L`OSSERVATORE ROMANO
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L`OSSERVATORE ROMANO
Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLVII n. 16 (47.450) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano sabato 21 gennaio 2017 . Al Campidoglio il giuramento di Trump che alla vigilia ha promesso un cambiamento reale Continuano in Abruzzo le operazioni di soccorso alla ricerca degli altri dispersi Il giorno dell’investitura Superstiti nell’hotel travolto dalla neve WASHINGTON, 20. Donald Trump diventa oggi il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America. Alla vigilia della cerimonia di insediamento a Washington, Trump ha promesso che «ci sarà un cambiamento reale», dicendosi «orgoglioso delle nomine fatte» e impegnandosi a unire il paese. Il protocollo della mattinata prevede che Barack Obama accolga alla Casa bianca il nuovo presidente e che poi, insieme alle rispettive consorti, si rechino con uno stesso corteo di auto al Campidoglio, dove si svolge la cerimonia di trasferimento dei poteri con il giuramento solenne di Trump e il suo primo discorso da presidente. Sono attese circa 900.000 persone. Ieri Donald Trump, in un breve discorso tenuto presso il Lincoln Memorial, ha dichiarato: «Il viaggio è iniziato e voglio fare l’America di nuovo grande, per tutti. E voglio unire il paese». Ha spiegato di essere «solo un messaggero» e di rappresentare «un movimento che non si era mai visto da nessuna parte nel mondo, qualcosa di molto, molto speciale». Ha poi ricordato ancora Preparativi al Campidoglio per la cerimonia di insediamento del nuovo presidente (Afp) una volta come in pochi credessero nella sua vittoria: «Si sono dimenticati — ha sottolineato — di molti di noi: quando ho cominciato la mia campagna per la presidenza ho chiamato queste persone gli uomini e le donne dimenticati ma da adesso, non siete più dimenticati». Intanto, i media riferiscono che solo due delle quindici nomine di governo fatte sono state finora approvate dal senato e che sono stati confermati almeno cinquanta alti funzionari dell’amministrazione uscente. I vescovi irlandesi in visita «ad limina» ROMA, 20. Sei persone sono state trovate vive tra le macerie dell’hotel Rigopiano, a Farindola, nel pescarese, travolto mercoledì da una slavina provocata presumibilmente dalle forti scosse di terremoto verificatesi poche ore prima. Due sono già state recuperate. Sarebbero la moglie e uno dei figli, il maschio, di Gianpiero Parete, l’uomo salvatosi per caso con un’altra persona e che aveva dato l’allarme. Sono stati già trasferiti in elicottero all’ospedale di Pescara e le loro condizioni sarebbero sostanzialmente buone considerate le 42 ore trascorse dalla sciagura. Il primo contatto con i superstiti, che si trovavano nella cucina della struttura, c’è stato dopo le 11 di questa mattina, e il salvataggio è stato condotto con due interventi diversi. Ora, dopo questo salvataggio, le speranze di trovare in vita altre persone sono aumentate. Due gli elicotteri con il personale medico arrivati sul posto, mentre i carabinieri della forestale hanno acquisito le carte sui piani di emergenza e soccorso dell’area Vestina, da Penne verso la montagna, predisposte e attuate dalla provincia. I magistrati abruzzesi, intanto hanno aperto un’inchiesta per omicidio colposo per verificare se ci sono state delle responsabilità nel ritardo dei soccorsi. Finora sono due i corpi senza vita recuperati. I soccorritori, che nelle prime ore di giovedì avevano salvato le prime due persone, hanno continuato a scavare tutta la notte in condizioni proibitive. Al momento della sciagura nella struttura c’erano circa trentacinque persone, ventidue clienti e sette dipendenti, più qualche altro ospite. Nella notte ha smesso di nevicare e le temperature sono risalite attorno allo zero. Anche per questo durante la mattinata le operazioni di soccorso sono proseguite più spedi- La lezione di Reuchlin Per varcare i confini confessionali Con l’udienza ai vescovi dell’Irlanda, ricevuti nella mattina di venerdì 20 gennaio, Papa Francesco ha ripreso le visite «ad limina Apostolorum» interrotte durante il giubileo straordinario della misericordia DAVIDE SCOTTO A PAGINA 5 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Horacio Manuel Cartes Jara, Presidente della Repubblica del Paraguay, e Seguito. y(7HA3J1*QSSKKM( +/!"!=!?!#! Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor James Kwame Bebaako-Mensah, Ambasciatore del Ghana, in visita di congedo. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza: le Loro Eccellenze i Monsignori: — Eamon Martin, Arcivescovo di Armagh (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — Francis Duffy, Vescovo di Ardagh (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — Donal McKeown, Vescovo di Derry (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — Noël Treanor, Vescovo di Down and Connor (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — John McAreavey, Vescovo di Dromore (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — Philip Leo O’Reilly, Vescovo di Kilmore (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — Michael Smith, Vescovo di Meath (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — Philip Boyce, Vescovo di Raphoe (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — Kieran O’Reilly, Arcivescovo di Cashel and Emly (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — William Crean, Vescovo di Cloyne (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — John Buckley, Vescovo di Cork and Ross (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — Raymond Browne, Vescovo di Kerry (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — Brendan Leahy, Vescovo di Limerick (Irlanda), con il Vescovo emerito, Sua Eccellenza Monsignor Donal Brendan Murray, in visita «ad limina Apostolorum»; — Alphonsus Cullinan, Vescovo di Waterford and Lismore (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — Diarmuid Martin, Arcivescovo di Dublin (Irlanda), con i Vescovi Ausiliari, le Loro Eccellenze i Monsignori Eamonn Oliver Walsh, Vescovo titolare di Elmhama, e Raymond W. Field, Vescovo titolare di Árd Mór, in visita «ad limina Apostolorum»; — Denis Brennan, Vescovo di Ferns (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — Denis Nulty, Vescovo di Kildare and Leighlin (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — Micheal Neary, Arcivescovo di Tuam (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — Brendan Kelly, Vescovo di Achonry (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — John Kirby, Vescovo di Clonfert (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — Kevin Peter Doran, Vescovo di Elphin (Irlanda), con il Vescovo emerito, Sua Eccellenza Monsignor Christopher Jones, in visita «ad limina Apostolorum»; — John Fleming, Vescovo di Killala (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — Fintan Monahan, Vescovo di Killaloe (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — Liam S. MacDaid, Vescovo emerito di Clogher (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; i Reverendi Monsignori: — Michael Ryan, Amministratore Diocesano di Ossory (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — Michael McLaughlin, Amministratore Diocesano di Galway and Kilmacduagh (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum»; — Joseph McGuinness, Amministratore Diocesano di Clogher (Irlanda), in visita «ad limina Apostolorum». Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato Vescovo della Diocesi di Kerema (Papua Nuova Guinea) il Reverendo Padre Pedro Baquero, S.D.B., Vicario Provinciale dei Salesiani di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone. tamente. C’è comunque il pericolo di nuovi crolli e di nuove slavine causate dall’appesantimento del manto nevoso. Intanto non si spengono del tutto le polemiche sul ritardo nei soccorsi. Nell’albergo in tanti, che erano bloccati sin dalla domenica, erano pronti a lasciare la struttura ma lo spazzaneve atteso non è arrivato. Inoltre, secondo le prime ricostruzioni, il primo allarme lanciato sembra essere stato sottovalutato, e ciò avrebbe causato un ritardo di due o tre ore nell’avvio dei soccorsi. Un altro salvataggio si è registrato anche a Valledacqua, una frazione di Acquasanta Terme sommersa dalla neve nella zona fortemente colpita dal terremoto del 24 agosto. Due donne e due bambini sono stati salvati dopo tre giorni trascorsi al freddo, senza luce e senza riscaldamento. Stamani una jeep cingolata dell’esercito è riuscita a raggiungere il gruppo e a portare tutti a valle. Si sono invece concluse le ricerche del sessantenne sepolto da una slavina a Ortolano, una frazione del comune di Campotosto (L’Aquila). Il corpo senza vita è stato trovato questa mattina. Il presidente del Gambia deve lasciare il potere Scaduto l’ultimatum BANJUL, 20. Precipita la situazione nel Gambia. É scaduto oggi l’ultimatum dei paesi della comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas) al presidente uscente del paese, Yahya Jammeh, che dopo ventidue anni non intende lasciare il potere — nonostante la sconfitta nel voto di dicembre — al capo dello stato eletto, Adama Barrow. I militari dell’Ecowas, che ieri sono entrati nel paese, sono pronti a intervenire con la forza per costringere alle dimissioni Jammeh. L’operazione per riportare la democrazia nel Gambia ha il sostegno politico dell’Onu e degli Stati Uniti. «Abbiamo fermato l’intervento militare per avanzare una nuova, ma ultimativa, proposta a Jammeh. Se allo scadere dell’ultimatum non sarà andato via, interverranno i nostri soldati», ha detto il presidente Ecowas, Marcel Alain de Souza. La mediazione sarà portata avanti dal presidente della Guinea, Alpha Condé, dopo un primo incontro tra Jammeh e il presidente della Mauritania, Mohamed Ould Abdel Aziz. L’Ecowas ha mobilitato 7000 soldati di Senegal, Nigeria, Gha- na, Togo e Mali. Ieri jet nigeriani hanno sorvolato per ore la capitale, Banjul, dopo il giuramento del presidente eletto Barrow nell’ambasciata gambiana a Dakar, in Senegal. Vincitore dalle presidenziali dello scorso 1° dicembre e riconosciuto come legittimo capo dello stato dalla comunità internazionale, Barrow si è rifugiato nel vicino Senegal nel timore di violenze. Banjul, dove si sono svolte manifestazioni a sostegno del nuovo capo dello stato, appare tranquilla, anche se i negozi e le scuole sono chiuse. Alle manifestazioni ha partecipato anche il capo delle forze armate, Ousman Badjie, considerato un sostenitore di Jammeh. Lo stesso Badjie nei giorni scorsi aveva comunque detto che non avrebbe dato ordine ai suoi uomini di opporsi a eventuali interventi militari stranieri. O ttavario per l’unità dei cristiani PAGINE 6 E 7 Udienza al presidente della Repubblica del Paraguay Nella mattina di venerdì 20 gennaio Papa Francesco ha ricevuto in udienza Horacio Manuel Cartes Jara, presidente della Repubblica del Paraguay, il quale si è successivamente incontrato con il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati. I colloqui, svoltisi in un clima di cordialità, hanno evidenziato le buone relazioni esistenti fra la Santa Sede e il Paraguay. Sono stati passati in rassegna temi di comune interesse, quali lo sviluppo integrale della persona umana, la lotta alla povertà e la pace sociale. In tale prospettiva, si è accennato pure alla collaborazione con la Chiesa cattolica e al contributo che essa offre nell’ambito sociale, formativo e nell’assistenza ai più bisognosi. Nel prosieguo della conversazione si è avuto uno scambio di vedute sulla situazione politica e sociale regionale, con speciale riferimento allo sviluppo delle istituzioni democratiche. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 sabato 21 gennaio 2017 Isidro Baldenegro, primo a sinistra, con anziani della comunità Tarahumara (Goldman Environmental Prize) Il boss El Chapo estradato dal Messico negli Stati Uniti Appello e proposte degli organismi umanitari Sui migranti serve una strategia BRUXELLES, 20. Le organizzazioni umanitarie internazionali presentano il loro piano per fare fronte alle migrazioni che interessano l’Europa, ed è forte l’appello alla politica perché collabori con strategie precise. L’alto commissariato dell’O nu per i rifugiati (Unhcr), l’O rganizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e altri 72 partner hanno lanciato una nuova strategia e un appello per rispondere alla situazione dei rifugiati e migranti nel corso del 2017. Il «piano regionale di risposta alla crisi di rifugiati e migranti» mira a «completare e rafforzare gli sforzi dei governi per garantire l’accesso sicuro all’asilo e la protezione di rifugiati e migranti». Il primo obiettivo è quello di «sostenere soluzioni a lungo termine e una gestione più strutturata e dignitosa» del fenomeno migratorio. Il piano richiede un finanziamento complessivo di circa 691 milioni di dollari. Si considera, infatti, che complessivamente la popolazione interessata potrebbe arrivare fino a 340.000 persone, secondo i trend degli arrivi precedenti e il numero di persone presenti nei paesi che riceveranno sostegno attraverso questo piano. Vincent Cochetel, direttore per l’Europa dell’Unhcr, ha spiegato che «negli ultimi due anni la risposta dell’Europa all’arrivo di oltre 1,3 milioni di rifugiati e migranti sul suo territorio ha dovuto fare i conti con diverse sfide, tra cui quella sulla protezione di rifugiati e migranti». Dunque, questo piano deve rappresentare «uno strumento operativo che giocherà un ruolo chiave nell’assicurare operazioni più efficienti e una risposta più coordinata nell’arco di tutto il 2017». Il documento, sottoscritto dalle organizzazioni internazionali, sottolinea la necessità di «soluzioni a lungo termine per rifugiati e migranti, fra cui uno schema efficace di ridistribuzione, il sostegno ai rimpatri volontari e il rafforzamento di canali legali alternativi ai viaggi pericolo- si, quali il reinsediamento e il ricongiungimento familiare. Leonard Doyle, portavoce dell’Oim, esprimendo preoccupazione in particolare per «la vulnerabilità e i bisogni dei minori, delle donne e delle ragazze», ha spiegato che nel piano sono stati pensati progetti-pilota per una risposta più efficace ai bisogni dei minori non accompagnati presenti in Europa (oltre 25.000 sono arrivati in Italia via mare solo nel 2016) e per assicurare sostegno alle vittime di violenza sessuale e di genere. Il piano contempla un’area geografica d’intervento molto ampia, che copre Turchia, Balcani occidentali, Europa meridionale, centrale, occidentale e settentrionale. Intanto, guardando proprio ai Balcani, giungono notizie di continui tentativi di passaggio. Nelle ultime ore, la polizia croata ha individuato una sessantina di migranti nascosti in un furgone lungo l’autostrada Belgrado-Zagabria e la polizia serba ha scoperto nove migranti afghani, di cui tre minorenni, su tre camion che cercavano di entrare illegalmente in Ungheria. Nello stato messicano di Chihuahua Ucciso leader ambientalista CITTÀ DEL MESSICO, 20. Isidro Baldenegro, dirigente indigeno messicano noto nel mondo per le sue battaglie ambientaliste, è stato assassinato ieri da un gruppo di uomini armati nella sua comunità nelle montagne della Sierra Madre settentrionale, nello stato di Chihuahua. Si tratta del secondo attivista vincitore del premio Goldman — considerato il “Nobel verde”, cioè il maggior riconoscimento internazionale per la difesa dell’ambiente — ucciso L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va in America latina negli ultimi dodici mesi, dopo l’honduregna Berta Cáceres nel marzo dell’anno scorso. Baldenegro ha promosso numerose battaglie contro la deforestazione selvaggia e per la protezione della Sierra Tarahumara. Nel 2003 era perfino finito in carcere, accusato di possesso di sostanze stupefacenti e di armi da guerra, ma la giustizia aveva dovuto liberarlo dopo una vasta campagna internazionale a suo favore. Dal 2005 era costantemente minacciato di morte. «L’uccisione di Isidro ci indigna e ci preoccupa. Non disponiamo dell’informazione sufficiente per stabilire chi è il colpevole di questo omicidio. Dal 2007 a questa parte non esiste più una distinzione chiara fra caporali locali, tagliaboschi e narcotrafficanti», hanno dichiarato al quotidiano «Norte Digital» militanti ambientalisti locali. Per ridurre le emissioni nocive Per stemperare le crescenti tensioni A Bruxelles conferenza sul clima L’Ue convoca Serbia e Kosovo BRUXELLES, 20. L’emergenza clima in Europa è sempre più alta. In una conferenza in programma oggi a Bruxelles, la direzione generale clima della commissione europea lancerà una consultazione con le parti interessate e finanziatori per raccogliere idee e contributi sul fondo innovazione per l’Ets. Il fondo, parte della proposta legislativa di riforma del sistema dell’Ue per lo scambio delle quote di carbonio (Ets), ha lo scopo di aiutare l’industria e il settore dell’energia a promuovere innovazione e investimenti per ridurre le emissioni, attraverso la realizzazione di progetti dimostrativi sulle più moderne tecnologie per le energie rinnovabili e la cattura e stoccaggio del carbonio. Alla conferenza odierna, di alto livello, faranno seguito una serie di tavole rotonde di esperti, nei mesi successivi. Un recente studio dell’agenzia europea per l’ambiente conferma che nell’Ue il raggiungimento degli obiettivi 2020 in materia di energia e clima è vicino, anche se permangono alcune criticità significative. Prima tra tutte quella rappresentata dal settore dei trasporti, dove l’uso delle energie rinnovabili è scarso e le emissioni di gas a effetto serra derivate dalla mobilità sono di nuovo in aumento. Londra punta al commercio globale LONDRA, 20. Il premier britannico Theresa May, intervenendo al forum economico di Davos che si conclude oggi, si è detta certa che «la Gran Bretagna ha l’opportunità unica di assumere la leadership mondiale del libero commercio e del libero mercato». E il suo ministro del commercio internazionale, Liam Fox, non a caso ha annunciato contatti preliminari con 12 paesi, fra cui Cina, India e Australia, Corea del Sud e importanti partner mediorientali. Oltre naturalmente agli Stati Uniti di Donald Trump. Dal canto suo, il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha affermato che l’idea di rendere il Regno Unito una sorta di paradiso fiscale, una volta messa a punto la Brexit, «è improduttiva e dannosa». È quanto ha dichiarato commentando le parole del cancelliere dello scacchiere britannico, Philip Hammond, che ha parlato di un piano B con nuove politiche fiscali, in caso di un cattivo accordo di uscita dall’Unione europea. Intanto, in questi giorni, prima dell’avvio formale del processo Brexit, le più importanti banche d’investimento stanno spostando personale da Londra: Hsbc si prepara a inviare mille dipendenti a Francoforte e Ubs ne ha dirottati altrettanti a Parigi. WASHINGTON, 20. Joaquín “El Chapo” Guzmán, fondatore del cartello di Sinaloa e uno dei narcotrafficanti più temuti e potenti del Messico, è stato estradato negli Stati Uniti, dove rischia di essere condannato alla pena di morte. El Chapo è stato portato dal carcere di massima sicurezza di Ciudad Juárez all’aeroporto della città dello stato messicano di Chihuahua, alla frontiera con gli Stati Uniti, e consegnato agli agenti dell’Fbi, che poi lo hanno accompagnato durante il volo verso New York. Secondo i media, dovrebbe apparire in giornata davanti a un giudice della corte federale di Brooklyn. Guzmán è stato per anni l’indiscusso leader del traffico di sostanze stupefacenti verso gli Stati Uniti e nel 2009 è stato inserito nella lista degli uomini più ricchi del mondo della rivista «Forbes», con un patrimonio stimato in un miliardo di dollari. Più volte arrestato, El Chapo era riuscito a scappare ben due volte dalle prigioni del Messico. Emissioni nocive da un impianto belga (Afp) BRUXELLES, 20. Non si attenua la tensione tra Serbia e Kosovo innescata dalla decisione serba di ripristinare, a diciotto anni dal conflitto, il primo collegamento su rotaia tra Belgrado e Mitrovica, città settentrionale kosovara a maggioranza serba. Il treno, decorato con scritte nazionalistiche e patriottiche serbe, è stato bloccato e fatto tornare indietro dalle autorità kosovare (il presidente, Hashim Thaçi, ha parlato di una «provocazione»), causando una delle più gravi crisi diplomatiche tra i due paesi balcanici degli ultimi anni. Nel tentativo di stemperare il contenzioso, l’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea, Federica Mogherini, ha convocato una riunione con Belgrado e Pristina, nell’ambito del dialogo facilitato dall’Ue, per il 24 gennaio prossimo. Lo ha confermato una nota del servizio europeo di azione esterna. «Le tensioni degli ultimi giorni mostrano la necessità di maggiore impegno da parte della Serbia e del Kosovo», ha scritto Mogherini su Twitter. Sull’ulteriore deterioramento dei rapporti diplomatici tra Belgrado e Pristina era intervenuto anche il ministro degli esteri russo, Serghiei Lavrov. Le autorità di Belgrado hanno frattanto deciso di impiegare su al- tre tratte ferroviarie della Serbia il cosiddetto, dagli analisti, “treno della discordia” (un convoglio moderno di produzione russa). Come riferiscono i media, a partire da oggi — e per dieci giorni — il convoglio sarà operativo per il servizio passeggeri sulla linea Kraljevo-Čačak-Požega-Užice, a sud di Belgrado nella parte centroccidentale della Serbia. Annuncio di Mario Draghi che rivendica i meriti della politica economica adottata La Bce lascia invariati i tassi d’interesse FRANCOFORTE, 20. La Banca centrale europea (Bce) ha confermato tutti i tassi di interesse in vigore e ha reso noto che «se le prospettive diverranno meno favorevoli o se le condizioni finanziarie risulteranno incoerenti con ulteriori progressi verso un aggiustamento durevole del profilo dell’inflazione, il consiglio direttivo è pronto a incrementare il programma in termini di entità e/o durata». Quindi si va avanti come da programma con gli acquisti di titoli di stato da 80 miliardi al mese fino a GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio marzo e poi da 60 miliardi fino a dicembre e, se i prezzi non mostreranno un andamento convincente, la quota potrebbe risalire. Le dichiarazioni giungono dopo la riunione del consiglio direttivo della Bce che si è tenuta ieri ed è stata incentrata sull’andamento dell’inflazione. L’indicazione è piaciuta ai mercati. In particolare i titoli bancari ne hanno beneficiato. Di fronte alle richieste della Germania di modificare la politica del quantitative easing, il presidente della Bce, Mario Draghi, Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va ha ribadito l’invito a «essere pazienti», sottolineando che «se la ripresa crescerà, saliranno i tassi». Quelli bassi, ha spiegato, «sono necessari oggi per avere tassi più alti in futuro. E poi va ricordato che di questi tassi anche i risparmiatori tedeschi hanno beneficiato, come prestatori e come imprenditori». Secondo Draghi l’inflazione dovrebbe «risalire ancora nel breve termine», ma per ora «non ci sono segnali di un rialzo convincente». Con l’occasione il presidente della Bce ha Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale chiarito i criteri in base ai quali viene giudicato credibile un rialzo dell’inflazione: deve avere un obiettivo superiore al medio termine, deve essere duraturo, non deve essere legato a interventi straordinari e deve essere uniforme nell’area dell’euro. In ogni caso Draghi si è mostrato ottimista per quanto concerne l’andamento dell’Eurozona: dopo il +0,3 per cento registrato nel terzo trimestre «gli ultimi dati indicano una crescita più forte nel quarto trimestre», ha sottolineato. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Insediato il nuovo presidente bulgaro SOFIA, 20. Il nuovo capo dello stato bulgaro, Rumen Radev, che ha vinto le elezioni presidenziali nel novembre scorso appoggiato dal partito socialista, si è insediato ieri dopo avere prestato giuramento in parlamento. Nel suo discorso davanti ai deputati, Radev ha dichiarato che l’appartenenza della Bulgaria all’Unione europea e alla Nato è una «scelta strategica che non può essere messa in discussione», ma che, allo stesso tempo, «la politica estera del paese dovrebbe essere formulata autonomamente». Sul versante interno, Radev ha detto che «l’indebolimento della democrazia è un problema reale». A suo dire, «la lotta alla povertà, alla corruzione e alle disparità economiche, il miglioramento del sistema dell’istruzione e della sanità, oltre alla riforma giudiziaria sono questioni di massima priorità». Un altro tema importante, secondo Radev, è la sicurezza ai confini della Bulgaria, in quanto l’accordo di Dublino sull’asilo europeo «rende gli stati periferici dell’Ue delle zone cuscinetto» rispetto alla pressione migratoria. Il mandato di Radev inizierà ufficialmente il 22 gennaio. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO sabato 21 gennaio 2017 pagina 3 Siriani tra le rovine della città di Aleppo (Ap) Decine di miliziani dell’Is uccisi a quaranta chilometri da Sirte Raid statunitensi in Libia Mentre non si fermano i combattimenti con i jihadisti Sostegno dell’O nu ai negoziati sulla Siria NEW YORK, 20. Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, è fiducioso che i colloqui di Astana sulla Siria possano segnare «un passo positivo». Lo ha detto il portavoce del Palazzo di Vetro, Stéphane D ujarric. Guterres ha preso atto dell’invito rivolto all’inviato speciale delle Nazioni Unite, Staffan de Mistura, da parte di Russia, Iran e Turchia, e, «vista la complessità della situazione e l’importanza delle questioni che verranno sollevate, ha chiesto a de Mistura di guidare la squadra delle Nazioni Unite». I negoziati di Astana sul conflitto siriano «si prevede che durino diversi giorni», secondo quanto ha dichiarato la portavoce del ministero degli esteri russo, Maria Zakharova. E il presidente russo, Vladimir Putin, ha discusso ieri della preparazione dei negoziati intrasiriani ad Astana e del conflitto ucraino con i membri permanenti del consiglio di sicurezza russo: lo fa sapere il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov. Su fronte militare, più di 30 jihadisti del cosiddetto stato islamico (Is) sarebbero stati uccisi in operazioni delle truppe siriane e dei miliziani alleati nella provincia di Homs, nella Siria centrale. E decine di miliziani qaedisti e di altre fazioni delle opposizioni armate siriane sono stati uccisi nelle ultime ore nel nord-ovest del paese in raid aerei della coalizione anti-Is a guida statunitense. Inoltre, la televisione Al Jazeera cita oggi un comunicato del Pentagono nel quale gli Stati Uniti rivendicano l’uccisione martedì di un leader qaedista di spicco nella regione di Idlib, poco lontana da Daret Izza. I jihadisti avrebbero danneggiato altri due antichi monumenti a Palmira, un colonnato e il teatro romano. Lo ha reso noto il responsabile delle antichità archeologiche della città siriana. Intanto, in Turchia circa 500.000 bambini siriani rifugiati sono iscritti a scuola, ma nonostante da giugno ci sia stato un aumento di oltre il 50 per cento del numero di iscrizioni, più del 40 per cento dei bambini in età scolare — circa 380.000 minorenni siriani rifugiati — è fuori dalle aule. Lo denuncia il vice direttore generale dell’Unicef, Justin Forsyth. «La Turchia — ha continuato Forsyth — dovrebbe essere elogiata per questo importante traguardo. Ma se non saranno garantite ulteriori risorse si verificherà il rischio reale di avere una “generazione perduta” di bambini siriani, privati degli strumenti con i quali un giorno potrebbero ricostruire il proprio paese». Sono oltre 1,2 milioni i bambini rifugiati che vivono in Turchia, divenuta il paese con il più alto numero di bambini rifugiati al mondo. TRIPOLI, 20. Una tempesta di fuoco si è abbattuta su due campi del cosiddetto stato islamico (Is) in Libia, a poco più di quaranta chilometri a sud-ovest di Sirte. A colpire i bombardieri B-2 statunitensi, affiancati da alcuni droni. L’operazione si è svolta meno di un mese dopo l’annuncio del Pentagono sulla fine della campagna aerea nel paese nordafricano. Il presidente uscente, Barack Obama, ha dato invece il via libera al suo ultimo raid. Il segretario alla difesa statunitense, Ashton Carter, ha reso noto che nelle operazioni sono stati uccisi più di 80 combattenti dell’Is. L’attacco è avvenuto nella notte tra mercoledì e giovedì. Il portavoce del Pentagono, Peter Cook, ha spiegato che si stanno ancora valutando i risultati. Ma le prime indicazioni parlano di un successo, con l’uccisione di decine di jihadisti, tutti fuggiti da Sirte lo scorso autunno, quando l’ex roccaforte libica del cosiddetto stato islamico subì l’offensiva finale. L’attacco venne condotto dalle forze libiche fedeli a Tripoli appoggiate dagli Stati Uniti anche con la campagna aerea denominata Operation Odissey Light- ning, che a oggi conta oltre 500 raid aerei. Tra le vittime dell’ultimo attacco ai due campi a sud-ovest di Sirte — assicurano le autorità statunitensi — non ci dovrebbero essere civili. L’azione si è svolta infatti in una zona remota e desertica del paese, dove si trovano altri due campi usati dai jihadisti ma oramai vuoti. A Il consiglio presidenziale del governo di concordia nazionale guidato da Fayez Al Sarraj in un comunicato ha reso noto che «questi raid sono una misura preventiva per bloccare i tentativi dell’organizzazione terroristica» dell’Is «di riunire i suoi esponenti con l’obiettivo di sferrare un nuovo attacco contro la città e altre zone della Libia». Bombardiere statunitense impegnato nell’operazione in Libia (Afp) Richiesta delle Nazioni Unite dopo il bombardamento di un campo profughi Il parlamento di Strasburgo sollecita un’inchiesta Indagine sulla tragedia in Nigeria L’Ue condanna le violenze nel Burundi ABUJA, 20. L’alto commissario Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, ha chiesto alla Nigeria di «fare piena luce» sulla tragedia avvenuta nel campo profughi nel nord-est del paese martedì scorso. Le autorità nigeriane hanno parlato di «un errore» compiuto da un caccia dell’aeronautica di stato, ma «devono emergere le carenze che hanno provocato l’attacco», che è costato la vita ad almeno 70 persone e ne ha ferite oltre 200. L’aereo di combattimento, secondo fonti governative, era in missione nello stato di Borno, al confine con il Camerun, contro i fondamentalisti dell’organizzazione terrorista Boko Haram. Secondo i testimoni, è sfrecciato in un attimo sopra il campo profughi di Rann nel nord-est della Nigeria, e l’esplosione delle bombe è stata talmente forte da coprirne il rombo. Tra le vittime, si contano alcuni degli sfollati, scampati proprio ai massacri di Boko Haram, e alcuni dottori e operatori umanitari delle organizzazioni che operano nel campo, a partire dalla Croce rossa. Il generale Lucky Irabor, comandante dell’offensiva in atto da qualche mese contro i terroristi di Boko Haram nel nord-est del paese, ha confermato il bombardamento «per sbaglio» nella regione. Il generale ha spiegato di aver ordinato la missione basandosi su informazioni relative a un raggruppamento di Boko Haram proprio nella zona indicata da quelle coordinate. Il comandante delle forze nigeriane ha aggiunto che è presto per sapere se si è trattato di un errore tattico o geografico. L’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) ha chiesto che la Nigeria presenti i risultati di un’inchiesta a tutto tondo sull’accaduto. È la prima volta che i militari ammettono di aver colpito un obiettivo civile. Il presidente nigeriano, Muhammadu Buhari, ha espresso il proprio sgomento per la perdita di vite umane e ha invitato alla calma la popolazione e le autorità. strategia dell’Akp. «Si tratta — ha dichiarato — di un argomento complesso, non alla portata di tutti, ma non appena i lavori del parlamento saranno terminati inizieremo una campagna di informazione, per far capire al paese che la democrazia ne uscirà rafforzata». Con queste parole il premier ha risposto a una domanda di un giornalista fuori dal parlamento di Ankara, dopo che un recente sondaggio ha rivelato che il sì al passaggio della riforma sul presidenzialismo, allo stato attuale, riceverebbe solo il 43 per cento dei consensi. «Andremo nelle piazze, parleremo con la gente e spiegheremo cosa è meglio per il paese», ha precisato Yıldırım. Gli altri sette articoli saranno approvati dai parlamentari tra oggi e domani. Seguiranno, quindi, la votazione sull’intero testo e il successivo referendum, previsto per aprile. BUJUMBURA, 20. Il parlamento dell’Unione europea ha espresso ieri la sua condanna alle ripetute violenze e violazioni dei diritti umani registrate in Burundi dal 2015. Strasburgo ha manifestato anche la sua «profonda inquietudine» per l’aggravarsi della situazione politico-istituzionale e di sicurezza nel paese africano, che ha portato — si Morti trenta vigili del fuoco intervenuti per domare un incendio Crolla un grattacielo a Teheran TEHERAN, 20. Trenta vigili del fuoco sono rimasti uccisi nel crollo di un edificio in fiamme a Teheran. Lo hanno reso noto le autorità della capitale iraniana. Le fiamme si sono sprigionate, per cause ancora da chiarire, nelle prime ore del mattino di ieri nel grattacielo Plasco, una nota struttura di diciassette piani nel centro della ca- pitale iraniana, poco a nord del bazar della città, che ospitava importanti aziende in particolare legate alla sartoria. I vigili del fuoco erano al lavoro da ore per domare le fiamme che hanno corroso la struttura provocandone il crollo, mostrato in diretta dalla televisione di stato che stava in quel momento in- La Turchia accelera sul referendum costituzionale ANKARA, 20. Anche in seconda lettura, il parlamento di Ankara ha approvato altri quattro emendamenti di riforma costituzionale che porteranno la Turchia a essere una repubblica presidenziale. Una riforma espressamente voluta e ispirata dal presidente, Recep Tayyip Erdoğan. Nonostante i repubblicani del Chp, principale partito di opposizione, continuino a denunciare violazioni della procedura di voto a scrutinio segreto da parte del partito di maggioranza Akp, al governo, i lavori parlamentari procedono spediti. Con il parlamento turco impegnato nel dibattito per l’approvazione del pacchetto di 18 emendamenti costituzionali, la cui entrata in vigore è legata non tanto all’esito, scontato, della seconda lettura, quanto al responso del referendum popolare, il primo ministro turco, Binali Yıldırım, ha annunciato la seconda fase della supporto dell’operazione anche una nave da guerra statunitense equipaggiata con i missili Tomahawk, ma non si sarebbe reso necessario il suo intervento. «Gli Stati Uniti sono pronti a dare ulteriore sostegno alle autorità libiche impegnate nello sforzo per contrastare la minaccia terroristica», ha dichiarato il Pentagono. tervistando un giornalista sul posto. «Avevamo a più riprese messo in guardia i responsabili dell’immobile» sulla sua fragilità, ha dichiarato il portavoce dei vigili del fuoco, Jalal Maleki. «Gli amministratori di condominio hanno sempre ignorato gli avvertimenti», ha aggiunto. Le autorità di Teheran hanno ordinato un’indagine immediata e il risarcimento alle persone colpite dalla tragedia. L’operazione di salvataggio potrebbe durare più di due giorni. Sul posto sono state mandate truppe per aiutare i soccorritori. Per motivi precauzionali dopo la sciagura la polizia ha circondato le sedi delle ambasciate britannica e turca a Teheran che si trovano nella vicinanza del palazzo crollato. L’edificio Plasco, primo grattacielo privato iraniano, era stato costruito più di 50 anni fa. legge in una nota — ad abusi, atti di tortura, deportazioni di massa, arresti arbitrari e collettivi e a violenze generalizzate sulle donne con, in particolare, numerosi casi di stupro collettivo. Gli eurodeputati hanno, quindi, invitato le autorità burundesi a realizzare inchieste approfondite e a condurre i responsabili delle violenze e delle violazioni dei diritti umani di fronte alla giustizia. Strasburgo chiede, inoltre, al governo di Bujumbura di ritirare due progetti di legge depositati a fine dicembre e che puntano a imporre dei controlli stretti sulle attività delle organizzazioni non governative che operano nel paese. La crisi politica è stata innescata dalla rielezione per un terzo mandato consecutivo del presidente, Pierre Nkurunziza. L’opposizione, che ha boicottato le elezioni, ha accusato il capo dello stato di avere violato la costituzione, che prevede un massimo di due mandati. Nel 2016, il parlamento, su invito dello stesso Nkurunziza, ha votato l’uscita del paese dalla Corte penale internazionale (Cpi), dopo che l’organo giudiziario aveva aperto un esame preliminare sulle continue violenze. La situazione è peggiorata successivamente, quando il presidente ha accusato gli oppositori di avere orchestrato un colpo di stato ai suoi danni. Soltanto nell’ultimo anno, 500 persone sono state uccise e altre 300.000 sono state costrette ad abbandonare il paese africano (che conta 11 milioni di abitanti). Proprio il numero relativo ai profughi è tra le preoccupazioni principali di Strasburgo e Bruxelles, impegnati negli ultimi mesi a limitare i flussi migratori provenienti dall’Africa e diretti in Europa. Tribunale di Seoul non conferma l’arresto del leader di Samsung Vigili del fuoco sul luogo della sciagura (Ap) SEOUL, 20. Respinta dalla Corte centrale distrettuale di Seoul la richiesta d’arresto per il vice presidente del gruppo Samsung, Lee Jae-yong. Secondo i giudici sudcoreani le accuse di corruzione, appropriazione indebita e falsa testimonianza non sono sostenute da motivazioni sufficienti. Indagando sullo scandalo che ha travolto la presidente della Repubblica Park Geun-hye e la confidente Choi Soon-sil, secondo le accuse è emerso che Lee avrebbe autoriz- zato un pagamento da 18 milioni di dollari a favore di una società di Choi in cambio di favori per sostenere la fusione aziendale di due gruppi sussidiari della Samsung. «È difficile trovare la ragione, la necessità e l’opportunità per l’arresto in questa fase», ha motivato il tribunale rigettando la richiesta della procura, osservando che sono da chiarire fattori chiave quali se il denaro fosse veramente per «favori reciproci». Lee Jae-yong ha sempre negato ogni accusa. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 sabato 21 gennaio 2017 Statua di Newman davanti al Brompton Oratory (Londra) Nella memoria cristiana tardoantica L’eredità di Agnese di FABRIZIO BISCONTI Coscienza e verità in John Henry Newman Una voce che parla come Dio indipendenza, l’assoluta autonomia, la pura soggettività. Il santuario della coscienza è stato “desacralizzato”. La responsabilità nei confronti del Creatore è stata bandita dalla coscienza. Le conseguenze di questa visione deformata della coscienza ci stanno davanti agli occhi: emancipandosi dalla responsabilità nei confronti del Creatore, infatti, l’uomo tende a segregarsi anche dal prossimo. Vive nel piccolo mondo del proprio io, spesso senza prendersi cura dell’altro, senza interessarsi dell’altro, senza sentirsi corresponsabile per l’altro. Il puro individualismo e la ricerca illimitata del piacere e del potere oscurano il mondo e rendono sempre più difficile la convivenza pacifica tra gli uomini. Pur vedendo in modo realistico tutte queste sfide, non dobbiamo tuttavia cedere alla tentazione del pessimismo. Le intuizioni di John Henry Newman, infatti, possono aiutarci a trovare delle risposte A John Henry Newman ed Edith Stein è dedicato il convegno adeguate. «Maestri perché testimoni» che si svolge dal 19 al 20 gennaio al In Newman, il soggetto trocampus dell’Istituto universitario salesiano di Venezia-Mestre. va un’attenzione che nella teoNewman e Stein, nati in contesti religiosi diversi (la Chiesa logia cattolica non aveva più d’Inghilterra di inizio Ottocento e il mondo ebraico mitteleuropeo conosciuto forse dal tempo di del Novecento) hanno impegnato la loro vita in una suprema sintesi Agostino. Per il teologo ingledi rigorosa ricerca filosofica, fede e sequela evangelica. «Purtroppo — se, tuttavia, non c’è opposiziochiosa Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz nel suo intervento — non ne tra la centralità del concetto esistono, a prescindere dalle traduzioni, pensieri esplicitamente di coscienza e la centralità del elaborati da Edith Stein su Newman, ma la scelta fatta nelle Briefe concetto di verità. Coscienza und Tagebücher vor der Konversion è eloquente. Nell’immediato non significa per lui autodetercontesto della conversione di Newman, Stein traduce ad esempio il minazione del soggetto contro doloroso addio a sua sorella Jemima, il 15 marzo 1845: “Rattristo le esigenze della verità, ma la tutti quelli che amo, rendo inquieti tutti quelli che ho istruito o presenza percepibile e imperatisostenuto. Vado da uomini che non conosco e dai quali mi aspetto va della voce della verità nel molto poco. Faccio di me stesso un reietto, e ciò alla mia età. Che soggetto stesso. Il suo cammicosa può spingermi a questo, se non una severa necessità?”. Theo no personale ne costituisce una Gunckel, l’oratoriano di Leipzig, riassumeva questo tono testimonianza eloquente. Paolo malinconico della traduzione delle lettere da parte di Stein in modo VI, pieno di ammirazione e di commovente: “Abbandona il tuo popolo e la casa di tuo padre e va’ stupore, disse di Newman nel in terra straniera”. Ciò permette di intuire un’immagine speculare Discorso ai pellegrini convenuti della giovane convertita all’ombra del grande predecessore». Nel per la beatificazione di Domenico necrologio in memoria di Joseph Schwind, suo direttore spirituale, della Madre di Dio, del 27 ottoviene citata di nuovo una frase del cardinale Newman: «È bre 1963: «Guidato solo relativamente facile sviluppare in sé un lato della vita cristiana, dall’amore alla verità e dalla feseverità o clemenza, serietà o allegria, ma la vera perfezione cristiana deltà a Cristo, ha tracciato un si mostra solo nell’unione di virtù contrapposte». Pubblichiamo cammino, il più impegnativo, l’intervento di Hermann Geissler. ma anche il più grande, il più significativo, il più risolutivo che il pensiero umano ha mai intrapreso durante il secolo scorso, anzi si potrebbe dire della verità», lasciando la persona sola in durante il tempo moderno, per arrivare alla mezzo a «un deserto senza strade». Quasi 150 pienezza della sapienza e della pace». Questo anni fa, John Henry Newman aveva già de- cammino è stato un cammino di coscienza, nunciato questa interpretazione soggettivistica come vorrei mostrare in due momenti cruciali e immanentistica della coscienza, scrivendo della sua vita: nella sua prima conversione e nella sua famosa Lettera al Duca di Norfolk nel suo passaggio alla Chiesa cattolica. Il gio(1874): «Quando gli uomini si appellano ai vane John Henry crebbe in un ambiente andiritti della coscienza, non intendono assolu- glicano normale. Pur leggendo la Bibbia e tamente i diritti del Creatore, né il dovere coltivando una certa forma di religiosità, non che, tanto nel pensiero come nell’azione, la ebbe una solida fede personale in Dio. Scrisse creatura ha verso di Lui. Essi intendono il di- nel suo Diario: «Mi ricordo del 1815; pensavo ritto di pensare, parlare, scrivere e agire se- allora d’aver più desiderio di virtù che di piecondo il proprio giudizio e il proprio umore tà; c’era in questa qualcosa che non mi andasenza darsi alcun pensiero di Dio... La co- va. E il fatto d’amare Dio non aveva per me scienza ha diritti perché ha doveri; ma al alcun senso». Il giovane, quindi, si trovò nelgiorno d’oggi, per una buona parte della gen- la tentazione di mirare ad alti ideali etici, ma te, il diritto e la libertà di coscienza consisto- di rigettare la fede in Dio. Nel 1816, in mezzo no proprio nello sbarazzarsi della coscienza, a questa lotta interiore, nel suo cuore avvenne nell’ignorare il Legislatore e Giudice, nell’es- un grande cambiamento. sere indipendente da obblighi che non si veNewman aveva trovato la realtà di Dio nel dono. Consiste nella libertà di abbracciare o suo intimo, nella sua coscienza. Di consemeno una religione... La coscienza è una se- guenza, cercò di seguire la via della perfeziovera consigliera, ma in questo secolo è stata ne. Scelse in quel tempo come motto per la rimpiazzata da una contraffazione, di cui i di- sua vita le due frasi «La santità piuttosto che ciotto secoli passati non avevano mai sentito la pace» e «La crescita è la sola espressione di parlare o dalla quale, se ne avessero sentito, vita». Questa ricerca di perfezione, tuttavia, non si sarebbero mai lasciati ingannare: è il non fu un ripiegamento su se stesso, ma — al diritto ad agire a proprio piacimento». contrario — fu un’apertura verso il Dio persoQueste parole rivestono tuttora un’attualità nale che aveva parlato alla sua coscienza e gli sorprendente: oggi la coscienza è spesso con- aveva rivelato la sua trascendenza e vicinanza. fusa con l’opinione personale, il sentimento Newman, quindi, cercò di lasciarsi guidare da soggettivo, il proprio piacimento. Per molti quella voce interiore nella quale percepiva non significa più la responsabilità della crea- l’eco della voce dell’Invisibile, che è più reale tura nei confronti del Creatore, ma la totale del visibile. di HERMANN GEISSLER a riduzione dell’uomo alla sua soggettività non lo rende libero, ma schiavo dell’opinione pubblica. Chi parifica la coscienza con la convinzione superficiale la identifica con una sicurezza solo apparentemente razionale, tessuta in realtà di presunzione, conformismo e pigrizia; la degrada non raramente a meccanismo di assoluzione e ignora che essa rappresenta la trasparenza del soggetto al Divino. La riduzione della coscienza a certezza soggettiva è allo stesso tempo «sottrazione L Maestri perché testimoni facile indovinare la fortuna che il culto della martire Agnese ebbe a partire dagli anni centrali dell’età tardoantica, quando la devozione dei membri dell’entourage imperiale e dei pontefici del IV, del V e del VII secolo, come riferito puntualmente da rapidi quanto significativi passaggi del Liber pontificalis, portò alla creazione di un articolato e imponente complesso architettonico, specificatamente concepito come un agglomerato di monumentali edifici, destinati a custodire le spoglie della santa, a esaltarne il luogo della sepoltura e a dar vita a spazi funerari eccezionali, primi fra tutti l’ambizioso mausoleo di Costantina e l’annessa basilica circiforme. Ma procedendo con ordine, dobbiamo rilevare che sono meno facili da individuare le coordinate storiche e cronologiche riferibili al martirio della piccola Agnese, che la Depositio martyrum non manca di ricordare al 21 gennaio sulla via Nomentana. Infatti, lo stesso Damaso, l’instancabile papa archeologo, in un carme iscritto ora conservato lungo lo scalone d’accesso al nartece della basilica onoriana, apre il suo racconto dedicato alla santa, dichiarando al lettore le sue incertezze e specificando che le vicende gli sono note solo per via indiretta o — meglio ancora — per una storia raccontata, secondo la tradizione, dagli stessi genitori della fanciulla. La versione damasiana del martirio narra che, in concomitanza con delle imprecisate persecuzioni, Agnese, ancora legata al seno della nutrice, si sia offerta spontaneamente alla rabbia del tiranno, subendo la condanna tra le fiamme; condotta nuda al supplizio — continua Damaso — i capelli le crebbero prodigiosamente coprendo le nudità, per far sì che nessuno dei presenti potesse violare con lo sguardo quel tempio illibato del Signore. Tuttavia, nel medesimo frangente cronologico, al racconto damasiano, si affianca quello del vescovo di Milano Ambrogio, che, nel suo De virginibus, tramanda una storia divergente da quella nota a Roma, tanto che il martirio del vivicomburium viene sostituito con la decapitazione, mentre al prodigio dei capelli che scendono per coprire il corpo nudo della condannata, subentra quello di un panno che le si avvolge miracolosamente attorno. Per il resto, le due versioni coincidono nel ritrarre Agnese come una giovane fanciulla, casta, pura e coraggiosa, al punto di cercare autonomamente il martirio e disposta alla morte pur di conservare intatta la sua verginità. Questi tratti peculiari confluiscono in un inno che Prudenzio compone, ormai agli inizi del V secolo, in onore della giovane, che anche agli occhi del poeta spagnolo conserva tutte le sue eccezionali qualità morali, mentre il martirio viene raccontato unendo la tradizione damasiana delle fiamme con quella ambrosiana della decollatio, a cui si aggiunge, però, l’episodio dell’esposizione della giovane in un lupanare, dal quale esce totalmente illibata, il tutto secondo un espediente narrativo volto a enfatizzare maggiormente la divi- È na castità e purezza della martire fanciulla. Ebbene, proprio l’incertezza dei dati desumibili dai racconti che circolavano tra la fine del IV secolo e gli inizi del V riguardo al martirio di sant’Agnese ha costretto gli studiosi a riesaminare il complesso catacombale con sguardo più attento, cercando di far coincidere il dato monumentale con le testimonianze storiche disponibili. Per primo, Amato Pietro Frutaz propose che le persecuzioni menzionate nell’iscrizione di Damaso fossero quelle volute da Diocleziano tra il 303 e il 304. Tale ipotesi, tuttavia, come ha ben puntualizzato Umberto Maria Fasola, non trova conferma dai rinvenimenti archeologici. La tomba di Agnese, infatti, si colloca in una regione delle catacombe caratterizzata da una serie di peculiarità che si riscontrano unicamente nelle aree cimiteriali più antiche e, nello specifico, in quelle riferibili al III secolo. In questo senso, parlano le iscrizioni estremamente laconiche, i diaframmi ampi lasciati tra i loculi scavati nel tufo e la regolarità con cui vengono progettate le varie gallerie. A questo punto, è piuttosto intuitivo ricollegare le persecuzioni ricordate da Damaso con quelle di Decio o di Valeriano che proprio intorno alla metà del III secolo avevano fatto crescere in maniera esponenziale i processi e le condanne nei confronti dei cristiani; a questo punto, inoltre, si spiegano bene le reciproche divergenze tra la narrazione damasiana, ambrosiana e prudenziana di cui si è già detto, poiché raccontano di fatti accaduti almeno un secolo prima e di cui, evidentemente, si stava perdendo la memoria storica. Di contro, mi sembra interessante constatare come il resto del cimitero si sviluppi in un periodo che oscilla tra la fine del III e la seconda metà del IV secolo, a dimostrazione del fatto che proprio la sepoltura di Agnese nella catacomba deve aver innescato un processo devozionale massiccio e immediato che ha portato alla creazione di nuovi spazi sepolcrali sorti attorno al luogo della sua deposizione, così da dar vita a delle vere e proprie aree intensamente sfruttate dalle sepolture dei cristiani ordinari, come al solito concepite per permettere ai fedeli di poter essere sepolti quanto più vicino possibile alla santa. Insieme alla sepoltura della martire, come sottolineato dianzi, un ruolo determinato per lo sviluppo del cimitero di sant’Agnese viene giocato dalla committenza imperiale e, in particolare, dall’impresa architettonica voluta da Costantina, figlia dell’imperatore Costantino. In onore della santa, infatti, venne commissionata una grandiosa basilica circiforme delle dimensioni di 98 metri per 40 che, per essere edificata, doveva colmare un dislivello di 12 metri che separava la via Nomentana dalla zona corri- spondente all’attuale piazza Annibaliano. Per far ciò, si creò, con un poderoso reinterro, un piano apposito su cui gettare le fondamenta dell’edificio, mentre a valle, nel punto in cui si imposta l’abside, si costruì un muro con contrafforti, che doveva stabilizzare la statica della struttura in prossimità del limite dello strapiombo. Raccordato alla basilica, per mezzo di un atrio a forcipe, si eresse contemporaneamente il mausoleo che avrebbe ospitato le spoglie di Costantina. L’edificio si profila, ancora oggi, come una struttura a pianta centrale, dotata di un ampio peribolo esterno regolarmente scandito da nicchie e absidiole, mentre al centro, tramite un fitto ordine di doppie colonne, si imposta la cupola, la cui luminosità e leggerezza rievoca tutte le caratteristiche architettoniche tipiche dell’età Domenichino, «Sant’Agnese» (c. 1620) costantiniana. La decorazione della volta è andata perduta dopo che il cardinal Francesco Veralli, nel 1620, fece sostituire l’antico mosaico con degli affreschi che rappresentavano la vita di una presunta santa Costanza. In ogni caso, la preziosità dell’apparato musivo originario ci è parzialmente nota da una serie di disegni eseguiti prima di questi interventi. Tornando, invece, alla basilica circiforme di sant’Agnese, siamo costretti a constatare l’assoluta mancanza di segni o tracce che possano suggerire la tipologia, ma anche solo la presenza, del sistema decorativo previsto al momento della sua costruzione. Questo oblio figurativo, che del resto caratterizza tutte le classi delle chiese a pianta circiforme, così come la maggior parte degli edifici di culto romani, è stato parzialmente colmato da un filone di studi, secondo il quale gli apparati decorativi delle basiliche a vocazione martiriale e strettamente connesse con il culto dei santi possono essere ricostruiti per mezzo di testimonianze figurative indirette e, più precisamente, da oggetti devozionali, da pitture catacombali e dalle cosiddette arti minori che sembrano riprodurre al dettaglio i programmi musivi e pittorici dei più grandiosi edifici martiriali del tempo. L’OSSERVATORE ROMANO sabato 21 gennaio 2017 pagina 5 Ritratto di Johann Reuchlin (XVI secolo) di DAVIDE SCOTTO* ell’anno delle celebrazioni dei 500 anni dalla Riforma luterana (1517) e dei 50 anni dai trattati europei di Roma (1957), sarà bene rammentare, accanto a Lutero e all’opera sua, un’altra figura coeva, meno nota ma altrettanto influente nella storia religiosa d’occidente: l’umanista cristiano tedesco Johann Reuchlin (1455-1522), il cui lascito intellettuale disvela un lato luminoso dell’Europa interreligiosa. Che l’ultima pubblicazione italiana in volume su questo autore sia la benemerita traduzione del suo De arte cabalistica da parte di Giulio Busi e Saverio Campanini uscita più di due decenni fa (Firenze, Opus libri, 1995) non fa che rimarcare la necessità di meditare, alla luce di recenti studi inglesi e tedeschi (David H. Price, Daniel O’Callaghan, Franz Posset), su una figura che nell’Italia del Rinascimento ha trovato ispirazione e conoscenze per opporsi all’emergere d’un moto distruttore. Il 19 agosto 1509, nelle terre del Sacro Romano Impero oggi ricomprese tra Germania, Austria e Slovenia, ebbe inizio una campagna persecutoria senza precedenti volta a estirpare ogni traccia delle tradizioni religiose ebraiche. Il piano, avallato dall’imperatore Massimiliano I, si concretava nella confisca e distruzione di tutti i libri ebraici esistenti, a partire dai libri di preghiere, indispensabili per le pratiche religiose quotidiane. Il rogo di libri doveva essere anticamera per l’espulsione o riduzione in schiavitù degli ebrei dell’impero, già banditi dalle regioni orientali di Stiria, Carinzia e Carniola, ora parte di Austria e Slovenia. Ispiratore e guida fervente della campagna antiebraica fu il convertito tedesco Johannes Pfefferkorn, etnografo e missionario. Dichiarò, costui, d’agire contro gli ebrei non già per motivi e capacità personali, ma in obbedienza a una chiamata divina (Schickung, «ciò che è voluto da Dio»). Oltreché da mandato imperiale, la campagna fu legittimata da parte non irrilevante della Chiesa e del mondo universitario tedesco: l’arcivescovo e l’università di Mainz, l’università di Colonia, componenti degli ordini francescano e domeni- N Per vent’anni fu impegnato nella strenua e appassionata difesa dei libri ebraici e degli ebrei nella controversia legale e dottrinale con il teologo tedesco Pfefferkorn cano, specie il convento dei predicatori di Colonia. Quello stesso convento ove Alberto Magno, maestro di Tommaso d’Aquino posto da Dante tra gli “spiriti sapienti“ nel cielo del sole, aveva fondato al principio del Duecento una celebre scuola di teologia dando di fatto vita alla prima università tedesca; e dove il filosofo Niccolò Cusano, noto tra l’altro per la sua opera visionaria sulla pace tra le religioni (De pace fidei) e il suo interesse esegetico per il Corano (Cribratio Alkorani), al principio del Quattrocento aveva studiato prima di discendere a Bressanone e poi a Roma, accanto a Enea Silvio Piccolomini, Papa Pio II. Al principio del Cinquecento, un decennio dopo l’espulsione degli ebrei di Spagna (1492), il corpo malato dell’impero aveva prodotto anticorpi efficaci. Il La lezione di Reuchlin Per varcare con lo studio i confini confessionali più strenuo difensore dei libri ebraici fu difatti Johann Reuchlin, nato a Pforzheim, nel braccio settentrionale della Foresta Nera, legato all’università di Tubinga e alle origini degli studi ebraici in Europa. Nel 1510 Reuchlin redasse una difesa di carattere legale di tutti i libri ebraici sotto accusa, incluso il Talmud. Dapprima indirizzato all’imperatore, lo scritto fu inserito nell’apologia intitolata Augenspiegel («specchio degli occhi»), scritta contro il Judenspiegel e altri pamphlet avvelenati di Pfefferkorn motteggiando le principali raccolte di leggi imperiali, il Sachsenspiegel e lo Schwabenspiegel: «Gli ebrei — scrive Reuchlin rimandando al Digesto di Giustiniano — in quanto sudditi del Sacro Romano Impero devono essere trattati secondo le leggi imperiali», dunque con equanimità; «agli ebrei dev’essere permesso di mantenere le proprie sinagoghe, chiamate “scuole”, in pace e tranquillità, ed esse non devono essere ostacolate». Attraverso un’esegesi inclusiva della prima epistola di Paolo ai Corinzi (11, 1719), Reuchlin giungeva a sconfessare un’accusa riversata contro gli ebrei almeno dal secolo XII in polemiche come l’Adversus Iudaeorum inveteratam duritiem dell’abate di Cluny Pietro il Venerabile. Scriveva al proposito: «Gli ebrei non possono essere “eretici” poiché essi non hanno abbandonato la fede cristiana, non essendovi mai appartenuti». L’apologia fu stampata nel 1511, a pochi mesi dalla circolazione in 1000 copie del libello anti-ebraico di Pfefferkorn. L’anno dopo, l’inquisitore generale Jacob Hoogstraeten, insieme con l’università di Colonia, bandì lo scritto di Reuchlin in quanto prova d’inaccettabile favore verso gli ebrei e formulò contro il suo autore l’accusa d’eresia, la stessa da cui egli aveva tentato di difendere gli ebrei. Il caso Reuchlin suscitò inaudito clamore tra ecclesiastici e umanisti europei: come nacque, in un esperto di legge nato nella Foresta Nera, siffatta sensibilità per il mon- do ebraico in anni in cui gli ebrei venivano battezzati in massa, cacciati di Spagna e Portogallo, accusati di sacrilegi e profanazioni e perseguitati in larga parte d’Europa? Reuchlin aveva studiato arti e diritto a Freiburg, Parigi, Basilea, Orléans e Poitiers. Come Erasmo da Rotterdam, aveva coltivato con assiduità lo studio di greco e latino, specie in rapporto con l’esegesi del secondo testamento. A Tubinga giunse nel 1481, fu per breve tempo lettore di greco e ottenne il dottorato in diritto imperiale. Per le sue competenze linguistiche e legali, fu impiegato alla corte del conte di Württemberg, Eberardo, fondatore dell’università di Tubinga. A differenza di lingue classiche e diritto, in cui egli vedeva pure una professione di cui campare, l’interesse per l’ebraico dovette essere passione travolgente e personale, ispirata dai primi contatti a corte e maturata nel corso di tre viaggi in Italia, fondamentali per comprendere il ruolo di Reuchlin come mediatore culturale e interreligioso. Nel 1483, a Firenze, incontrò Lorenzo de’ Medici e Papa Sisto IV, fondatore della Biblioteca Vaticana, prendendo frattanto lezioni su Tucidide da Giovanni Argiropulo, stimato maestro bizantino. Nel 1490, a Roma, lavorò su scritti cabalistici con Pico della Mirandola e Flavio Mitridate, fors’anche con Marsilio Ficino. Nel 1498, di nuovo a Roma, studiò ebraico col giovane, brillante rabbino di Bologna Obadja Sforno e comprò una quantità tale di manoscritti ebraici da doversi affidare a uno dei maggiori mercanti tedeschi con sedi commerciali in tutt’Europa per far giungere l’incetta romana in patria. Rientrato in Germania, per vent’anni fu impegnato nella difesa dei libri ebraici e degli ebrei nella controversia legale e dottrinale con Pfefferkorn. Restò fedele alla causa grazie alla tenacia personale, ad amici umanisti europei e agli appoggi presso la curia romana. Al chiudersi del contenzioso, dopo aver insegnato a Ingolstadt, nel 1521 fu incaricato dall’università di Tubinga del primo insegnamento di ebraico in terra imperiale: l’onore lo raggiungeva appena un anno prima della morte. L’ebraico che Reuchlin era giunto a definire «un sacramento» fu il primo tassello di un’opera teologica orientata a una radicale rivisitazione della dottrina cristiana in chiave biblica e sapienziale, umanistica e salvifica. L’influenza dei cabalisti italiani e i contatti con bibliofili e umanisti quali Aldo Manuzio, Ermolao Barbaro e Poliziano furono decisivi. Senza l’eredità greca ed ebraica giunte in Europa attraverso l’umanesimo italiano non avrebbe visto la luce il suo De arte praedicandi (1503), meditazione sulla centralità delle Bibbia nell’educazione cristiana, divenuto fortunato manuale per il rinnovamento della predicazione su base scritturale; né il suo pionieristico De rudimentis hebraicis (1506), prima grammatica ebraica con vocabolario redatta per lettori latini, nella cui prefazione si torna a denunziare la persecuzione degli ebrei; né infine il suo celebre De arte cabalistica (1517), mirabile dialogo letterario sulla Cabbala tra un filosofo pitagorico, un ebreo e un “marrano maomettano”. Nella prefazione all’opera, Reuchlin attribuisce esplicitamente la riscoperta della filosofia in Europa alla cerchia d’intellettuali convocati a Firenze da Lorenzo de’ Medici: «Fu una gara di uomini sommi. (...) Tutti erano impegnati nel progetto e tutti erano motivo di eccelse lodi (...)». Gershom Sholem, fondatore degli studi cabalistici moderni emigrato in Palestina nel 1923, al tempo del mandato bri- Tonache nelle trincee della prima guerra mondiale La terribile esperienza della trincea, vissuta alla luce di una spiritualità che si traduce in servizio per i sofferenti, è al centro della mostra Patria e religione. Religiosi e religiose italiani nella Prima Guerra Mondiale. 19151918 al Museo centrale del Risorgimento, nel Militari e suore francescane missionarie di Maria nell’ospedale della Croce Verde a Torino (1917) complesso del Vittoriano a Roma (fino al 5 febbraio). Le immagini e i testi che scandiscono l’esposizione mostrano i volti e le storie di coloro che vissero la loro testimonianza di fede in terre segnate dal sangue e dal dolore, al fianco delle migliaia di soldati che, in difesa della patria, riportarono ferite gravi, e spesso mortali. La mostra serve anche a ricordare che alla guerra, sulla base di una documentazione comunque non completa, parteciparono più di 9300 religiosi, appartenenti a quarantuno istituti. Stando al censimento dell’Annuario ecclesiastico del 1912, i religiosi in Italia erano circa 14.200: ciò significa che oltre la metà di loro partì per la guerra. Fu quello dei frati minori, con 2275 membri, l’istituto con il maggior numero di religiosi nel conflitto. Se poi al numero dei religiosi precettati si aggiunge quello dei sacerdoti e chierici secolari (più di tredicimila) si raggiunge il totale di circa ventitremila ecclesiastici chiamati a partecipare alla guerra: risulterebbe così, sottolineano i curatori della mostra, che nessun’altra categoria di persone in Italia (avvocati, ingegneri) abbia inviato al fronte una percentuale così alta dei propri membri. Non si conosce invece, se non con approssimazione, il numero delle religiose impegnate nel corso della grande guerra: finora, infatti, non sono state fatte indagini statistiche al riguardo. Ciò, tuttavia, non impedisce di evidenziare che sulla base dei dati relativi agli schedari dei singoli istituti femminili, almeno un terzo delle religiose fu attivo nei servizi di guerra. Tra gli istituti più impegnati figurano, tra gli altri, le Figlie della Carità di san Vincenzo de’ Paoli, le suore di Maria Bambina, le suore del Cottolengo di Torino, le francescane elisabettine di Padova. L’esposizione dà quindi rilievo alle “scritture di guerra”: furono migliaia le cartoline e le lettere che i religiosi al fronte inviarono ai loro superiori, descrivendo la drammatica situazione in cui si trovavano. Scrive Antonio Bizzotto, degli Scalabriniani, nella lettera inviata al superiore generale, padre Massimo Rinaldi: «Preghi e faccia pregare il Signore, affinché io torni tra i nostri cari compagni di collegio e vi torni buono e gentile, perché qui si diventa feroci come belve». (gabriele nicolò) tannico, fu incaricato nel 1933 — mentre in Germania s’insediava il nazismo — del primo insegnamento di mistica ebraica all’università Ebraica di Gerusalemme. Fu in quegli anni ch’egli vide in Reuchlin il suo precursore, definendolo il «primo studioso di ebraismo, della sua lingua e del suo mondo, specie della Cabala (...), l’uomo che, circa cinque secoli fa, diede vita alla disciplina degli studi ebraici in Europa». Il riconoscimento oggi appare ovvio, ma a Reuchlin non fu dato d’apprezzarlo in vita. Nella prima metà del Cinquecento egli era percepito da parte egemone del mondo cattolico come parte d’un gruppo di provocatori e scismatici, indistintamente accostato a Erasmo, Ulrich von Hutten, Martin Lutero e Melantone, ancorché egli stesso si fosse dissociato dalle posizioni dei riformatori preservando unicamente il rapporto di stima con Erasmo, cui nel 1514 prestò un importante codice del secondo testamento (Basel, Cod. AN IV 2) mentre l’umanista olandese lavorava all’edizione greca dei vangeli (1516). Al di là delle distanze circa l’amore per l’ebraico e l’approccio puramente filologico alle Scritture, Erasmo si schierò con Reuchlin nella disputa contro Pfefferkorn e alla morte dell’amico, nel 1522, ne compose l’elogio, l’Apoteosi di Reuchlin, innalzandolo a padre del rinascimento ebraico. Reuchlin in un’incisione su legno (1521) Lutero, al contrario, da Reuchlin non poteva che allontanarsi, non soltanto per le diatribe teologiche all’origine della riforma protestante (sola gratia, sola fide, sola scriptura), ma pure per l’attitudine rispetto alla Cabbala e più in largo verso gli ebrei. Contro la tradizione ebraica e gli ebrei contemporanei, disperando di non poterli convertire, nel 1543 Martin Lutero pubblicò la nota polemica Von den Juden und ihren Lügen («Degli ebrei e delle loro menzogne»), carica di stigmi morali, invettive linguistiche e rancori personali. Solo in questi mesi, fatto che impressiona, sulla scia delle celebrazioni della Riforma, vede la luce la prima traduzione dell’opera in tedesco moderno, a cura di Matthias Morgenstern (Berlino, BUP, 2016, pagine 328, euro 19,90) quindici anni dopo l’edizione italiana di Adelisa Malena introdotta da Adriano Prosperi, ora potendo l’opera essere soppesata in Germania da un più vasto pubblico di lettori. Inutile negare che lo scenario di violenze fisiche e verbali in cui Reuchlin ebbe la ventura di vivere — da un lato gli avversari conservatori, dall’altro i riformatori — riporti la mente alle incrinature del presente, in Europa come in Medio Oriente, ove i nomi delle grandi religioni abramitiche s’intrecciano all’incerta ora politica. L’opera di Reuchlin e il determinante elogio di Gershon Sholem, un ebreo di Germania emigrato in Palestina ispirato da un cattolico tedesco difensore della tradizione ebraica, sono simmetriche dimostrazioni di un fatto: di quanto cioè gli studi umanistici, se orientati alla scoperta costruttiva e sensibili al fatto religioso, dunque liberi e vivi, siano strumenti potenti per varcare confini confessionali, custodire le tradizioni religiose, onorarne l’alterità e perciò salvarne il lascito dinnanzi al ritorno d’istinti nichilistici e persecutori. *Università di Tubinga L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 sabato 21 gennaio 2017 di MATTHIAS TÜRK* «Non possiamo rassegnarci alla divisione e alla distanza che la separazione ha prodotto tra noi»: sono le parole chiare e incisive che Papa Francesco ha pronunciato nella sua omelia durante la celebrazione ecumenica internazionale tenutasi il 31 ottobre 2016 come atto iniziale della commemorazione comune della Riforma, nel 2017. «Cattolici e luterani abbiamo cominciato a camminare insieme sulla via della riconciliazione. Ora, nel contesto della commemorazione comune della Riforma del 1517, abbiamo una nuova opportunità di accogliere un percorso comune, che ha preso forma negli ultimi cinquant’anni nel dialogo ecumenico tra la Federazione luterana mondiale e la Chiesa cattolica». Nella cattedrale evangelica-luterana di Lund, nel sud della Svezia, dove fu fondata nel 1947 la Federazione luterana mondiale (Flm), il Santo Padre ha commemorato l’inizio della Riforma, insieme al vescovo Munib Younan e al reverendo Martin Junge, rispettivamente presidente e segretario generale della Flm, alla presenza degli altri partner di dialogo dei cattolici e dei luterani, rappresentati dai membri della Conferenza dei segretari delle comunioni cristiane mondiali provenienti da tutto il mondo. Il Papa ha poi proseguito la sua omelia dicendo: «Abbiamo la possibilità di riparare a un momento cruciale della nostra storia, superando controversie e malintesi che spesso ci hanno impedito di comprenderci gli uni gli altri». Per la prima volta nella storia, un centenario della riforma di Martin Lutero è stato commemorato congiuntamente da cattolici e protestanti a livello internazionale, in comunione ecumenica. Alla domanda che spesso affiora, ovvero se la Riforma sia un’occasione di festeggiamento o, al contrario, di afflizione, l’incontro di preghiera Il cammino di riconciliazione con luterani e protestanti Di fronte al mondo scovo Younan e ad altri testimoni ecumenici della fede, durante l’incontro nella vicina Arena di Malmö ha fatto appello a un impegno ecumenico nell’aiuto ai rifugiati, nella promozione della pace e nella salvaguardia dell’ambiente. La triplice dimensione della commemorazione comune della Riforma del 2017 era già stata presentata nel 2013, nel documento prodotto dalla Commissione cattolica-luterana di dialogo per l’unità dal titolo Dal conflitto alla comunione. Questo testo rappresenta un decisivo passo in avanti, poiché opera una distinzione tra i diversi significati del termine “riforma” e menziona chiaramente le prospettive riformatrici con le quali oggi luterani e cattolici possono dirsi d’accordo nel quadro del dialogo ecumenico. Di tali convergenze cattolici e luterani sono consapevoli e riconoscenti. Possono dunque, da un lato, provare gioia, ma dall’altro anche rincrescimento laddove è necessario ammettere le proprie colpe. I partecipanti all’evento di Lund hanno preso atto del fatto che l’intento di Martin Lutero, cinquecento anni fa, era quello L’unità dei cristiani di rinnovare la Chiesa, non di dividerla. A connon è il frutto clusione della commemodei nostri sforzi umani razione comune cattolicaluterana della Riforma, ma è un dono che viene dall’alto Papa Francesco e il vescovo Younan hanno fir(@Pontifex_it) mato una dichiarazione comune, che termina con un appello ai cattolici e di Lund ha offerto una triplice, con- ai luterani del mondo intero: «Facvincente risposta. All’inizio, si è data ciamo appello a tutte le parrocchie e voce alla gratitudine per la comunio- comunità luterane e cattoliche, perne ecumenica tra cattolici e luterani ché siano coraggiose e creative, che si è fortemente intensificata a gioiose e piene di speranza nel loro partire dall’inizio del loro dialogo impegno a continuare la grande avufficiale, nel 1967. I passi compiuti ventura che ci aspetta. Piuttosto che gli uni verso gli altri segnano un i conflitti del passato, il dono divino cammino irreversibile: ciò che ci ac- dell’unità tra di noi guiderà la collacomuna nella preghiera, nella vita di borazione e approfondirà la nostra fede e nei contenuti dottrinali è mol- solidarietà. Stringendoci nella fede a to di più di ciò che ancora ci divide. Cristo, pregando insieme, ascoltanAccanto a numerosi testi comuni su doci a vicenda, vivendo l’amore di temi quali la scrittura e la tradizione, Cristo nelle nostre relazioni, noi, catla vita sacramentale, l’eucaristia e il tolici e luterani, ci apriamo alla poministero ecclesiale, che si basano tenza di Dio uno e trino. Radicati in sul fondamento condiviso del batte- Cristo e rendendo a lui testimoniansimo e, passando dalla Dichiarazione za, rinnoviamo la nostra determinacongiunta sulla dottrina della giustifi- zione a essere fedeli araldi dell’amocazione, arrivano ad aspetti relativi re infinito di Dio per tutta l’umanialla successione apostolica, il dialogo tà». Anche in Germania, paese d’origiecumenico ufficiale tra luterani e cattolici, nei suoi cinquant’anni, può ne della Riforma, e in molti altri rallegrarsi delle molteplici conver- paesi del mondo, nel contesto della genze che ha riscoperto e che ha commemorazione del 2017 è stato espresso in maniera rinnovata. Alla espresso il crescente desiderio di un gratitudine è seguito un atto di pe- maggiore riavvicinamento tra i crinitenza, nel quale si è chiesto perdo- stiani. Da questi festeggiamenti dono per le ingiustizie commesse da- vrebbe venire un segnale di rinnovavanti a Dio e gli uni nei confronti mento e di riconciliazione, come ha degli altri nel corso di una storia osservato il presidente della Chiesa spesso dolorosa, segnata da conflitti evangelica in Germania, il vescovo e addirittura da guerre tra le diverse bavarese Heinrich Bedford-Strohm. confessioni con i loro rispettivi Per la prima volta, l’anniversario delschieramenti politici. La preghiera la Riforma è stato celebrato in una commemorativa si è conclusa con comunione ecumenica. Esso stimoleuna testimonianza comune di fede in rà sicuramente altre iniziative conGesù Cristo, resa in modo esplicito giunte a livello internazionale nel e pregnante davanti al mondo, che 2017, in uno stesso spirito di gratituoggi più che mai ha bisogno della dine, pentimento e volontà di offrire speranza di un aiuto e di una reden- una testimonianza di fede cristiana zione; a questa testimonianza si è comune. Anche il 2016, anno santo nel aggiunta la conferma dell’impegno a favore dei sofferenti e dei bisognosi, mondo cattolico sotto il segno della in particolare nelle diverse regioni di misericordia, ha visto molte iniziaticonflitto del mondo. Dopo il mo- ve e incontri ecumenici a Roma e in mento di preghiera nella cattedrale tutto il mondo. Già il 18 gennaio di Lund, Francesco, insieme al ve- 2016, il primo giorno della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, Papa Francesco ha ricevuto in udienza privata una delegazione ecumenica dalla Finlandia, composta da membri luterani, cattolici e ortodossi e guidata dal vescovo evangelico-luterano di Helsinki, la reverenda Irja Askola. In Finlandia, molto promettente è il lavoro portato avanti da alcuni anni dalla locale Commissione di dialogo cattolica-luterana, che al momento sta lavorando a un’interpretazione comune della Chiesa, dell’eucaristia e del ministero ecclesiale. Anche la serie di consultazioni tra la Comunità delle Chiese protestanti d’Europa e la Chiesa cattolica ha continuato a occuparsi del tema della giustificazione, del fondamento e della forma della Chiesa, del ministero ecclesiale e dell’unità della Chiesa. A livello internazionale, la Commissione cattolica-luterana di dialogo per l’unità ha proseguito il suo studio su «Battesimo e comunione ecclesiale crescente». In previsione della commemorazione della Riforma nel 2017, il Consiglio della Federazione luterana mondiale si è riunito dal 13 al 21 giugno 2016 a Lutherstadt Wittenberg, in Germania, intorno al tema «Gounding in God’s Love. Discerning God’s Future». Accanto a importanti rappresentanti — come il segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, reverendo Olav Fykse Tveit, e il segretario generale della Comunione mondiale delle Chiese riformate, reverendo Chris Ferguson, che hanno parlato rispettivamente su «Creation. Not for sale» e su «Human Beings. Not for sale» — il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, ha tenuto una conferenza su «Salvation. Not for sale». Il tema generale si incentrava sul concetto della creazione e dell’opera redentrice di Dio nel contesto del messaggio della giustificazione, muovendosi dunque nella direzione dei contenuti che sarebbero stati trattati l’anno successivo nella commemorazione della Riforma. L’incontro annuale del consiglio della Flm ha avuto luogo appositamente a Wittenberg, città di Lutero. Nel 2017 la plenaria, che si tiene ogni sette anni, si riunirà invece a Windhoek, in Namibia, paese del Global South, dove oggi vive la maggior parte dei cristiani luterani. Sempre più evidente risulta il fatto che la Riforma è diventata cittadina del mondo ed ecumenica. «Con Lutero dal Papa»: con questo motto, un migliaio di cattolici e protestanti da tutta la Germania sono stati ricevuti in udienza da Papa Francesco il 23 ottobre 2016. Nel quadro del loro pellegrinaggio in occasione dell’anniversario della Riforma, i partecipanti hanno espresso al Santo Padre proposte e desideri nei confronti dell’ecumenismo. In tale occasione, il Pontefice ha chiesto: «Cosa è meglio, essere luterani o cattolici?», dando poi lui stesso una risposta e riscuotendo l’applauso entusiasta dei presenti: «Tutti e due insieme!». Sempre nell’ambito del centenario della Riforma, un particolare contributo culturale è stato apportato dalla mostra «Rembrandt in Vaticano. Immagini fra Cielo e Terra» che, organizzata grazie alla collaborazione tra i Musei vaticani, il Regno dei Paesi Bassi e il Regno di Svezia, è stata inaugurata il 23 novembre 2016 e rimarrà aperta fino al 26 febbraio 2017. La preghiera pronunciata dal reverendo Martin Junge alla fine della sua omelia durante la commemorazione della Riforma a Lund esprime chiaramente quello che dovrà essere il nostro compito futuro: «Quando Dio ci incontrerà, possa egli trovarci occupati a costruire ponti affinché ci avviciniamo gli uni agli altri, case in cui ci riuniamo, e mense — sì, mense — intorno alle quali condividiamo pane e vino, ovvero la presenza di Cristo. Cristo, che non ci ha abbandonati un solo momento e che ci invita a rimanere in lui, affinché il mondo creda». Ma il dialogo ecumenico non deve occuparsi esclusivamente di questo desiderio di riunirci intorno alla mensa del Signore, ovvero della questione della comunione eucaristica. Piuttosto, partendo dal fondamento comune che è il battesimo, esso deve portare avanti uno studio più ampio, per giungere a una dichiarazione comune su Chiesa, eucaristia e ministero. Sarà necessario, come primo passo, chiarire ulteriormente quelle che sono le conseguenze ecclesiologiche derivanti dal consenso conseguito sulle verità fondamentali della dottrina della giustificazione. Nelle consultazioni che hanno avuto luogo finora, protestanti e cattolici sono arrivati insieme alla conclusione che la giustificazione, ovvero l’azione salvifica di Dio che redime l’uomo, e la Chiesa sono co-originari, e questo concetto costituisce la base per un consenso ecclesiologico. La natura, il servizio e la missione della Chiesa, anche da un punto di vista escatologico, fanno parte dell’essenza della Chiesa. Essere Chiesa significa, da sempre, essere in comunione con Dio e gli uni con gli altri. Tuttavia, la comunione esistente già grazie al nostro battesimo comune non comporta ancora una comunione ecclesiale ed eucaristica. La Chiesa è più ampia della comunione battesimale. Dalla comunione sacramentale nata nel battesimo per grazia divina il cammino è ancora lungo fino alla comunione piena e visibile della Chiesa nell’eucaristia. Si tratterà allora di chiarire nel futuro quella che dovrà essere una comunione protestante-cattolica che si possa definire Chiesa, di modo che le differenze che permangono non siano più fonte di divisione. Una simile comunione ecclesiale non deve essere intesa, secondo un modello quantitativo, come una sommatoria di elementi ecclesiali. Il battesimo, per esempio, presuppone già una comunione ecclesiale, senza la quale non potrebbe essere amministrato, ed è in sé, pertanto, una prima affermazione ecclesiologica di base. Battesimo ed eucaristia costituiscono, come sacramenti, un’unità ecclesiale fondamentale. Per rendere visibile questa realtà già esistente, che è il Corpo mistico di Cristo — la Chiesa — e per renderle servizio, sono necessari i carismi che Dio dona alla sua Chiesa. La successione apostolica e il ministero universale della Chiesa vanno compresi dunque come espressioni irrinunciabili della comunione ecclesiale. I vari elementi ecclesiali si sottintendono reciprocamente e derivano da un’unica sorgente, che è l’agire di Dio nella storia della salvezza. L’eucaristia e il ministero ordinato fanno parte, sia internamente sia esternamente, della comunione ecclesiale, che scaturisce dal battesimo quale inizio della salvezza; questo tutt’uno non è solo espressione di cattolicità, ma è anche il quadro entro cui iscrivere una comunione ecclesiale cattolica-protestante. Riflettere su tali tematiche sarà di fondamentale importanza per giungere in futuro a una dichiarazione comune su Chiesa, eucaristia e ministero. *Assistente per la sezione occidentale del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani Attraverso sessantasette città europee Itinerario ecumenico ROMA, 20. Ha fatto tappa a Roma mercoledì 18 gennaio, in coincidenza con il giorno di apertura della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, e da oggi fino a sabato sarà a Venezia: si chiama Europäische Stationenweg, itinerario europeo che collega realtà diverse, superando confini linguistici, politici, culturali. Un bel messaggio lanciato a un mondo che sembra andare in tutt’altra direzione. La tappa di Roma è stata un segnale forte sancito anche dal titolo scelto: «Roma, porta dell’ecumenismo». L’iniziativa è promossa dal vescovo Heinrich BedfordStrohm, presidente della Chiesa evangelica in Germania (Ekd), insieme al Kirchentag evangelico. «L’itinerario europeo è proprio l’idea che ci serve adesso, in Europa. Dobbiamo andare oltre i confini», ha osservato Bedford-Strohm. L’evento è cominciato il 3 novembre 2016 a Ginevra e si concluderà il 20 maggio prossimo a Wittenberg. Qui le storie raccolte nel corso delle varie tappe — riferisce il sito in rete Riforma.it — saranno riunite in una Mostra mondiale della Riforma, grande racconto collettivo, multimediale, che dovrebbe offrire uno spaccato dei vari punti di vista sulla Riforma oggi, la sua messa a fuoco attraverso testimonianze personali. Il motto che accompagna l’iniziativa è infatti «Storie di viaggio»: a ogni stazione dell’itinerario si chiede ai membri delle comunità locali qual è il significato della loro fede cristiana e il senso del proprio essere protestante (una domanda particolarmente interessante in paesi a maggioranza cattolica come l’Italia). L’itinerario si snoda in diciotto nazioni e sessantasette città, toccando ben nove capitali: Vienna, Praga, Berna, Roma, Lubiana, Dublino, Londra, Riga, Berlino. In ogni città ci si ferma 36 ore, e i partner locali, in uno spirito ecumenico, invitano la popolazione a numerose iniziative per scoprire le tracce che la Riforma ha lasciato non solo nella religione, ma nella cultura, nella storia, nella politica dei vari paesi, anche quelli meno conosciuti come «culla del protestantesimo». L’itinerario toccherà infatti la Germania, la Svizzera, la Francia, i paesi scandinavi e la Lettonia, il Regno Unito e l’Irlanda, e poi Austria, Slovenia, Repubblica Ceca, Romania, Ungheria, Polonia, Slovacchia. E ovviamente l’Italia. Oggi, a Venezia, è stata inaugurata la mostra che prevede filmati e riprese sulla storia locale della Riforma e dei diversi riformatori. In una sala della chiesa luterana di Campo Santi Apostoli, è previsto l’intervento di Michael Matheus, Presidente del Centro tedesco di studi veneziani, che supporta l’iniziativa insieme al Consiglio delle Chiese cristiane di Venezia. L’inaugurazione sarà seguita da una celebrazione ecumenica nella chiesa luterana, animata dal coro dell’Università Ca’ Foscari, con la partecipazione del cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, del pastore Luca Negro, presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, di Thies Gundlach, vicepresidente dell’Ufficio di chiesa della Ekd, di Heiner Bludau, decano della Chiesa evangelica luterana in Italia, e i rappresentanti delle diverse comunità cristiane di Venezia. L’OSSERVATORE ROMANO sabato 21 gennaio 2017 pagina 7 di BRIAN FARRELL* Al centro della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani di quest’anno c’è il cinquecentesimo anniversario della Riforma. Infatti, i testi proposti congiuntamente dal Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e dalla Commissione Fede e costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese per la settimana in corso sono stati preparati da un gruppo ecumenico in Germania, proprio per rilevare e palesare l’eredità teologica ed ecclesiale dell’esperienza storica della Riforma nel suo paese di origine, come pure per sottolineare gli attuali positivi rapporti tra cattolici e luterani, a cinquant’anni dall’inizio del dialogo ecumenico. Tutto questo ha avuto espressione visibile e autorevole nell’incontro, il 31 ottobre scorso, di Papa Francesco con il presidente e il segretario generale della Federazione luterana mondiale a Lund in Svezia, in una preghiera comune, alla presenza di rappresentanti di quasi tutte le Chiese e comunioni cristiane, a sigillo della fraternità riscoperta e dell’impegno a continuare a favorire la solidarietà e la collaborazione nel testimoniare il Vangelo e nel servire l’umanità sempre bisognosa della vita nuova offertaci in Cristo Salvatore. Si è trattato di un momento alto del cammino ecumenico, che il concilio Vaticano II ha considerato un movimento «sorto per grazia dello Spirito santo, che si allarga di giorno in giorno per il ristabilimento dell’unità di tutti i cristiani» (Unitatis redintegratio, 1). Come è stato possibile, dopo secoli di conflitto tra cattolici e protestanti, che i massimi responsabili delle Chiese divise tra loro abbiano, insieme, ringraziato Dio per «i doni spirituali e teologici ricevuti attraverso la Riforma», confessando e deplorando allo stesso tempo davanti a Cristo il fatto che luterani e cattolici hanno ferito l’unità visibile della Chiesa, e impegnandosi a intensificare gli sforzi comuni per servire la causa della ri- Cinquecentenario della Riforma La necessità di una profonda conversione conciliazione? Forse la frase che meglio spiega come sia diventata possibile una commemorazione comune della Riforma, la troviamo nella dichiarazione congiunta firmata da Papa Francesco e dal vescovo Munib Younan durante la preghiera comune: «Mentre il passato non può essere cambiato, la memoria e il modo di fare memoria possono essere trasformati». Si tratta di quel processo essenziale del dialogo ecumenico che viene chiamato “purificazione della memoria”, cioè, la ricerca di un modo nuovo di comprendere e giudicare i profondi dissidi che hanno dato origine a due comunità incapaci di vivere in piena comunione. Il concilio Vaticano II — nel riconoscere che le divisioni sono avvenute «talora per colpa di uomini di entrambe le parti» e che coloro «che ora nascono e sono istruiti nella fede di Cristo in tali comunità non possono essere accusati di peccato di separazione» (Unitatis redintegratio, n. 3) — aprì la strada a una profon- da purificazione della memoria, andando oltre l’unilateralità del modo in cui cattolici e protestanti raccontavano, ognuno dalla propria prospettiva, la storia della Riforma. Non si tratta di sentimentalismi o di superficialità. La purificazione delle memorie non può realizzarsi che sulla base della migliore comprensione della verità oggettiva delle cose, superando le tante verità deformate dalle polemiche gli uni contro gli altri, trasmesse da generazione in generazione a servizio dell’autodifesa della rispettiva identità confessionale. Uno sguardo intenso ma spassionato ha permesso di cogliere nelle dispute del XVI secolo le vere intenzioni dei riformatori e della controparte. Quando Lutero fece pubbliche le sue tesi contro le indulgenze era ancora un monaco agostiniano, con una intensa vita spirituale, anche se scrupolosa e persino tormentata, genuinamente scandalizzato da come la salvezza eterna delle anime, e in primo luogo della propria, era Appello dell’arcivescovo di Rabat Documento dei presuli tedeschi Europa senza muri In difesa della famiglia RABAT, 20. «Rompere i muri degli egoismi che serpeggiano in Europa e cercare di guardare l’altro, non per scaricare su di lui una colpa ma chiedendosi come poter aiutarlo e accompagnarlo, senza imporre i nostri progetti». È quanto ha sottolineato nel messaggio lanciato alle Chiese in Europa monsignor Vincent Landel, arcivescovo di Rabat. Il presule ha aggiornato i direttori di alcuni uffici della Conferenza episcopale italiana sulla situazione dei migranti in Marocco, in particolare dei minori non accompagnati. La Caritas in Marocco può contare su tre centri di accoglienza, a Rabat, Casablanca e Tangeri, il cui compito è quello di rispondere ai bisogni primari e urgenti delle persone, accompagnarli, informarli e orientarli verso i servizi esistenti. Non solo, l’ente caritativo stimola l’associazionismo marocchino nelle varie iniziative per bambini o adulti in emigrazione. Monsignor Landel ha raccontato storie di violenze, soprusi e vere e proprie situazioni di schiavitù nelle quali vivono soprattutto i minori, anche bambini di 7 anni. «Sono tutti alla ricerca di una vita migliore — ha spiegato l’arcivescovo di Rabat all’agenzia Sir — e il loro obiettivo è quello di raggiungere presto l’Europa. Sono disposti ad andare dappertutto tranne che tornare indietro perché sanno che in Africa non c’è futuro, non ci sono prospettive. Non chiedo nulla ma spero che la Chiesa che è in Europa diventi sempre più universale e aperta», ha auspicato Landel nel suo messaggio. DÜSSELD ORF, 20. Azioni concrete a favore delle famiglie: è quanto chiedono i vescovi della Renania Settentrionale - Vestfalia, a quattro mesi dalle elezioni politiche che rinnoveranno il parlamento del länder tedesco. In un documento ufficiale presentato a Düsseldorf, i vescovi di Aachen, Essen, Köln, Münster e Paderborn non risparmiano critiche all’attuale situazione sociale dello stato, e intervengono nel dibattito politico, prendendo ufficialmente le parti in difesa della famiglia. Un modo sostenibile di rafforzare la politica nazionale della famiglia è il titolo del documento, nel quale, anche con studi delle Caritas locali e delle organizzazioni sociali cattoliche, vengono presentate le preoccupazioni della Chiesa. Secondo l’episcopato, «solo con le famiglie vi sarà un futuro per il nostro paese». Ma il tasso di povertà nel länder è aumentato tra i bambini di 1,6 punti percentuali in un anno, arrivando al 18,6 per cento. Circa un bambino su cinque che vive in famiglia è esposto al rischio di povertà. Nonostante l’aumento del piano statale di assistenza ai minori, per i vescovi sono necessarie urgenti misure aggiuntive. «Purtroppo — ha detto il vescovo di Essen, Franz-Josef Overbeck — a causa della povertà delle famiglie è aumentata la povertà infantile». Nel documento, sono richiesti ampliamenti dei «centri di formazione e consulenza per le famiglie mono-reddito» e una nuova fase di edilizia sociale. Infine, vengono evidenziate le carenze nei finanziamenti per gli asili nido, nei quali «bisognerebbe migliorare il carico di lavoro con orari di apertura adattati alle esigenze dei genitori». subordinata a un “sistema”, quasi un commercio, un do ut des, gestito dagli uomini di Chiesa. Era da prevedere che la sua critica, che andava dritto al cuore del “sistema”, attirasse una reazione forte. Ciò che non era possibile prevedere era lo sconvolgimento religioso, sociale e politico che seguì, con la conseguente divisione della stessa Chiesa. La storia dell’Europa e della cristianità non sarebbe stata più la stessa. Più di quattro secoli di conflitto, di mutua sfiducia e rivalità, di chiusure pregiudiziali tra cattolici e protestanti, solo possono essere superati con una profonda conversione — un andare in direzione opposta — che permetta alle Chiese stesse, insieme, di discernere e assumere quanto di positivo e legittimo c’è stato nella Riforma, e di prendere le distanze dagli errori, esagerazioni e fallimenti, riconoscendo i peccati che avevano portato alla divisione. Papa san Giovanni Paolo II ha descritto bene la trasformazione richiesta: «La colpa, dove esiste, dev’essere riconosciuta, da qualsiasi parte si trovi; laddove la polemica ha offuscato lo sguardo, la direzione di questo sguardo deve essere corretta. Solo ponendoci, senza riserve, in un atteggiamento di purificazione attraverso la verità, possiamo trovare una comune interpretazione del passato e raggiungere allo stesso tempo un nuovo punto di partenza per il dialogo di oggi» (Messaggio al cardinale Giovanni Willebrands, 31 ottobre 1983). Conseguentemente, il cammino ecumenico richiede: una migliore comprensione della verità degli eventi, una interpretazione condivisa del giusto e dello sbagliato nelle persone e negli eventi e, su questa base, la volontà di orientarsi in una direzione nuova, alla ricerca di una più piena fedeltà al piano di Dio per la sua Chiesa. Questo è stato l’andamento del dialogo cattolico-luterano in cinque decenni, i cui risultati sono stati succintamente espressi dalla Commissione internazionale per il dialogo nel documento base Dal conflitto alla comunione (2013), che presentava la comune proposta per la prima commemorazione ecumenica della Riforma: cattolici e luterani, non più gli uni contro gli altri ma insieme, per commemorare un centenario della Riforma per la prima volta in era ecumenica. Molto ha contribuito a creare questo nuovo clima di mutua comprensione la storiografia dell’ultimo secolo che sulla base di approfondimenti seri ha portato a una valutazione meno polemica e settaria della figura di Lutero e della sua critica talvolta feroce contro la Chiesa e il papato. Questa revisione della figura e opera di Lutero è arrivata fin dentro i pronunciamenti degli ultimi Papi, da Paolo VI in poi. Chiarissimo, per esempio, è stato Benedetto XVI, il 23 settembre 2011, nel corso della sua visita all’ex-convento degli agostiniani a Erfurt, dove Lutero pronunciò i voti religiosi e insegnò per anni. Il teologo e Papa tedesco dis- se: «Ciò che non gli dava pace era la questione su Dio, che fu la passione profonda e la molla della sua vita e dell’intero suo cammino. “Come posso avere un Dio misericordioso?”. Che questa domanda sia stata la forza motrice di tutto il suo cammino mi colpisce sempre nuovamente nel cuore. Chi, infatti, oggi si preoccupa ancora di questo, anche tra i cristiani? Questa scottante domanda di Lutero deve diventare di nuovo, e certamente in forma nuova, anche la nostra domanda, non accademica, ma concreta. Penso che questo sia il primo appello che dovremmo sentire nell’incontro con Martin Lutero». In un’intervista del 26 giugno 2016, Papa Francesco disse: «Io credo che le intenzioni di Martin Lutero non fossero sbagliate: era un riformatore. La Chiesa di allora non era proprio un modello da imitare, c’era corruzione, mondanità, attaccamento ai soldi e al potere. Per questo lui ha protestato». Oggi, il grido di protesta dei riformatori — la Scrittura ultimo criterio della fede e della vita cristiana; la fede prima delle opere; la grazia al di sopra dei meriti — non scandalizza più. Se non fossero intervenute altre circostanze e altri poteri, non avrebbe neppure sconvolto il secolo XVI. L’evento di Lund ha mostrato che il mondo ecumenico ha acquisito in maniera decisa la consapevolezza che il modo in cui il passato influisce sul presente si può rettificare e trasformare. «Il punto non è raccontare una storia diversa, ma raccontare questa storia in maniera diversa» (Dal conflitto alla comunione, n. 16). In tempi recenti ci sono stati begli esempi della messa in pratica di questo nuovo atteggiamento tra le Chiese cristiane, cominciando dai tanti incontri in cui i vescovi di Roma hanno chiesto perdono per i peccati dei cattolici contro i fratelli delle altre Chiese. Negli ultimi anni, importanti gesti di mutuo perdono e riconciliazione hanno segnato i rapporti delle comunità protestanti tra di loro e verso il cattolicesimo. L’ecumenismo “vissuto”, e non solo pensato e discusso, sta dando buoni frutti, che sono una solida promessa e speranza per il cammino ancora da percorrere. In questa prospettiva, Lund presenta una pressante sfida per le Chiese: una ulteriore opportunità di accogliere il kairos costituito dal movimento ecumenico, che arreca in sé un necessario progetto di riforma spirituale, teologica ed ecclesiale che la provvidenza ispira nella coscienza di molte persone. In perfetta armonia con il recente anno della misericordia, la commemorazione comune della Riforma a Lund ha sottolineato che, in una società economizzata e meritocratica, urge prendere sul serio la dottrina della giustificazione «per sola grazia divina». Per le Chiese si tratta di annunciare, anzitutto, il “cuore salvifico” di questa sfida, e cioè, far capire il peso della questione di Dio, questione decisiva della vita, che non può essere svincolata dall’impellente compito per le comunità cristiane di trovare il linguaggio che permetta di comunicare alle generazioni di oggi che il messaggio, prima di essere un libro, è la persona di Gesù Cristo, unico mediatore e salvatore, punto di convergenza di tutti gli sforzi della storia e della cultura, e pertanto figura di rilevanza universale. Tutte le Chiese vengono interpellate da questa decisiva sfida, che nel mondo globalizzato non può essere affrontata in ordine sparso, ogni Chiesa per conto suo. Il significato dell’evento di Lund è anche questo: la consapevolezza che i cristiani, anche se ancora divisi, non possono più stare in isolamento, e tanto meno in conflitto, quando si tratta di testimoniare la fede davanti al mondo. Esiste già da tempo nella cultura ecumenica un principio che fu per primo formulato proprio in quella città, il principio detto “di Lund”. Lo ha rievocato Papa Francesco, parlando alla plenaria del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani: «La mia recente visita a Lund mi ha fatto ricordare quanto sia attuale quel principio ecumenico lì formulato dal Consiglio ecumenico delle Chiese già nel 1952, che raccomanda ai cristiani di “fare insieme tutte le cose, salvo in quei casi in cui le profonde difficoltà di convinzioni avessero imposto di agire separatamente”». Possiamo dire che la commemorazione congiunta dell’anniversario della Riforma presieduta dal vescovo di Roma e dalle massime autorità della Federazione luterana mondiale segna un punto di arrivo e un punto di partenza non indifferenti. Il punto di arrivo è stato il solenne riconoscimento del sostanziale accordo tra cattolici e luterani sulle fondamenta della fede e sulla capitale questione che li aveva divisi cinquecento anni fa. Il punto di partenza è il grado di mutua fiducia e di fraternità ecclesiale manifestato nell’evento di Lund, che diventa impulso e impegno improcrastinabile per una nuova era di testimonianza comune. Le importanti differenze ancora esistenti non devono impedire la stretta collaborazione delle Chiese nel portare all’umanità confusa e sofferente la grazia che ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità (cfr. 2 Timoteo, 10). *Vescovo segretario del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 sabato 21 gennaio 2017 Gwen Meharg «L’arca della nuova alleanza» Messa a Santa Marta Un cuore nuovo «La debolezza di Dio» è che, perdonandoci, arriva a dimenticare i nostri peccati. E così è sempre pronto a farci radicalmente «cambiare vita, non solo mentalità e cuore». Da parte nostra, però, ci dev’essere l’impegno a vivere fino in fondo questa «nuova alleanza», questa «ri-creazione», mettendo da parte la tentazione di condannare e le stupidaggini della mondanità, e ravvivando sempre la nostra «appartenenza» al Signore. Ecco le indicazioni pratiche suggerite dal Papa nella messa celebrata venerdì mattina, 20 gennaio, nella cappella della Casa Santa Marta. La liturgia, ha subito fatto notare Francesco, «ha un’orazione, una preghiera molto bella, che ci fa capire la profondità dell’opera di Gesù Cristo: “O Dio, tu che hai creato meravigliosamente il mondo, ma più meravigliosamente lo hai ricreato”, cioè con il sangue di Gesù, con la redenzione». Proprio «questo rinnovamento, questa ri-creazione è ciò di cui si parla oggi nella prima lettura», tratta dalla lettera agli Ebrei (8, 6-13). Siamo di fronte, ha affermato, alla promessa del Signore: «Ecco: vengono giorni, quando io concluderò un’alleanza nuova. Non sarà come l’alleanza che feci con i loro padri». È «un’alleanza nuova», dunque, «e l’alleanza nuova che Dio fa in Gesù Cristo è la ri-creazione: rinnova tutto». Questo vuol dire «rinnovare tutto dalle radici, non soltanto nell’apparenza». «Questa alleanza nuova — ha spiegato il Papa — ha le sue proprie caratteristiche». Si legge ancora nella lettera agli Ebrei: «E questa è l’alleanza che io stipulerò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: porrò le mie leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro cuori». Ciò significa, ha affermato Francesco, che «la legge del Signore non è solo un modo di agire esterno», perché «l’alleanza che lui farà è di mettere la legge proprio nella mente nostra e nel cuore: ci cambia la mentalità». Perciò «nella nuova alleanza c’è un cambio di mentalità, c’è un cambio di cuore, un cambio di sentire, di modo di agire: è un modo diverso di vedere le cose». Per far comprendere questo punto, il Pontefice ha fatto ricorso a un esempio: «io posso vedere l’opera di una persona, pensiamo a un architetto», e valutarla «con un atteggiamento freddo, tecnico, oggettivo», dicendo: «sta bene, tecnicamente sta bene». Oppure, ha proseguito il Papa, «posso vederlo con invidia perché ha fatto una cosa bella che io non sono capace di fare», e questo è «un altro atteggiamento». Ma, ancora, «posso vederlo con benevolenza, anche con gioia», dicendo: «complimenti, sei stato bravo, questo mi piace tanto, anch’io sono felice!». Sono dunque «tre atteggiamenti diversi». «La nuova alleanza — ha fatto presente Francesco — ci cambia il cuore e ci fa vedere la legge del Signore con questo nuovo cuore, con questa nuova mente». Riferendosi, poi, «ai dottori della legge che perseguitavano Gesù», il Papa ha ricordato che «facevano tutto quello che era prescritto dalla legge, avevano il diritto in mano, tutto, tutto, tutto. Ma la loro mentalità era una mentalità lontana da Dio, era una mentalità egoista, centrata su loro stessi: il loro cuore era un cuore che condannava». Vivevano, insomma, «sempre condannando». Ma ecco che «la nuova alleanza ci cambia il cuore e ci cambia la mente: c’è un cambio di mentalità». Riprendendo il passo della lettera agli Ebrei, il Pontefice ha messo in evidenza come «poi il Signore va avanti: “Porrò le mie leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro cuori. Perché io perdonerò le loro iniquità e non mi ricorderò più dei loro peccati”». Proprio riflettendo su queste parole, ha aggiunto Francesco, «a volte a me piace pensare, un po’ scherzando col Signore: “Tu non hai una buona memoria!”». Questa «è la debolezza di Dio: quando Dio perdona, dimentica, dimentica». Tanto che «il Signore non dirà mai “me la pagherai!”: lui dimentica, perché perdona». Davanti «a un cuore pentito, perdona e dimentica: “Io dimenticherò, non ricorderò i loro peccati”». E «anche questo è un invito a non far ricordare al Signore i peccati, cioè a non peccare più: “Tu mi hai perdonato, tu hai dimenticato, ma io de- Nomina episcopale La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Papua Nuova Guinea. Pedro Baquero vescovo di Kerema (Papua Nuova Guinea) vo...”». Si tratta, appunto, di un vero «cambio di vita: la nuova alleanza mi rinnova e mi fa cambiare la vita, non solo la mentalità e il cuore, ma la vita». Essa spinge a «vivere così, senza peccato, lontano dal peccato». E «questa è la ri-creazione: così il Signore ricrea noi tutti». Il passo della lettera agli Ebrei propone poi «un terzo tratto, un cambiamento di appartenenza». Si legge infatti: «Sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo». È «quell’appartenenza» che porta a dire: «Tu sei l’unico Dio per me, gli altri dèi non esistono». Perché, ha aggiunto Francesco, «gli altri dei, come diceva un anziano che ho conosciuto, sono stupidaggini: “tu solo sei il mio Dio e io sono tuo, questo popolo è tuo”». Dunque, ha insistito il Pontefice, «cambio di mentalità, cambio di cuore, cambio È nato a Manila, nelle Filippine, il 15 settembre 1970. Ha frequentato le scuole primarie e secondarie presso i salesiani a Pampanga. Entrato nel 1989 nel noviziato della Società salesiana di San Giovanni Bosco, ha emesso i voti temporanei il 1° aprile 1990. Ha svolto gli studi filosofici nel collegio Don Bosco a Canlubang, in Laguna, e quelli teologici nel centro studi Don Bosco a Paranaque, in Manila. Dopo aver emesso i voti perpetui, è stato ordinato sacerdote l’8 dicembre 1999 nel santuario Mary help of Christians di Manila. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: parroco a Lariau, diocesi di Kerema, in Papua Nuova Guinea (2000-2006); consigliere nella comunità salesiana in Lariau (2000-2004); direttore della scuola salesiana di Lariau (2004-2006); parroco ad Araimiri, diocesi di Kerema (2006-2008); direttore della scuola salesiana ad Araimiri (2006-2010); direttore della scuola tecnica di Gabutu, Port Moresby (2010-2013); delegato superiore dei salesiani in Papua Nuova Guinea e Isole Salomone (2014-2016). Dal 2016 è vice provinciale della nuova provincia salesiana di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone. di vita e cambio di appartenenza: questa è la ri-creazione che il Signore fa più meravigliosamente che la prima creazione». In conclusione, Francesco ha suggerito di chiedere «al Signore di andare avanti in questa alleanza, di essere fedeli; il sigillo di questa alleanza, di questa fedeltà, essere fedele a questo lavoro che il Signore fa per cambiarci la mentalità, per cambiarci il cuore». Ricordando sempre che «i profeti dicevano: “Il Signore cambierà il tuo cuore di pietra in cuore di carne”». Ecco allora, ha riaffermato il Papa, l’impegno a «cambiare il cuore, cambiare la vita, non peccare più e non fare ricordare al Signore quello che ha dimenticato con i nostri peccati di oggi, e cambiare l’appartenenza: mai appartenere alla mondanità, allo spirito del mondo, alle stupidaggini del mondo, soltanto al Signore». Il cardinale segretario di Stato a Davos La crisi dell’Unione europea, le sfide imposte dall’emergenza migrazioni, l’importanza di una politica di disarmo, la difesa della giustizia e della libertà religiosa: sono alcuni dei fronti dell’attività diplomatica della Santa Sede alla quale Papa Francesco, sin dalla sua elezione, ha dato tre obbiettivi fondamentali da perseguire: «lottare contro la povertà», «costruire ponti» attraverso la ricerca costante del dialogo, «raggiungere la pace nel mondo». Su queste linee si muove la Santa Sede «cercando di intervenire nelle situazioni in cui è possibile intervenire». Lo ha detto il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin intervenendo, mercoledì 19 gennaio a un colloquio su «I valori umani e il ruolo fondamentale svolto dall’eredità culturale e religiosa, in un momento di rapida trasformazione globale», tenuti a Davos, in Svizzera, in occasione del quarantasettesimo World Economic Forum. Quello del porporato è stato un intervento ad ampio spettro con la consapevolezza di chi, in un mondo sempre più tecnologizzato e governato da logiche «di mercati e di economia», rivendica il ruolo della religione: «La religione — ha detto — non può essere relegata a una dimensione privata. Non si tratta soltanto di una dimensione legata ai sentimenti delle persone: la religione ha qualcosa da dire anche sulla scena pubblica. Certamente in dialogo con tutte le fedi». Il cardinale ha infatti specificato che la Chiesa cattolica non pretende, in tal senso, alcun privilegio: «Viviamo in una società pluralistica, caratterizzata da tante religioni, ed è importante che le autorità riconoscano il loro ruolo pubblico». E a proposito della collaborazione e del dialogo tra le religioni, ha affrontato anche il delicato tema del terrorismo di matrice fondamentalista: «Il terrorismo può essere una espressione del credo religioso, ma noi pensiamo che sia una chiara manipolazione della religione», e ha aggiunto: «Il Pontefice ha detto tante volte che la fede in Dio non può essere ricondotta a questi terribili atti contro le persone e contro l’umanità». Le religioni possono, invece, e devono essere strumenti di pace, e perciò «uno dei principali obbiettivi dell’azione della Santa Sede — ha specificato il segretario di Stato — è proteggere, difendere e promuovere la libertà religiosa che è il primo dei diritti umani», infatti «se la libertà religiosa è protetta, anche gli altri diritti Sulla paura non si costruisce la pace umani vengono tutelati e promossi». Quando la Chiesa parla di libertà religiosa, ha aggiunto, sta facendo «qualcosa per tutti», anche perché «non si tratta solo di difendere e promuovere i diritti dei credenti», ma «di difendere e proteggere la stessa persona umana» che non può essere «ridotta soltanto a una dimensione materiale». Bisogna tutelare la sua «dimensione trascendente». Portando in un dettaglio più concreto le sue affermazioni, il cardinale Parolin ha, per esempio, toccato il tema dell’Unione europea: «Dobbiamo riconoscere — ha detto — che sta vivendo un periodo di crisi». Per superarlo «è necessario dare oggi nuovamente un’anima all’Europa» e «tor- nare ai padri fondatori», uomini «di grandi e profonde convinzioni, che volevano un’Europa fatta di persone, di idee, di una idea comune, e non soltanto un’Europa fatta di mercati e di economia». In questo modo, forse, si potrà meglio affrontare anche la drammatica questione dell’immigrazione: «La grande sfida oggi è come rendere le differenze non una fonte di scontro ma di arricchimento reciproco». Nel vecchio continente, ha sottolineato il porporato, «c’è la paura di perdere la propria identità, ma la chiusura e la non accettazione dell’altro sono attitudini che ci impoveriscono e non ci fanno progredire». Fondamentale, ha suggerito, sarebbe final- mente «l’elaborazione di una politica comune». Non si costruisce sulla paura: seguendo questo pensiero il segretario di Stato ha anche affrontato i temi della pace e del disarmo: «La pace — ha detto — è frutto della giustizia», perciò «se vogliamo la pace dobbiamo lavorare per la giustizia. In questo senso, stiamo riflettendo con la comunità internazionale sulla moralità del concetto di deterrenza nucleare. Ancora una volta dobbiamo dire che una pace costruita sulla paura non è pace». Sempre mercoledì, intervistato dal «Wall Street Journal», il cardinale Parolin ha anche toccato il delicato tema dei rapporti tra la Santa Sede e la Cina: «Da al- cuni anni abbiamo ripreso il nostro dialogo per provare a superare le passate difficoltà». Il «fardello della storia», ha aggiunto, richiede un «dialogo graduale» e «grande pazienza», ma «siamo ottimisti». Lo scopo, ha concluso il porporato, è soprattutto quello di garantire «una vita normale per i cattolici cinesi». Il giorno successivo, invece, interpellato dall’inviato della «Repubblica», il porporato è intervenuto sull’insediamento del presidente statunitense Donald Trump, ribadendo, da parte della Chiesa l’atteggiamento che essa ha «verso tutti i poteri e le autorità, al di là delle specificità dell’una o dell’altro», e cioè: «Si collabora con tutto ciò che c’è di buono; si assume un atteggiamento critico quando ci sono decisioni che non rispondono a quelli che sono i valori del Vangelo che salvano la dignità delle persone». Il coro della Westminster Abbey a Roma insieme alla Cappella musicale pontificia Segno verso l’unità di MASSIMO PALOMBELLA* Anche quest’anno, in occasione della prossima festa della conversione di san Paolo e della chiusura della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, la Cappella musicale pontificia Sistina si unirà, nell’ambito del dialogo ecumenico, a un coro non cattolico. Sarà infatti a Roma il coro anglicano della Westminster Abbey che il 24 gennaio terrà un concerto — insieme alla Sistina — nella basilica di San Giovanni in Laterano. I due cori canteranno insieme ai vespri presieduti da Papa Francesco il 25 gennaio nella basilica di San Paolo fuori le Mura. È dal 2012 che ogni anno si rinnova una sorta di gemellaggio con un prestigioso coro non cattolico in occasione della celebrazione della solennità dei santi Pietro e Paolo nella basilica vaticana. Un cammino affascinante e arricchente, inaugurato proprio con il coro della Westminster Abbey, e dopo il quale sono giunti a Roma il Thomanerchor di Lipsia, il coro ortodosso del Patriarcato di Mosca, il coro del New College di Oxford, il Kammerchor der Frauenkirche Dresden, il Windsbacher Knabenchor e i cori delle cattedrali di Winchester e Canterbury. Si tratta, senza dubbio, di una forte esperienza spirituale. Ciò che nel cristianesimo è stato separato per vicende storiche e politiche, ha mantenuto profonda e solida unità nell’arte, e può continuamente trovare anche oggi punti d’incontro nell’intelligente frequentazione delle fonti comuni. In questa maniera la cappella musicale pontificia si inserisce in modo fecondo in un ambito indicato chiaramente dal concilio Vaticano II, quello del dialogo ecumenico. La Cappella Sistina è la più antica formazione corale del mondo. Troviamo infatti tracce di cantori al servizio del Papa fin dai primi secoli della Chiesa e sappiamo che Gregorio Magno nel 597 per l’evangelizzazione dell’Inghilterra, insieme ai monaci, inviò anche dei cantori. La cappella musicale del Papa ha così seguito tutte le vicende della liturgia pontificia e, passando per tante riforme, è giunta ai giorni nostri in cui ha naturalmente acquisito i principi della riforma liturgica del Vaticano II, un concilio che ci interpella profondamente sul dialogo con la modernità e la cultura. Del resto, leggendo la sua storia, la Sistina ha vissuto i suoi momenti di massimo splendore proprio quando, pienamente inserita nell’oggi, sperimentava nuovi linguaggi, aveva tra i suoi cantori i migliori musicisti d’Europa, respirava cum ecclesia. E oggi, per esempio, intraprendendo seriamente la strada tracciata dal concilio, la Cappella musicale pontificia ha rivisitato ormai da qualche tempo un certo modo di cantare atto a produrre forti e possenti “suoni basilicali”. Impegnarsi seriamente nelle sfide che il Vaticano II ci ha lasciato, significa per la Cappella Sistina studiare e lavorare in modo professionale esclusivamente per la Chiesa e per l’evangelizzazione. Il cammino ecumenico diviene allora un dovere e non una possibilità. E lavorare con il più prestigioso coro anglicano sarà il segno tangibile di una volontà di camminare insieme nel tentativo di anticipare nella storia quella desiderata unità che tutti cerchiamo. *Maestro della Cappella musicale pontificia Sistina