“Reflektor” degli Arcade Fire, album dell`anno o fuoco di paglia?
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“Reflektor” degli Arcade Fire, album dell`anno o fuoco di paglia?
“Reflektor” degli Arcade Fire, album dell’anno o fuoco di paglia? di ANTONELLA BELLIFEMINE L’attesa planetaria per questo album è stata un evento più dell’uscita stessa del disco, calibrata a regola d’arte con siti internet appositi, notizie centellinate e avvolte da un alone di mistero e indecifrabilità, primo singolo lanciato a settembre con tanto di video interattivo in cui l’ascoltatore può entrarci dentro grazie ad una app per smartphone, primo ascolto blindatissimo dell’album per gli addetti ai lavori previa liberatoria, insomma una macchina della comunicazione che può permettersi solo Madonna o gli U2. Sarà che a ‘sto giro le aspettative sugli Arcade Fire erano altissime, vista l’attenzione riservatagli dal pubblico e dalla critica mondiale con conseguente giudizio definitivo di miglior band dell’universo e della galassia. Scherzi a parte, ascoltando il disco, viene da pensare che gli Arcade Fire si siano smarcati da una così grossa responsabilità cambiando direzione. Risultato: si resta perplessi e spiazzati e si può decisamente affermare che questo non è l’album dell’anno, né tantomeno del secolo. Non perché manchi di qualcosa o perché non sia abbastanza curato, il problema è proprio il 1/3 “Reflektor” degli Arcade Fire, album dell’anno o fuoco di paglia? contrario, “Reflektor” è un disco troppo pieno di rimandi musicali e letterari, citazioni, un puzzle in continua costruzione che non si riesce mai a completare, un pasticciaccio alla Gadda un po’ snervante. Gli addetti ai lavori l’hanno definito un “perfetto mashup tra Studio 54 e il voodoo haitiano”, ovvero c’è tanta musica danzereccia e suggestioni di rara haitiana (musica di origine africana legata alla tradizione voodoo). Ma il problema non è il mashup, è la quantità d’influenze musicali, anche tanto distanti dal loro stile, che disorienta. D’altronde l’intento del gruppo è proprio questo, come canta Win butler nel primo singolo, l’omonimo “Reflektor”: intrappolati in un prisma di luce, in un’era che riflette, proprio come uno specchio. Questo gran minestrone però è un’opera studiata nei minimi dettagli, che ha più piani di lettura, un gioco di simmetrie e contrapposizioni da slogarsi il cervello, anzi v’invito a scovare tutti i riferimenti musicali disseminati in questo labirinto. In questo gli Arcade Fire si dimostrano dei grandissimi musicisti, non c’è dubbio. Si passa dalla dance del periodo “Let’s Dance” di David Bowie a influenze alla Talking Heads, glam rock anni ’80, pop, rivival, sonorità caraibiche ed esotiche, dub, elettronica, punk misto a tanta melodia e addirittura orchestre e archi come in “Here comes the nightime II” e in “Awful sound”. Se poi ascoltiamo “We Exist” vi troviamo lo stesso giro di basso di “Billie Jean” di Michael Jackson e “You already know” potrebbe essere un brano dei Cure, “It’s Never Over (Oh Orpheus)” ricorda il funk di Prince e “Awful Sound (Oh Eurydice)” ha echi beatlesiani. Insomma avete capito perché si resta basiti all’ascolto se si considera la provenienza indie rock della band canadese. I testi ci ricordano chi sono gli Arcade Fire, liriche potenti anche se non all’altezza del passato. Questa “riflessione” che ha un significato doppio, intesa come meditazione e come riflesso della propria immagine attraverso un continuo gioco di specchi, ricorda le parole di Kierkegaard su quest’epoca dominata dall’immagine. 2/3 “Reflektor” degli Arcade Fire, album dell’anno o fuoco di paglia? L’amore è raccontato tramite la storia mitologica di Orfeo ed Euridice che tornano anche sulla copertina del disco in una scultura di Rodin, e poi la disillusione nei rapporti affettivi, l’ipertecnologia che divide invece di unire, la morte e le riflessioni sull’Aldilà, tutto in quest’atmosfera festaiola surreale. La produzione, affidata al fido Markus Dravs e James Murphy degli LCD Soundsystem, è l’ago della bussola che ci indica la direzione pop dance. “Reflektor” è un disco ambizioso, con un’architettura sontuosa e complessa, impossibile negarlo ma l’effetto sorpresa non coinvolge a meno che non si metta su questo disco per ballare. Chi come me ha amato i precedenti “Funeral”, “Neon Bible” e “The Suburbs” sa che questi dischi sono difficili da superare. Prendiamo “Reflektor” come un periodo di pausa, aspettando il capolavoro della consacrazione. Nel frattempo si balla. 3/3