomeno dell’immigrazione, sempre meno tollerata e sempre più
3
Carlo Card. Caffarra “L’amore della famiglia naturale sfida il nichilismo” Bologna 5 febbraio 2012
mal gestita, oppure al mondo del lavoro in cui – sotto la spinta della crisi - le
dinamiche solidaristiche innescate dalla antropologia cristiana e dalla dottrina
della prossimità evangelica stanno sempre più spesso lasciando il posto a
scontri tra opposti egoismi che nel migliore dei casi si tenta di regolamentare.
Si pensi alle nuove schiavitù, dalla prostituzione alla pedopornografia al lavoro
clandestino, si pensi alla strage degli innocenti silenziosamente celebrata nelle
ostetricie degli ospedali di tutto il mondo.
Nel nostro Paese assistiamo a comportamenti di massa sempre più spesso precristiani e le culture che avanzano nel mondo sono sostanzialmente pagane o
comunque refrattarie a quei valori cristiani che hanno permeato per millenni il
nostro humus sociale: si pensi alla idea di uomo e alla condizione dei lavoratori
nella Cina post-comunista oppure a quella delle donne nell’Islam solo per
citare alcuni limitati esempi.
Rileggendo la lettera a Diogneto possiamo quasi fare un viaggio al contrario: in
quel periodo stavano sbocciando i meravigliosi effetti sociali del cristianesimo a
contrasto con la screpolata e marcescente realtà morale del tardo impero,
oggi - con l’arretramento della fede – sembrerebbe assistersi al fenomeno
contrario:
Diceva Diogneto dei cristiani:
“Partecipano a tutte le attività di buoni cittadini e accettano tutti gli oneri
come ospiti di passaggio4”. Pensiamo alle nostre forme di partecipazione alla
politica e alla amministrazione della cosa pubblica, l’attaccamento al posto di
potere che anche alcuni credenti manifestano senza vergogna…
“Si sposano e hanno figli, ma non espongono i loro bambini5” Pensiamo
all’attacco alla famiglia, alla contraccezione, all’aborto legalizzato, alle
politiche di sostegno alla natalità che mancano da decenni...
“Hanno in comune la mensa, ma non il talamo6”. Pensiamo agli adultéri, agli
spettacoli televisivi, alle chat per scambi di coppie, alla pornografia, alla
sodomia, al divorzio.
“Obbediscono alle leggi stabilite, ma, con il loro modo di vivere, sono superiori
alle leggi7”. Pensiamo all’evasione fiscale, alle truffe, ai latrocini di denaro
pubblico…
Che fare dunque?
In tempi come i nostri son persuaso che sia nostro primo compito sociale
portare ad ogni uomo il nucleo irriducibile del messaggio cristiano, messaggio
che nessuna religione, nessuna ideologia umana, nessuna filosofia può
cogliere appieno e che tuttavia è l’unica scintilla in grado di accendere il
fuoco, è il lievito che fa fermentare la farina, è il sale che dà gusto a tutto il
cibo, è in definitiva l’autentica energia che muove l’universo e cioè l’amore in
una prospettiva trascendente che viene prima ricevuto da Dio e poi, donato al
prossimo, diventa agapè, dono di sé, amore senza condizioni, amore all’altro
anche se ci è nemico.
Lettera a Diogento, V.
Ib.
6 Ib.
7 Ib.
4
5
Il card. Bagnasco nel suo discorso a Reggio Calabria in occasione
dell’apertura delle Settimane sociali ci diceva che “L’immagine evangelica
del sale della terra e della luce del mondo (Mt 5, 13-14) è un riferimento
significativo che guida la presenza dei cattolici nella società”8. E il sale si
scioglie, perde la vita per amare.
Questa tuttavia è una missione che lo stesso card. Bagnasco definisce come
“umanamente impossibile”.9
Infatti perché mai dovrei accogliere lo straniero che viene in Italia o perché
dovrei aiutare una donna prostituta, perché dovrei accettare che nasca il mio
terzo o il quarto figlio anziché ricorrere alla contraccezione o all’aborto?
Perché dovrei rispettare i diritti dei lavoratori anziché tenere per me ogni
profitto oppure perché dovrei continuare ad essere fedele a mia moglie che
magari mi ha tradito? Perché sostenere il peso di un figlio disabile o di un
anziano che posso collocare altrove? Perché vivere castamente
l’omosessualità e non usare le persone per il mio soddisfacimento carnale?
Perché spendere la mia vita per educare le giovani generazioni alla
conoscenza di Dio?
La risposta è tuttavia tale da non lasciare alternative: infatti o saremo in grado
di testimoniare che c’è un Padre comune, e quindi siamo tutti fratelli, che c’è
la vita eterna e quindi possiamo perdere la vita terrena per amare chi ci sta
accanto, oppure varrà sempre e solo la legge del più forte; se la vita è una
sola, cari amici, “mangiamo e beviamo perché domani moriremo10”.
Non si può imitare, scimmiottare questa forma di amore, ma solo riceverla in
dono da Dio; questo è essere sale, ma se i cristiani perdono sapore, perdono la
loro tensione verso il Cielo, verso la Vita e la Vita eterna, il cristianesimo si riduce
ad una vuota filantropia, ad un solidarismo paternalista di bassa lega che non
serve a nessuno se non ad essere gettato via.
Non è importante che tutto il mondo diventi cristiano, che tutta la società
diventi cristiana, ma è tuttavia fondamentale che ci siano cristiani nel mondo e
nella società, che custodiscano, mostrino al mondo e testimonino che amare è
vero, amare è possibile.
Tale forma di amore – come dicevo - è possibile solo ai cristiani che vivano
nella fede, immersi nel mistero di Cristo, imbevuti dalla sua concreta presenza
che si realizza nell’essere innestati in una comunità e nell’essere nutriti
abbondantemente con la Parola di Dio e con i sacramenti.
Tutto ciò non è un surplus da affiancare alle opere sociali ma è un ineludibile
antefatto se si vuole che la presenza cristiana nel mondo sia autentica, vera,
fertile e feconda. Il mondo ne ha diritto.
l card. Bagnasco sempre a Reggio Calabria non esita a dire proprio a noi che
“Senza questo primato della vita spirituale – che è la vita con Cristo nella
Chiesa – non esiste possibilità di presenza dei cattolici ovunque siano nella
società”11.
8 Angelo Card. Bagnasco “Logos e agape. Intelligenza della fede e trasformazione della società”. Reggio
Calabria 14 ottobre 2010
9 Cfr. Ib. N. 2
10 1 Cor 15, 32
11 Cfr. Ib. N. 2
Benedetto XVI va oltre, affermando che “Spesso ci preoccupiamo
affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede,
dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno
realista. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi
ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale
diventa insipido?”12
Forse stiamo progressivamente perdendo di sapore.
Realtà esplicitamente o implicitamente cattoliche, magari cariche di storia e di
gloriose tradizioni o fondate da persone piene di fede, realtà che negli anni
passati hanno animato e fecondato la scena sociale, proponendo per prime
la dottrina sociale della Chiesa in tempi senz’altro difficili, sembrano oggi aver
perso la loro radice in Cristo e rischiano di trasformarsi ove in agenzie di
collocamento, ove in sterili pensatoi, ove in lobbies, ove in cripto-partiti, ove in
istituti bancari o assicurativi votati al profitto, ove ancora in semplici movimenti
di opinione, spesso recependo ideologie mondane assai lontane dalla verità e
comunque sempre appiattendosi su una dimensione orizzontale ed
immanente del vivere umano.
Lo dico da dirigente nazionale di una associazione di associazioni cattoliche:
dobbiamo vigilare, dobbiamo stare attenti alla tentazione del fare, che
rischiamo di far prevalere sull’essere.
Inoltre non possiamo più dare per scontata la nostra fede e quella dei nostri
associati.
L’aveva intuito Giovanni Paolo II che ricordava: “Il nostro è tempo di continuo
movimento che giunge spesso fino all’agitazione, col facile rischio del “fare per
fare”. Dobbiamo resistere a questa tentazione, cercando di “essere” prima che
di “fare”13.
Benedetto XVI lo ha riaffermato rivolgendosi ai vescovi della Svizzera: “Si può
fare molto, tanto nel campo ecclesiastico, tutto per Dio…, e in ciò rimanere
totalmente presso sé stessi, senza incontrare Dio. (…) L’impegno sostituisce la
fede, ma poi si vuota dall’interno”14.
Non possiamo permettercelo. E’ indispensabile che le nostre realtà cattoliche
impegnate in ogni campo del sociale tornino a nutrire e curare in primo luogo
la conversione personale di ciascuno.
Come scrisse Paolo VI: “Ciascuno esamini se stesso per vedere quello che
finora ha fatto e quello che deve fare. Non basta ricordare i principi, affermare
le intenzioni, sottolineare le stridenti ingiustizie e proferire denunce profetiche:
queste parole non avranno peso reale se non sono accompagnate in
ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria responsabilità e da
un’azione effettiva. È troppo facile scaricare sugli altri la responsabilità delle
Benedetto XVI Omelia pronunciata a Terreiro do Paço di Lisbona, 11 maggio 2010
Giovanni Paolo II “Novo Millennio Ineunte” n. 15.
14 Benedetto XVI, Omelia all’episcopato della Svizzera, 7 dicembre 2006
12
13
ingiustizie, se non si è convinti allo stesso tempo che ciascuno vi partecipa e
che è necessaria innanzitutto la conversione personale”15
Ecco, credo sia importante aver chiaro questo: ognuno di noi può dare solo
quello che ha; se non riceve l’amore di Dio come può portarlo agli altri? Dovrà
necessariamente avere un luogo ove RICEVERE e cioè la famiglia cristiana, la
comunità cristiana, la Parola e i sacramenti, e un luogo dove DARE e cioè il
lavoro, il volontariato, l’impegno sociale e politico.
Senza questo si rischia di non aver nulla da dare, o peggio di portare solo SE
STESSI.
Un aiuto in questo senso può venire dall’esperienza dei movimenti e delle
nuove realtà scaturite dalla inesauribile fecondità dello Spirito Santo dopo il
Concilio Vaticano II.
Ponendo nuovamente al centro della vita delle persone l’incontro col Cristo
risorto, questi movimenti hanno permesso alle persone, per così dire, di sentirsi
di nuovo “riempite”. Il loro “traboccare” sta provocando un silenzioso miracolo
sociale che sta innervando di sé il tessuto della famiglia, della Chiesa e della
società. Non di rado le persone che hanno incontrato Cristo grazie ai nuovi
movimenti e continuano a riceverlo nelle loro comunità possono riversare ad
extra il loro impegno offrendo le loro energie - santificate dalla presenza di
Cristo - anche al volontariato e all’associazionismo.
E quando rinasce la persona rinasce la famiglia, rinasce la comunità, rinasce la
società: siamo testimoni di coppie che – pur immerse nella società edonista
che tutti ben conosciamo - vivono la vita matrimoniale nella reciproca fedeltà
e nel mutuo amore, appoggiati quotidianamente in Cristo e nella Chiesa.
Contempliamo la meravigliosa esperienza di coppie separate, magari segnate
da gravi peccati, che dopo aver incontrato il Signore tornano a vivere insieme
perdonandosi di cuore e ricostruendo il loro matrimonio.
Conosciamo coppie in crisi che liberamente e per amore a Gesù scelgono di
non divorziare ma di portare faticosamente ma con gioia il peso delle loro
difficoltà matrimoniali.
Assistiamo – anche nella crisi economica – al miracolo di coppie che – pur
nella precarietà economica – decidono liberamente di aderire alla parola di
Dio e della Chiesa e di aprirsi con generosità alla vita accogliendo il quinto, il
sesto, il decimo figlio.
Conosciamo coppie sterili che obbedendo al magistero della Chiesa hanno
rinunciato alla chimera della fecondazione assistita e si sono aperte
all’adozione e all’affido.
Sappiamo di famiglie che hanno accolto persone disabili e di madri che pur se
sollecitate non hanno abortito i piccoli disabili che portavano in grembo.
Abbiamo visto famiglie – pur gravate dai quotidiani impegni - prendersi cura e
tenere in casa i loro anziani, accudendoli amorevolmente di persona anziché
relegarli nelle gabbie dorate dei gerontotrofi.
Incontriamo sempre più spesso giovani che – nonostante il bombardamento
porno-erotico cui siamo sottoposti - vivono castamente il loro fidanzamento,
non per inibizione ma per amore a Cristo, famiglie che portano il peso di altre
15
Paolo VI, Octogesima adveniens, 48.
famiglie offrendo solidarietà anche economica, genitori che educano con
pazienza i loro figli nella fede, donando loro ciò che di più inestimabile
possiamo lasciare ad un uomo, e cioè la via per incontrare Dio.
Conosciamo giovani che si donano generosamente al servizio dell’umanità,
spendendo la loro vita nell’evangelizzazione, nelle missioni, oppure
rispondendo con generosità alla vocazione presbiterale o monacale, anziani e
vedove che si dedicano al servizio della preghiera e dell’accoglienza.
E tutto questo viene “fatto” non come impegno, non come qualcosa che
bisogna “fare”, ma come una conseguenza spontanea e necessaria
dell’incontro personale con Cristo Risorto. Questo è il nuovo, autentico welfare
in grado di cambiare radicalmente la società e di costruire la “civiltà
dell’amore”.
La famiglia stabile, fondata sul matrimonio e aperta alla vita è la prima,
primordiale scuola di amore gratuito, di donazione di sé. Ogni uomo e ogni
donna di buona volontà, per mezzo della famiglia, impara naturalmente ad
amare il coniuge, ad accettarlo anche quando brontola o la pensa
diversamente, impara ad accogliere altri esseri umani – i figli - e a donare loro
gratuitamente tutto ciò che ha di più prezioso senza pretendere nulla in
cambio, impara a riaccogliere i genitori anziani. Impara ad amare, ed
amando si innamora dell’amore. E innamorandosi dell’amore prima o poi si
arriva per forza a Dio.
Se poi la famiglia è cristiana, come dicevamo prima, che meraviglia, che
miracoli! Abbiamo letto tutti la storia del beato Giuseppe Tovini, con dieci figli,
che muore a quarantre anni dopo aver fondato tre banche, un collegio, una
università, un quotidiano e aver costruito una ferrovia, o del neo-beato
Giuseppe Toniolo, che aveva sette figli e ha trovato il tempo di fondare le
Settimane Sociali, o di Luigi e Maria Bertrame Quattrocchi con la loro
straordinaria esperienza di spiritualità familiare!
“Si isti et istae, cur non ego?” diceva S. Agostino16. Se questi hanno potuto,
grazie al Signore Dio, perché non noi? Loro hanno combattuto e vinto la
“pacifica battaglia” dei loro tempi, a noi spetta quella dei nostri tempi.
Il nostro compito di associazionismo cattolico è dunque di tornare a custodire e
sostenere la conversione della persona, e la conversione delle persone nella
famiglia; questo è l’unico modo efficace per sostituire progressivamente le
strutture sociali di peccato con strutture sociali di amore, formando persone
nuove, persone risorte che camminano nel mondo informate dall’amore di
Dio. Le giovani generazioni hanno il diritto che si trasmetta loro la fede, questa
misura di amore.
Se il nostro Paese non
cedendo ai numerosi
culturale, ideologico e
parlavamo poc’anzi e
riuscirà a custodire la famiglia fondata sul matrimonio,
attacchi che le vengono mossi sul piano legislativo,
pratico perderemo tutte quelle immense energie di cui
in breve tempo ci troveremo davanti ad un’autentica
S. Agostino, Confessioni 8, 27 “Tu non poteris, quod isti, quod istae? An vero isti et istae in se ipsis possunt ac
non in Domino Deo suo?
16
implosione della nostra società, con le gravissime sofferenze individuali e
collettive che inevitabilmente ne deriveranno.
Gli strumenti da impiegare per custodire la famiglia sono molteplici, tanti quanti
la nostra cultura, la nostra fantasia, la nostra conoscenza e il nostro know-how
potranno escogitare. Abbiamo la conciliazione per le coppie in crisi, il sostegno
alla genitorialità, la battaglia fiscale sul fattore famiglia, l’esperienza dei
comuni a misura di famiglia di cui parleremo dopo, l’impegno a difesa della
vita nascente, la promozione della libertà di educazione e della scuola
cattolica, la armonizzazione dei tempi famiglia-lavoro, l’equità di trattamento
per le famiglie numerose, l’aiuto alla disabilità, il sostegno alle adozioni e agli
affidi e così via, , tutte cose utilissime e fondamentali per una società rivolta al
bene comune.
Ma il primo e principale degli impegni è quello di mostrare con le nostre
famiglie che - con Cristo - amare l’altro anche quando ti diventa nemico,
donare sé stessi per amore, completamente e senza riserve E’ POSSIBILE,
E’VERO, E’ BELLO.
Questa è la vera rivoluzione sociale.
Queste sono le vere buone pratiche.
Questo è costruire un nuovo welfare.