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Le gerle 17 a cura di Ludger Lütkehaus L’Africa interiore L’inconscio nella cultura tedesca dell’Ottocento Traduzione di Antonio Marinelli Con un saggio di David Armando In copertina: Algeria, Tassili n’Ajjer, carovane in cammino nel Sahara divenuto deserto (pittura rupestre), fotografia di Ugo Tonietti (16 gennaio 2011) In quarta di copertina: da Jean Paul, Selina o dell’immortalità dell’anima, trad. di A. Marinelli Titolo originale: «Dieses wahre innere Afrika». Texte zur Entdeckung des Unbewußten vor Freud © Ludger Lütkehaus Prima edizione italiana L’Asino d’oro edizioni 2015 © 2015 L’Asino d’oro edizioni s.r.l. Via Ludovico di Savoia 2b, 00185 Roma www.lasinodoroedizioni.it e-mail: [email protected] ISBN 978-88-6443-315-8 ISBN ePub 978-88-6443-316-5 ISBN pdf 978-88-6443-317-2 Indice Una visita al museo di Annelore Homberg Introduzione vii 3 F.W.J. Schelling Lezioni monachesi sulla storia della filosofia moderna 49 F.W.J. Schelling Sistema dell’idealismo trascendentale 52 J.W. Goethe - F. Schiller Carteggio 76 Jean Paul Avviamento allo studio dell’estetica 78 Jean Paul Selina o dell’immortalità dell’anima 79 J.F. Herbart Manuale di psicologia 89 J.F. Herbart La psicologia come scienza fondata con un metodo nuovo su esperienza, metafisica e matematica 95 A. Schopenhauer Il mondo come volontà e rappresentazione 97 A. Schopenhauer Parerga e paralipomena 131 C.G. Carus Psiche. Per una storia dell’evoluzione dell’anima 136 K. Fortlage Sistema di psicologia come scienza empirica derivante dall’osservazione del senso interno 155 G.Th. Fechner Elementi di psicofisica 158 I.H. Fichte Psicologia 168 E. von Hartmann Filosofia dell’inconscio 182 F. Nietzsche Libertà della volontà e fato 215 F. Nietzsche Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali 218 F. Nietzsche La gaia scienza 225 F. Nietzsche Così parlò Zarathustra 233 F. Nietzsche Al di là del bene e del male. Preludio a una filosofia dell’avvenire 235 F. Nietzsche Genealogia della morale. Uno scritto polemico 238 F. Nietzsche Frammenti postumi 240 Th. Lipps Il concetto di inconscio in psicologia 252 Ignaro, ignoto, inconoscibile... Metamorfosi di una parola di David Armando 271 Elenco delle edizioni utilizzate 317 L’Africa interiore L’inconscio nella cultura tedesca dell’Ottocento Introduzione Un anno prima dello scoppio della rivoluzione francese, a Londra venivano poste le basi per la costruzione della Association for Promoting the Discovery of the Interior Parts of Africa, con la quale avrebbe avuto inizio la sistematica esplorazione scientifica del continente africano. Tuttavia, molto prima che essa fosse riuscita a risolvere gli innumerevoli ‘problemi’ che le si ponevano dinanzi, da quello del Nilo a quello del Niger, dallo Zambesi al Congo, uno stuolo di filosofi, poeti, medici, psichiatri e psicologi si era messo in cammino per penetrare all’interno di quella «vera Africa interiore» che l’opera postuma di Jean Paul, Selina, immagina essere l’«immane regno dell’inconscio». L’universo metaforico di Jean Paul ruota perennemente intorno alle ingenti ricchezze, all’intensa calura, all’impenetrabile profondità e alla vastità di questo regno, di cui si erano fatte «misurazioni fin troppo ridotte e limitate». E come Jean Paul, così numerosi altri viaggiatori, esploratori, agrimensori, cartografi e colonizzatori partiti «alla volta delle zone interne» tentarono di scoprire cosa si celasse nel fondo di quell’‘Africa interiore’. Una metafora, questa, che nella storia dell’esplorazione dell’inconscio si sarebbe ripresentata con particolare frequenza e che, insieme a quelle connesse di oscuro, rovente, pericoloso e promettente, può essere considerata sia suggestiva sia all’altezza delle dimensioni e della ‘natura’ di un regno che, secondo Jean Paul, è doppiamente «immane», vale a dire gigantesco e inquietante a un tempo. Contemporaneamente, però, in quanto metafora geografica, esplorativa e coloniale, essa non va disgiunta dal reale contesto storico in cui si viene a collocare. Il fatto che il pensiero 3 L’Africa interiore di Jean Paul – e non soltanto il suo, che per il resto non desta sospetti di ideologismo – ruoti pressoché ossessivamente intorno alla «ricchezza territoriale dell’Io», intorno all’immane ricchezza (Reichtum) di questo regno (Reich), e non solo come gioco di parole della lingua tedesca, porta a chiedersi, almeno in un’ottica esplorativa, se la storia della scoperta dell’inconscio non sia da intendere anche come processo interiore di colonizzazione, di appropriazione e magari di espropriazione. Così come è lecito porsi la domanda se, in fin dei conti, l’esplorazione dell’‘Africa interiore’ non sia stata determinata da motivi puramente ‘coloniali’, è altrettanto lecito chiedersi se il viaggio reale nel ‘cuore di tenebra’ non sia stato solo una faccenda di cacciatori d’avorio e di mercanti di schiavi, ma anche un viaggio nella propria interiorità. È rimarchevole, se non altro, e non è assolutamente solo un topos, il fatto che Freud amasse considerarsi il conquistatore dell’inconscio, il suo colonizzatore. Al momento lasciamo questi interrogativi da parte, anche se il nesso ci sembra evidente quando, ad esempio, Freud paragona il contenuto dell’inconscio a una «popolazione preistorica della psiche»1 oppure quando, tentando di indagare l’imperscrutabile «vita sessuale della donna adulta», si imbatte, a sua onta, in un «dark continent per la psicologia»2. I due critici americani che hanno imputato alla psicoanalisi degli inizi del Novecento «a return to darkest Africa»3 non sapevano certo quanto si fossero avvicinati alla verità. È altresì evidente che noi oggi usiamo fare «misurazioni fin troppo ridotte e limitate» del numero delle missioni esplorative pre-freudiane partite alla volta dell’‘Africa interiore’, nonché delle ricchezze che sono state portate alla luce; e ciò era tanto più vero nel 1900, quando ne L’interpretazione dei sogni Freud abbozzava il suo primo modello ‘topico’ di inconscio, e in ogni modo lo era nel 1923, quando, all’interno di un modello di psiche ormai ‘strutturale’, l’‘Es’ costituiva il continente principale, anche se non assolutamente l’unico, dell’ex ‘siste- 1 S. Freud, L’inconscio (1915), in Id., Opere, vol. VIII, Bollati Boringhieri, Torino 19892, p. 78. [NdT] S. Freud, Il problema dell’analisi condotta da non medici (1926), in Id., Opere, vol. X, Bollati Boringhieri, Torino 19892, p. 379. [NdT] 2 F.X. Dercum, Ch.W. Burr, Freud and the Americans, Oxford University Press, New York 1971, p. 278. 3 4 Introduzione ma Inc’, andando così a determinare nella storia dell’esplorazione dell’inconscio non tanto un punto di partenza, quanto un punto di non ritorno e però anche un punto cruciale. Sotto la metafora coniata da Jean Paul che le dà il titolo, la presente antologia documenta per la prima volta in modo dettagliato ed esteso l’ultima e fondamentale fase pre-freudiana di questa storia: il secolo che si svolge tra il Sistema dell’idealismo trascendentale di Schelling del 1800 e L’interpretazione dei sogni del 1900. A contrassegnare il terminus ante quem storico-scientifico sono il concetto descrittivo, dinamico e sistemico di inconscio di Freud e il suo modello ‘topico’ o ‘strutturale’, non le secessioni e le scuole successive, da quella di Jung a quelle di Adler, Reich, Szondi e via dicendo, mentre è la filosofia di lingua tedesca del XIX secolo a fornire la cornice all’interno della quale si articolano i testi proposti. È questa cornice che va motivata e relativizzata. Ma prima di tracciare le tappe più importanti di questa storia esplorativa, nonché alcune delle sue principali problematiche, bisogna indicare almeno brevemente qual è l’obiettivo che giustifica la regressione alle sue prime fasi e la fatica dell’impresa, nonché i rischi derivanti da nuove campagne esplorative dell’‘Africa interiore’. E ciò significa naturalmente che en passant sarà necessario spendere qualche parola sulle energie polemiche che hanno arroventato il dibattito intorno ai precursori del presunto ‘ri-pensatore’ Freud, dibattito saturo di un’intensa calura africana. Freud stesso aveva incidentalmente annotato che la nascente psicoanalisi, in occasione delle sue spedizioni finalizzate all’esplorazione dell’inconscio, era arrivata spesso «nel porto della filosofia». In Al di là del principio del piacere, ad esempio, non può «evitare di prendere atto» di essere approdato «improvvisamente» alla «filosofia di Schopenhauer»4. E quando, nel tentativo di riflettere sulle difficoltà di ricezione che la psicoanalisi stava incontrando, egli sviluppa la sua famosa teoria delle tre gravi umiliazioni nella storia scientifica dell’umanità, indica come prima quella cosmologica legata «al nome e all’opera di Niccolò Copernico», ma iniziata già con i pitagorici e con Aristarco, come seconda quella biologica S. Freud, Al di là del principio del piacere (1920), in Id., Opere, vol. IX, Bollati Boringhieri, Torino 19892, p. 235. [NdT] 4 5 L’Africa interiore di «Darwin, e dei suoi collaboratori e predecessori», e come terza quella psicologica che però, esaminata oggi più da vicino, appare essere di origine filosofica. Che «l’Io non è padrone in casa propria», ma solo uno pseudo-sovrano scarsamente informato, alla cui autorità usurpata i presunti sudditi si sottraggono, ritirandosi nelle profondità dell’inconscio, è una scoperta imbarazzante che per primi hanno fatto «molti filosofi [...], sopra tutti Schopenhauer, la cui ‘volontà’ inconscia può essere equiparata alle pulsioni psichiche di cui parla la psicoanalisi. Si tratta del resto dello stesso pensatore» che, «con enfasi indimenticabile», possedeva anche la libertà di rammentare «agli uomini l’importanza, tuttora misconosciuta, delle loro aspirazioni sessuali»5. E – Freud lo sa bene – le resistenze e le ostilità che colpiscono con estrema precisione la psicoanalisi schivano rispettosamente il celebre nome di Schopenhauer. In altre parole, tanto acute quanto questa ammissione di Freud merita: la psicologia del profondo inizia come filosofia del profondo. Freud, tuttavia, non fu sempre così propenso ai riconoscimenti espliciti come in questi fugaci incisi. È indubbio che, oltre a nominare Schopenhauer, egli abbia citato anche tutta una serie di altri filosofi: Nietzsche, Fechner, Lipps, Volkelt, von Hartmann, Herbart, Dessoir, I.H. Fichte, du Prel, K. Fischer, Maine de Biran, Schelling, G.H. Schubert, F.Th. Vischer, Schleiermacher, Brentano ecc. Ma già negli incontri della Società psicoanalitica viennese, più volte, Rank, Adler, Sachs, Juliusburger, Wittels, Hitschmann e altri gli avevano fatto notare che la galleria dei suoi avi era molto più ampia di quanto egli volesse ammettere, la sua imparzialità un po’ meno. Di ciò i protocolli della Società offrono un’ampia testimonianza6 che si aggiunge a quella fornita dalla documentazione prodotta nel tempo dalla ricerca storiografica7 (importanti integrazioni sono attese dal S. Freud, Una difficoltà della psicoanalisi (1916), in Id., Opere, vol. VIII, Bollati Boringhieri, Torino 19892, pp. 660-664. [NdT] 5 Protokolle der Wiener psychoanalytischen Vereinigung, a cura di H. Nunberg e E. Federn, 4 voll., Fischer, Frankfurt am Main 1976, spec. vol. I, pp. 335 sgg., vol. II, pp. 22 sgg. 6 Della enorme quantità di opere critiche apparse nel frattempo, vogliamo qui segnalare solo le seguenti: le due storie sulla scoperta dell’inconscio di L.L. Whyte, The Unconscious before Freud, Basic Books, London-New York 1960 (trad. it. L’inconscio prima di Freud, Astrolabio, Roma 1970) e di H.F. Ellenberger, The Discovery of the Unconscious, 2 voll., Basic Books, New York 1970 (trad. it. La scoperta dell’inconscio, Bollati Boringhieri, Torino 7 6 Introduzione la pubblicazione delle lettere al compagno di scuola Eduard Silberstein8). E negli anni la ricerca delle tracce filosofico-psicologiche ha goduto di una popolarità abbastanza sospetta, promettendo evidentemente ai posteri il piacere impagabile di poter attribuire al presunto padre fondatore della psicoanalisi una considerevole schiera di nonni e bisnonni. Ne ha fornito un valido esempio l’appassionato dibattito sull’«origine dell’Es»9 pubblicato in Germania dalla rivista “Psyche”, oppure la tanto dotta quanto curiosa monografia che smaschera Freud come il già citato ‘ri-pensatore’ di Schopenhauer e Nietzsche10. Non è necessariamente obbligatorio condividere questo piacere: solo Atena nasce bell’e fatta dalla testa di Zeus; per l’abbandonato Edipo è inevitabile non conoscere Laio, né nominarlo. Fuor di metafora mitologica: in tutte le questioni di priorità, un certo qual candore produttivo è quasi sempre inevitabile. Chi, prima di iniziare un determinato lavoro, fosse già consapevole di tutto ciò che è stato elaborato prima di lui, non si metterebbe mai all’opera. Naturalmente questo non modifica il fatto che anche nella più rivoluzionaria delle psicoanalisi non c’è niente di nuovo sotto il sole, essendo gli stessi ‘alti lai’, che sostengono che non c’è niente di nuovo sotto il sole – se proprio devono essere levati –, ormai antichissimi: prima che al triste predicatore Salomone, essi risalgono all’ancor più triste veggente egiziano della XVIII dinastia Cha-scho-pere-seneb. Se all’epoca de L’interpretazio1976), nonché il conciso compendio di E.L. Margetts, The Concept of the Unconscious in the History of Medical Psychology, in “Psychiatric Quarterly”, 27, 1953, pp. 115-138; inoltre, le raccolte commentate, anche se troppo frammentarie, di D. Brinkmann, Probleme des Unbewußten, Rascher, Zürich-Leipzig 1943, I. Levine, The Unconscious, Parsons, London 1923 e J. Rattner, Vorläufer der Tiefenpsychologie, Europaverlag, Wien-München-Zürich 1983. Il volume vide la luce in Germania alcuni mesi dopo la pubblicazione della presente antologia con il titolo Jugenbriefe an Eduard Silberstein. 1871-1881, Fischer, Frankfurt am Main 1989 (trad. it. S. Freud, Querido amigo: lettere della giovinezza a E. Silberstein, 18711881, Bollati Boringhieri, Torino 1991). [NdT] 8 9 Cfr. B. Nitzschke, Zur Herkunft des ‘Es’ (Sull’origine dell’‘Es’), in “Psyche”, 37, 9, 1983, pp. 769-804, e il successivo dibattito nei numeri 2, 1985, pp. 97-178, e 12, 1985, pp. 1102-1132. M. Kaiser-El-Safti, Der Nachdenker. Die Entstehung der Metapsychologie Freuds in ihrer Abhängigkeit von Schopenhauer und Nietzsche, Bouvier, Bonn 1987 (“Conscientia. Studien zur Bewußtseinsphilosophie”, a cura di G. Funke, XIII). 10 7 L’Africa interiore ne dei sogni anche Freud avesse levato gli stessi ‘alti lai’, con le cognizioni di causa che oggi si pretendono da lui, essi non avrebbero avuto meno di 3.800 anni... La storia dell’esplorazione dell’inconscio non è poi proprio così catastrofica: a noi – e a Freud – viene pur sempre concessa l’attenuante di qualche secolo in meno. Tuttavia, seguendo in modo coerente il percorso storiografico di questa esplorazione, andiamo anche qui molto più indietro e anche molto più in là di quanto possa far piacere allo storico della scienza. La speranza di poter terminare la ricerca delle tracce, come fa Freud, con Schopenhauer, per quanto questi e il suo secolo siano centrali per la storia dell’esplorazione dell’inconscio e conseguentemente per questa antologia, si rivela illusoria, così come illusorio è credere di potersi fermare nel XVIII secolo a Wolff, Crusius, Baumgarten, Sulzer, Platner, Lichtenberg, Lessing, Hamann, Herder, Kant, Goethe, Moritz... o prima ancora a Leibniz. Alla fine, ma si tratta di una conclusione provvisoria, attraverso diversi passaggi intermedi quali Keplero, Paracelso, la mistica, il neoplatonismo e Platone, si giunge quanto meno a Eraclito e, in ambito extraeuropeo, alle Upanishad. Tutto ciò rivela anche che un’esplorazione accurata non può conoscere confini, né eurocentrici, né tanto meno nazionali. Con tutta l’importanza che hanno in questo senso la filosofia e la letteratura di lingua tedesca (Nitzschke ne tiene conto nella sua risposta – a dire il vero ambivalente – alla domanda relativa all’elemento specificamente tedesco presente nella storia della scoperta dell’inconscio), voler attribuire un ruolo speciale a questa tradizione, a causa, diciamo, del suo noto intimismo, sarebbe una notevole dimostrazione di mancanza di consapevolezza storica. Nel recente passato tedesco, questo tentativo fu fatto da quanto di psicologia era sopravvissuto nella Germania del Reich, la cosiddetta deutsche Seelenheilkunde11, per la quale, come d’altronde anche per Jung, l’importante ‘Medicina psicologica tedesca’, per i cui fini nel 1933 era stato fondato l’Istituto tedesco di ricerca psicologica e di psicoterapia (Deutsches Institut für psychologische Forschung und Psychotherapie) diretto da Heinrich Goering, cugino del gerarca nazista Hermann. L’istituto era nato sull’onda di una ‘Nuova scienza medica tedesca’ (Neue deutsche Heilkunde), il cui scopo era quello di praticare una concezione biologica della medicina, in contrapposizione a quella della medicina scientifica, puntando su concetti di medicina naturale e popolare tedesca, dove l’aggettivo ‘tedesca’ non voleva essere un semplice connotato geografico. [NdT] 11 8 Introduzione era strappare l’‘inconscio ariano’ dalle mani dell’ebreo Freud (con risultati del tutto penosi). I classici lavori di Ellenberger e Whyte, realizzati in un’ottica anglo-americana, mostrano distintamente uno scenario completamente diverso. Se, come sostengono recenti scoperte post-freudiane, l’inconscio possiede la struttura di un linguaggio, nel corso della storia filosofica della sua esplorazione esso ha parlato senza dubbio più di una lingua: il suo ‘codice’ è senz’altro di tipo polimorfo-poliglottico... Last but not least, non va naturalmente dimenticato quanto il campo della ricerca storica sia reso più ampio dal numero di discipline scientifiche e di ambiti culturali che, in modo complementare alla storia delle umiliazioni filosofico-psicologiche tracciata da Freud, prendono parte all’esplorazione dell’inconscio. Basti ricordare l’internazionale mesmeriana, la psichiatria francese, la psicoteologia pietistica, la psicofisica e la psicosomatica, a partire da Paracelso e Georg Ernst Stahl. Parafrasando un famoso detto di Marx, potremmo così semplificare grossolanamente: se la filosofia idealistica tedesca, la politica francese e l’economia inglese si sono fuse nel materialismo storico e dialettico, allora per l’esplorazione psicoanalitica dell’inconscio ci sono volute quanto meno la filosofia tedesca (ma anche inglese, francese, italiana), la psichiatria francese (ma anche anglo-americana e tedesca), nonché la letteratura e l’arte, la cui delimitazione in un ambito nazionale è del tutto impossibile. Si sa che il ‘pozzo del passato’ è profondo, addirittura così profondo da far correre il rischio non solo di scoprirlo ‘imperscrutabile’, ma anche di precipitarci inevitabilmente dentro, avendo perso la bussola storico-scientifica. Prima di disperarsi per sempre, sarà bene cercare scampo nei misteri della mitologia induista oppure in una più moderna ma non meno misteriosa disciplina praticata da Freud, l’otsogistica (‘On the shoulders of giants...’): il mondo poggia su un elefante, l’elefante su una tartaruga, ma la tartaruga su cosa poggia? Oppure, in senso inverso, ma usando sempre il metodo otsogistico: sulle spalle dei giganti ci stanno i nani, sulle cui teste, a loro volta, bestiole di ogni genere conducono la propria esistenza... Diventa quindi necessario porsi dei limiti, anche in questa antologia. Lo scopo, qui, non è assolutamente quello di computare un’altra volta a demerito di Freud la sua oggettiva posteriorità, magari con lamenti, accuse o addirittura con toni di trionfo. All’interno della prospettiva comparatistica che i testi qui raccolti hanno lo scopo di favorire – naturalmente 9 L’Africa interiore non solo questi, ma anche questi –, si tratta piuttosto, in sintonia con l’antica inclinazione – poi rimossa, ma sempre avvertibile – di Freud per la filosofia, di rendere visibile la vicinanza della sua metapsicologia alla tradizione filosofica; quella metapsicologia che secondo la concezione che Freud aveva della propria dottrina è una «psicologia che conduce dietro la coscienza»12 e che ritraduce la metafisica, alla quale si ispira dal punto di vista terminologico, in psicologia dell’inconscio. Senza possedere già un esplicito senso metalinguistico o metateorico come linguaggio o come teoria di secondo livello, ‘metapsicologia’ significa, da un lato, in analogia con la meta-fisica, una scienza delle prime e delle ultime cose della psicologia, dall’altro, il contraltare alla metafisica che la metapsicologia rende nulla: in un certo qual modo il suo al-di-qua, conducendo essa al-di-là della coscienza. Comunque, il fatto che si manifesti una vicinanza – critica – tra psicologia del profondo e filosofia del profondo non depone necessariamente a sfavore di Freud. Diversamente da quanto lascia supporre la già citata considerazione di Freud come ‘ri-pensatore’, il fatto che la sua metapsicologia affondi le proprie radici nella filosofia psicologica di Schopenhauer o di Nietzsche non rappresenta certo un’offesa. E neanche il fatto che la metapsicologia freudiana venga intesa quale feconda appropriazione delle filosofie di Schopenhauer o di Nietzsche depone a sfavore di queste ultime. Una tale comparatistica filosofico-psicologica, con i suoi disparati alberi genealogici, attestati di paternità, certificati di nascita o quant’altro si voglia intendere (in base alla nostra idea di famiglia) per eredità, dote o ‘attitudine ereditaria’ della storia del pensiero, rimane sempre e comunque un’impresa problematica. Dinanzi a cotanti precursori e ferventi seguaci, con l’eterno ritorno dell’eguale e all’eguale che non viene a noia solo agli animi immensamente semplici, questa comparatistica rischia di dimenticare ciò che diverge e di sacrificare le differenze specifiche sull’altare del principio di identità. Secondo Thomas Mann, gli esseri umani, non soltanto quelli appartenenti alla borghesia colta, hanno a cuore l’individuazione – lo storico della scienza, i cui orizzonti socio-familiari sono circoscritti alle due generazioni di padri e figli e che oggi come oggi assi S. Freud, Lettere a Wilhelm Fliess (1887-1904), Boringhieri, Torino 1986, p. 339. [NdT] 12 10 Introduzione mila il concetto di inconscio praticamente con il latte materno, potrebbe tenerci anche di più. Deve quindi guardarsi dalle retroproiezioni sulla tabula rasa, o meglio, nigra dell’‘Africa interiore’, anche se ciò lo priva della promettente prospettiva di un riuscito incesto storico-scientifico. Accanto a quello comparativo, vogliamo quindi mettere in risalto fin dall’inizio l’intento contrastivo e provocatorio di questa antologia. Freud non è né lo Schopenhauer né il Nietzsche della psicologia, così come né Schopenhauer né Nietzsche sono i Freud della filosofia. Ci sembra quasi superfluo dover sottolineare che i propositi diagnostici e terapeutici della psicoanalisi, i suoi modi operandi clinico-psichiatrici sono di tipo del tutto diverso da quelli della filosofia, e questo anche nell’èra delle consulenze filosofiche. Per di più, i progetti della filosofia e quelli della psicoanalisi si collocano all’interno di tradizioni che non sono minimamente sovrapponibili. Ma è proprio così che può scaturire una costellazione critica in grado di far progredire la conoscenza su una teoria dell’inconscio ampia e ponderata, più di quanto consenta l’abituale corsa alla rimozione. Questa costellazione critica vale naturalmente anche per le profonde differenze esistenti all’interno della tradizione filosofica. Citiamo qui solo quella che ci sembra essere la questione più importante per la presente discussione, cioè che l’esplorazione dell’inconscio – questa la tesi generale che sta alla base della presente antologia – si compie come critica della coscienza e soprattutto come critica della moderna filosofia del soggetto (senza che si debba vedere quest’opposizione critica necessariamente in senso neostrutturalistico o decostruttivistico). Detto in termini junghiani: come l’inconscio è l’‘ombra’ della coscienza, così la moderna esplorazione dell’inconscio succede alla moderna filosofia della coscienza, come sua ombra. Ma in questo decorso essa persegue finalità estremamente diversificate, come succederà poi di nuovo dopo Freud. Essa potrà divenire il luogotenente del Dio non ancora morto ma già agonizzante, il certificato di garanzia della pericolante immortalità dell’anima, in poche parole, la prosecuzione della teologia con i famosi ‘altri’ mezzi, leggi quelli filosofico-psicologici. Potrà tentare di far comunicare gli ‘individui atomizzati’ in un non splendido isolamento borghese all’interno della massima grandezza semplice di un inconscio ‘complesso’, ma appunto non con una socializzazione reale, bensì nell’al-di-là della loro coscienza quotidiana. Potrà divenire un metodo decisamente antimoderno e antiscientifico 11 L’Africa interiore per perdere, nel modo più rapido possibile, la testa che arreca fastidio, ficcandola, se non nella sabbia, quanto meno in quella notte dell’inconscio dove niente è più conoscibile e distinguibile. Essa potrà però anche favorire l’ampliamento della coscienza, l’autonomia, l’incedere eretto e, eventualmente anche contro Schopenhauer e Freud, la reale socializzazione nell’al-di-qua, il che costituisce l’aspetto conoscitivo di maggior interesse per una storia dell’esplorazione dell’inconscio orientata alle massime dell’Illuminismo europeo, contro il tentativo, oggi nuovamente dilagante, di una restaurazione delle correnti irrazionalistiche. Solo così l’esplorazione dell’inconscio sarà una critica e un’autocritica della ragione moderna condotta con strumenti ragionevoli. «Chi sono io?» si chiede lo ‘psiconauta’, eroe del libro Der Zauberberg. Die Entstehung der Psychoanalyse im Jahr 1785 di Peter Sloterdijk13. E da quando «in lui c’è un pensiero» («es in ihm denkt»), se lo chiede assieme a Diderot, Lichtenberg, Moritz, Hartmann, Nietzsche... Ma che sia l’‘io’ o l’‘es’ a pensare, finché entrambi pensano, nessuno dei due praticherà il salto mortale della ragione. La presente antologia ha quindi lo scopo di rendere visibile lo spettro della moderna ricerca sull’inconscio, con un intento comparativo, contrastivo, critico e autocritico. Non vanno tuttavia ignorati quei problemi costitutivi che ogni tentativo di esplorazione dell’inconscio, sia esso orientato alla filosofia o alla psicologia, fatalmente incontra. Il maggior problema gnoseologico – una ‘resistenza’ che non si trova nella persona dell’analizzando, bensì nella ‘cosa’ da analizzare – è indubbiamente il seguente: o l’inconscio è veramente qualcosa di inconscio, e allora, strictu sensu, di lui non si sa appunto niente, oppure l’inconscio diventa, non importa come, cosciente, e quindi non è più l’inconscio. In poche parole: come può esistere un sapere sull’inconscio? Oppure, per citare un contrasto letterario istruttivo: L’uomo senza qualità di Musil è sempre e comunque un ‘uomo senza qualità’; cosa è invece l’inconscio quando è l’inconscio? Un vero e proprio dilemma aporetico, con problemi certo non inferiori a quelli che si incontrano con la ‘cosa in sé’ di Kant. Che essa venga usata P. Sloterdijk, Der Zauberbaum. Die Entstehung der Psychoanalyse im Jahr 1785. Epischer Versuch zur Philosophie der Psychologie (L’albero magico. La nascita della psicoanalisi nell’anno 1785. Un esperimento epico sulla filosofia della psicologia), Suhrkamp, Frankfurt am Main 1985, pp. 151 sg. 13 12 Introduzione al singolare o al plurale, come ‘cosa’ o in un qualsiasi altro modo simile, essa è comunque senz’altro ‘per noi’; e quando poi si passa a trattare l’inconscia ‘cosa dentro di sé’, la situazione non migliora affatto. A metterla in risalto con ineguagliabile precisione fu, al più tardi, la teoria nietzschiana del ‘fenomenismo del mondo interiore’. I critici della psicoanalisi che si sono lavati gnoseologicamente nelle acque, o meglio, nei solventi della filosofia trascendentale, amano rinfacciare, anche sotto questo profilo, alla psicoanalisi, di essere ricaduta, con il suo sapere dell’inconscio, in una metapsicologia non tanto trascendentale, quanto trascendente, in analogia con la metafisica e la dottrina dell’anima pre-critiche e pre-kantiane. In effetti, questo sospetto non è del tutto ingiustificato, soprattutto se riferito alle scuole post-freudiane: fin troppo spesso esse ci propinano le notizie più recenti o più vecchie sul fondamento primordiale e sulla mancanza di fondamento (Urgrund e Ungrund) dell’inconscio, come se si trattasse, al più, dello scantinato del vicino di casa. Ed è indubbio che ogni psicoanalisi corre in linea di principio il rischio di raccontare agli altri chi o cosa in verità essi, senza saperlo, sono, e questo nel tipico stile che è proprio dei maestri del pensiero, dei maestri della psicologia e degli analisti selvaggi. Qui il problema gnoseologico si acuisce e diventa diagnostico, terapeutico e anche, semplicemente, di comunicazione ordinaria. Il dislivello intersoggettivo di trasparenza è il più delle volte proporzionale alla pretesa di esercitare un dominio offerto sotto forma di interpretazione. Ovviamente questo pericolo riguarda tanto la filosofia dell’inconscio, quanto la psicoanalisi. Un buon numero di autori presenti in questa antologia è caduto più volte in questa trappola, soprattutto i metafisici che come Schelling, Carus e Hartmann parlano di ‘inconscio assoluto’, ma poi affermano di saperne un bel po’. Freud, invece, era ben consapevole dei problemi gnoseologici insiti nella conoscenza dell’inconscio. Decisamente post-critico e post-kantiano, egli aveva messo in guardia contro il rischio di confondere le percezioni coscienti dell’inconscio con i processi inconsci stessi. Il fatto che fino alla revisione strutturale del suo modello psicologico il rimosso fosse per lui il contenuto centrale (non l’unico!) dell’inconscio, è probabilmente dovuto ai segni del conflitto con la coscienza che esso, diversamente dall’inconscio ‘in sé’, ancora mostra (sebbene necessiti proprio per questo di interpretazioni e di terapia). E alla fine, una psicoanalisi passata attraverso il vaglio della critica della 13 L’Africa interiore conoscenza concorderà con la più ponderata e scettica tradizione filosofica – documentata dai testi della presente antologia, unitamente alla tradizione metafisica – che la psicoanalisi stessa ha accesso all’‘inconscio’ (tra virgolette) sempre solo per deduzione indiretta. In questo quadro, essa, stretta tra lo scetticismo totalizzante dell’ignorabimus, che spesso si sposa esageratamente bene con il sacrificium intellectus, e una dogmatica certezza di sé, che ha mangiato conoscenza sull’inconscio a cucchiaiate, è andata per la propria strada in materia di teoria e prassi. E con le libere associazioni – vale a dire libere – che con Berta Pappenheim, Breuer e infine Freud si sviluppano in decisa contrapposizione alle tecniche dell’ipnotismo e della suggestione proprie alla tradizione psichiatrica pre-freudiana e ai rapports mesmeriani, la psicoanalisi ha trovato un metodo che funge contemporaneamente da presupposto e da contrappeso all’interpretazione analitica e a quei fenomeni che si determinano durante il transfert terapeutico. L’abbozzato dilemma gnoseologico sulla conoscenza dell’inconscio all’interno della storia filosofica della sua esplorazione ha avuto ripercussioni terminologiche e discorsive soprattutto in due sensi. Uno dei tratti più appariscenti di questa storia è il discorso improprio, specialmente il discorso metaforico, di cui la «vera Africa interiore» di Jean Paul può rappresentare un esempio eloquente. Esso è sia paradossalmente che plausibilmente il discorso più proprio se «si ha l’ardire di parlare dell’inconscio e dell’imperscrutabile, [...] la cui esistenza, non la cui profondità», è la sola cosa che si possa voler determinare in relazione alle zone più luminose dell’anima – il che tuttavia non impedisce neppure a Jean Paul, nel prosieguo, di sapere un mucchio di cose sull’‘Africa interiore’. Ciò che per la superiore coscienza del sapiente, o addirittura della divinità, è assolutamente trasparente, costituisce per il selvaggio «i fondamenti e gli abissi [...] nascosti da ombre profonde. [...] Il selvaggio e Leibniz hanno consapevolezza, ma come sfuggono al selvaggio, non visti, i percorsi della vita interiore, mentre un Leibniz ne nota ogni zolla!»14. E soprattutto: Jean Paul vuole assolutamente sapere. La stessa metafora che l’inconscio Così recita uno dei frammenti tratti dal lavoro preparatorio per la stesura di Selina, in Jean Pauls sämtliche Werke: historisch-kritische Ausgabe, edito dalla Preußische Akademie der Wissenschaften, sezione II, Weimar 1934, vol. IV, p. 210. 14 14