Perugia, 12 maggio 2012 Eccellenze, Autorità
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Perugia, 12 maggio 2012 Eccellenze, Autorità
Perugia, 12 maggio 2012 Eccellenze, Autorità, cari amici ed amiche Mi è stato chiesto di intervenire nel corso di questo incontro a metà strada tra la 46^ settimana sociale di Reggio Calabria e la prossima che si terrà a Torino nel 2013. In particolare il tema che ne occupa è “vivere la comunità, costruire un nuovo welfare” e – con particolare riferimento al mio impegno (sono presidente regionale e dirigente nazionale del Forum delle Associazioni familiari) - cercherò di entusiasmarvi con riguardo alle immense energie umane e sociali che la famiglia, e in particolare la famiglia cristiana è in grado di liberare se adeguatamente custodita dal tessuto ecclesiale, morale e culturale del Paese. Il periodo ipotetico è d’obbligo visto che tale custodia sembra sempre più essere un ricordo del passato. Non più tardi di ieri, sull’onda delle analoghe dichiarazioni del Presidente degli Stati Uniti Obama, è stato pubblicato dall’ANSA un sondaggio secondo cui anche il 53,4% dei cittadini della cattolicissima Italia è favorevole alle nozze gay. Prima di entrare in medias res è allora quanto mai opportuno interrogarci sulle ragioni profonde che hanno portato numerose realtà del nostro Paese ed anche alcune parti del mondo cattolico a lasciar incustodita la famiglia davanti agli attacchi cui quotidianamente viene sottoposta, favorendo lo sviluppo di un clima sociale sempre meno family friendly prima dal punto di vista antropologico e poi sul piano pratico. Cominciamo allora il nostro ragionamento con una osservazione del papa Benedetto XVI che ci permette di illuminare meglio il campo. Dice il papa che “una mentalità che è andata diffondendosi nel nostro tempo, rinunciando ad ogni riferimento al trascendente, si è dimostrata incapace di comprendere e preservare l’umano. La diffusione di questa mentalità ha generato la crisi che viviamo oggi, che è crisi di significato e di valori, prima che crisi economica e sociale”1 In molti ormai, in ogni luogo e ad ogni livello, si adoperano per cancellare dalle nostre leggi, dalle nostre istituzioni, dalle nostre consuetudini e anche dalla nostra cultura non solo la famiglia fondata sul matrimonio ma anche ogni altro possibile retaggio del cristianesimo. Gli stessi tuttavia paiono non rendersi conto che l’arretramento del cristianesimo porta inevitabilmente con sé il ritorno di quelle strutture di peccato che due millenni di fede avevano via via allontanato dal sentire e dal vivere comune della nostra realtà sociale. 1 Benedetto XVI “DISCORSO ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I LAICI” - Sala Clementina Venerdì, 25 novembre 2011 In altre parole si vorrebbero mantenere in vita nelle strutture sociali dei paesi occidentali gli effetti del cristianesimo (libertà, fratellanza, rispetto dell’uomo, pace, equità, coesione sociale, tolleranza, amore al prossimo) tentando implacabilmente di eliminarne la causa, e cioè LA FEDE, l’incontro dell’uomo con Dio. Questo tentativo è in sé stesso fallace e destinato al fallimento. Eliminando il cristianesimo infatti si eliminano per forza anche le sue conseguenze, primariamente nel cuore di ogni uomo e poi, a catena, nella famiglia, nella società, nel mondo. La scaturigine di ogni finalità dell’agire umano, anche in campo economico o sociale, risiede nel cuore di ogni uomo, e non è lo stesso per l’uomo agire “con Dio” o “senza Dio”. Per questa ragione il Compendio della Dottrina Dociale della Chiesa sente l’esigenza di riaffermare tra i suoi principi informativi che “Tutta la vita dell’uomo è una domanda e una ricerca di Dio. Questa relazione con Dio può essere ignorata oppure dimenticata o rimossa ma non può mai essere eliminata. (…). La persona umana è un essere personale creato da Dio per la relazione con Lui, che soltanto nella relazione può vivere ed esprimersi e che tende naturalmente a Lui”2. Non è dunque in nessun modo possibile costruire una “Città degli uomini” serena e ordinata se noi cristiani rinunciamo ad annunciare con la voce e con la vita ad ogni uomo che la morte è vinta in Cristo, che Dio non si è dimenticato dell’uomo, di ogni uomo, ma che oggi, anche in questo preciso momento, sta con noi, ogni cosa è alla sua presenza e sottoposta al suo potere, e che Lui è Signore della storia e ci ama, ci perdona, ci vuole bene, ci attende, ci circonda di attenzioni, ci dona vita e vita eterna! Questo è stato il semplice ma totalizzante messaggio che dodici poveracci della Galilea hanno portato nella Grande Metropoli due millenni or sono, e che in soli tre secoli ha fatto cadere il più grande impero del tempo, ha radicalmente mutato le relazioni personali e sociali e ha fondato una nuova antropologia, riconoscendo finalmente la dignità di ogni essere umano, cosa mai vista fino ad allora in tutta la storia dell’umanità. Qualora per primi noi credenti perdiamo di vista tutto ciò, parole come “solidarietà”, “rispetto dell’altro”, “accoglienza”, “giustizia”, “carità” rischiano di assumere significati ben diversi o financo di perdere ogni significato. Qualche altro esempio, tratto dall’esperienza familiare, potrà aiutarci. Non capita ormai sempre più spesso di sentire – anche tra credenti – che è “giusto” il divorzio se una coppia di sposi litiga? Oppure che è caritatevole aiutare a morire presto il malato terminale o il paziente in stato vegetativo? Non è forse vero che l’aborto è stato legalizzato dal nostro ordinamento giuridico giustificato dal “rispetto” per la salute psicofisica della madre? Forse anche in questa sala qualcuno è convinto che la contraccezione sia un modo per esercitare la libertà personale, oppure che l’uso degli anticoncezionali sia una forma di responsabilità e di solidarietà in un mondo già troppo popolato o magari sia un buon sistema per combattere la povertà del Terzo mondo? 2 Compendio dottrina sociale della Chiesa n. 109 Oppure che il rispetto e l’accoglienza ci impongano di riconoscere i diritti delle coppie di fatto, magari anche omosessuali, giungendo per conseguenza – come dice il sondaggio – a riconoscere il matrimonio gay oppure – come fanno nelle scuole medie di questa città - ad insegnare nelle scuole ai ragazzini di tredici anni che ognuno può e deve in ogni momento scegliere l’identità sessuale che più gli aggrada? Molti credenti e alcune associazioni di credenti purtroppo hanno appoggiato e appoggiano direttamente o indirettamente, col loro impegno o col loro voto, col loro attivismo o col loro silenzio devastanti fenomeni come l’aborto, il divorzio, la fecondazione assistita, la contraccezione, l’eutanasia, il riconoscimento civile delle coppie di fatto o delle nozze gay. Non si sente forse dire sempre più spesso, anche nei nostri ambienti fin dagli anni settanta del secolo scorso “noi non praticheremo mai il divorzio, l’aborto, la convivenza, etc., ma non è giusto vietarlo a chi lo desidera”? Ovviamente si tratta di distinguere tra ciò che deve essere vietato e ciò che semplicemente non deve essere pubblicamente riconosciuto, ma il principio di fondo è che qualche volta noi laici (e anche qualche presbitero o vescovo) non ce la sentiamo più di difendere la posizione del magistero della Chiesa su alcune questioni, perché riteniamo che alcuni principi non siano condivisibili, oppure che riguardino solo i credenti, oppure ancora che in fondo non spetti a noi farlo. Queste persone e queste realtà sono sostanzialmente vittime di un grande inganno, che si sta diffondendo e che ha ormai raggiunto la maturazione. Il card. Caffarra, in un suo intervento di quest’anno, riassume in modo magistrale il punto: riferendosi al matrimonio – ma quale esempio di un generale fraintendimento della dottrina cristiana – dice che “La proposta cristiana circa il matrimonio e la famiglia, l’Occidente ha sempre avuto difficoltà ad accettarla sul piano pratico. E’ stato un atteggiamento che potrei riassumere nel seguente modo: “questo modo di concepire il matrimonio (ma si potrebbe dire lo stesso in ordine all’intera dottrina sociale della Chiesa n.d.a.) è vero, è bello ma non è praticabile nella sua interezza (…). In questi ultimi decenni tuttavia è avvenuta ed è ancora in atto una vera svolta epocale. Non è la non praticabilità della proposta cristiana che è messa in questione; è la sua verità. (…) Non viene detto: la proposta cristiana è impraticabile; viene detto: è falsa.”. 3 Vorrei richiamare l’attenzione di tutti su questo aspetto, perché è dirimente. La radice di questa caduta, di questo cataclisma culturale e sociale sta essenzialmente nella perdita della fede da parte di chi dovrebbe, o avrebbe dovuto custodire con la parola e con la testimonianza la verità di quanto annunciato dal Vangelo. E non si pensi che il problema sia limitato alla famiglia. La famiglia infatti è il paradigma che informa di sé l’intero vivere sociale, e per questa ragione è la prima ad essere sotto attacco. Ma già si vedono gli effetti anche su altri piani; si pensi al fenomeno dell’immigrazione, sempre meno tollerata e sempre più 3 Carlo Card. Caffarra “L’amore della famiglia naturale sfida il nichilismo” Bologna 5 febbraio 2012 mal gestita, oppure al mondo del lavoro in cui – sotto la spinta della crisi - le dinamiche solidaristiche innescate dalla antropologia cristiana e dalla dottrina della prossimità evangelica stanno sempre più spesso lasciando il posto a scontri tra opposti egoismi che nel migliore dei casi si tenta di regolamentare. Si pensi alle nuove schiavitù, dalla prostituzione alla pedopornografia al lavoro clandestino, si pensi alla strage degli innocenti silenziosamente celebrata nelle ostetricie degli ospedali di tutto il mondo. Nel nostro Paese assistiamo a comportamenti di massa sempre più spesso precristiani e le culture che avanzano nel mondo sono sostanzialmente pagane o comunque refrattarie a quei valori cristiani che hanno permeato per millenni il nostro humus sociale: si pensi alla idea di uomo e alla condizione dei lavoratori nella Cina post-comunista oppure a quella delle donne nell’Islam solo per citare alcuni limitati esempi. Rileggendo la lettera a Diogneto possiamo quasi fare un viaggio al contrario: in quel periodo stavano sbocciando i meravigliosi effetti sociali del cristianesimo a contrasto con la screpolata e marcescente realtà morale del tardo impero, oggi - con l’arretramento della fede – sembrerebbe assistersi al fenomeno contrario: Diceva Diogneto dei cristiani: “Partecipano a tutte le attività di buoni cittadini e accettano tutti gli oneri come ospiti di passaggio4”. Pensiamo alle nostre forme di partecipazione alla politica e alla amministrazione della cosa pubblica, l’attaccamento al posto di potere che anche alcuni credenti manifestano senza vergogna… “Si sposano e hanno figli, ma non espongono i loro bambini5” Pensiamo all’attacco alla famiglia, alla contraccezione, all’aborto legalizzato, alle politiche di sostegno alla natalità che mancano da decenni... “Hanno in comune la mensa, ma non il talamo6”. Pensiamo agli adultéri, agli spettacoli televisivi, alle chat per scambi di coppie, alla pornografia, alla sodomia, al divorzio. “Obbediscono alle leggi stabilite, ma, con il loro modo di vivere, sono superiori alle leggi7”. Pensiamo all’evasione fiscale, alle truffe, ai latrocini di denaro pubblico… Che fare dunque? In tempi come i nostri son persuaso che sia nostro primo compito sociale portare ad ogni uomo il nucleo irriducibile del messaggio cristiano, messaggio che nessuna religione, nessuna ideologia umana, nessuna filosofia può cogliere appieno e che tuttavia è l’unica scintilla in grado di accendere il fuoco, è il lievito che fa fermentare la farina, è il sale che dà gusto a tutto il cibo, è in definitiva l’autentica energia che muove l’universo e cioè l’amore in una prospettiva trascendente che viene prima ricevuto da Dio e poi, donato al prossimo, diventa agapè, dono di sé, amore senza condizioni, amore all’altro anche se ci è nemico. Lettera a Diogento, V. Ib. 6 Ib. 7 Ib. 4 5 Il card. Bagnasco nel suo discorso a Reggio Calabria in occasione dell’apertura delle Settimane sociali ci diceva che “L’immagine evangelica del sale della terra e della luce del mondo (Mt 5, 13-14) è un riferimento significativo che guida la presenza dei cattolici nella società”8. E il sale si scioglie, perde la vita per amare. Questa tuttavia è una missione che lo stesso card. Bagnasco definisce come “umanamente impossibile”.9 Infatti perché mai dovrei accogliere lo straniero che viene in Italia o perché dovrei aiutare una donna prostituta, perché dovrei accettare che nasca il mio terzo o il quarto figlio anziché ricorrere alla contraccezione o all’aborto? Perché dovrei rispettare i diritti dei lavoratori anziché tenere per me ogni profitto oppure perché dovrei continuare ad essere fedele a mia moglie che magari mi ha tradito? Perché sostenere il peso di un figlio disabile o di un anziano che posso collocare altrove? Perché vivere castamente l’omosessualità e non usare le persone per il mio soddisfacimento carnale? Perché spendere la mia vita per educare le giovani generazioni alla conoscenza di Dio? La risposta è tuttavia tale da non lasciare alternative: infatti o saremo in grado di testimoniare che c’è un Padre comune, e quindi siamo tutti fratelli, che c’è la vita eterna e quindi possiamo perdere la vita terrena per amare chi ci sta accanto, oppure varrà sempre e solo la legge del più forte; se la vita è una sola, cari amici, “mangiamo e beviamo perché domani moriremo10”. Non si può imitare, scimmiottare questa forma di amore, ma solo riceverla in dono da Dio; questo è essere sale, ma se i cristiani perdono sapore, perdono la loro tensione verso il Cielo, verso la Vita e la Vita eterna, il cristianesimo si riduce ad una vuota filantropia, ad un solidarismo paternalista di bassa lega che non serve a nessuno se non ad essere gettato via. Non è importante che tutto il mondo diventi cristiano, che tutta la società diventi cristiana, ma è tuttavia fondamentale che ci siano cristiani nel mondo e nella società, che custodiscano, mostrino al mondo e testimonino che amare è vero, amare è possibile. Tale forma di amore – come dicevo - è possibile solo ai cristiani che vivano nella fede, immersi nel mistero di Cristo, imbevuti dalla sua concreta presenza che si realizza nell’essere innestati in una comunità e nell’essere nutriti abbondantemente con la Parola di Dio e con i sacramenti. Tutto ciò non è un surplus da affiancare alle opere sociali ma è un ineludibile antefatto se si vuole che la presenza cristiana nel mondo sia autentica, vera, fertile e feconda. Il mondo ne ha diritto. l card. Bagnasco sempre a Reggio Calabria non esita a dire proprio a noi che “Senza questo primato della vita spirituale – che è la vita con Cristo nella Chiesa – non esiste possibilità di presenza dei cattolici ovunque siano nella società”11. 8 Angelo Card. Bagnasco “Logos e agape. Intelligenza della fede e trasformazione della società”. Reggio Calabria 14 ottobre 2010 9 Cfr. Ib. N. 2 10 1 Cor 15, 32 11 Cfr. Ib. N. 2 Benedetto XVI va oltre, affermando che “Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido?”12 Forse stiamo progressivamente perdendo di sapore. Realtà esplicitamente o implicitamente cattoliche, magari cariche di storia e di gloriose tradizioni o fondate da persone piene di fede, realtà che negli anni passati hanno animato e fecondato la scena sociale, proponendo per prime la dottrina sociale della Chiesa in tempi senz’altro difficili, sembrano oggi aver perso la loro radice in Cristo e rischiano di trasformarsi ove in agenzie di collocamento, ove in sterili pensatoi, ove in lobbies, ove in cripto-partiti, ove in istituti bancari o assicurativi votati al profitto, ove ancora in semplici movimenti di opinione, spesso recependo ideologie mondane assai lontane dalla verità e comunque sempre appiattendosi su una dimensione orizzontale ed immanente del vivere umano. Lo dico da dirigente nazionale di una associazione di associazioni cattoliche: dobbiamo vigilare, dobbiamo stare attenti alla tentazione del fare, che rischiamo di far prevalere sull’essere. Inoltre non possiamo più dare per scontata la nostra fede e quella dei nostri associati. L’aveva intuito Giovanni Paolo II che ricordava: “Il nostro è tempo di continuo movimento che giunge spesso fino all’agitazione, col facile rischio del “fare per fare”. Dobbiamo resistere a questa tentazione, cercando di “essere” prima che di “fare”13. Benedetto XVI lo ha riaffermato rivolgendosi ai vescovi della Svizzera: “Si può fare molto, tanto nel campo ecclesiastico, tutto per Dio…, e in ciò rimanere totalmente presso sé stessi, senza incontrare Dio. (…) L’impegno sostituisce la fede, ma poi si vuota dall’interno”14. Non possiamo permettercelo. E’ indispensabile che le nostre realtà cattoliche impegnate in ogni campo del sociale tornino a nutrire e curare in primo luogo la conversione personale di ciascuno. Come scrisse Paolo VI: “Ciascuno esamini se stesso per vedere quello che finora ha fatto e quello che deve fare. Non basta ricordare i principi, affermare le intenzioni, sottolineare le stridenti ingiustizie e proferire denunce profetiche: queste parole non avranno peso reale se non sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria responsabilità e da un’azione effettiva. È troppo facile scaricare sugli altri la responsabilità delle Benedetto XVI Omelia pronunciata a Terreiro do Paço di Lisbona, 11 maggio 2010 Giovanni Paolo II “Novo Millennio Ineunte” n. 15. 14 Benedetto XVI, Omelia all’episcopato della Svizzera, 7 dicembre 2006 12 13 ingiustizie, se non si è convinti allo stesso tempo che ciascuno vi partecipa e che è necessaria innanzitutto la conversione personale”15 Ecco, credo sia importante aver chiaro questo: ognuno di noi può dare solo quello che ha; se non riceve l’amore di Dio come può portarlo agli altri? Dovrà necessariamente avere un luogo ove RICEVERE e cioè la famiglia cristiana, la comunità cristiana, la Parola e i sacramenti, e un luogo dove DARE e cioè il lavoro, il volontariato, l’impegno sociale e politico. Senza questo si rischia di non aver nulla da dare, o peggio di portare solo SE STESSI. Un aiuto in questo senso può venire dall’esperienza dei movimenti e delle nuove realtà scaturite dalla inesauribile fecondità dello Spirito Santo dopo il Concilio Vaticano II. Ponendo nuovamente al centro della vita delle persone l’incontro col Cristo risorto, questi movimenti hanno permesso alle persone, per così dire, di sentirsi di nuovo “riempite”. Il loro “traboccare” sta provocando un silenzioso miracolo sociale che sta innervando di sé il tessuto della famiglia, della Chiesa e della società. Non di rado le persone che hanno incontrato Cristo grazie ai nuovi movimenti e continuano a riceverlo nelle loro comunità possono riversare ad extra il loro impegno offrendo le loro energie - santificate dalla presenza di Cristo - anche al volontariato e all’associazionismo. E quando rinasce la persona rinasce la famiglia, rinasce la comunità, rinasce la società: siamo testimoni di coppie che – pur immerse nella società edonista che tutti ben conosciamo - vivono la vita matrimoniale nella reciproca fedeltà e nel mutuo amore, appoggiati quotidianamente in Cristo e nella Chiesa. Contempliamo la meravigliosa esperienza di coppie separate, magari segnate da gravi peccati, che dopo aver incontrato il Signore tornano a vivere insieme perdonandosi di cuore e ricostruendo il loro matrimonio. Conosciamo coppie in crisi che liberamente e per amore a Gesù scelgono di non divorziare ma di portare faticosamente ma con gioia il peso delle loro difficoltà matrimoniali. Assistiamo – anche nella crisi economica – al miracolo di coppie che – pur nella precarietà economica – decidono liberamente di aderire alla parola di Dio e della Chiesa e di aprirsi con generosità alla vita accogliendo il quinto, il sesto, il decimo figlio. Conosciamo coppie sterili che obbedendo al magistero della Chiesa hanno rinunciato alla chimera della fecondazione assistita e si sono aperte all’adozione e all’affido. Sappiamo di famiglie che hanno accolto persone disabili e di madri che pur se sollecitate non hanno abortito i piccoli disabili che portavano in grembo. Abbiamo visto famiglie – pur gravate dai quotidiani impegni - prendersi cura e tenere in casa i loro anziani, accudendoli amorevolmente di persona anziché relegarli nelle gabbie dorate dei gerontotrofi. Incontriamo sempre più spesso giovani che – nonostante il bombardamento porno-erotico cui siamo sottoposti - vivono castamente il loro fidanzamento, non per inibizione ma per amore a Cristo, famiglie che portano il peso di altre 15 Paolo VI, Octogesima adveniens, 48. famiglie offrendo solidarietà anche economica, genitori che educano con pazienza i loro figli nella fede, donando loro ciò che di più inestimabile possiamo lasciare ad un uomo, e cioè la via per incontrare Dio. Conosciamo giovani che si donano generosamente al servizio dell’umanità, spendendo la loro vita nell’evangelizzazione, nelle missioni, oppure rispondendo con generosità alla vocazione presbiterale o monacale, anziani e vedove che si dedicano al servizio della preghiera e dell’accoglienza. E tutto questo viene “fatto” non come impegno, non come qualcosa che bisogna “fare”, ma come una conseguenza spontanea e necessaria dell’incontro personale con Cristo Risorto. Questo è il nuovo, autentico welfare in grado di cambiare radicalmente la società e di costruire la “civiltà dell’amore”. La famiglia stabile, fondata sul matrimonio e aperta alla vita è la prima, primordiale scuola di amore gratuito, di donazione di sé. Ogni uomo e ogni donna di buona volontà, per mezzo della famiglia, impara naturalmente ad amare il coniuge, ad accettarlo anche quando brontola o la pensa diversamente, impara ad accogliere altri esseri umani – i figli - e a donare loro gratuitamente tutto ciò che ha di più prezioso senza pretendere nulla in cambio, impara a riaccogliere i genitori anziani. Impara ad amare, ed amando si innamora dell’amore. E innamorandosi dell’amore prima o poi si arriva per forza a Dio. Se poi la famiglia è cristiana, come dicevamo prima, che meraviglia, che miracoli! Abbiamo letto tutti la storia del beato Giuseppe Tovini, con dieci figli, che muore a quarantre anni dopo aver fondato tre banche, un collegio, una università, un quotidiano e aver costruito una ferrovia, o del neo-beato Giuseppe Toniolo, che aveva sette figli e ha trovato il tempo di fondare le Settimane Sociali, o di Luigi e Maria Bertrame Quattrocchi con la loro straordinaria esperienza di spiritualità familiare! “Si isti et istae, cur non ego?” diceva S. Agostino16. Se questi hanno potuto, grazie al Signore Dio, perché non noi? Loro hanno combattuto e vinto la “pacifica battaglia” dei loro tempi, a noi spetta quella dei nostri tempi. Il nostro compito di associazionismo cattolico è dunque di tornare a custodire e sostenere la conversione della persona, e la conversione delle persone nella famiglia; questo è l’unico modo efficace per sostituire progressivamente le strutture sociali di peccato con strutture sociali di amore, formando persone nuove, persone risorte che camminano nel mondo informate dall’amore di Dio. Le giovani generazioni hanno il diritto che si trasmetta loro la fede, questa misura di amore. Se il nostro Paese non cedendo ai numerosi culturale, ideologico e parlavamo poc’anzi e riuscirà a custodire la famiglia fondata sul matrimonio, attacchi che le vengono mossi sul piano legislativo, pratico perderemo tutte quelle immense energie di cui in breve tempo ci troveremo davanti ad un’autentica S. Agostino, Confessioni 8, 27 “Tu non poteris, quod isti, quod istae? An vero isti et istae in se ipsis possunt ac non in Domino Deo suo? 16 implosione della nostra società, con le gravissime sofferenze individuali e collettive che inevitabilmente ne deriveranno. Gli strumenti da impiegare per custodire la famiglia sono molteplici, tanti quanti la nostra cultura, la nostra fantasia, la nostra conoscenza e il nostro know-how potranno escogitare. Abbiamo la conciliazione per le coppie in crisi, il sostegno alla genitorialità, la battaglia fiscale sul fattore famiglia, l’esperienza dei comuni a misura di famiglia di cui parleremo dopo, l’impegno a difesa della vita nascente, la promozione della libertà di educazione e della scuola cattolica, la armonizzazione dei tempi famiglia-lavoro, l’equità di trattamento per le famiglie numerose, l’aiuto alla disabilità, il sostegno alle adozioni e agli affidi e così via, , tutte cose utilissime e fondamentali per una società rivolta al bene comune. Ma il primo e principale degli impegni è quello di mostrare con le nostre famiglie che - con Cristo - amare l’altro anche quando ti diventa nemico, donare sé stessi per amore, completamente e senza riserve E’ POSSIBILE, E’VERO, E’ BELLO. Questa è la vera rivoluzione sociale. Queste sono le vere buone pratiche. Questo è costruire un nuovo welfare.