UNITELNews n. 81
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UNITELNews n. 81
Il Sole 24 Ore - UNITELNews24 Le Newsletter de Il Sole 24 ORE Percorsi di informazione ed approfondimento per professionisti, aziende e Pubblica Amministrazione Servizio di informazione ed approfondimento in tema di ambiente, appalti, edilizia, urbanistica e sicurezza Chiuso in redazione il 30 aprile 2014 81 © 2014 Il Sole 24 ORE S.p.a. I testi e l’elaborazione dei testi, anche se curati con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità per involontari errori e inesattezze Sede legale e Amministrazione: via Monte Rosa, 91 – 20149 Milano a cura della Redazione Edilizia e PA de Il Sole 24 ORE Tel. 06 3022.63.53 e-mail: [email protected] tecnici24.ilsole24ore.com n. 81– 30 aprile 2014 Sommario Pagina NEWS Ambiente, antincendio, appalti, economia e finanza, edilizia e urbanistica, energia, lavoro e previdenza, Pubblica Amministrazione, Pubblico Impiego, rifiuti, sicurezza 4 RASSEGNA DI NORMATIVA Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA Appalti, beni culturali, edilizia e urbanistica, energia, Amministrazione, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro 31 inquinamento, Pubblica 41 APPROFONDIMENTI Antincendio OBBLIGATORIETÀ DELL'AGGIORNAMENTO DEGLI ADDETTI ANTINCENDIO PER IL RILASCIO DEL CPI Negli ultimi tempi sono sempre più numerose le segnalazioni da parte di imprese alle quali, in sede di rinnovo del certificato di prevenzione incendi, viene richiesto da parte del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco l'attestato di partecipazione al corso di aggiornamento per addetto antincendio. Tale richiesta è supportata dalla Circolare prot. 12653 del 23 febbraio 2011 emessa dal Ministero dell'Interno - Direzione Centrale per la Formazione che prevedeva semplici indicazioni per uniformare, su scala nazionale, i programmi formativi qualora le imprese facessero volontaria richiesta di corsi di aggiornamento. Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 – Ambiente, Antincendio, Sicurezza, 15 aprile 2014, n. 2 49 Appalti GLI APPALTI 'INTERNI' E LE NUOVE DIRETTIVE EUROPEE Una delle difficoltà maggiori che incontrano oggi gli operatori nel settore degli appalti è quella del collegamento tra nozioni e definizioni contenute nel Codice del 2006 (il Dlgs n. 163/2006) e le fattispecie concrete che trovano davanti a sé e rispetto alle quali debbono avviare una procedura comparativa. Maria Cristina Colombo, Il Sole 24 ORE – Diritto e Pratica Amministrativa, aprile 2014, n. 4 52 Appalti CONTRATTI PA: L'INTERESSE PUBBLICO LEGITTIMA IL MANCATO RECESSO PER INFILTRAZIONI MAFIOSE La stazione appaltante ha facoltà di continuare il rapporto ma deve adeguatamente motivare Gennaro Ilias Vigliotti, Il Sole 24 ORE – Diritto e Pratica Amministrativa, aprile 2014, n. 4 56 Economia, fisco, agevolazioni e incentivi LE AGEVOLAZIONI FISCALI PER L'ACQUISTO DEL BOX Imposte d’atto, IVA e detrazioni: una rassegna delle principali agevolazioni fiscali per l’acquisto di box e autorimesse pertinenziali Alessandro Borgoglio, Il Sole 24 ORE – Consulente Immobiliare, 15 aprile 2014, n. 950 UNITELNews24 59 2 Immobili SERVIZI IMMOBILIARI: LE NORME IN MATERIA DI TERRITORIALITÀ Nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 26 ottobre 2013 è stato pubblicato il regolamento di esecuzione UE n. 1042/2013 con il quale sono state introdotte importanti novità per quanto concerne la territorialità dei servizi immobiliari. Tali disposizioni entreranno in vigore a partire dal 1° gennaio 2017. Tuttavia, le stesse hanno una notevole valenza sin da ora in quanto inevitabilmente condizioneranno l’attività interpretativa dell’Agenzia delle entrate. Francesco D'Alfonso, Il Sole 24 ORE – Consulente immobiliare, 30 aprile 2014, n. 951 66 Immobili L'ABITABILITÀ È ESSENZIALE PER LA VALIDITÀ DEL CONTRATTO? Il mancato ottenimento del certificato di abitabilità dell’immobile compravenduto ostacola la libera vendita dell’immobile, ne determina un deprezzamento e impone al costruttorevenditore l’obbligo di risarcire il relativo danno agli acquirenti. La seconda sezione civile della Corte di Cassazione, con la sent. n. 23157 dell’11 ottobre 2013, “bacchetta” duramente l’impresa venditrice colpevole di non aver ottenuto la preziosa certificazione. Il mancato ottenimento dell’abitabilità, è un problema ricorrente per cui, con l’occasione, potremmo effettuare alcune utili considerazioni. Donato Palombella, Il Sole 24 ORE – Consulente Immobiliare, 30 aprile 2014, n. 951 71 Pubblica amministrazione AMMINISTRAZIONE DIGITALE: I CAMBIAMENTI IN ARRIVO Le novità in arrivo per le pubbliche amministrazioni. Dalla fatturazione elettronica al fascicolo sanitario, alle regole in materia di conservazione e accreditamento Andrea Lisi, Il Sole 24 ORE – Guida al Pubblico Impiego, aprile 2014, n. 4 75 Pubblico impiego NON RESPONSABILE L'APICALE SENZA BUDGET 'AD HOC' PER LA SICUREZZA Il dirigente, cui sia attribuita solo formalmente la posizione di vertice gestionale della sicurezza, non è datore di lavoro e non è, automaticamente, responsabile per la mancata adozione di misure di sicurezza. Ai fini dell’accertamento della responsabilità penale non va trascurato, infatti, se alla posizione apicale corrisponda o meno anche un’effettiva disponibilità di risorse finanziarie. Questo l’importante principio desumibile nella sentenza della Cassazione, sez. IV penale, 11 febbraio 2014, n. 6370 Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Guida al Pubblico Impiego, aprile 2014, n. 4 79 L’ESPERTO RISPONDE Appalti, edilizia e urbanistica, fisco, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro UNITELNews24 83 3 Appalti Avvalimento, armonizzato il Codice dei contratti alle norme Ue L'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici fornisce indicazioni in materia di avvalimento, dopo la sentenza della Corte di Giustizia europea del 10 ottobre 2013, che ha dichiarato l'incompatibilità tra le norme europee e l'articolo 49 del Dlgs 163/2006 (Codice dei Contratti pubblici). L'AVVALIMENTO Va evidenziato che tra gli strumenti di derivazione comunitaria ha fatto il suo debutto nel Codice dei Contratti Pubblici il principio dell'avvalimento. Con il nuovo istituto è riconosciuto a qualsiasi operatore economico, che intende partecipare ad una gara d'appalto, di comprovare il possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici, facendo riferimento alla capacità di altri soggetti. Un vero e proprio prestito dei requisiti economici necessari, quindi, di un'azienda a favore di un'altra che intende partecipare a una gara. Specifica l'articolo 49 del Codice dei Contratti pubblici che "Il concorrente, singolo o consorziato (…) in relazione a una specifica gara di lavori, servizi, forniture può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione Soa avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o dell'attestazione Soa di altro soggetto". L'ARTICOLO 49 DEL CODICE DEI CONTRATTI L'articolo 49 del Codice dei contratti, in coerenza con la giurisprudenza e la normativa comunitaria, non pone alcuna limitazione all'avvalimento, stabilendo che un operatore economico può fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi, purché vi sia, in positivo, un'adeguata prova della disponibilità dei requisiti prestati, dimostrando all'amministrazione aggiudicatrice che l'impresa concorrente disporrà dei mezzi necessari. Fanno eccezione a questa portata generale dell'istituto i requisiti strettamente personali, come quelli di carattere generale regolati dall'articolo 38 del Codice appalti (requisiti di idoneità morale), così come quelli soggettivi di carattere personale, individuati nell'articolo 39 del medesimo Codice (requisiti professionali). Tali requisiti, infatti, non sono attinenti all'impresa e ai mezzi di cui essa dispone e non sono intesi a garantire l'obiettiva qualità dell'adempimento; essi, invece, sono relativi alla mera e soggettiva idoneità (professionale) del concorrente (quindi non dell'impresa ma dell'imprenditore) a partecipare alla gara d'appalto e a essere, quindi, contraente con la Pubblica amministrazione. LA GURISPRUDENZA COMUNITARIA Con riferimento alla giurisprudenza comunitaria, la Corte di Giustizia – sezione V - con la sentenza 10 ottobre 2013, in causa C-94/12, ha affermato che "gli articoli 47, paragrafo 2, e 48, paragrafo 3, della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, letti in combinato disposto con l'articolo 33, paragrafo 2, della medesima direttiva, devono essere interpretati nel senso che ostano a una disposizione nazionale come l'articolo 49, comma 6, del Codice dei contratti, la quale vieta, in via generale, agli operatori economici che partecipano a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori di avvalersi, per una stessa categoria di qualificazione delle capacità di più imprese". Ne consegue che la norma nazionale deve essere disapplicata nella parte in cui pone il divieto. IL CHIARIMENTO DELL'AVCP L´Avcp ha ritenuto necessario emanare un intervento chiarificatore volto ad armonizzare le indicazioni della Sentenza della Corte di Giustizia europea, con il complessivo quadro normativo, precisando che le stazioni appaltanti, nell'affidamento dei contratti relativi all'esecuzione di lavori o opere, sono richiamate a osservare alcune indicazioni: 1) alla luce di quanto stabilito dalla Corte di Giustizia europea nella Sentenza 10 ottobre 2013, è incompatibile con gli articoli 47, paragrafo 2 e 48, paragrafo 3, della direttiva 2004/18/CE del 31 UNITELNews24 4 marzo 2004, una disposizione nazionale, come quella dell'articolo 49, comma 6, del Codice dei contratti, che vieta in via generale agli operatori economici che partecipano a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori di avvalersi, per la stessa categoria, di qualificazione delle capacità di più imprese; 2) in sede di gare, in attuazione della sentenza della Corte di Giustizia europea, è ammessa la possibilità che il concorrente, mediante avvalimento, utilizzi cumulativamente, per il raggiungimento della classifica richiesta dal bando gara, più attestati di qualificazione per ciascuna categoria; 3) resta fermo il principio espresso dalla Corte di Giustizia nel caso di lavori che presentino peculiarità tali da richiedere una determinata capacità che non si ottiene associando capacità inferiori di più operatori; in un'ipotesi del genere l'amministrazione aggiudicatrice potrà legittimamente esigere che il livello minimo della capacità in questione sia raggiunto da un operatore economico unico o, eventualmente, facendo riferimento ad un numero limitato di operatori economici; 4) la legittimazione riconosciuta all'amministrazione aggiudicatrice di esigere un livello minimo di capacità, di cui al punto 3), trova fondamento anche negli indeclinabili principi contenuti nell'articolo 2, comma 1, del Codice dei contratti, la cui applicazione si pone a garanzia, per la stazione appaltante, di ricevere la migliore prestazione. Tale esigenza della stazione appaltante deve risultare da adeguata motivazione espressa in seno alla delibera o determina a contrarre o, al più tardi, negli atti di gara; 5) nel caso di cui al punto 3) la stazione appaltante deve chiaramente specificare nel bando o nella lettera di invito qual è il livello minimo di capacità richieste in termini di classifica minima che deve essere posseduta dall'operatore o dagli operatori economici di cui si intenda cumulare le capacità, per il raggiungimento della classifica richiesta nel bando di gara. Il comunicato dell'Avcp si conclude affermando che la determinazione del 1 agosto 2012 n. 2, al punto 4 si intende modificato nella parte concernente la disciplina dettata dall'articolo 49, comma 6, alla luce dei principi espressi dalla Corte di Giustizia eropea e, secondo le indicazioni contenute nel Comunicato stesso. (Federico Gavioli, Il Sole 24 ORE – Guida agli Enti Locali, 4 aprile 2014) Appalti, addio alla «Soa» Svolta nel sistema di qualificazione con il nuovo testo unico leggero - Il ministero delle Infrastrutture avvia il lavoro di riforma con il recepimento delle direttive Ue Il motore della riforma del codice degli appalti innescato dall'obbligo di recepire le nuove direttive europee (numero 23, 24, e 25, in vigore da domani) si è già messo in moto. Il primo passo che il ministero delle Infrastrutture deve fare, d'intesa con il dipartimento per gli Affari europei, è mettere a punto i criteri guida della riforma da trasferire nel disegno di legge delega che permetterà al Governo di riscrivere la norme che disciplinano il mercato dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Una montagna di regole lievitata disordinatamente nei venti anni che ci separano dalla prima riforma organica del settore avvenuta con la legge Merloni nel 1994. Basti pensare che solo dal Governo Monti in poi il codice degli appalti ha subito oltre 150 correzioni. Al disegno di legge delega si arriverà probabilmente dopo l'estate. Ma alcune scelte di fondo hanno cominciato a maturare, mentre altre attendono l'esito delle riunioni che in questi giorni si stanno tenendo anche a Porta Pia. Un primo punto riguarda il destino dell'attuale assetto normativo: continuare con la strategia delle correzioni in corsa rischiando di stratificare ulteriormente le norme o ricominciare da zero radendo al suolo i 257 articoli (con 38 allegati) del codice degli appalti insieme ai 359 del suo regolamento attuativo? Sul punto, la bilancia al momento pende per la seconda opzione. «Le nuove direttive sono un'occasione imperdibile, per rivoluzionare l'intero assetto non basta un semplice maquillage», ha spiegato in un incontro a Bologna il direttore generale delle Infrastrutture Bernadette Veca che, a stretto contatto con il vicemininistro Riccardo Nencini, ha in mano la partita della trasposizione delle direttive nel nostro ordinamento. Senza dimenticare che è stato personalmente il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, ad annunciare la volontà di una riforma radicale delle regole per gli appalti, soprattutto nel senso di una forte semplificazione (si veda Il Sole 24 Ore del 16 marzo 2014). Una prima soluzione viene indicata anche in merito all'opportunità di separare la normativa sugli appalti da quella delle concessioni, recependo in un veicolo ad hoc la nuova direttiva. Al momento l'idea, condivisa anche dal dipartimento delle Affari europei, è quella di mantenere tutto in un unico UNITELNews24 5 corpus normativo, ma semplificato. Una separazione, netta, ci dovrebbe essere, ma tra norme di principio e regole attuative. Le prime da «inserire in uno scheletro di al massimo 200 articoli, lasciando a singoli decreti le regole di spicciola attuazione». Fin qui il metodo. Anche sui contenuti gli uffici ministeriali hanno già qualche idea. La prima riguarda il sistema di qualificazione delle imprese, al centro dell'attenzione delle cronache in queste ultime settimane. E non solo per le inchieste della procura di Roma sull'attività delle società private che rilasciano i certificati ai costruttori (le cosiddette Soa). Quando si parla di qualificazione entra i gioco infatti anche l'Autorità di vigilanza, che il ministro Lupi non nasconde di voler eliminare o quantomeno ridimensionare. «Sia il vecchio albo nazionale, che l'attuale sistema fondato sulle Soa hanno messo in evidenza pesanti criticità - ha continuato Veca -, non è un tabù pensare a una qualificazione gara per gara come accade in altri paesi europei». Una strada che impone stazioni appaltanti molto qualificate. E qui le idee delle Infrastrutture si sposano con quelle del piano Cottarelli sulla revisione della spesa, con l'obiettivo si scendere dalle attuali 34mila a un massimo di qualche decina di enti con il potere di bandire le gare. La novità dovrebbe essere la «formazione obbligatoria per i funzionari incaricati di aggiudicare i contratti, ritagliando a questo scopo una piccola percentuale del quadro economico dell'intervento come oggi invece accade per la progettazione in house». Al centro delle attenzioni anche il partenariato pubblico privato, puntando con forza sulla flessibilità delle nuove forme di dialogo competitivo che permettono alle amministrazioni di «aggiustare» in corsa le offerta per raggiungere la soluzione migliore. Quanto alla semplificazione il primo obiettivo è sfoltire la giungla di certificati richiesti alle Pmi per partecipare alle gare. Tutto dovrebbe ruotare intorno all'E-certis, la banca dati europea che stabilisce le corrispondenze tra i documenti in uso nei vari paesi. Senza poter andare oltre. (Mauro Salerno, Il Sole 24 ORE – Impresa e Territori, 16 aprile 2014) Arriva il Dm sulle imprese specialistiche: tagliate 19 categorie La sforbiciata delle categorie specialistiche, dopo mesi di tira e molla, diventa realtà. È ormai pronto il provvedimento del ministero delle Infrastrutture che dovrà dare attuazione all'articolo 12 del decreto sull'emergenza abitativa (Dl n. 47/2014), mettendo un primo mattone per una soluzione stabile del caos sulla qualificazione nei lavori pubblici. E la potatura, stando al testo che approderà in «Gazzetta ufficiale», sarà ancora più robusta del previsto: passano da 33 a 24 le categorie specialistiche, quelle per le quali è prevista la qualificazione obbligatoria, senza possibilità per l'impresa generale di eseguire le lavorazioni. Mentre diventano appena 14 da 24 le cosiddette "superspecialistiche", per le quali è previsto l'obbligo a carico dell'impresa generale priva di qualificazione di associare in Ati una ditta specializzata nel settore. In entrambi i casi, poi, vengono inserite negli elenchi le strutture in legno. La vicenda Il decreto dà attuazione alla norma del Dl casa dove si metteva finalmente mano, dopo parecchi rinvii, alla soluzione del caos generato dal parere del Consiglio di Stato reso operativo dal Dpr del 30 ottobre scorso. Con quella decisione Palazzo Spada ha cancellato di colpo gli articolo 109, comma 2 e 107 comma 2 del regolamento appalti (Dpr n. 207/2010), stabilendo che le imprese generali qualificate a eseguire la categoria di lavoro prevalente di un'opera pubblica possono eseguire anche tutte le attività accessorie, anche se prive della necessaria qualificazione. Dopo il vuoto normativo generato da quel parere, il ministero delle Infrastrutture ha cominciato a lavorare a una soluzione politica della vicenda, basata su un sostanziale riassetto delle regole relative all'associazione temporanea di imprese e sulla potatura degli elenchi di lavorazioni a qualificazione obbligatoria. Gli ultimi tentativi (naufragati) sono stati inseriti nel Dl n. 151/2013 (il cosiddetto salva Roma bis) e nell'articolo 12 bis del decreto sull'emergenza abitativa, cassato all'ultimo momento, alla vigilia della Gazzetta ufficiale. La soluzione del Dl casa Il Dl 47/2013, allora, con l'articolo 12 ha semplicemente demandato la soluzione del problema a due successivi passaggi normativi. Un decreto da emanare entro 30 giorni dal 29 marzo scorso che andasse a rimodulare le categorie di lavorazioni inserite del regolamento appalti. E, entro nove mesi, l'approvazione delle "disposizioni regolamentari sostitutive" di quelle degli articoli 107 comma 2 e 109 comma 2, tagliati dal Consiglio di Stato. Il decreto firmato dal ministro Lupi, ormai pronto, risponde così alla prima esigenza. UNITELNews24 6 Specialistiche Il testo opera, anzitutto, una decisa sforbiciata delle categorie specialistiche, quelle per le quali è prevista la qualificazione obbligatoria. Escono un totale di dieci categorie su 33. Alcune vengono eliminate per la loro "minore complessità tecnica": Os 9 (segnaletica luminosa), Os 12-B (barriere paramassi), Os 15 (pulizia acque marine), Os 16 (centrali energia elettrica), Os 31 (impianti mobilità sospesa). Vengono anche tagliate le categorie Os 17 (impianti telefonici), Os 19 (reti Tlc), Os 22 (impianti di potabilizzazione e depurazione), Os 27 (impianti per la trazione elettrica) e Os 29 (armamento ferroviario. Sono, quindi, stati eliminati i settori cosiddetti "esclusi" (energia, trasporti, acqua), che per loro natura vengono eseguiti di norma per grandi aziende che nei fatti dispongono di un albo fornitori, che da solo svolge già la funzione di meccanismo di selezione e qualificazione delle imprese. Entra nell'elenco la Os 32, relativa alle strutture in legno. Una vittoria per un settore che, in seguito del terremoto dell'Aquila, ha avuto una grande diffusione commerciale. Superspecialistiche L'articolo 2 del decreto, poi, individua le cosiddette "superspecialistiche", precedentemente catalogate nel comma 2 dell'art. 107 del Dpr n. 207/2010, annullato dal Consiglio di Stato. In totale, le categorie scendono da 24 a 14. Restano, così, in vita quattro macroblocchi, relativi ai beni culturali (Os 2-A, Os 2-B, Os 25), alla sicurezza strutturale e infrastrutturale (Os 11, Os 12-A, Os 13, Os 18-A, Os 18-B, Os 21, Os 32), alla sicurezza impiantistica (Og 11, Os 4, Os 30) e al ciclo dei rifiuti (Os 14). Tra questi, c'è da registrare la new entry della Os 32, relativa alle strutture in legno. Tutto il resto esce dall'elenco: non sono più considerati superspecialistici i lavori individuati dalle categorie Og 12 (opere di bonifica), Os 3 (impianti idrico-sanitari), Os 5 (impianti anti-intrusione), Os 8 (impermeabilizzazioni), Os 20-A (rilevamenti topografici) e Os 20-b (indagini geognostiche), Os 22 (impianti di potabilizzazione e depurazione), Os 27 (impianti per la trazione elettrica), Os 28 (impianti termici e di condizionamento), Os 29 (armamento ferroviario) e Os 34 (sistemi antirumore). (Giuseppe Latour, Il Sole 24 ORE – Edilizia e Territorio, 25aprile 2014) Catasto Mappe catastali in vendita online sul sito delle Entrate Dall’8 aprile le mappe catastali possono essere acquistate direttamente online, senza recarsi in ufficio. Il nuovo servizio è stato annunciato dall'Agenzia delle Entrate ed è disponibile sul sito dell'agenzia per gli utenti abbonati alla piattaforma web del sistema telematico territorio Sister, che potranno richiedere le mappe relative a tutte le province italiane, fatta eccezione per Trento e Bolzano. L'acquisto online ha gli stessi costi applicati alle riproduzioni delle mappe in formato digitale rilasciate presso gli Uffici (Provvedimento del 19 marzo 2003 della ex Agenzia del Territorio, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 74 del 29 marzo 2013). Oltre che acquistare le mappe, sulla piattaforma telematica dei servizi catastali e di pubblicità immobiliare è possibile consultare le banche dati per effettuare visure, ricerche catastali e ispezioni ipotecarie. Il sistema permette, inoltre, di presentare online agli Uffici provinciali - Territorio i documenti di aggiornamento delle banche dati catastale e di pubblicità immobiliare da parte dei soggetti abilitati (professionisti tecnici, notai e pubblici ufficiali). L'accesso a Sister è aperto su abbonamento, da attivare direttamente in via telematica con firma digitale. Ricevuta la richiesta di convenzione, l'Agenzia rilascia una password con cui versare, sempre online, gli importi per l'abbonamento (200 euro, a titolo di rimborso spese, e 30 euro per ogni password di accesso richiesta, valida per un anno solare) e le somme per la fruizione del servizio. (Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 9 aprile 2014) Per i geometri servono trasparenza, equità, banca dati e risoluzione dei contenziosi Trasparenza, equita', banca dati e risoluzione dei contenziosi. Per i geometri italiani, sono questi i cardini intorno ai quali si costruisce una buona riforma del catasto e degli estimi, secondo quanto emerso dalla riunione della commissione del Consiglio nazionale dei geometri e geometri laureati, che si sta occupando di formulare proposte al governo italiano sulla riforma. "L'avvio dei lavori -si legge in una nota del Consiglio nazionale- segue gli apprezzamenti e i consensi, ricevuti in sede di UNITELNews24 7 audizione da parte della commissione Finanze e Tesoro del Senato, che ha avuto luogo poche settimane fa, nei confronti di Antonio Benvenuti, vicepresidente del Consiglio nazionale dei geometri e dei geometri laureati. Proprio Benvenuti coordina i lavori del gruppo di esperti convocati dal Consiglio dei geometri per risolvere in prima istanza il tema dei criteri di valutazione e liberarsi di parametri obsoleti come quelli esclusivamente legati alle microzone e agli ambiti territoriali". Il presidente Maurizio Savoncelli, dopo aver salutato e ringraziato i partecipanti, ricorda quanto sia importante il contributo che i geometri stanno dando nel risolvere le ambiguita' dei sistemi di valutazione senza prevedere aggravi nella gestione e nell'aggiornamento dati da parte della pubblica amministrazione. Secondo la proposte in via di formulazione da parte del Consiglio nazionale dei geometri, l'Italia si allineerebbe con gli standard internazionali piu' qualificati contribuendo a consolidare legami di appartenenza e condivisione coerenti con i grandi temi dell'economia e della finanza globale. (Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 14 aprile2014) Condominio Amministratori si diventa a scuola Laureati o tecnici specializzati saranno chiamati a fare da formatori e responsabili dei corsi Requisiti, contenuti e tempi: il decreto sulla formazione degli amministratori è avviato alla firma del ministro della Giustizia. La legge 220/2012, come modificata dal Dl 145/2014, ha stabilito che la competenza per definire la formazione spetta alla Giustizia, e il ministero, con rapidità, ha predisposto un testo i cui contenuti «Il Sole 24 Ore» è in grado di anticipare per sommi capi. Da quando la norma entrerà in vigore, chi vorrà iniziare la professione dovrà fare il corso, a meno che non amministri il condominio in cui abita. La parola chiave è «competenza». Attraverso due strumenti: la selezione di responsabili scientifici e formatori e le materie che dovranno essere oggetto dei corsi, di 60 ore quelli di formazione iniziale e di 12 ore quelli di aggiornamento periodico. Responsabili scientifici e formatori hanno requisiti analoghi. Anzitutto quelli di "onorabilità": godimento dei diritti civili; non essere stati condannati per delitti contro la pubblica amministrazione, l'amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio o per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni, e, nel massimo, a cinque anni; non essere stati sottoposti a misure di prevenzione divenute definitive, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione; non essere interdetti o inabilitati. Passando ai requisiti "culturali", va detto che per i responsabili scientifici (che dovranno poi verificare i requisiti dei formatori e organizzare i corsi) è previsto che siano docenti universitari o di scuola superiore di materie giuridiche, economiche o economiche, avvocati, magistrati o professionisti dell'area tecnica (anche in pensione). Devono poi avere una «competenza specifica» in materia condominiale, che va dimostrata. Per i formatori sono richieste le stesse qualità ma possono svolgere la funzione anche solo dimostrando di possedere una laurea (anche triennale) o di essere iscritti a un albo professionale, sempre fatta salva la «competenza specifica». Ci sono forse un paio di punti che meritano un approfondimento. Il primo riguarda il requisito della pubblicazione di almeno due volumi dedicati al condominio o alla sicurezza negli edifici. «Il regolamento - spiega Cosimo Ferri, il sottosegretario che ha seguito passo passo il decreto - mira a garantire che i formatori, oltre ad avere una più generale preparazione di base, abbiano anche una competenza specifica nella materia condominiale. La preparazione più generale potrà essere dimostrata attraverso il conseguimento di una laurea triennale o di un'abilitazione professionale o di una docenza in materie giuridiche, tecniche o economiche. In aggiunta a questa preparazione generale, vi dovrà essere una competenza più specifica nella materia condominiale, che potrà essere dimostrata, per esempio, per aver svolto in precedenza una attività di amministrazione condominiale o per aver precedentemente partecipato a corsi specifici. Peraltro, i docenti in materie giuridiche, tecniche o economiche potranno dimostrare la loro specifica competenza in materia condominiale anche attraverso le due predette pubblicazioni in materia di diritto condominiale o di sicurezza degli edifici». Un altro aspetto da chiarire è nei contenuti dei corsi di formazione. L'elenco del Dm prevede: amministrazione condominiale; sicurezza degli edifici (in particolare staticità, risparmio energetico, riscaldamento e di condizionamento, impianti idrici, elettrici e ascensori, manutenzione delle parti UNITELNews24 8 comuni e prevenzione incendi), spazi comuni, regolamenti condominiali, ripartizione spese e tabelle millesimali; diritti reali; contratti (con appalto e lavoro subordinato); tecniche di risoluzione dei conflitti; uso degli strumenti informatici. «Ma questi contenuti - prosegue Ferri - anche se non esaustivi, rappresentano il contenuto minimo obbligatorio dei corsi di formazione, nel senso che il programma formativo dovrà comunque comprenderli, salvo poi prevedere anche contenuti ulteriori purché funzionali alla completa formazione di un amministratore condominiale». In ogni caso, uno degli elementi chiave è la liberalizzazione dei corsi, nel senso che non sono previste forme di esclusiva a favore delle associazioni di categoria. «Neppure la legge 4/2010 li prevede - puntualizza Ferri - e del resto le norme che hanno portato alla regolamentazione dei corsi per amministratore condominiale sono successive, dunque vanno semplicemente seguite per quanto stabiliscono. Non va dimenticato che la rilevanza dell'attività di amministrazione condominiale e i suoi riflessi sulla società e sulla vita quotidiana di tanti cittadini meritava un trattamento di grande attenzione. D'altro canto, le associazioni di categoria, così come qualsiasi altro ente, potranno comunque organizzare dei corsi nel rispetto delle norme dettate da questo regolamento». GLI ENTI Il decreto non mette limiti o paletti agli enti che potranno svolgere attività di formazione (iniziale e periodica) per gli amministratori di condominio. In ogni caso partono avvantaggiate le associazioni di categoria, che già possiedono strutture adeguate e formatori con requisiti verificabili IL RESPONSABILE Il primo passo è la nomina del responsabile scientifico dei corsi, da scegliere tra: - docenti in materie giuridiche, tecniche o economiche, universitari o delle scuole superiori; - avvocati; - magistrati; - professionisti dell'area tecnica I REQUISITI I responsabili devono essere in possesso di una serie di requisiti tra cui il godimento dei diritti civili, l'aver maturato competenza in materia di amministrazione condominiale o di sicurezza degli edifici e di essere alternativamente: docenti universitari o delle superiori, avvocati o magistrati o professionisti dell'area tecnica I FORMATORI Il responsabile scientifico controlla i requisiti dei futuri docenti dei corsi, che devono avere gli stessi requisiti di onorabilità e di competenza dei responsabili scientifici e aver conseguito, alternativamente: la laurea (anche triennale); l'abilitazione alla libera professione; la docenza in materie giuridiche, tecniche ed economiche LA DURATA Il responsabile deve anche stabilire i contenuti del corso (articolato almeno su 60 ore, di cui 20 di esercitazioni pratiche per la formazione iniziale e su almeno 12 ore), la modalità di partecipazione e il rilevamento delle presenze, anche in caso di corsi telematici (limitati a 20 ore per la formazione iniziale e 4 per quella periodica) I CONTENUTI - Compiti e poteri dell'amministratore; - sicurezza degli edifici, staticità, risparmio energetico, riscaldamento eccetera; - spazi comuni, regolamenti condominiali, tabelle millesimali; - i diritti reali e contratti; - tecniche di risoluzione dei conflitti; - strumenti informatici L'ESAME FINALE Il responsabile scientifico è tenuto, alla fine del corso, ad attestare il superamento di un esame finale da parte di tutti i partecipanti al corso. L'esame verterà sui contenuti del corso di formazione e di aggiornamento: dai poteri dell'amministratore alle regole sugli spazi comuni, dalla sicurezza degli edifici ai diritti reali (Saverio Fossati, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 8 aprile 2014) UNITELNews24 9 Economia, fisco, agevolazioni e incentivi Nel Def rilancio del Ppp e altri 20 miliardi per i debiti Pa, ma gli investimenti scendono Il governo sembra riscoprire l'obiettivo strategico di rilanciare il partenariato pubblico-privato (Ppp) nelle opere pubbliche, come all'epoca di Monti premier e Mario Ciaccia vice-ministro alle Infrastrutture (project bond, defiscalizzazione, contratto di disponibilità, permuta, etc, misure che purtroppo non hanno avuto l'effetto sperato, e gli importi delle gare di Ppp in Italia sono scesi del 60% in due anni, dai 13,1 miliardi del 2011 ai 7,7 del 2012 ai 5,154 dell'anno scorso). Le novità arrivano dal Def, il documento di economia e finanze approvato martedì 8 aprile in Consiglio dei ministri, che oltre ai numeri di previsione sulla finanza pubblica contiene un nuovo elenco di obiettivi programmatici a breve-medio termine del governo Renzi. Tra questi il rilancio del Ppp, ma anche il pagamento di altri 20 miliardi di euro di debiti arretrati della Pubblica amministrazione e sgravi fiscali e incentivi per ammodernare le strutture turistiche o per realizzarne di nuove. Tuttavia i dati di previsione macroeconomica raccontano una realtà diversa, e cioè l'ulteriore calo degli investimenti fissi lordi in rapporto al Pil. Tant'è che l'Allegato Infrastrutture del Ministro Lupi chiede di destinare a un nuovo fondo unico per le infrastrutture ogni anno almeno lo 0,3% del Pil (circa 4,7 miliardi di euro). INVESTIMENTI FISSI LORDI li investimenti fissi lordi delle Pubbliche amministrazioni (dato che si riferisce in gran parte alle infrastrutture), che valevano il 2,5% del Pil nel 2009, sono progressivamente scesi all'1,7% del Pil nel 2013 (più di quanto prevedesse il Def 2012 di Monti: 1,9%), e il Def di Renzi prevede che il calo prosegua, all'1,6% quest'anno (il Def di Monti prevedeva l'1,8%) , all'1,5% nel 2015 e 2016 (il Def di Monti prevedeva l'1,7% nel 2015), e infine l'1,4% nel 2017 e 2018. ALLEGATO INFRASTRUTTURE, LO 0,3% DEL PIL 'Allegato Infrastrutture di Lupi propone (per ora non si tratta di un documento del governo nella sua interezza) di garantire certezza e stabilità ogni anno a un nuovo Fondo unico Infrastrutture, per realizzare opere grandi, medie e piccole, da finanziarsi ogni anno con almeno lo 0,3% del Pil: se quest'ultimo dato è calcolato al valore nominale (nel 2013 1.560 miliardi di euro) si tratterebbe di circa 4,7 miliardi di euro all'anno. ALLEGATO INFRASTRUTTURE, UN DL «FARE» 2 l documento del Ministro Maurizio Lupi prevede entro il mese di maggio la proposta di un decreto legge del Fare 2, che sulla base della positiva esperienza del Dl 69/2013 definanzi temporaneamente le opere approvate prima del 2010 ma che non abbiano "tirato cassa", spostando i fondi ad opere a più veloce cantierabilità. PROJECT FINANCING Def premette che «I limiti di finanza pubblica impongono il ricorso a procedure alternative al tradizionale appalto per la realizzazione delle opere, richiedono ingenti investimenti, a partire dal modello PPP (Partenariato Pubblico Privato)». I progetti elencati sono in parte innovativi: si parte di «Accentrare le gare, creando una stazione unica di gestione con competenze specifiche e favorendone con misure specifiche l'utilizzo da parte delle singole Amministrazioni» (una stazione unica "incentivata", sembra di capire, non obligatoria), ma anche di accorpamento di progetti su gare uniche: «Aumentare il valore dei singoli bandi di gara, effettuandoli su pacchetti di progetti con caratteristiche simili e non su singole opere». Si parla di «Creare uno standard unificato per i bandi, le procedure e i contratti» e di «Istituire unfondo nazionale per la progettazione di opere in PPP (Fondo equity per progetti greenfield), istituito al fine di consentire alle amministrazioni di definire progetti di qualità sul piano sia della sostenibilità economico-finanziaria sia della maturazione tecnica». Si propone di creare nel nostro ordinamento normativo «una disciplina speciale per il Ppp, esterna al codice appalti, con poche, chiare e stabili norme(il Parlamento deve comunque recepire entro il 18 aprile 2016 la nuova direttiva concessioni). Si ipotizza il coinvolgimento dei capitali privati molto al di là dei campi finora più battuti(autostrade, parcheggi, ospedali), come l'alta capacità ferroviaria, la manutenzione di strade e ferrovie, la riqualificazione delle aree urbane, le infrastrutture per il trasporto pubblico locale, la portualità turistica. UNITELNews24 10 DEBITI PA «Il Governo - si legge nel Def - intende impiegare risorse per ulteriori 20 miliardi da aggiungere ai precedenti 47 già stanziati per lo sblocco immediato e totale dei pagamenti dei debiti commerciali arretrati della Pa (già avviato nel 2013-2014 con il pagamento di più di 47 miliardi ai creditori)». Il tutto tramite il meccanismo della certificazione dei crediti entro 30 giorni dalla richiesta e quindi la loro cessione a Cassa Depositi e prestiti, con garanzia finale dello Stato. INCENTIVI AL TURISMO Il governo punta a fare della cultura e del turismo uno dei «motori del Paese». Tra le misure, «Introdurre specifici strumenti finanziari per incentivare gli imprenditori ad ammodernare le strutture, quali meccanismi di credito d'imposta e ammortamenti brevi di durata massima di tre anni»; «Concedere incentivi a investimenti greenfield e brownfield di sviluppo turistico che creino posti di lavoro»; «Creare percorsi di semplificazione delle procedure amministrative mirate a favorire investimenti stranieri nel settore». E poi: «Definire la nozione di "progetto turistico a valore strategico" che il Governo può attribuire ai progetti privati che realizzino investimenti di particolare rilevanza e che siano suscettibili di aumentare la capacità competitiva del nostro sistema d'offerta»; «Incentivare gli investimenti superiori a una soglia minima con particolare riguardo allo sviluppo di poli turistici selezionati, soprattutto nel Mezzogiorno». (Alessandro Arona, Il Sole 24 ORE – Edilizia e Territorio, 9 aprile 2014) Bonus di 80 euro legato al periodo di lavoro Il bonus del Governo Renzi dovrà essere rapportato al periodo di lavoro nell'anno. Lo si evince dal testo definitivo del Dl spending review. Rispetto alle bozze circolate nei giorni scorsi, l'ultima versione aggiusta il tiro. Gli 80 euro saranno riconosciuti interamente a tutti coloro che devono pagare imposta e che hanno un reddito compreso tra 8000,01 e 24.000 euro. Per chi ha, invece, un reddito che supera i 24.000 ma fino a 26.000 euro, è previsto un décalage che si ottiene mediante l'applicazione di una formula. Si tratta di una somma esente da contributi e da imposte, che non confluisce nell'imponibile di Tfr ma che aumenta il netto della busta paga. Anche se l'introduzione del bonus è di questi giorni, in realtà lo stesso va riferito a tutto il 2014; ne deriva che, per rapportarlo all'effettivo periodo di lavoro, seguendo le regole previste per le detrazioni, si potrebbe dividere il credito (640 euro) per 365 giornate e moltiplicarlo per i giorni (di calendario) di lavoro nell'anno. Inizia, così, il cammino dei sostituti d'imposta chiamati in prima linea al riconoscimento del l'agevolazione fiscale. Saranno, infatti, il datore di lavoro, il committente, ovvero chi eroga i redditi la cui percezione fa nascere il diritto al bonus, a riconoscerlo in forma automatica, senza che il beneficiario presenti alcuna domanda. Si tratta dei sostituti di imposta (privati e pubblici) di cui agli articoli 23 e 29 del Dpr 600/73. I redditi che fanno sorgere il diritto al bonus sono quelli di lavoro dipendente e assimilato (escluse le pensioni). Presupposto fondamentale, per il riconoscimento del credito, è l'esistenza di un debito di imposta a favore del l'Erario che residui dopo aver applicato la sola detrazione fiscale prevista per il reddito di lavoro dipendente. Qualora, infatti, il lavoratore abbia diritto anche alle detrazioni per i familiari a carico, la cui applicazione azzeri completamente l'imposta dovuta, il bonus deve essere erogato. Va da sè che questa verifica deve necessariamente essere fatta su base annuale. Le paghe hanno, tuttavia, una dinamica mensile e anche il credito, se spettante, deve essere erogato mensilmente a partire dalla busta paga di maggio sino a quella di dicembre. Il decreto non precisa l'anno di percezione del reddito di riferimento; si presuppone, dunque, che si tratti di quello dello stesso anno in cui viene riconosciuto il credito; la sua quantificazione potrà essere eseguita con esattezza solo a fine anno. Nel frattempo, per permettere la corresponsione mensile del bonus, i sostituti di imposta dovranno stimare il reddito annuo e fare attenzione a quelli che più si avvicinano alla soglia limite (26.000 euro annui) evitando, ove possibile, di riconoscere il bonus mensilmente, per poi doverlo recuperare in sede di conguaglio fiscale di fine rapporto o di fine anno in quanto non spettante per superamento della soglia reddituale: circostanza che potrebbe recare un sensibile disagio al lavoratore. Le somme anticipate dal sostituto, potranno essere recuperate utilizzando le ritenute fiscali operate nello stesso periodo; nel caso non fossero sufficienti, si potranno aggredire i contributi previdenziali dovuti (senza che questo crei un danno alla previdenza dei lavoratori). La norma usa il termine "previdenziali" e da ciò sembra doversi escludere il recupero sui premi Inail (salvo diverse istruzioni). UNITELNews24 11 Il decreto non specifica nulla in relazione alla percezione di altri tipi di reddito (il cui ammontare potrebbe essere considerevole). In tali circostanze sembrerebbe che il bonus spetti comunque. Le modalità applicative 01 | BENEFICIARI Percettori di redditi di lavoro dipendente (pubblici e privati) e di redditi assimilati, co.co.co. anche a progetto, borsisti, tirocinanti e stagisti, lavoratori socialmente utili, sacerdoti 02 | ESCLUSI Partite Iva, incapienti, pensionati, colf e badanti 03 | PRESUPPOSTI Reddito non superiore a 26mila euro, irpef a debito al netto della detrazione per reddito di lavoro dipendente 04 | ATTI DEI SOSTITUTI Stima del reddito annuale mediante proiezione di quello mensile. Controllo in sede di conguaglio di fine rapporto o di fine anno. Acquisizione della dichiarazione reddituale del lavoratore (o modello Cud) in caso di assunzione in corso d'anno e in caso di presenza contemporanea di più rapporti di lavoro. Indicazione del bonus erogato nel Cud e nel modello 770 05 | EROGAZIONE E RECUPERO Il sostituto di imposta eroga il bonus automaticamente da maggio a dicembre. Per il recupero delle somme anticipate può utilizzare le imposte e contributi previdenziali (Antonino Cannioto, Giuseppe Maccarone, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 24 aprile 2014) Bonus mobili, decisivi i documenti La qualificazione dell'intervento come manutenzione straordinaria condiziona la detrazione Attenzione al tipo di ristrutturazione, ai pagamenti e ai documenti da conservare per dimostrare i lavori eseguiti in casa. La detrazione del 50% sull'acquisto di mobili e grandi elettrodomestici mette i contribuenti e i professionisti di fronte ad alcune insidie che vanno evitate con cura. Il primo elemento da non trascurare riguarda i cosiddetti "lavori presupposto", cioè gli interventi agevolati dalla detrazione del 50% "edilizio", che devono essere sempre abbinati all'acquisto degli arredi. Contrariamente a quanto si deduce dalla lettura dell'articolo 16, comma 2, Dl 63/2013, secondo l'interpretazione restrittiva delle Entrate, gli interventi di manutenzione ordinaria eseguiti nelle singole unità immobiliari residenziali non danno diritto al bonus per mobili ed elettrodomestici, neppure se rientrano in quelle tipologie di lavori per cui il 50% è concesso a prescindere dall'inquadramento edilizio (ad esempio, opere per il risparmio energetico, per la prevenzione di atti illeciti, per la sicurezza domestica). In pratica, quando si tratta di lavori eseguiti in un'abitazione, il bonus mobili deve essere "agganciato" a interventi che siano – quanto meno – di manutenzione straordinaria. Per capire cosa ricada nella manutenzione ordinaria e cosa nella straordinaria, bisogna fare riferimento alle definizioni contenute nel Testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2001). Sono ordinarie le «opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti». Ad esempio, la tinteggiatura delle pareti, il cambio di una serratura, la sostituzione delle piastrelle, eccetera. Attenzione, però: gli stessi interventi – se eseguiti su parti comuni condominiali – possono avere entrambe le detrazioni (50% edilizio e bonus mobili) per l'arredo delle stesse parti comuni, come ad esempio l'alloggio del portiere. Tornando alle singole residenze, invece, vanno benissimo tutti gli interventi catalogati come manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia. Ad esempio, dà diritto al bonus mobili il rifacimento dei bagni comprensivi degli impianti, l'apertura di nuove porte o finestre e il rifacimento delle scale. Anche la sostituzione degli infissi con modelli diversi per colore, materiale o forma può essere abbinata agli arredi, con l'unica avvertenza che la detrazione del 55-65% non consente di avere lo sconto sui mobili e gli elettrodomestici. Una precisazione che vale anche per il cambio della caldaia e per gli altri lavori ammessi al bonus per il risparmio energetico. In un interpello (direzione regionale delle Entrate del Veneto, protocollo 907-48973/2013 dell'8 novembre 2013) e in una risposta a Telefisco 2014, le Entrate hanno escluso che tra i lavori presupposto rientrino anche quelli anti-effrazione, come l'installazione di un allarme. Ma resta valido il criterio generale: se questi sono classificabili come manutenzione straordinaria, sono UNITELNews24 12 comunque utili a ottenere il bonus mobili. Difficile, quindi, ammettere il cambio di una serratura, mentre si apre uno spiraglio per l'installazione di una porta blindata o di un allarme che comporta lavori in muratura. In questi casi, però, sarà fondamentale inquadrare in modo corretto l'esecuzione dei lavori – anche con l'aiuto di un geometra o di un altro tecnico – considerando che spesso i Comuni non richiedono alcuna pratica edilizia per gli interventi minori, e che in molti casi classificano come «manutenzione ordinaria» anche il rifacimento integrale del bagno o il cambio delle finestre (anche se è bene ricordare che la definizione dei lavori è dettata a livello nazionale). Il rischio concreto è quello di trovarsi a discutere tra qualche anno con gli uffici finanziari locali sulla qualificazione dei "lavori presupposto": meglio, allora, farsi trovare con le carte in regola. La check-list in otto punti LA DATA DI ACQUISTO DEI MOBILI -La detrazione spetta per le spese dirette all'acquisto di mobili e grandi elettrodomestici sostenute dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2014 -Per chi paga con bonifico, la data è quella dell' ordinativo all'istituto di credito -Per mobili pagati con bancomat o carta di credito, la data di pagamento è quella del giorno di utilizzo indicata nella ricevuta di transazione (e non quella di addebito dell'importo sul conto) I LAVORI COLLEGATI AGLI ARREDI -Bisogna aver avviato in un'unità residenziale lavori che siano almeno di manutenzione straordinaria -I lavori per la sicurezza domestica, la prevenzione degli atti illeciti o il risparmio energetico (es. cambio serratura o porta blindata) devono ricadere nella manutenzione straordinaria per dare accesso al bonus arredi -Se si fanno lavori in condominio, gli arredi sono agevolati solo se destinati alle parti comuni LA DATA DI ESECUZIONE DEI LAVORI -La data di inizio lavori deve essere precedente a quella dell'acquisto dei mobili -La data di avvio lavori può essere dimostrata dalle date del titolo abilitativo o della comunicazione alla Asl o, per interventi senza titolo, da un'autocertificazione -Per avere il bonus mobili bisogna beneficiare della detrazione del 50% sui lavori (per spese sostenute dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2014, ridotta al 40% fino al 31 dicembre 2015) GLI ACQUISTI AMMESSI AL BONUS -I mobili acquistati devono essere nuovi e devono essere usati per arredare l'immobile ristrutturato (es. cucine, letti, divani, tavoli). Gli apparecchi di illuminazione sono agevolati solo se sono un necessario completamento dell'arredo -I grandi elettrodomestici devono essere in classe energetica A+ (A per i forni). Dall'agevolazione sono esclusi i complementi d'arredo e le pavimentazioni (tende, porte interne, parquet) LE MODALITÀ DI PAGAMENTO CORRETTE -I mobili o i grandi elettrodomestici devono essere stati pagati con bonifico bancario o postale "parlante" o con carta di credito o di debito (bancomat) - Nei bonifici va indicata la causale (identica a quella per le ristrutturazioni), il codice fiscale del beneficiario della detrazione e la partita Iva o codice fiscale del venditore - Il pagamento in contanti o con assegno bancario fa perdere la detrazione DOCUMENTI E FATTURE DA TENERE -Per i pagamenti con bonifico occorre conservare la ricevuta; per i pagamenti con carta di credito o debito la ricevuta della transazione e i documenti di addebito sul conto -Serve sempre la fattura di acquisto dei beni, con la «usuale specificazione» della natura, qualità e quantità dei beni e servizi acquisiti (non occorre una modulistica particolare) -Servono anche bonifici e fatture della ristrutturazione "abbinata" ai mobili IL RECUPERO DEL BONUS NEL «730» -Le spese per l'acquisto dei mobili sostenute nel 2013 vanno indicate per intero nel 730 (rigo E57) e in Unico (RP57). Attenti a non compilare il rigo relativo al vecchio bonus mobili del 2009 -La spesa massima su cui calcolare la detrazione del 50% è 10mila euro. Il limite va riferito al singolo immobile o alla parte comune condominiale e non ai contribuenti beneficiari -La ripartizione è in dieci rate annuali di pari importo IL LIMITE DI SPESA PER IL 2014 -La legge di stabilità per il 2014 ha aggiunto un limite in più, oltre al tetto generale di 10mila euro: UNITELNews24 13 le spese agevolate per l'acquisto di mobili ed elettrodomestici non possono essere superiori a quelle sostenute per i lavori di ristrutturazione -Trattandosi di norma "innovativa", il limite si applica alle spese per gli arredi effettuate dal 1° gennaio 2014, secondo il principio di cassa applicabile alle persone fisiche (Cristiano Dell'Oste, Valeria Uva, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 28 aprile 2014) Edilizia e urbanistica Progettazione, non serve il coordinatore nei cantieri privati sotto i 100mila euro La nomina del coordinatore per la progettazione non è necessaria nelle opere private di importo inferiore ai 100mila euro e per le quali non serve il permesso di costruire. Lo ha spiegato il ministero del Lavoro, rispondendo a una richiesta di chiarimento dell'Aniem, con l'interpello n. 2 del 2014. La domanda dei costruttori riguardava la corretta individuazione dei cantieri ai quali si applica l'articolo 90, comma 11 del Testo unico sicurezza. In base a questa disposizione, la designazione del coordinatore per la progettazione da parte del committente o del responsabile dei lavori, obbligatoria ai sensi del comma 3 dello stesso articolo in caso di presenza in cantiere di più imprese esecutrici, anche non contemporanea, «non si applica ai lavori privati non soggetti a permesso di costruire in base alla normativa vigente e comunque di importo inferiore ad euro 100mila. In tal caso, le funzioni del coordinatore per la progettazione sono svolte dal coordinatore per la esecuzione dei lavori». Non è chiaro se i requisiti indicati dall'articolo 90 debbano essere entrambi rispettati, per accedere alla semplificazione Così l'Aniem ha scritto al ministero. In base alle indicazioni della Commissione per gli interpelli, i paletti devono essere entrambi tenuti in considerazione. Quindi, l'opera non deve essere sottoposta a permesso di costruire e l'importo dei lavori non deve superare i 100mila euro. Nel caso di lavori soggetti a permesso di costruire, invece, il committente è sempre tenuto, quando sia prevista la presenza in cantiere di più imprese esecutrici, anche non contemporanea, a nominare il coordinatore in fase di progettazione, qualunque sia l'entità dell'opera. Infine, la Commissione sottolinea che, in questi casi, il coordinatore per l'esecuzione deve essere nominato contestualmente all'affidamento dell'incarico di progettazione, in modo da consentire la piena realizzazione di tutti i compiti connessi al ruolo di coordinatore per la progettazione. (Giuseppe Latour, Il Sole 24 ORE – Edilizia e Territorio, 3 aprile 2014) Energia Energia, sconti in bolletta fino al 20% - Autoproduzione e scambio sul posto: premi alle imprese rilevanti come il bonus rinnovabili Chiusi nel luglio 2013 scorso i rubinetti delle agevolazioni per il fotovoltaico contenuti nel Quinto conto energia, si affaccia ora una nuova opportunità in materia energetica, soprattutto per le imprese e, guardando più in grande, per il sistema industriale. Si tratta dei sistemi semplici di produzione e consumo e più in particolare dei cosiddetti Seu, i sistemi efficienti di utenza. La macchina operativa è partita proprio in questi giorni e già dopo l'estate si potrà mettere in moto l'iter autorizzativo. Il 31 marzo il Gse ha inviato all'Autorità per l'energia la propria disciplina in materia di qualificazione degli impianti. Un passaggio che di fatto accende i motori per gli sconti sulla bolletta. I Seu infatti non appartengono in senso stretto al regime dei bonus delle rinnovabili. Ma rappresentano un'alternativa in materia di agevolazioni non meno allettante per le imprese. Si tratta di unità di produzione e consumo energetico (regolate dalla delibera dell'Autorità per l'energia 578/2013) che funzionano «a circuito chiuso», in autoapprovvigionamento e con una portata massima di 20 Mw per un'area senza soluzione di continuità: il consumatore finale beneficia così dell'acquisto diretto dal produttore e contemporaneamente dei benefici dello scambio sul posto. L'esclusione dalla rete elettrica comporterà l'abbattimento in bolletta dei costi legati agli oneri generali di sistema. Un risparmio – spiega il Gse – che in soldoni può anche sfiorare il 20% dei costi in bolletta. Nel novero dei Seu potranno essere ammessi anche gli impianti alimentati da fonti rinnovabili, compresi gli impianti già agevolati attraverso il Quinto conto energia, purché rispettino i requisiti per i quali si è ottenuta l'agevolazione. E sarà proprio il Gse a gestire il sistema UNITELNews24 14 della qualificazione anche grazie a un portale che potrebbe essere attivato già nel mese di settembre, ma comunque non più tardi del 31 dicembre prossimo. La qualificazione da parte del Gse avverrà su base documentale e sul sistema, non sul singolo impianto. Tra gli elementi di valutazione – fa sapere il gestore – ci saranno le unità di consumo, la connessione, ma anche aspetti catastali come la continuità nel sito. In ogni caso le prime qualificazioni potranno arrivare già entro la fine dell'anno. Una volta espletata questa prima fase il Gestore comunicherà gli esiti della valutazione al Gaudi (Gestione anagrafica unica degli impianti, di Terna) e all'Autorità: saranno poi i gestori di rete ad applicare lo «sconto» sulla bolletta. Ma se per il fotovoltaico il rubinetto degli incentivi si è chiuso, per le altre rinnovabili elettriche (Fer) continuano ad esserci gli incentivi previsti da Dm 6 luglio 2012. Il «contatore» degli incentivi segna quota 4,5 miliardi (dato del 31 dicembre 2013) su uno stanziamento di 5,8 miliardi. Il 29 marzo 2014 il Gse ha pubblicato il nuovo bando per l'iscrizione ai registri, quello per partecipare alle aste e quello per i rifacimenti. Il tutto relativo ai contingenti incentivabili relativi al 2015. Registri e procedure d'asta si aprono alle ore 9 del 28 aprile e si chiuderanno improrogabilmente alle ore 21 del 26 giugno. La procedura si svolge solo per via informatica attraverso l'apposito portale del Gse (https://applicazioni.gse.it). A chiusura del bando il Gse predispone la graduatoria dei richiedenti ammessi all'incentivo. La graduatoria è formata seguendo precisi criteri di priorità (articolo 10 del Dm 6 luglio 2012), fermi i citati contingenti di potenza annua incentivabile. Tra le ultime novità in materia di energie rinnovabili c'è poi il Dl Destinazione Italia (Dl 145/2013) che ha previsto un meccanismo di rimodulazione dell'incentivo per i titolari degli impianti a fonti rinnovabili. Si tratta in sostanza di una sorta di decurtazione del bonus bilanciata in parte da un allungamento dei tempi di godimento. Il meccanismo è previsto dall'articolo 3, commi 3-6 del Dl 145/2013, convertito in legge 9/2014 e riguarda i titolari di impianti che beneficiano di certificati verdi, tariffe omnicomprensive o tariffe premio. La riduzione percentuale dell'incentivo, differenziata in ragione del residuo periodo di incentivazione, del tipo di fonte rinnovabile e della tipologia di incentivo, sarà definita con un apposito decreto ministeriale. Nella panoramica degli incentivi in materia di rinnovabili c'è poi anche il Conto termico che però, complice il bonus del 65% per l'efficienza energetica, si sta rivelando un flop. Dei 900 milioni sul piatto a oggi ne sarebbero stati spesi tra i 10 e i 12 milioni. Anche se per la Pubblica amministrazione rappresenta l'unico vero traino in direzione della direttiva europea 2012/27 che prevede precisi obblighi di rinnovo ed efficientamento energetico del parco immobiliare pubblico. (Flavia Landolfi,Francesco Petrucci, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 4 aprile 2014) Per l'efficienza energetica 800 milioni a imprese e Pa Il governo mette sul piatto 800 milioni da qui al 2020 per tentare di iniettare dosi massicce di efficienza energetica nelle Pa e nelle imprese. Ieri Palazzo Chigi ha licenziato in via preliminare un Dlgs che attua la direttiva Ue 27/2012 mettendo in pista una serie di misure che puntano a dare corpo all'obiettivo europeo previsto anche dalla Sen (la Strategia energetica nazionale) di riduzione dei consumi del 20% entro il 2020. Per le Pa centrali (escluse quindi università, scuole e ospedali) sono previsti contributi a fondo perduto per 355 milioni destinati all'efficienza degli immobili con l'obiettivo di riqualificare il 3% annuo della superficie: da questo obbligo sono esclusi gli edifici di superficie inferiori a 500 mq (limite che dal 9 luglio 2015 scenderà a 250 mq), quelli vincolati e i luoghi di culto. Il mancato raggiungimento degli obiettivi farà scattare procedure di infrazione da parte di Bruxelles. Sarà compito dell'Enea monitorare, ogni anno, i dati sui consumi della Pa con un portale web dedicato. Per le imprese il percorso verso i risparmi si concretizzerà nell'obbligo per le grandi aziende e per gli energivori di adottare un audit energetico entro il 5 dicembre 2015 e poi ogni 4 anni (sarà esentato chi segue già sistemi di gestione Iso 50001 o En Iso 14000). A monitorare il rispetto dell'adempimento sarà un registro telematico presso l'Enea. Per le Pmi non ci sarà invece nessun obbligo, ma saranno incoraggiate a seguire la strada dell'efficientamento grazie a cofinanziamenti per 70 milioni. L'obiettivo è raggiungere almeno 10mila Pmi all'anno con un contributo del 50% (25% a carico dello Stato e un altro 25% delle Regioni) sul costo dell'audit (in media 3-4mila euro) e dei relativi interventi che porteranno ai risparmi energetici Altri 350 milioni di euro, poi, sono previsti nel Fondo rotativo del Mise riservato, invece, al sostengo di progetti per l'efficientamento di edifici residenziali (compresa l'edilizia popolare), realizzati da UNITELNews24 15 Esco e imprese. Particolari condizioni nei finanziamenti e specifiche premialità potranno essere previste per la costruzione di nuovi edifici a energia quasi zero o nel caso in cui le riqualificazioni prevedano anche la messa in sicurezza antisismica: questi standard saranno definiti da Sviluppo economico e Ambiente con provvedimenti successivi. Infine 7 milioni saranno spesi per iniziative di formazione e informazione. «Un'economia più efficiente sotto il profilo energetico è la chiave di volta per rilanciare la crescita economica e favorire la creazione di nuovi posti di lavoro», ha spiegato ieri il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi. Per il ministro dell'Ambiente Galletti gli 800 milioni di dote possono costituire un volano per lo sviluppo perché innescheranno «lavoro e quindi sviluppo sia nel pubblico che nel privato nell'ambito della Green economy». I punti chiave 01 | RISORSE FINO AL 2020 Previsti355 milioni a fondo perduto per gli immobili Pa e altri 350 milioni per il Fondo rotativo destinato a Esco e imprese. Altri 70 milioni di cofinanziamento sono destinati all'audit delle Pmi e 7 milioni per formazione e informazione 02 | OBBLIGHI DELLA PA Gli immobili delle Pubbliche amministrazioni centrali devono provvedere alla riqualificazione annua del 3% della superficie; sono esclusi quelli vincolati o inferiori a 500 mq e i luoghi di culto 03 | AUDIT PER LE IMPRESE Grandi imprese ed energivore devono eseguire una diagnosi energetica sui siti produttivi entro il 5 dicembre 2015 e poi ogni quattro anni. Sono esentate le imprese che hanno adotattato sistemi di gestione conformi alle norme Iso 50001 o En Iso 14000 04 | INCENTIVI PER LE PMI Per incoraggiare le Pmi a eseguire l'audit energetico sono previsti cofinanziamenti di 70 milioni (dieci all'anno) per coprire metà del costo degli interventi previsti (Marzio Bartoloni, Alessia Tripodi, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 5 aprile 2014) Soddisfatti o rimborsati così cresce il «solare» Gli impianti aumentano grazie a costi in calo e finanziamenti ad hoc, mentre in molte offerte il risparmio previsto è «garantito» Il segmento residenziale è il vero "zoccolo duro" del mercato italiano del fotovoltaico: qui si concentra il 39% della capacità solare installata nel corso del 2013. Continua intanto la riduzione del prezzo chiavi in mano degli impianti (-12%), dovuta a tre ragioni principali: effetto "inventory" (legato al materiale accumulato nei magazzini della filiera di distribuzione); riduzione del costo di inverter, progettazione e installazione; sostanziale stabilità nel prezzo di acquisto dei moduli (dati del Solar energy report 2014 presentato il 10 aprile dall'Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano). Le prospettive di risparmio in bolletta e il calo dei costi non sono però sempre sufficienti a invogliare i proprietari. Le aziende che si occupano di efficienza energetica sanno di doversi muovere con pacchetti "garantiti" e "chiavi in mano", spesso accompagnati da piani di finanziamento della spesa. «Da un lato è cambiato il paradigma dell'investimento, che con la tariffa incentivante del Conto energia aveva una logica finanziaria, e ora è invece puramente energetica: si chiedono più garanzie e certezze di risultato – afferma Giampiero Bresolin, responsabile punti verdi Domotecnica –. Dall'altro c'è un problema della mancanza di disponibilità economica immediata. La soluzione è nell'integrazione tra servizi di efficienza e finanziamento dell'intervento». Dalle banche alle società di credito al consumo, molti offrono prodotti per investimento in risparmio energetico. Buona parte delle aziende ha poi stretto convenzioni con gli istituti. «L'importante è però rivolgersi a chi sia in grado non solo di pianificare la spesa, magari con un livello rata/reddito che riconosca il merito di credito derivante dal risparmio energetico – continua Bresolin – ma anche di assicurare il risultato grazie a una precisa analisi di partenza». La Soluzione energetica Domotecnica è ad esempio attestata da Icim (ente di certificazione indipendente) e prevede una garanzia che vale 12 mesi dall'esecuzione dell'intervento e che obbliga a realizzare una nuova offerta se non viene ottenuto in bolletta il risparmio preventivato. UNITELNews24 16 Dall'analisi alla progettazione, dall'evasione delle pratiche (allacciamento e autorizzazioni comunali) fino alla gestione del post vendita. «Abbiamo tre livelli di post vendita per il residenziale: quello "protetto" prevede monitoraggio da remoto, intervento per ripristino e garanzia del risparmio – spiega Pietro Pitingolo, managing director di SunCity, startup specializzata in efficienza energetica –. Diciamo al cliente: taglierai la spesa in bolletta del 35%, altrimenti ti rimborsiamo. Ma è anche fondamentale poter finanziare al 100% i costi necessari e spalmare le rate in modo che siano pari ai risparmi ottenuti». Con il finanziamento i guadagni complessivi sulla vita utile del l'impianto vengono un po' ridotti, ma l'investimento resta conveniente. Pensiamo a un impianto fotovoltaico da 3 kW nel centro Italia (moduli in silicio policristallino), per un cliente che ha un consumo annuo di circa 3.900 kWh (spesa di circa 900 euro, 150 euro a bimestre). Secondo SunCity, l'importo complessivo della fornitura base chiavi in mano può essere di 7.141 euro (costi di connessione e autorizzativi esclusi). Se si prevede un autoconsumo pari a 2.169 kWh (55%), i vantaggi economici al primo anno, tra risparmio in bolletta (516 euro), ricavi da scambio sul posto (206) e detrazione fiscale (357 euro), sono di 1.079 euro e si comincia a guadagnare dal settimo anno. «Il vantaggio complessivo al ventesimo anno – conclude Pitingolo – è di oltre 13.500 euro. Se consideriamo invece l'acquisto finanziato in 10 anni, senza oneri aggiuntivi, Tan 7,5% con rata di circa mille euro, alla stessa data il vantaggio sarà di poco più di 10mila euro». Esaurito il sistema incentivante del Conto energia, sembra consolidarsi il trend di ritorno alle "prime fasi" del mercato fotovoltaico, guidato da impianti di piccole e medie dimensioni e riconducibile – secondo il report del Politecnico – «all'effetto che le misure di incentivazione indiretta, quali le detrazioni fiscali e lo scambio sul posto (si veda la scheda), hanno sulla fattibilità del business plan, oltre che alla maggiore quota di autoconsumo». (Dario Aquaro, Il Sole 24 ORE – Casa 24 plus, 17 aprile 2014) Immobili Affitti - I quattro (falsi) miti da sfatare sulla «tassa piatta» I dati ufficiali sulla cedolare non bastano per fare un'analisi completa, ma consentono di sfatare (almeno in parte) quattro falsi miti sulla tassa piatta. Vediamoli uno ad uno. 1. La cedolare non fa emergere gli affitti in nero. Nel 2012 i canoni di locazione sottoposti alla cedolare sono aumentati di 1,7 miliardi. Nello stesso anno d'imposta, però, sono aumentati di 1,5 miliardi anche i redditi di fabbricati "classici": per rendersene conto, basta neutralizzare i redditi fondiari degli immobili non locati, che nel 2012 erano assorbiti dall'Imu. È presto per trarre una conclusione, ma qualcosa si muove. 2. Con la cedolare lo Stato ci rimette. Applicando la tassa piatta, lo Stato rinuncia alle maggiori imposte derivanti dalla tassazione ordinaria, ma incassa (o spera di incassare) il gettito sugli affitti che emergono dal nero. Ad esempio – in base ai dati e alla normativa dell'anno d'imposta 2012 – per andare in pareggio era necessario che almeno il 40% dei canoni sottoposti alla cedolare derivasse da importi in precedenza non dichiarati. Una percentuale non impossibile da raggiungere con l'espansione del mercato dell'affitto e la lotta all'evasione. In ogni caso, il bilancio per le casse pubbliche va stilato a livello complessivo, conteggiando anche il maggior carico fiscale sulle locazioni ordinarie (con le deduzioni ridotte dal 15 al 5% dal 2012) e sul possesso di immobili locati (con l'Imu introdotta nel 2012 e aumentata nel 2013, cui ora si aggiunge la Tasi). 3. La cedolare viene usata solo da chi ha redditi alti. L'imposta sostitutiva conviene soprattutto ai proprietari con redditi alti, ma viene scelta anche da chi dichiara poco. Nel 2012 il numero dei contribuenti che scelgono la tassa piatta, tra coloro che hanno un reddito fino a 15mila euro, è cresciuto del 150% (canoni liberi) e del 200% (canoni concordati) a fronte di un incremento medio del 60 per cento. <QA0> Ed è sopra la media anche la crescita nello scaglione Irpef fino a 28mila euro. La preferenza per la cedolare, in alternativa alla tassazione ordinaria, fa risparmiare a questi proprietari poche decine di euro d'imposta; per quelli che già applicavano l'Irpef a un canone concordato, addirittura, può costare qualcosa. In questo caso l'appeal della flat tax è dato, probabilmente, dalla semplicità della sua applicazione: niente imposta di registro annua, niente calcolo e comunicazione all'inquilino dell'aggiornamento annuo Istat del canone (in media molto basso). UNITELNews24 17 4. Con la cedolare il canone concordato conviene. Fino al 2012, la minore aliquota del 19% – rispetto a quella base del 21% – ha convinto solo un proprietario su otto, tra quelli che hanno scelto la cedolare, a sottoscrivere un contratto a canone concordato anziché libero. I dati relativi alle dichiarazioni dei redditi 2013 e 2014 ci diranno se la riduzione al 15 e al 10% dell'aliquota sui canoni convenzionati è stata ritenuta sufficiente dai contribuenti a compensare i minori introiti derivanti dalla sottoscrizione di un contratto a canone convenzionato. (Cristiano Dell'Oste, Raffaele Lungarella, Il Sole 24 ORE, 7 aprile 2014) Operativo il plafond casa di Cdp - Mutui agevolati con tetti diversificati tra chi acquista e chi ristruttura Mutui agevolati per l'acquisto o la ristrutturazione di una abitazione: l'operazione plafond casa è entrata nel vivo. L'iniziativa è promossa in attuazione del decreto legge 102/13 (legge di conversione 124/13), il cui articolo 6 sulle politiche abitative autorizza la Cassa depositi e prestiti (Cdp) a fornire alle banche italiane e alle succursali di banche estere comunitarie ed extracomunitarie operanti in Italia capitali per erogare mutui ipotecari a chi vuole acquistare una nuova abitazione o ristrutturarne una con aumento dell'efficienza energetica. Al 2 aprile scorso erano già oltre 20 le banche che avevano sottoscritto un contratto per i finanziamenti del "plafond casa"; gli istituti coprono il 65% degli sportelli e sono sparsi su tutto il territorio nazionale. Hanno manifestato interesse a far provvista presso la Cdp colossi del settore bancario, come Unicredit, istituti privati, come Banca Sella e molte banche di credito cooperativo. Modalità e condizioni alle quali le banche possono ottenere i finanziamenti del plafond sono stabilite con contratti tipo, approvati (come prevede la norma istitutiva del plafond) da una convenzione sottoscritta tra la Cassa depositi e prestiti e l'Associazione bancaria italiana; la convenzione definisce le linee guida per la stipula dei contratti. La procedura prevede che ogni banca attinga al plafond man mano che vengono concessi i mutui alle famiglie. Ogni singola banca non può finanziarsi, presso il fondo, per più di 150 milioni al mese; ma, in presenza di particolari picchi di richieste, la Cassa valuta, a propria totale discrezione, la possibilità di andare oltre questo limite. Naturalmente per le banche il finanziamento ha un costo: in base alla convenzione esso si ottiene aggiungendo all'Euribor (per i mutui a per tasso variabile) o all'Irs (per quelli a tasso fisso) un "margine". Il suo livello può variare nel tempo, in base alle condizioni di mercato, ma alcune condizioni sono destinate a durare: esso è tanto più elevato quanto più lunga è la durata del finanziamento e quanto meno solido patrimonialmente è ritenuto l'istituto di credito al quale i fondi vengono prestati (più la banca è forte, meno le costa il finanziamento della Cdp). A quelle più patrimonializzate (Tier1 maggiore del 9%) la provvista del plafond costa, in base alla durata del prestito, tra l'1,50 e il 2%, oltre l'Euribor in caso di tasso variabile, e tra lo 0,90 e l'1,65%, oltre l'Irs per i finanziamenti a tasso fisso. Quando il Tier1 scende sotto il 7%, il margine arriva a crescere anche di mezzo punto percentuale rispetto a quello chiesto alle banche più capitalizzate. Alla fine, sommando il tasso base e il margine, per la banca fare provvista attraverso il plafond casa dovrà costare di meno di quanto deve pagare per ottenere capitali dal mercato (ovviamente, a parità di durata e rischiosità). Gli effetti sulle famiglie I tassi di interesse e le altre condizioni sono negoziati autonomamente tra la banca e il soggetto che chiede un mutuo. Cassa e Abi hanno, però, convenuto che il beneficio che le banche traggono attingendo al plafond deve «portare al miglioramento delle condizioni finanziarie offerte» a chi richiede un mutuo; un vantaggio, si legge sempre nella convenzione, che deve essere misurabile «in termini di riduzione del tasso annuo nominale, espresso in punti percentuali annui o in basis point annui» rispetto agli altri mutui. I finanziamenti del plafond non possono essere concessi per rifinanziare mutui già erogati. Il consiglio di amministrazione della Cassa ha deciso di partire con un ammontare di due miliardi di euro, senza escludere che la cifra possa lievitare. La convenzione ha previsto una temporanea corsia privilegiata per le banche di credito cooperativo e per quelle classificate come piccole e minori: fino al 30 settembre a esse è riservato il 30% del plafond. Gli strumenti normativi e di attuazione sono completi. Ora occorrerà vedere sul campo come reagiranno i clienti e – soprattutto – le banche, monitorando il grado di utilizzo effettivo della provvista. UNITELNews24 18 Il funzionamento I TETTI Centomila euro per i lavori I mutui richiesti per realizzare i soli interventi di ristrutturazione non possono superare i 100mila euro; diventano 250mila per l'acquisto di un appartamento che non ha bisogno di nessun intervento di manutenzione e si elevano a 350mila quando si acquista un immobile che i muratori devono mettere a posto. Entro questi limiti di importo, si può chiedere un mutuo che copre fino al 100% della spesa sostenuta LE PRIORITÀ Precedenza all'acquisto In caso di un eccesso di domanda rispetto ai fondi disponibili, le banche dovranno concedere i mutui prioritariamente per l'acquisto della prima casa e alle giovani coppie, anche non sposate (uno dei due componenti non deve superare i 35 anni e l'altro i 40), ai nuclei familiari con un disabile e ai componenti delle famiglie numerose (quelle con almeno tre figli). Non è previsto un limite massimo di reddito. I COSTI Variabile sotto il 4% A titolo di esempio Banca Sella applica per i mutui variabili del plafond casa un Taeg tra il 3,66% e il 3,74%, mentre per quelli a tasso fisso si oscilla il 7,00 e il 7,06 per cento, a seconda della durata dell'ammortamento. Per l'acquisto i mutui possono durare da 15 a 30 anni, per tassi sia variabili sia fissi. Se il finanziamento è richiesto solo per ristrutturare l'abitazione, la durata massima è di 10 anni e la minima di sette I DOCUMENTI Come fare la domanda Per chiedere ad una banca un mutuo ipotecario con finanziamento del plafond, chi è interessato deve compilare un modulo (anche dal sito di Cdp) per indicare se rientra nelle categorie prioritarie, se il mutuo è richiesto per acquistare o ristrutturare una casa. Occorre anche specificare l'importo richiesto, la durata e se si vuole un mutuo a tasso di interesse fisso o variabile Le adesioni 01|GLI ISTITUTI Sono più di 20 le banche sottoscrittrici del plafond casa. Tra queste: Unicredit, Intesa San Paolo, Banca Sella, Credito valtellinese; Cassa di risparmio di Ravenna 02|LA COOPERAZIONE Presenti anche le banche di credito cooperativo di: Cesena e Ronta, Napoli, Frascati, Lavis-V. Cembra, Cambiano, Carrù, Spello e Bettana, Castenaso, Ravennate e Imolese, Ostra e Morro D'alba, Ripatransone, Riano, S. G. Rotondo, delle Prealpi, Genzano, Martellago e Venezia (Raffaele Lungarella, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 7 aprile 2014) In arrivo regole uniche per misurare gli uffici Gli Ipms (International property measurement standards) saranno usati poi anche nel residenziale Una casa è una casa. E un ufficio è un ufficio. Ma ci sono talmente tanti modi di classificarli e valutarli che lo stesso immobile, a livello di valore, può moltiplicarsi all'infinito. Nonostante siano anni che se ne parla, infatti, quello delle metodologie di valutazione degli immobili resta un problema ancora da risolvere, soprattutto a livello internazionale. Un esempio banale? I metri quadrati. Per un non addetto ai lavori, un metro quadrato è una misura stabile e riconosciuta. Eppure lo stesso appartamento può misurare, a seconda di chi si occupa della valutazione, 80 o 100 metri, con una bella differenza in termini di prezzo finale: a seconda dei Paesi ma anche dei metodi all'interno di uno stesso Paese, si possono includere o meno i muri divisori, calcolare in maniera differente le pareti di confine, misurare una terrazza coperta o non coperta, includere o escludere le parti comuni. E lo stesso discorso vale per i numerosi altri aspetti delle valutazioni. La questione non è banale e, anzi, talmente importante da essere arrivata fino alle scrivanie della Banca Mondiale e su iniziativa dei Rics (Royal international chartered surveyors) è stato promosso un movimento che esprima l'esigenza e la ricerca di uno standard internazionale sul tema delle valutazioni immobiliari, dando vita alla coalizione Ipms, International property measurement standard, che si è formata e riunita per la prima volta nella sede della Banca Mondiale a Washington nel maggio 2013, formando uno Standards setting committee (Ssc) a metà UNITELNews24 19 settembre 2013 a Bruxelles. È stato deciso che il primo standard Ipms sarà dedicato agli uffici e ora la prima bozza è pronta, per essere finalizzata, dopo le consultazioni, entro il prossimo giugno. Il seconddo standard sarà invece focalizzato sul residenziale. Riferimento per il nuovo standard saranno gli standard del Clge (European council for geodetic surveyors): il primo Governo a dichiarare di sostenere l'Ipms è stato quello di Dubai. «È uno standard molto semplice – spiega Marzia Morena, presidente Rics Italia –. Sono definiti tre livelli di misurazione a matrioska a seconda dello scopo e dello standard che come convenzione si decide di utilizzare». Il primo livello è l'"Ipms office area 1" che comprende i muri perimetrali esterni. È spesso, ma non universalmente, noto come "Gross external area" (Gea, superficie lorda esterna). Questo standard può essere utilizzato per scopi di planning/progettazione o di determinazione dei costi. Il documento riporta chiaramente quali superfici devono essere escluse dalla misurazione. Il secondo livello è l'"Ipms office area 2", che esclude i muri perimetrali esterni: è spesso, ma non universalmente, noto come "Gross internal area" (Gla, superficie lorda interna). Questo standard può essere utilizzato da facility managers e cost consultants. Distinguendo diverse specifiche e codificate categorie/destinazioni d'uso (es. Categoria A-distribuzione verticale, Categoria E-aree ad uso uffici e servizi come aree ristoro, caffetteria, palestra e così via) si ottiene l'"Ipms office area 3", che permette ad utilizzatori e fornitori di diversi servizi di fare un confronto fra immobili utilizzando specifici moduli (Applications). Per facilitare il confronto di canone e valore fra diversi immobili a uso ufficio o rispetto a un benchmark, viene suggerito l'uso di una serie di Applications note come "International floor area". La semplicità risiede nel fatto che basterà fare riferimento ad una delle Applications riportate e codificate nel documento per avere un lessico comune. «Ritengo che l'utilizzo degli Ipms da parte del mercato, sia dal lato domanda che offerta, potrebbe essere una straordinaria opportunità, oltre che una rivoluzione copernicana, per rendere il nostro Paese più trasparente e attrattivo per investitori internazionali, abituati a confrontarsi e lavorare con processi e procedure condivise a livello globale» afferma Marzia Morena, Frics e Presidente del Capitolo italiano di Rics. (Evelina Marchesini, Il Sole 24 ORE – Casa 24 Plus, 10 aprile 2014) L'Ape resta obbligatorio anche se non va allegato L'immobile può essere concesso in locazione solo se è dotato dell'attestato di prestazione energetica (Ape), cioè quel documento che – redatto da tecnici qualificati e indipendenti – si prefigge di fornire all'utente dell'unità immobiliare una rappresentazione documentale dell'effettivo rendimento energetico dell'immobile di cui è titolare in relazione all'uso standard dello stesso, secondo la sua specifica destinazione urbanistica, nonché di fargli conoscere gli eventuali miglioramenti apportabili per ottenere un risparmio energetico. Con la legge di conversione del Dl 63/13 – la legge 90, in vigore dal 4 agosto 2013 – è ritornata obbligatoria la produzione della certificazione energetica nel caso di stipula di un nuovo contratto di locazione, da mettere addirittura a disposizione del conduttore già all'avvio delle trattative e da consegnare al momento della stipula del contratto. Il proprietario dell'immobile, ancor prima di concederlo in locazione ora deve dotarlo dell'Ape. Dallo scorso 24 dicembre, con l'entrata in vigore del decreto «Destinazione Italia» (il Dl 145/ 13, convertito dalla legge 9/14) è venuto meno l'obbligo di allegare l'Ape al nuovo contratto di locazione per singole unità immobiliari, ma rimane invece solo per le locazioni di interi edifici, oltre che per i trasferimenti a titolo oneroso. La regola vale sia per le locazioni commerciali che per quelle abitative, sempre che all'immobile locato sia necessario assicurare un particolare comfort abitativo, che si realizza attraverso l'impiego di sistemi tecnici di climatizzazione sia invernale che estiva. L'obbligo dunque non sussiste per tutti quegli edifici o manufatti che non comportano consumi energetici o consumi del tutto irrilevanti in ragione delle loro caratteristiche o destinazioni d'uso oppure in quanto non ancora o non più utilizzabili per l'uso cui sono destinati (ad esempio, garage o magazzini non riscaldati). Nel contratto va poi inserita apposita clausola con cui il conduttore dà atto di avere ricevuto le informazioni e la documentazione in ordine alla prestazione energetica del bene locatogli. Si tratta di una semplice dichiarazione del conduttore da recepirsi nel corpo del contratto, non richiedendo la norma alcuna altra particolare formalità. Si tratta comunque di precisi adempimenti sanzionati non più con la nullità del contratto, ma con una sanzione amministrativa pecuniaria. Eliminato dunque l'obbligo di allegazione dell'Ape per le locazioni di singole unità immobiliari, per queste restano quelli di informazione e di consegna. Il mancato inserimento della dichiarazione nel UNITELNews24 20 contratto è punito con una sanzione che va da 1.000 a 4mila euro, da ridursi alla metà per i contratti di durata inferiore a tre anni. La sanzione non assume naturalmente carattere di sanatoria, quindi il pagamento non esonera il proprietario dal provvedere comunque agli obblighi impostigli dal decreto in esame. Si vuol dire che la sanzione non fa venire meno il dovere del proprietario di dotare il proprio immobile dell'attestato di prestazione energetica, che continua ad essere previsto dall'articolo 6, comma 2, Dlgs 192/05 non interessato dalla recente modifica: l'obbligo di consegna della certificazione energetica all'inquilino è rispettato attraverso la previsione di quello di dotazione. Attenzione però alle possibili diverse sanzioni previste dalla normativa adottata da alcune Regioni in forza della cosiddetta "clausola di cedevolezza" prevista dal Dlgs 192/05 (articolo 17). Va ricordato, infine, che nel caso di offerta di locazione, a eccezione delle locazioni degli edifici residenziali utilizzati meno di quattro mesi all'anno, gli annunci tramite tutti i mezzi di comunicazione commerciali devono riportare gli indici di prestazione energetica dell'involucro e globale dell'edificio o dell'unità immobiliare e la classe energetica. LA SANATORIA Il Dl 145/13 ha eliminato la sanzione di nullità del contratto di locazione di singole unità immobiliari prevista dal Dl 63/13 nel caso di mancata allegazione dell'Ape. A tutti i contratti di locazione stipulati dallo scorso 4 agosto doveva essere allegato l'attestato di certificazione energetica, sotto pena di invalidità del contratto stesso. Una sanzione gravissima che andava a porre nel nulla gli accordi sottoscritti dalle parti. Eliminato dunque l'obbligo di allegazione dal 24 dicembre 2013, coloro che comunque non avevano allegato l'Ape al contratto possono sanare tale irregolarità con il pagamento di una sanzione sostitutiva di quella della nullità in precedenza stabilita, sempre che questa già non sia stata dichiarata dal giudice con sentenza passata in giudicato (articolo 1, comma 8, Dl 145/13). La sanatoria può essere richiesta da una delle parti del contratto o da un loro avente causa, così che il pagamento della sanzione impedisce qualsiasi eventuale postuma eccezione di nullità. La mappa EMILIA ROMAGNA Riferimenti normativi. Delibera dell'Assemblea legislativa n. 156 del 4 marzo 2008 (Dal 156/2008) Disposizioni. Dal 1° luglio 2010, la certificazione energetica è una pratica obbligatoria sul territorio regionale anche per le unità immobiliari soggette a locazione. Sanzioni. Nessuna LIGURIA Riferimenti normativi. Legge regionale 22/2007, modificata dalla 23/2012 Disposizioni. L'articolo 28-bis dice che in caso di offerta in vendita o locazione di edifici e unità immobiliari, l'Ape o copia fotostatica dello stesso deve essere mostrata al potenziale acquirente o conduttore. Lo stesso articolo prevede l'obbligo di consegna dell'attestato Sanzioni. Da 500 a 5mila euro LOMBARDIA Riferimenti normativi. Deliberazione di Giunta regionale VIII/5018 del 26 giugno 2007 Disposizioni. Dal 1° luglio 2010, sul territorio regionale è scattato l'obbligo, ancora oggi vigente, di dotare dell'Ape i conduttori in caso di contratti di locazione soggetti all'obbligo di registrazione (ovvero contratti di qualsiasi ammontare, purché di durata superiore ai 30 giorni complessivi nell'anno), locazione finanziaria e di affitto di azienda comprensivo di immobili, siano essi nuovi o rinnovati, riferiti a una o più unità immobiliari Sanzioni. Da 2.500 a 10mila euro per il locatore che stipula contratti senza aver prodotto e consegnato l'Ape PIEMONTE Riferimenti normativi. Legge regionale 13/2007 Disposizioni. In caso locazione degli edifici, l'attestato di certificazione / prestazione energetica è messo a disposizione del locatario o ad esso consegnato in copia dichiarata dal proprietario (locatore) conforme all'originale in suo possesso Sanzioni. Sanzione amministrativa da 500 a 5mila euro per il locatore, graduata sulla base della superficie utile dell'edificio TOSCANA Riferimenti normativi. Legge regionale 35/2005 Disposizioni. L'attuale legge regionale si limita a recepire la vecchia direttiva europea: dal UNITELNews24 21 momento che la Regione non ha ancora recepito la nuova direttiva 2010/31/Ce, pertanto viene applicata alla lettera la disposizione nazionale Sanzioni. La Toscana sta formulando in questi mesi alcune ipotesi su come impostare i controlli (Augusto Cirla, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 14 aprile 2014) Cedolare al 10% dal 2014 Lo sconto vale per i canoni concordati - Aliquota standard ferma al 21% Oggi la cedolare secca conviene di più. Sono numerose, infatti, le modifiche legislative intervenute dopo l'introduzione della tassa piatta che hanno spostato l'ago della bilancia in favore di questa modalità di tassazione. Un primo aspetto riguarda l'aumento dell'imposizione ordinaria sugli affitti, scattato dal 1° gennaio 2013, dopo che la legge 92/2012 ha ridotto dal 15% al 5% la deduzione forfettaria riconosciuta al locatore. La cedolare incide, pertanto, sul 100% del canone annuo mentre l'Irpef si applica sul 95% dello stesso (sul 66,5% in caso di contratti a canone concordato). A questo va aggiunto l'incremento pressoché generalizzato delle addizionali regionale e comunale, che vengono assorbite dalla cedolare. Infine, la cedolare sui contratti a canone concordato, passata dal 19% al 15% nel 2013, viene ulteriormente ridotta al 10% dal Dl 47/2014, dal periodo d'imposta 2014. Chi può aderire Possono beneficiare del regime sostitutivo le persone fisiche locatrici, che operano al di fuori dell'esercizio d'impresa o di arti e professioni, titolari del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento sull'immobile. Passando all'ambito oggettivo, sono ammesse le locazioni di immobili a uso abitativo locati per finalità abitative e, a determinate condizioni, le relative pertinenze, anche più di una, locate congiuntamente alle abitazioni ovvero con contratto separato e successivo rispetto a quello relativo all'immobile abitativo. Al riguardo, la circolare 26/E/2011 circoscrive il campo ai fabbricati censiti nella categoria catastale A, esclusa A/10, ovvero per i quali è stata presentata domanda di accatastamento in questa tipologia abitativa. Sono, quindi, esclusi gli immobili iscritti in una categoria catastale diversa, come ad esempio i fabbricati accatastati come uffici o negozi; gli immobili accatastati come abitativi ma locati per altre finalità. Un'ulteriore verifica va fatta sull'attività esercitata dal conduttore e sull'utilizzo dell'immobile. Sono escluse, infatti, le locazioni concluse con conduttori imprenditori o lavoratori autonomi, anche se a uso foresteria. Il Dl 47/2014 ha anche esteso la possibilità di optare per la cedolare per le abitazioni locate nei confronti di cooperative o enti senza scopo di lucro, purché sublocate a studenti universitari con rinuncia all'aggiornamento del canone. I vantaggi Chi sceglie la cedolare opta per un regime sostitutivo. Ciò vuol dire che applica al canone annuo le aliquote fisse ridotte al posto delle aliquote Irpef per scaglioni di reddito, non sconta le addizionali regionale e comunale all'Irpef relative al canone di locazione, non versa le imposte di registro e di bollo dovute in relazione al contratto. Questa tassazione sostitutiva presenta, tuttavia, alcuni svantaggi. Il primo è la rinuncia del locatore per tutta la durata dell'opzione alla facoltà di chiedere l'aggiornamento del canone a qualsiasi titolo. Ma il principale svantaggio è l'applicazione di un regime sostitutivo dell'Irpef che impedisce al contribuente, in assenza di altri redditi oltre a quelli da locazione, di riassorbire eventuali oneri deducibili o detrazioni d'imposta. In ogni caso, è possibile aderire al regime sostitutivo solo per alcuni i contratti, facendo confluire nel regime ordinario i canoni degli altri contratti. Come si perfeziona La scelta della tassa piatta va comunicata preventivamente al conduttore, tramite lettera raccomandata non a mano. Inoltre, il locatore deve esercitare l'opzione in sede di registrazione del contratto compilando il modello RLI (dal 1° aprile, i modelli 69 e Siria non sono più utilizzabili). Se il contratto stipulato non prevede l'obbligo di registrazione in termine fisso, come nel caso dei contratti "brevi", l'opzione si esercita in sede di dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta nel quale è prodotto il reddito oppure in sede di registrazione in caso d'uso o di registrazione volontaria del contratto. È prevista, inoltre, la possibilità di uscire dalla cedolare in ognuna delle annualità successive a quella di adesione, entro il termine per il pagamento dell'imposta di registro relativa all'annualità di riferimento, con il conseguente obbligo di versamento della stessa imposta. UNITELNews24 22 I due livelli 21% Sui canoni liberi L'aliquota della cedolare secca sui canoni di mercato è la stessa dal 2011. Si applica sul canone pattuito nel contratto. Per chi sceglie la tassazione ordinaria, invece, l'Irpef e le sue addizionali si applicano – dal 2013 – sul 95% del canone. Fino al 2012, invece, si applicavano sull'85% dell'importo pattuito: la riforma Fornero, infatti, ha ridotto dal 15 al 5% l'ammontare delle deduzioni forfettarie riconosciute ai proprietari di abitazioni affittate 10% Sugli affitti agevolati L'aliquota delle locazioni a canone concordato è stata ridotta due volte negli ultimi mesi. L'aliquota iniziale era il 19% e si è applicata per il 2011 e 2012. Il Dl 102/2013 ha poi ridotto al 15% l'aliquota applicata per l'anno d'imposta 2013, mentre il Dl 47/2014 ha ulteriormente limato il livello del prelievo al 10% per gli anni d'imposta dal 2014 al 2017. Il prelievo leggero si applica ai contratti stipulati in base all'articolo 2, comma 3, della legge 431/1998 (Siro Giovagnoli, Emanuele Re, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 14 aprile 2014) Un decreto ridefinirà la mappa dei terreni con esenzione Imu Nel mirino i terreni agricoli di collina e di montagna al fine di ottenere un maggior gettito di imposta municipale a favore dei comuni. L'articolo 22 del testo definitivo del decreto Renzi emanato dal Governo conferma la delega al ministero dell'Economia e delle Risorse agricole per individuare i comuni montani e di collina che possono usufruire della esenzione dalla imposta. Attualmente tali comuni sono individuati dalla circolare ministeriale 9/1993. Con ogni probabilità saranno esclusi dall'esenzione da Imu i territori di collina che in molti casi sono ben produttivi con le coltivazioni di vigneti. Inoltre il riferimento all'Istat è già stato previsto nella disciplina Imu per escludere dall'imposta i fabbricati rurali strumentali nell'anno 2012 e nella fattispecie erano considerati solo i territori di montagna. Si presume pertanto che il Ministero limiterà l'agevolazione ai territori che si trovano a un'importante altitudine. La norma conferma il trattamento di riguardo per i terreni agricoli posseduti e coltivati da coltivatori diretti ed imprenditori agricoli professionali (Iap) iscritti nella gestione Inps. Vedremo quali saranno le particolari agevolazioni previste per queste categorie di soggetti; ricordiamo che i coltivatori diretti e Iap usufruiscono già di due disposizioni di favore: in primo luogo il coefficiente di determinazione della base imponibile Imu per i terreni è pari a 75 volte il reddito dominicale rivalutato, in luogo di 135. Inoltre, in presenza di aree edificabili destinate alla coltivazione agricola, la base imponibile si assume in base ai valore catastale e non di mercato come avviene per gli altri contribuenti. Queste due agevolazioni sono comunque acquisite anche per i territori montani essendo comprese nelle norme generali, quindi quelle riservate alla montagna saranno ulteriori. Si ricorda che i fabbricati rurali strumentali sono comunque oggettivamente esenti da Imu su tutto il territorio nazionale per cui manterranno l'esenzione anche in montagna. Invece le abitazioni rurali non hanno agevolazioni ad eccezione di quella comune prevista per la abitazione principale. La tassazione Imu per i terreni di collina e di montagna, fuori dal futuro elenco decorre dall'anno 2014; per cui anche i comuni dovranno adeguare celermente la delibera comunale fissando l'aliquota di imposta per la nuova fattispecie impositiva. I terreni montani destinati alla attività agricola attualmente scontano l'Irpef sul reddito dominicale in quanto non possono usufruire della esclusione prevista dal Dlgs 23/2011 per gli immobili non locati soggetti ad Imu. Dal 2014 quando saranno assoggettati alla imposta municipale potranno usufruire di questo premio di consolazione. (Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 24 aprile 2014) Affitti non pagati, ecco gli aiuti anti-crisi Contributi per «morosità incolpevole» in caso di licenziamento, riduzione dell'orario e Cig La Conferenza permanente per i rapporti Stato-Regioni-Province autonome ha dato il via libera al decreto sulla morosità incolpevole predisposto dal ministro delle Infrastrutture di concerto col ministro dell'Economia. Si tratta del testo definitivo del provvedimento perché – data la procedura scelta per la sua emanazione – non dovrà passare al vaglio del Consiglio di Stato. Nei prossimi giorni verrà pubblicato in Gazzetta Ufficiale con la firma dei due ministri. Le novità introdotte dal decreto sono parecchie e fanno chiarezza su un testo che, nato in UNITELNews24 23 Parlamento in sede di conversione in legge del decreto legge 102/13, poneva non poche perplessità. Dopo la ripartizione dei fondi disponibili - per quest'anno sono previsti 20 milioni di euro, così come per il 2015 - fra Regioni e Province autonome, il decreto colma una lacuna definendo che cosa sia la morosità incolpevole, specificando che si intende «la situazione di sopravvenuta impossibilità a provvedere al pagamento del canone locativo a ragione della perdita o consistente riduzione della capacità reddituale del nucleo familiare» (si vedano anche Il Sole24Ore del 23/10/13 e del 14/01/14). Il decreto interministeriale stabilisce poi - non più a titolo esemplificativo, come nelle sue prime versioni - le specifiche cause di morosità incolpevole che sono sei: ela perdita di lavoro per licenziamento; raccordi aziendali o sindacali con consistente riduzione dell'orario di lavoro; tla cassa integrazione ordinaria o straordinaria che limiti notevolmente la capacità reddituale; uil mancato rinnovo di contratti a termine o di lavoro atipici; ile cessazioni di attività libero-professionali o di imprese registrate, derivanti da cause di forza maggiore o da perdita di avviamento in misura consistente; ola malattia grave, infortunio o decesso di un componente del nucleo familiare che abbia comportato o la riduzione del reddito complessivo del nucleo medesimo o la necessità dell'impiego di parte notevole del reddito per fronteggiare rilevanti spese mediche e assistenziali. Capitolo fondi In virtù del decreto legge 28 marzo 2014, n. 47, sulle «misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015» ha stanziato 100 milioni aggiuntivi al fondo di sostegno per l'affitto (oltre ai 100 già stanziati) e 226 milioni in più al nuovo fondo per la morosità cosiddetta incolpevole (oltre ai 40 già stanziati). Con il via libera della Conferenza permanente per i rapporti Stato-Regioni-Province autonome è stato appunto dato il via libera al riparto dei primi 20 milioni di euro. L'alta tensione abitativa Le risorse del Fondo saranno assegnate prioritariamente ai comuni ad alta tensione abitativa (l'elenco in vigore dal 18 febbraio 2004 è presente sul sito www.confedilizia.it nella sezione locazioni) che abbiano avviato, entro la data del 29 ottobre, bandi o altre procedure amministrative, così come meglio specificato nella norma. La procedura 01|IL PRIMO PASSO I Comuni adotteranno le misure necessarie per comunicare alle Prefettura-Uffici territoriali del Governo l'elenco dei soggetti richiedenti che abbiano i requisiti per l'accesso al contributo 02|I REQUISITI I Comuni dovranno verificare che i richiedenti rientrino nei parametri Isee (indicatore della situazione economica equivalente) previsti dal decreto, siano destinatari di atti di intimazione di sfratto per morosità, con citazione per la convalida, siano titolari di contratti di locazione registrata e risiedano in alloggi oggetto di procedure di rilascio da almeno un anno e abbiano cittadinanza italiana o europea oppure siano titolari di un permesso di soggiorno 03|L'ENTITÀ Il contributo concedibile per sanare la morosità incolpevole accertata non può superare l'importo di 8mila euro 04|I CONTROLLI Le iniziative comunali di concessione dei contributi prevedono il pieno coinvolgimento delle proprietà e contengano anche l'espressa previsione di controlli sulla destinazione finale dei contributi 05|L'EROGAZIONE I Comuni che riceveranno i fondi in maniera prioritaria sono quelli ad alta tensione abitativa. La procedura attuale prevede che a ricevere i soldi sia direttamente il moroso incolpevole (Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 22 aprile 2014) UNITELNews24 24 Pubblica amministrazione Per la e-fattura fa data la ricevuta La fattura elettronica verso la Pa entra nel vivo e a due mesi dalla scadenza (6 giugno 2014) incassa – con la circolare 1 del 31 marzo del dipartimento delle Finanze e della Funzione pubblica – una serie di chiarimenti per tutti gli attori, pubblici e privati. Il documento fornisce indicazioni puntuali sui termini di caricamento delle anagrafiche in Ipa, sulle comunicazioni da effettuare ai fornitori e sulla gestione delle anomalie. Un chiarimento fondamentale riguarda il momento in cui la fattura si considera emessa, individuato nella ricevuta di consegna recapitata al fornitore dal Sistema di interscambio quando l'inoltro della fattura ha avuto esito positivo. I termini per la conservazione elettronica della fattura trasmessa, così come quelli per calcolare gli interessi di mora, decorrono dalla data della ricevuta di consegna. Anche l'eventuale notifica di mancata consegna costituisce comunque emissione della fatturaPa alla data di ricezione della medesima notifica. In questo caso il documento emesso, trasmesso, ma non consegnato, dovrà essere conservato unitamente all'emissione di una nota di credito che non andrà però trasmessa tramite Sdi ma solo contabilizzata e conservata. Infine, non è richiesto l'inoltro della fattura anche in formato elettronico se già trasmessa in formato cartaceo entro il 6 giugno 2014 e anche se la Pa destinataria non abbia ancora completato il processo di gestione entro il 6 settembre 2014 e cioè entro il terzo mese successivo dall'entrata in vigore del divieto di pagamento di fatture analogiche. Anagrafiche in Ipa Il codice univoco assegnato a ciascun ufficio dall'Indice delle pubbliche amministrazioni costituisce un elemento obbligatorio da inserire in ciascuna fattura emessa. Il caricamento in Ipa deve essere completato da ciascuna amministrazione entro i tre mesi precedenti alla decorrenza dell'obbligo. Questo termine vale anche per le amministrazioni locali, per le quali si è ancora in attesa del decreto ministeriale con cui sarà fissata la relativa decorrenza. In ogni caso, per ogni ufficio destinatario di fatture elettroniche viene pubblicata in Ipa la data a partire dalla quale il servizio è attivo. Comunicazioni ai fornitori In capo a ciascuna Pa vi è l'obbligo di comunicare ai propri fornitori il codice univoco ottenuto dall'Ipa in modalità tale da permettere l'associazione con i contratti vigenti. La circolare del Dipartimento chiarisce a questo proposito i comportamenti da tenere in caso di impossibilità a recapitare la fattura elettronica. Per ciascuna amministrazione presente in Ipa viene individuato un ufficio centrale di fatturazione elettronica. Il codice di questo ufficio deve essere utilizzato solo se il fornitore non ha ricevuto dall'amministrazione la comunicazione dell'ufficio destinatario della fattura. Sulla base dei dati fiscali di destinazione presenti sulla stessa fattura il Sistema di interscambio verifica comunque l'esistenza o meno in Ipa di un unico ufficio, non centrale, destinato al ricevimento. In caso di riscontro positivo, il Sdi invia al mittente una notifica di scarto segnalando contemporaneamente l'ufficio competente. In caso contrario, la fattura viene inoltrata all'ufficio centrale individuato dall'amministrazione. Potrebbe accadere invece il caso in cui il fornitore, non avendo ricevuto alcuna comunicazione dall'amministrazione, riscontra in Ipa anche l'assenza di un ufficio centrale. In questo caso occorre indicare in fattura il valore di default indicato nelle specifiche tecniche operative predisposte da Agid e agenzia delle Entrate. Il Sdi, analogamente al caso precedente, verifica l'esistenza in Ipa di un unico ufficio destinatario respingendo eventualmente la fattura con notifica di scarto e indicando il codice ufficio da utilizzare. In tutti gli altri casi il SdI rilascia al fornitore una «Attestazione di avvenuta trasmissione della fattura con impossibilità di recapito». La fattura in esso contenuta viene considerata in questo caso emessa. Può essere quindi recapitata all'amministrazione dal fornitore trasmettendo l'attestato tramite un servizio di posta elettronica, altro canale telematico, ovvero mettendola a disposizione tramite portali telematici. (Alessandro Mastromatteo, Benedetto Santacroce, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 2 aprile 2014) UNITELNews24 25 Province, addio entro l'anno -Tempi stretti per definire nuove funzioni e organizzazione Nove mesi per trasferire dalla carta alla realtà la riforma delle province. Il conto alla rovescia è scattato martedì scorso, data di entrata in vigore della legge 56 che riordina le amministrazioni provinciali, trasformandone dieci in città metropolitane e le altre 97 in enti territoriali di area vasta, con a capo un presidente e un consiglio scelti fra i sindaci e i consiglieri comunali dei municipi che fanno parte delle attuali province. Dopo che del problema se ne è parlato tanto, l'accelerata impressa dal Governo all'approvazione della riforma si ripercuote anche sulla sua messa in pratica. Al massimo entro la fine di quest'anno la nuova governance delle province dovrà essere cosa fatta, almeno in 19 amministrazioni ora rette da un commissario e nei 45 consigli che termineranno il mandato tra l'8 e il 21 giugno prossimi. La prima scadenza è fissata per gli inizi di luglio, quando dovrà vedere la luce un decreto del presidente del Consiglio con cui Stato e Regioni individueranno le ulteriori funzioni delle province oltre quelle già indicate dalla legge. Un passaggio importante, perché da esso dipende non solo il raggio d'azione dei futuri enti di area vasta, ma anche la mobilità del personale. Secondo il conto annuale del Tesoro, nel 2012 nelle province lavoravano oltre 51mila persone, più di 46mila a tempo pieno e quasi 4.500 part-time. Quanti di questi addetti rimarranno in provincia, quanti transiteranno alla Regione o alle unioni di Comuni (regolamentate anch'esse dalla legge 56), dipenderà dalle funzioni attribuite alle nuove amministrazioni. Il vero snodo della riforma, però, si concentrerà tra settembre e dicembre. Entro la fine di settembre, infatti, dovrà essere eletto il consiglio provinciale, mentre sul versante delle città metropolitane dovrà essere pronta la bozza di statuto da sottoporre al consiglio metropolitano, che dovrà essere votata sempre entro il 30 di tale mese. L'altro pezzo della riforma dovrà giungere al traguardo per fine anno, quando dovranno essere votati i presidenti delle province. Entro tale termine dovranno, inoltre, essere approvati i nuovi statuti sia delle province sia delle città metropolitane (esclusa la città metropolitana di Reggio Calabria, che verrà istituita a fine 2016). Insomma, il 1° gennaio 2015 ci dovranno essere 73 province che avranno cambiato fisionomia: 64 perché commissariate o in scadenza a giugno prossimo e nove perché si trasformeranno in città metropolitane. A queste si aggiungeranno nel tempo altre 12 province, quattro delle quali termineranno la legislatura nel 2015 e otto nel 2016 (anno in cui, come detto, arriverà anche la città metropolitana di Reggio Calabria). Per quanto, invece, riguarda le Regioni a statuto speciale, Trento e Bolzano, in quanto province autonome, non sono interessate dalla riforma (e così la Valle d'Aosta, che non ha una provincia). La Sardegna nella primavera 2012 ha abolito con un referendum quattro delle otto province, che sono state poi commissariate in attesa che venga modificato lo statuto regionale. Il Friuli Venezia Giulia ha varato una proposta di legge costituzionale che cancella le province, legge che ora deve affrontare l'iter parlamentare. La Sicilia ha votato una legge che, al posto delle province, istituisce i liberi consorzi. In ogni caso, Sardegna, Friuli e Sicilia devono, entro aprile 2015, adeguare i propri ordinamenti ai princìpi della nuova legge. «Non c'è dubbio – afferma Piero Antonelli, direttore generale dell'Upi (Unione province italiane) – che la riforma imponga una tempistica accelerata, con una complessità di adempimenti che potranno essere portati a termine solo se ci sarà un forte senso di cooperazione tra le parti. In tal caso, le prime province potranno iniziare a operare anche prima della fine dell'anno, perché la soluzione migliore è che presidente e consigli vengano eletti insieme entro fine settembre. Resta il fatto che una simile riforma propone un sistema di governance problematico. Meglio sarebbe stato proseguire sulla strada dell'accorpamento delle province». DALLE COMPETENZE AL CRONOPROGRAMMA IL NUOVO ASSETTO* 01|LA CONFIGURAZIONE Da 107 le province si riducono a 97 (le altre dieci si trasformano in città metropolitane), mantengono gli stessi confini di oggi, ma diventano enti territoriali di area vasta 02|LE COMPETENZE Ambiente, trasporti, scuole, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali, pari opportunità. Stato e Regioni possono attribuire alle province ulteriori competenze GLI ORGANI 01|IL PRESIDENTE UNITELNews24 26 Viene eletto, dai sindaci e dai consiglieri dei Comuni della provincia, fra i sindaci della provincia il cui mandato non scada prima di 18 mesi dalle elezioni. Durata: quattro anni (decade, però, dalla carica se cessa di fare il sindaco). Funzioni principali: rappresenta la provincia, convoca e presiede il consiglio provinciale e l'assemblea dei sindaci, sovrintende al funzionamento di servizi e uffici. Compenso: nessuno 02|IL CONSIGLIO È eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali dei Comuni della provincia (sono eleggibili entrambi). Composizione: presidente della provincia e un numero variabile di consiglieri: 16 nelle province con più di 700mila abitanti, 12 (da 300mila a 700mila abitanti), 10 (fino a 300mila abitanti). Durata: 2 anni (i consiglieri decadono quando cessa l'incarico comunale). Funzioni: indirizzo e controllo, propone all'assemblea lo statuto, approva regolamenti, piani, programmi; approva o adotta gli atti sottopostigli dal presidente (compresi gli schemi di bilancio). Compenso: nessuno 03|L'ASSEMBLEA DEI SINDACI È costituita dai sindaci della provincia. Funzioni: adotta o respinge lo statuto proposto dal consiglio. Compenso: nessuno LE SCADENZE 01 | 8 APRILE 2014 Sono costituite le città metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, a cui si aggiunge Roma, che è già regolata da norme particolari. Nel 2016 arriverà Reggio Calabria. Il territorio delle città metropolitane coincide con quello dell'attuale provincia 02 | 7 LUGLIO 2014 8 Entro questa data lo Stato e le Regioni indicano le ulteriori competenze da attribuire alle nuove province 8 Con un Dpcm si devono fissare i criteri per individuare i beni e le risorse umane, finanziarie, strumentali e organizzative necessarie per le ulteriori competenze da trasferire alle nuove province 03 | 30 SETTEMBRE 2014 - Entro questa data 45 delle 52 province che scadono a fine 2014 devono indire le elezioni per il nuovo consiglio provinciale (le altre sette si trasformano in città metropolitane). In questa prima fase sono eleggibili nel nuovo consiglio anche i consiglieri provinciali uscenti - Devono terminare i lavori le conferenze statutarie elette nelle città metropolitane per elaborare una proposta di statuto delle città metropolitane, proposta che deve essere sottoposta al consiglio metropolitano - Si devono svolgere le elezioni, indette dal sindaco del Comune capoluogo della città metropolitana, per la nomina del consiglio metropolitano - Si devono insediare sia il consiglio metropolitano sia la conferenza metropolitana 04 | 15 OTTOBRE 2014 Entro questa data le Regioni devono dar corso alle nuove competenze trasferite alle province 05 | 31 DICEMBRE 2014 - Entro questa data i nuovi consigli provinciali devono predisporre le modifiche statutarie alla luce delle indicazioni della nuova legge - L'assemblea dei sindaci deve approvare le modifiche e si deve procedere all'elezione del presidente della provincia. Fino all'insediamento di quest'ultimo resta in carica, per l'ordinaria amministrazione, il vecchio presidente (che assume anche le funzioni del consiglio provinciale) e la vecchia giunta (senza percepire compensi) o, laddove le province sono commissariate, il commissario - Il consiglio metropolitano deve approvare lo statuto della città metropolitana 06 | 1° GENNAIO 2015 Le città metropolitane - tranne Reggio Calabria, che lo diventa nel 2016 - subentrano alle province e il sindaco del Comune capoluogo della città metropolitana assume le funzioni di sindaco metropolitano 07 | 8 APRILE 2015 Entro questa data le Regioni devono adeguare gli statuti alle nuove disposizioni sulle province 08 | ENTRO 30 GIORNI DALLA SCADENZA Tutte le altre province che scadono successivamente al 31 dicembre 2014 (sono 13, ma una è Reggio Calabria, che diventa città metropolitana) devono indire le elezioni per il nuovo consiglio entro 30 giorni dalla loro scadenza "naturale" o dallo scioglimento anticipato). Anche in questo caso sono eleggibili i consiglieri uscenti UNITELNews24 27 09 | ENTRO 6 MESI DALL'INSEDIAMENTO DEL NUOVO CONSIGLIO PROVINCIALE Nelle 12 province che scadono a partire dal 2015 l'assemblea dei sindaci approva le modifiche statutarie. In caso contrario, scatta l'esercizio del potere sostitutivo 10 | 30 GIUGNO 2015 Nel caso le modifiche statutarie non siano adottate, scatta l'esercizio del potere sostitutivo sia per le province sia per le città metropolitane inadempienti (*) Le regole non si applicano alle province autonome di Trento e Bolzano e alla Valle d'Aosta 107 Le province attuali Il numero complessivo delle province delle regioni a statuto ordinario e di quelle a statuto speciale è 107. Numero che sale a 110 se si considerano anche le province di Trento e Bolzano, che però sono autonome, e si inserisce pure la Valle d'Aosta, dove però Aosta non costituisce una provincia 51.208 Il personale Secondo il conto annuale della Ragioneria dello Stato, nel 2012 nelle province risultavano impiegate 51.208 persone a tempo indeterminato, di cui 46.724 a tempo pieno e 4.484 part-time. Di queste, 1.200 erano inquadrate come dirigenti, 90 come segretari e 49.918 come personale non dirigente 73 Le «battistrada» Ad applicare subito la riforma saranno 73 province, ovvero le 21 che risultano commissariate e le 52 che scadranno nel prossimo giugno. Tra queste ci sono anche le nove province (Roma, Milano, Torino, Venezia, Genova, Firenze, Bari, Bologna e Napoli) che dal 1° gennaio 2015 diventeranno città metropolitane (Antonello Cherchi, Il Sole 24 ORE, 14 aprile 2014) Sblocca-debiti, 2 miliardi al via Entro il 31 maggio le richieste di aiuto alla Cassa per il nuovo round Altro giro, altra corsa per la giostra delle anticipazioni di liquidità che servono a Comuni e Province per pagare i loro vecchi debiti nei confronti dei fornitori. La Conferenza Stato-Città ha approvato infatti il nuovo Addendum alla convenzione con la Cassa depositi e prestiti, e le amministrazioni locali avranno tempo fino al 31 maggio per inviare le richieste di aiuto alla Cassa. In ballo ci sono due miliardi di euro, per circa 1,3 miliardi destinati ai Comuni e per il resto alle Province, e serviranno a onorare due tipologie di debiti: quelli di parte corrente e di conto capitale «certi, liquidi ed esigibili» al 31 dicembre 2012, o comunque accompagnati da fattura e richiesta equivalente di pagamento entro la stessa data, e i debiti fuori bilancio che entro fine 2012 presentavano i requisiti per il riconoscimento, anche se sono stati ufficialmente riconosciuti solo successivamente. I provvedimenti approvati dalla Conferenza Stato-Città traducono in pratica l'articolo 13 del decreto 102/2013, che ha previsto la seconda tornata del meccanismo sblocca-debiti da parte del Governo Letta. Le procedure, quindi, sono le stesse della prima tornata, e impongono alle amministrazioni di effettuare i pagamenti entro 30 giorni dall'arrivo dell'anticipazione e di certificare il tutto alla Cdp, aggiornando anche il piano dei pagamenti che va pubblicato sul proprio sito istituzionale. Insieme all'anticipazione andrà siglato anche un piano di rientro, che può durare fino a 20 anni: come mostrano le elaborazioni effettuate dall'Ance, l'associazione nazionale dei costruttori edili, sulla prima tranche di anticipazione, la quasi totalità delle amministrazioni (quasi 1.400) che finora hanno bussato alla porta della Cassa depositi e prestiti ha scelto di sfruttare tutto il periodo concesso per restituire l'anticipazione, e solo un'esigua minoranza ha scritto piani di rientro più brevi. Sempre in Conferenza Stato-Città è stato dato il via libera al decreto del Viminale, ora alla firma del ministro dell'Interno Angelino Alfano, che proroga al 31 luglio i termini di approvazione dei bilanci preventivi 2014 degli enti locali. La proroga era stata già votata dalla Camera nella legge di conversione del «salva-Roma» ter, che ora attende l'esame del Senato, ma l'articolo 151 del Testo unico degli enti locali prevede che il rinvio dei termini per i bilanci preventivi sia deciso per decreto dal Viminale: con la firma di Alfano, dunque, la nuova data diventerà ufficiale, senza bisogno di attendere Palazzo Madama. I nuovi termini fanno perdere il carattere di «indifferibilità» all'approvazione dei preventivi negli oltre 4.100 Comuni che vanno al voto il prossimo 25 maggio, e che potrebbero comunque decidere di procedere ugualmente. La proroga, del resto, è stata decisa prima di tutto per loro, anche se la nuova data non sembra sufficiente: soprattutto nei Comuni che andranno al ballottaggio, tra UNITELNews24 28 proclamazione degli eletti, definizione della Giunta e avvio dei lavori si arriverà tranquillamente a metà luglio, e per sciogliere i rebus di Tasi e Iuc in genere, scrivere la proposta di bilancio, sottoporla al consiglio e votarla non basteranno poche settimane. Il rinvio a fine settembre, destinato a replicare l'incertezza fiscale degli ultimi anni, appare insomma già in cantiere. (Gianni Trovati, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 18 aprile 2014) Pa, la e-fattura gioca d'anticipo Anticipata al 31 marzo 2015 la partenza per tutte le amministrazioni centrali e locali Anticipato al 31 marzo 2015 l'avvio a regime della fattura elettronica obbligatoria nei confronti di tutte le pubbliche amministrazioni, comprese quelle locali. L'accelerazione impressa dal Governo con l'articolo 25 del decreto legge Irpef risponde non solo all'esigenza di completare quanto prima il percorso di adeguamento e digitalizzazione della Pa ma anche alla volontà di assicurare l'effettiva tracciabilità dei pagamenti. Per queste ragioni è stato incrementato anche il contenuto informativo delle fatture trasmesse obbligatoriamente attraverso il Sistema di interscambio - Sdi, le quali dovranno riportare il Codice Informativo di Gara (Cig) e il Codice Unico di Progetto (Cup). Questa ultima novità ha un impatto immediato riguardando tutte le fatture, comprese quelle che saranno trasmesse dal 6 giugno 2014 verso le agenzie fiscali, i ministeri e gli enti di previdenza. Inoltre, i dati delle fatture comprensivi delle informazioni di invio, ricezione e del Codice Cig saranno acquisiti dalla piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio in modalità automatica delle certificazioni dei crediti verso le pubbliche amministrazioni. Il decreto legge rimodula la tempistica di avvio dell'obbligo della fatturazione elettronica relativamente alle amministrazioni pubbliche, comprese quelle locali, diverse da Ministeri, Agenzie fiscali ed enti di previdenza. Nei confronti di queste ultime l'obbligo decorre infatti dal 6 giugno 2014 secondo la calendarizzazione originariamente stabilita dal decreto ministeriale n. 55 del 3 aprile 2013 che aveva fissato al 6 giugno 2015 la decorrenza per le altre amministrazioni centrali, delegando ad un ulteriore decreto ministeriale l'individuazione della tempistica per le amministrazioni locali. L'articolo 25 del decreto spending review anticipa ed allinea invece al 31 marzo 2015 la data di partenza per tutte le amministrazioni centrali e locali. L'anticipazione comporta che entro il prossimo 31 dicembre 2014 dovranno essere individuati gli Uffici delle amministrazioni destinatari di fattura elettronica. La loro identificazione avviene per mezzo del "Codice Univoco Ufficio" assegnato dall'Indice delle Pa (Ipa). Altra novità introdotta dal decreto legge Irpef risiede nella indicazione, tra le informazioni obbligatorie delle fatture elettroniche, dei codici Cig e Cup salve le esclusioni normativamente previste. Le amministrazioni pubbliche hanno infatti il divieto di procedere al pagamento delle fatture elettroniche ricevute che non riportano tali codici. Nel dettaglio, al fine di assicurare l'effettiva tracciabilità dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, le fatture elettroniche emesse devono riportare il Cig salvo i casi di esclusione dall'obbligo di tracciabilità dei flussi finanziari previsti dalla Legge 13 Agosto 2010, n. 136. L'esclusione interessa quindi le fatture emesse in relazione a figure contrattuali non qualificabili come contratti di appalto, quali ad esempio i contratti di lavoro conclusi dalle stazioni appaltanti con i propri dipendenti, i contratti aventi ad oggetto l'acquisto o la locazione di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni nonché i contratti relativi ai servizi di arbitrato e conciliazione. Le fatture devono inoltre riportare il Cup, quando relative a opere pubbliche, interventi di manutenzione straordinaria, interventi finanziati da contributi comunitari e ogni nuovo progetto di investimento pubblico nei casi previsti dall'articolo 11 della Legge 3/03. LA DECORRENZA DAL 6 GIUGNO 2014 Nei confronti di ministeri, Agenzie fiscali ed enti di previdenza l'obbligo decorre dal 6 giugno 2014 secondo la calendarizzazione originariamente stabilita dal decreto ministeriale n. 55 del 3 aprile 2013 che aveva fissato al 6 giugno 2015 il termine per le altre amministrazioni centrali, delegando a un ulteriore decreto ministeriale l'individuazione della tempistica per le amministrazioni locali DAL 31 MARZO 2015 Unificato e anticipato al 31 marzo 2015 l'avvio a regime della fattura elettronica obbligatoria nei confronti di tutte le pubbliche amministrazioni, comprese quelle locali. L'accelerazione è stata impressa dal Governo con l'articolo 25 del decreto legge Irpef e risponde all'esigenza di completare il percorso di digitalizzazione della Pa e alla volontà di assicurare l'effettiva tracciabilità dei pagamenti UNITELNews24 29 ENTRO 31 DICEMBRE 2014 L'anticipazione comporta che entro il 31 dicembre 2014, e cioè tre mesi prima dell'avvio dell'obbligo, dovranno essere individuati gli uffici delle amministrazioni destinatari di fattura elettronica così da consentire al Sistema di interscambio di recapitare correttamente le fatture. La loro identificazione avviene per mezzo di un codice univoco denominato "Codice univoco ufficio" assegnato dall'Indice delle pubbliche amministrazioni (Ipa) DAL 6 GIUGNO 2014 Incrementato il contenuto informativo delle fatture trasmesse obbligatoriamente attraverso il Sistema di interscambio (Sdi), le quali dovranno riportare il Codice informativo di gara (Cig) e il Codice unico di progetto (Cup). Quest'ultima novità ha un impatto immediato riguardando tutte le fatture, comprese quelle che saranno trasmesse dal 6 giugno 2014 verso le Agenzie fiscali, i ministeri e gli enti di previdenza (Alessandro Mastromatteo, Benedetto Santacroce, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 23 aprile 2014) Crediti Pa, certificazione in tempi certi Le Pubbliche amministrazioni anche alla luce dei dati forniti dai suoi creditori, dovranno comunicare mediante la piattaforma telematica del Mef i dati sulle fatture e le richieste di pagamento ricevute dal 1° gennaio 2014. Questa è una delle importanti novità prevista dal decreto 66, pubblicato sulla Gazzetta 95 di ieri, e nel quale è presente un intero capitolo dedicato ai debiti e alla gestione dei pagamenti della Pubblica amministrazione nel quale sono indicate le modalità di monitoraggio dei debiti esistenti. Gli obiettivi saranno raggiunti attraverso un adeguamento delle funzionalità della Piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni. È ormai noto il ruolo di primo piano svolto dalla «piattaforma di certificazione elettronica» del credito gestita dalla Ragioneria dello Stato e realizzata dal ministero dell'Economia e delle finanze nel corso del 2012 nella certificazione dei crediti vantati dai fornitori nei confronti della Pubblica amministrazione. In tale contesto si inserisce la nuova disciplina prevista dal decreto 66/2014 che per garantire una maggior trasparenza nella gestione dei crediti vantati nei confronti della Pa, da una parte, ottimizza l'utilizzo delle fatture elettroniche sulla piattaforma e dall'altra rafforza il sistema sanzionatorio in capo ai dirigenti pubblici che non rispettano la tempistica prevista. In primo luogo è prevista la possibilità in capo ai titolari di crediti nei confronti della Pa per somministrazione, forniture e appalti e per obbligazioni relative a prestazioni professionali di poter comunicare, attraverso la piattaforma elettronica i dati relativi alle fatture elettroniche o richieste equivalenti emesse a partire dal 1° luglio 2014. Dall'altro lato le pubbliche amministrazioni devono comunicare le informazioni inerenti alla ricezione e alla rilevazione sui propri sistemi contabili di tutte le fatture elettroniche o richieste equivalenti emesse al 1° gennaio 2014. Altro adempimento previsto in capo alle Pa è quello di dover comunicare entro 15 giorni di ciascun mese i dati relativi ai debiti non estinti, certi, liquidi ed esigibili per i quali, nel mese precedente, sia stato superato il termine di pagamento dal quale derivano gli interessi moratori. A questo proposito si ricorda che con il pieno recepimento della Direttiva 2011/7/UE (Dlgs 192/2012) per tutti i contratti stipulati dal 1° gennaio 2013 la Pa è tenuta a pagare i fornitori, salvo determinati casi, nel termine di 30 giorni dal ricevimento della fattura da parte dell'ente debitore e in mancanza decorreranno, in automatico, gli interessi moratori. Da sottolineare l'aspetto sanzionatorio. Infatti il mancato rispetto degli obblighi previsti nel decreto 66, tra i quali la comunicazione nei termini indicati dei debiti entro la metà del mese, sarà rilevante ai fini della misurazione e della valutazione delle performance individuali dei dirigenti responsabili nonché a una possibile azione disciplinare nei confronti di quest'ultimo. Altre novità si hanno sulla disciplina della certificazione dei crediti certi, liquidi ed esigibili per somministrazioni, forniture ed appalti e per prestazioni professionali con la modifica dell'articolo 9, comma 3-bis, del Dl 185/2008. È prevista l'estensione dell'obbligo della certificazione a tutte le Pa, sono rafforzati i meccanismi sostitutivi e sanzionatori a carico del dirigente responsabile per il mancato rispetto dell'obbligo di certificazione o per il diniego non motivato di certificazione anche parziale e soprattutto è previsto l'obbligo, nelle certificazioni, di indicare una data di pagamento che non può essere superiore a 12 mesi dalla data di rilascio della stessa. Quest'obbligo vale anche per le certificazioni già emesse, che dovranno essere integrate con l'apposizione della data prevista per il pagamento. (Lorenzo Lodoli, Benedetto Santacroce, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 25 aprile 2014) UNITELNews24 30 Legge e prassi (G.U. 30 aprile 2014, n. 99) Ambiente REGOLAMENTO (UE) N. 333/2014 Regolamento (UE) n. 333/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2014, che modifica il regolamento (CE) n. 443/2009 al fine di definire le modalità di conseguimento dell’obiettivo 2020 di ridurre le emissioni di CO2 delle autovetture nuove (G.U.U.E. 7 aprile 2014, L103) REGOLAMENTO (UE) N. 334/2014 Regolamento (UE) n. 334/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2014, che modifica il regolamento (UE) n. 528/2012 relativo alla messa a disposizione sul mercato e all’uso dei biocidi per quanto riguarda determinate condizioni per l’accesso al mercato (G.U.U.E. 7 aprile 2014, L103) Antincendio MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Comunicato relativo al decreto 4 marzo 2014, recante: «Modifiche ed integrazioni all'allegato al decreto del Ministro dell'interno del 14 maggio 2004, recante approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per l'installazione e l'esercizio dei depositi di gas di petrolio liquefatto con capacità complessiva non superiore a 13m³». (G.U. 8 aprile 2014, n. 82) MINISTERO DELL'INTERNO DECRETO 31 marzo 2014 Modifiche ed integrazioni all'allegato A al decreto del Presidente della Repubblica 24 ottobre 2003, n. 340, recante la disciplina per la sicurezza degli impianti di distribuzione stradale di G.P.L. per autotrazione (G.U. 9 aprile 2014, n. 83) MINISTERO DELL'INTERNO DECRETO 31 marzo 2014 Modifiche ed integrazioni al decreto 24 maggio 2002, recante norme di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio degli impianti di distribuzione stradale di gas naturale per autotrazione (G.U. 9 aprile 2014, n. 83) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 4 aprile 2014 Norme Tecniche per gli attraversamenti ed i parallelismi di condotte e canali convoglianti liquidi e gas con ferrovie ed altre linee di trasporto. (G.U. 28 aprile 2014, n- 98) UNITELNews24 31 Appalti AUTORITÀ PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE PROVVEDIMENTO 26 febbraio 2014 Regolamento unico in materia di esercizio del potere sanzionatorio di cui all'articolo 8, comma 4, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163. (G.U. 8 aprile 2014, n. 82) Economia, fisco, agevolazioni e incentivi MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 20 febbraio 2014, n. 57 Regolamento concernente l'individuazione delle modalità in base alle quali si tiene conto del rating di legalità attribuito alle imprese ai fini della concessione di finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni e di accesso al credito bancario, ai sensi dell'articolo 5-ter, comma 1, del decretolegge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 (G.U. 7 aprile 2014, n. 81) DECRETO-LEGGE 7 aprile 2014, n. 58 Misure urgenti per garantire il regolare svolgimento del servizio scolastico. (G.U. 8 aprile 2014, n. 82) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 13 febbraio 2014 Termini, modalità e procedure per la concessione ed erogazione delle agevolazioni in favore di programmi di investimento finalizzati al rilancio industriale delle aree di crisi della Campania e alla riqualificazione del suo sistema produttivo (G.U. 8 aprile 2014, n. 82) DECRETO-LEGGE 24 aprile 2014, n. 66 Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale. (G.U. 24 aprile 2014, n. 95) NOTA Pagamenti, edilizia scolastica, fatture, bandi, centri appaltanti: tutte le novità del Dl Irpef Costruzioni fuori dal nuovo meccanismo di cessione dei crediti, agevolato dal Cassa depositi e prestiti. Sul fronte dei pagamenti, il decreto spending review, approvato dal Consiglio dei ministri di venerdì scorso, spicca soprattutto per le sue mancanze. L'intervento di Cdp, infatti, non riguarderà il "conto capitale", nel quale si concentrano gli investimenti in edilizia. Tuttavia le imprese di costruzione incassano una norma che rende conveniente e praticabile il meccanismo della certificazione dei crediti con la Pa. Per il resto, viene anticipato l'obbligo di fatturazione elettronica (con indicazione di Cig e Cup) per le amministrazioni locali e spiccano le novità in materia di scuole: i Comuni potranno scomputare 244 milioni di euro dai limiti del patto di stabilità. E di locazioni degli immobili pubblici: parte un massiccio piano di rinegoziazione degli affitti, guidato dall'Agenzia del Demanio. Vediamo le novità voce per voce. Cassa depositi e prestiti Sul fronte dei pagamenti la novità più rilevante del provvedimento è quella che riguarda il coinvolgimento di Cassa depositi e prestiti nelle operazioni di cessione dei crediti. Il meccanismo, già annunciato dal premier Matteo Renzi al momento del suo insediamento, prevede che Cdp acquisti dalle banche i debiti ceduti dai creditori nell'ambito di operazioni garantite dallo Stato. In sostanza, la banca prende in carico il credito e, poi, grazie a una convenzione tra Abi e Cdp, lo cede alla Cassa che può ridefinire i tempi di pagamento, per dare più respiro alla Pa. Questa operazione, però, sarà di fatto preclusa alle imprese di costruzioni. In teoria, infatti, i pagamenti potranno riguardare somministrazioni, forniture, prestazioni professionali e appalti. In pratica, però, il Dl UNITELNews24 32 nasce con un problema: riguarda solo i debiti di parte corrente. Viene completamente escluso il "conto capitale", relativo agli investimenti, dove sono iscritte le fatture delle imprese edili. Discorso simile sulle attestazioni con le quali, dal 2014, i Comuni dovranno certificare l'andamento dei loro pagamenti arretrati per non subire sanzioni: nel testo si parla soltanto di "transazioni commerciali". Sono, allora, tagliati fuori gli appalti di lavori. Pagamenti Per il resto, altro denaro viene stanziato a favore delle Pa che vorranno liquidare le loro fatture arretrate. Secondo le indicazioni del Governo, si tratta di circa 8 miliardi in più, spalmati su diverse tipologie di operazioni. La fetta più rilevante (6 miliardi di euro) andrà a favore dei pagamenti da parte di Regioni ed enti locali in genere, mentre due miliardi serviranno a pagare le società partecipate dagli enti locali stessi. Tra le altre cose, 300 milioni saranno destinati ai Comuni che hanno deliberato lo stato di dissesto. Dal primo luglio del 2014, infine, le Pa dovranno tenere un registro unico di tutte le fatture, nel quale annotare i pagamenti, anche relativi agli appalti, entro dieci giorni. Le amministrazioni pubbliche dovranno anche pubblicare un indicatore di tempestività dei pagamenti secondo uno schema tipo che verrà predisposto con un apposito decreto entro 30 giorni dall'entra in vigore del provvedimento. Chi non si adegua rischia le sanzioni previste dal decreto sulla trasparenza (Dlgs 33/2013, articolo 46) che prevede responsabilità per i dirigenti responsabili oltre all'addio ai premi di risultato. Inoltre, con l'eslusione degli enti sanitari, chi nel 2014 supererà tempi medi di pagamento di 90 giorni, ridotti a 60 giorni nel 2015, non potrà procedere ad «assunzioni di personale a qualsiasi titolo». Edilizia scolastica In tema di scuole, il provvedimento prova a indurre un rilancio degli investimenti attraverso lo sblocco del patto di stabilità. Per gli anni 2014 e 2015, nell'ambito del saldo finanziario espresso in termini di competenza mista, le spese sostenute dai Comuni per interventi di edilizia scolastica "non sono considerate". Questa deroga, però, non è in bianco ma ha un tetto, pari a 122 milioni di euro per il 2014 e per il 2015. Per godere dello sgravio bisognerà essere inseriti in un Dpcm, da emanare al massimo entro il 15 giugno del 2014. Altri 300 milioni di euro arriveranno grazie a una delibera Cipe. Il Comitato dovrà verificare l'esistenza di fondi non spesi nell'ambito della programmazione per il 2007-2013 del Fondo per lo sviluppo e la coesione e dei piani stralcio del programma di messa in sicurezza degli edifici scolastici. A questi sommerà denaro in arrivo dai fondi europei per il 2014-2020, fino a raggiungere i 300 milioni di euro. Tutto quanto dovrà essere impiegato per le stesse finalità del programma avviato dal Dl 69/2013 della scorsa estate: riqualificazione e messa in sicurezza degli edifici Fatture elettroniche con Cig. Viene anticipato al 31 marzo 2015 (il termine previsto ora è il 6 giugno dello stesso anno) l'obbligo di fatturazione elettronica da parte dei fornitori delle amministrazioni locali. Per le amministrazioni centrali "principali" l'obbligo invece resta fermo al 6 giugno di quest'anno. Non solo. Al fine di assicurare la tracciabilità dei pagamenti il decreto impone di indicare nelle fatture elettroniche il codice identificativo di gara (Cig) e il codice unico di progetto (Cup) in caso di interventi relativi a opere pubbliche e di manutenzione straordinaria. In assenza di questi codici «le pubbliche amministrazioni non possono procedere al pagamento delle fatture». Dal primo luglio 2014 scatta poi per tutte le amministrazioni pubbliche l'obbligo di istituire un registro delle fatture (o le richieste equivalenti di pagamento) per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali. Senza possibilità di ricorrere a registri di settore o di reparto. Compensazione dei crediti. Compensazione più ampia per i crediti vantati nei confronti ella Pa. Salta il paletto che prevedeva la possibilità di compensare i debiti tributari solo con i crediti maturati prima del 31 dicembre 2012. Il decreto sopprime infatti questo riferimento temporale. Certificazione del crediti delle imprese nei confronti della Pa Il settore delle costruzioni incassa una novità importante in materia di certificazione. Con due interventi "chirurgici" di modifica al decreto legge 35/2013 sui pagamenti dei crediti della Pa, si dispone l'obbligo di apporre sempre la data alla certificazione del credito dell'impresa. Si tratta di una novità importante, perché la certificazione del credito senza data riveste un bassissimo interesse per gli istituti di credito ai quali si propone la cessione. Non solo. A questa novità se ne aggiunge una seconda, che consiste in una pesantissima sanzione personale a carico dell'amministratore che non rilascia la certificazione (e non spiega l'eventuale diniego). La sanzione UNITELNews24 33 di 100 euro per ogni giorno di ritardo è un formidabile antidoto contro l'inerzia del funzionario. Bandi solo in via telematica La prima robusta spending review del Governo Renzi tocca anche le procedure relative alle gare. Si stabilisce così che, per recuperare qualche euro, gli avvisi non andranno più su carta, non saranno più a carico delle stazioni appaltanti ma delle imprese. E che, soprattutto, verrà cancellato l'obbligo di pubblicazione sui quotidiani, sia sopra che sotto la soglia comunitaria. La novità inserita all'articolo 31 del provvedimento riguarda, in dettaglio, il taglio della norma che impone, per tutti i bandi, la pubblicazione per estratto su almeno due dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su almeno due a maggiore diffusione locale nel luogo ove si eseguono i contratti. Resta in piedi, allora, unicamente la pubblicazione sulla serie speciale della Gazzetta ufficiale. Si tratta di una novità della quale si parla da moltissimo: già il Governo Monti aveva provato a metterla in atto. Al di fuori della Gazzetta ufficiale, in base alle nuove regole, eventuali informazioni ulteriori, complementari o aggiuntive dovranno essere diffuse esclusivamente in via telematica. In aggiunta, il Dl precisa che "le spese per la pubblicazione" sono rimborsate alla stazione appaltante dall'aggiudicatario entro il termine di 60 giorni dall'aggiudicazione". Un modo per sgravare le Pa da un costo. Anche se va detto che già oggi sono imprese e progettisti a sopportare questi oneri, in seguito alla riforma introdotta dal decreto Sviluppo del 2012. Il beneficio sulle casse pubbliche, allora, rischia di essere piuttosto limitato. Stessa previsione viene inserita nei contratti sotto la soglia comunitaria. Anche in questo caso viene cancellata la pubblicità sui giornali, che prevede di andare su almeno uno dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su almeno uno dei quotidiani a maggiore diffusione locale "ove si eseguono i lavori". Allo stesso modo, le informazioni aggiuntive saranno diffuse solo per via telematica. E le spese andranno rimborsate dall'impresa che ha vinto la gara entro il termine di 60 giorni dall'aggiudicazione. Locazioni L'Agenzia del Demanio viene autorizzata a rinegoziare i contratti di locazione passiva in corso, "aventi ad oggetto immobili di proprietà di terzi in uso alle amministrazioni dello Stato e agli enti pubblici nazionali". Nel mirino finiscono i contratti i cui "canoni di locazione, oneri e costi d'uso" sono complessivamente superiori ai valori medi di mercato di riferimento. Questi contratti sono affidati all'Agenzia, che ha il compito di definire la rinegoziazione per abbattere i costi. Da questa operazione il Governo si attende di recuperare circa 100 milioni di euro. In aggiunta, l'operazione di taglio del 15% sugli affitti per uso istituzionale già deliberata dal precedente Governo viene anticipata da gennaio 2015 a luglio 2014. (Giuseppe Latour, Mauro Salerno e Massimo Frontera, Il Sole 24 ORE – Edilizia e Territorio, 25 aprile 2014) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 14 febbraio 2014 Attuazione dell'articolo 3, comma 4, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, in materia di riforma della disciplina relativa ai Contratti di sviluppo. (G.U. 28 aprile 2014, n. 98) Edilizia e urbanistica MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 27 dicembre 2013 Approvazione dell'elenco degli interventi ammessi al finanziamento del Primo Programma «6000 Campanili». (G.U. 7 aprile 2014, n. 81) UNITELNews24 34 AGENZIA DELLE ENTRATE RISOLUZIONE 37/E 9 APRILE 2014 NOTA Niente sanzione se «salta» l'aliquota agevolata Non c'è sanzione per mancata denuncia (ma solo il recupero dell'imposta nella misura ordinaria) se, una volta acquistato con l'agevolazione dell'1% di imposta di registro un immobile inserito in un piano particolareggiato di edilizia residenziale, l'intervento edilizio non venga completato entro 11 anni o l'immobile venga alienato prima del completamento dell'intervento stesso. Lo ritiene l'agenzia delle Entrate nella risoluzione 37/E di ieri, con un'interpretazione favorevole al contribuente. L'agevolazione derivava dall'articolo 1, comma 25, della legge 244/2007 (modificato dai Dl 255/2010 e 102/2013) e si è potuta applicare fino al 31 dicembre 2013 (la riforma dell'imposta di registro operata col Dlgs 23/2011 ha tagliato la maggior parte delle tassazioni agevolate, tra cui questa). Il beneficio era concesso a condizione che l'intervento edilizio fosse ultimato entro 11 anni (il termine originario era di cinque, poi prorogato di sei anni per la crisi dell'edilizia). Se l'immobile è alienato prima del completamento dell'intervento edilizio o se l'intervento non è completato entro il prescritto termine, si ha la decadenza: il fisco recupera la differenza d'imposta di registro rispetto alla tassazione ordinaria (7 o 8%, secondo i casi) e pretende gli interessi di mora, ma non applica sanzioni perché la norma non ne prevede. Restava il tema se al contribuente andasse applicata la sanzione per mancata denuncia ai sensi dell'articolo 19 del Dpr 131/1986, che obbliga il contribuente di denunciare gli eventi, successivi alla registrazione, che danno luogo a un debito di maggiore imposta. La risposta negativa delle Entrate era abbastanza scontata per il caso dell'alienazione dell'immobile acquistato con l'agevolazione prima dell'ultimazione dell'intervento: con la registrazione del contratto di vendita, il fisco viene a sapere dell'alienazione e quindi non può pretendere la denuncia di un fatto che già conosce. Meno scontata la risposta sul punto della mancata ultimazione della costruzione entro il termine prescritto dalla legge. L'Agenzia afferma che la denuncia non è dovuta, in quanto l'ufficio, iscrivendo "a campione" l'atto registrato con l'agevolazione, si procura con ciò un "promemoria" con il quale può programmare i suoi controlli (nel caso di specie: se l'intervento edilizio sia stato svolto e sia stato completato). La motivazione, però, non appare granchè convincente. perché in questo caso l'autodenuncia del contribuente non causerebbe il fastidioso effetto di provocare l'applicazione di sanzioni. Ma, dato che è favorevole al contribuente e dato che, in effetti, se gli uffici sono ben organizzati non perdono la possibilità di percepire una maggior imposizione, non resta che salutarla con favore. Sarà una maggior tassazione che dipenderà dunque dalla diligenza dell'ufficio e non da un'autodenuncia del contribuente. (Angelo Busani, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 10 aprile 2014) Pubblica amministrazione PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI E MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE - CIRCOLARE 31 MARZO 2014 N. 1/DF OGGETTO: Decreto 3 aprile 2013, n. 55, in tema di fatturazione elettronica - Circolare interpretativa. NOTA Fatture elettroniche alla Pa: i chiarimenti sull'obbligo Con la circolare n. 1/DF del 2014, il Dipartimento delle finanze e il Dipartimento della funzione pubblica hanno fornito i chiarimenti necessari per l’avvio del sistema di fatturazione elettronica nei confronti della Pa, già previsto dal 2007, ma che entrerà in funzione, peraltro solo parzialmente, dal 6 giugno 2014. Dalla legge del 2007 al regolamento del 2013. Con l’articolo 1 della legge 244/2007, come modificato dalla lettera a) del comma 13-duodecies dell’articolo 10 del Dl 201/2011, è stato UNITELNews24 35 previsto, al comma 209, al fine di semplificare il procedimento di fatturazione e registrazione delle operazioni imponibili, che l'emissione, la trasmissione, la conservazione e l'archiviazione delle fatture emesse nei rapporti con le amministrazioni pubbliche, anche sotto forma di nota, conto, parcella e simili, deve essere effettuata esclusivamente in forma elettronica, con l'osservanza del Codice dell'amministrazione digitale. I commi successivi demandavano poi a decreti ministeriali le norme attuative della disposizione. Con il Dm 3 aprile 2013 n. 55, in particolare, è stato approvato il regolamento in materia di emissione, trasmissione e ricevimento della fattura elettronica da applicarsi alle amministrazioni pubbliche. Primo step al 6 giugno 2014. L’articolo 6 del Dm 55/2013 stabilisce l’obbligo di fatturazione elettronica nei confronti dei ministeri, delle agenzie fiscali e degli enti nazionali di previdenza e assistenza sociale dal 6 giugno 2014 (12 mesi dall'entrata in vigore del decreto), mentre nei confronti di tutte le altre amministrazioni dal 6 giugno 2015. Queste date rivestono un ruolo fondamentale alla luce del comma 6 dell’articolo 6 in esame, secondo cui, a decorrere da tali date, le amministrazioni indicate non possono accettare fatture che non siano trasmesse in forma elettronica per il tramite del Sistema di interscambio (Sdi) e, trascorsi tre mesi da tali date, le stesse non possono procedere ad alcun pagamento, nemmeno parziale, sino all'invio delle fatture in formato elettronico. Con la circolare è stato chiarito, quindi, che è previsto una sorta di periodo transitorio, atteso che le fatture cartacee emesse prima delle ridette date saranno accettate e pagate nei tre mesi successivi alle date stesse; peraltro, qualora tali fatture cartacee, emesse prima delle date di introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica, dovessero essere in attesa di pagamento presso l’amministrazione ancora nei tre mesi successivi a tali date, non vi sarebbe comunque alcun problema per il loro pagamento e soprattutto non vi sarà la necessità che il fornitore debba emettere nuovamente i documenti in formato digitale. Codice univoco dell’ufficio da indicare in fattura. Per rendere possibile la fatturazione elettronica nei confronti della Pa è stato reso disponibile il cosiddetto "Sistema di interscambio (Sdi)", attraverso il quale i fornitori potranno inviare la fattura telematicamente all’amministrazione destinataria. Per realizzare ciò, ogni amministrazione deve dotarsi di un apposito codice univoco che sarà pubblicato nell’Indice delle pubbliche amministrazioni (Ipa) e pubblicato sull’apposito sito internet www.indicepa.gov.it. Tale codice dovrà essere indicato su ogni fattura elettronica emessa dal fornitore e sarà comunicato direttamente dall’amministrazione acquirente. Fattura emessa al momento di rilascio della ricevuta di consegna. Con la circolare è stato precisato che, considerando la normativa fiscale di cui all’articolo 21 del Dpr 633/1972, nonché le norme tecniche di utilizzo del sistema di fatturazione elettronica in questione disciplinate dal Dm 55/2013, la fattura elettronica si ha per emessa a fronte del rilascio da parte del sistema della ricevuta di consegna del documento, ovvero della notifica di mancata consegna, che può verificarsi per svariati motivi. Fattura via email se il sistema non funziona.Particolarmente importante è il punto 5 della circolare odierna che riguarda l’impossibilità di recapito della fattura elettronica, soprattutto in relazione all’articolo 6, comma 6, del Dm 55/2013, per cui il fornitore non può essere pagato fino a quando non viene trasmessa la fattura elettronica. È stato evidenziato che se l’amministrazione destinataria del documento non risulta censita in Ipa, il sistema di interscambio restituisce un’attestazione di avvenuta trasmissione della fattura con impossibilità di recapito. Il Dipartimento ha chiarito che tale documento è idoneo a dimostrare che la fattura è comunque pervenuta al Sdi e, pertanto, il fornitore può inviare direttamente all’amministrazione, anche via posta elettronica, la fattura digitale, la quale sarà regolarmente pagata, atteso che il sistema, di fatto, ha ricevuto il documento elettronico, che, però, stante l’assenza dell’amministrazione in Ipa, non è stato possibile consegnare all’ufficio competente. Analoga situazione si verifica quando, pur essendo presente l’amministrazione in Ipa, la consegna della fattura elettronica da parte del sistema di interscambio non è stata possibile per cause tecniche. Anche in questo caso, il fornitore, con l’attestazione di cui sopra, può inviare direttamente il documento all’amministrazione destinataria, che procederà al pagamento. (Alessandro Borgoglio, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 10 aprile 2014) UNITELNews24 36 LEGGE 7 aprile 2014, n. 56 Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni (G.U. 7 aprile 2014, n. 81) NOTA Il decreto in pillole CITTÀ METROPOLITANE - Vengono istituite 10 città metropolitane: oltre a Roma Capitale che per il suo status ha una disciplina speciale, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. Le città metropolitane dall'1 gennaio 2015 subentrano alle Province omonime e succedono a esse in tutti i rapporti attivi e passivi e ne esercitano le funzioni nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica e degli obiettivi del patto di stabilità interno. Tempi diversi sono previsti per Reggio Calabria, commissariata dal 2012: la città metropolitana non entra in funzione prima del rinnovo degli organi del Comune ed è costituita alla scadenza naturale degli organi della Provincia. Il ddl, che dà attuazione alle città metropolitane già previste dalla Costituzione ma mai decollate, le pensa come enti di secondo grado. Tra le altre, hanno funzioni legate a: pianificazione territoriale generale, mobilità e viabilità, promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale e dei sistemi di informatizzazione e digitalizzazione. IL SINDACO METROPOLITANO - E' di diritto il sindaco della città capoluogo a meno che lo statuto non ne decida l'elezione diretta, che però richiede apposita legge elettorale e la divisione del Comune capoluogo in più comuni. Gli altri organi della città metropolitana sono il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana. PROVINCE - Nella fase di transizione sono enti di secondo grado, mantengono le funzioni di area vasta ed esercitano le seguenti funzioni: di pianificazione riguardo a territorio, ambiente, trasporto, rete scolastica. Torna ad essere inclusa tra le funzioni la gestione dell'edilizia scolastica e il controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale. Con la redistribuzione di funzioni e personale tra Regioni e Comuni, e solo in piccola parte alle Province, viene ridistribuito sia il patrimonio, sia il personale con lo stesso compenso. Le funzioni che nell'ambito del processo di riordino sono trasferite dalle Province ad altri Enti continuano a essere da esse esercitate fino all'effettivo avvio dell'esercizio da parte dell'ente subentrante. NUOVI ORGANI PROVINCE - Sono organi delle Province il presidente, il consiglio provinciale e l'assemblea dei sindaci, ma tutti questi incarichi sono esercitati a titolo gratuito. Gli organi non sono piu' eletti dai cittadini. Il presidente della Provincia è eletto dai sindaci e dai consiglieri dei Comuni della Provincia. Il Consiglio provinciale, che è composto da un numero di membri differente a seconda del numero degli abitanti, è eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali dei comuni della Provincia. L'assemblea dei sindaci è composta dai sindaci dei Comuni appartenenti alla Provincia. E' previsto che entro la fine del 2014 ilnuovo meccanismo elettivo di secondo livello porti all'elezione del nuovo presidente e dei nuovi organi. ATTUALI PRESIDENTI PROVINCE E GIUNTE - E' prevista l'abolizione del livello politico elettivo con l'immediato addio al Consiglio provinciale. In attesa della costituzione dei nuovi organi, il presidente della Provincia e la Giunta restano in carica, ma a titolo gratuito, per l'ordinaria amministrazione fino all'insediamento del presidente eletto secondo il nuovo meccanismo e comunque non oltre il 31 dicembre 2014. Laddove le Province sono commissariate, il commissariamento è prorogato fino al 31 dicembre 2014. INCENTIVI A UNIONI DI COMUNI - Nell'ottica dell'efficacia, ottimizzazione e semplificazione il disegno di legge dà forte impulso ai piccoli e piccolissimi Comuni perché si organizzino in Unioni dei Comuni semplificando i percorsi burocratici. Tutte le cariche dell'unione sono a titolo gratuito e non prevedono personale politico appositamente retribuito. Per incentivare le unioni e fusioni, le Regioni possono decidere misure specifiche nella definizione del patto di stabilità verticale. REGIONI A STATUTO SPECIALE - Per le Regioni a statuto speciale vale, come sempre, disciplina autonoma. Tuttavia, riguardo alle città metropolitane si precisa che i principi della legge, valgono "come principi di grande riforma economica e sociale per la disciplina di città e aree metropolitane da adottare dalla Regione Sardegna, dalla Regione siciliana e dalla Regione Friuli Venezia Giulia in conformità ai rispettivi statuti". UNITELNews24 37 MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 28 febbraio 2014 Riparto degli spazi finanziari attribuiti agli enti locali per sostenere pagamenti di debiti in conto capitale, in attuazione dei commi 546 e seguenti, dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (G.U. 7 aprile 2014, n. 81) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 28 marzo 2014 Riparto delle somme di cui all'articolo 1, comma 10, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64 e ss.mm.ii., ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 (G.U. 8 aprile 2014, n. 82) AGENZIA PER L'ITALIA DIGITALE CIRCOLARE 10 aprile 2014, n. 65 Modalità per l'accreditamento e la vigilanza sui soggetti pubblici e privati che svolgono attività di conservazione dei documenti informatici di cui all'articolo 44-bis, comma 1, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. (G.U. 16 aprile 2014, n. 89) LEGGE 17 aprile 2014, n. 62 Modifica dell'articolo 416-ter del codice penale, in materia di scambio elettorale politico-mafioso (G.U. 17 aprile 2014, n. 90) NOTA In vigore la riforma del voto di scambio In vigore da oggi, in vista delle prossime elezioni europee, le norme sul voto di scambio. Sulla «Gazzetta Ufficiale» n. n. 90 del 17 aprile è stata infatti pubblicata la legge n. 62 che modifica l'articolo 416 ter del Codice penale nel senso più restrittivo approvato in maniera tormentata dal Parlamento. Per la contestazione del reato non servirà più necessariamente lo scambio di denaro, ma basteranno anche "altre utilità" che presuppongono accordi tra politici e organizzazioni mafiose. Il reato, dunque, sarà allargato anche ad altri tipo di legami e favori, non solo al pagamento di denaro. La versione approvata accoglie in larga parte le perplessità dei magistrati che avevano reso necessario un nuovo passaggio parlamentare. Problematica si era rivelata nella lettura delle toghe la deflazione del concetto di «disponibilità» del politico intenzionato a compromettersi con le organizzazioni criminali. Una nozione troppo scivolosa che si sarebbe rivelata di difficile, e presumibilmente spesso contestata applicazione. Ora Raffaele Cantone, neocommissario anticorruzione, sottolinea come il nuovo 416 ter sia «una norma scritta bene e utile ad arginare gli scambi illeciti tra mafia e politica». Il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti approva: «Abbiamo uno strumento in più contro le mafie – dice – e si toglie spazio alla zona grigia» quella del colletti bianchi e delle connivenze con le organizzazioni criminali. Il presidente dell'Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli: «La norma approvata non va incontro ad alcun rischio di "genericità" che, invece, formule meno definite, avrebbero rischiato di generare con il conseguente pericolo di rendere più difficile una sentenza di condanna». (Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 18 aprile 2014) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 10 febbraio 2014 Certificazione del rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno degli enti locali, per l'anno 2013 (G.U. 22 aprile 2014, n. 93) UNITELNews24 38 Rifiuti MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE DECRETO 24 aprile 2014 Disciplina delle modalità di applicazione a regime del SISTRI del trasporto intermodale nonche' specificazione delle categorie di soggetti obbligati ad aderire, ex articolo 188-ter, comma 1 e 3 del decreto legislativo n. 152 del 2006. (G.U. 30 aprile 2014, n. 99) NOTA SISTRI: pubblicato il decreto per la semplificazione e il trasporto intermodale Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 99 del 30 aprile 2014 il Decreto 24 Aprile 2014 “Disciplina delle modalità di applicazione a regime del SISTRI del trasporto intermodale nonché specificazione delle categorie di soggetti obbligati ad aderire, ex art. 188-ter, comma 1 e 3 del decreto legislativo n. 152 del 2006”, entrato in vigore il 1° maggio. In base al Decreto gli enti e le imprese produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi obbligati ad aderire al SISTRI sono: a) Gli enti e le imprese produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi da attività agricole ed agroindustriali con più di 10 dipendenti, esclusi, indipendentemente dal numero di dipendenti, gli enti e le imprese di cui all’art. 2135 del Codice Civile che conferiscono i propri rifiuti nell’ambito di circuiti organizzati di raccolta, ai sensi dell’art. 183, comma 1, lettera pp) del D.Lgs. n. 152/2006 b) Gli enti e le imprese con più di 10 dipendenti, produttori speciali di rifiuti speciali pericolosi c) Gli enti e le imprese produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi che effettuano attività di stoccaggio di cui all’art. 183, comma 1, lettera aa) del D.Lgs. n. 152/2006 d) Gli enti e le imprese che effettuano la raccolta, il trasporto, il recupero, lo smaltimento dei rifiuti urbani nella Regione Campania e) Gli enti e le imprese produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi da attività di pesca professionale e acquacoltura, di cui al D.Lgs. n. 4/2012, con più di 10 dipendenti, ad esclusione, indipendentemente dal numero di dipendenti, degli enti e delle imprese iscritti alla sezione speciale “imprese agricole” del Registro delle imprese che conferiscono i propri rifiuti nell’ambito di circuiti organizzati di raccolta, ai sensi dell’art. 183, comma 1, lettera pp) del D.Lgs. n. 152/2006. Per gli enti e le imprese produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi che non sono obbligati ad aderire al SISTRI, ovvero che non vi aderiscono volontariamente, restano fermi gli adempimenti e gli obblighi relativi alla tenuta dei registri di carico e scarico e del formulario di identificazione di cui agli articoli 190 e 193 del d.lgs. n. 152 del 2006 e successive modificazioni ed integrazioni. Per quanto riguarda il deposito di rifiuti nell'ambito di attività intermodale di carico e scarico, di trasbordo, e di soste tecniche all'interno di porti, scali ferroviari, interporti, impianti di terminalizzazione e scali merci, effettuato da soggetti ai quali i rifiuti sono affidati in attesa della presa in carico degli stessi da parte di un'impresa navale o ferroviaria o che effettua il successivo trasporto, questo viene considerato un deposito preliminare alla raccolta a condizione che non superi il termine finale di trenta giorni. Gli oneri sostenuti dal soggetto al quale i rifiuti sono affidati in attesa della presa in carico degli stessi da parte di un'impresa navale o ferroviaria o altra impresa per il successivo trasporto, sono posti a carico dei precedenti detentori e del produttore dei rifiuti, in solido tra loro. I rifiuti devono essere presi in carico per il successivo trasporto entro sei giorni dalla data d'inizio dell'attività di deposito preliminare alla raccolta. Se alla scadenza di tale termine i rifiuti non sono presi in carico dall'impresa navale o ferroviaria o da altri operatori che effettuano il successivo trasporto, il soggetto al quale i rifiuti sono affidati deve darne comunicazione formale, immediatamente e comunque non oltre le successive 24 ore, al produttore nonché, se esistente, all'intermediario o al diverso soggetto ad esso equiparato che ha organizzato il trasporto. Il produttore, entro i ventiquattro giorni successivi alla scadenza del termine di cui al primo periodo, deve provvedere alla presa in carico di detti rifiuti per il successivo trasporto e la corretta gestione dei rifiuti stessi. UNITELNews24 39 I soggetti tenuti ad aderire al SISTRI sono tenuti al versamento del contributo annuale entro il 30 giugno 2014, nella misura e con le modalità previste dalle disposizioni vigenti. Effettuato il pagamento dei contributi dovuti, gli operatori dovranno comunicare al SISTRI gli estremi di pagamento esclusivamente tramite accesso all'area «gestione aziende» disponibile sul portale SISTRI in area autenticata. (Francesca Sartori, Il Sole24 ORE – Tecnici 24) UNITELNews24 40 Giurisprudenza Ambiente CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza 2 aprile 2014, n. 70 NOTA Terre da scavo, la Consulta boccia le norme locali: «competenza statale» Il decreto Fare (Dl n. 69/2013) ha sbarrato definitivamente la strada alle norme regionali in materia di terre e rocce da scavo. È questa la conclusione alla quale giunge la Corte costituzionale nella sentenza n. 70 del 2014. Una pronuncia che prende le mosse dalla legge n. 4/2013 della Provincia autonoma di Trento. Ma che ha, in realtà, una portata molto più ampia, perché fissa un principio valido per tutte le amministrazioni, confermando quanto già deciso con la sentenza n. 300 del 2013 della Consulta, nei confronti del Friuli Venezia Giulia. Dopo anni di cambiamenti e modifiche, la disciplina del riutilizzo delle terre e rocce da scavo come sottoprodotti pare finalmente stabilizzata. Con la conversione in legge del decreto Fare, dal 21 agosto del 2013 sono in vigore disposizioni semplificate per quei materiali che non provengono da attività od opere soggette a valutazione d'impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale. In questi casi continua a valere quanto previsto dal decreto ministeriale 10 agosto 2012, n. 161 che fissa una procedura piuttosto complessa. Prima del varo del decreto Fare diverse amministrazioni avevano approvato una loro disciplina semplificata, per venire incontro alle imprese. Tra queste, la Provincia autonoma di Trento, che a marzo del 2013 ha promosso una norma rubricata «autorizzazioni al recupero di rifiuti costituiti da terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni». Nell'estate del 2013, però, è calata la scure del Governo, che ha impugnato quella legge perché invadeva la competenza esclusiva dello Stato in materia di ambiente, fissata dall'articolo 117 della Costituzione. La Provincia, infatti, dava la possibilità di «determinare la cessazione della qualifica di rifiuto», attraverso «una mera comunicazione, eseguita dal titolare dell'autorizzazione prima del trasporto all'esterno del cantiere». Una possibilità in contrasto con quanto previsto dal Codice Ambiente (Dlgs n. 152 del 2006), come modificato dal decreto Fare. Ragioni che non tengono, secondo la Provincia autonoma. Il motivo è che, «a parità di tutela dei valori ambientali», la normativa provinciale risponderebbe meglio «all'obiettivo di eliminare le incongruenze ed inutili complicazioni burocratiche, lamentate dagli operatori del settore», generate dalle regole statali in materia: il Dm n. 161 del 2012 e il Dl n. 69/2013. Quindi, non sarebbe «affatto dimostrata né dimostrabile la pretesa lesività dei valori ambientali, presupposta dalla difesa dello Stato sulla base di una mera difformità astratta tra disciplina statale e provinciale». La difesa della Provincia autonoma non ha convinto la Consulta. Secondo i giudici, infatti, «le disposizioni oggetto del presente giudizio attengono al trattamento dei residui di produzione, che non è riferibile a nessuna competenza propriamente regionale o provinciale, né statutaria, né desumibile» in alcun modo dalla Costituzione. Quindi, parliamo di un intervento che si colloca «nell'ambito della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, di competenza esclusiva dello Stato», che ha il compito di garantire «uno standard di tutela uniforme in materia ambientale che si impone sull'intero territorio nazionale, venendo a funzionare come un limite alla disciplina che Regioni e Province autonome possono dettare in altre materie di loro competenza». Per questo motivo, la questione è fondata e la norma provinciale viene cancellata. (Giuseppe Latour, Il Sole 24 ORE – Edilizia e Territorio, 4 aprile 2014) UNITELNews24 41 Appalti CONSIGLIO DI STATO, Sezione 3, Sentenza 27 marzo 2014, n. 1487 NOTA Gare, nel contrasto tra prezzo e ribasso prevale la volontà Il 27 marzo la Terza Sezione del Consiglio di Stato, con sentenza 1487/2014, ha confermato una sentenza del Tar Liguria in materia di gare d'appalto. Il ricorso traeva origine da un errore di redazione della componente economica del l'offerta da parte del l'aggiudicataria, laddove a fronte di un prezzo indicato in cifre e in lettere veniva indicata una percentuale di ribasso (7,25%) più alta rispetto a quella effettivamente risultante dalla differenza tra il prezzo offerto e la base d'asta (6,39%). In una prima fase la stazione appaltante ha ritenuto che, tra due indicazioni contraddittorie, dovesse prevalere quella più favorevole all'Amministrazione e, pertanto, ha proceduto all'aggiudicazione provvisoria con un ribasso pari al 7,25 %, cui corrispondeva, pertanto, un prezzo sensibilmente più basso rispetto a quello indicato in cifre e in lettere nell'offerta. In seguito, su istanza dell'aggiudicataria provvisoria, la stazione appaltante provvedeva alla rettifica del prezzo di aggiudicazione, ritenendo accoglibili le motivazioni espresse da quest'ultima laddove veniva chiaramente specificato che il prezzo offerto costituiva la somma esatta delle 6 voci componenti dell'offerta e che, pertanto, sussistevano criteri oggettivi per ritenere che il ribasso percentuale indicato fosse il frutto di un mero errore di calcolo, senza ricorrere ad integrazioni dell'offerta. Questo anche in applicazione del principio civilistico dell'interpretazione dei contratti secondo buona fede espresso dall'articolo 1366 del Codice civile. Confermando la sentenza di primo grado, il Consiglio di Stato ha affermato il principio secondo cui «le offerte di gara, intese come atto negoziale, sono suscettibili di essere interpretate alla ricerca della effettiva volontà del dichiarante; con la conseguenza, fra l'altro, che tale attività interpretativa può consistere anche nella individuazione e nella rettifica di eventuali errori di scritturazione e di calcolo. A condizione, s'intende, che alla rettifica si possa pervenire con ragionevole certezza, e, comunque, senza attingere a fonti di conoscenza estranee all'offerta medesima né a dichiarazioni integrative o rettificative dell'offerente, che non sono ammesse», non potendosi qualificare come tale l'istanza di autotutela da parte dell'aggiudicataria provvisoria. Devono dunque essere escluse dalle gare le offerte ambigue e incerte solo a condizione che «l'ambiguità dell'offerta non sia superabile mediante gli opportuni strumenti interpretativi». In merito a una seconda contestazione, il Consiglio di Stato ha sottolineato il principio secondo cui le norme sul controllo dell'anomalia delle offerte «hanno lo scopo di tutelare la concorrenza e dunque di evitare che gli enti appaltanti possano eluderla eliminando le offerte migliori sotto il pretesto del l'anomalia. Solo indirettamente e in via di fatto la verifica del l'anomalia tutela l'interessa del secondo graduato a vedere escluso il primo». Pertanto, sarà più rigorosa la necessità di analitica motivazione qualora un'offerta venga considerata anomala, rispetto all'ipotesi contraria, nella quale invece l'Amministrazione consideri valida l'offerta obiettivamente risultata più vantaggiosa. Il concorrente collocatosi secondo in graduatoria non può lamentare l'anomalia di un'offerta poco migliore della propria, laddove un basso differenziale tra le due offerte può essere considerato ulteriore riprova della non anomalia dell'offerta risultata aggiudicataria. Infatti, per essere considerato anomalo, il prezzo offerto deve essere «talmente fuori mercato, da rendere macroscopicamente errata la decisione dell'Istituto di accettarlo come congruo», circostanza che, qualora dovesse ricorrere, finirebbe per travolgere anche l'offerta qualificatasi seconda (in quanto non troppo dissimile), con conseguente venir meno dell'interesse a sollevare l'eccezione. (Giuseppe Franco Ferrari, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 4 aprile 2014) UNITELNews24 42 TAR PIEMONTE, Sentenza 27 marzo 2014 n. 544 NOTA Appalti, l'Ati verticale e le quote di partecipazione alla gara In sede di offerta, la mancata indicazione, con formula espressa, delle rispettive quote di assunzione dei lavori da parte di associazione temporanea di imprese (Ati) di tipo verticale, non comporta sempre un'esclusione "automatica" dalla gara È il principio stabilito dal Tar Piemonte con la recente sentenza del 27 marzo 2014 n. 544, in relazione alla partecipazione delle imprese riunite nelle gare d'appalto e in specie in relazione alla corrispondenza fra quota di partecipazione e quota di esecuzione (in base all'articolo 37, comma 13, del Codice dei contratti), che le Stazioni Appaltanti dovranno prudentemente tenere in considerazione nell'ambito degli affidamenti di contratti pubblici in materia di lavori. LA NORMA La disposizione di riferimento è l'articolo 37, comma 13, del Dlgs 163/2006 (Codice dei Contratti pubblici) che, nel testo novellato dalla lettera a), comma 2-bis, articolo 1 del Dl 6 luglio 2012 n. 95 (introdotto dalla Legge di conversione 7 agosto 2012 n. 135 e quindi decorrente dal 15 agosto 2012), prevede che i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo, nel caso di appalti pubblici di lavori, devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento. In relazione alla natura giuridica e la portata applicativa della norma, il Consiglio di Stato, con l'adunanza plenaria del 30 gennaio 2014 n. 7, ha confermato i principi consolidati dalla giurisprudenza amministrativa, ancorché antecedenti al Dl 95/2012, relativi a una lettura unitaria della norma sancita dal comma 13 e dal comma 4 dello stesso articolo 37, e più precisamente: a) corrispondenza sostanziale, già nella fase dell'offerta, tra le quote di partecipazione all'Ati e le quote di esecuzione delle prestazioni, costituendo la relativa dichiarazione requisito di ammissione alla gara, e non contenuto di obbligazione da far valere solo in sede di esecuzione del contratto; b) funzione dell'obbligo di corrispondenza fra quote di partecipazione ed esecuzione ravvisata in queste esigenze: I) conoscenza preventiva, da parte della stazione appaltante, del soggetto incaricato di eseguire le prestazioni e della misura percentuale, al fine di rendere più spedita l'esecuzione del rapporto individuando ciascun responsabile; II) agevolare la verifica della competenza dell'esecutore in relazione alla documentazione di gara; III) prevenire la partecipazione alla gara di imprese non qualificate; c) Trattandosi di un precetto imperativo che introduce un requisito di ammissione, quand'anche non esplicitato dalla lex specialis, la eterointegra in base all'articolo 1339 Codice civile, sicché la sua inosservanza determina l'esclusione dalla gara; d) Tale obbligo di dichiarazione in sede di offerta si impone per tutte le tipologie di associazione temporanea di imprese (costituite, costituende, verticali, orizzontali), per tutte le tipologie di prestazioni (scorporabili o unitarie, principali o secondarie), e per tutti i tipi di appalti (lavori, servizi e forniture), indipendentemente dall'assoggettamento della gara alla disciplina comunitaria; e) poiché l'obbligo di simmetria tra quota di esecuzione e quota di effettiva partecipazione all'Ati scaturisce e si impone ex lege, è necessaria e sufficiente, in sede di formulazione dell'offerta, la dichiarazione delle quote di partecipazione cui la legge attribuisce un valore predeterminato, che è quello dell'assunzione dell'impegno da parte delle imprese di eseguire le prestazioni in misura corrispondente. IL PARERE DELTAR PIEMONTE In relazione al principio di cui al punto d) richiamato dal Consiglio di Stato (e in specie nella parte in cui è stabilito che l'obbligo di dichiarazione in sede di offerta si impone per tutte le tipologie di Ati), occorre evidenziare la puntualizzazione fatta dai giudici amministrativi piemontesi, che hanno messo in rilievo l'esistenza di una distinzione tra Ati orizzontali e verticali, che poggia sul contenuto delle competenze portate da ciascuna impresa raggruppata, ai fini della qualificazione a una determinata gara. La distinzione incide sul diverso grado di intensità dell'onere di dichiarare le quote di partecipazione e di assunzione in fase di presentazione dell'offerta, in quanto l'Ati verticale è sempre connotata dalla circostanza che l'impresa mandataria apporta competenze incentrate sulla prestazione prevalente, diverse da quelle delle mandanti provviste della capacità per le prestazioni secondarie scorporabili. UNITELNews24 43 L'obbligo di specificare le parti del servizio che saranno eseguite dalle singole imprese, inoltre, deve ritenersi assolto sia in caso di indicazione, in termini descrittivi, delle singole parti del servizio da cui sia evincibile il riparto di esecuzione tra le imprese associate, sia in caso di indicazione, in termini percentuali, della quota di riparto delle prestazioni che saranno eseguite tra le singole imprese. Il giudice di prime cure aggiunge ancora che l'esclusione dei concorrenti può essere disposta soltanto nell'ipotesi di effettiva e insanabile incertezza sulla suddivisione delle rispettive prestazioni all'interno del raggruppamento e sul connesso profilo della dimostrazione della qualificazione per la categoria prevalente, da parte della capogruppo, e per la categoria secondaria, da parte della mandante. CONCLUSIONI Occorre, pertanto, che le amministrazioni tengano presente l'orientamento adottato dal Tar Piemonte dal quale pare derivare la conseguenza che la mancata indicazione, con formula espressa, in sede di offerta delle rispettive quote di assunzione dei lavori, da parte di Ati di tipo verticale, non comporta sempre un'esclusione "automatica" dalla gara, così come parrebbe enunciato dal Consiglio di Stato nella sentenza del 30 gennaio 2014 n°7. Viceversa, la statuizione del giudice amministrativo di primo grado implica, per la commissione di gara, un'attenta e puntuale analisi dell'offerta la quale risulta ammissibile se dalla stessa si può evincere, anche se non dichiarato espressamente, la suddivisione delle rispettive prestazioni all'interno del raggruppamento. (Marco Diato, Il Sole 24 ORE – Guida a gli Enti locali, 15 Aprile 2014) TAR VENETO, Sentenza 8 aprile 2014 n. 486 NOTA Gare, 15 giorni in più per i contributi Inps Le imprese possono partecipare con meno affanni a gare di appalto, perché possono regolarizzare la loro posizione contributiva entro 15 giorni da quando gli enti previdenziali deputati all'emanazione del Durc attivano il procedimento di regolarizzazione. Lo sottolinea il Tar Veneto nella sentenza 8 aprile 2014 n. 486, ricordando che le stazioni appaltanti devono acquisire d'ufficio il Durc. Tale acquisizione, sottolineano i giudici, avviene attraverso strumenti informatici, ed è volta ad una verifica della dichiarazione sostitutiva relativa al requisito dell'articolo 38, comma 1, lettera i del Codice dei contratti (assenza di violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali). L'acquisizione di ufficio è prevista dall'articolo 31, comma 8 del Dl 21 giugno 2013, n. 69, entrato in vigore il 22 giugno 2013: ma qualora i requisiti di regolarità manchino, non va adottato un provvedimento negativo, bensì si deve invitare l'interessato a regolarizzare la propria posizione. Tale regolarizzazione deve avvenire entro un termine non superiore a quindici giorni, e deve corrispondere alle cause dell'irregolarità che l'ente pubblico deve analiticamente indicare. La situazione è quindi così riassumibile: la legge sugli appalti (articolo 38, decreto legislativo n. 163 del 2006) risulta modificata dall'articolo 31 del Dl 69/2013, norma che ha spostato la data limite per il requisito della regolarità contributiva, che passa dal momento della presentazione della domanda di ammissione alla gara, al momento di scadenza del termine di quindici giorni assegnato dall'ente previdenziale all'impresa interessata per la regolarizzazione della posizione contributiva. Ciò significa che il requisito della regolarità contributiva, necessario per la partecipazione alle gare pubbliche, non deve più intendersi come necessariamente sussistente al momento della presentazione della domanda di ammissione alla procedura (o alla scadenza del termine per presentare la domanda previsto dal bando), ma deve sussistere al momento di scadenza del termine di quindici giorni assegnato dall'ente previdenziale per la regolarizzazione della posizione contributiva. La materia è in continua evoluzione, in quanto il Dl 34/2014, entrato in vigore il 21 marzo 2014 ed in attesa di conversione, prevede ulteriori semplificazioni. In particolare, chiunque abbia interesse può verificare la regolarità contributiva nei confronti di Inps, Inail e Casse edili con una interrogazione che richiede solo il codice fiscale del soggetto. Soprattutto un decreto interministeriale da emanarsi entro maggio 2014 definirà i requisiti di regolarità. Tali requisiti riguarderanno ad esempio i pagamenti scaduti sino all'ultimo giorno del secondo mese antecedente a quello in cui la verifica è effettuata, a condizione che sia scaduto anche il termine di presentazione delle relative denunce retributive. L'interrogazione telematica, UNITELNews24 44 che è in vigore dal già dal 21 marzo 2014, soddisfa l'obbligo di verifica della sussistenza del requisito di ordine generale di cui all'articolo 38, comma 1, lettera i), del Dlgs 12 aprile 2006, n. 163 (assenza di violazioni gravi), superando la Banca dati nazionale dei contratti pubblici, istituita presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici . (Guglielmo Saporito, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 10 aprile 2014) CORTE DI CASSAZIONE, Sezione 6 civile, Ordinanza 11 aprile 2013, n. 8890 NOTA Appalto senza compenso se manca la concessione edilizia Il costruttore non può pretendere compensi se le opere che ha realizzato non hanno ottenuto la concessione edilizia. Ed è escluso anche il pagamento per i lavori extra appalto anch'essi privi del via libera dell'amministrazione. La Cassazione con la sentenza 8890, lascia a bocca asciutta l'appaltante che aveva portato in tribunale la società per la quale aveva eseguito dei lavori illegittimi, chiedendo comunque il pagamento di tutte le opere o, in subordine, di quelle non previste dal contratto originario. La Cassazione delude però le aspettative, chiarendo che il contratto d'appalto che ha come oggetto una costruzione abusiva è nullo e può costituire anche un illecito penale. Per questo l'appaltatore non può pretendere né il corrispettivo pattuito né l'indennizzo previsto dall'articolo 1671 del codice civile. Ed è inutile per l'appaltante cercare una giustificazione nell'ignoranza del mancato rilascio della concessione edilizia, perché la legge (47/1985, articolo 6) impone anche al costruttore l'obbligo giuridico del rispetto della normativa in materia. Non passa neppure la minor pretesa di avere il saldo relativo alla realizzazione di una piscina e di un muro di contenimento costruiti fuori dall'appalto. Anche le opere marginali extra appalto sono fatte gratis se abusive. (Patrizia Masciocchi, Il Sole 24 ORE, 17 aprile 2014) CORTE DI CASSAZIONE, Sezione 6 civile, Ordinanza 15 aprile 2013, n. 9123 NOTA Lavori pubblici, calcolo degli interessi in base al criterio della competenza «Nel regime antecedente al d.leg n.344 del 2003, gli interessi di mora sui compensi dovuti all'appaltatore di opere pubbliche vanno tassati in ragione della loro maturazione, in applicazione del principio di competenza». È quanto si legge a conclusione della sentenza 9123 della Corte di Cassazione depositata lo scorso 23 aprile. Affermando questo principio, la corte (sezione V civile) accoglie il ricorso dell'Agenzia delle Entrate che si era visto annullare dalle commissioni tributarie locali (provinciale prima e regionale poi) un avviso di accertamento nei confronti di un'impresa di costruzioni pugliese, dopo il ricorso di quest'ultima. Le commissioni tributarie avevano infatti accolto le ragioni dell'impresa accogliendo la tesi che, «per gli interessi di mora il legislatore ha adottato il principio di cassa e non quello di competenza, riconoscendo rilievo all'esercizio in cui essi sono percepiti, là dove, quanto alle maggiorazioni di prezzo, ha rilevato che relative richieste non trovano riscontro nella legge o nel contratto». Nella trattazione del caso, la Corte smonta questo principio e accoglie la tesi delle Entrate secondo cui «gli interessi di mora sui compensi dell'appaltatore di opere pubbliche sono oggetto di diritti e non di mere aspettative, di guisa che essi vanno tassati in ragione della loro maturazione e non già del loro incasso». Tuttavia il principio - precisa la Corte - vale solo anteriormente all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 344 del 2003. Dopo tale provvedimento infatti, si afferma un netto cambio di rotta rispetto al passato. Infatti, si legge nella sentenza, «la novella normativa introdotta dal d.leg 344 del 2003, che, rinumerando come 109 l'art. 75 del dpr 917/86, ha introdotto la disposizione secondo cui "in deroga al comma 1, gli interessi di mora concorrono alla formazione del reddito nell'esercizio in cui sono percepiti o corrisposti" (7° comma dell'articolo 109), ha valore chiaramente innovativo, risultando ratione temporis inapplicabile, come, del resto, espressamente la disciplina transitoria, nel prevedere che "in deroga alle disposizioni di cui all'articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n.212, l'articolo 109, comma 7, del citato testo unico delle imposte sui redditi, così come modificato dal presente decreto legislativo, si applica a decorrere dal periodo di imposta in corso all'8 agosto 2002", stabilisce (art. 4 lettera "i") del decreto legislativo 344/2003». Gli interessi di mora, conclude la Corte, relativamente al periodo anteriore all'entrata in vigore del d.lgs 344 andranno dunque ricalcolati (da un'altra sezione della commissione tributaria regionale). (Il Sole 24 ORE – Edilizia e Territorio,28 aprile 2014) UNITELNews24 45 Catasto CONSIGLIO DI STATO, Sentenza 16 aprile 2014 n. 1903 NOTA Sulle microzone catastali ricorso in commissione tributaria Occorre rivolgersi alle Commissioni tributarie per criticare la suddivisione del territorio di un Comune in microzone catastali, nella procedura di classamento delle unità immobiliari. Lo sottolinea il Consiglio di Stato nella sentenza 16 aprile 2014 n. 1903. Il caso deciso riguarda la città di Lecce e un ricorrente che aveva impugnato gli atti di suddivisione in microzone catastali successivamente alla notifica dell'accertamento catastale per revisione del classamento e della rendita. In primo grado il Tar locale aveva condiviso le censure ipotizzate dal privato, e in particolare il difetto di istruttoria e di motivazione in cui sarebbero incorse sia l'amministrazione comunale nel chiedere il riclassamento, sia l'agenzia del Territorio con riferimento all'istruttoria compiuta e alla conclusione del procedimento, a partire dalla individuazione delle microzone. Diverso è stato l'orientamento del giudice di appello, che attribuisce alle Commissioni tributarie una competenza specifica, in deroga a quella generale prevista dall'articolo 2 comma 2 del Dlgs 546/1992. La norma del 1992 affida al giudice amministrativo le decisioni su provvedimenti conclusivi dell'agenzia del Territorio qualora si denuncino vizi previsti dalla disciplina del processo amministrativo, quali il difetto di motivazione, negli atti di pianificazione tributaria. Appunto vedendo atti di carattere generale nella modificazione delle rendite catastali per terreni e fabbricati, si pensava che la relativa contestazione appartenesse al giudice amministrativo: ma la tesi non è stata condivisa dal Consiglio di Stato. La sentenza 1903/2014 fa infatti prevalere l'articolo 74 della legge 342/2000, norma secondo la quale gli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati vanno notificati ai soggetti intestatari della partita, e dall'avvenuta notificazione decorre il termine di 60 giorni per proporre il ricorso al giudice tributario. Questo ricorso, a norma dell'articolo 74 – sottolinea la sentenza – allarga le attribuzioni originarie del giudice tributario e prevede un'impugnazione in via principale, non più solo incidentale, di un atto presupposto qual è la suddivisione in zone. Infatti, entro 60 giorni va impugnato il provvedimento lesivo (la nuova zonizzazione), chiedendo al giudice tributario di risolvere in via incidentale una questione (la suddivisione in microzone) da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione (il prelievo tributario). Il che significa che il ricorso proposto a norma dell'articolo 74 della legge 342/2000 aggredisce direttamente l'atto presupposto (la zonizzazione), ossia può contestare l'atto generale di pianificazione in tema di attribuzione o modificazione delle rendite catastali per terreni e fabbricati, senza attendere la mediazione dell'atto impositivo (che quantifica il prelievo). In questo modo, il ricorso tributario supera il meccanismo della disapplicazione, che prevedeva la contestazione della zonizzazione solo insieme all'atto impositivo, e conduce a una cognizione piena del giudice tributario anche sull'atto a monte, con attribuzione alle Commissioni del potere di annullamento, in una ottica di concentrazione e unità del processo. (Guglielmo Saporito, Il Sole24 ORE – Norme e Tributi, 22 aprile 2014) Economia, fisco, agevolazioni e incentivi CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza 8 aprile 2014 n. 80 NOTA Pena allineata con la denuncia infedele per l'omesso versamento dell'Iva dichiarata Viola il principio di uguaglianza, ed è dunque incostituzionale, la norma che assoggetta l'omesso versamento dell'Iva che sia stata però correttamente denunciata in dichiarazione, ad un «trattamento deteriore» rispetto a quello riservato a chi non presenti affatto la dichiarazione o ne presenti una infedele, essendo questi ultimi «illeciti incontestabilmente più gravi». La Corte costituzionale, con la sentenza 80/2014di oggi, ha così dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 10-ter del Dlgs 74/2000, nella parte in cui (con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011) puniva l'omesso versamento dell'Iva dichiarata, per importi non superiori ad 103.291,38 euro. UNITELNews24 46 Cosa prevedeva la norma - L'articolo 10-ter, spiega la Consulta, protegge l'interesse del Fisco alla riscossione dell'imposta così come "autoliquidata" dallo stesso contribuente. Infatti, «il presupposto per la sua applicazione è che il soggetto di imposta abbia presentato la dichiarazione annuale ai fini dell'Iva, dalla quale risulti un saldo debitorio superiore a 50.000 euro, senza che sia seguito il pagamento, entro il termine previsto, della somma ivi indicata come dovuta». Il difetto di coordinamento - Una simile previsione però presenta «un evidente difetto di coordinamento» tra la soglia di punibilità di questo delitto (omesso versamento) e quelle relative ai delitti in materia di dichiarazione infedele e omessa dichiarazione (di cui agli artt. 4 e 5 del Dlgs n. 74/2000). Un difetto di coordinamento «foriero di sperequazioni sanzionatorie che, per la loro manifesta irragionevolezza, rendono censurabile l'esercizio della discrezionalità pure spettante al legislatore in materia di configurazione delle fattispecie astratte di reato». Omessa dichiarazione - Infatti, in tema di omessa dichiarazione, l'articolo 5 del Dlgs n. 74 del 2000 richiedeva, per la punibilità della condotta che l'imposta evasa fosse superiore a 77.468,53 euro. «Ciò comportava una conseguenza palesemente illogica, nel caso in cui l'Iva dovuta dal contribuente si situasse nell'intervallo tra le due soglie (eccedesse, cioè, i 50.000 euro, ma non i 77.468,53 euro)». In tale evenienza, infatti, «veniva trattato in modo deteriore chi avesse presentato regolarmente la dichiarazione Iva, senza versare l'imposta dovuta in base ad essa, rispetto a chi non avesse presentato la dichiarazione, evadendo del pari l'imposta». Nel primo caso, ricostruisce la sentenza, il contribuente avrebbe dovuto rispondere del reato di omesso versamento dell'Iva, stante il superamento della relativa soglia di punibilità; nel secondo sarebbe rimasto invece esente da pena, non risultando attinto il limite di rilevanza penale dell'omessa dichiarazione. Dichiarazione infedele - E «analoga discrasia» era ravvisabile in rapporto alla dichiarazione infedele, la cui punibilità presupponeva, ai sensi dell'articolo 4, che l'imposta evasa risultasse superiore a 103.291,38 euro. Laddove, infatti, l'Iva da versare «si collocasse tra l'uno e l'altro limite di rilevanza (50.000 e 103.291,38 euro), fruiva di un miglior trattamento il contribuente che presentasse una dichiarazione inveritiera (non punibile per mancato superamento della relativa soglia), rispetto al contribuente che esponesse invece fedelmente la propria situazione in dichiarazione, salvo poi a non versare l'imposta di cui si era riconosciuto debitore». La correzione del Legislatore - L'articolo 2, comma 36-vicies semel, del Dl n. 138/2011 (aggiunto dalla legge di conversione n. 148 del 2011) ha raddrizzato una simile stortura riducendo la soglia di punibilità dell'omessa dichiarazione a 30.000 euro (lettera f) e quella della dichiarazione infedele a 50.000 euro (lettera d): «dunque, ad un importo inferiore, nel primo caso, e pari, nel secondo, a quello della soglia di punibilità dell'omesso versamento dell'IVA, rimasta per converso inalterata. In tal modo, la distonia dianzi evidenziata è venuta meno». Tuttavia, la previsione era applicabile ai soli fatti successivi alla entrata in vigore della legge di conversione (17 settembre 2011). Né potrebbe essere altrimenti, discutendosi di modifiche di segno sfavorevole per il reo. La pronuncia - Per cui, osserva la Corte costituzionale, «al fine di rimuovere nella sua interezza la riscontrata duplice violazione del principio di eguaglianza è necessario evidentemente allineare la soglia di punibilità dell'omesso versamento dell'IVA - quanto ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011 - alla più alta fra le soglie di punibilità delle violazioni in rapporto alle quali si manifesta l'irragionevole disparità di trattamento: quella, cioè, della dichiarazione infedele (euro 103.291,38)». (Il Sole 24 ORE - Guida al Diritto, 9 aprile 2014) Edilizia e urbanistica CONSIGLIO DI STATO, Sezione VI, Sentenza 11 aprile 2014, n. 1777 NOTA Niente titolo edilizio se la veranda sul terrazzo è poggiata e non «ancorata» La struttura «poggiata» ma non «ancorata in modo fisso» al pavimento si configura come un arredo esterno «facilmente amovibile» e non richiede titolo abilitativo, neanche se la struttura prevede binari di scorrimento a terra. Lo precisa il Consiglio di Stato (sentenza 1777/2014, VI sezione, depositata l'11 aprile) che ribalta la precedente sentenza del Tar Lazio. I giudici di primo grado avevano infatti respinto il ricorso di un proprietario di casa nella periferia romana che aveva appunto realizzato una struttura coperta sul suo terrazzo. Dopo la contestazione del Comune (previo sopralluogo della Polizia municipale) il UNITELNews24 47 Tar Lazio aveva respinto il ricorso del proprietario, confermando l'intimazione del Comune a sospendere i lavori e a demolire la struttura in legno (realizzata nella primavera del 2012) sul proprio terrazzo. La struttura, si legge nella descrizione riportata nel testo della sentenza, è «costituita da due pali dello spessore di 8,50 cm x 11,50 cm poggiati sul pavimento del terrazzo a livello e da quattro traverse con binario di scorrimento a telo in PVC della superficie di 15 mq e dell'altezza variabile da 2,80 m a 2,10 m, ancorata al sovrastante balcone e munita di una copertura rigida di 0,80 (in aggetto) x 5,00 m a riparo del telo retraibile». Ebbene, tale tipo di struttura, secondo i giudici di Palazzo Spada, «non configura né un aumento del volume e della superficie coperta, né la creazione o modificazione di un organismo edilizio, né l'alterazione del prospetto o della sagoma dell'edificio cui è connessa, in ragione della sua inidoneità a modificare la destinazione d'uso degli spazi esterni interessati, della sua facile e completa rimuovibilità, dell'assenza di tamponature verticale e della facile rimuovibilità della copertura orizzontale (addirittura retraibile a mezzo di motore elettrico)». «La stessa - si aggiunge - deve, invece, qualificarsi alla stregua di arredo esterno, di riparo e protezione, funzionale alla migliore fruizione temporanea dello spazio esterno all'appartamento cui accede, in quanto tale riconducibile agli interventi manutentivi non subordinati ad alcun titolo abilitativo ai sensi dell'art. 6, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001». (Massimo Frontera, Il Sole 24 ORE - Edilizia e Territorio, 24 aprile 2014) CONSIGLIO DI STATO, Sezione V, Sentenza 16 aprile 2014, n. 1951 NOTA La piscina prefabbricata «di modeste dimensioni» è sempre di pertinenza «È indubbio che la realizzazione di una piscina prefabbricata di dimensioni relativamente modeste in rapporto all'edificio a destinazione residenziale, sito in zona agricola, rientra nell'ambito delle pertinenze, cui fa riferimento l'art. 7, secondo comma, lett. a) del d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, convertito nella L. 25 marzo 1982, n. 94 , il quale prevede la realizzabilità delle pertinenze con la semplice autorizzazione gratuita (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13 ottobre 1993, n. 1041)».È uno dei passaggio della sentenza numero 1951 del Consiglio di Stato (sezione V) depositata lo scorso 16 aprile in cancelleria. Prosegue la sentenza: «Ciò che rileva, infatti, ai sensi dell'art. 7, secondo comma, lett. a) «opere costituenti pertinenze od impianti tecnici al servizio di edifici già esistenti», è che sussista un rapporto pertinenziale tra un edificio preesistente e l'opera da realizzare e tale rapporto sia oggettivo nel senso che la consistenza dell'opera deve essere tale da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio e deve inquadrarsi nei limiti di un rapporto adeguato e non esorbitante rispetto alle esigenze di un effettivo uso normale del soggetto che risiede nell'edificio principale». «Nel caso in esame - scrivono ancora i giudici di Palazzo Spada - la piscina prefabbricata, di dimensioni normali, annessa ad un fabbricato ad uso residenziale sito in zona agricola, ha certamente natura obiettiva di pertinenza, e costituisce un manufatto adeguato all'uso effettivo e quotidiano del proprietario dell'immobile principale». «In conclusione, può ben affermarsi che l'installazione di una piscina prefabbricata di modeste dimensioni non integra violazione degli indici di copertura che riguardano interventi edilizi, né degli standard, atteso che non aumentano il carico urbanistico della zona, rilevando solo in termini di sistemazione esterna del terreno, e che i vani per impianti tecnologici sono sempre e comunque consentiti». (Il Sole 24 ORE – Edilizia e Territorio, 24 aprile 2014) UNITELNews24 48 Antincendio Obbligatorietà dell'aggiornamento degli addetti antincendio per il rilascio del CPI Negli ultimi tempi sono sempre più numerose le segnalazioni da parte di imprese alle quali, in sede di rinnovo del certificato di prevenzione incendi, viene richiesto da parte del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco l'attestato di partecipazione al corso di aggiornamento per addetto antincendio. Tale richiesta è supportata dalla Circolare prot. 12653 del 23 febbraio 2011 emessa dal Ministero dell'Interno - Direzione Centrale per la Formazione che prevedeva semplici indicazioni per uniformare, su scala nazionale, i programmi formativi qualora le imprese facessero volontaria richiesta di corsi di aggiornamento. Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 – Ambiente, Antincendio, Sicurezza, 15 aprile 2014, n. 2 I contenuti dell'aggiornamento La Direzione aveva previsto i seguenti contenuti dei corsi di aggiornamento, distinti per tipologia di rischio: CORSO A: AGGIORNAMENTO ADDETTO ANTINCENDIO IN ATTIVITÀ A RISCHIO D'INCENDIO BASSO (DURATA 2 ORE) Tabella 1 ARGOMENTO DURATA 1) ESERCITAZIONI PRATICHE - Presa visione del registro della sicurezza antincendi e chiarimenti sugli estintori 2 ore portatili; - istruzioni sull'uso degli estintori portatili effettuata o avvalendosi di sussidi audiovisivi o tramite dimostrazione pratica CORSO B AGGIORNAMENTO ADDETTO D'INCENDIO MEDIO (DURATA 5 ORE) Tabella 2 ANTINCENDIO IN ATTIVITÀ A RISCHIO ARGOMENTO DURATA 1) L'INCENDIO E LA PREVENZIONE - Principi della combustione; - prodotti della combustione; - sostanze estinguenti in relazione al tipo di incendio; - effetti dell'incendio sull'uomo; - divieti e limitazioni di esercizio; - misure comportamentali. 1 ora 2) PROTEZIONE ANTINCENDIO E PROCEDURE DA ADOTTARE IN CASO D'INCENDIO - Principali misure di protezione antincendio; - evacuazione in caso di incendio; - chiamata dei soccorsi. 1 ora UNITELNews24 49 3) ESERCITAZIONI PRATICHE - Presa visione del registro della sicurezza antincendio e chiarimenti sugli estintori 3 portatili; - esercitazioni sull'uso degli estintori portatili e modalità di utilizzo di naspi ed idranti. CORSO C AGGIORNAMENTO ADDETTO D'INCENDIO ELEVATO (DURATA 8 ORE) Tabella 3 ANTINCENDIO IN ATTIVITÀ A ore RISCHIO ARGOMENTO DURATA 1 ) L'INCENDIO E LA PREVENZIONE INCENDI - Principi sulla combustione e l'incendio; - le sostanze estinguenti; - triangolo della combustione; - le principali cause di un incendio; - rischi alle persone in caso di incendio; - principali accorgimenti e misure per prevenire gli incendi. 2 ore 2) PROTEZIONE ANTINCENDIO E PROCEDURE DA ADOTTARE IN CASO D'INCENDIO - Le principali misure di protezione contro gli incendi; - vie di esodo; - procedure da adottare quando si scopre un incendio o in caso di allarme; - procedure per l'evacuazione; - rapporti con i Vigili del Fuoco; - attrezzature ed impianti di estinzione; - sistemi di allarme; - segnaletica di sicurezza; - illuminazione di emergenza. 3 ore 3) ESERCITAZIONI PRATICHE - Presa visione del registro della sicurezza antincendi e chiarimenti sui mezzi di estinzione più diffusi; 3 ore - presa visione e chiarimenti sulle attrezzature di protezione individuale; - esercitazione sull'uso degli estintori portatili e modalità di utilizzo di naspi ed idranti. La richiesta di corsi di aggiornamento sarebbe indebita Va infatti in primo luogo rilevato che l'art. 37, comma 9, del D.Lgs 81/08, nel riferirsi genericamente all'aggiornamento periodico della formazione che devono ricevere i lavoratori addetti alla lotta antincendio e gestione delle emergenze, stabilisce che, in attesa dell'emanazione di uno o più decreti interministeriali, che andranno tra l'altro a ridefinire, criteri e misure in materia di prevenzione incendi nei luoghi di lavoro, continua ad applicarsi il D.M. 10 marzo 1998, che nulla dispone in ordine all'aggiornamento. I contenuti dei corsi di aggiornamento, la loro periodicità, il numero di ore determinato in base ai livelli di rischio devono essere definiti attraverso un apposito decreto ministeriale e non possono trovare legittimazione in una mera circolare ministeriale. Infatti, secondo un indirizzo giurisprudenziale oramai ampiamente consolidato, la circolare ha natura di atto meramente interno della pubblica amministrazione e, non potendo esserle riconosciuta alcuna efficacia normativa esterna, non può essere annoverata fra gli atti generali di imposizione in quanto le circolari non possono contenere né disposizioni derogative di norme di legge (ed il legislatore, nel Testo unico, fa espresso rinvio a decreti ministeriali), né essere considerate alla stregua di norme regolamentari (come la definizione dei contenuti e il numero di ore nel caso di specie) vere e proprie. Occorre poi segnalare, in proposito, che l'articolo 101 della Costituzione Italiana, nel disporre che (...). "i giudici sono soggetti soltanto alla legge" (e, quindi, non alle circolari ministeriali o alle "linee interpretative), si rivela prezioso e rappresenta, per dirla con Guariniello "un insegnamento che mette a nudo l'inaccettabilità di alcune prassi applicative incoraggiate da fuorvianti indicazioni UNITELNews24 50 non di rado fornite alle imprese da autorità amministrative preposte alla vigilanza". Il loro carattere non vincolante determina sovente ricadute giuridiche di rilevante entità laddove se ne faccia uso per procedere all'accertamento di una presunta responsabilità. Le innumerevoli varianti che interagiscono con la loro applicazione pratica come, ad esempio, la diversità dei settori merceologici e dei profili di rischio fanno sì che debbano essere considerate un utile strumento di indirizzo e sostegno applicabile in determinate e precise situazioni (ma non sempre comunque e ovunque), lasciando necessariamente spazio alla abilità, preparazione culturale, buon senso e sensibilità del singolo datore di lavoro. A tale logica si è sostanzialmente ispirata la sentenza n. 8254 del 2011 della Corte Suprema di Cassazione Penale, laddove ha considerato comunque colpevole il datore di lavoro che si era attenuto ad una circolare, ma disattendendo precisi obblighi adempimentali comunque richiesti dalla normativa primaria. Più in generale occorre ricordare che le circolari amministrative (es. dei Ministeri, della Assessorati Regionali) così come le "linee interpretative", sono giuridicamente vincolanti solamente per coloro che appartengono alle amministrazioni che le hanno emanate, ma non sono affatto vincolanti per tutti gli altri soggetti giuridici, e tanto meno per la magistratura, che è tenuta solamente ad applicare le leggi: articolo 101 costituzione ai sensi del quale "i giudici sono soggetti soltanto alle leggi". Ciò è tanto più vero nella materia penale, nella quale vige il principio assoluto della riserva di legge in materia penale (articolo 25 comma 2 della Costituzione, ai sensi del quale "nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso"). In tal senso il giudice applica il diritto col solo vincolo della legge, e qualora constati che una determinata circolare (o una linea interpretativa) pertinente il procedimento giudiziario contrasti con la legge, disapplicherà tale circolare. Si segnala, da ultimo, la Sentenza n. 7521 del 15 ottobre 2010, con la quale la V sezione del Consiglio di Stato precisa che: "le circolari sono atti diretti agli organi e uffici periferici ovvero sottordinati, che non hanno di per sé valore normativo o provvedimentale. Ne consegue che tali atti non rivestono una rilevanza determinante nella genesi dei provvedimenti che ne fanno applicazione". Quanto poi all'efficacia vincolante delle stesse la sentenza precisa che "tali atti non sono vincolanti per i soggetti estranei all'amministrazione, mentre, per gli organi destinatari esse sono vincolanti solo se legittime, potendo essere disapplicate qualora siano contra legem. (C. Stato, sez. IV, 2711-2000, n. 6299).". Ne consegue che le circolari non possano essere considerate atti amministrativi in senso proprio, ma vadano considerate piuttosto un mezzo per portare alla conoscenza dei suoi destinatari disposizioni normative, organizzative, interpretative o informative. In altre parole, le circolari non sono fonti di diritto ma sono e rimangono una indicazione di massima non provvedimentale e neppure di contenuto normativo. In sostanza, quindi, le circolari: - non possono derogare alla legge; - non sono equiparabili alla fonte regolamentare, che in quanto tale è vincolante per tutti soggetti dell'ordinamento; - sono dotate di mera efficacia interna nell'ambito dell'amministrazione dalla quale provengono. Va infine ricordato che la presunzione legale di conoscibilità di una norma è costituita dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale o dalla comunicazione, sempre sulla stessa, della adozione di un determinato provvedimento, elementi, questi, non garantiti attraverso una mera comunicazione interna che non mette a conoscenza i soggetti circa eventuali nuovi adempimenti. UNITELNews24 51 Appalti Gli appalti 'interni' e le nuove direttive europee Una delle difficoltà maggiori che incontrano oggi gli operatori nel settore degli appalti è quella del collegamento tra nozioni e definizioni contenute nel Codice del 2006 (il Dlgs n. 163/2006) e le fattispecie concrete che trovano davanti a sé e rispetto alle quali debbono avviare una procedura comparativa. Maria Cristina Colombo, Il Sole 24 ORE – Diritto e Pratica Amministrativa, aprile 2014, n. 4 Premessa Una delle difficoltà maggiori che incontrano oggi gli operatori nel settore degli appalti è quella del collegamento tra nozioni e definizioni contenute nel codice del 2006 (il Dlgs n. 163) e le fattispecie concrete che trovano davanti a sé e rispetto alle quali debbono avviare una procedura comparativa. Ad esempio, di fronte alla necessità di esternalizzare la gestione di un centro sportivo, l'istituto da utilizzare sarà un appalto, una concessione, o si dovrà addirittura parlare di servizio pubblico locale? O addirittura valutare forme di partenariato pubblico privato? Operazione interpretativa non di poco conto visto che da essa discende la normativa da applicare e la tipologia di bando o avviso da pubblicare e sulla cui base va poi gestita l'intera procedura concorsuale. A ciò si aggiunga che la recente pubblicazione, lo scorso 28 febbraio sulla Gazzetta Ufficiale comunitaria, delle nuove Direttive europee apre nuovi scenari anche sul piano definitorio. Le definizioni nel codice dei contratti pubblici Partiamo dalle definizioni di appalto. L'art. 3, comma 6, del Dlgs n. 163/2006 definisce contratto di appalto pubblico il contratto a titolo oneroso, stipulato per iscritto tra una stazione appaltante o un ente aggiudicatore e uno o più operatori economici, avente per oggetto l'esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi, come definiti dal Dlgs n. 163/2006. La definizione degli appalti di lavori è contenuta nei successivi commi 7 e 8, della medesima norma. Vengono definiti tali gli appalti pubblici aventi per oggetto l'esecuzione o, congiuntamente, la progettazione esecutiva e l'esecuzione, ovvero, previa acquisizione in sede di offerta del progetto definitivo, la progettazione esecutiva e l'esecuzione di un'opera rispondente alle esigenze specificate dalla stazione appaltante o dall'ente aggiudicatore, sulla base del progetto preliminare o definitivo posto a base di gara. Sempre ai sensi dell'art. 3, commi 9 e 10 del codice, gli appalti pubblici di forniture sono diversi da quelli di lavori o di servizi, e hanno per oggetto l'acquisto, la locazione finanziaria, la locazione o l'acquisto a riscatto, con o senza opzione per l'acquisto, di prodotti. Gli appalti di servizi infine sono gli appalti pubblici diversi dagli appalti pubblici di lavori o di forniture, aventi per oggetto la prestazione dei servizi di cui all'allegato II al codice. Vi sono poi i contratti misti (art. 14 del codice), ovvero i contratti caratterizzati da una pluralità di prestazioni eterogenee riconducibili alla categoria dei lavori, dei servizi e delle forniture. Il problema, in questo caso, è quello di individuare la disciplina normativa applicabile a tale peculiare tipologia di appalti. Si sono contrapposte in passato due tesi: una che faceva riferimento all'oggetto principale dell'appalto e al criterio dell'accessorietà (criterio funzionale); l'altra che si fondava sul dato quantitativo, in termini di prevalenza economica della prestazione nell'ambito del contratto misto (criterio quantitativo). Il nostro legislatore, conformandosi al dato comunitario, ha optato per il criterio funzionale. Quest'ultimo è tuttavia ridimensionato nel caso in cui l'appalto contenga prestazioni di lavoro. Per i lavori, però, prevede il criterio quantitativo, quando essi sono > al 50% e non sono accessori rispetto all'altra prestazione. Anche l'Avcp ha osservato che, a norma dell'art. 14 del Dlgs n. 163/2006, nei contratti misti di lavori e servizi, trovano applicazione le disposizioni relative ai lavori pubblici qualora questi ultimi assumano rilievo economico superiore al 50 per cento dell'appalto, a meno che i lavori abbiano carattere meramente accessorio rispetto all'oggetto principale dedotto in UNITELNews24 52 contratto, costituito dai servizi. Si ascrivono al regime dei lavori pubblici anche i contratti misti nei quali i lavori, ancorché di valore economico inferiore, costituiscono sostanzialmente l'oggetto del contratto (deliberazione n. 5 del 30 gennaio 2008). L'art. 3 del codice, ai commi 11 e 12, fornisce poi una definizione di concessione, sia di lavori, sia di servizi. Le concessioni di lavori sono definite come i contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta, aventi a oggetto, l'esecuzione, ovvero la progettazione esecutiva e l'esecuzione, ovvero la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l'esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità, e di lavori a essi strutturalmente e direttamente collegati, nonché la loro gestione funzionale ed economica, che presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, a eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo, in conformità al Dlgs n. 163/2006. La concessione di servizi è un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, a eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo. La distinzione tra appalti e concessioni è dunque un argomento di grande rilevanza, in quanto serve a delimitare l'ambito di applicazione della normativa prevista nel codice dei contratti pubblici. Si pensi che il comma 1 dell'art. 30 del Dlgs n. 163/2006 ha escluso l'applicabilità delle norme in esso contenute alle concessioni di servizi. Dalle definizioni sopra riportate emerge che la prima differenza tra i due istituti è che nelle concessioni, diversamente da quanto si verifica in caso di appalto, l'operatore viene remunerato non attraverso un prezzo, bensì con la stessa gestione, tant'è che si prevede solo in via eccezionale la possibilità di stabilire un prezzo in sede di gara. L'altra differenza tra concessione e appalto consiste nell'ambito della prima, nell'assunzione del rischio di gestione del servizio da parte del concessionario, derivante dal fatto che la sua remunerazione dipende strettamente dai proventi che può trarre dalla gestione del servizio. Nella sostanza, anche secondo il più recente insegnamento del Consiglio di Stato, "la differenza tra le due modalità di aggiudicazione dei contratti pubblici sta, dunque, in questo: nella concessione, l'impresa concessionaria eroga le proprie prestazioni al pubblico e, pertanto, assume il rischio della gestione dell'opera o del servizio, in quanto si remunera, almeno per una parte significativa, presso gli utenti mediante la riscossione di un prezzo; sotto il profilo economico, il settore in cui opera l'impresa è chiuso al mercato, totalmente o parzialmente, sulla base di disposizioni di carattere generale e l'ingresso dell'operatore deve avvenire tramite un provvedimento amministrativo (concessione, appunto). Nell'appalto, invece, le prestazioni vengono erogate non al pubblico, ma all'amministrazione, la quale è tenuta a remunerare l'attività svolta dall'appaltatore per le prestazioni a essa rese" (Cons. Stato, sez. V, n. 2531 del 3 maggio 2012). Infine, vi sono le forme di Partenariato pubblico privato (Ppp). Con tale espressione, si intende una forma di cooperazione a lungo termine tra il settore pubblico e quello privato per l'espletamento di compiti pubblici, con gestione congiunta delle risorse e suddivisione in modo proporzionato dei rischi legati ai progetti tra i partners. Nell'ambito del diritto comunitario, la fattispecie del Ppp è delineata nel Libro Verde relativo ai partenariati pubblico-privati e al diritto degli appalti pubblici e delle concessioni della Commissione europea del 30 aprile 2004, che individua le seguenti caratteristiche di un'operazione in Ppp: la lunga durata del rapporto, che implica una cooperazione tra i due partner sui vari aspetti del progetto; il finanziamento del progetto garantito in tutto o in parte dal settore privato. Nell'ordinamento interno, l'art. 3, comma 15-ter, del codice dei contratti pubblici definisce. "i contratti di partenariato pubblico privato (…) contratti aventi per oggetto una o più prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un'opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il finanziamento totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti". Il menzionato articolo poi elenca, a titolo esemplificativo, i contratti di Ppp, quali: la concessione di lavori; la concessione di servizi; la locazione finanziaria; il contratto di disponibilità; l'affidamento di lavori mediante finanza di progetto; le società miste; l'affidamento a contraente generale, ove il corrispettivo per la realizzazione dell'opera sia in tutto o in parte posticipato e collegato alla disponibilità dell'opera per il committente o per utenti terzi. UNITELNews24 53 I nuovi scenari comunitari: le direttive sugli appalti pubblici e sulle concessioni Il Parlamento europeo ha approvato in data 15 gennaio 2014 le tre proposte di revisione della normativa europea su appalti e concessioni formulate dalla Commissione europea. Le direttive sono state quindi tutte pubblicate sulla Guce L 94 del 28 marzo 2014. Si tratta: • della nuova direttiva sugli appalti pubblici nei settori ordinari, in sostituzione della direttiva 2004/18/Ce, la direttiva 2014/24/Ue; • della nuova direttiva sugli appalti pubblici nei settori speciali, che sostituirà la direttiva 2004/17/Ce, la direttiva 2014/25/Ue; • della nuova direttiva sulle concessioni, la vera novità del pacchetto presentato dalla Commissione, dal momento che si tratta di materia non disciplinata a livello europeo, la direttiva 2014/23/Ue. Primo obiettivo delle nuove direttive è la semplificazione e maggior flessibilità delle procedure d'appalto. Si punta infatti a ridurre gli oneri amministrativi connessi allo svolgimento delle procedure, sia per gli enti aggiudicatori, sia per gli operatori economici. In quest'ottica, le direttive contengono misure per chiarire il loro campo di applicazione quali: le definizioni di alcuni concetti fondamentali, come organismo pubblico, appalti pubblici di lavori e di servizi, appalti misti, che sono state riviste alla luce della più recente giurisprudenza della Corte di giustizia; l'abolizione della tradizionale distinzione tra cosiddetti servizi prioritari e non prioritari (servizi di tipo "A" o "B"): i risultati delle consultazioni hanno infatti indicato che non è più giustificato limitare la piena applicazione della legislazione in materia di appalti a un gruppo limitato di servizi. Le direttive si fondano poi su un "approccio attivo" che fornisce alle amministrazioni aggiudicatrici gli strumenti necessari per contribuire a raggiungere gli obiettivi della strategia "Europa 2020", mediante l'utilizzo del loro potere d'acquisto per ottenere merci e servizi che promuovano l'innovazione, la crescita intelligente, sostenibile ed esclusiva, l'occupazione e il cambiamento climatico. Nel concreto, per quanto qui rileva, le definizioni di appalto contenute nelle nuove direttive ricalcano per lo più quelle poc'anzi esaminate, contenute nel Codice dei contratti. Appalti pubblici sono definiti i contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l'esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi. Appalti pubblici di lavori sono gli appalti pubblici aventi per oggetto una delle seguenti azioni: a) l'esecuzione, o la progettazione e l'esecuzione, di lavori relativi a una delle attività di cui all'allegato II; b) l'esecuzione, oppure la progettazione e l'esecuzione di un'opera; oppure c) la realizzazione, con qualsiasi mezzo, di un'opera corrispondente alle esigenze specificate dall'amministrazione aggiudicatrice che esercita un'influenza determinante sul tipo o sulla progettazione dell'opera. Appalti pubblici di forniture sono definiti come gli appalti pubblici aventi per oggetto l'acquisto, la locazione finanziaria, la locazione o l'acquisto a riscatto, con o senza opzione per l'acquisto, di prodotti. Un appalto di forniture può includere, a titolo accessorio, lavori di posa in opera e di installazione. Appalti pubblici di servizi sono gli appalti pubblici aventi per oggetto la prestazione di servizi diversi da quelli di cui al punto che precede. Appalti misti, infine, sono i contratti aventi a oggetto due o più tipi di appalto (lavori, servizi o forniture) che vengono aggiudicati secondo le disposizioni applicabili al tipo di appalti che caratterizza l'oggetto principale del contratto in questione. Per la prima volta nel diritto comunitario derivato viene introdotta una disciplina specifica per l'aggiudicazione delle concessioni, le quali sono alla base di una quota significativa delle attività economiche nell'Unione europea, presenti soprattutto nel settore delle imprese erogatrici di servizi di rete e nella fornitura di servizi di interesse economico generale. Per "concessione di lavori" si intende un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano l'esecuzione di lavori a uno o più operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i lavori oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo. UNITELNews24 54 Per "concessione di servizi" si intende un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano la fornitura e la gestione di servizi diversi dall'esecuzione di lavori a uno o più operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo. Certamente, specie alla luce della nuova direttiva concessioni, potranno aprirsi in futuro nuovi scenari definitori anche nel diritto interno e di conseguenza nuove incertezze interpretative. UNITELNews24 55 Appalti Contratti PA: l'interesse pubblico legittima il mancato recesso per infiltrazioni mafiose La stazione appaltante ha facoltà di continuare il rapporto ma deve adeguatamente motivare Gennaro Ilias Vigliotti, Il Sole 24 ORE – Diritto e Pratica Amministrativa, aprile 2014, n. 4 La controversia conosciuta dal Tar Campania Con la sentenza n. 860 del 6 febbraio 2014, la sezione prima del Tribunale amministrativo regionale della Campania si è occupata della delicata questione del recesso della pubblica amministrazione dal contratto di appalto, in ragione della sopravvenienza di un provvedimento interdittivo per sospetta infiltrazione mafiosa a carico del soggetto aggiudicatario. Nello specifico, con la nota n. 3428 del 15 luglio 2013, il comune di Pietramelara disponeva la risoluzione del contratto relativo alla realizzazione della strada di collegamento alle vie provinciali di Pietramelara, Baia e Latina e Vairano, fondandosi sul provvedimento interdittivo n. 27999 del 2 luglio 2013 adottato dal prefetto di Caserta: con tale atto, l'autorità riportava le dichiarazioni rese da più collaboratori di giustizia, riferiti ai presunti rapporti diretti tra il socio di maggioranza della società aggiudicataria e un influente clan camorristico della zona di riferimento. Tale attività investigativa era compendiata nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 679/2011 emessa dal Gip del Tribunale di Napoli e riferita proprio al medesimo socio, sospettato di relazioni mafiose. Con ricorso ai giudici territoriali campani, integrato da successivi motivi aggiunti, la società aggiudicataria contestava la legittimità del provvedimento prefettizio (e, dunque, di tutti gli atti a questo conseguenti, ivi compreso quello di risoluzione del contratto d'appalto): le doglianze mosse a sostegno dell'impugnativa si fondavano principalmente sulla considerazione per cui il tentativo di infiltrazione mafiosa sarebbe stato desunto in difetto di una fonte tipica; l'ordinanza di custodia cautelare, infatti, era stata successivamente annullata dalla Cassazione per difetto di gravi indizi di colpevolezza, considerata la non attendibilità delle dichiarazioni dei pentiti, contrastanti con dati certi. In particolare, dunque, l'informativa prefettizia avrebbe violato le risultanze della suddetta ordinanza, ignorando la pronuncia caducatoria della Cassazione, contenente la smentita di quelle risultanze. Facendo proprie le considerazioni svolte dalla parte ricorrente, quindi, il Tar Campania ha annullato il provvedimento interdittivo emesso dal prefetto di Caserta, in quanto viziato per difetto di istruttoria e di motivazione: l'autorità prefettizia, infatti, "nel trarre indizi da un procedimento penale, trascura di considerare lo svolgimento e gli esiti di quel procedimento, sicché non risulta debitamente valutata e ponderata la effettiva e compiuta rilevanza delle relative risultanze, tant'è che neppure si può evincere se l'amministrazione era o meno consapevole della esistenza e dei contenuti della sentenza della Cassazione indicata dalla ricorrente". I giudici regionali campani, però, non si sono fermati alla definizione della controversia. Hanno colto l'occasione, infatti, per analizzare in profundis la generale disciplina dell'inibitoria antimafia in materia di appalti, con specifico riferimento al potere di recesso/risoluzione dei contratti in corso di esecuzione. Disciplina e funzione dell'informativa antimafia in materia di appalti Il Dpr n. 252 del 3 giugno 1998 ha introdotto nel nostro ordinamento il "Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia". Si tratta di un complesso di disposizioni emanato per fornire alle istituzioni ulteriori strumenti, diversi e integrativi di quelli di natura penalistica, per combattere il fenomeno mafioso: una normativa volta a contrastare l'invasività dell'influenza mafiosa nella vita civile, economica e, dunque, anche nelle attività delle pubbliche amministrazioni. UNITELNews24 56 In particolare, gli artt. 10 e 11 del provvedimento in analisi disciplinano la c.d. "informativa antimafia": si tratta di uno strumento rimesso all'autorità prefettizia, cui è attribuito un ampio margine di accertamento e di apprezzamento discrezionale, insindacabile nel merito, nella ricerca e nella valutazione degli elementi da cui poter desumere eventuali connivenze o collegamenti di tipo mafioso in riferimento all'attività imprenditoriale dei privati che entrano in "contatto" con le pubbliche amministrazioni. Un potere di accertamento di massima ampiezza, ciò trovando giustificazione nella preminente esigenza di tutelare, anche in relazione al settore dei contratti tra mondo imprenditoriale e pubblica amministrazione, l'interesse generale all'ordine e alla sicurezza pubblica. In ragione delle finalità preminenti cui tale strumento informativo è preposto, il relativo potere di accertamento attribuito al prefetto si caratterizza per l'estrema duttilità dei mezzi all'uopo destinati, i quali possono assumere, dunque, qualsiasi forma (in questo senso, Consiglio di Stato, sez. V, n. 5247 del 3 ottobre 2005). Tant'è che, come rilevato nella sentenza oggetto del presente commento, "una inibitoria antimafia può essere emanata anche in casi in cui non emergano a carico dei soggetti interessati profili suscettibili di rilevanza penale". Pertanto, anche una sentenza assolutoria non varrebbe a escludere radicalmente la configurabilità dei requisiti legittimanti l'emissione di un provvedimento ostativo: ciò, naturalmente, qualora emergano elementi che, pur risultando idonei all'esclusione di profili di rilevanza penale, possano nondimeno qualificarsi come profili delineanti un'esigenza di prevenzione antimafia. Si tratta, dunque, di uno strumento che corre su di un binario parallelo e non necessariamente coincidente con quelli tipici della repressione penalistica: uno strumento che, in ragione della sua specifica natura, non può che essere, come detto, discrezionale. Tale discrezionalità si traduce, sul piano dinamico, in due essenziali conseguenze. In primis, nella sindacabilità giurisdizionale del giudice amministrativo con esclusivo riguardo alla cognizione dei vizi di legittimità degli atti amministrativi, limitatamente ai casi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, nonché di difetto di motivazione o di istruttoria. Non a caso, del resto, i giudici regionali campani, nella sentenza in commento, hanno disposto l'annullamento del provvedimento prefettizio proprio per difetti motivazionali e istruttori. In secundis, nell'esclusione di ogni sindacato dell'amministrazione appaltante sul contenuto dell'informativa antimafia prefettizia, cioè sulla sussistenza di una sostanziale incompatibilità tra elementi fattuali emersi e prosieguo dei rapporti contrattuali tra privato imprenditore e pubblica amministrazione. La stazione appaltante, in pratica, non ha facoltà di contestare il contenuto dell'informativa prefettizia, poiché è al prefetto che la legge demanda, in via esclusiva, l'individuazione e la raccolta degli elementi, nonché le valutazioni riguardo la sussistenza del tentativo di infiltrazione mafiosa (così, Consiglio di Stato, sez. VI, n. 197 del 19 gennaio 2012). La facoltà di recesso per infiltrazioni mafiose e l'eccezione per pubblico interesse Dal suddetto effetto interdittivo dell'informativa prefettizia deriva direttamente la facoltà di revoca o di recesso dal contratto di appalto stipulato dalla pubblica amministrazione. L'art. 11, comma 3, del Dpr n. 252/1998, infatti, prevede tale facoltà al sopravvenire degli elementi relativi ai tentativi di infiltrazione dopo la stipula del contratto, anche nelle ipotesi estranee alla particolare complessità delle indagini o alla somma urgenza: il sopravvenire, durante il suo svolgersi, di circostanze incompatibili con la prosecuzione del rapporto per il condizionamento malavitoso dell'attività d'impresa, comporta la revoca del contratto qualora accertato a mezzo dell'informativa del prefetto, il cui effetto interdittivo opera evidentemente in modo automatico e senza che l'amministrazione possa sindacarne i contenuti. A ben vagliare, dunque, si tratta di una specificazione del generale principio, contenuto nel precedente art. 10, comma 2, Dpr n. 252/1998, che impone il divieto, in capo alle pubbliche amministrazioni, di stipulare o approvare i contratti e i subcontratti rispetto ai quali, a seguito delle verifiche disposte dal prefetto, emergano elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate. È chiaro, quindi, che se l'informativa antimafia è strumento idoneo all'interruzione delle procedure di affidamento di pubblici appalti prima della conclusione ed esecuzione dei relativi contratti, secondo la normativa in analisi anche l'informativa sopravvenuta possiede valenza ostativa, legittimando la facoltà di recesso da parte della pubblica amministrazione interessata. Proprio perché si tratta di una facoltà e non di un obbligo, però, la normativa antimafia prevede una significativa eccezione: secondo l'art. 94, comma 2, Dlgs n. 159 del 6 settembre 2011, come UNITELNews24 57 modificato dal Dlgs n. 218 del 15 novembre 2012, infatti, "Qualora il prefetto non rilasci l'informazione interdittiva entro i termini previsti, ovvero nel caso di lavori o forniture di somma urgenza di cui all'articolo 92, comma 3 qualora la sussistenza di una causa di divieto indicata nell'articolo 67 o gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all'articolo 84, comma 4, e all'articolo 91, comma 7, siano accertati successivamente alla stipula del contratto, i soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, salvo quanto previsto al comma 3, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite". In base al tenore di tale disposizione, dunque, può riconoscersi alla stazione appaltante una qualche facoltà di non revocare l'appalto nonostante il collegamento dell'impresa con organizzazioni malavitose sia stato accertato. Facoltà, quest'ultima, che è confermata dal successivo comma 3 del medesimo articolo, secondo cui "I soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, non procedono alle revoche o ai recessi di cui al comma precedente nel caso in cui l'opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell'interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi". Come desumibile dal combinato disposto delle prescrizioni in analisi, e come confermato dalle valutazioni svolte dal Tar Campania nella sentenza in commento, è pienamente ascrivibile alla stazione appaltante la facoltà di continuare il rapporto negoziale con le imprese colpite da informativa antimafia: tale facoltà, però, è da considerarsi inoppugnabilmente come ipotesi eccezionale, volta a tutelare un interesse pubblico di preminente rilevanza e ricollegato a specifiche e tipizzate ipotesi, tutte connesse con il tempo di esecuzione del contratto o la sua natura, o la difficoltà nel reperire un nuovo contraente, se la causa di decadenza sopravviene a esecuzione ampiamente inoltrata. Proprio perché tale ipotesi è da considerarsi eccezionale, residuale e volta alla tutela di delicati e imprescindibili interessi della collettività, la stazione appaltante, quando esercita tale facoltà, è tenuta ad osservare un tenore motivazionale particolarmente rigoroso e pregnante: essa, infatti, solo in tal modo può rendere perfettamente trasparenti le ragioni autorizzative di un contratto pubblico eseguito da un'impresa sospetta. Se, dunque, l'informativa antimafia, essendo strumento insindacabile nel merito dalla stazione appaltante poiché rimesso alla discrezionalità dell'autorità prefettizia, non necessita di motivazione approfondita, potendo essere anche succintamente richiamata a supporto della decisione di risolvere il contratto, l'esercizio della facoltà di continuare il rapporto contrattuale con impresa sospettata di infiltrazioni mafiose, data l'evidente ratio di pieno sfavore legislativo alle infiltrazioni mafiose nei contratti pubblici, è scelta discrezionale della pubblica amministrazione: in quanto tale necessita di una motivazione adeguata e sufficiente, esposta alla sindacabilità del giudice amministrativo con riferimento ai vizi di manifesta illogicità, travisamento dei fatti, difetto di motivazione o di istruttoria. UNITELNews24 58 Economia, fisco, agevolazioni e incentivi Le agevolazioni fiscali per l'acquisto del box Imposte d’atto, IVA e detrazioni: una rassegna delle principali agevolazioni fiscali per l’acquisto di box e autorimesse pertinenziali Alessandro Borgoglio, Il Sole 24 ORE – Consulente Immobiliare, 15 aprile 2014, n. 950 L’acquisto del box o garage pertinenziale all’abitazione dà diritto a usufruire di diverse agevolazioni fiscali, sia nell’ipotesi in cui l’acquisizione avvenga contestualmente a quella dell’unità immobiliare, sia nel caso in cui si verifichi, invece, con un atto separato. In particolare, per l’acquisto del box pertinenziale è possibile usufruire della normativa di favore prevista per la cosiddetta “prima casa”, nonché, nei casi stabiliti dalla legge, della detrazione d’imposta relativa alle spese di recupero del patrimonio edilizio, attualmente fissata nel misura del 50%. Trasferimento immobiliare ad aliquota ridotta Dal 1° gennaio 2014 è considerevolmente mutata la tassazione indiretta sui trasferimenti immobiliari, a causa delle modifiche previste, fin dal 2011, dal decreto sul Federalismo Fiscale Municipale, nonché da quelle più recenti apportate dal cosiddetto “decreto Istruzione” dell’anno scorso e, infine, dalla legge di Stabilità 2014. Le norme di modifica della tassazione sui trasferimenti immobiliari – Art. 10, D.Lgs. 23, 14.3.2011, recante “Disposizioni in materia di Federalismo Fiscale Municipale”. – Art. 26, D.Lgs. 104, 12.9.2013, recante “Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca”. – Art. 1, commi 608 e 609, legge di Stabilità 2014 (legge 147/2013). Il quadro normativo complessivamente emergente, per quel che qui rileva, impatta sulla tassazione afferente ai cosiddetti immobili “prima casa”. Le nuove aliquote applicabili all’imposta di registro nel sistema impositivo vigente, infatti, sono tre: il 9% per la generalità dei trasferimenti immobiliari, il 2% per gli atti aventi a oggetto immobili “prima casa” e il 12% per i trasferimenti di terreni a favore di soggetti diversi da quelli appartenenti alla piccola proprietà contadina. In sostanza, dal 1° gennaio 2014, i trasferimenti immobiliari che fruiscono dell’agevolazione “prima casa” sono soggetti all’imposta di registro del 2%, a differenza del previgente del 3%, con una soglia minima, però, di € 1.000, ex art. 10, comma 2, del D.Lgs. 23/2011. Inoltre, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 26, comma 1, del D.L. 104/2013, le imposte ipotecarie e catastali sono dovute nella misura fissa di € 50 ciascuna. Per gli atti soggetti a IVA, invece, nulla è cambiato e, pertanto, si applica la solita aliquota del 4%, oltre che le ipocatastali e l’imposta di registro in misura fissa pari a € 200 ciascuna ex art. 26, comma 2, del D.L. 104/2013 (tabella 1). Tabella 1 - Tassazione sui trasferimenti immobiliari dal 2014. Atti soggetti a imposta di Tre aliquote registro – 9% per i trasferimenti immobiliari in genere; – 2% per gli atti che fruiscono dell’agevolazione “prima casa”; – 12% per i trasferimenti di terreni a soggetti non appartenenti alla piccola proprietà contadini (PPC) Imposta di registro € 1.000 UNITELNews24 59 minima Imposte ipotecaria e € 50 ciascuna catastale Aliquote Atti IVA soggetti a Aliquota ordinaria del 22%, quella intermedia del 10%, o quella agevolata del 4% se si tratta di “prima casa” € 200 ciascuna se prevista in misura fissa, altrimenti Imposte di registro, secondo l’aliquota proporzionale prevista per la ipotecaria e catastale tipologia di atto Per quanto attiene alla disciplina dell’agevolazione “prima casa” recata dalla nota II- bis all’art. 1 della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. 131/1986, non sono cambiate le regole applicative né i presupposti ivi previsti (a eccezione del requisito di “abitazione non di lusso” che, però, qui non rileva). Pertanto, anche oggi continuano a valere le disposizioni previste da tale nota II- bis . In particolare, il comma 3 prevede la possibilità di fruire dell’agevolazione de qua e, quindi, dell’applicazione dell’imposta di registro al 2% e delle ipocatastali nella misura fissa di € 50 ciascuna, anche in relazione all’acquisto, pure se con atto separato, delle pertinenze dell’immobile acquistato come “prima casa”. Sono ricomprese tra le pertinenze, limitatamente a una per ciascuna categoria, le unità immobiliari classificate o classificabili nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, che siano destinate a servizio della casa di abitazione oggetto dell’acquisto agevolato. In conclusione, può fruire dell’agevolazione in oggetto il contribuente che acquista contestualmente all’abitazione il garage o box auto pertinenziale, ma anche il soggetto che soltanto in un momento successivo procede a tale acquisto, sempreché, tuttavia, sussistano le condizioni richieste dalla norma. Vincolo di pertinenzialità Tra i vari requisiti per poter fruire dell’agevolazione “prima casa” sull’acquisto del box auto, anche separatamente rispetto all’atto di acquisto dell’abitazione, vi è quello della pertinenzialità rispetto all’abitazione “prima casa”. In effetti, il comma 3 della nota II- bis già richiamata specifica che deve trattarsi di pertinenze dell’immobile acquistato come “prima casa” e che le stesse, infatti, devono essere poste a suo servizio, stabilendo, peraltro, il limite di una pertinenza per ciascuna delle categorie catastali C/2, C/6 e C/7. Del presupposto del vincolo di solidarietà si è recentemente occupata la giurisprudenza di merito, con un’interessante sentenza a favore dei contribuenti. La pronuncia n. 15/6/12 dell’8 marzo 2012 della Commissione tributaria provinciale di Savona trae origine da un avviso di liquidazione, con cui l’Ufficio aveva disconosciuto l’agevolazione “prima casa” in relazione all’acquisto di un box, che il contribuente aveva costituito quale pertinenza della sua abitazione, distante 4 km considerando il tragitto per auto, ovvero 700 metri con percorso pedonale. Secondo l’Ufficio la distanza tra i due beni era tale che uno non poteva porsi al servizio dell’altro, per cui sul box non poteva essere posto il vincolo pertinenziale e, conseguentemente, non spettava in relazione al suo acquisto il beneficio fiscale in oggetto. Secondo il contribuente, invece, l’acquisto del box serviva a parcheggiare l’auto comodamente in centro anche durante la stagione turistica, atteso che si trattava di una nota località balneare della Liguria, in cui parcheggiare era davvero complicato. Il box in quella posizione consentiva di raggiungere il centro e allo stesso tempo di tornare rapidamente a casa attraverso un percorso pedonale di 700 metri, a differenza di quello automobilistico evidenziato dall’ufficio di 4 km. Pertanto, secondo il contribuente, sussistevano i requisiti oggettivi e soggettivi per la pertinenzialità dei due beni. L’Agenzia delle entrate, tuttavia, riteneva che tale circostanza non integrasse il requisito oggettivo previsto per la costituzione del vincolo pertinenziale, atteso che per la sussistenza della durevole UNITELNews24 60 destinazione di una cosa al servizio di un’altra è necessario che l’utilità sia oggettivamente arrecata dalla cosa accessoria a quella principale e non al proprietario di questa, dovendo la pertinenza servire all’utilità della cosa e non anche a quella meramente personale del dominus della stessa. Art. 817 cod. civ.: le pertinenze Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o a ornamento di un’altra cosa. La destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima. Il collegio ligure, dopo aver ricordato le disposizioni del codice civile in materia di vincolo pertinenziale, ha richiamato la giurisprudenza di legittimità, in base alla quale spetta al giudice di merito valutare la sussistenza del requisito oggettivo, ovvero della contiguità, anche solo di servizio, tra i due beni, per cui il bene accessorio deve arrecare un’utilità al bene principale e non al suo proprietario (Cass., sent. n. 4599/2006 e n. 12983/2002). La Commissione tributaria ha osservato, poi, che la norma tributaria quando si riferisce alle pertinenze non pone alcun limite circa la distanza tra i beni, come, peraltro, riconosciuto anche dall’Amministrazione finanziaria, con la circ. n. 38/E/2005. Conseguentemente, l’agevolazione risulta applicabile anche alle pertinenze non attigue all’abitazione, ma poste a distanza (riquadro 1). Secondo la Commissione tributaria, la decisione non poteva prescindere dalla considerazione del caso concreto. In particolare, per i giudici di merito, il vincolo di pertinenzialità non poteva essere escluso, giacché era evidente che in una località a vocazione fortemente turistica, con grosse difficoltà di parcheggio, l’acquisto di un box a metà tra il centro e l’abitazione consentiva di raggiungere agevolmente entrambi i luoghi. Inoltre, risultava incontestato che il contribuente avesse sempre parcheggiato la propria auto nel box e che quest’ultimo fosse destinato esclusivamente a questo scopo. Alla stregua di tali considerazioni, quindi, sussistendo il vincolo di pertinenzialità, doveva essere riconosciuta anche l’agevolazione prima casa per l’acquisto del box de quo. Il ricorso del contribuente è stato così accolto e l’atto impositivo annullato. In conclusione, quindi, alla luce della giurisprudenza e della prassi di riferimento, non è sufficiente che il contribuente che acquista il box dichiari nel rogito il vincolo di pertinenzialità con l’abitazione acquistata con i benefici “prima casa”, essendo altresì necessario che detto vincolo esista in concreto, circostanza che certamente si realizza quando il box è ubicato nello stesso stabile o in uno comunque vicino a quello di abitazione, ma che potrebbe non verificarsi quando la distanza tra i due beni risulti eccessiva. RIQUADRO 1 -Il Fisco ammette le pertinenze in prossimità dell’abitazione. – L’agevolazione in esame si applica limitatamente a ciascuna pertinenza classificata nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, anche se detta pertinenza è situata in prossimità dell’abitazione principale, purché la stessa risulti destinata in modo durevole al servizio della casa di abitazione (cfr. circ. n. 19/E dell’1.3.2001, punto 2.2.2, e circ. n. 1/E del 2.3.1994, cap. 1, par. IV, punto 3). – L’agevolazione in parola non si applica qualora la pertinenza non possa essere oggettivamente destinata in modo durevole a servizio od ornamento dell’abitazione principale, circostanza, quest’ultima, che normalmente ricorre, per esempio, qualora il bene pertinenziale è ubicato in un punto distante o addirittura si trovi in un comune diverso da quello dove è situata la “prima casa”. Cessione infraquinquennale con decadenza Il comma 4 della nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. 131/1986 prevede, tra l’altro, che, in caso di trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con l’agevolazione “prima casa” anteriormente al decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto, sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una soprattassa pari al 30% delle stesse imposte. Se si tratta di cessioni soggette all’imposta sul valore aggiunto, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate presso cui sono stati UNITELNews24 61 registrati i relativi atti deve recuperare nei confronti degli acquirenti la differenza fra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata, nonché irrogare la sanzione amministrativa, pari al 30% della differenza medesima. Le predette disposizioni non si applicano nel caso in cui il contribuente, entro un anno dall’alienazione dell’immobile acquistato con il beneficio fiscale de quo, proceda all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale. Come si evince chiaramente dall’ultimo periodo del comma 4 sopra riportato, la decadenza dall’agevolazione “prima casa” non interviene nel caso in cui, entro un anno dall’alienazione, venga acquistato un altro immobile da adibire a propria abitazione principale. Per quanto riguarda il box, tuttavia, qualora la vendita intervenga prima dei cinque anni dalla data di acquisto, il riacquisto della nuova pertinenza non sarà idoneo a evitare la decadenza dall’agevolazioni “prima casa”, in quanto requisito essenziale è che il riacquisto riguardi un altro immobile abitativo: più precisamente, il comma 4 della nota II-bis stabilisce che l’acquisto deve riguardare un altro immobile da adibire a propria abitazione principale (cfr. ris. 30/E del 1° febbraio 2008). Ammessa la detrazione “potenziata” del 50% Il comma 1 dell’art. 16- dispone che dall’IRPEF lorda si detrae un importo pari al 36% delle spese documentate, fino a un ammontare complessivo delle stesse non superiore a € 48.000 per unità immobiliare, sostenute ed effettivamente rimaste a carico dei contribuenti che possiedono o detengono, sulla base di un titolo idoneo, l’immobile sul quale sono effettuati gli interventi sostanzialmente già previsti dalla precedente normativa. Il comma elenca dettagliatamente tutte le fattispecie agevolabili e – per quel che qui interessa – alla lett. d) sono indicati gli interventi relativi alla realizzazione di autorimesse o posti auto pertinenziali anche a proprietà comune. Il “decreto Crescita” di due anni fa (D.L. 83/2012) aveva previsto, al comma 1 dell’art. 11, l’innalzamento dal 36% al 50% della detrazione delle spese per tutti gli interventi elencati nel predetto art. 16-bis, ancorché limitatamente alle spese sostenute dal 26 giugno 2012 (data di entrata in vigore del decreto) sino al 30 giugno 2013. Inoltre, il comma 1 dell’art. 11 già menzionato aveva altresì stabilito che nello stesso periodo, ovvero dal 26 giugno 2012 al 30 giugno 2013, era aumentato il limite di spesa su cui calcolare la nuova detrazione del 50%, che passava dai precedenti € 48.000 ai nuovi € 96.000, ovvero il doppio di quello di prima. L’art. 16 del D.L. 63/2013, al comma 1, si era limitato a sostituire le parole «30 giugno 2013» dell’art. 11, comma 1, del D.L. 83/2012 con «31 dicembre 2013». In tal modo, la detrazione «potenziata» al 50% e con limite di spesa aumentato a € 96.000 era stata prorogata sino alla fine del 2013. La Legge di Stabilità 2014, da ultimo, ha disposto una nuova proroga della detrazione potenziata. In particolare, l’art. 1, comma 139, lett. d), della legge 147/2013, intervenendo sull’art. 16 del D.L. 63/2013, ha stabilito che la detrazione per gli interventi di cui all’art. 16-, spetta, su una spesa massima di € 96.000 per unità immobiliare, nella misura del: – 50% delle spese sostenute dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2014; – 40% delle spese sostenute dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015 (tabella 2). Il primo aspetto da evidenziare, per quanto concerne la possibilità di detrarre le spese di realizzazione del box, riguarda la necessità, ai fini agevolativi, che il box o l’autorimessa sia pertinenziale all’abitazione. A differenza di quanto precedentemente osservato in relazione al vincolo di pertinenzialità richiesto per usufruire dell’agevolazione “prima casa” per l’acquisto del box, per quanto concerne invece la detrazione IRPEF, si prescinde dal requisito formale della dichiarazione di volontà espressa nell’atto, facendosi esclusivamente riferimento al comportamento concludente delle parti (Min. finanze, circ. n. 98/E del 17 maggio 2000, par. 11.1.2). Occorre ancora aggiungere che la possibilità di detrarre le spese in oggetto è condizionata alla sussistenza del vincolo di pertinenzialità sin dal momento di sostenimento di dette spese. Pertanto, l’apposizione di tale vincolo deve risultare: – dal rogito notarile: in questo caso, la detrazione potrà essere calcolata su tutte le spese sostenute per la realizzazione del box dalla data dell’atto di trasferimento; – dall’atto autorizzativo comunale a costruire, se il fabbricato viene realizzato in economia, rimanendo così agevolate tutte le spese sostenute anche per il rilascio del permesso stesso; – dal preliminare di compravendita con l’impresa costruttrice, risultando così agevolate tutte le spese sostenute dalla sottoscrizione di tale contratto. Tabella 2 - Detrazione d’imposta per gli interventi di cui all’art. 16- bis del TUIR. UNITELNews24 62 Dal 26.6.2012 al Dall’1.1.2015 Fino al 31.12.2014 31.12.2015 25.6.2012 Detrazione IRPEF 36% Limite di spesa per € 48.000 unità immobiliare Detrazione massima € 17.280 al Dall’1.1.2016 50% 40% 36% € 96.000 € 96.000 € 48.000 € 48.000 € 38.400 € 17.280 Per quanto concerne, poi, le spese ammissibili al beneficio fiscale, occorre ricordare che la norma richiama espressamente quelle di “realizzazione” del box o dell’autorimessa. Con la circ. n. 57/E del 1998, l’Agenzia delle entrate aveva stabilito che rientrano tra le spese ammesse al beneficio quelle sostenute per la progettazione e l’esecuzione dei lavori, per l’eventuale relazione di conformità degli stessi alle leggi vigenti, per le prestazioni professionali richieste dal tipo di intervento, per l’imposta sul valore aggiunto, l’imposta di bollo e i diritti pagati per le concessioni per le autorizzazioni, per le denunce di inizio lavori e, infine, per gli oneri di urbanizzazione. Alla luce di tali chiarimenti, pertanto, devono ritenersi esclusi i costi sostenuti per l’acquisto dell’area, nonché l’utile ritraibile dal costruttore del box o del garage, se quest’ultimo è acquistato, appunto, presso un’impresa. È evidente che nel caso in cui la realizzazione del box avvenga in economia, tali spese sono monitorabili e calcolabili dal contribuente (che dovrà ovviamente conservare la relativa documentazione di supporto da esibire in caso di controllo), mentre, qualora l’autorimessa sia acquistata direttamente dall’impresa costruttrice, sarà necessaria un’apposita attestazione di tali spese rilasciata dal suo legale rappresentante, atteso che normalmente il prezzo di vendita è superiore alle stesse (ris. n. 69270 del 15 aprile 1999). Facsimile di attestazione per l’acquisto di box auto pertinenziale Il sottoscritto ............. legale rappresentante dell’impresa ............. con sede in ............. dichiara sotto la propria responsabilità che le spese sostenute per la realizzazione dell’autorimessa/ posto auto sito in ............. acquistato dal Sig./Sig.ra ............. come pertinenza dell’abitazione sita in ............. ammontano a € ........ Tale dichiarazione viene rilasciata ai fi ni della detrazione IRPEF di cui all’art. 16-. Data ............. Luogo ............. Firma ............. Si segnala che l’Amministrazione finanziaria, con la ris. n. 17441 del 13 aprile 1999, ha chiarito che è possibile usufruire della detrazione in oggetto anche da parte degli acquirenti di posti auto pertinenziali già realizzati, posto che, analogamente a quanto previsto per i parcheggi in corso di costruzione, l’agevolazione stessa compete esclusivamente con riferimento alle spese sostenute per la realizzazione dei predetti box. Peraltro, risulta agevolabile anche la realizzazione del box pertinenziale non all’abitazione principale del contribuente, ma a una seconda abitazione, essendo normativamente sufficiente che il box o parcheggio acquistato sia posto ad asservimento di una unità immobiliare esistente. Infine, con la stessa risoluzione, l’Amministrazione finanziaria ha stabilito che, sulla base di quanto poc’anzi indicato, deve ritenersi altresì agevolabile l’acquisto di più box auto asserviti a una sola unità immobiliare. Per quanto attiene agli obblighi comunicativi, con taluni documenti di prassi (ris. n. 166 del 20 dicembre 2009 e circ. n. 24/E/2004, punto 1.2), l’Agenzia delle entrate aveva previsto, ai fini della detrazione in oggetto, che il contribuente dovesse inviare un’apposita comunicazione all’Ufficio finanziario, anche dopo l’inizio dei lavori da parte dell’impresa costruttrice del box, però entro la data di scadenza della presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel quale si intendeva fruire della detrazione. Alla luce dell’intervenuta soppressione dell’obbligo comunicativo di cui trattasi, con il decreto UNITELNews24 63 Sviluppo entrato in vigore il 14 maggio 2011, l’Agenzia delle entrate ha chiarito, con la circ. n. 19/E del 1° giugno 2011, che il contribuente non deve più inviare alcuna comunicazione, essendo ora sufficiente compilare nel mod. UNICO i righi relativi ai dati identificativi dell’immobile per cui si intende usufruire della detrazione. Mette conto di evidenziare che la possibilità di usufruire della detrazione in oggetto è condizionata al rispetto degli adempimenti previsti della normativa di riferimento, riepilogati nell’apposito riquadro. Si ricorda, in particolare, l’importanza dell’utilizzo del bonifico speciale per il pagamento delle spese in oggetto (si vedano in proposito anche i chiarimenti forniti con la recente ris. n. 7/E/2011). È appena il caso di ricordare, infine, che, ai sensi del comma 8 dell’art. 16-, in caso di vendita dell’unità immobiliare sulla quale sono stati realizzati gli interventi agevolati, la detrazione non utilizzata in tutto o in parte è trasferita per i rimanenti periodi di imposta, salvo diverso accordo delle parti, all’acquirente persona fisica dell’unità immobiliare. In sostanza, mentre in passato la detrazione residua si trasferiva inevitabilmente all’acquirente, ora è possibile stabilire con apposito accordo tra le parti che della detrazione residua possa continuare a usufruirne il venditore, anche dopo la cessione del box. Nessuna detrazione per gli interessi passivi L’art. 15, comma 1, lett. , come noto, prevede la detrazione d’imposta del 19% degli interessi passivi sostenuti in relazione a mutui garantiti da ipoteca contratti per l’acquisto dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale. Secondo l’Agenzia delle entrate, poiché la disposizione non fa alcun riferimento alle eventuali pertinenze, si deve ritenere che la detrazione non spetti ove il mutuo sia stato stipulato per acquistare autonomamente una pertinenza della dimora abituale del contribuente (Min. finanze, circ. n. 108 del 3 maggio 1996, par. 2.3.4). 1. Prima dell’inizio dei lavori deve essere inviata all’ASL competente per territorio, mediante raccomanda A/R, la comunicazione di inizio lavori, salvo i casi in cui ciò non sia previsto dall’art. 99, comma 1, del D.Lgs. 81/2008. 2. Il pagamento delle fatture relative ai lavori deve essere effettuato tramite bonifico bancario o postale da cui risulti la causale del versamento con l’indicazione della norma agevolativa, il codice fiscale del soggetto che effettua il pagamento, nonché il numero di partita IVA o il codice fiscale del soggetto a favore del quale è effettuato il bonifico (quando vi sono più soggetti che sostengono la spesa, e tutti intendono fruire della detrazione, il bonifico deve riportare il numero di codice fiscale delle persone interessate al beneficio fiscale; se il bonifico contiene l’indicazione del codice fiscale del solo soggetto che fi no al 13.5.2011 era obbligato a presentare il modulo di comunicazione al Centro operativo di Pescara, gli altri aventi diritto, per ottenere la detrazione, devono riportare in un apposito spazio della dichiarazione dei redditi il codice fi scale indicato sul bonifico). 3. Fino al 13.5.2011, occorreva inviare, con raccomandata, al Centro Operativo di Pescara dell’Agenzia delle entrate, l’apposita comunicazione preventiva di inizio dei lavori, contenente, tra l’altro, l’indicazione dei dati catastali identificativi dell’immobile oggetto di intervento. Dal 14.5.2011, invece, in forza dell’art. 7, comma 2, lett. , tale adempimento è stato soppresso e in sua sostituzione è stato previsto che il contribuente: • indichi nella dichiarazione dei redditi: - i dati catastali identificativi dell’immobile oggetto di interventi agevolati; - gli estremi di registrazione dell’atto che ne costituisce titolo, come, per esempio, il contratto d’affitto, se i lavori sono effettuati dal detentore (per esempio, il conduttore); - gli altri dati richiesti ai fini del controllo da detrazione; • conservi ed esibisca, a richiesta dell’Agenzia delle entrate, i documenti previsti dal provv. Agenzia delle entrate del 2.11.2011, n. 149646, ovvero: – abilitazioni amministrative in relazione alla tipologia di lavori da realizzare (concessione, autorizzazione o comunicazione di inizio lavori). Se queste abilitazioni non sono previste è sufficiente una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà in cui deve essere indicata la data di inizio dei lavori e attestare che gli interventi di ristrutturazione edilizia posti in essere rientrano tra quelli agevolabili (cfr. ris. n. 325/E/2007); – domanda di accatastamento per gli immobili non ancora censiti; – ricevute di pagamento dell’ICI/IMU, se dovuta; – delibera assembleare di approvazione dell’esecuzione dei lavori e tabella millesimale di UNITELNews24 64 ripartizione delle spese per gli interventi riguardanti parti comuni di edifi ci residenziali; – in caso di lavori effettuati dal detentore dell’immobile, se diverso dai familiari conviventi, dichiarazione di consenso del possessore all’esecuzione dei lavori; – comunicazione preventiva contenente la data di inizio dei lavori da inviare all’Azienda sanitaria locale, se obbligatoria secondo le disposizioni in materia di sicurezza dei cantieri; – fatture e ricevute fiscali relative alle spese effettivamente sostenute; – ricevute dei bonifici di pagamento. 4. Fino al 13.5.2011, le fatture relative agli interventi agevolati dovevano recare, a pena di decadenza, la separata indicazione del costo della manodopera. Dal 14.5.2011, l’art. 7, comma 2, lett. ha abolito tale obbligo di indicazione in fattura e non ha introdotto, in sua sostituzione, alcun nuovo adempimento. UNITELNews24 65 Immobili Servizi immobiliari: le norme in materia di territorialità Nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 26 ottobre 2013 è stato pubblicato il regolamento di esecuzione UE n. 1042/2013 con il quale sono state introdotte importanti novità per quanto concerne la territorialità dei servizi immobiliari. Tali disposizioni entreranno in vigore a partire dal 1° gennaio 2017. Tuttavia, le stesse hanno una notevole valenza sin da ora in quanto inevitabilmente condizioneranno l’attività interpretativa dell’Agenzia delle entrate. Francesco D'Alfonso, Il Sole 24 ORE – Consulente immobiliare, 30 aprile 2014, n. 951 Nozione di bene immobili La dir. n. 2006/112/CE, in materia di IVA, stabilisce che si considera fabbricato qualsiasi costruzione incorporata al suolo (art. 12, par. 2, comma 2, della dir. n. 2006/112/CE), evidenziando, pertanto, che, per potersi individuare un bene immobile, occorre che lo stesso sia fissato stabilmente a terra. Tuttavia, nel contesto comunitario manca una definizione condivisa di bene immobile ai fini della territorialità IVA e ciò ha creato notevoli problemi applicativi per quanto concerne le norme in materia di territorialità dal momento che ciascun Stato membro ha proceduto autonomamente nella formulazione di tale definizione. Da ciò ne è derivato che una stessa operazione può venirsi a trovare a essere contemporaneamente rilevante ai fini IVA in due diversi Stati membri. Sulla questione, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che si configura un bene immobile laddove non sia possibile separare il bene mobile dall’immobile (terreno o fabbricato) senza alterare la funzionalità del bene stesso o nell’ipotesi in cui per riutilizzare il bene in un altro contesto con le medesime finalità debbano essere effettuati antieconomici interventi di adattamento (circ. min. n. 38/2010). Allo stesso tempo, l’Agenzia ha precisato che, in attesa di criteri generali volti a distinguere i beni mobili dai beni immobili da parte dell’UE, per i beni situati in Italia occorre fare riferimento anche all’eventuale accatastamento del bene (circ. min. n. 37/2011). Il vuoto normativo esistente è stato, tuttavia, colmato dal reg. n. 1042/2013, che modifica il reg. di esecuzione (UE) n. 282/2011 per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi, il quale ha fornito una definizione molto dettagliata del concetto di “bene immobile”, includendo anche gli elementi che formano parte integrante di un edificio o di un fabbricato, in mancanza dei quali quest’ultimo risulterebbe incompleto (per esempio porte, finestre). NOZIONE DI BENE IMMOBILE (reg. n. 1042/2013) Una parte specifica del suolo, in superficie o nel sottosuolo, su cui sia possibile costituire diritti di proprietà e il possesso. Qualsiasi fabbricato o edifi cio eretto sul suolo o a esso incorporato, sopra o sotto il livello del mare, che non sia agevolmente smontabile né agevolmente rimuovibile. Qualsiasi elemento che sia stato installato e formi parte integrante di un fabbricato o di un edificio e in mancanza del quale il fabbricato o l’edificio risulti incompleto, quali porte, finestre, tetti, scale e ascensori. UNITELNews24 66 Qualsiasi elemento, apparecchio o congegno installato in modo permanente in un fabbricato o in un edificio che non possa essere rimosso senza distruggere o alterare il fabbricato o l’edificio. Territorialità dei servizi immobiliari Le prestazioni relative a beni immobili si considerano rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto nel luogo dove sono situati i beni, a prescindere dagli aspetti di natura soggettiva concernenti coloro che sono coinvolti nell’operazione. A norma dell’art. 7-quater, comma 1, lett. a), del decreto IVA si considerano effettuate nel territorio dello Stato le prestazioni di servizi relativi a beni immobili situati in Italia. Sono, invece, fuori campo IVA le prestazioni di servizi che interessano immobili siti all’estero, anche laddove siano coinvolti operatori nazionali. Tipologia di servizio Prestatore Prestazioni relative a beni ITAUEEXTRA UE immobili (art. 7-) Committente ITAUEEXTRA UE Regola territorialità IVA Luogo di ubicazione SÌ dell’immobile: Italia Luogo di ubicazione NO dell’immobile: UEEXTRA UE La descritta disciplina ai fini dell’imposta sul valore aggiunto si applica anche con riferimento alle prestazioni di servizi relativi a immobili adibiti a residenze di ambasciate italiane all’estero (ris. min. n. 355378/1985), nonché a quelle estere in Italia, le quali ultime, tuttavia, sono non imponibili ai sensi dell’art. 72 del decreto IVA. Occorre evidenziare, al riguardo, che le ambasciate fanno parte del territorio che le accredita. Nel caso in cui, poi, beni immobili siano situati in parte in Italia e in parte all’estero (per esempio, gasdotto internazionale), le prestazioni di servizi effettuate sugli stessi si considerano effettuate in Italia limitatamente alla parte dei lavori immobiliari effettuati nel territorio dello Stato, fino al limite delle acque territoriali. Campo di applicazione delle norme La norma in materia di individuazione del luogo di imposizione IVA dei servizi immobiliari ha a oggetto i servizi di costruzione, ristrutturazione, modifica, manutenzione e riparazione dei beni. Più esattamente, le prestazioni di servizi individuate dalla norma interna di riferimento, cioè l’art. 7- quater , comma 1, lett. a ), del D.P.R. 633/1972, sono le seguenti: 1. perizie; 2. prestazioni di agenzia; 3. fornitura di alloggio nel settore alberghiero o in settori con funzioni analoghe, ivi inclusa quella di alloggi in campi di vacanza o in terreni attrezzati per il campeggio; 4. concessione di diritti di utilizzazione di beni immobili (es. concessione di spazi); 5 . prestazioni inerenti alla preparazione e al coordinamento dell’esecuzione dei lavori immobiliari. Tutte le prestazioni di servizi elencate sono caratterizzate dalla presenza di una relazione concreta ed effettiva con il bene immobile (ris. min. n. 48/2010). • Perizie Le perizie consentono di individuare in maniera oggettiva concreti elementi di fatto relativi a beni immobili o beni mobili materiali per quanto concerne il loro valore, quantità, qualità e ciò anche se esse comportano cognizioni o calcoli tecnico-scientifici (ris. min. n. 153/2002). Attraverso di esse viene effettuato l’esame dello stato fisico di un bene, volto all’analisi dell’autenticità dello stesso, alla effettuazione di una stima del suo valore o alla valutazione dei lavori eventualmente da realizzare o della gravità di un danno sofferto. Le perizie non devono, tuttavia, essere confuse con le prestazioni di consulenza. Queste ultime si UNITELNews24 67 caratterizzano, infatti, per la prestazione di una valutazione soggettiva da parte del prestatore (consulente), la quale si estrinseca attraverso giudizi, precisazioni, chiarimenti o pareri. • Prestazioni di agenzia Si tratta, in questo caso, dei servizi di intermediazione relativi alla cessione di immobili e alla concessione di diritti di utilizzazione degli stessi (circ. min. n. 37/2011). Non costituiscono, invece, prestazioni relative a immobili i servizi forniti nei confronti di una società che gestisce alberghi e paga compensi di agenzia ad agenti UE ed extra UE per l’intermediazione nelle prenotazioni alberghiere (circ. min. n. 36/2010), i quali costituiscono, invece, prestazioni di intermediazione in nome e per conto del cliente aventi a oggetto prestazioni alberghiere. • Fornitura di alloggio nel settore alberghiero e analoghi Per fornitura di alloggio nel settore alberghiero e analoghi s’intendono le prestazioni di servizio alberghiero e dell’ospitalità più in generale e cioè, oltre ai servizi alberghieri, anche la fornitura di alloggi in campi di vacanza, nonché di terreni attrezzati per il campeggio. Rientrano, inoltre, in tale voce anche i relativi servizi di prenotazione dal momento che in questa ipotesi il soggetto che fornisce i servizi non svolge una mera attività di intermediazione ma, di fatto, acquista e rivende (in proprio nome e conto) servizi alberghieri (cfr. ris. min. n. 312/2008). Non si configura, invece, una prestazione di servizi relativi a beni immobili laddove le prenotazioni alberghiere vengano realizzate attraverso un sistema a esse riservato sulla rete Internet (circ. min. n. 36/2010). • Concessione di diritti di utilizzazione di beni immobili Trattasi di operazioni che si caratterizzano per l’attribuzione al committente di diritti di utilizzazione dell’immobile, quali locazione, sub-locazione, concessione e sub-concessione (circ. min. n. 37/2011) Costituiscono, inoltre, concessione di diritti di utilizzazione di beni immobili i servizi concernenti la percorrenza di autostrade, con riferimento ai quali viene concesso in uso a un soggetto un bene immobile, rappresentato dall’autostrada, in cambio del pagamento di un pedaggio. Non rientrano, invece, in tale fattispecie la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento su immobili (per esempio, usufrutto) dal momento che tali operazioni sono da considerare cessioni di beni e non prestazioni di servizio. Non costituiscono concessione di diritti di utilizzazione di beni immobili le prestazioni di deposito merci (circ. min. n. 28/2011). Al riguardo, occorre, tuttavia, evidenziare che, in virtù di quanto previsto dal regolamento UE 1042/2013 (si veda più compiutamente appresso), costituisce un servizio immobiliare anche il magazzinaggio di merci con assegnazione di una parte specifica dell’immobile a uso esclusivo del destinatario. Tale regolamento estende, pertanto, il campo di applicazione della nozione di “concessione di diritti di utilizzazione di un bene immobile” anche in talune ipotesi di stoccaggio di beni. Sulla questione era già intervenuta la Corte di Giustizia della UE, la quale, nella sent. 27 giugno 2013, causa-155/12, aveva affermato che lo stoccaggio di beni può costituire una operazione rilevante ai fini IVA nel Paese di ubicazione dell’immobile, e, quindi, costituire un servizio immobiliare, nel caso in cui il servizio di stoccaggio ricevuto costituisca la prestazione principale di un’operazione unica e il depositante abbia il diritto di utilizzare, in tutto o in parte, una specifica parte dell’immobile. • Preparazione e coordinamento dell’esecuzione dei lavori immobiliari Rientrano in tale voce le prestazioni di progettazione, quelle di direzione lavori relative a uno specifico immobile, nonché quelle relative alla progettazione degli interni e degli arredamenti fornite da architetti, ingegneri. Non, invece, i servizi di progettazione che non si riferiscono a immobili specificamente individuati (circ. min. n. 29/2011), nonché quelli (cfr. circ. min. n. 37/2011) che, sebbene concernano immobili specificamente individuati, non afferiscono alla preparazione e al coordinamento dei lavori immobiliari (per esempio: servizi relativi alla predisposizione dell’atto di vendita di un immobile forniti da un avvocato). Tuttavia, anche in quest’ultima ipotesi (si veda comunque più avanti), con il regolamento UE 1042/2013 è stato esteso il campo di applicazione di tale voce, prevedendo che debbano considerarsi inclusi nell’ambito delle prestazioni immobiliari i servizi legali relativi al trasferimento di proprietà di beni immobili, alla costituzione o al trasferimento di determinati diritti sui beni immobili o diritti reali su beni immobili (assimilati o meno a beni materiali), quali le pratiche UNITELNews24 68 notarili, o alla stesura di contratti di compravendita aventi per oggetto la proprietà di beni immobili, anche qualora la sottostante operazione che dà luogo all’alterazione giuridica della proprietà non sia portata a compimento. Le novità del regolamento UE n. 1042/2013 Il regolamento UE n. 1042/2013 ha fornito, per quanto concerne i servizi immobiliari, i seguenti elementi: a. criteri utili a individuare l’esistenza di un collegamento rilevante tra servizio e bene immobile; b. esempi di operazioni identificate come servizi relativi a beni immobili; c. esempi di operazioni non identificate come servizi relativi a beni immobili. Criteri utili a individuare l’esistenza di un collegamento rilevante tra servizio e bene immobile Sussiste un collegamento rilevante tra servizio e bene immobile nel caso in cui i servizi forniti presentano un nesso sufficientemente diretto con i beni immobili. Quest’ultimo, in particolare, viene a configurarsi con riferimento ai servizi erogati o destinati a un bene immobile, aventi per oggetto l’alterazione fisica o giuridica di tale bene, nonché nel caso in cui il bene sia un elemento costitutivo del servizio e sia essenziale e indispensabile per la sua prestazione. Esempi di operazioni identificate come servizi relativi a beni immobili L’art. 31- bis , par. 2, del regolamento di esecuzione (UE) n. 282/2011, come modificato dal regolamento UE n. 1042/2013, elenca una serie di operazioni che, tra le altre, costituiscono servizi relativi a beni immobili ( tabella 1 ). TABELLA 1 - Operazioni costituenti servizi immobiliari. a. Elaborazione di planimetrie per un fabbricato o per parti di un fabbricato destinato a un particolare lotto di terreno, a prescindere dal fatto che il fabbricato sia costruito. c. Edificazione di un fabbricato sul suolo nonché lavori di costruzione e demolizione effettuati su un fabbricato o su sue parti. e. Opere agricole, in particolare servizi agricoli quali il dissodamento, la semina, l’irrigazione e la concimazione. g. Valutazione di beni immobili, anche a fini assicurativi, per stabilire il valore di un immobile a garanzia di un prestito o per stimare eventuali rischi e danni nell’ambito di controversie. i. Prestazione di alloggio nel settore alberghiero o in settori con funzione analoga, quali campi di vacanza o terreni attrezzati per il campeggio, compreso il diritto di soggiornare in un luogo determinato risultante dalla conversione di diritti di uso a tempo parziale e di diritti affini. k. Lavori di manutenzione, ristrutturazione e restauro di fabbricati o di loro parti, compresi lavori di pulizia e di posa in opera di piastrelle, carta da parati e parquet. m. Installazione o montaggio di macchinari o attrezzature che, una volta installati o montati, possano essere considerati beni immobili. o. Gestione immobiliare diversa dalla gestione del portafoglio di investimenti immobiliari, consistente nella gestione di beni immobili commerciali, industriali o residenziali da o per conto del proprietario. q. Servizi legali relativi al trasferimento di proprietà di beni immobili, alla costituzione o al trasferimento di determinati diritti sui beni immobili o diritti reali su beni immobili (assimilati o meno a beni materiali), quali le pratiche notarili, o alla stesura di contratti di compravendita aventi per oggetto la proprietà di beni immobili, anche qualora la sottostante operazione che dà luogo all’alterazione giuridica della proprietà non sia portata a compimento. UNITELNews24 69 La messa a disposizione di attrezzature per la realizzazione di lavori su beni immobili costituisce una prestazione di servizi immobiliare esclusivamente nel caso in cui il fornitore assume la responsabilità dell’opera, ossia nel caso in cui, oltre alle attrezzature, viene messo a disposizione del destinatario anche il personale. Esempi di operazioni non identificate come servizi relativi a beni immobili - Non costituiscono, invece, servizi immobiliari le operazioni riportate nellatabella 2 (art. 31- bis , par. 3, del reg. n. 282/2011). 1. Elaborazione di planimetrie per fabbricati, o per loro parti, che non siano destinati a un particolare lotto di terreno. 2. Magazzinaggio di merci in un bene immobile qualora non sia assegnata alcuna parte specifica dell’immobile a uso esclusivo del destinatario. 3. Prestazione di servizi pubblicitari, anche se comportano l’uso di beni immobili. 4. Intermediazione nella prestazione di alloggio nel settore alberghiero o in settori con funzione analoga, quali campi di vacanza o terreni attrezzati per il campeggio, qualora l’intermediario agisca in nome e per conto di un’altra persona. 5. Messa a disposizione di stand in fiere o luoghi d’esposizione, nonché servizi correlati atti a consentire l’esposizione di prodotti, quali la progettazione dello stand, il trasporto e il magazzinaggio dei prodotti, la fornitura di macchinari, la posa di cavi, l’assicurazione e la pubblicità. 6. Installazione o montaggio, manutenzione e riparazione, ispezione o controllo di macchinari o attrezzature che non siano, o non diventino, parte di beni immobili. 7. Gestione del portafoglio di investimenti immobiliari. 8. Servizi legali in materia di contratti, comprese consulenze sulle clausole di un contratto per il trasferimento di beni immobili, o consulenze per eseguire un siffatto contratto o dimostrarne l’esistenza, che non siano specificamente connessi al trasferimento di proprietà di beni immobili, con esclusione dei servizi legali relativi al trasferimento di proprietà di beni immobili, alla costituzione o al trasferimento di determinati diritti sui beni immobili o diritti reali su beni immobili. UNITELNews24 70 Immobili L'abitabilità è essenziale per la validità del contratto? Il mancato ottenimento del certificato di abitabilità dell’immobile compravenduto ostacola la libera vendita dell’immobile, ne determina un deprezzamento e impone al costruttore-venditore l’obbligo di risarcire il relativo danno agli acquirenti. La seconda sezione civile della Corte di Cassazione, con la sent. n. 23157 dell’11 ottobre 2013, “bacchetta” duramente l’impresa venditrice colpevole di non aver ottenuto la preziosa certificazione. Il mancato ottenimento dell’abitabilità, è un problema ricorrente per cui, con l’occasione, potremmo effettuare alcune utili considerazioni. Donato Palombella, Il Sole 24 ORE – Consulente Immobiliare, 30 aprile 2014, n. 951 Ancora una volta le aule di giustizia tornano a occuparsi di una accesa vicenda che contrappone gli interessi del costruttore-venditore a quelli degli acquirenti. Questi ultimi mettono mano alla carta bollata lamentando il mancato ottenimento, da parte dell’impresa, del certificato di abitabilità. Partendo dal presupposto che l’immobile privo di tale certificazione abbia un valore di mercato minore rispetto a quello dotato di abitabilità, chiedono il risarcimento del danno subito. Tribunale e Corte d’Appello non sono d’accordo La domanda risarcitoria viene accolta in Tribunale ma, come spesso accade, la Corte di Appello ribalta l’esito del giudizio. La corte territoriale punta i riflettori su due circostanze: gli immobili trasferiti, in sostanza, sarebbero stati realizzati conformemente ai progetti, nessun impedimento, quindi, ostacolerebbe l’ottenimento dell’agibilità per cui il danno non sarebbe ravvisabile. In sede di merito, la questione si chiude con uno zero a zero. A rimettere la palla in gioco, a questo punto, sono gli acquirenti che ricorrono in Cassazione. Il parere della Cassazione La Corte di Cassazione rimescola le carte e assegna la vittoria finale agli acquirenti insoddisfatti. Cerchiamo di capire le ragioni del verdetto. Secondo gli Ermellini, la consegna del certificato di abitabilità dell’immobile compravenduto, pur non costituendo, di per sé, condizione di validità della compravendita, integra un’obbligazione incombente sul venditore ex art. 1477 cod. civ. L’abitabilità, secondo Piazza Cavour, sarebbe un requisito essenziale della cosa venduta, in quanto “certificherebbe” la possibilità di adibire l’immobile all’uso pattuito. Sotto questo profilo, quindi, il costruttore-venditore sarebbe inadempiente e, di conseguenza, scatterebbe l’obbligo risarcitorio. A entrare in gioco, questa volta, sarebbe l’art. 1490 cod. civ. che impone al venditore di garantire l’assenza di vizi della cosa venduta che «la rendano inidonea all’uso a cui era destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore». Occorre tener presente, peraltro, che la sentenza in oggetto riguarda un caso del tutto particolare: l’impresa era stata posta in liquidazione e aveva cessato la propria attività per cui era nell’impossibilità di adempiere alle proprie obbligazioni. È quindi naturale che i giudici altro non potevano fare se non condannare la società (o meglio, i soci) al risarcimento del danno. I precedenti La Cassazione, nel decidere la controversia, indica un precedente e precisamente la sent. n. 16216 del 16 giugno 2008, Sez. II civ. In questo caso, peraltro, si discuteva di un problema diverso: il costruttore, in attesa del rilascio dell’agibilità, non aveva stipulato gli atti definitivi di trasferimento per cui gli acquirenti, non avendo ancora acquisito la proprietà del bene, avevano rifiutato di procedere al pagamento delle rate mutuo gravanti sugli immobili compravenduti. In altre parole la Cassazione aveva riconosciuto nel comportamento tenuto dagli acquirenti, l’esercizio di un “potere di autotutela” ex art. 1460 cod. civ.; il principio è semplice e condivisibile: tu non mi trasferisci la proprietà dell’immobile, io sospendo il pagamento del prezzo. UNITELNews24 71 Le fonti normative Il certificato di abitabilità affonda le proprie radici nel passato trovando la propria fonte nel R.D. 1265 del 27 luglio 1934, “Testo unico delle leggi sanitarie”. La norma, nel corso degli anni, ha subito solo poche modifiche con il D.M. 5 luglio 1975 “Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896, relativamente all’altezza minima e ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione” e con il D.P.R. 425 del 22 aprile 1994, “Regolamento recante disciplina dei procedimenti di autorizzazione all’abitabilità, di collaudo statico e di iscrizione al catasto” poi abrogato e trasfuso negli artt. 24 e segg. del D.P.R. 380 del 6 giugno 2001, “Testo Unico dell’Edilizia” ed è proprio nel T.U. edilizia che trova ora la propria fonte primaria. Il concetto di abitabilità si espande con il tempo Se le fonti, con il tempo, non cambiamo, a cambiare è il concetto di abitabilità che, a poco a poco, si espande. Mentre, in origine, l’art. 221 del T.U. sanità si limitava a imporre che l’immobile fosse dotato dei necessari requisiti igienico-sanitari, attualmente il T.U. edilizia subordina il rilascio dell’abitabilità a tutta una serie di vincoli quali salubrità degli ambienti, conformità del manufatto alla normativa edilizia e urbanistica e ai progetti assentiti, sicurezza, igiene, risparmio energetico, rispetto degli standard acustici, regolarità fiscale ecc. In sostanza, è il concetto stesso di “abitabilità” che, recentemente, viene interpretato in modo più completo ed esaustivo fino a comprendere aspetti inizialmente non previsti dal legislatore. Che differenza c’è tra abitabilità e agibilità? In passato esisteva una differenza tra certificato di agibilità e di abitabilità, il primo, infatti, era relativo agli immobili non residenziali (che venivano dichiarati agibili, ovvero adatti allo svolgimento delle attività) mentre il secondo veniva rilasciato per gli immobili residenziali (dichiarati abitabili ovvero adatti a garantire la permanenza del nucleo familiare). I più anziani ricorderanno che, in origine (gloriosi anni ’60), il comune effettuava una ricognizione precisa e rigorosa del cantiere e rilasciava addirittura un singolo certificato per ogni unità immobiliare. I tempi passano e il singolo certificato è stato sostituito da una certificazione (o, il più delle volte un’autocertificazione) riguardante l’intero complesso immobiliare. Fabbricato agibile e abitabile Secondo alcune interpretazioni, il fabbricato sarebbe “agibile” quando siano state rispettate tutte le norme di sicurezza il che renderebbe possibile l’utilizzo del bene, senza, però, avere la possibilità di soggiornarvi o abitarvi stabilmente all’interno. L’immobile, viceversa, sarebbe “abitabile” quando, oltre a essere agibile, risponde ai requisiti previsti dalle norme igieniche e sanitarie per cui le persone possono tranquillamente soggiornarvi all’interno essendo assente il pericolo per la loro salute (Cass., Sez. II, sent. n. 8409 dell’11 aprile 2006). Si tratterebbe in tali ipotesi, di un’agibilità comprovata da un’apposita certificazione rilasciata dalla P.A. Ma, in definitiva, qual è la differenza tra abitabilità e agibilità? La risposta viene dall’autorevole voce del Consiglio Nazionale del Notariato; come giustamente precisato dallo Studio n. 4512, non esiste alcuna differenza sostanziale tra le due certificazioni il cui ottenimento è sempre stato subordinato alla medesima procedura e assolve alle medesime funzioni. Le clausole contrattuali Spesso accade che le parti inseriscano nel contratto preliminare o nel rogito un apposito patto in virtù del quale il venditore-costruttore è esonerato dall’obbligo di provvedere all’ottenimento dell’agibilità. In tale ipotesi, gli acquirenti troverebbero le porte sbarrate a una eventuale azione risarcitoria. In parole povere, se l’onere di provvedere all’ottenimento dell’agibilità è posto a carico dei promissari acquirenti, il costruttore-venditore rimarrà indenne da ogni ripercussione (Cass., Sez. II, sent. n. 24308 del 30 settembre 2001) bloccando anche una eventuale azione da parte dei clienti riottosi (Cass., Sez. II civ., sent. n. 16024 del 14 novembre 2001). Viceversa, se le parti si sono accordate stabilendo che il saldo del prezzo venga effettuato solo dopo aver ottenuto il rilascio dell’agibilità, e a prescindere dalla stipula dell’atto definitivo di UNITELNews24 72 compravendita, allora la questione cambia e il costruttore-venditore avrà l’obbligo di raggiungere il risultato contrattualmente indicato e, in mancanza, sarà tenuto a risarcire il danno. I motivi su cui si basa la responsabilità del costruttore-venditore Di norma il costruttore-venditore è tenuto a risarcire l’acquirente per la diminuzione del valore subito dall’immobile a causa del proprio inadempimento. Questo, del resto, è il principio-base a cui si ispira l’art. 1669 cod. civ. in materia di vizi e difetti dell’immobile. Ma, in tema di abitabilità, non stiamo parlando di vizi e difetti anzi, è del tutto probabile che l’immobile abbia tutti i requisiti oggettivi previsti per l’ottenimento dell’agibilità ma questa non sia stata ancora rilasciata (magari per inadempimento del comune o per le solite lungaggini burocratiche). Anche in questo caso, peraltro, il costruttore è ugualmente tenuto a risarcire gli acquirenti tuttavia occorre stabilire il quantum debetur . Il danno subito dall’acquirente è determinato in funzione degli oneri economici che quest’ultimo dovrebbe sopportare per il completamento della pratica: marche da bollo, affidamento dell’incarico a un tecnico capace di seguire l’iter burocratico ecc. Va da sé che, in tale ipotesi, l’importo risarcitorio dovrebbe essere minimo anche in virtù del fatto che i costi andrebbero ripartiti tra tutti gli acquirenti. Anzi, a ben vedere, sotto questo profilo, potrebbe essere configurabile addirittura una responsabilità del costruttore nei confronti del condominio piuttosto che verso i singoli condomini. La giurisprudenza Nel tempo la giurisprudenza è intervenuta a più riprese sul tema a dimostrazione dell’importanza dell’argomento. Secondo una prima tesi, il contratto (anche preliminare) che non contenga i riferimenti all’abitabilità, potrebbe essere invalido in quanto contrasterebbe con gli artt. 17 e 40, della legge 47/1985, che prevedono l’obbligo di dichiarare la regolarità urbanistica dell’immobile oggetto della compravendita con conseguente responsabilità del venditore (Cass., sent. n. 24308 del 30 settembre 2008). Secondo un’altra interpretazione, ancor più intransigente, ma ormai abbandonata, il contratto sarebbe addirittura nullo avendo a oggetto il trasferimento di un bene illecito (Cass., sent. n. 7681 del 19 luglio 1999) mentre, di contro, c’è chi ha riconosciuto alle parti la possibilità di disciplinare contrattualmente l’ipotesi di mancato rilascio dell’abitabilità (Cass. civ., Sez. II, sent. n. 8880 del 3 luglio 2000). Altri autori parlano di vendita aliud pro alio per cui l’oggetto della transazione rappresenterebbe un quid diverso da quello convenuto. Quali le conseguenze? L’acquirente potrebbe risolvere il contratto per inadempimento (Cass., sent. n. 21229 del 14 ottobre 2010; Corte Appello Firenze, Sez. I, sent. n. 842 del 21 maggio 2005). C’è chi non manca di sottolineare che il bene sarebbe affetto da una semplice “irregolarità”, da un “vizio” ovvero difetterebbe di una qualità; in tale ottica l’acquirente potrebbe optare tra la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo. Non manca anche chi assolve con formula piena il costruttore che non sia riuscito a ottenere l’abitabilità, pur adoperandosi per il suo rilascio. In definitiva, il costruttore avrebbe l’obbligo di predisporre la pratica relativa all’ottenimento dell’abitabilità e di depositare la documentazione valida sia dal punto di vista formale, che sostanziale presso l’amministrazione comunale ma non sarebbe responsabile dell’inerzia del comune. Del resto, trascorso il termine necessario per la formazione del silenzio-assenso, l’abitabilità dovrebbe essere considerata come rilasciata (Cass. civ., Sez. II, sent. n. 24729 del 7 ottobre 2008). L’abitabilità non è essenziale A parere di chi scrive, l’abitabilità non è un elemento essenziale per la validità del contratto purché, ovviamente, il corpo di fabbrica sia in regola con la normativa vigente. In parole povere l’immobile sarebbe legittimo anche se le “carte non sono tutte a posto”. Del resto occorre tenere presente che, secondo una recente ricerca effettuata nel corso del 2012 dalla KRLS Network of Business Ethics, solo il 45% delle scuole italiane ha il certificato di agibilità. Il Bel Paese si rivela il classico fanalino di coda dietro a Germania (97%), Francia (94%), Inghilterra (92%), Spagna (88%), Polonia (77%), Portogallo (71%), Romania (62%), Bulgaria (58%) e Grecia (52%). Allora, se l’amministrazione statale non garantisce l’abitabilità dei beni pubblici, perché mai dovrebbe farlo in privato? • Possibile l’abitabilità parziale UNITELNews24 73 A volte le imprese di costruzione impegnano le proprie energie nella realizzazione di grossi interventi edificatori; in tali ipotesi la realizzazione, per ovvi motivi, avviene “per stralci funzionali”. In tali ipotesi sorge la necessità di ottenere l’abitabilità parziale ovvero di certificare l’abitabilità relativamente agli immobili terminati, senza che l’intero complesso sia stato realizzato. Fino a poco tempo fa, per ottenere la cosiddetta abitabilità parziale, era necessario ricorrere a dei funambolismi. Il concetto di fondo che si cercava di sostenere era la possibilità di ottenere il rilascio dell’abitabilità per i lotti che fossero “autonomi e funzionali” ovvero già dotati delle necessarie infrastrutture, a prescindere dal fatto che altri parti del complesso immobiliare non fossero ancora state realizzate. Il problema è stato definitivamente messo da parte con il D.L. 69 del 21 giugno 2013, convertito con modificazioni dalla legge 98 del 9 agosto 2013, che, introducendo il comma 4bis all’interno dell’art. 24 del D.P.R. 380/2001, ha riconosciuto definitivamente la possibilità di ottenere l’abitabilità per singoli edifici o singole porzioni della costruzione, purché funzionalmente autonomi o, addirittura, per singole unità immobiliari. L’abitabilità parziale, secondo le nuove disposizioni, scatterebbe a condizione che siano state realizzate e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative all’intero intervento edilizio e siano state completate e collaudate le parti strutturali connesse, nonché gli impianti. Senza abitabilità, decadono i contributi Secondo la giurisprudenza, l’impresa impegnata in un progetto di edilizia residenziale pubblica decade dal contributo quando il comune rifiuti il rilascio dell’abitabilità a causa di difformità tra progetto approvato e quanto realizzato a prescindere da eventuali transazioni intervenute in pendenza di giudizio. Nel caso in esame la P.A. aveva rifiutato di concedere l’abitabilità avendo riscontrato delle difformità dalla concessione edilizia e, per di più, i lavori non erano stati terminati nei tempi previsti (Cons. Stato, Sez. VI, sent. m. 4855 del 13 settembre 2012) In conclusione Come abbiamo visto, gli scenari sono ampi e, in questo contesto, potrebbe essere sostenibile tutto e il contrario di tutto. Allora, in costanza, come operare? In primo luogo, come di consueto, occorre rivolgersi a professionisti preparati che sappiano impostare la documentazione in maniera corretta. Prevenire, in questo caso, è certamente meglio che curare. UNITELNews24 74 Pubblica amministrazione Amministrazione digitale: i cambiamenti in arrivo Le novità in arrivo per le pubbliche amministrazioni. Dalla fatturazione elettronica al fascicolo sanitario, alle regole in materia di conservazione e accreditamento Andrea Lisi, Il Sole 24 ORE – Guida al Pubblico Impiego, aprile 2014, n. 4 Il prossimo futuro si preannuncia particolarmente pieno di cambiamenti per le pubbliche amministrazioni. Se, infatti, dal 6 giugno 2014 scatterà l’obbligo di fatturazione elettronica per le PA centrali e i loro fornitori (e proprio in questi giorni è stata emanata una nuova circolare interpretativa sulla materia), altre novità sono in arrivo anche grazie alla definitiva pubblicazione in Gazzetta delle Regole tecniche sulla conservazione dei documenti informatici, alla definizione delle Linee guida per la presentazione dei piani di progetto regionali per il Fascicolo sanitario elettronico e all’imminente arrivo di altri documenti ufficiali che stanno per essere emanati. Ma procediamo per punti. Circolare interpretativa sulla fatturazione elettronica È notizia di questi giorni l’emanazione da parte del dipartimento delle Finanze e del dipartimento della Funzione pubblica della circolare interpretativa 31 marzo 2014 sul decreto 3 aprile 2013 n. 55, in materia di fatturazione elettronica nei confronti della pubblica amministrazione. La circolare si sofferma a chiarire alcune questioni particolarmente rilevanti per poter attuare il nuovo processo di emissione e invio in digitale delle fatture in maniera corretta; operazioni che a partire dal 6 giugno, ricordiamo, saranno già obbligatorie per PA centrali e alcuni enti nazionali. Innanzitutto, tutte le PA sono tenute a inserire l’anagrafica dei propri uffici deputati alla ricezione delle fatture elettroniche nell’Ipa (Indice delle pubbliche amministrazioni) almeno tre mesi prima della data di decorrenza dell’obbligo di fatturazione elettronica, così come prescritto dall’art. 6 del Dm n. 55/2013 al fine di ottenere con un congruo anticipo un codice univoco per ciascun ufficio che deve essere obbligatoriamente riportato in ogni fattura elettronica emessa verso la PA interessata. Nella circolare si specifica che anche le PA per le quali non è stata ancora stabilita la decorrenza dell’obbligo di fatturazione elettronica dovranno completare il caricamento in Ipa almeno 3 mesi prima della decorrenza degli obblighi citati. In particolare, il calendario predisposto dal legislatore nella normativa citata prevede le seguenti date da cui decorrerà l’obbligo di fatturazione elettronica per le PA: 6 giugno 2014, per ministeri, Agenzie fiscali ed enti nazionali di previdenza; 6 giugno 2015, per gli altri enti nazionali. Le date di avvio degli obblighi per gli enti locali saranno, invece, oggetto di uno specifico decreto di cui si attende ancora l’emanazione. I codici dell’Ipa, una volta ottenuti, devono inoltre essere comunicati dalla PA ai fornitori perché gli stessi possano inserirli nelle fatture da inviare al Sistema di interscambio (Sdi) unitamente alla relativa associazione con i contratti vigenti. La circolare si sofferma poi sulle modalità attraverso le quali considerare perfezionata l’emissione e la ricezione di una fattura. La circolare prende in esame il caso in cui l’inoltro della fattura alla PA abbia esito negativo e il Sistema di interscambio rilasci conseguentemente al soggetto mittente una notifica di mancata consegna: tale notifica è comunque prova della ricezione della fattura da parte del Sdi e della trasmissione della stessa da parte del soggetto mittente, il suo rilascio può quindi far considerare la fattura effettivamente emessa, anche in considerazione di quanto stabilito dalla disciplina generale, ossia dall’art. 21 del Dpr n. 633/1972. Circa l’art. 6, comma 6, del Dm 3 aprile 2013 n. 55 il quale prevede che trascorsi 3 mesi dalla data di decorrenza dell’obbligo di fatturazione elettronica, ovvero a partire dal 6 settembre 2014, le PA non possono procedere ad alcun pagamento, nemmeno parziale, sino all’invio delle fatture in formato elettronico la circolare UNITELNews24 75 puntualizza che le fatture cartacee emesse prima dell’entrata in vigore dell’obbligo, ovvero prima del 6 giugno 2014, saranno, anche dopo il 6 settembre 2014, accettate e pagate, mentre le fatture cartacee emesse dopo il 6 giugno 2014 non potranno essere in alcun modo accettate o pagate dalle PA per le quali decorre l’obbligo a partire da tale data. La circolare passa poi ad analizzare come affrontare e risolvere alcuni casi in cui, per varie ragioni (ad esempio, mancata comunicazione o ambiguità del codice Ipa), sia impossibile recapitare la fattura all’amministrazione destinataria. Viene, infatti, messo a disposizione dei fornitori un indirizzo generale denominato “Uff_eFatturaPA” al quale si potrà inoltrare la fattura ma, se il Sdi rileverà che invece sia possibile identificare univocamente l’ufficio interessato, lo stesso sistema respingerà la fattura inviando al mittente una notifica di scarto in cui viene segnalato il codice ufficio identificativo corretto. Nel caso in cui non solo il fornitore non abbia ricevuto comunicazione del codice dell’ufficio, ma l’amministrazione interessata non sia rilevabile nell’Ipa, il fornitore potrà usare nella fattura il valore di default (il Codice Fe centrale) ricevendo dal Sdi un’“Attestazione di avvenuta trasmissione della fattura con impossibilità di recapito”, firmata elettronicamente e contenente la fattura inviata, che sarà sufficiente a dimostrare che la fattura sia stata emessa ma che non sia stato possibile recapitarla all’amministrazione per cause non imputabili al fornitore. In questo caso il fornitore potrà trasmettere direttamente la fattura elettronica all’amministrazione (potrà ad esempio inviare direttamente l’attestato del Sdi tramite posta elettronica o altro canale telematico). Inoltre, in tutti i casi in cui la fattura elettronica sia stata correttamente inviata al Sdi, ma per motivi tecnici sia impossibile inoltrarla all’amministrazione competente, sarà la struttura di supporto del Sdi a contattare il referente del servizio di fatturazione elettronica dell’amministrazione coinvolta per sollecitare la veloce risoluzione del problema che ostacola l’inoltro corretto. Nel caso in cui siano trascorsi 10 giorni senza che il Sdi sia comunque riuscito a recapitare la fattura a destinazione, verrà rilasciata al mittente un’“Attestazione di avvenuta trasmissione della fattura al Sdi con impossibilità di recapito”. Anche quest’ultima darà la possibilità al soggetto trasmittente di inviare direttamente la fattura all’amministrazione interessata e sarà idonea a provare l’emissione della fattura in questione. Ovviamente l’obbligo di fatturare elettronicamente comporta il conseguente dovere di conservare in modalità digitale e a norma di legge tali fatture. Per tali motivi le novità contenute nelle nuove Regole tecniche sulla conservazione dei documenti informatici assumono una rilevanza strategica per il Sistema Italia. Novità sulla conservazione e sul Responsabile conservazione Le nuove Regole tecniche sulla conservazione (pubblicate in GU unitamente a quelle sul protocollo informatico) [ 1] chiariscono come le PA (e le imprese) che formano e gestiscono digitalmente documenti debbano munirsi di un sistema di conservazione digitale [2] che possa soddisfare irequisiti previsti dall’art. 44 del Cad (Codice dell’amministrazione digitale), ovvero permettere di identificare con certezza il soggetto che ha formato il documento e l’amministrazione o l’area organizzativa omogenea di riferimento, preservare l’integrità del documento stesso, permettere la leggibilità e l’agevole reperibilità dei documenti e delle informazioni identificative (inclusi i dati di registrazione e di classificazione originari) e rispettare le misure di sicurezza previste dagli artt. da 31 a 36 del Dlgs n. 196/2003 e dal disciplinare tecnico pubblicato in allegato B a tale decreto. La mole di documenti digitali che le PA gestiscono è ormai crescente e lo diventerà ancora di più con l’avvento della fatturazione elettronica a pieno regime, visto che le fatture elettroniche devono comunque essere trattate come oggetti informatici, insieme a tutti gli altri documenti digitali prodotti o ricevuti dall’ente pubblico (tra i quali, ad esempio, le Pec). Va da sé che le pubbliche amministrazioni devono mettere a punto un modello organizzativo valido per presidiare non solo i propri documenti ma anche, come richiedono le nuove Regole tecniche, i propri fascicoli informatici [3]. I sistemi di conservazione già esistenti alla data di entrata in vigore del Dpcm 3 dicembre 2013 dovranno essere adeguati alle nuove Regole tecniche entro e non oltre 36 mesi a decorrere dal 12 aprile 2014, secondo un piano dettagliato da allegare al Manuale di conservazione. Per i nuovi sistemi di conservazione, invece, non è prevista tale proroga di 36 mesi per l’adeguamento; pertanto, i nuovi sistemi di conservazione, a decorrere dal 12 aprile 2014, dovranno già essere conformi alle disposizioni del Dpcm 3 dicembre 2013. In base alle nuove Regole tecniche, a tutela del sistema documentale di una PA ci deve essere obbligatoriamente il responsabile della UNITELNews24 76 gestione documentale o il responsabile del servizio per la tenuta del protocollo informatico, della gestione dei flussi documentali e degli archivi (il quale ai sensi dell’art. 6 delle nuove regole tecniche “assicura la trasmissione del contenuto del pacchetto di versamento, da lui prodotto, al sistema di conservazione secondo le modalità operative definite nel manuale di conservazione”), a coordinamento del sistema di conservazione di privati e PA deve invece esserci obbligatoriamente il responsabile della conservazione, il quale “definisce e attua le politiche complessive del sistema di conservazione e ne governa la gestione con piena responsabilità ed autonomia, in relazione al modello organizzativo adottato”. Viene quindi ribadita l’obbligatoria presenza della figura del Responsabile conservazione in tutte le amministrazioni e imprese che formino e gestiscano documenti digitali, il quale a sua volta deve operare d’intesa con il Responsabile del trattamento dei dati e, ove obbligatoriamente previsto (nelle sole PA), con il responsabile degli archivi. Ovviamente i responsabili della conservazione e del trattamento devono possedere competenze specifiche, frutto di una corretta e mirata formazione, condizione fondamentale per garantire che i processi di conservazione vengano portati avanti in sicurezza e a norma di legge: proprio per garantire rappresentanza, riconoscimento e aggiornamento ai responsabili della conservazione e ai responsabili del trattamento l’associazione Anorc professioni ha recentemente istituito deiregistri nazionali. Con l’entrata in vigore delle nuove Regole tecniche ricordiamo che sarà inoltre obbligatoria l’adozione del Manuale della conservazione [4]. Novità per conservatori e accreditamento Come stabilisce l’art. 5 delle nuove Regole tecniche, le PA possono scegliere di sviluppare internamente il sistema di conservazione oppure affidarlo all’esterno (in outsourcing), ma solo a conservatori accreditati, siano essi pubblici o privati, di cui all’art. 44bis, comma 1, del Cad [5]. Tutti i soggetti, quindi anche pubblici, che intendessero procedere alla richiesta per ottenere il riconoscimento di conservatore accreditato presso l’Agid dovranno quindi presentare domanda (o integrare la documentazione eventualmente già presentata), tenendo presenti tutti i requisiti imposti dalle disposizioni del Dpcm 3 dicembre 2013, nelle modalità previste dalla recentissima Circolare Agid n. 65/2014. In base a tale nuova circolare sull’accreditamento (che ha sostituito le precedenti prescrizioni contenute nella circolare di DigitPA del 29 dicembre 2011, n. 59) l’Agenzia per l’Italia digitale ha previsto che: • i soggetti che hanno già inoltrato la domanda di accreditamento in base alle disposizioni della precedente circolare debbano provvedere a integrare la documentazione presentata entro i 180 giorni successivi dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della citata circolare; • che i conservatori siano necessariamente provvisti di certificazione di conformità del proprio sistema di conservazione allo standard Iso 27001 (peraltro non è specificato nel testo della circolare se lo standard richiesto sia quello Iso 27001:2013 o l’Iso 27001:2005 come indicato, tra l’altro, dall’appena approvato allegato 3 alle regole tecniche). • Piani regionali per il Fse Lo scorso 31 marzo 2014, Agid ha pubblicato le “Linee guida per la presentazione dei piani di progetto regionali per il Fse”. Le Linee guida, frutto del lavoro di un tavolo tecnico coordinato dall’Agenzia per l’Italia digitale e dal ministero della Salute, serviranno a orientare le Regioni nella predisposizione di piani di realizzazione del Fascicolo sanitario elettronico. Sulla base di tali piani le regioni e le province autonome dovranno, entro il 30 giugno 2015, realizzare il Fascicolo sanitario elettronico (Fse), inteso come l’insieme dei dati e documenti digitali di tipo sanitario e sociosanitario generati da eventi clinici presenti e trascorsi, riguardanti l’assistito. I piani di progetto dovranno essere presentati, entro il 30 giugno 2014, così come previsto dall’art. 12 del Dl n. 179/2012, esclusivamente on line, utilizzando un’apposita procedura che sarà resa disponibile sul portale dedicato www. fascicolosanitario.gov.it e successivamente saranno valutati e approvati da una Commissione istituita ad hoc a cura del ministero della Salute e dell’Agenzia per l’Italia digitale. UNITELNews24 77 Nonostante il Dpcm attuativo del Fse, previsto dal comma 7 dell’art. 12 del Dl 179/2012, non sia stato ancora approvato, le Linee guida sono state comunque strutturate sulla base di una sua bozza. Le Linee guida non esauriscono l’attività di studio e orientamento che stanno svolgendo l’Agid e il ministero della Salute ed è stato già previsto che, con successivi documenti, le Linee guida saranno integrate con ulteriori dettagli (ad esempio, inerenti alle altre finalità del Fse o a indicazioni di carattere eminentemente tecnico sulle modalità implementative dei servizi di interoperabilità). Le Linee guida, inoltre, dedicano una sezione specifica (la 9) anche alla conservazione a norma dei documenti informatici di tipo sanitario e sociosanitario: viene sottolineata, in particolare, la necessità di esplicitare, sulla base del modello organizzativo scelto dalla Regione, ai sensi degli artt. 6 e 7 delle citate Regole tecniche, i ruoli e le responsabilità individuate nonché il responsabile della conservazione. Nelle stesse Linee guida si ricorda inoltre che la conservazione dei documenti informatici appartenenti al Fse dovrà essere sempre effettuata ai sensi degli artt. 43 e 44 del Cad (e delle regole tecniche ivi richiamate e dettate con il citato Dpcm 3 dicembre 2013) e, come già accennato, il processo di conservazione potrà essere affidato, in modo totale o parziale, a conservatori, pubblici o privati, che offrano adeguate garanzie organizzative e tecnologiche e ( trattandosi di PA) previo accreditamento presso l’Agid ai sensi dell’art. 44bis del Cad. l ----1) Dpcm 3 dicembre 2013, Regole tecniche per il protocollo informatico ai sensi degli articoli 40bis,41, 47, 57bis e 71, del Codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005. 2) L’art. 43, comma 3, del Cad prevede che “i documenti informatici, di cui è prescritta la conservazione per legge o regolamento, possono essere archiviati per le esigenze correnti anche con modalità cartacee e sono conservati in modo permanente con modalità digitali, nel rispetto delle regole tecniche stabilite ai sensi dell'articolo 71”. 3) Ovvero, come si legge all’art. 3 delle nuove Regole tecniche, “le aggregazioni documentali informatiche con i metadati ad essi associati di cui all’allegato 5 al presente decreto, contenenti i riferimenti che univocamente identificano i singoli oggetti documentali che appartengono al fascicolo o all’aggregazione documentale”. 4) Un “documento informatico” che illustri dettagliatamente i ruoli, le responsabilità, gli obblighi e le eventuali deleghe dei soggetti coinvolti, le tipologie degli oggetti informatici conservati, il modello di funzionamento e il processo di conservazione e di trattamento dei pacchetti di archiviazione, le procedure per la produzione di duplicati o copie, le normative in vigore nei luoghi dove sono conservati i documenti (e ciò è sintomatico dell’attenzione che occorre nella scelta dell’eventuale outsourcer), nonché le infrastrutture utilizzate e le misure di sicurezza adottate. 5) Art. 44bis, Conservatori accreditati 1. I soggetti pubblici e privati che svolgono attività di conservazione dei documenti informatici e di certificazione dei relativi processi anche per conto di terzi ed intendono conseguire il riconoscimento del possesso dei requisiti del livello più elevato, in termini di qualità e di sicurezza, chiedono l’accreditamento presso DigitPA. 2. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 26, 27, 29, ad eccezione del comma 3, lett. a) e 31. 3. I soggetti privati di cui al comma 1 sono costituiti in società di capitali con capitale sociale non inferiore a euro 200.000. UNITELNews24 78 Pubblico impiego Non responsabile l'apicale senza budget 'ad hoc' per la sicurezza Il dirigente, cui sia attribuita solo formalmente la posizione di vertice gestionale della sicurezza, non è datore di lavoro e non è, automaticamente, responsabile per la mancata adozione di misure di sicurezza. Ai fini dell’accertamento della responsabilità penale non va trascurato, infatti, se alla posizione apicale corrisponda o meno anche un’effettiva disponibilità di risorse finanziarie. Questo l’importante principio desumibile nella sentenza della Cassazione, sez. IV penale, 11 febbraio 2014, n. 6370 Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Guida al Pubblico Impiego, aprile 2014, n. 4 I temi dell’organizzazione per la sicurezza sul lavoro e in specie della definizione dei ruoli finalizzati a essa vanno gestiti con molta attenzione anche negli enti locali, considerando significati giuridici e implicazioni organizzative sia delle nomine (in specie, quella di “datore di lavoro per la sicurezza” posta in essere dagli organi politici) sia delle “deleghe di funzione” (adottate dal datore di lavoro per la sicurezza verso i propri collaboratori gestionali). È da aggiungere, inoltre, che l’attribuzione di ruoli e/o di funzioni richiede non solo attività di carattere formale (ad esempio, la nomina in sé), ma anche ulteriore “facere” reale (ad esempio, l’attribuzione di un adeguato budget finalizzato alla sicurezza, nei confronti del datore di lavoro) che serve a dare “sostanza” a nomine altrimenti puramente formali. La conseguenza pratica di tale (poco conosciuto) “dover fare” è che qualora le citate tematiche siano affrontate, con scarsa cultura giuridica e organizzativa, si verificano delle situazioni come quelle descritte e giudicate nella sentenza n. 6370/2014 della Cassazione penale, commentata in questo articolo. Il fatto e la sentenza di merito Due dirigenti comunali (nel seguito, “A” e “B”) sono nominati, in tempi diversi, responsabili del Settore manutenzione dell’ente e obbligati a curare anche la manutenzione degli edifici scolastici del luogo. In seguito ad una segnalazione anonima, è effettuata un’ispezione presso la locale scuola elementare del Paese. Nel corso di essa gli ispettori riscontrano parecchie irregolarità nella manutenzione di varie parti dell’edificio, quali problemi nella tinteggiatura dei locali, nella segnaletica di sicurezza e nell’apertura delle finestre, crepe e, soprattutto, manchevolezze degli impianti elettrici. I due apicali, dato il loro ruolo formalizzato, sono incriminati per aver omesso di provvedere alla manutenzione dell’edificio scolastico. In seguito al processo essi sono condannati penalmente, per tali manchevolezze, affermandosi, tra l’altro, che la successione nel tempo dei due soggetti nella titolarità del ruolo non esclude la responsabilità di alcuno di essi e che uno dei due incaricati, quello più a lungo apicale, era tenuto a chiudere la scuola. Il ricorso in cassazione I due ricorrono per cassazione, sostenendo vari profili di censura. l Reati da contestare solo al datore di lavoro propriamente detto In primo luogo, la difesa dell’imputato “A” fa notare che i reati di cui agli artt. 80 ( riguardante gli obblighi del datore di lavoro in tema di impianti e apparecchiature elettriche), 86 (su verifiche e controlli del datore di lavoro sugli impianti elettrici) e 64 (gli obblighi del datore di lavoro a proposito dei luoghi di lavoro) del decreto legislativo n. 81/2008, essendo riferiti specificatamente al datore di lavoro, rappresentano reati “propri”, cioè attribuibili solo a chi assume la qualifica formale e sostanziale di “datore di lavoro”. In tal senso, si puntualizza che l’art. 2, comma 1, lett. b, del Dlgs 81/2008 chiarisce che datore di lavoro è il “dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente UNITELNews24 79 qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale (...) e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa”. Alla luce di tali dati giuridici, l’apicale afferma di non essere mai stato in suddetta condizione, non avendo posseduto autonomia gestionale, decisionale e/o di spesa, essendo privo di poteri decisionali e di spesa e di budget o fondi finanziari rispetto a cui attingere. Egli pone l’accento anche sul fatto che, all’epoca dei fatti, la giunta comunale, come attestato dal segretario dell’ente, aveva attribuito il ruolo di datore di lavoro ad un terzo soggetto dell’ente. In ogni caso, si ricorda il precedente di Cassazione penale (n. 250709/2011), in base al quale “il responsabile del servizio manutenzione ed il responsabile del reparto sono privi di responsabilità inerenti alle scelte gestionali generali, avendo poteri di livello inferiore, solitamente rapportati all’effettivo potere di spesa, e quindi, pur avendo qualifica dirigenziale, non sono equiparabili al datore di lavoro”. l Nessuna responsabilità avendo sensibilizzato i soggetti competenti a intervenire Lo stesso apicale contesta ai giudici di merito di non aver applicato correttamente l’art. 18, comma 3, del Dlgs n. 81/2008, incolpandolo, invece, per la mancata ottemperanza alle prescrizioni imposte dagli ispettori. È da ricordare che tale articolo, con rubrica “Obblighi del datore di lavoro e del dirigente”, al citato comma prevede che nel caso di “(...) obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del presente decreto legislativo, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, (...) gli obblighi previsti dal presente decreto legislativo, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all’amministrazione competente o al soggetto che ne ha l’obbligo giuridico.”. In questo senso il dirigente, all’epoca dell’ispezione in carica da appena una decina di giorni, sostiene che, comunque, avesse attivato i soggetti competenti ad intervenire. Di conseguenza, ritiene applicabile la suddetta norma e afferma che la responsabilità, erroneamente attribuitagli, sia in realtà del datore di lavoro del periodo in questione o di altri organi comunali. Sempre circa le prescrizioni di regolarizzazione imposte dagli ispettori, il condannato riporta, a suo favore, il precedente interpretativo di Cassazione (sentenza n. 239279/2008) secondo cui “è onere del giudice accertare se il contravventore abbia omesso di ottemperare alla prescrizione per negligenza, imprudenza o imperizia o inosservanza di norme regolamentari ovvero se sia stato impossibilitato ad ottemperare per caso fortuito o per forza maggiore”. l Totale estraneità per mancata contestazione L’apicale “B”, invece, si difende dicendo che a lui non fosse stata mai segnalata alcuna contestazione e poi propone la prima difesa, già evidenziata, dell’apicale “B”, secondo cui egli non rivestisse all’epoca la qualifica di datore di lavoro e non potesse essere, quindi, autore di un reato ascrivibile solo a quella figura. Il ragionamento della Cassazione Con la sentenza 11 febbraio 2014, n. 6370, la quarta sezione penale della Suprema corte, dopo aver preso atto delle censure dei condannati e analizzato la decisione di merito, sviluppa una serie d’interessanti profili. a) Le basi del giudizio di responsabilità espresso dai giudici di merito La Cassazione comincia con ilriepilogare i contenuti salienti espressi dal giudice di merito. Il giudizio, in sostanza, si basa, innanzitutto, sull’affermazione secondo cui la successione dei soggetti nella carica non esclude la responsabilità di alcuno dei due apicali. In particolare, la sentenza, considerando il maggiore periodo nel ruolo del responsabile “B”, ne censura il comportamento sino ad affermare che avrebbe dovuto chiudere la scuola, tenendo conto dell’evidente rischio di esposizione degli alunni per fili elettrici scoperti e penzolanti. All’altro responsabile si contesta, invece, di avere adempiuto alle prescrizioni imposte dagli ispettori con grave ritardo e, comunque, ben oltre il tempo concessogli. b) Mancata valutazione della nomina di altro soggetto come datore per la sicurezza La sentenza di legittimità, poi, nota parecchie deficienze nell’argomentazione dei giudici. Una prima riguarda la mancata valutazione, da parte dei giudici di merito, sull’obiezione posta dall’apicale “A” secondo cui egli, nel periodo in questione, non aveva la qualifica di datore di lavoro ai fini della sicurezza. c) Mancato accertamento delle cause La Cassazione, inoltre, attribuisce grande importanza anche alla critica del responsabile “B”, sintetizzata in precedenza, in base alla quale è onere del giudice accertare se il contravventore abbia omesso di ottemperare alle prescrizioni di UNITELNews24 80 regolarizzazione per negligenza, imprudenza o imperizia o inosservanza di norme regolamentari ovvero se sia stato impossibilitato per caso fortuito o per forza maggiore: tale aspetto, secondo i giudici di legittimità, è rilevante perché costituisce condizione di punibilità. Ove si fosse valutato tale profilo sarebbe risultato evidente, continua la Corte, che l’apicale non ha ottemperato perché non avvertito delle prescrizioni degli ispettori, in quanto non più, all’epoca dell’ispezione, titolare del ruolo di apicale di quel settore. d) Non automaticità della responsabilità dell’apicale, in presenza di carenza dei poteri di spesa in capo allo stesso La sentenza di legittimità, tuttavia, solleva nei confronti di quella di merito una censura ben più radicale. I giudici non hanno preso in adeguata considerazione il fatto che sia “A” sia “B”, pur avendo una qualifica di “dirigenti”, fossero sforniti di poteri di spesa. In sostanza, essi hanno posto una sorta di equazione “ posizione apicale ricoperta degli imputati” = “addebitabilità del mancato approntamento dei lavori di messa in sicurezza e ristrutturazione dell’edificio scolastico”, ma senza valutare se alla posizione corrispondesse, altresì, un’effettiva disponibilità di risorse finanziarie. Questo profilo della sentenza di merito è, secondo la Cassazione, un aspetto inficiante del tutto la correttezza della decisione: il soggetto responsabile per la mancata adozione di misure di sicurezza non può essere individuato, automaticamente, in colui o in coloro che occupano la posizione di vertice. Affinché sorga la responsabilità in esame occorre, secondo la pronuncia di legittimità qui commentata, un accertamento puntuale e concreto circa l’effettiva situazione della gerarchia delle responsabilità, non potendosi attribuire ad un organo di vertice una sorta di responsabilità oggettiva per situazioni che non siano, ragionevolmente, controllabili da parte dello stesso. In casi del genere la cura e la responsabilità sono, invece, di coloro che abbiano piena ed esclusiva autonomia di spesa. Cosa dice la sentenza 6370 In tema di posizioni di garanzia in materia antinfortunistica, il responsabile del servizio manutenzione ed il responsabile del reparto sono privi di responsabilità inerenti alle scelte gestionali generali, avendo poteri di livello inferiore, solitamente rapportati all’effettivo potere di spesa, e quindi, pur avendo qualifica dirigenziale, non sono equiparabili al datore di lavoro. Non procedendo in tal modo, in sostanza, la decisione impugnata ha svalutato le prove fornite dagli imputati sulla loro impossibilità di fronteggiare il problema, vista, in generale, la disastrosa situazione economica del comune e, più in particolare, la mancata assegnazione di somme, nei loro confronti, sulla base del piano economico di gestione. e) Non addebitabilità della mancata chiusura della scuola La Suprema corte rileva, infine, che i giudici di merito hanno commesso l’ulteriore errore di addebitare a un imputato la mancata chiusura dell’istituto scolastico, misura che, invece, era del preside (rectius, il dirigente scolastico). La decisione In base a tali argomentazioni la Cassazione annulla senza rinvio la decisione di merito perché il fatto contestato non è ascrivibile agli imputati. Considerazioni conclusive La sentenza n. 6370/2014 contiene contenuti di grande interesse sia sul piano strettamente giuridico sia su quello delle implicazioni organizzative in tema di sicurezza sul lavoro. a) In primo luogo, essa ribadisce un concetto da molti dimenticato,ma presente nella stessa definizione legislativa di datore di lavoro pubblico per la sicurezza (art. 2, comma 1, lett. b), del Dlgs n. 81/2008): la sicurezza sul lavoro richiede un vertice gestionale della sicurezza dotato di effettivi poteri di spesa e, quindi, avente un budget a disposizione, sufficiente e specifico mirato alla tutela della salute sul lavoro. Qualora il ruolo sia privo degli adeguati poteri rappresenta un vertice solo formale della struttura per la sicurezza dell’ente locale ed è, quindi, una “testa di legno”, cioè una figura inesistente e solo apparentemente sostitutiva del titolare sostanziale dell’organizzazione per la sicurezza (così, ad esempio, Cass. pen., n. 38840/2005). b) La sentenza, tuttavia, non approfondisce taluni risvolti giuridici che possono farsi derivare dai principi espressi. Innanzitutto, in casi del genere, come hanno già avuto modo di evidenziare nel tempo altre UNITELNews24 81 sentenze di Cassazione (ex plurimis, sent. n. 257/2001), la responsabilità risale la struttura organizzativa complessiva dell’ente e va ad allocarsi in colui o coloro che hanno effettivamente il suddetto potere di spesa e che non hanno scelto, oculatamente, le priorità su cui investire le (anche poche) risorse economiche disponibili. Il riferimento al vertice politico è in questi casi evidente, spesso valorizzando il concetto di “interventi strutturali” (una delle prime pronunce di tal genere è Cass. pen., n. 2297/1999), che non possono essere governati da una “posizione organizzativa” priva di fondi al riguardo. Un secondo risvolto non ripreso nella sentenza in esame è che in casi di inazione della figura di vertice gestionale sorge un dovere di agire sostitutivo da parte del potere politico (così, Cass. pen., n. 257/2001). c) Un primo suggerimento organizzativo che si può, allora, indirizzare, specie a sindaci e giunte di enti locali, è di verificare, con un “checkup” organizzativo svolto in base al criterio dell’effettività,l’esistente struttura organizzativa per la sicurezza, rilevando l’eventuale presenza di figure solo formali. Leggendo con cura la sentenza e riguardando la struttura interna per la sicurezza sul lavoro, molti comuni potrebbero, infatti, “scoprire” di trovarsi in una situazione “ schizofrenica” in cui l’organizzazione formale non corrisponde a quella sostanziale. In questo senso un semplice indice organizzativo di carenza può essere rappresentato dalla prassi, frequente in molti piccoli enti, di attribuire il ruolo di “datore di lavoro” ad apicali tecnici e/o di settore, che pur essendo in grado di gestire taluni aspetti non si rivelano, in realtà, in grado di gestirne altri e, comunque, capaci di governare l’intero ambito della sicurezza sul lavoro dell’ente. UNITELNews24 82 Casi pratici Appalti SE IL SUBAPPALTATORE È IN RITARDO CON IL FISCO D. Una società committente fa effettuare lavori in appalto a un terzo, che paga ancor prima di farsi rilasciare da questi la dichiarazione di avere regolarmente versato i contributi, l'Irpef e l'Iva. Dopo qualche tempo, e cioè a pagamento avvenuto del committente, viene alla luce l'irregolarità e il terzo comunica che sta effettuando le rateazioni. Si chiede se, con tale rateazione, il committente può essere esonerato dalle sanzioni di legge per avere pagato prima che il terzo gli abbia fornito la documentazione di legge, e se le rateazioni devono riguardare, per essere immuni da colpe, Irpef e Iva.Per quest'ultima imposta, si chiede altresì se la nuova legge abroga la vecchia, in base alla quale era necessario dimostrarne il pagamento, oppure se fino a una certa data bisognava munirsi delle dichiarazioni dell'avvenuto pagamento dell'Iva. ---R. Va anzitutto evidenziato che l’articolo 35 della legge 248/2006, come modificato - in primis dall’articolo 13-ter della legge 134/2012, ha introdotto la responsabilità solidale del committente, imprenditore, con l’appaltatore ed eventuali subappaltatori, in relazione al versamento all’erario delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell’Iva relativa alle fatture dei lavori effettuati. Successivamente, con l’articolo 50 della legge 98/2013 (di conversione del cosiddetto decreto del fare), è stata soppressa questa responsabilità fiscale solidale relativamente ai versamenti Iva, modificando in tal modo l’ambito di applicazione dell’articolo 35, commi 28 e 28-ter, del Dl 223/2006. Quindi, in risposta al secondo quesito, si precisa che rimangono in vigore tutte le disposizioni relative all’operatività della responsabilità (e della sanzione a carico del committente) solo per il versamento delle ritenute Irpef da effettuare sui redditi dei dipendenti impiegati. Con riferimento al primo quesito, il committente, al contrario dell’appaltatore, non ha una responsabilità solidale fiscale, posto che deve provvedere al pagamento del corrispettivo dovuto, previa esibizione, da parte di quest’ultimo, della documentazione attestante che gli adempimenti fiscali scaduti alla data del pagamento del corrispettivo sono stati da lui (e dagli eventuali subappaltatori) correttamente eseguiti. L’inosservanza della verifica da parte del committente comporta la sanzione di legge (cui si fa cenno nel quesito) allorché i relativi adempimenti fiscali non siano stati correttamente eseguiti dall’appaltatore e dagli eventuali subappaltatori. È, invece, controverso se la rateizzazione del debito fiscale a favore di uno o entrambi dei soggetti citati esoneri dalle sanzioni il committente, che ha pagato il corrispettivo dell’appalto senza avere preventivamente acquisito la documentazione. Ad esempio, in tema di appalti pubblici, l’assenza di irregolarità fiscali costituisce requisito per la partecipazione alle relative gare. Tuttavia, nel caso in cui sia stato concordato tra impresa e amministrazione erariale un accordo di ristrutturazione del debito, il Consiglio di Stato (adunanza plenaria, 5 giugno 2013, n. 15) ha precisato che, in funzione della citata norma di esclusione, la presenza di un accordo di ristrutturazione e rateizzazione del debito fiscale consente all’impresa di partecipare alle gare per gli appalti pubblici, purché l'accordo sia intervenuto prima della presentazione dell’offerta. Orbene, se nella severa materia degli appalti pubblici il Consiglio di Stato, massimo consesso giurisdizionale, ammette la regolarità fiscale del contribuente cui sia stata accordata la rateizzazione, si può ritenere che non sia applicabile la sanzione a carico del committente (nella fattispecie, privato), anche per l’Iva pregressa, sempreché sia stata concessa la rateizzazione. (Mario Maceroni, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 28 aprile 2014) UNITELNews24 83 Catasto VARIAZIONI TOPONOMASTICHE ERRATE: CORREZIONI D'UFFICIO D. A seguito di una variazione toponomastica, il Comune ha rettificato l'indirizzo dell'abitazione principale. Per il ripristino dell'originario indirizzo, l'agenzia delle Entrate e quella del Territorio pretendono la presentazione di un Docfa (documenti Catasto fabbricati) e non una semplice istanza corredata da un attestato di "corrispondenza toponomastica" rilasciato dal Comune. Chi deve provvedere al ripristino dell'indirizzo? Il Comune, che ha commesso l'errore, o la proprietaria dell'immobile? ---R. In linea di massima, è facoltà del proprietario dell’immobile che ha subìto una variazione di toponomastica presentare una pratica Docfa o un’istanza per l’adeguamento. Di fatto, la variazione di toponomastica non rientra fra le dichiarazioni di variazione da presentare obbligatoriamente ai sensi dell’articolo 20 del Rd 652/1939 (che disciplina le variazioni nello stato dei beni per quanto riguarda la consistenza e l'attribuzione della categoria e della classe, o nel possesso dei rispettivi immobili).Nella fattispecie segnalata, peraltro, si tratta di una variazione di toponomastica immessa dal Comune (molto probabilmente in collaborazione con l’ufficio catastale) ed erronea. Pertanto, è indubbio che la incoerenza dev'essere eliminata d’ufficio a seguito di semplice segnalazione dell’interessato che dimostri l’erroneità dell’operato. Di conseguenza, non è legittima la richiesta dell’agenzia dell’Entrate (sotto forma di obbligo). (Antonio Iovine, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 28 aprile 2014) Condominio IN ASSEMBLEA CON IL PIENO DI INFORMAZIONI Diritto d'accesso ai documenti - Possibile consultare in anticipo il registro di contabilità, il bilancio e il conto corrente D. Nel condominio in cui abito, l'esercizio di bilancio si chiude il 31 marzo, anche se l'assemblea non viene mai convocata prima di maggio. Ho saputo per vie traverse che la spesa per la sistemazione del giardino condominiale è stata ben superiore a quella messa a preventivo, e vorrei sollevare la questione alla prossima assemblea, contestando l'importo e – se possibile – evitando di pagare l'impresa. Come posso muovermi nel modo più corretto? In assemblea vorrei proporre anche il cambio di amministratore: posso farlo, dopo avere raccolto i preventivi di altri operatori? ---R. Per arrivare preparati all'assemblea di condominio "di fine anno" occorre attivarsi in tempo, sfruttando anche i nuovi strumenti previsti dalla riforma (legge 220/2012, in vigore dal 18 giugno 2013). Lo scopo non dovrebbe essere solo controllare il proprio amministratore ma anche, e soprattutto, partecipare attivamente alla gestione del proprio patrimonio. Non va infatti dimenticato che la nuova formulazione dell'articolo 63, commi 1 e 2, delle disposizioni di attuazione del Codice civile prevede che il creditore del condominio debba prima agire nei confronti del condòmini inadempienti. Successivamente, in caso di mancato pagamento, sarà possibile rivolgersi a coloro che sono in regola con i pagamenti. Le informazioni non possono più, quindi, essere limitate all'incontro annuale in cui si discute il rendiconto. Innanzitutto, nel corso di tutto l'anno, chiunque sia interessato può prendere visione del registro di contabilità, nel quale sono annotati, in ordine cronologico ed entro 30 giorni dall'effettuazione, i singoli movimenti in entrata e in uscita. Non si ritiene che si tratti di una mera "replica" del conto corrente, in quanto dovrebbero esservi riportate anche le fatture ricevute e non ancora pagate. Il diritto di consultazione è dato a «ogni interessato». Bisogna pensare, dunque, che sia venuta meno quella impermeabilità che fino al 17 giugno 2013 caratterizzava i rapporti tra amministratore e conduttore o comodatario. La nuova formulazione lascia infatti intendere che anche costoro possono avere accesso alle informazioni. La possibilità di consultazione (e di estrarre copie a proprie spese) da parte degli interessati è estesa anche ai giustificativi di spesa. L'esame può essere utile per meglio comprendere il rendiconto. Il discorso fatto finora non vale unicamente per i bilanci, ma per qualsiasi altro argomento posto UNITELNews24 84 all'ordine del giorno. L'informazione è importante, al punto che la violazione del diritto di ciascun interessato di esaminare a sua richiesta la documentazione determina l'annullabilità delle delibere successivamente approvate. Non si può però escludere che il diritto di consultazione di conduttori e comodatari sia limitato solo a quella documentazione che possa essere di loro interesse. Questi soggetti potranno, pertanto, esaminare tutto ciò che attiene al loro obbligo di pagamento oppure, per il conduttore, al diritto di voto (o di intervento senza diritto di voto) in luogo del proprietario. Il potere di esaminare il conto corrente è invece limitato, previa domanda all'amministratore, ai soli condòmini, che hanno altresì il diritto di ottenere informazioni relative allo stato dei pagamenti e alle liti in corso. Tale limitazione potrebbe essere giustificata anche dal fatto che solo costoro potrebbero essere chiamati a pagare quanto non eventualmente versato dai condòmini morosi. Secondo il legislatore, non consentire la consultazione dei registri oppure il loro mancato aggiornamento, così come negare le informazioni circa lo stato dei pagamenti e delle liti in corso, è una irregolarità talmente grave da giustificare la revoca giudiziale dell'amministratore. Analogo esito può verificarsi se la gestione è tenuta secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell'amministratore o di altri condomini. Sempre in vista dell'assemblea, e della possibilità di controllarne la regolarità dello svolgimento, va ricordato che è diritto di ciascun condomino intervenire anche tramite un rappresentante. Occorre però fare attenzione alla cosiddetta "incetta di deleghe", in quanto la riforma ha previsto limiti ben precisi. Infatti, nel caso in cui il condominio abbia più di venti partecipanti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e dei millesimi. La norma non è derogabile nemmeno da un regolamento avente natura contrattuale (allegato, cioè, al primo atto di acquisto e richiamato in tutti i successivi rogiti, oppure accettato da tutti i condomini anche dopo la venuta in essere del condominio). Se, invece, i condomini sono in un numero inferiore a venti, tale limite non opera. In questo caso il regolamento (anche se di origine assembleare) può prevedere limitazioni, ma mai vietare tale diritto. La delega dev'essere scritta. Non potrà quindi più essere accettata le partecipazione di colui che, verbalmente, asserisce di rappresentare il coniuge proprietario. Non potranno nemmeno essere inviate deleghe senza il nominativo della persona dalla quale si desidera essere rappresentati. In ogni caso, indipendentemente dal numero dei condòmini, sono vietate le deleghe all'amministratore. La violazione delle norme in materia di rappresentanza, in quanto incidente sulla formazione della volontà dell'assemblea, può dare luogo all'annullamento della deliberazione. In assenza di impugnazione entro 30 giorni, decorrenti dalla data del l'assemblea per i presenti e dal ricevimento del verbale per gli assenti, il vizio viene però sanato. Sono cambiate anche le norme per la partecipazione all'assemblea nel caso della comunione, qualora un'unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone. Queste hanno diritto a un solo rappresentante, che è designato dai comproprietari interessati con un'apposita delibera. Va precisato che il termine minimo di cinque giorni intercorrenti tra la data del ricevimento dell'avviso di convocazione e la data della prima riunione vale solo per il condominio e non per la comunione. Questa, per la validità delle decisioni, non necessita di un analogo termine. La norma nulla dice sul punto, ma si è portati a ritenere che occorra far pervenire al presidente dell'assemblea la delibera della comunione in forma scritta. In alternativa potrebbe essere sufficiente la delega firmata da tutti i comproprietari. Nel caso in cui questi non riuscissero a mettersi d'accordo e non vi sia la nomina da parte dell'autorità giudiziaria, non sarà più possibile, per il presidente dell'assemblea, estrarre a sorte colui che avrà diritto di voto. Le sei mosse per arrivare preparati I consigli da seguire per garantirsi la possibilità di partecipare attivamente all'assemblea e difendere meglio i propri interessi CONTROLLATE I LAVORI STRAORDINARI Può essere che nel rendiconto compaia una voce riferita a opere straordinarie che non sono state preventivamente deliberate dall'assemblea. Occorre ricordare che l'amministratore può fare effettuare questo tipo di interventi solo ove ricorra il requisito dell'urgenza. Difettando tale UNITELNews24 85 presupposto, le iniziative assunte dall'amministratore per attività di straordinaria amministrazione non creano obbligazioni per i condòmini. In caso di urgenza l'assemblea non sarà chiamata a ratificare, ma solo a prenderne atto. Ciascun condomino potrà controllare il carattere dell'intervento e verificare se effettivamente fosse urgente (se, cioè, non vi fosse il tempo di convocare l'assemblea). Accertato questo, potrà anche prendere visione e chiedere copia delle relative "pezze giustificative" ESAMINATE IL PRECEDENTE CONSUNTIVO Esaminando il rendiconto, è sempre opportuno effettuare un controllo con quanto contenuto nel consuntivo dell'anno precedente e nel preventivo di spesa riferito alla gestione che sarà oggetto di esame per l'approvazione. Può essere che nel corso dell'anno vi sia stato un discostamento da quanto preventivato. Un aumento significativo può essere dovuto al riscaldamento. In primo luogo occorre verificare i gradi-giorno per accertarsi se la stagione è stata più fredda del solito. Per quanto riguarda il gas è possibile che vi siano aumenti di prezzo riferiti alla variazione del mercato. In questo caso, tramite l'amministratore, conviene chiedere un dettaglio dei consumi e dei costi. Per le altre voci è opportuna una discussione in assemblea per capire se si possono apportare correttivi ACCERTATEVI DELLO STATO DEI PAGAMENTI Se nel rendiconto vi è una netta differenza tra quanto risulta dalle uscite e quanto incassato, occorre fare qualche indagine approfondita. L'amministratore dovrà indicare nella nota sintetica esplicativa della gestione le motivazioni di quanto accaduto. Sarà anche opportuno accertare quali fatture non sono ancora state pagate o lo sono state solo parzialmente. Occorrerà anche verificare se sono stati versati tutti i denari richiesti nel preventivo: se così fosse, la differenza potrebbe essere dovuta alle maggiori spese. In questo caso non sembrerebbero esservi anomalie nel comportamento dei condòmini. Se invece si tratta di morosità, l'amministratore, nella stessa nota esplicativa, dovrà dare informazioni circa lo stato delle procedure esecutive per la riscossione dei contributi condominiali VERIFICATE LA REGOLARE CONVOCAZIONE L'ordine del giorno deve indicare in maniera specifica gli argomenti da trattare. Questo serve per dar modo a ciascun condomino di arrivare preparato alla riunione. Sarà infatti possibile assumere maggiori informazioni sia presso l'amministratore sia consultando libri o sentendo altri esperti, che lo guidino meglio nelle decisioni da prendere. La convocazione dovrà pervenire almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mani, e deve contenere l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione. In caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile PROPONETE IN TEMPO I PUNTI DA DISCUTERE In assemblea possono essere discussi solo argomenti posti all'ordine del giorno. Se qualche condomino vuole che sia trattata una particolare questione, non deve quindi fare affidamento sulla solita voce varie ed eventuali. Questa può infatti trattare solo richieste di chiarimenti o argomenti da porre all'ordine del giorno di altra assemblea. In questo caso occorrerà contattare per tempo l'amministratore richiedendogli di inserire anche l'argomento che interessa. Se fosse necessario un minimo di istruttoria, è il caso che la richiesta venga fatta per tempo, in modo da dare all'amministratore il tempo di informarsi sulla questione ed eventualmente raccogliere la documentazione necessaria. Maggiore è l'informazione che i condomini hanno preventivamente e più concreta e produttiva sarà la discussione PREPARATE IL CAMBIO DI GESTIONE L'assemblea ordinaria annua può essere il momento in cui i condòmini decidono di avere un nuovo amministratore. Innanzitutto, va ricordato che l'amministratore nominato dal 18 giugno 2013 è stato rinnovato automaticamente di un altro anno. In questo caso i condòmini che vogliono sostituirlo devono chiedere che all'ordine del giorno venga inserito il punto «revoca e nomina UNITELNews24 86 dell'amministratore». È opportuno che si arrivi in assemblea con più di un preventivo, non solo con il prezzo, ma anche con le qualifiche del professionista. La riforma prevede per l'amministratore un obbligo di formazione continua. Pur mancando a oggi il decreto ministeriale che ne definisca i contenuti, i condòmini dovrebbero dedicare particolare attenzione alle competenze del professionista (Edoardo Riccio, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 7 aprile 2014) POLIZZE, LA PRIVACY NON BLOCCA LA VISIONE D. Abito in un attico all'ultimo piano di un condominio. Quest'inverno si è verificata un'infiltrazione d'acqua dal lastrico solare che ha danneggiato le pareti del mio appartamento e il soffitto dell'alloggio sottostante. Il sinistro è stato denunciato all'amministratore e, da questi, alla compagnia assicuratrice. Ci è stato detto, però, che l'assicurazione non coprirà i danni, poiché non è stato chiarito se la perdita deriva dalla rottura di un tubo di gronda o dal cattivo stato del materiale isolante. Ho chiesto allora di poter vedere tutta la documentazione della polizza, compresa quella relativa al sinistro. L'assicurazione mi ha negato questa possibilità, sostenendo tra l'altro che il proprio Centro liquidazione non è autorizzato a divulgare alcun documento inerente ai sinistri e alle polizze, «in quanto protetti dalla legge sulla privacy», e aggiungendo che l'accesso agli atti non è previsto «per i sinistri Rami elementari». Io invece credo di avere il diritto di vedere i documenti e credo, soprattutto, che il danno debba essere risarcito. È davvero così? E come faccio a far valere le mie ragioni? ---R. Le assicurazioni guardano con sospetto alle richieste di documenti provenienti da soggetti diversi da quello che ha stipulato la polizza. La cautela nella diffusione di dati, però, non può tradursi in un costante diniego di accesso, motivato richiamando in modo generico e astratto la questione della privacy, senza che nemmeno ci si chieda quali soggetti potrebbero subire una violazione in questo campo. Escluso che possa parlarsi di privacy dell'amministratore in ordine agli atti del suo ufficio, l'accesso di alcuni condòmini alla polizza del fabbricato e alle informazioni sul procedimento di liquidazione di eventuali sinistri non viola la privacy degli altri. Si tratta, infatti, di dati che l'amministratore è tenuto a fornire a qualunque condomino ne faccia richiesta. Proprio come i dati – di certo più "sensibili" – circa la morosità nel pagamento dei contributi condominiali (Cassazione 1593/2013, nota del Garante del 26 settembre 2008). Occorre, allora, verificare l'esistenza di un dovere per l'assicurazione di fornire dati e informazioni sui sinistri a tutti i condòmini che li richiedano anziché al solo amministratore. Ecco il cuore del problema. I dati riferibili al condominio sono anche riferibili ai singoli? E il singolo condomino può essere considerato parte del contratto di assicurazione? In caso di risposte affermative, ciascuno potrebbe avvalersi di due tipi di diritto di accesso: quello ai dati personali (articolo 7 del Codice dati personali) e quello che spetta nel contesto di qualunque rapporto contrattuale (l'articolo 183 del Codice delle assicurazioni impone l'obbligo di trasparenza nei rapporti con clienti e assicurati). L'Arbitro bancario finanziario – a proposito del caso del tutto analogo dell'accesso alla rendicontazione bancaria – ha più volte affermato che la banca deve consentire l'accesso a ogni condomino che ne faccia richiesta: l'esistenza di un organo rappresentativo unitario come l'amministratore non priva i singoli della facoltà di agire direttamente in difesa dei diritti individuali o comuni. Ogni condomino è un "cliente" (da ultimo Collegio di Milano, decisione 1282/2013). Un elemento di incertezza, tuttavia, viene dalla riforma del condominio. In essa si ribadisce che tutti i condòmini possono prendere visione della rendicontazione bancaria, ma si aggiunge l'inciso «per il tramite dell'amministratore» (articolo 1129, comma 7, del Codice civile). In una recentissima pronuncia, l'Arbitro bancario ha attribuito alla norma il significato di escludere l'accesso per i singoli condomini (Collegio di Milano, 400/2014). La decisione – scarna nelle motivazioni – si pone in contrasto con l'orientamento, piuttosto consolidato, che ha generalmente consentito l'accesso ai destinatari degli effetti sostanziali del rapporto, anche quando non intrattengano rapporti diretti con la banca. Basti pensare alle pronunce in tema di socio non amministratore di società di persone, cui si è consentito l'accesso in quanto illimitatamente responsabile per i debiti della società (Collegio di Roma, decisione 3793/2012). La questione UNITELNews24 87 dell'accesso del condomino non può quindi considerarsi chiusa, né per la documentazione bancaria, né per quella assicurativa. Un reclamo all'Ivass (ex Isvap) contro il diniego opposto dall'assicurazione potrebbe contribuire a fare chiarezza sulla questione (per le modalità di reclamo si veda il regolamento 24/2008). Punto per punto LA CONSEGNA DELLA PERIZIA A UN CONDOMINO IL CASO Sono un agente assicurativo. Tempo fa il proprietario di un appartamento sito in condominio mi ha chiesto a quale punto fosse arrivata la pratica di liquidazione di un danno per l'allagamento del sotterraneo di un edificio, coperto da una polizza fabbricati. Gli ho consegnato una copia della relazione del perito, ma adesso mi è venuto un dubbio: ho violato il Codice della privacy? LA SOLUZIONE L'assicurazione che fornisce documenti o informazioni a singoli condòmini in relazione ai rapporti contrattuali con il condominio non viola alcuna norma del Codice dei dati personali. Piuttosto, come è evidente, le eventuali spese di copia non possono essere messe a carico del condominio, ma del proprietario che ha fatto la richiesta LA DIMOSTRAZIONE DELLO «STATUS» DI PROPRIETARIO IL CASO Nell'ultima assemblea ho messo a verbale la richiesta, da me rivolta all'amministratore, di dimostrare l'avvenuto pagamento alla ditta che ha eseguito lavori sulla facciata condominiale. Trascorsi invano due mesi, mi sono rivolto alla banca, ma mi è stato detto che devo dimostrare di essere un condomino. Quale documentazione devo presentare? LA SOLUZIONE La dimostrazione della qualità di condomino è il minimo che l'istituto di credito possa chiedere per consentire l'accesso al conto corrente. Per fornire la prova richiesta, sarà sufficiente presentare una visura catastale aggiornata. In mancanza, occorrerà presentare aggiornate visure immobiliari eseguite alla Conservatoria, che possono risultare molto più costose. (Pierantonio Lisi, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 7 aprile 2014) NO AL VARCO TRA ALLOGGI DI CONDOMÌNI DIFFERENTI D. Un condomino ha messo in comunicazione due alloggi di proprietà, contigui, ma facenti parte uno dello stabile condominiale, l'altro di quello con esso confinante. Ha realizzato il suo intento attraverso la realizzazione di un varco di accesso, praticato nel muro condominiale, delimitante gli stabili in questione. Chiedo un vostro parere sulla legittimità di tale operazione (di cui non conosco la data di effettuazione) alla luce delle disposizioni riguardanti la disciplina del condominio, vigenti e previgenti alla data di entrata in vigore della legge 220/2012 (in primis, alla luce dell'articolo 1122 del Codice civile) e dei principi di pubblica sicurezza. Preciso che il regolamento condominiale, di natura contrattuale, redatto nel 1969, vieta di eseguire, all'esterno ed all'interno del caseggiato, opere che possano compromettere la stabilità, arrecare danni ai condomini o alle proprietà vicine, sotto pena di rimissione in pristino, a spese del trasgressore. Se l'opera descritta è illegittima,come devo comportarmi nei confronti dell'amministratore? ---R. Preliminarmente, occorre precisare che le modificazioni di un bene condominiale per iniziativa del singolo condomino sono lecite nelle sole ipotesi in cui esse, oltre a non compromettere la stabilità, la sicurezza e il decoro architettonico, e a non alterare la destinazione del bene, non siano lesive dei diritti degli altri condòmini, relativi al godimento sia delle parti comuni interessate alla modificazione sia delle parti di loro proprietà.Con riferimento alle disposizioni del Codice civile, si può dire che la libertà del singolo condomino, nell'uso individuale della cosa comune e nella possibilità di apportarvi modifiche, è sancita dall’articolo 1102, ma circoscritta e condizionata dai limiti fissati dagli articoli 1120 e 1122.In linea generale si può quindi affermare che l'apertura di varchi nel muro perimetrale del condominio, da parte di un condomino (comproprietario), è legittima, quando non influisca sulla statica del fabbricato condominiale compromettendone la stabilità, non pregiudichi la sicurezza e il decoro architettonico dell'edificio, non alteri la UNITELNews24 88 destinazione del bene, non possa dare luogo alla costituzione di una servitù a favore di terzi estranei al condominio.Tuttavia, ormai per costante giurisprudenza, l’apertura di un varco nel muro perimetrale di un condominio deve considerarsi illegittima quando permetta la comunicazione tra unità immobiliari attigue dello stesso proprietario, ma situate in diversi edifici condominiali.Ciò è giustificato dal fatto che «in tema di utilizzazione del muro perimetrale dell'edificio condominiale da parte del singolo condomino, costituiscono uso indebito della cosa comune, alla stregua dei criteri indicati negli articolo 1102 e 1122 del Codice civile, le aperture praticate dal condomino nel detto muro per mettere in collegamento locali di sua esclusiva proprietà, esistenti nell'edificio condominiale, con altro immobile estraneo al condominio, in quanto tali aperture alterano la destinazione del muro, incidendo sulla sua funzione di recinzione e possono dar luogo all'acquisto di una servitù (di passaggio) a carico della proprietà condominiale» (Cassazione civile, sezione II, 18 settembre 2013, n. 21395). Ovvero, «l'apertura di un varco nel muro perimetrale per le esigenze del singolo condomino può ritenersi consentita, per costante giurisprudenza di questa Corte, quale uso più intenso del bene comune ex articolo 1102 del Codice civile (sempre che ricorrano i presupposti di legittimità previsti dalla citata norma), mentre non può ritenersi legittima - costituendo un uso abnorme del bene comune - allorché il varco consenta la comunicazione tra il proprio appartamento e altra unità immobiliare attigua, se pur di proprietà del medesimo condomino, ma ricompresa in un diverso edificio condominiale; ciò perché il collegamento tra tali unità abitative determina, inevitabilmente, la creazione di una servitù a carico di fondazioni, suolo, solai e strutture del fabbricato e può, in ipotesi, creare una eventuale servitù di passaggio a carico di un eventuale ingresso condominiale su via pubblica (Cassazione civile, sezione II, 6 febbraio 2009, n. 3035, e 19 aprile 2006, n. 9036).Sicché, nel caso prospettato, l’apertura del varco appare del tutto illegittima e, pertanto, occorrerà rivolgersi all’amministratore di condominio affinché prenda tutti i provvedimenti del caso per risolvere la questione. (Paola Pontanari, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 7 aprile 2014) Economia, fisco, agevolazioni e incentivi I REQUISITI TEMPORALI PER IL BONUS MOBILI D. Vorrei sapere quali sono i requisiti temporali per le ristrutturazioni che consentono di beneficiare del bonus mobili. Preciso che, nel mio caso, si tratta di un intervento in corso al 26 giugno 2012. ---R. Per quanto riguarda il momento di inizio degli interventi edilizi che costituiscono il presupposto per fruire anche della detrazione per i mobili (articolo 1, comma 139, legge 147/2013), la circolare 29/E/2013 specifica che si deve trattare di lavori le cui spese sono sostenute dal 26 giugno 2012, agevolati con la detrazione Irpef potenziata al 50%. Tale circostanza, a parere dell’Agenzia, è rappresentativa di “lavori in corso di esecuzione, ovvero terminati da un lasso di tempo sufficientemente contenuto” e consente di presumere che l’acquisto dei mobili ed elettrodomestici sia diretto al completamento dell’arredo dell’immobile oggetto degli interventi di recupero.Ciò premesso, è comunque ammessa la possibilità di acquistare i mobili anche prima di aver sostenuto le spese relative ai lavori di recupero, a condizione che questi siano stati già avviati. A tal fine, la data di avvio dei lavori può essere comprovata mediante le abilitazioni amministrative all’intervento, ove richieste, ovvero, per gli interventi che non necessitano di titoli abilitativi, utilizzando una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (ai sensi del Dpr 445/2000 – Provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate 2 novembre 2011).Da quanto precisato, è chiaro che l'intervento di ristrutturazione edilizia per fruire del bonus mobili può essere anche in corso al 26 giugno 2012, quindi iniziato prima, purche non ultimato a tale data. (Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 7 aprile 2014) EOLICO: NEL RIGO RL 16 IL CORRISPETTIVO PER L'AREA D. Un contribuente persona fisica, non titolare di partita Iva, avendo stipulato, a favore di una società che gestisce impianti eolici, un contratto di costituzione di diritti reali (diritto di superficie e di servitù) sul proprio terreno, a fronte del quale percepisce dalla società un corrispettivo di 5.000 euro annui, chiede, in sede di redazione della dichiarazione Unico pf 2014, quali sono la corretta sezione e il relativo campo in cui inserire questo corrispettivo. ---R. Secondo la circolare 36/E del 19 dicembre 2013, i corrispettivi percepiti dal proprietario del UNITELNews24 89 fondo - a seguito della costituzione su di esso, a favore di terzi, del diritto di superficie - si configurano come redditi derivanti dall’assunzione dell’obbligo di fare, non fare e permettere di cui alla lettera l), comma 1, articolo 67 del Tuir, qualora il predetto diritto non sia stato acquisito autonomamente dal cedente mediante il sostenimento di uno specifico costo. È da escludere quindi che la cessione (meglio, la costituzione) di cui trattasi possa essere indiscriminatamente riferita, così come finora ritenuto, sotto il profilo reddituale, ad un diritto reale di godimento, in base al combinato disposto dell'articolo 9 della lettera b) del citato articolo 67 Tuir. Pertanto, in presenza del rilevato titolo acquisitivo a titolo originario (cioè senza il sostenimento di uno specifico costo), a seguito della costituzione del diritto di superficie, occorre, ai fini dichiarativi, provvedere alla compilazione del rigo RL16 del quadro RL di Unico persone fisiche 2014, riportando alla colonna 1 i corrispettivi conseguiti e alla colonna 2 le spese ad essi inerenti. (Alfredo Calvano, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 7 aprile 2014) BONUS «SISMICI» E ABITAZIONI CHE DIVERRANNO PRINCIPALI D. Sto per effettuare un risanamento conservativo su un complesso immobiliare residenziale, sito in centro storico e attualmente dichiarato inagibile, composto da quattro unità immobiliari, con costruzione ex novo di garage e cantina interrati e pertinenziali. Le unità immobiliari sono cointestate con mia moglie, e nessuno di noi ha un’abitazione principale o "prima casa". Essendo l’immobile in zona sismica ad alta pericolosità (zona 2), chiedo se è possibile beneficiare delle detrazioni per le misure antisismiche al 65 per cento, previste solo per l'abitazione principale, come precisato dalla circolare dell’agenzia delle Entrate 29/E del 18 settembre 2013, e dell’Iva agevolata al 4% sul garage e sulla cantina, posto che, terminati i lavori, ho intenzione di trasferire la residenza nell'immobile ristrutturato, una volta accorpate al Catasto le quattro unità di partenza in due unità immobiliari (una "prima casa" e una "seconda casa"), prima dell’elezione ad abitazione principale. ---R. L’articolo 1, comma 139, della legge 147/2013, prevede la proroga per tutto il 2014 della detrazione del 65 per cento, fino a 96.000 euro, degli interventi di prevenzione antisismica per l’abitazione principale e i fabbricati a destinazione produttiva. Si tratta degli interventi per la messa in sicurezza statica, riguardanti le parti strutturali, e per la redazione della documentazione obbligatoria, atta a comprovare la sicurezza statica. Devono essere interventi eseguiti su costruzioni adibite ad "abitazioni principali" o ad attività produttive, ricadenti nelle zone sismiche ad alta pericolosità (zone 1 e 2, individuate in base ai criteri idrogeologici di cui all’ordinanza del presidente del Consiglio dei ministri 3274 del 2003), le cui procedure autorizzatorie siano avviate dopo l’entrata in vigore della legge di conversione del Dl 63/2013 (ossia dopo il 4 agosto 2013). Si tratta di interventi di prevenzione antisismica nelle zone a più alta pericolosità della mappatura sismica del territorio nazionale.Nel caso in questione, il fabbricato sarà destinato ad abitazione principale al termine dell’intervento e, pertanto, non si applica la detrazione, che è limitata agli interventi eseguiti sulle abitazioni principali (presupposto che deve ricorrere da prima dell’inizio degli interventi, si veda la circolare 29/E del 2013).Resta fermo che, per le altre zone colpite da eventi sismici, gli interventi di ricostruzione sia per l’abitativo che per il non abitativo fruiscono della detrazione del 50 per cento, ai sensi dell’articolo 16-bis del Tuir, Dpr 917/1986, che, al comma 1, lettera c, riconosce il diritto alla detrazione del 50% a condizione che per il territorio colpito dall’evento calamitoso sia stato dichiarato lo stato di emergenza.In ogni caso, per gli interventi di recupero di immobili abitativi si rende applicabile la detrazione del 50% fino a 96.000 euro, con riferimento a ciascuna delle quattro unità immobiliari abitative esistenti da prima dell’inizio dell’intervento (circolare 121/E del 1998). Anche le spese per la realizzazione dei box pertinenziali rientrano tra quelle detraibili, sempre nel limite massimo riferito complessivamente a ciascuna abitazione e ciascun box di contestuale relizzazione (96.000 per ogni abitazione e box pertinenziale). Ai lavori di recupero si applica l’Iva con aliquota del 10 per cento (n. 127quaterdecies, tabella A, parte III, del Dpr 633/1972) anche se si tratta di "prima casa". Lo stesso vale per il box, tranne che per quello pertinenziale alla prima casa (solo uno), cui si applica l’Iva con aliquota del 4 per cento, ai sensi del n. 39, tabella A, parte II, del Dpr 633/1972. (Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 14 aprile 2014) UNITELNews24 90 IL CALORIFERO SI SOSTITUISCE CON IL 50 PER CENTO D. In una stanza della mia abitazione debbo sostituire il calorifero e le tubazioni per un importo di circa 800 euro. Ho diritto alla detrazione fiscale?Nel caso di acquisto di mobili (armadio) per circa 3mila euro, avrei diritto alla detrazione del 50% sull'importo intero di 3mila euro, stante l'eliminazione del tetto di spesa? R. La sostituzione del calorifero e delle relative tubazioni è intervento di manutenzione straordinaria che fruisce della detrazione del 50 per cento. Come tale si rende applicabile anche la detrazione del 50% per l’acquisto dei mobili (di un armadio, nel caso di specie, ex articolo 1, comma 139, della legge 147/2013), ma limitatamente all’importo delle spese edilizie sostenute (cioè 800 euro) e non all’intero costo dell’armadio (3mila euro). Il Dl 16/2014 non contiene più la norma che svincolava l’importo rilevante ai fini del bonus mobili rispetto al valore delle spese di ristrutturazione edilizia sostenute. In sostanza, è ora previsto che le spese rilevanti per il bonus mobili, cui applicare la detrazione del 50 per cento, devono essere di ammontare non superiore al limite di 10mila euro, e in ogni caso non possono essere superiori a quelle sostenute per i lavori di ristrutturazione. In pratica, se si sono spesi 800 euro per i lavori edili, l’importo cui applicare il bonus mobili del 50% è al massimo di 800 euro (con detrazione massima pari a 400 euro, da ripartire in 10 quote annuali da 40 euro). (Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 28 aprile 2014) LA VARIAZIONE DI SAGOMA NON È NUOVA COSTRUZIONE D. Con il decreto "del fare", legge 98/2013, dal 21 agosto 2013 è stato modificato l'articolo 3, lettera d, del Dpr 380/2001. Non esiste piú il riferimento alla sagoma. Quindi, un intervento di demolizione e ricostruzione di un immobile che mantiene la volumetria, ma con sagoma diversa, non è piu una nuova costruzione? ---R. Mentre l’aumento di volumetria è comunque nuova costruzione, ora, sulla base dell’articolo 30 della legge 98/2013, entrata in vigore il 21 agosto 2013, si rende possibile l’applicazione della detrazione del 50 e del 65 per cento (ex articolo 1, comma 139, della legge 147/2013) in relazione a interventi abilitati da provvedimenti urbanistici rilasciati o richiesti a partire da tale data, anche a seguito di variante di provvedimenti già in essere, ma oggetto di variante a partire dal 21 agosto 2013. A tal fine non è cambiato il concetto di fedele ricostruzione, ma si è semplicemente stabilito che la variazione di sagoma a seguito di demolizione non è più nuova costruzione, bensì ristrutturazione edilizia, che, come tale, fruisce delle detrazioni fiscali previste per tali interventi. La ricostruzione con spostamento di alcuni metri fa conservare sempre la qualifica di ristrutturazione edilizia e, come tale, si applica l'Iva con aliquota del 10 per cento. Tuttavia, se non si opta per la detrazione del 50% come ricostruzione della casa, e in presenza dei requisiti prima casa (residenza nel comune e non possesso di altra abitazione), si ritiene applicabile l'Iva al 4% per il solo appalto di ricostruzione (n. 24, tabella A, parte II, del Dpr 633/1972). (Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 28 aprile 2014) Edilizia e urbanistica AUMENTO DI VOLUMETRIA E VARIAZIONE DI SAGOMA D. Devo demolire una casa e ricostruirla con volume uguale e sagoma diversa. Sfruttando il piano casa della Regione Lombardia ho potuto ampliare la superficie. Fruendo già dei benefici del piano casa, posso usare anche le agevolazioni previste dal decreto del fare e quindi considerare la mia costruzione ai fini fiscali come una ristrutturazione? ---R. La risposta è negativa. Nell’ipotesi di demolizione e ricostruzione di un fabbricato con ampliamento di volumetria, come nel caso di specie (l'aumento di superficie ammesso dal piano casa implica comunque un aumento volumetrico che non comporta, sotto il profilo urbanistico, un cambiamento della tipologia di intervento che rimane di ristrutturazione edilizia), è esclusa l’applicabilità della detrazione del 50% (articolo 16 bis Tuir 917/86 e articolo 1, comma 139, legge 147/2013). Questi i chiarimenti forniti dall’agenzia delle Entrate con la risoluzione n.4/E del 4 gennaio 2011, che si è espressa a proposito dell’applicabilità delle detrazioni del 36%-50% in presenza di lavori di ristrutturazione ed ampliamento, con o senza demolizione dell’edificio UNITELNews24 91 originario. In particolare, nell’ipotesi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione, le citate agevolazioni competono «solo in caso di fedele ricostruzione, nel rispetto di volumetria dell’edificio preesistente»; diversamente, in caso di demolizione e ricostruzione con ampliamento, le detrazioni non spettano, «in quanto l’intervento si considera, nel suo complesso, una «nuova costruzione. Nessun problema invece per la variazione della sagoma. Infatti, è ora possibile il cambiamento della sagoma sulla base dell’articolo 30, legge 98/2013, che definisce comunque l’intervento di ristrutturazione edilizia, anche se lo stesso comporta una variazione della sagoma a seguito di demolizione e ricostruzione (tale disposizione è entrata in vigore lo scorso 21 agosto 2013). Anche se in base alla legge lombarda, l’ampliamento volumetrico è ammesso come ristrutturazione edilizia, ma l’agevolazione fiscale non si rende applicabile. (Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 7 aprile 2014) OPERE DI URBANIZZAZIONE NECESSARIE PER L'AGIBILITÀ D. Un Comune può rifiutarsi di rilasciare l' agibilità di un appartamento nuovo solamente perché il costruttore non ha rispettato gli accordi presi con l'ente sul completamento di una strada e di parcheggi pubblici annessi allo stabile?La società costruttrice sta chiudendo e il Comune non rilascia ai condòmini l'agibilità finché non saranno ultimati anche i lavori citati, mentre quelli relativi allo stabile sono stati finiti. L'ente ha però rilasciato la regolare "residenza" ai proprietari. Cosa comporta la mancanza dell'agibilità? ---R. Premesso che sarebbe necessario verificare il contenuto degli accordi sottoscritti tra costruttore e amministrazione comunale, in linea di principio è stato più volte sottolineato dalla giurisprudenza amministrativa che il compimento delle opere di urbanizzazione (strade, parcheggi eccetera) costituisce un presupposto necessario per l’agibilità degli immobili realizzati nell’ambito di una convenzione urbanistica che le contempla, e che, conseguentemente, «ai fini del rilascio dell’agibilità è sempre necessario l’accertamento della loro conformità al progetto approvato in esecuzione della convenzione medesima» (in tal senso, Consiglio di Stato, sezione IV, 24 ottobre 2012, n. 5450). D’altro canto, in assenza della certificazione di agibilità, l’immobile non potrebbe essere abitato, difettandone i presupposti previsti dal combinato disposto dell'articolo 221 del Testo unico delle leggi sanitarie, di cui al Rd 1265/1934, e dell'articolo 24 del Dpr 380/2001. (Alessandra Pacchioni, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 14 aprile 2014) Pubblica amministrazione SANZIONATO IL DIRIGENTE CHE IGNORA LA TRASPARENZA D. Vorrei sapere se l'amministrazione comunale è obbligata a rendere pubbliche le informazioni utili ai cittadini per conoscere le attività, i regolamenti eccetera (il riferimento è al Dl 14 marzo 2013 n. 33) e in particolare i verbali dei Consigli e della Giunta comunale.Il Comune nel quale risiedo si era parzialmente adeguato, pubblicando sul proprio sito internet alcune informazioni (Pgt, regolamento Tares, referenti e recapiti degli uffici, albo pretorio e qualche avviso); da circa dieci giorni tutto ciò, a parte l'albo pretorio, è stato oscurato.Chiedo inoltre se c'è un limite massimo di tempo entro il quale l'amministrazione comunale o il referente dell'ufficio a cui sono indirizzate delle richieste, deve rispondere e, nel caso non venissero date le risposte, che cosa si può fare. ---R. È proprio il Dlgs n.33 del 14 marzo 2013 che, sul presupposto di quanto disposto dall'articolo 1, commi 35 e 36, legge 6 novembre 2012 n.190 in tema di prevenzione della corruzione e in nome della trasparenza amministrativa, ha stabilito l'obbligo di pubblicazione, oltre che dei dati sull'organizzazione delle pubbliche amministrazioni, anche delle sue attività istituzionali salienti, riguardanti pure attività speciali di particolare impatto sul cittadino (lavori pubblici, articolo 37; pianificazione e realizzazione di opere pubbliche, articolo 38; attività di pianificazione e governo del territorio, articolo 39; informazioni ambientali, articolo 40). Poiché l'adempimento degli obblighi di trasparenza è affidato alla responsabilità dei dirigenti, cui spetta la trasmissione dei dati, e dato che tale attività è sottoposta a valutazione sia delle performance che organizzativa da parte dell'Oiv (organismo indipendente di valutazione; articolo 44), l'eventuale violazione di tali obblighi è causa di valutazione ai fini della corresponsione della retribuzione del risultato e del trattamento accessorio, e può essere causa di responsabilità per danno all'immagine dell'amministrazione da parte del dirigente stesso (articolo 46). Tale situazione può altresì dare origine, qualora sussistano UNITELNews24 92 le condizioni di danno e di colpa, al risarcimento del danno ai sensi dell'articolo 30 del Dlgs 104/2010. Ciò si verifica anche per l'inosservanza dolosa e colposa del termine di conclusione del provvedimento, che deve essere obbligatoriamente previsto per ogni provvedimento, ai sensi dell'articolo 32 della legge n.69/2009, avendo presente che, qualora la conclusione del procedimento amministrativo di un determinato provvedimento non risultasse definita, esso dovrà osservare il principio generale previsto dall'articolo 2, comma 2, contenuto nella legge n.241/1990 e successive modificazioni ed integrazioni, e cioè dovrà concludersi entro il termine di trenta giorni. Dopo di che, scattano le responsabilità e le connesse sanzioni di cui si è fatto cenno in precedenza. (Giorgio Lovili, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 28 aprile 2014) UNITELNews24 93 UNITELNews24 94 © 2014 Il Sole 24 ORE S.p.a. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi strumento. 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