LA COSTRUZIONE DELL`ACQUIS COMMUNAUTAIRE
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LA COSTRUZIONE DELL`ACQUIS COMMUNAUTAIRE
LA COSTRUZIONE DELL’ACQUIS COMMUNAUTAIRE DEL DANNO ALLA PERSONA di Elena Falletti Sommario: Introduzione. 1. Rapporto tra diritto comunitario e danno alla persona. 2. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e il danno alla persona. 3. La giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee in tema di danno alla persona. 4. Responsabilità dello Stato per mancata attuazione del diritto comunitario. 5. La responsabilità contrattuale e il danno alla persona nel diritto comunitario. 6. I principi UNIDROIT e il danno alla persona. 7. I gruppi di studio in materia di tort law. 8. Il danno alla persona negli altri Stati europei. Introduzione Si è già riferito che nell’area europea la ricostruzione delle figure del danno alla persona è disomogeneo e risente in modo rimarchevole delle influenze storiche dei modelli tradizionali del diritto. Tuttavia ciò non sembra impedire il tentativo di armonizzazione del diritto della responsabilità civile in generale, e del danno alla persona in particolare, sulla base dell’esperienza di quanto sta accadendo per il diritto privato dei contratti (ALPA). In questa lezione si osserverà come questo percorso è stato intrapreso e viene portato avanti attraverso il contributo del diritto comunitario. 1. RAPPORTO TRA DIRITTO COMUNITARIO E DANNO ALLA PERSONA. In ambito comunitario la tendenza all’armonizzazione della tutela della persona è evidente in particolar modo in tre ambiti: a) nel campo della responsabilità civile auto, con lo scopo principale di creare un sistema armonizzato di assicurazione di responsabilità obbligatoria per facilitare il libero movimento e garantire il risarcimento del danno alle persone ferite in uno Stato membro diverso dal loro, oltre ad avallare un mutuo riconoscimento delle garanzie assicurative dei diversi Stati membri, così come previsto dalle direttive 72/166, 84/5, e 90/232 (VAN GERVEN, MERKIN, RODGER); b) nel campo della tutela del consumatore che con la Direttiva 85/374 del 25 luglio 1985 sulla responsabilità da prodotto difettoso ha visto il più importante atto verso il riconoscimento del danno alla persona in ambito europeo (VON BAR); c) in materia di responsabilità ambientale la cui armonizzazione è prevista quale scopo dall’art.130 del Trattato dell’Unione, il quale prevede il principio secondo cui “l’inquinatore deve pagare”. La Commissione europea ha adottato diverse proposte in tema di armonizzazione della tutela del consumatore in ambito comunitario, le quali hanno avuto un immediato riflesso anche in tema di armonizzazione del riconoscimento del danno alla persona, tra questi strumenti vanno ricordati i “Libri Verdi”, i quali sono documenti di riflessione su un tema politico specifico pubblicati dalla Commissione. Sono prima di tutto documenti destinati a coloro - sia enti sia privati - che partecipano al processo di consultazione e di dibattito pubblico su un determinato tema. In alcuni casi, rappresentano il primo passo degli sviluppi legislativi successivi. In questo senso vanno letti testi dei diversi libri verdi in tema di protezione del consumatore, di risarcimento dei danni da reato e di accesso alla giustizia, tra i quali ricordiamo il Libro Verde “Assistenza giudiziaria in materia civile: i problemi che si presentano al contendente transfrontaliero” (COM/2000/0051/final), il Libro Verde “relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale”(COM/2001/536/final) e il “Libro Verde sul risarcimento delle vittime di reati”. In questo documento viene ampiamente trattata la materia del danno alla persona: già dal Consiglio europeo di Tampere nel 1999 si è sentita l’esigenza di istituire norme comunitarie minime per la protezione delle vittime dei reati, in particolare sull’accesso alla giustizia e sul diritto di ottenere il risarcimento dei danni subiti, oltre alle spese legali. Il libro verde si concentra in primo luogo sul principio di non discriminazione, riconosciuto sia dall’art. 12 del trattato CE e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, in una sentenza avente ad oggetto una causa proposta da un cittadino britannico aggredito e ferito in Francia durante un soggiorno turistico. Rimasti anonimi gli assalitori, la vittima si rivolse allo Stato francese per accedere al sistema statale di risarcimento, servizio negatogli in quanto il richiedente non né era cittadino francese, né cittadino di uno stato che avesse concluso un accordo di reciprocità con la Francia e non aveva neppure un permesso di residenza: era solo un turista. La Corte risolse a favore del cittadino britannico la questione pregiudiziale proposta dal Tribunal de Grande Instance di Parigi: “la proibizione di discriminazioni è prevista in particolare all’art. 7 del Trattato CEE, il quale va interpretato sia rispetto alle persone in relazione alla loro libertà di movimento all’interno degli Stati Membri, in particolare quali destinatari di servizi, ed è garantita dal diritto comunitario, cui lo Stato non può accordare non compensazione per il danno causato nello Stato alla vittima di un’aggressione la quale abbia provocato lesioni personali che consentirebbero ad un residente o ad un cittadino di un Paese con cui vi sia un accordo di reciprocità”. (Corte europea di giustizia, 02.02.89, C-186/87, in www.curia.eu.int) Il Libro Verde accoglie anche i principi, già trattati in questa sede, della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in particolare per ciò che concerne l’art.6§1 Cedu, ovvero il diritto di ogni persona ad avere un’equa pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti ad un tribunale equo ed imparziale, istituito per legge, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile”. L’esistenza di un sistema di risarcimento da parte dello Stato conferisce un diritto civile soggettivo, ai sensi della Convenzione, alle vittime dei reati che soddisfino le condizioni e seguano le procedure definite dal sistema stesso: “la Corte evidenzia ugualmente che, per determinare se la legge (…) conferisce un diritto all’indennizzo dei pregiudizi provocati dall’infrazione, o semplicemente la possibilità di sollecitare, presso un organo o un potere discrezionale, le versamento a titolo grazioso di una indennità, è necessario rifarsi al testo della legge. Ora, questa definisce in termini chiari e pregnanti le condizioni sostanziali e procedurali che il ricorrente deve osservare affinché l’Ufficio possa indennizzarlo. In conseguenza, qualora tutti i richiedenti che soddisfino le condizioni, in virtù della legge, hanno un diritto a essere indennizzati.” (Corte europea dei diritti dell’uomo, 27.05.97, Gustafson contro Svezia, in www.echr.coe.int). In questa causa, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che la legge svedese relativa al risarcimento da parte dello Stato definisse in termini chiari e vincolanti le condizioni sostanziali e processuali che un richiedente deve soddisfare per accedere al risarcimento dello Stato. In conseguenza di ciò un richiedente che soddisfi le procedure e le condizioni poste dall’ordinamento ha diritto a ottenere questo risarcimento previsto dalla legge, in quanto diritto civile ai sensi dell’art.6§1 Cedu. Al Libro Verde sul risarcimento del danno alle vittime da reato è seguita la direttiva 2004/80/CE del 29 aprile 2004 sull’indennizzo delle vittime di reati. Secondo la questa direttiva, un cittadino europeo che subisca un reato intenzionale violento in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede abitualmente, potrà presentare la domanda di risarcimento presso un'autorità o qualsiasi altro organismo dello stato in cui risiede. L’obiettivo della direttiva è di garantire ad ogni cittadino europeo il diritto di ottenere un indennizzo equo e adeguato per le lesioni subite, indipendentemente dal luogo della Comunità europea in cui il reato à stato commesso. In sintesi i punti principali della direttiva, ancora non recepita in Italia, sono i seguenti. Al “considerando” n. 2 si afferma “allorché il diritto comunitario garantisce alle persone fisiche la libertà di recarsi in un altro Stato membro, la tutela della loro integrità personale in detto Stato membro alla stessa stregua dei cittadini e dei soggetti che vi risiedano costituisce il corollario della libertà di circolazione. Dovrebbero concorrere alla realizzazione di tale obiettivo misure volte a facilitare l'indennizzo delle vittime di reato”. Quindi la creazione di un danno alla persona europeo contribuirebbe a garantire la piena realizzazione dei principi di libertà di circolazione e stabilimento auspicati dal diritto comunitario e dai fondatori delle comunità economiche europee. Secondo il “considerando” n.7 “le vittime di reato nell'Unione europea dovrebbero avere il diritto di ottenere un indennizzo equo e adeguato per le lesioni subite, indipendentemente dal luogo della Comunità europea in cui il reato è stato commesso”. Mentre il “considerando” n.10 esplicita chiaramente gli obiettivi della Direttiva 2004/80/CE ovvero la creazione di “un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, che dovrebbe operare sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori. Dovrebbe essere pertanto istituito in tutti gli Stati membri un meccanismo di indennizzo”. Su questo punto, la Direttiva riconosce quanto è già stato fatto con la già citata Convenzione europea del 24 novembre 1983, ed entrata in vigore nel 1988. La Direttiva si preoccupa poi di quelle vittime da reato che non possano ottenere il risarcimento dell’autore che le ha offese perchè il reo non abbia i mezzi economici e le sostanze necessarie per risarcire i danni, ovvero non sia possibile identificarlo o perseguirlo. In conseguenza di ciò, oltre all’armonizzazione delle fattispecie sostanziali di danno alla persona, viene auspicata dal Consiglio europeo l’introduzione di un sistema di cooperazione tra le autorità giudiziarie degli Stati membri, al fine di facilitare l’accesso all’indennizzo nei casi in cui il reato sia stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede. Un tentativo di armonizzazione degli strumenti di diritto processuale sull’esempio di quelli in corso di realizzazione in materia processuale civile e commerciale. Ma in questo caso si andrebbe oltre la semplice armonizzazione, in quanto il considerando n.12 della Direttiva 2004/80/CE prevede che il sistema di indennizzo “dovrebbe consentire alle vittime di reato di rivolgersi sempre ad un'autorità del proprio Stato membro di residenza e dovrebbe ovviare alle eventuali difficoltà pratiche e linguistiche connesse alle situazioni transfrontaliere”. In questo senso l’organizzazione del sistema previsto dalla Direttiva comprenderebbe le disposizioni necessarie a consentire alla vittima del reato ad informarsi adeguatamente per presentare la richiesta di indennizzo e permettere una cooperazione efficace ed efficiente tra le autorità nazionali coinvolte. Nel testo della direttiva, al “considerando” n. 14 e seguenti è esplicitato il riferimento al rispetto alla Carta europea dei diritti fondamentali dell’Unione, come i principi generali del diritto comunitario, di sussidiarietà e proporzionalità. Le disposizioni previste dalla direttiva si dividono in tre capi: il capo I riguarda l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere; il capo II attiene ai sistemi di indennizzo nazionali, mentre il capo III si occupa delle disposizioni attuative della Direttiva. L’art. 1 della direttiva prevede che gli Stati membri assicurano che, se un reato intenzionale violento sia stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui il richiedente l'indennizzo risiede abitualmente, il richiedente abbia diritto a presentare la domanda presso un'autorità o qualsiasi altro organismo di quest'ultimo Stato membro. L’art. 2 statuisce a carico dello Stato ove è stato commesso il reato la responsabilità dell’indennizzo; mentre l’art. 3 individua le autorità nazionali responsabili delle le procedure amministrative. L’art. 4 e l’art. 5 si concentrano su uno dei diritti considerati indispensabili per i cittadini comunitari, ovvero quello all’informazione: in questo caso si tratta dell’accesso alle informazioni essenziali relative alla possibilità di richiedere un indennizzo, e all’assistenza delle vittime che hanno subito il danno. Gli articoli 6 e 7 si riferiscono alle modalità tecniche di trasmissione e ricezione delle domande, e affermano che queste vanno espletate con la “massima rapidità”, con l’indicazione approssimativa, ove possibile, dei tempi in cui la decisione verrà presa. Gli articoli 8 e 9 si occupano dell’istruttoria della pratica attraverso la richiesta di informazioni supplementari o con l’audizione del richiedente. L’art.10 statuisce che la decisione va comunicata alla parte conformemente alla legislazione nazionale, al più presto dopo la sua adozione. L’intera direttiva sembra dare molto risalto alla rapidità con cui la pratica deve essere istruita, la decisione presa e comunicata, l’indennizzo liquidato. Indubbiamente il tenore della direttiva è influenzato dalla grande attenzione che le istituzioni europee dedicano alla celerità dell’espletamento dei procedimenti burocratici, ma anche giudiziali, a partire dal noto art. 6§1 Cedu. Il secondo capo della Direttiva 2004/80/CE è quello di maggior interesse per le prospettive di armonizzazione del riconoscimento del danno alla persona in Europa. Esso contiene un solo articolo, l’art. 12, il quale stabilisce che “le disposizioni della presente direttiva riguardanti l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori. Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime”. Le norme del Capo III riguardano le disposizioni di attuazione, le quali dispongono la creazione di “punti di contatto” centrale con funzioni di fornire assistenza nell'applicazione dell'articolo 13, paragrafo 2. Ulteriormente, promuovere la stretta collaborazione e lo scambio d'informazioni tra le autorità di assistenza e di decisione degli Stati membri; e fornire assistenza e cercare soluzioni a qualsiasi difficoltà possa sorgere nell'applicazione degli articoli da 1 a 10. Si prevede essenziale per la concreta realizzazione dei propositi della direttiva la creazione e il funzionamento dei punti di contatto. In ogni caso la Commissione è sempre assistita da un Comitato istituito all’uopo. In passato l’Unione Europea visse un altro tentativo di armonizzare il risarcimento del danno alla persona, ma con successo inferiore alle aspettative. Ci si riferisce all’attuazione della direttiva 1985/374/CEE, inerente alla responsabilità civile da prodotto difettoso. La direttiva 1985/374/CEE è stata recepita nell’ordinamento italiano con il Decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 224 di attuazione della direttiva CEE n. 85/374 relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, ai sensi dell'art. 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183. L’emanazione della direttiva si inserisce nella disegno più generale della Comunità europea, e cioè di massimizzare il livello di tutela del consumatore, ai sensi dell’art.100 del trattato EC. La direttiva mira al ravvicinamento delle legislazioni nazionali in materia di responsabilità del produttore per i danni causati dal carattere difettoso dei suoi prodotti. Secondo il suo primo 'considerando', tale ravvicinamento si è reso necessario per il fatto che le disparità di tali normative “possono falsare il gioco della concorrenza e pregiudicare la libera circolazione delle merci all'interno del mercato comune determinando disparità nel grado di protezione del consumatore contro i danni causati alla sua salute e ai suoi beni da un prodotto difettoso”. Mentre il tredicesimo 'considerando' della direttiva dispone che “secondo i sistemi giuridici degli stati membri il danneggiato può avere diritto al risarcimento in base alla responsabilità contrattuale o ad un titolo fondato sulla responsabilità extracontrattuale diverso da quello previsto dalla presente direttiva”. Aggiunge poi che “nella misura in cui tali disposizioni perseguono anch'esse l'obiettivo di un'efficace protezione dei consumatori, esse non devono essere pregiudicate dalla presente direttiva» e precisa che «nella misura in cui la responsabilità per danni nucleari è già sottoposta in tutti gli stati membri ad adeguate regolamentazioni speciali, è possibile escludere dal campo di applicazione della presente direttiva danni di tale natura”. Tuttavia, l’art. 13 della direttiva 85/374/CEE dispone che “la presente direttiva lascia impregiudicati i diritti che il danneggiato può esercitare in base al diritto relativo alla responsabilità contrattuale o extracontrattuale o in base ad un regime speciale di responsabilità esistente al momento della notifica della direttiva”. La Corte europea di giustizia si è pronunciata sull’implementazione della direttiva 85/372/EEC nell’ordinamento spagnolo e sul ravvicinamento delle posizioni legislative all’interno dei Paesi membri della Comunità. Il caso in questione riguardava una vicenda di danno alla salute. La ricorrente venne sottoposta ad una trasfusione di sangue in un istituto medico di cui la casa farmaceutica resistente era proprietaria. Il sangue utilizzato per la trasfusione era stato trattato in un centro trasfusionale. La ricorrente sosteneva di essere stata contagiata dal virus dell'epatite C, in occasione di tale trasfusione. In base alle disposizioni generali del codice civile spagnolo e degli artt. 25-28 della legge spagnola 19 luglio 1984, n. 26, relativa alla tutela dei consumatori e degli utenti ha chiesto il risarcimento del danno subito all’impresa produttrice. Questa ha contestato l'applicabilità dei suddetti articoli della citata legge, in quanto in contrasto con la successiva legge 6 luglio 1994, n. 22, relativa alla responsabilità civile per i danni causati da prodotti difettosi, adottata in Spagna a seguito dell’adesione del Regno spagnolo nella Comunità europea. Il giudice a quo riteneva assodato che i fatti all'origine della controversia rientrassero nell'ambito di applicazione materiale e temporale sia della legge n. 26/84 sia della legge n. 22/94. In base ad un'analisi di questi due testi normativi il giudice di rinvio è giunto alla conclusione che i diritti di cui i consumatori e gli utenti possono avvalersi in base alla legge n. 26/84 siano più ampi rispetto a quelli che le vittime esercitano in forza della legge n. 22/94 e che, quindi, la trasposizione nell'ordinamento spagnolo della direttiva da parte di quest’ultima legge abbia determinato una restrizione dei diritti di cui disponevano gli interessati al momento della notifica della suddetta direttiva. Considerato che la controversia sollevava pertanto una questione di interpretazione dell'art. 13 della direttiva, il Juzgado de Primera Instancia e Instrucción n. 5 di Oviedo ha decido di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: “se l'art. 13 della direttiva del Consiglio 25 luglio 1985, 85/374/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, debba essere interpretato nel senso che osta a che, in conseguenza del recepimento della direttiva, i diritti di cui consumatori godevano in base alla normativa di uno Stato membro siano limitati o ristretti”. (Corte di Giustizia delle comunità europee, 22.04.02, C-183/00, in www.curia.eu.int). La Corte europea di giustizia statuì che l’armonizzazione e il ravvicinamento delle normative nazionali sotto l’egida del diritto comunitario non impedisce che le normative nazionali siano più severe rispetto a quelle comunitarie: “il riferimento, nell'art. 13 della direttiva, ai diritti che il danneggiato può esercitare in base alla responsabilità contrattuale o extracontrattuale deve essere interpretato nel senso che il regime attuato dalla suddetta direttiva, che, ai sensi dell'art. 4, consente al danneggiato di chiedere il risarcimento dei danni qualora fornisca la prova del danno, del difetto e della connessione causale tra il suddetto difetto e il danno, non esclude l'applicazione di altri regimi di responsabilità contrattuale o extracontrattuale che si basino su elementi diversi, come la garanzia dei vizi occulti o la colpa. Inoltre, il riferimento, nel suddetto art. 13, ai diritti che il danneggiato può esercitare in forza di un regime speciale di responsabilità esistente al momento della notifica della direttiva deve essere interpretato, secondo quanto emerge dal tredicesimo 'considerando', terza parte della frase, nel senso che riguarda un regime proprio, limitato a un settore produttivo determinato (omissis). Si deve invece ritenere che un regime di responsabilità del produttore che si basi sullo stesso fondamento della disciplina attuata dalla direttiva e che non sia limitato a un settore produttivo determinato non rientri in alcuno dei regimi di responsabilità ai quali si riferisce l'art. 13 della direttiva. Tale disposizione non può dunque essere invocata in tal caso per giustificare il mantenimento di disposizioni nazionali che offrano una maggiore tutela rispetto a quelle della direttiva. (Corte di Giustizia delle comunità europee, 22.04.02, C-183/00, cit). Queste sentenze indicano chiaramente la via che la Corte di giustizia delle comunità europee persegue per il ravvicinamento delle legislazioni: il diritto comunitario integra la minima tutela per i cittadini e consumatori, mentre gli Stati nazionali, qualora scelte di opportunità politica lo rendano necessario, possono solo aumentare le garanzie previste dal diritto comunitario. Sulla ripartizione della responsabilità da prodotto difettoso è attesa la decisione della Corte europea di giustizia in via preliminare, attesa per il 2005. Ci si riferisce alla causa C-402/03. Essa verte fondamentalmente sulla questione se detta direttiva, che fa ricadere la responsabilità per danno da prodotti difettosi in via principale sul produttore e soltanto in via subordinata sul fornitore, permetta agli Stati membri di modificare tale ripartizione della responsabilità e, se del caso, in quale misura In tema di danno alla persona vanno ricordate anche le direttive in tema di circolazione veicoli e assicurazione obbligatoria (Direttiva 1972/166/CEE con le successive direttive 1984/5/CEE e 1990/232/CEE), le cui norme sono ormai entrate nel patrimonio comune non solo dei giuristi, ma anche dei comuni cittadini titolari di veicoli a motore. A questo proposito, la Commissione ha promosso una proposta di direttiva che unisca le disposizioni ricordate. Il valore aggiunto di questa nuova proposta di direttiva si concretizzerebbe nell’introduzione di un’azione a favore delle vittime degli incidenti stradali e all’introduzione di norme imperative sulla copertura assicurativa per incidenti che coinvolgono pedoni e ciclisti. La proposta, emendata dal Parlamento europeo, è stata fatta propria dalla Commissione in data 16 febbraio 2005 ai sensi dell’art. 251 (2), terzo paragrafo lettera c) del Trattato CE. Per ciò che concerne l’armonizzazione delle tutele e dei rimedi processuali, il Consiglio europeo si è mosso adottando in data 29 maggio 2000 il Regolamento 1348/2000 sulla comunicazione e notificazione negli Stati membri degli atti giudiziali ed extragiudiziali in materia civile e commerciale, e successivamente in data 28 maggio 2001 il Regolamento 1206/2001 sulla cooperazione tra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile o commerciale. 2. LA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA E IL DANNO ALLA PERSONA. Nel contesto della recente innovazione delle fonti costituzionali comunitarie sopranazionali vanno inseriti lo studio e l’analisi della Costituzione Europea che ha inglobato la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Entrambi questi atti normativi sentono fortemente l’influsso della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, e ne costituiscono una ulteriore evoluzione. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo è integrata nel trattato di Maastricht, il cui art. F, n.2 stabilisce che «l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. A sua volta il Trattato di Amsterdam, ovvero il Trattato dell’Unione Europea, assorbe il testo dell’art. F n. 2 del trattato di Maastricht nell’art. n. 6. Essa risente anche di altri influssi come quelli della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e della Carta costituzionale tedesca (SANTOSUOSSO). Non più soltanto protezione dei diritti contro l’ingerenza dei poteri punitivi, come ai tempi della redazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ma affermazione di dignità e considerazione all’essere umano, nella sua dimensione esistenziale, come soggetto dotato di corpo, prima ancora che di cittadino a cui vengono riconosciuti diritti. In ogni caso, la Carta costituzionale europea offre degli interessanti spunti di riflessione che non devono essere sminuiti dalle difficoltà, del tutto contingenti, che essa sta trovando nel suo processo di ratificazione tra gli Stati membri. Principalmente va notato la grande enfasi che la Carta, e di conseguenza la Costituzione europea, riservano alle tradizioni intellettuali e morali del Vecchio Continente, in particolare, nel secondo paragrafo del Preambolo della Carta dei diritti fondamentali, nella II Parte, Preambolo: l’Unione “pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell’Unione istituendo la cittadinanza dell’Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia”. In questo inciso è possibile riconoscere le prospettive di lungo periodo dell’Unione, forse anche di lunghissimo, ma tale rimane l’ambizioso progetto, ovvero attraverso la realizzazione di un’unica cittadinanza europea collegare il riconoscimento di pari dignità e diritti, e conseguentemente indennizzi in anche tema di danni, in via indipendente dalla nazionalità originaria. Altrettanta attenzione viene riservata dalla Carta, e dalla Costituzione che l’ingloba, alla protezione della dignità umana, al diritto alla vita e al diritto all’integrità della persona. Su questo punto la Carta sembra ricalcare la Convenzione di Oviedo, sia per ciò che concerne il divieto di pratiche eugenetiche, sia per ciò che riguarda il consenso informato in caso di trattamenti medici e terapeutici. Sulla stessa via dell’accettazione del più ampio spazio possibile alla dignità umana, la Carta costituzionale europea assicura altresì dignità ai diritti degli anziani e censura la discriminazione delle persone disabili. 3. LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE IN TEMA DI DANNO ALLA PERSONA. In tema di danno alla persona le sentenze della Corte di giustizia delle comunità europee non sono altrettanto numerose come quelle della Corte europea dei diritti dell’uomo. Ciò trova spiegazione nel fatto che i compiti giurisdizionali delle due Corti sono differenti. La Corte di Giustizia è organo dell’Unione europea e svolge la funzione di controllo sulla applicazione del diritto comunitario vivente, dinamico e uniforme (RODRIGUEZ INGLESIAS) tra gli Stati membri. La Corte europea dei diritti dell’uomo, invece, è organo del Consiglio d’Europa (LAUPRECHT), e si occupa delle violazioni perpetrate dagli Stati sottoscrittori della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tuttavia parebbe interessante analizzare alcune decisioni della Corte di giustizia delle Comunità europee, sia per quanto concerne la responsabilità dello Stato in tema di violazione del diritto comunitario, e sui riflessi che questo può avere sulla sfera di una persona, attenendo molte fattispecie comunitarie ai diritti fondamentali dell’individuo quali libertà di circolazione e stabilimento; sia per quanto concerne il danno alla persona conseguente all’inadempimento contrattuale. 4. RESPONSABILITA’ DELLO STATO PER MANCATA ATTUAZIONE DEL DIRITTO COMUNITARIO La Corte di Giustizia delle Comunità europee, attraverso l’art.177 EC, svolge un ruolo primario nella costruzione di un diritto della responsabilità civile armonizzato, in quanto la condanna ad risarcimenti adeguati è uno dei rimedi cui gli Stati membri sono costretti a soggiacere in ordine alla garanzia di una effettiva protezione legale del diritto comunitario. A parere di autorevole dottrina l’impatto di questa influenza non va sovrastimata (VAN GERVEN). L’impatto del diritto comunitario in materia di armonizzazione del danno alla persona sarà maggiore sul lungo periodo, primariamente le norme del diritto comunitario devono dare prova di potersi integrare nei differenti sistemi legali. In secondo luogo, il diritto della responsabilità civile di origine comunitaria riveste un’importanza cruciale a causa dei rimedi risarcitori che possono essere utilizzati dai singoli individui per guidare ed incrementare la protezione del diritto comunitario in aree non di competenza del diritto comunitario (VAN GERVEN). In questo senso va letta la decisione della Corte di giustizia nota come Francovich. Il caso di specie riguardava il pagamento delle retribuzioni da lavoro subordinato non ottenuto dal ricorrente a causa del fallimento del datore di lavoro. La causa verteva sulla mancata attuazione nell’ordinamento italiano della direttiva 80/987/CEE. Questa direttiva è diretta a garantire ai lavoratori dipendenti un minimo comunitario di tutela in caso di insolvenza del datore di lavoro, fatte salve le norme più favorevoli esistenti negli Stati membri. A tal fine, essa stabilisce in particolare garanzie specifiche per il pagamento di loro crediti non pagati relativi alla retribuzione. I giudici italiani sono ricorsi alla Corte per sottoporre la questione se la mancata attuazione di una direttiva è titolo per rivendicare il risarcimento danni subiti nei confronti dello Stato inadempiente. La Corte nella sua motivazione ha affermato che: “la piena efficacia delle norme comunitarie sarebbe messa a repentaglio e la tutela dei diritti da esse riconosciuti sarebbe infirmata se i singoli non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento ove i loro diritti siano lesi da una violazione del diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro. La possibilità di risarcimento a carico dello Stato membro è particolarmente indispensabile qualora la piena efficacia delle norme comunitarie sia subordinata alla condizione di un' azione da parte dello Stato e, di conseguenza, i singoli, in mancanza di tale azione, non possano far valere dinanzi ai giudici nazionali i diritti loro riconosciuti dal diritto comunitario. Ne consegue che il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato. L' obbligo degli Stati membri di risarcire tali danni trova il suo fondamento anche nell' art. 5 del Trattato, in forza del quale gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure di carattere generale o particolare atte ad assicurare l' esecuzione degli obblighi ad essi derivanti dal diritto comunitario e, quindi, ad eliminare le conseguenze illecite di una violazione del diritto comunitario. . Se la responsabilità dello Stato per il risarcimento dei danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è imposta dal diritto comunitario, i presupposti per l' insorgere di un diritto a risarcimento dipendono dalla natura della violazione del diritto comunitario che è all' origine del danno provocato.” (Corte di giustizia delle Comunità europee, 19.9.91, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Foro it., 1992, IV, 145). Il danno alla persona può essere provocato, dunque, anche da normative comunitarie non rispettate da parte dello Stato membro dell’Unione. Nella stessa direzione si inserisce la decisione Köbler, che vede quali violatori del diritto comunitario giudici di ultimo grado di uno Stato membro. Con atto formale il professor Köbler ha chiesto l'attribuzione dell'indennità speciale di anzianità di servizio prevista per i professori universitari, ai sensi dell'art. 50 bis del Grund Gesetzt austriaco. Egli ha sostenuto che, anche se non avesse potuto far valere quindici anni di anzianità di servizio in qualità di professore nelle università austriache, avrebbe comunque posseduto per contro l'anzianità di servizio richiesta se la durata del suo servizio nelle università di altri Stati membri della Comunità fosse stata presa in considerazione. Egli ha affermato che la condizione di un'anzianità di servizio di quindici anni maturata unicamente in università austriache - senza che si tenesse conto di quella maturata in università di altri Stati membri - costituiva, a decorrere dall'adesione della Repubblica d'Austria alla Comunità, una discriminazione indiretta ingiustificata in diritto comunitario. Per vedersi riconosciuto questo diritto fondato sulle normative comunitarie si è rivolto ai giudici nazionali, i quali hanno negato che vi fosse una discriminazione fondata su una disapplicazione del diritto comunitario. La Corte di giustizia nel risolvere a favore del ricorrente la questione pregiudiziale, ha affermato che: “il principio secondo cui gli Stati membri sono obbligati a riparare i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario che sono loro imputabili si applica anche allorché la violazione di cui trattasi deriva da una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado, sempreché la norma di diritto comunitario violata sia preordinata ad attribuire diritti ai singoli, la violazione sia sufficientemente caratterizzata e sussista un nesso causale diretto tra questa violazione e il danno subito dalle parti lese. Al fine di determinare se la violazione sia sufficientemente caratterizzata allorché deriva da una tale decisione, il giudice nazionale competente deve, tenuto conto della specificità della funzione giurisdizionale, accertare se tale violazione presenti un carattere manifesto. Spetta all'ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro designare il giudice competente a risolvere le controversie relative al detto risarcimento.” (Corte di giustizia delle comunità europee, 30.09.03, C-224/01, in www.curia.eu.int) La Corte ricorda che il risarcimento del danno da parte dello Stato nei confronti dei singoli non è un concetto sconosciuto nell’ambito giuridico, e porta quale esempio l’art.41 Cedu summenzionato: “la CEDU, e più in particolare il suo art. 41, consente alla Corte europea dei diritti dell'uomo di condannare uno Stato che ha violato un diritto fondamentale a compensare i danni che sono derivati da questo comportamento per la parte lesa. Dalla giurisprudenza della detta Corte deriva che una tale compensazione può essere concessa anche allorché la violazione deriva dal contenuto di una decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado (v. sentenza Cour eur. D. H. 21 marzo 2000, Dulaurans/Francia, non ancora pubblicata)”. (Corte di giustizia delle Comunità europee, 30.09.03, C-224/01, cit.). La citata sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee rappresenta “l’anello mancante” del sistema di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto comunitario (SCODITTI). La lesione in grado di integrare il danno alla persona, quindi, può provenire non solo dalla mancata implementazione del diritto comunitario, ma anche dalla violazione del medesimo che ne facciano i giudici dello Stato membro. 5. LA RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE E DANNO ALLA PERSONA NEL DIRITTO COMUNITARIO. Un esplicito riconoscimento del danno alla persona a seguito di un incidente intercorso durante lo svolgimento delle mansioni lavorative riguarda la sentenza della Corte europea di giustizia Leussink Brummelhuis dell’8 ottobre 1986. I fatti di causa si possono riassumere come segue: Nel 1978 il ricorrente rimaneva vittima di un incidente stradale nella Repubblica Federale di Germania, mentre si trovava in missione e viaggiava su di una autovettura di proprietà della Commissione e guidata da un dipendente di questa. Il ricorrente riportava gravi lesioni e in conseguenza di ciò soffriva di numerosi postumi di carattere permanente. Egli tuttavia ha potuto successivamente riprendere l'esercizio delle sue mansioni presso la Commissione. La commissione medica , istituita a norma degli artt . da 21 a 23 della regolamentazione relativa alla copertura dei rischi di infortunio e di malattia professionale dei funzionari delle Comunità Europee perveniva a concludere che l'invalidità permanente causata dall'incidente doveva essere fissata al 75% , ivi compresa una frazione del 10% per il danno psicologico e morale. in conformità a questa conclusione, il ricorrente riceveva il risarcimento a titolo di copertura contro i rischi di infortunio ai sensi dell'art. 73 dello statuto e della regolamentazione. In questa causa, il ricorrente sosteneva che detta indennità copriva solo le conseguenze economiche dell'infortunio e non il danno morale da lui subito. A questo proposito il ricorrente sottolineava che, sul piano professionale, egli aveva abbandonato ogni speranza di promozione e viveva nel timore permanente di non essere sempre all'altezza dei suoi compiti . Sul piano privato, i suoi rapporti con la moglie, le figlie e gli amici sarebbero definitivamente perturbati. Infine, egli non avrebbe più potuto praticare sport, né godere dei piaceri della vita quotidiana. La moglie e le quattro figlie del ricorrente chiedevano altresì il risarcimento del danno morale da esse subito per il fatto che il loro coniuge e padre aveva cambiato carattere e personalità a seguito dell'incidente, con grave perturbamento dei rapporti familiari. La Corte si pronunciò a favore risarcimento del danno non patrimoniale alla persona per il ricorrente: “sul danno e sul nesso di causalità in base alle informazioni che le sono state fornite, la corte può constatare che le gravissime lesioni riportate dal ricorrente hanno avuto conseguenze di carattere non economico, riguardanti in particolare i suoi rapporti familiari e sociali. tali conseguenze costituiscono un danno morale che da diritto ad un risarcimento. Nessun elemento del fascicolo consente di mettere in dubbio il nesso di causalità tra l’infortunio e tale danno. Per quanto riguarda la domanda del ricorrente, rimane quindi da accertare soltanto se e, eventualmente, in qual misura le prestazioni concesse in base al regime statutario costituiscano un risarcimento adeguato. Come la corte ha dichiarato nella sentenza 2 ottobre 1979 (causa 152/77), per determinare il grado di invalidità in base al regime statutario si deve tener conto delle conseguenze di natura psicologica e morale. La ripartizione del grado di invalidità del 75% dimostra che ciò e avvenuto nella fattispecie. Oltre alle percentuali stabilite per disturbi dell'udito, dell'odorato e del gusto, e stata fissata un'aliquota del 10% per danno psicologico e morale. Questa aliquota corrisponde ad un'indennità di quasi 1 milione di bfr. Tenuto conto dell'estrema gravità delle conseguenze non economiche che l'infortunio ha comportato per il ricorrente, la corte ritiene tuttavia equo concedergli un'indennità complementare di 2 milioni di bfr, unitamente agli interessi annui dell'8% su questa somma a decorrere dalla presentazione del ricorso, cioè dal 23 maggio 1984”. (Corte di giustizia delle Comunità europee, 08.10.86, 169/83- 136/84, in www.curia.eu.int). Mentre non riconobbe l’esistenza di un nesso di causalità tra l’accaduto con il peggioramento della qualità della vita della famiglia, in questo caso si trattava di inevitabili conseguenze: “per quanto riguarda le domande della moglie e delle figlie del ricorrente, intese al risarcimento delle conseguenze dell'infortunio nella vita familiare, si deve ammettere che anche la famiglia ha sofferto a causa dell'infortunio e delle conseguenze, in particolare di carattere psicologico, che esso ha avuto per il ricorrente. Ciò risulta in particolare dai referti medici e dai rapporti scolastici presentati per le figlie. Benché non si possa mettere in dubbio la realtà di queste conseguenze, né il loro nesso di causalità con l ' infortunio, si deve tuttavia constatare ch'esse costituiscono la ripercussione del danno subito dal ricorrente e non rientrano fra le conseguenze di cui la commissione possa essere ritenuta responsabile in qualità di datore di lavoro, il che e confermato dal fatto che nella maggior parte degli ordinamenti giuridici degli stati membri non e contemplato il risarcimento di siffatte conseguenze”. (Corte di giustizia delle Comunità europee, 08.10.86, 169/83- 136/84). Un esplicito riconoscimento del danno immateriale derivante dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione di un contratto è offerto dalla decisione Leitner contro TUI Deutschland. In questo caso si tratta della direttiva 90/314/CEE concernente i viaggi, le vacanze e i circuiti “tutto compreso”. La controversia aveva ad oggetto una vacanza in Turchia. Dopo una settimana di soggiorno, la bambina Simone Leitner accusava sintomi d'intossicazione da salmonella. Tale intossicazione era imputabile alle vivande servite nel club vacanze. La malattia, che continuava dopo la fine del soggiorno, si manifestava con accessi di febbre per più giorni, problemi circolatori, diarrea e vomito assieme a stati di ansia. I genitori assistettero la piccola fino al termine del soggiorno. Molti altri clienti del club si erano ammalati, presentando gli stessi sintomi. I genitori della piccola agivano davanti al giudice nazionale ottenendo soltanto il risarcimento per il danno fisico patito e le sofferenze accusate nel periodo di malattia, mentre nulla veniva riconosciuto a titolo di danno non materiale per la “vacanza rovinata”. La Corte austriaca riteneva, infatti, che questa voce di risarcimento non potesse essere riconosciuta in mancanza di una espressa previsione da parte della legge austriaca. Tuttavia il Landesgericht Linz sollevò una questione preliminare sull’effettiva portata dell’art.5 della direttiva 90/314/CEE davanti alla Corte di giustizia, la quale ha affermato che: “l'art. 5 della direttiva del Consiglio 13 giugno 1990, 90/314/CEE, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti «tutto compreso», dev'essere interpretato nel senso che il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale derivante dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in occasione di un viaggio «tutto compreso»”. (Corte di giustizia delle Comunità europee, 12.03.02, C-168/00 in www.curia.eu.int). In questo caso, la Corte di giustizia denota un approccio flessibile alla categoria del danno alla persona, tale da abbracciare tutte le alterazioni esistenziali di segno negativo causate da una vacanza andata storta (BONA). La Corte riconosce che la tutela offerta dalla direttiva ai consumatori deve essere rilevante in quanto “nell'ambito dei viaggi turistici, il risarcimento del danno per il mancato godimento della vacanza ha per loro un'importanza particolare”. (Corte di giustizia delle Comunità europee, 12.03.02, C-168/00, cit.). Per essere riconosciuto, il danno “da vacanza rovinata” non richiede la prova di una patologia psichica e può anche sostanziarsi in un mero stress emotivo non necessariamente destinato a marcare in modo durevole la vita di un individuo (BONA). 6. I PRINCIPI UNIDROIT E IL DANNO ALLA PERSONA L’importanza dell’armonizzazione delle norme si registra soprattutto nel contesto del diritto commerciale degli scambi internazionali. Anche in questo ambito viene riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale, inteso in senso lato: non vengono compresi nella liquidazione delle voci di danno solamente i pregiudizi fisici, “ma anche stress e alterazioni negative all’esistenza” (BONA). Ci si riferisce soprattutto ai principi dei contratti commerciali internazionali predisposti dall’UNIDROIT (International Institute for the Unification of Private Law). L’art. 7.4.2. dei citati principi, rubricato “Risarcimento integrale” prevede al secondo comma che “il danno può essere di natura non pecuniaria e comprende, per esempio, la sofferenza fisica e morale”. È interessante notare come in questa sede si propongano nuovamente i problemi di terminologia giuridica in relazione alla corretta qualificazione delle fattispecie: per esempio la versione inglese qualifica il pregiudizio morale quale emotional distress, mentre il danno non patrimoniale è chiamato nella versione tedesca immateriellen Schadens (BONA). Il commento ufficiale della disposizione chiarisce che il danno non patrimoniale “può consistere nel dolore e sofferenza, nella perdita di agi della vita, nel pregiudizio estetico, come pure del danno derivante dalle lesioni all’onore e alla reputazione” (BONA). Il riferimento alla perdita degli agi della vita è impostato sul riferimento al modello inglese delle loss of amenity ed è da intendersi “ragionando con le nostre categorie di danno” (BONA), ovvero al danno biologico e al danno esistenziale. Il commento ufficiale, consultabile su Internet in lingua inglese, aggiunge che: “il risarcimento del danno non patrimoniale può assumere forme diverse e spetta al giudice decidere quale di queste, sia da sola sia insieme ad altre, possa assicurare un pieno risarcimento”. 7. I GRUPPI DI STUDIO IN MATERIA DI TORT LAW Come si è precedentemente accennato, nel mondo accademico e professionale è molto sentita l’esigenza di armonizzazione all’interno dell’Unione Europea del diritto privato. Gli operatori del diritto interessati ad esprimere un proprio contributo in questa materia si riuniscono in gruppi di studio e ricerca confrontandosi regolarmente sull’evoluzione della materia. Il più noto di questi gruppi di studio accademici è il European Group on Tort Law, noto anche come Tilburg Group, il quale è stato fondato nel 1992. A seguito dei regolari incontri del gruppo, dove si discutono dei principali punti in tema di risarcimento del danno in generale e di diritto delle assicurazioni, sono stati redatti i Principles of European Tort Law (PETL). In tema di danno alla persona, questi principi (che non sono vincolanti, ma si propongono di indirizzare le scelte di policy dei legislatori nazionali e comunitario) stabiliscono alcuni punti chiave del nostro argomento, specificamente l’art. 10:202, rubricato “Danno alla persona e morte” afferma che “(1) In caso di danno alla persona, che postula la lesione dell’integrità psicofisica comportante una malattia accertata, il danno patrimoniale comprende il lucro cessante, il deterioramento della capacità di guadagno (anche se non accompagnata da alcuna perdita di guadagno), e le spese ragionevoli comprensive delle spese mediche. (2) In caso di morte, persone come i familiari mantenuti o che sarebbero stati mantenuti del defunto se non si fosse verificata la morte sono considerati come aventi diritto al risarcimento del danno nei limiti della perdita di tale sostegno”. Come è possibile notare si tratta del minimo comun denominatore diversamente garantito dalle legislazioni nazionali e dal diritto comunitario. Tuttavia il Tilburg Group specifica al terzo comma dell’art. 10.301 relativo al danno non patrimoniale che “In caso di danno alla persona, il danno non patrimoniale corrisponde alla sofferenza del danneggiato e alla menomazione della sua integrità psicofisica. Nella liquidazione dei danni (inclusi i danni a coloro che hanno una relazione di prossimità con la vittima deceduta o gravemente menomata) devono essere assegnate somme simili per lesioni oggettivamente simili”. Un altro gruppo di giuristi accademici che fa capo al gruppo Trier I si è occupato della presentazione di un baréme, ovvero di una tabella risarcitoria, di carattere europeo: “Guide barème europeén d’évaluatione des atteintes à l’integrité physique et psychique”. Sempre in ambito scientifico vi è un interessante progetto che riguarda la redazione di un codice civile europeo (Study Group on European Civil Code). Esso si avvicina di più al modello tedesco. Si insiste sul danno lesivo di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante, che si sostanzia nella lesione di una serie di interessi elencati che corrispondono al tipo di interessi “normalmente tutelati in materia di responsabilità civile” (ALPA). Altri giuristi, professionisti del diritto e avvocati, riuniti nel PEOPIL Resarch Group, hanno rilevato come non sia possibile armonizzare immediatamente i sistemi europei attraverso l’introduzione di tabelle risarcitorie comuni, ma come sia necessario concentrarsi sullo studio delle divergenze tra i sistemi risarcitori, armonizzandone “l’approccio metodologico delle regole sostanziali che disciplinano i danni non patrimoniali” (BONA). Autorevole dottrina afferma che i diversi progetti di armonizzazione della responsabilità civile in tema di danno alla persona “non precisano le tecniche con le quali liquidare i danni, affidandole alla valutazione equitativa del giudice” (ALPA). La riflessione che ne consegue riguarda il fatto che seppur questi modelli dovessero venire adottati, le tecniche di liquidazione rimarrebbero nelle mani dei giudici nazionali, vanificando così gli sforzi di armonizzazione, mentre per evitare disuguaglianze di trattamento, occorrerebbe concordare precise modalità di liquidazione del danno a livello europeo. 8. IL DANNO ALLA PERSONA NEGLI ALTRI STATI EUROPEI. Esaurito il sintetico excursus sui principali modelli di risarcimento danni in diritto comparato, parrebbe interessate volgere lo sguardo agli altri sistemi giuridici europei, in grado di apportare interessanti soluzioni al dibattito sull’armonizzazione del risarcimento del danno alla persona. In Austria, il risarcimento dei danni alla persona è regolato dai §1323 e §1324 ABGB (Österreich Allgemeines Bürgerliches Gesetzbuch). Il sistema austriaco prevede che se il danneggiante ha agito con colpa lieve debba risarcire soltanto il danno emergente, e non anche il lucro cessante e il danno non patrimoniale. Ulteriormente, il danno deve essere valutato secondo criteri oggettivi in conformità con i parametri di mercato. Solo in caso in cui il danneggiante abbia agito con dolo o colpa grave egli deve risarcire l’intero pregiudizio, anche non patrimoniale. In ogni caso, qualora si tratti di danno alla persona, la giurisprudenza e la dottrina sono orientate a non ammettere una riduzione dei danni risarcibili qualora l’autore dell’illecito abbia agito solo con colpa lieve; in questo caso il danneggiante è tenuto a risarcire le spese mediche sostenute dal danneggiato e il reddito perduto. Va rilevato che nel caso di danno alla persona, il danneggiante deve sempre risarcire il danno morale, anche se ha agito con colpa lieve, ovvero se si tratta di una fattispecie di responsabilità oggettiva. La dottrina motiva questa eccezione alla regola generale affermando che “è in gioco il più importante diritto della persona e che, in caso di danno alla persona, vi sono indizi oggettivi per la valutazione del danno immateriale sofferto” (KOZIOL, KARNER). In Belgio non vi è una definizione di danno non patrimoniale prevista dal diritto positivo, ma è tuttavia comunemente accettato che in caso di responsabilità per danno, il danneggiante sia tenuto alla restitution in integrum del danneggiato. Questo principio generale implica che la vittima debba essere compensata per intero del danno sofferto, sebbene non più di quanto abbia effettivamente subito e con riferimento alla situazione concreta. Va osservato, infine, che il diritto belga in tema di danno alla persona è di matrice soprattutto giurisprudenziale (COUSY, DROSHOUT). In Olanda, dopo l’approvazione del nuovo codice civile (Burgerlijk Wetboek) viene ancora limitato il risarcimento dei danni diversi da quelli patrimoniali ai casi previsti dalla legge (art. 6:5 B. W.), tuttavia, l’art. 6:106 B. W. afferma che il danneggiato ha il diritto di venire risarcito per i danni non patrimoniali quando l’evento dannoso consista nella violazione dell’onore e della reputazione o negli altri casi in cui la sua sfera personale sia stata violata, e non solo quando abbia subito la violazione della sua integrità psicofisica. Nonostante l’approccio olandese appaia molto conservatore, in dottrina vi è chi legge questa clausola aperta ad interpretazioni estensive in casi atipici (WISSINK, VAN BOOM, BONA). Nel diritto greco il risarcimento del morale alla persona è regolato dall’art.932 del codice civile. La norma prevede la responsabilità del danneggiante per ogni sua attività delittuosa che abbia cagionato una lesione alla salute o ai diritti della personalità del danneggiato. Il danno non patrimoniale, invece, è risarcito secondo non un principio generale, ma nei casi tipici legislativamente previsti (KERAMEUS). Più specificamente, da un lato il codice civile greco all’art. 932, afferma che in nel primo caso la vittima può agire per ottenere il pagamento delle spese sostenibili a causa del danno. Mentre nell’altro caso gli artt. 57-58 del codice civile greco prevedono che qualora chiunque leda i diritti della personalità, ovvero utilizzi il nome altrui in modo illegale, può agire per far cessare il comportamento dannoso, oltre al risarcimento del danno morale (KERAMEUS). Il sistema polacco di risarcimento del danno alla persona non si fonda su un principio generale, ma su diverse norme riguardanti fattispecie tipiche, contenute sia nel codice civile, sia in leggi speciali. La dottrina afferma che il sistema polacco di risarcimento del danno alla persona ha una funzione compensatoria, tuttavia il numero crescente di previsioni riguardanti nuovi contesti è la prova di uno sviluppo dinamico di quest’area del diritto (NESTEROWICZ, BAGIŃSKA). Il riconoscimento del danno non patrimoniale alla persona è lasciato discrezionalmente al giudice, il quale decide alla luce delle circostanze della fattispecie concreta. In particolare, il diniego del risarcimento può essere giustificato qualora il danno non sia concretamente apprezzabile e il danneggiante non abbia tenuto un comportamento negligente, quando il danneggiato abbia contribuito con il suo comportamento al verificarsi del danno, quando la lesione fisica sia stata causata da una condotta riprovevole del danneggiato (NESTEROWICZ, BAGIŃSKA). In Spagna la più recente evoluzione dottrinaria, sotto l’influenza delle scuole francese e italiana, ha favorito la creazione di una autonoma categoria di danno, il daño corporal, accanto alle tradizionali categorie di danno patrimoniale e non patrimoniale (MARTÌN CASALS, RIBOT, SOLÉ). Il daño corporal è inteso quale “ danno alla integrità fisica o psichica dell’essere umano, certo, reale ed indipendente dalle conseguenze patrimoniali o non patrimoniali da esso prodotte (DE ANGEL YAGÜEZ, VICENTE DOMINGO). La creazione di questa nuova categoria avrebbe lo scopo di stabilizzare, attraverso criteri oggettivi la liquidazione del danno alla persona, trattandosi, questo del problema maggiormente a causa “dell’imprevedibilità delle decisioni che possono variare notevolmente da un caso all’altro” (MARTÌN CASALS). La Svizzera, fedele alla sua composita realtà storica, sociale e politica, vede assorbire nella regolamentazione giuridica del danno alla persona le principali tendenze evolutive degli altri Paesi, soprattutto di Germania e Francia (TERCIER). A questo proposito si ricorda che il Codice delle Obbligazioni, riformato nel 1983, prevede che il principio di protezione dei diritti della personalità venga applicato anche i caso di del risarcimento del danno non patrimoniale (TERCIER). Il modello svedese di risarcimento del danno alla persona presenta delle peculiarità proprie che si discostano dagli altri ordinamenti (SIMONI). L’intervento pubblico nel campo del danno alla persona si concretizza nella copertura “dei costi di base della generalità degli incidenti da parte del sistema di protezione sociale predisposto dallo Stato (CALABRESI, SIMONI). La legge sull’assicurazione pubblica del 1962 ha trasformato la protezione sociale in un diritto dei cittadini prescrivendo l’assicurazione pubblica per tutti i residenti in Svezia “senza requisiti retributivi minimi per l’accesso e l’erogazione dei benefici (…) segue al semplice occorrere del rischi assicurato (…) senza la verifica dello stato di necessità” (SIMONI). In caso di danno alla persona il regime normativo prevede che lo stato si assuma diversi costi legati al danno, sulla base di leggi che non fanno riferimento alle conseguenze di un incidente “ma genericamente a quelle di qualunque malattia” (SIMONI). Lo Stato svedese si assume le spese di ospedalizzazione e le spese sanitarie, inoltre garantisce importi destinati ad indennizzare la diminuzione di reddito subita dal danneggiato a titolo di indennità malattia (SIMONI). Tuttavia, anche in Svezia lo stato sociale è oggi sottoposto a tagli di spesa e riforme che fino a poco tempo fa “sembravano inconcepibili” (SIMONI).Va infine sottolineato che in Svezia vi è un grande ricorso alle procedure alternative di risoluzione delle controversie (ADR) per la soluzione dei contenziosi in materia di responsabilità civile. Il fatto che il contenzioso si svolga al di fuori delle aule ordinarie di giustizia impedisce di utilizzare dati giurisprudenziali concreti in tema di risarcimento del danno alla persona (SIMONI).