lunedì-martedì 20-21 febbraio 2017
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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLVII n. 42 (47.476) Città del Vaticano lunedì-martedì 20-21 febbraio 2017 . All’Angelus il Pontefice lancia un nuovo appello per la fine delle violenze Ennesimo fatto di sangue nel Nord Kivu Vicino alle popolazioni congolesi Civili massacrati a colpi di machete «Sento forte il dolore per le vittime, specialmente per tanti bambini strappati alle famiglie e alla scuola» nella Repubblica democratica del Congo. La “tragedia” dei bambini soldato è stata ricordata da Papa Francesco all’Angelus di domenica 19 febbraio. Addolorato per le «notizie di scontri violenti e brutali nella y(7HA3J1*QSSKKM( +/!z!$!$!=! Il Papa e i bambini Forse è inevitabile che la notizia della visita del Papa in una parrocchia romana sia limitata quasi solo a veloci filmati televisivi, a qualche breve frase, con cronache e accenni di commento, che pure aiutano. Ma chi voglia davvero capire il Pontefice al di là di stereotipi che non corrispondono alla realtà deve guardare proprio alle ore che il vescovo di Roma, visitando le parrocchie della sua diocesi, trascorre senza fretta con i fedeli. Qui infatti si coglie la sua vicinanza alla gente, ai bambini, alle mamme che portano in braccio i loro bimbetti, agli anziani: una capacità di incontro basata spesso solo sull’ascolto, su una preghiera in silenzio e a occhi chiusi, su una benedizione, invocata dal Pontefice a Ponte di Nona anche su alcuni musulmani. Una vicinanza che Bergoglio nella sua vita precedente di religioso e poi di vescovo ha sempre mostrato verso tutti, cercando d’incontrare i lontani, i trascurati, i poveri, e come ha ricordato durante la sede vacante. «La Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria» aveva detto, delineando poi il profilo del Papa da eleggere, «un uomo che, attraverso la contemplazione di Gesù Cristo e l’adorazione di Gesù Cristo, aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso le periferie esistenziali». Colpiscono dunque le immagini di Francesco nella parrocchia romana circondato da ragazzini, ma più ancora fa riflettere il dialogo con loro, straordinario nella sua semplicità, sulla figura papale. Dialogo subito indirizzato all’essenziale — perché sei diventato Papa? — e subito trasformato in un’efficacissima lezione di catechismo e di storia, che non sarà dimenticata perché raccontata in prima persona dall’eletto che, paziente, incalzava i bambini. L’importante? Soprattutto «si prega», poi «il Signore invia lo Spirito santo e lo Spirito santo aiuta nell’elezione». E chi viene scelto «forse non è il più intelligente, forse non è il più furbo, forse non è il più sbrigativo per fare le cose, ma è quello che Dio vuole per quel momento della Chiesa». Poi, «arriverà un altro, che sarà differente, sarà diverso, forse sarà più intelligente o meno intelligente, non si sa, ma arriverà quest’altro nello stesso modo: eletto dal gruppo dei cardinali sotto la luce dello Spirito santo». Ecco dunque il Papa, spiegato non solo ai bambini, in un tempo in cui, anche nella Chiesa, qualcuno rischia di dimenticare il sentire cattolico. E le difficoltà? «Ci sono e ci saranno, ma non bisogna spaventarsi, le difficoltà si superano, si va avanti, con la fede, con la forza, con il coraggio» ha risposto Francesco. Che va avanti, appunto, con fede, forza e coraggio. g.m.v. KINSHASA, 20. Almeno 25 civili di etnia hutu sono stati massacrati a colpi di machete nel nord Kivu, nella Repubblica democratica del Congo, precisamente nel villaggio di Kyaghala, ad opera dei miliziani Mai Mai del gruppo Nande. Ma il copione non è nuovo. In questa provincia orientale del paese africano il dramma si ripete da decenni, con tanto di conflitto dichiarato nel 2004, pace annunciata nel 2008 e guerra civile mai interrotta. Si contano oltre 60 gruppi armati e si parla, anche oggi, di scontri interetnici. Ma, in realtà, per capire le ragioni di tanta conflittualità bisogna guardare alle preziose materie prime di cui questa provincia è particolarmente ricca. Il nord Kivu è una delle 26 province della Repubblica democratica del Congo, si estende per circa 500.000 km² e conta una popolazione di circa 5,6 milioni di persone, di cui un milione e 600.000 risultano sfollate. Attacchi armati contro i villaggi, massacri, furti, sequestri di persona, stupri, estorsioni rendono il contesto umanitario drammatico. Mai Mai è il nome che identifica un gruppo secessionista che si batte ufficialmente per la separazione e l’indipendenza di questa zona, vicina a Uganda, Rwanda, Burundi. Tra giugno 1960 e gennaio 1963, la regione del Kasai Centrale» che continuano a giungere dal Paese africano, il Pontefice ha rilanciato «un accorato appello alla coscienza e alla responsabilità delle autorità nazionali e della comunità internazionale, affinché si prendano decisioni adeguate e tempestive». Quindi ha chiesto ai fedeli presenti in piazza San Pietro di recitare un’avemaria anche «per tutte le popolazioni che in altre parti del continente africano e del mondo soffrono a causa della violenza e della guerra», come per esempio «le care popolazioni del Pakistan e dell’Iraq, colpito da crudeli atti terroristici nei giorni scorsi. Preghiamo ardentemente — ha detto — che ogni cuore indurito dall’odio si converta alla pace, secondo la volontà di Dio». E il tema del perdono come atteggiamento cristiano da opporre alla violenza della vendetta era stato anche al centro della meditazione prima della preghiera mariana. Incentrata sull’invito di Cristo a porgere l’altra guancia, contenuto nel vangelo domenicale, la riflessione del Pontefice è stata riproposta anche durante la visita pomeridiana alla parrocchia romana di Santa Maria Josefa del Cuore di Gesù, a Ponte di Nona. PAGINA 8 L’Onu chiede protezione per gli oltre 750.000 civili intrappolati nei quartieri in mano all’Is Scatta l’offensiva per conquistare Mosul est BAGHDAD, 20. È iniziata in Iraq la dura offensiva dell’esercito per riconquistare la parte occidentale di Mosul, ancora nelle mani degli uomini del cosiddetto stato islamico (Is), dove oltre 750.000 persone sono intrappolate. A dare l’annuncio è stato ieri il premier Al Abadi che ha assicurato: «Libereremo i nostri cittadini dal terrore dell’Is. Spazzeremo via dalla nostra grande nazione ogni terrorista». Le forze di Baghdad puntano dritto verso l’aeroporto. A quattro mesi dall’inizio della grande offensiva, e a un mese dalla liberazione dei quartieri orientali, centinaia di blindati e tank, appoggiati da caccia- bombardieri ed elicotteri, sono avanzati dal deserto da sud-ovest. Due quartieri sarebbero già stati liberati, oltre alla centrale elettrica di Al Lazaka, stando al portavoce dell’esercito, che parla anche di dure perdite inflitte ai jihadisti. La maggiore preoccupazione è quella riguardante i civili, troppo spesso fatti oggetti di violenze e usati come “scudi umani” da parte dei miliziani. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno lanciato un appello per la loro protezione. Il coordinatore umanitario dell’Onu in Iraq, Lise Grande, ha chiesto «a tutte le parti» che assicurino «la sopravvivenza dei civili». In base ai dati dell’Onu, nelle zone ad ovest della città sono intrappolati circa 350.000 bambini bisognosi di cure urgenti, come denuncia l’organizzazione internazionale Save The Children che chiede ai soldati iracheni — e ai loro alleati, inclusi Gran Bretagna e Stati Uniti — di fare il possibile per proteggere i piccoli e le famiglie evitando di colpire scuole e ospedali. Intanto, ieri due miliziani dell’Is si sono fatti saltare in aria, uccidendo tre persone e ferendone almeno dodici nei pressi di un ristorante ad Al Zuhur. regione è diventata di fatto indipendente con il nome di stato del Katanga. Da anni è terreno di confronto tra gruppi che provengono dai paesi limitrofi e da bande locali. Tutti si contendono il traffico illegale di oro e diamanti. I Mai Mai non sono neanche i più noti. Da anni il gruppo di guerriglia di origine ugandese Forze democratiche alleate (Adf) si distingue per l’efferatezza delle violenze, anche contro bambini. E non ha mai realmente perso potere il gruppo di origine rwandese Forze democratiche per la Liberazione del Rwanda (Fdlr), da più di 20 anni insediatosi nell’area. Così come le Forze Nazionali di Liberazione del Burundi (Fnl). In questi anni, le forze governative hanno sferrato offensive contro questi gruppi armati e hanno ciclicamente annunciato di averli sconfitti, ma di fatto i gruppi aumentano il loro potere. Sono sempre più indipendenti dai paesi di origine e frammentati. Nel 2008 erano solo una ventina. Poi ci sono state molte suddivisioni. I gruppi principali contano circa 2000 affiliati ma poi ci sono tante piccole formazioni di non più di 200 uomini. Il punto è che nei rapporti delle Nazioni Unite si legge sempre più insistentemente di infiltrazioni di componenti jihadiste. Intanto, tutto il Congo è alle prese con l’instabilità politica. Dal 19 dicembre è scaduto il mandato del presidente Joseph Kabila, da 16 anni al potere, ma non è stato ancora possibile indire elezioni. Nella capitale Kinshasa, ieri, è stata saccheggiata la parrocchia di Saint Dominique. Era l’alba di un giorno di celebrazioni. Dodici ragazzi hanno rubato tutto. Nessuna rivendicazione e nessun intervento a fermarli. In due saggi su «Le Débat» I migranti dividono l’Europa CHARLES DE PECHPEYROU A PAGINA 5 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza: l’Eminentissimo Cardinale Agostino Vallini, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma; le loro Eccellenze i Monsignori: — Guillermo Patricio Vera Soto, Vescovo di Iquique (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Oscár Hernán Blanco Martínez, Vescovo di San Juan Bautista de Calama (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Moisés Carlos Atisha Contreras, Vescovo di San Marcos de Arica (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Fernando Natalio Chomalí Garib, Arcivescovo di Concepción (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Carlos Eduardo Pellegrín Barrera, Vescovo di Chillán (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Pedro Felipe Bacarreza Rodríguez, Vescovo di Santa María de los Ángeles (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Héctor Eduardo Vargas Bastidas, Vescovo di Temuco (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Ignacio Francisco Ducasse Medina, Vescovo di Valdivia (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Francisco Javier Stegmeier Schmidlin, Vescovo di Villarrica (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — René Osvaldo Rebolledo Salinas, Arcivescovo di La Serena (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Celestino Aós Braco, Vescovo di Copiapó (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Jorge Patricio Vega Velasco, Prelato di Illapel (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Cristián Caro Cordero, Arcivescovo di Puerto Montt (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Juan de la Cruz Barros Madrid, Vescovo di Osorno (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Bernardo Miguel Bastres Florence, Vescovo di Punta Arenas (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Juan María Agurto Muñoz, Vescovo di San Carlo de Ancud (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; l’Eminentissimo Cardinale Ricardo Ezzati Andrello, Arcivescovo di Santiago de Chile (Cile), con i Vescovi Ausiliari, le Loro Eccellenze i Monsignori Luis Fernando Ramos Pérez, Vescovo titolare di Tetci, Pedro Mario Ossandón Buljevic, Vescovo tito- lare di La Imperial, Galo Fernández Villaseca, Vescovo titolare di Simingi, Jorge Enrique Concha Cayuqueo, Vescovo titolare di Carpi, in visita «ad limina Apostolorum»; le Loro Eccellenze i Monsignori: La visita «ad limina» dei vescovi del Cile Nella mattina di lunedì 20 febbraio Papa Francesco ha ricevuto i vescovi della Conferenza episcopale del Cile in visita «ad limina Apostolorum» — Tomislav Koljatic Maroevic, Vescovo di Linares (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Cristián Contreras Villarroel, Vescovo di Melipilla (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Alejandro Goić Karmelić, Vescovo di Rancagua (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Juan Ignacio González Errázuriz, Vescovo di San Bernardo (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Cristián Enrique Contreras Molina, Vescovo di San Felipe (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Horacio del Carmen Valenzuela Abarca, Vescovo di Talca (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Gonzalo Duarte García de Cortázar, Vescovo di Valparaíso (Cile), in visita «ad limina Apostolorum»; — Santiago Jaime Silva Retamales, Vescovo Ordinario Militare per il Cile, in visita «ad limina Apostolorum»; — Luigi Infanti Della Mora, Vescovo titolare di Cartenna, Vicario Apostolico di Aysén (Cile), in visita «ad limina Apostolorum». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 lunedì-martedì 20-21 febbraio 2017 Il ministro degli esteri russo alla conferenza di Monaco (Afp) Imminente il varo di un nuovo provvedimento Trump insiste sull’immigrazione Tra governativi e separatisti Tregua nell’est ucraino KIEV, 20. Un cessate il fuoco tra forze governative e ribelli separatisti è entrato in vigore da oggi nelle regioni russofone dell’Ucraina orientale. La notizia era stata anticipata da Serghiei Lavrov, ministro degli esteri di Mosca, in chiusura dei lavori della Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera, dove si è tenuta anche una riunione del cosiddetto “Quartetto di Normandia” (Francia, Germania, Russia e Ucraina). Lavrov ha spiegato che la nuova tregua è frutto di un accordo «positivo» raggiunto con gli omologhi ucraino, tedesco e francese. In base all’intesa, saranno ritirati gli armamenti pesanti. Tuttavia, ha aggiunto il ministro russo in una nota, l’incontro di Monaco non ha prodotto «progressi importanti» in vista di una soluzione del conflitto, che da quattro anni incendia l’est ucraino. Il capo della diplomazia del Cremlino ha aggiunto che non si è discusso del decreto con cui il presidente, Vladimir Putin, ha dato ordine alle competenti autorità russe di riconoscere automaticamente la validità dei documenti rilasciati nelle aree filo-russe a chi risieda in modo permanente nelle regioni separatiste del Donbass. Si tratta — si legge nel decreto — degli abitanti delle «regioni ucraine di Donetsk e Lugansk», vale a dire sotto il controllo dei secessionisti filo-russi, tanto se già siano «cittadini» della Repubblica ex sovietica quanto se siano «privi di nazionalità». Il provvedimento ha forza di legge ed è immediatamente esecutivo, ma nella nota ripresa dalle agenzie di stampa internazionali, si precisa che la sua validità è «provvisoria», pertanto rimarrà in vigore solo fino al raggiungimento di una «soluzione politica della situazione» nelle aree russofone, «sulla base degli accordi di Minsk». Intanto, la situazione umanitaria è sempre più preoccupante. Nei giorni scorsi l’Unicef ha fatto sapere che sono oltre 19.000 i bambini che ogni giorno affrontano gravi pericoli nelle regioni ucraine orientali coinvolte dal sanguinoso conflitto. Gli esiti del vertice di Monaco Equilibri mondiali BERLINO, 20. I leader devono creare «un ordine mondiale più equo». Sono parole del ministro degli esteri russo, Serghei Lavrov, a Monaco, dove ieri si è conclusa la Conferenza sulla sicurezza. Questa cinquantatreesima edizione del grande vertice, che si tiene ogni anno nel capoluogo bavarese, è stata segnata dal termine incertezza ripetuto da quasi tutti gli oratori. Lavrov ha affermato: «Siamo categoricamente in disaccordo con chi accusa la Russia, e i nuovi centri d’influenza mondiali, del tentativo di silurare il cosiddetto ordine mondiale liberale», sottolineando come «la crisi di questo modello era prevedibile» in quanto «l’architettura economico-politica della globalizzazione è stata realizzata per garantire la crescita di un club elitario di stati e del suo dominio su tutti gli altri». A proposito di equilibri, da parte sua, Angela Merkel, cancelliere della Germania, in apertura aveva lanciato un forte appello a «rafforzare le strutture multilaterali come Ue, Nato e Onu». E nel suo intervento il vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, ha affermato: «Vi assicuro, nel nome del presidente Trump, che gli Stati Uniti d’America sostengono la Nato e adempiranno in modo incrollabile ai propri doveri, per l’alleanza transatlantica». Esplicita anche la garanzia che Washington non tradirà l’Unione europea, e ne resterà il migliore alleato. Il numero due della Casa Bianca ha ribadito però che nell’Alleanza vanno mantenuti gli impegni. Pence ha ricordato che il due per cento di investimenti, che si era deciso di destinare alla difesa nel 2014, è rispettato soltanto da quattro paesi su 28, avvertendo: «È tempo di fare di più». Berlino aveva previsto la richiesta statunitense sul budget e Angela Merkel, aprendo i lavori, prima di lui, aveva promesso massimo impegno dalla Germania per adempiere agli obblighi. Nell’ultima giornata, nel panel con i ministri degli esteri saudita, turco e iraniano, il ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman ha parlato di tentativi dell’Iran di destabilizzare l’Arabia Saudita, e ha invitato i paesi arabi sunniti al dia- A Barcellona manifestazione in controtendenza Corteo per l’accoglienza MADRID, 20. Un lungo corteo a favore dell’accoglienza verso i migranti. Decine di migliaia di persone hanno manifestato a Barcellona per chiedere al governo spagnolo di accogliere più rifugiati. La manifestazione, che si è tenuta sabato pomeriggio, è stata organizzata dall’associazione “Casa Nostra Casa Vostra” e ha visto la partecipazione di Ada Colau, dal 2015 sindaca della città ed esponente del partito Barcelona en Comú, centrosinistra. Secondo la polizia, vi hanno partecipato circa 160.000 persone, mentre gli organizzatori hanno parlato di 300.000 persone. La manifestazione è stata organizzata perché la Spagna — così come molti altri paesi — ha accolto molti meno richiedenti asilo rispetto agli impegni presi nel 2015, quando acconsentì al cosiddetto sistema delle quote. Tale sistema, deciso in sede di Consiglio europeo, è stato più volte messo in discussione da diversi paesi membri. Stando ai dati diffusi dagli organizzatori, la Spagna ha accolto finora circa 1100 richiedenti asilo, molti meno degli oltre 16.000 che si era impegnata ad accogliere nei due anni successivi. In Catalogna sono stati occupati un terzo dei 1250 posti che erano stati messi a disposizione dei rifugiati. Renzi si è dimesso da segretario del Pd ROMA, 20. L’ex presidente del Consiglio dei ministri italiano Matteo Renzi si è dimesso ufficialmente da segretario del Partito democratico (Pd). La decisione è stata resa nota ieri, domenica, durante i lavori dell’assemblea nazionale del partito che dureranno fino a martedì. A seguire si terrà la riunione della direzione, che nominerà una commissione di garanzia, mentre le primarie dovrebbero tenersi prima delle elezioni amministrative di maggio. Renzi ha affermato di volersi ricandidare alla guida del partito, nonostante la minoranza gli avesse chiesto un passo indietro minacciando in caso contrario la fuoriuscita. «Scissione — ha detto il segretario dimissionario dal palco dell’assemblea in corso a Roma — è una delle parole peggiori del vocabolario politico. Peggio di “scissione” c’è solo “ricatto”. Un grande partito non può accettare di essere fermato dal ricatto di una minoranza». GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio BRUXELLES, 20. Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, «non si dimetterà». Lo ha detto oggi il portavoce, Mina Andreeva, in merito a indiscrezioni di stampa, secondo le quali Juncker sarebbe pronto alle dimissioni a marzo. Il presidente Juncker, secondo Andreeva, «è qui per restare, e combattere tutte le crisi che l’Europa sta affrontando, dalla Brexit a quella sull’immigrazione. È motivato come il primo giorno». Intanto, ha preso il via oggi a Londra alla camera dei lord l’esame sul progetto di legge sulla Brexit. Una legge già approvata a schiacciante maggioranza dalla camera dei comuni (494 voti a favore e 122 contro), che dà il via libera all’avvio dell’iter formale di separazione dall’Unione europea: iter che il governo conservatore del premier, Theresa May, si è impegnato a fare scattare entro la fine di marzo. Il testo arriva, dunque, alla camera dei lord, dove il partito conserva- Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione La manifestazione a Barcellona (Ap) Juncker resta al suo posto A essere critici sulla gestione del partito, di cui si chiede un deciso cambio di direzione, è l’ala sinistra del Pd, di cui fanno parte le correnti legate a leader storici come Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema, e i cui esponenti di prima linea sono Michele Emiliano, Enrico Rossi e Roberto Speranza. Questi, nella serata di domenica, hanno diffuso una dichiarazione comune nella quale si lamenta come, nonostante «un ennesimo generoso tentativo unitario», questo «è purtroppo caduto nel nulla. Abbiamo atteso invano — scrivono — un’assunzione delle questioni politiche che erano state poste», ma «è ormai chiaro che è Renzi ad aver scelto la strada della scissione assumendosi così una responsabilità gravissima». Secondo le ultime indiscrezioni potrebbe nascere in parlamento un gruppo comune con fuoriusciti del Pd e Sinistra italiana, che comunque appoggerebbe il governo Gentiloni. L’OSSERVATORE ROMANO logo per battere i fondamentalisti. Il ministro degli esteri iraniano, Javad Zarif, ha detto: «L’Iran è impermeabile alle minacce, risponde con il rispetto». Della crisi in Siria e della lotta all’Is ha parlato l’inviato speciale dell’Onu Staffan de Mistura: «Se si vuole battere l’Is serve, per quanto sia complicato e perfino lontano, una politica di inclusione, una soluzione credibile per la Siria». WASHINGTON, 20. La «sicurezza è un diritto civile, e ci batteremo per rendere l’America di nuovo sicura». Con queste parole il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha difeso il bando agli immigrati provenienti da sette paesi a maggioranza musulmana disposto dalla sua amministrazione. Il capo della Casa Bianca ha criticato la decisione della Corte d’appello di sospendere il provvedimento e ha annunciato che «a giorni» arriverà una nuova misura che riproporrà il bando anche se con alcuni aggiustamenti rispetto al testo iniziale. Il secondo bando, attualmente allo studio, sarà più preciso e conciso per evitare nuovi problemi giudiziari. La misura, secondo fonti di stampa, riguarderà i sette paesi del precedente decreto, ma assicurerà che non ci siano blocchi per chi sarà in viaggio verso gli Stati Uniti quando il provvedimento entrerà in vigore e dovrebbe escludere dalla stretta i possessori della carta verde. Non è ancora chiaro se includerà anche il bando indefinito ai rifugiati siriani. Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va Incertezza in Ecuador sull’esito delle presidenziali tore è in minoranza, che lo dibatterà oggi e domani, poi altri due giorni la prossima settimana e infine in terza lettura il 7 marzo. Il governo, indicano gli analisti, auspica che i lord approvino il disegno di legge senza emendamenti, evitando un secondo passaggio alla camera dei comuni. Questo permetterebbe a May di fare ricorso formale all’articolo 50 del Trattato di Lisbona, avviando la procedura di uscita dalla Ue forse già al vertice europeo, in programma a Bruxelles il 9 e 10 marzo prossimi. Ieri, il ministro della giustizia, Liz Truss, ha invitato i lord «a riconoscere la volontà del popolo britannico» che nel referendum del 23 giugno scorso ha votato con il 52 per cento l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Sempre oggi, è previsto il dibattito in parlamento sulla petizione che chiede l’annullamento dell’annunciata visita a Londra del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale «Il presidente sta contemplando un decreto, al quale questa volta avrò la possibilità di lavorare», soprattutto nella sua attuazione, assicurando che «nessuno resti bloccato nel sistema mentre è in transito, come accaduto con il primo decreto», ha detto il segretario al dipartimento per la Sicurezza nazionale, John Kelly, sottolineando che il bando è solo un intervento provvisorio per concedere alle autorità il tempo necessario per valutare i sistemi di controllo dei sette paesi nella lista. «Vogliamo che entri chi ama il nostro paese e rispetta i nostri valori», ha detto Trump in un comizio a Melbourne, in Florida. Un’occasione per tornare a rivolgersi direttamente agli americani e attaccare i media definiti «disonesti». Il presidente ha fatto inoltre riferimento a un presunto attentato terroristico in Svezia venerdì scorso. Un attacco che però non si è mai verificato e che potrebbe essere frutto, secondo alcune interpretazioni, di confusione fra il paese scandinavo e la città di Sehwan, in Pakistan, dove 85 persone sono morte in un attacco suicida proprio venerdì. L’ambasciata svedese a Washington ha fatto sapere di aver chiesto spiegazioni in proposito al dipartimento di Stato. «Abbiamo posto la domanda, stiamo cercando di avere chiarezza», ha affermato la portavoce del ministero degli Esteri di Stoccolma, Catarina Axelsson. Intanto manifestazioni di protesta contro l’amministrazione americana si sono registrate in diverse città degli Stati Uniti. Sabato, riferisce Nbc News online, migliaia di persone sono scese in strada a Los Angeles e a Dallas, dove sono stati innalzati cartelli con scritto «gli immigrati sono benvenuti qui». A New York, in Washington Square, i manifestanti, vestiti a lutto, hanno inscenato un funerale farsa. Stessa atmosfera a New Orleans, dove i manifestanti hanno ammonito contro «la morte della verità» e della «vera democrazia». Per oggi, terzo lunedì di febbraio in cui negli Stati Uniti si celebra il compleanno di George Washington e contemporaneamente il president day, manifestazioni sono previste a Los Angeles, New York, Washington, Chicago, Kansas City, Denver, Milwaukee, Salt Lake City e Atlanta. QUITO, 20. Lenín Moreno, il candidato progressista legato al presidente uscente Rafael Correa, è in testa nelle elezioni presidenziali in Ecuador. Secondo alcuni osservatori potrebbe vincere già al primo turno, ma non è escluso il ballottaggio con il leader della destra, l’ex banchiere Guillermo Lasso. Gli altri candidati sono la conservatrice Cynthia Viteri del partito Socialcristiano, e il socialdemocratico Paco Moncayo, 76 anni, ex comandante delle Forze armate ed ex sindaco di Quito. Moreno, 64 anni, sembra destinato a portare avanti l’esperienza del cosiddetto «socialismo del XXI secolo» varato da Correa, ma con modi più moderati. Da sempre impegnato sul fronte della difesa dei più deboli, il candidato si muove con la sedia a rotelle come conseguenza di un attentato subito nel 1998. Lasso, 61 anni, incarna la destra conservatrice e si propone come un uomo che ha creato da solo il suo patri- Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 monio. Proprietario di una delle maggiori banche del paese, il Banco de Guayaquil, è il fondatore del Movimento creando oportunidades (Creo) e ha promesso la creazione di un milione di posti di lavoro. Già candidato nel 2013, era stato allora sconfitto al ballottaggio dal presidente uscente Rafael Correa. Per affermarsi al primo turno Moreno deve raggiungere il 40 per cento dei voti. Per il momento, quando lo spoglio non è ancora terminato, ha raccolto quasi il 39 per cento delle preferenze, mentre Lasso è fermo al 28,50. Secondo la legge elettorale del paese, vincerà al primo turno il candidato che otterrà la maggioranza assoluta, oppure quello che otterrà il 40 per cento dei consensi a patto che il secondo arrivato abbia un ritardo di oltre 10 punti percentuali. Se sarà necessario il ballottaggio, si tornerà a votare il due aprile. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 20-21 febbraio 2017 pagina 3 Il presidente della Repubblica tunisina Beji Caid Essebsi Colpita la periferia nord-orientale Ancora bombe a Damasco DAMASCO, 20. Ancora violenze a Damasco. Ieri un intenso bombardamento ha colpito la periferia nord-orientale della capitale. Si è trattato di una grave violazione della tregua, la peggiore da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco dallo scorso dicembre. Nel bombardamento — riferiscono fonti dell’opposizione — sono stati lanciati in tutto 17 razzi. Numerosi civili sono morti. Nel quartiere sono presenti forze ribelli: i moderati dell’Esercito siriano libero e il gruppo islamista Haiat Tahrir Al Sham. E intanto ieri la Turchia ha presentato agli Stati Uniti due piani diversi per condurre un’operazione militare congiunta per liberare la città di Raqqa, roccaforte jihadista nel nord della Siria. Il governo turco ha ripetutamente sostenuto che l’operazione su Raqqa deve essere condotta da forze arabe locali, possibilmente con il sostegno di truppe turche, senza includere unità curde. Per Ankara i miliziani curdi siriani sono infatti alleati del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan) e quindi terroristi. In un incontro ieri alla base aerea di Incirlik in Turchia, il capo di Stato maggiore turco Hulusi Akar e Vertice a Tunisi sulla crisi in Libia Pronto alla mediazione il presidente Essebsi TUNISI, 20. Il presidente della Repubblica tunisina, Beji Caid Essebsi, ha detto di essere pronto a intavolare discussioni con tutte le parti libiche in conflitto al fine di favorire una soluzione politica. Tra gli interlocutori, ha precisato, ci sarà anche il generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica sostenuto dal parlamento di Tobruk. Secondo Essebsi, non esiste soluzione alla crisi al di fuori dell’intermediazione di Tunisia, Algeria, Egitto. Per questo il capo di stato ha in programma un incontro con i ministri degli esteri dei tre paesi dopo il vertice a Tunisi organizzato per fare il punto sui risultati raggiunti e sui contatti bilaterali stabiliti con le parti libiche da ognuna delle amministrazioni in vista di una soluzione politica globale della crisi. Il summit, riferisce il dipartimento degli esteri tunisino, concretizza l’iniziativa diplomatica intrapresa dal presidente Essebsi per trovare un’intesa regionale sulla crisi libica e prelude a un successivo vertice tra i tre presidenti, lo stesso Essebsi, Abdelaziz Bouteflika e Abd Al Fattah al Sisi che si terrà prima di convocare le diverse parti libiche ai negoziati. In un’intervista all’agenzia tunisina Tap, il ministro degli esteri tunisino, Khemaies Jhinaoui, ha detto che l’iniziativa diplomatica del presidente Essebsi sulla Libia si basa su quattro principi fondamentali: condurre i libici di tutte le parti politiche al dialogo, rigettare ogni soluzione militare che possa aggravare ulteriormente la crisi, invitare i protagonisti a un riavvicinamento delle proprie posizioni e attuare l’accordo di Skhirat siglato nel dicembre 2015 sotto l’egida delle Nazioni Unite. La situazione, intanto, rimane particolarmente tesa. Secondo alcune fonti, Belghasem Haftar, nipote del generale Khalifa Haftar, sarebbe stato rapito a Bengasi, apparentemente da membri della tribù Barasa. La notizia è stata lanciata dal «Libya Herald» online, che ha fatto riferimento a fonti che non trovano ancora una conferma ufficiale. Da due giorni, comunque, si sono perse le tracce di Belghasem Haftar e sembra che sia in corso una massiccia operazione nel tentativo di ritrovare l’uomo e capire cosa sia effetivamente accaduto nelle ultime qua- rantotto ore. Sempre secondo il Libya Herald online, il sequestro potrebbe essere stato attuato come rappresaglia dopo il rapimento di alcuni membri della famiglia del colonnello Faraj al Barasi, reale obiettivo del sequestro ma che è riuscito a scampare agli uomini armati che per due volte, la scorsa settimana, hanno assaltato il convoglio nel quale viaggiava. il suo omologo americano Joseph Dunford hanno discusso dei due piani per riconquistare Raqqa. L’opzione preferita da Ankara prevede che le forze speciali turche e americane, sostenute da ribelli siriani moderati, entrino in Siria attra- Una seconda opzione, meno probabile, sarebbe invece quella di andare verso Raqqa tramite la città siriana di Al Bab. A rendere questa scelta meno probabile sono però 180 chilometri di terreno montagnoso da superare. Bombe su Deraa nella regione a sud di Damasco (Afp) Trentacinque morti per un attentato Tra Stati Uniti e Israele Strage in un mercato a Mogadiscio Comitato congiunto sugli insediamenti MO GADISCIO, 20. La Somalia ripiomba nel terrore. Almeno trentacinque persone sono morte ieri in un sanguinoso attentato con un’autobomba in un affollato mercato della capitale Mogadiscio. Tra le vittime anche bambini e donne. Nell’attacco dinamitardo, hanno riferito le autorità, sono rimaste ferite anche una quarantina di persone, molte in modo grave. «Si è trattato di un atto barbaro con lo scopo di uccidere civili inermi», hanno confermato fonti delle forze di sicurezza. Anche se nessun gruppo ha ancora rivendicato l’attentato, avvenuto nell’ora di punta nel popoloso mercato Kawo-Godey, nel quartiere di Wadajir, il nuovo presidente, Mohamed Abdullah Farmajo, ha chiesto «unità contro le barbarie» perpetrate dagli estremisti islamici di Al Shabaab. La milizia jihadista aveva, infatti, avvertito che avrebbe continuato i suoi attentati anche dopo l’elezione, l’8 febbraio scorso, dell’ex primo ministro a capo dello stato. Giovedì, due bambini erano morti per il lancio di vari proiettili di mortaio nelle immediate vicinanze del palazzo presidenziale, dove il nuovo capo dello stato era riunito con il suo predecessore, Hassan Shiekh Mohamud.Negli ultimi mesi, i terroristi hanno lanciato vari attacchi contro le basi militari della missione dell’Unione africana in Somalia (Amisom), che hanno causato la morte di centinaia di soldati. Decine di civili sono morti anche nei ripetuti attacchi contro ristoranti e alberghi della capitale, un obiettivo costante del gruppo jihadista.Secondo un recente rap- porto delle Nazioni Unite ripreso dalle agenzie di stampa, gli Al Shabaab — affiliati ad Al Qaeda in Somalia, che lotta per instaurare uno stato islamico nel paese africano, dove già controlla grandi estensioni di territorio nel sud e nel centro — hanno ancora la capacità di effettuare azioni in grande scala sia in Somalia che nei paesi vicini. Secondo gli osservatori, la ripresa della sorveglianza statunitense nelle acque contese rimarca la volontà americana di presidiare la regione. Da parte cinese, il pattugliamento avviato dalla Vinson è visto invece come «una provocazione e una minaccia militare». Pur con la dura opposizione di Pechino, Washington ha avviato nel 2016 il piano sulla libertà di navigazione, inviando nella zona la Uss Decatur. «La Cina rispetta e conferma la libertà di navigazione e di volo nel Mar Cinese meridionale di cui i paesi possono usufruire con le leggi internazionali, ma si oppone con decisione ai tentativi di ogni nazione di minaccia alla sovranità e alla sicurezza in nome della libertà di navigazione e di volo», ha commentato la scorsa settimana il portavoce del ministero degli esteri cinese, Geng Shuang. GERUSALEMME, 20. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha annunciato ieri la formazione di un comitato israelo-americano per discutere degli insediamenti israeliani in Cisgiordania. L’annuncio arriva pochi giorni dopo la visita di Netanyahu a Washington e il suo incontro con il presidente Donald Trump. Migliaia di persone in piazza contro Duterte Proteste nelle Filippine MANILA, 20. Migliaia di persone sono scese in piazza ieri a Manila, capitale delle Filippine, per protestare contro il presidente Rodrigo Duterte, rispondendo all’appello dei leader religiosi, sempre più in rotta di collisione con il capo di Stato sulla questione della pena di morte, che Duterte intende ripristinare già dal prossimo mese. Al tempo stesso, le migliaia di persone che hanno protestato hanno voluto lanciare un messaggio di condanna verso la cultura della Portaerei statunitense nel Mar Cinese meridionale PECHINO, 20. La portaerei statunitense a propulsione nucleare Uss Carl Vinson ha cominciato oggi una missione di pattugliamento del Mar Cinese meridionale, insieme a una flotta di cacciatorpediniere, incrociatori e fregate. L’operazione, annunciata sabato scorso, rientra nell’ambito delle attività di routine e di addestramento nella zona, ha affermato da Washington una nota del Pentagono. Si tratta della prima missione dal 2015 della Vinson, di base a San Diego, nel Pacifico occidentale, e la prima sotto la presidenza di Donald Trump. Il segretario alla difesa americano, Jim Mattis, che di recente ha compiuto la prima visita agli alleati dell’Asia orientale, Corea del Sud e Giappone, ha sottolineato che secondo Washington la costruzione di isole artificiali nel Mar Cinese meridionale «sono atti che minacciano l’ordine internazionale». verso Tel Abyad, attualmente in mano alle milizie curde. Tale piano richiederebbe che gli Stati Uniti riuscissero a convincere la milizia curda a concedere alle forze sostenute dalla Turchia il territorio di confine sotto il loro controllo. Corteo nelle strade di Manila per protestare contro la pena di morte (Ap) violenza e contro le migliaia di omicidi extragiudiziali che da tempo si susseguono nel paese asiatico, all’interno della imponente campagna antidroga montata negli ultimi mesi dal presidente. In corteo nelle strade di Manila si sono visti circa 20.000 filippini, che hanno aderito alla marcia intitolata Walk for life con cartelli con le scritte “Scegliete la vita”, “No alla pena di morte”, e scandendo slogan ostili alla politica del pugno duro. Oltre 7600 persone legate al traffico di sostanze stupefacenti sono state uccise da quando il presidente ha lanciato la sua campagna contro la droga sette mesi fa. Più di 2500 sono, invece, i morti in sparatorie durante le operazioni delle forze dell’ordine. Gli osservatori hanno sottolineato che quella di ieri è la più imponente manifestazione di protesta nelle Filippine da quando Duterte si è insediato. Moltissimi gli esponenti della Chiesa presenti. Tra loro l’arcivescovo Socrates Villegas, presidente della conferenza dei vescovi filippini, e il cardinale Luis Antonio Tagle. Recentemente i vescovi avevano espresso profonda preoccupazione per tutte le persone uccise da esercito e polizia in quanto collegate in qualche modo al mondo della droga, e un documento era stato letto nelle chiese. E anche ieri l’arcivescovo Villegas ha ribadito a chiare lettere «il diritto per chiunque di essere giudicato da un tribunale in base alla legge senza diventare vittima di omicidi extragiudiziali». Trent’anni fa la Chiesa aveva avuto un ruolo determinante nel mobilitare i filippini contro l’allora dittatore Ferdinand Marcos, poi costretto all’esilio. Durante i colloqui alla Casa Bianca, ha spiegato Netanyahu parlando ai ministri e alla stampa all’inizio della consueta riunione settimanale di governo, si è convenuto di «creare un comitato congiunto per migliorare le relazioni tra Israele e Stati Uniti in tutte le principali aree» che sono sicurezza, intelligence, tecnologia, economia. «Ma abbiamo anche concordato di creare una commissione in un’area in cui prima non c’era accordo: intendo naturalmente gli insediamenti» ha aggiunto, usando i termini con cui Israele si riferisce alla Cisgiordania. Nell’incontro alla Casa Bianca, il loro primo da quando Trump si è insediato, il presidente aveva chiesto a Netanyahu di «soprassedere un poco sulle colonie: troveremo un qualche tipo di soluzione». Secondo il leader del Likud, la questione degli insediamenti non è al centro del conflitto e deve essere risolta «nel contesto dei negoziati di pace». Israele ha annunciato di recente la costruzione di nuove abitazioni per i coloni in Cisgiordania e a Gerusalemme est. Anche la Knesset recentemente ha adottato una legge senza precedenti che regolarizza gli insediamenti ebraici sulle terre private palestinesi nella Cisgiordania. Leader di Al Qaeda ucciso in Afghanistan KABUL, 20. Saifullah Akhtar, uno dei principali comandanti di Al Qaeda in Afghanistan, è stato ucciso in un’operazione delle forze di sicurezza afghane nella provincia centrale di Ghazni. Lo ha annunciato il governo di Kabul. E, intanto, una nuova strage si è verificata sabato contro la popolazione afghana: è di almeno dodici civili uccisi e altri quattro feriti il bilancio di un ennesimo attentato nel paese, dove una bomba a pressione è scoppiata lungo una strada della provincia orientale di Paktika quando un veicolo vi è passato sopra. Tra i morti anche otto bambini che stavano tornando a casa da scuola: lo ha denunciato Pernille Karde, vice del rappresentante speciale delle Nazioni Unite per il paese centro-asiatico, Tadamichi Yamamoto. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 lunedì-martedì 20-21 febbraio 2017 Il dualismo in una illustrazione di Descartes(1648) Le verità di una metafisica Intervista a Cartesio di TULLIO GREGORY Descartes sembra amare scenari solenni per dare un senso alla sua opera e al suo stesso impegno speculativo, chiamando anche in causa grandi interlocutori. Appena ventitreenne, «pieno di entusiasmo» per avere trovato «i fondamenti di una scienza re l’esistenza di Dio e «la reale distinzione dell’anima dal corpo»; dopo le sue prove nessuno, scrive, «vorrà revocare in dubbio» tali verità. E aggiunge che con le sue «Meditationes» intende attuare il mandato del V concilio Lateranense (1513) di confutare coloro che negano l’immortalità dell’anima individuale. Un suo obiettante si stupirà di Vie della modernità Pubblichiamo l’inizio e la conclusione di un colloquio immaginario tratti da Vie della modernità (Firenze, Le Monnier, 2016, pagine VIII + 174, euro 16). meravigliosa», ha avuto tre sogni (era la notte fra il 10 e l’11 novembre 1619), decisivi per il suo destino: sogni, secondo la sua stessa interpretazione, «venuti dall’alto» nei quali si sentiva conteso fra il «cattivo genio», il diavolo, e lo «Spirito di verità» o «Spirito di Dio» che infine scese su di lui come fulmine «per possederlo». Poco più di un decennio dopo, propone il grande scenario degli «spazi immaginari» per avere la possibilità di costruire la sua «favola del mondo»: «Lasciate — ha scritto — che per un poco il vostro pensiero esca da questo mondo per venire a vederne un altro nuovissimo che farò nascere negli spazi immaginari. I filosofi ci insegnano che questi spazi sono infiniti [...] supponiamo che Dio crei di nuovo intorno a noi tanta materia che ovunque la nostra immaginazione si estenda non scorga più alcun luogo vuoto [...]». tanta sicurezza nella propria missione e nella verità del proprio pensiero: «Quasi tu fossi sicuramente — scriveva — il solo metafisico e teologo naturale» e insinuerà che lei cercasse l’appoggio dei teologi della Sorbona per instaurare una nuova «tirannide degli ingegni». della separazione dell’anima dal corpo (da cui deriva l’immortalità dell’anima) di assoluta evidenza, quindi incontrovertibili e tali che «tutti gli errori che mai furono comunque commessi su tali questioni saranno in breve tempo cancellati dalle menti degli uomini». Dirò di più, ritengo che nessuno prima di me abbia dimostrato, così chiaramente, che il vero Dio non può essere ingannatore. Dunque la sua metafisica, con l’esistenza di Dio non ingannatore, è fondamentale anche per la sua fisica, e anzitutto per la reale esistenza di un mondo esterno al cogito conforme alle idee chiare e distinte del cogito stesso. Non avrei potuto trovare i fondamenti della mia fisica se non nella mia metafisica: non solo le leggi di natura sono stabilite da Dio come tutte le altre cosiddette verità eterne, ma sono da me dedotte dall’idea stessa dell’immutabilità divina. Per questo sono entrato in crisi quando, sul finire del 1633, mentre stavo rive- Non tutti i suoi seguaci saranno disposti a perseguire il suo ideale di scienza universale “a priori”, ma le sue tre leggi della natura — a cominciare dal principio di inerzia — costituiscono un pilastro della scienza moderna. Purtroppo la dissociazione che è avvenuta tra la sua fisica e la sua metafisica ha fatto perdere la grandiosità del suo progetto di scienza universale. Si dica quel che si vuole. Io sono comunque convinto di avere portato prove dell’esistenza di Dio e Al principio degli anni Quaranta, presentando le «Meditationes de Prima Philosophia» al decano e ai maestri della facoltà teologica di Parigi, lei evoca lo scenario — assai vivace in quel tempo — della polemica contro empi, atei ed «esprits forts» (secondo la traduzione del Duc de Luynes): in questo scenario lei si propone come paladino della gloria di Dio e della causa della religione, armato di argomenti certissimi ed evidentissimi per dimostra- dendo il mio trattato sul mondo per la pubblicazione, ebbi notizia della condanna romana del copernicanesimo. Tutta la mia fisica — ove il moto della Terra è parte essenziale — è tanto legata alla mia metafisica che ebbi come l’impressione che mi si potesse accusare di avere costruito un sistema fallace, pur essendo convinto di avere rigorosamente seguito l’evidenza delle dimostrazioni, in un discorso tutto deduttivo, a priori. Debbo anche confessare che non voglio fare l’eroe, andare contro l’autorità della Chiesa: preferisco lavorare in pace, facendo mio il motto bene vixit, bene qui latuit. Frans Hals, «Ritratto di René Descartes» (1649) Credo comunque — sapendo bene che la conoscenza della natura è legata all’accumulo di esperienze — che alcuni aspetti della mia «favola del mondo» potranno diventare obsoleti. Ma ritengo che le leggi cui lei ha fatto cenno, con la fisica meccanicistica che ne deriva, conserveranno la loro validità; e sono anche convinto che tutta la mia costruzione della «macchina del corpo», la riduzione cioè di tutti i corpi che appaiono dotati di qualche forma di vita a macchine o automi (corpo dell’uomo compreso), sia destinata a costituire uno schema interpretativo di grande fecondità. Non possono rinunciare all’idea, coerente con tut- ta la mia fisica, che il corpo dell’uomo non sia altro che una statua o macchina di terra che Dio forma espressamente per renderla il più possibile simile a noi; sicché non solo le dà esternamente il colorito e la forma delle nostre membra, ma colloca nel suo interno tutte le parti richieste perché possa camminare, mangiare, respirare, imitare infine tutte quelle nostre funzioni che si può immaginare procedano dalla materia e dipendano solamente dalla disposizione degli organi. Così come vediamo orologi, fontane artificiali, mulini e altre macchine che hanno la forza di muoversi da sé in più modi, anche il corpo umano può essere concepito come una macchina, i cui ingranaggi possono spiegare tutte le funzioni che solitamente riferiamo a principi vitali: inutile quindi ricorrere a un’anima vegetativa o sensitiva, bastano le leggi della meccanica. Questa è senza dubbio una sua grande proposta, frutto dei suoi attenti studi di anatomia. Ed è anche, mi sembra, il presupposto della sua dimostrazione dell’immortalità dell’anima. Lei indica uno dei punti essenziali del mio pensiero: la dimostrazione della radicale distinzione fra sostanza pensante e sostanza estesa, delle quali abbiamo idee chiare e distinte. La veracità divina ci assicura che tutte le cose che noi concepiamo chiaramente e distintamente sono vere come noi le concepiamo. Possiamo dunque concludere che tali sostanze sono realmente distinte fra loro, e che quindi la res cogitans, l’anima razionale, è realmente distinta dalla res extensa, è immateriale e immortale. Che poi abbia avuto dei problemi per spiegare il rapporto fra l’anima (res cogitans) e il corpo (res extensa) lo so bene e immagino che sarò criticato per la soluzione da me proposta da quanti non presteranno sufficiente attenzione alle mie dimostrazioni. Del resto, lasciare un’eredità significa porre problemi e forse anche permettere interpretazioni diverse, persino opposte (vedo addirittura fra i miei seguaci serpeggiare tesi tendenzialmente materialistiche). Mi auguro solo che, per capire la mia opera, si tenga fermo il rapporto tra la mia fisica e la mia metafisica, assolutamente essenziale. Le ricordo che l’albero del sapere ha come sue radici la metafisica, come tronco la fisica, come rami e frutti la meccanica, la medicina e la morale. La centralità di Dio — e non solo del problema di Dio — nel suo pensiero, l’originalità delle sue riflessioni sul Dio creatore delle verità eterne, sul Dio «sui causa», l’utilizzazione del concetto di «potentia Dei absoluta» per motivare le forme più radicali di dubbio, Le hanno assicurato un posto determinante nella storia dell’ontoteologia alle origini della modernità (una modernità, da questo punto di vista, ben protetta dal «Deus qui potest omnia»). Conferma anche la sua fedeltà all’impegno assunto nella dedica delle «Meditationes» ai dottori di Sorbona? L’impegno assunto con i dottori della Sorbona di difendere la causa di Dio e della religione è stato sempre la mia guida, come anche la mia fedeltà alla Chiesa cattolica: tanto che, come è noto, rinunciai a pubblicare il mio trattato sul mondo — di impostazione chiaramente copernicana — per rispetto della condanna di Roma. Sicché mi sono molto stupito e indignato delle accuse di ateismo mosse contro di me nelle Province Unite da parte dei riformati ma poi anche altrove dai cattolici [le opere di Descartes furono messe all’Indice dei libri proibiti nel 1663, poi ancora nel 1720]. Personalmente sono convinto della verità della mia metafisica e della sua ortodossia. Quanto alle polemiche contro di me, quando non son dovute a personali posizioni assunte dai miei seguaci e che io non condivido, sono invece la riprova della novità e della modernità del mio pensiero. In un libro di Pascal Ide di SOLÈNE TADIÉ L’impresa era rischiosa in un periodo in cui il tema delle personalità narcisistiche è particolarmente diffuso nella letteratura umanistica tanto da poter sembrare abusato. Ma il volume (Manipulateurs. Les personnalités narcissiques: détecter, comprendre, agir, Paris, Editions Emmanuel, pagine 298, euro 19), scritto da un prete della comunità dell’Emmanuele, padre Pascal Ide, offre una luce nuova su un fenomeno fino a qualche anno fa poco conosciuto o sottovalutato, e poi soggetto a numerose analisi e interpretazioni divergenti. Forte di un Nella Bibbia il faraone rappresenta la figura narcisistica per eccellenza accanto al re Saul e alla regina Gezabele In comune hanno la mancanza di empatia e l’ostilità a ogni rapporto di uguaglianza ricco bagaglio intellettuale, l’autore — dottore in medicina, filosofia e teologia — propone innanzitutto un giro d’orizzonte completo della questione. Riparte così dalle tre categorie di manipolatori perversi (altro appellativo delle personalità narcisistiche), individuate dalla studiosa Isabelle Nazare-Aga — quella seduttiva, vittimaria o dittatoria- Manipolatori smascherati le — per dar loro ulteriori sviluppi in chiave cristiana. Con una premessa necessaria: il fenomeno, che potrebbe sembrare endemico di fronte alla letteratura pletorica a lui dedicata, rimane molto marginale a livello mondiale. È quindi importante, avverte l’autore, operare una distinzione netta tra personalità manipolatrice — patologica — e semplice tratto manipolatore, che ognuno di noi può manifestare in determinate situazioni. E proprio dalle Scritture Ide attinge per trovare una personificazione precisa di tale struttura psicologica, precisando che se una lettura psicologizzante della Bibbia può condurre a interpretazioni azzardate dei racconti, essa tuttavia costituisce una riserva infinita «di comprensione dei comportamenti umani, dai più perversi ai più santi». Così, il faraone viene definito la figura narcisistica per eccellenza, accanto a personaggi quali il re Saul o la regina Gezabele, che hanno in comune di essere privi di empatia, trasgressivi e ostili a ogni rapporto di uguaglianza. Il faraone in particolare, pur ammettendo in qualche modo i suoi torti, «non riconosce mai la volontà dell’altro, non riconosce l’altro». La sua logica è solo e sempre quella «della protezione e della gloria del proprio ego. Il suo mondo è senza esteriorità, viene misurato soltanto da se stesso», caratteristica, questa, tipica di tale patologia. Ide non elude neppure la questione della presenza di simili personalità nella Chiesa. Assumendo il presupposto di Jacques Maritain secondo cui «una cosa è la Persona della Chiesa, un’altra il suo personale», l’autore passa in rassegna alcuni casi emblematici della storia recente per capire come personalità quali padre Maciel, abbiano potuto ingannare perfino le autorità ecclesiali più importanti e imperversare per anni, facendola franca. D’altronde, essendo la sete smisurata di potere una delle principali specificità della personalità narcisistica, non c’è da meravigliarsi che la Chiesa possa essere ambita da simili predatori: si manipola l’altro con quanta più facilità che si pretende di parlare nel nome di Dio. Allo stesso modo, il manipolatore vittimario farà della compassione cristiana un rifugio prediletto per appagare il proprio bisogno patologico di compiacimento, spesso a scapito degli altri fedeli. «Chi saggiamente sa riconoscere i propri errori può essere un vero e grande capo!» con questo criterio di discernimento, attinto dal famoso fumetto franco-belga Blueberry l’autore preconizza una certa vigilanza nei confronti di queste persone, soprattutto negli ambiti di potere e di responsabilità. Difficilmente individuabili, la loro struttura psicologica è condizionata fin dalla prima infanzia e raramente possono cambiare. Interessante a tale riguardo è la riflessione più generale sulla nozione di dono alla quale il lettore è invitato. Se da una parte l’assenza di dono, che fa da corollario al narcisismo, è particolarmente favorita dalla società postmoderna secolarizzata, il suo pendant, l’eccesso di dono da cui scaturisce il burn out — fenomeno in costante crescita — dimostra l’urgenza di ripensare il nostro relazionarci con l’altro. Il Vangelo rimane a tale fine l’antidoto infallibile contro quello che potremmo definire una crisi del dono, e la fonte di riflessione imprescindibile per l’emergere di un nuovo paradigma, auspicato da padre Ide, o piuttosto di un obiettivo, di stampo educativo: attraverso una «pedagogia del dono», grazie alla quale i bambini imparerebbero a dare gratuitamente fin dai primi anni della vita, si potrà avviare una profonda trasformazione del nostro modo di dare e di darci, pietra angolare di un’evangelica «conversione del dono». John William Waterhouse «Eco e Narciso» (particolare 1903) L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 20-21 febbraio 2017 pagina 5 Kcho, installazione in occasione della mostra «Extrano dia en la playa» (2014) Effetti di una rivoluzione Gli altri ci aiutano a vedere Gesù di ALBERTO FABIO AMBROSIO orse è passato un poco inosservato un libro che merita invece attenzione. Marinella Perroni, docente di Nuovo Testamento nonché già presidente del Coordinamento teologhe italiane, ha raccolto una serie di contributi riguardanti il Gesù degli “Altri” (Brescia, Morcelliana, Morcelliana, 2016, pagine 160, euro 15) È certamente “rivoluzionario” cercare in casa d’altri quanto si può conoscere stando nel proprio campo. Eppure è questa uscita, questa grande “rivoluzione” che permette di riscoprire quanto Gesù sia F approfondimento critico, il libro che contiene cinque contributi, si presta a un’ispirazione per ulteriori riflessioni teologiche e metodologiche. Così, dopo la chiara introduzione della curatrice, Piero Stefani mette bene in luce il perché di un certo silenzio o addirittura di un’ostilità aperta nei testi talmudici riguardanti Gesù. Non bisogna mai dimenticare che un certo atteggiamento cristiano non è stato all’altezza dell’insegnamento dell’ebreo Gesù, anzi talvolta la pratica è stata contraria ai suoi principi. Gesù così come è descritto nei testi talmudici deve far riflettere sulla trasmissione della fede che non è solo un fatto cerebrale e intellet- tri” rispetto alla figura del Cristo, perché considerano il loro Gesù come quello autentico e originale. Il “Gesù degli altri”, semmai, è per loro paradossalmente proprio quello dei cristiani» (pagina 119). Tanti sarebbero ancora i riferimenti a Gesù e a Maria nell’islam non solo di lingua araba, ma forse e soprattutto in lingua persiana e turca, come una lettera a Gesù scritta da un autore ottomano per lamentarsi dell’occupazione della capitale ottomana da parte delle truppe alleate considerate cristiane; o ancora di un inno di Maria opera di un autore turco del XII secolo, dedicato a un dialogo tra Maria e Gesù. Si impone quindi un’uscita dalle proprie convinzioni, dalle proprie pretese di possedere tutto del tutto che è Cristo. Sembra strano, anzi un po’ fantasioso, ma è proprio questa la prospettiva di Per- La ricerca storica ci ha insegnato che si può e a volte perfino si deve uscire dalla prospettiva di fede per capire di più e meglio Gesù risorto in un murale che decora la cappella del Jnana-Deepa Vidyapeeth di Pune importante per il cristiano. La curatrice del volume lo afferma senza indugi nell’introduzione che è un sicuro inizio di una cristologia “altra”: «La ricerca storica ci ha insegnato che si può, a volte perfino si deve, uscire dalla prospettiva di fede per capire di più e meglio. Ma si tratta di una sospensione, non di una rinuncia» (pagina 7). Parole forti che condivido pienamente tanto per impegno intellettuale che per esperienza di vita. Senza addentrarci in un tuale. I contributi di Ignazio de Franceschi dedicato al Gesù dell’islam nascente quanto a quello di Alberto Ventura tutto rivolto al Gesù del sufismo sfiorano la scottante problematica dell’identità di ‘IsâGesù, soprattutto quando si sa che nel nome stesso (‘Isâ) è contenuta un’ambiguità linguistica di non poco conto. Afferma Alberto Ventura: «Tutto ciò che abbiamo detto ci dimostra in conclusione che i fedeli dell’islam non si sentono affatto “al- roni che va sposata interamente, oggi, in una congiuntura geopolitica che rischia non solo di alzare palizzate, ma di creare ideologie politiche potenzialmente distruttive del nucleo sano di tutte le religioni. Questo processo è già stato celebrato in altri tempi come ci ricorda l’articolo — per molti versi inatteso — su un Gesù “induista” a cura di Sergio Manna. Gli induisti hanno conosciuto la figura di Gesù attraverso l’attività missionaria soprattutto protestante, ma talvolta gli atteggiamenti concreti dei colonialisti erano tutt’altro che riassumibili nei principi evangelici. Il famoso Swami Vivekananda (m. 1902), che introdusse in Occidente l’induismo, così parlava ai cristiani: «Lasciate che ve lo dica, fratelli. Se volete vivere tornate a Cristo. Voi non siete cristiani. No, come nazione non lo siete. Tornate a Cristo. Tornate a colui che non aveva dove posare la sua testa. Gli uccelli hanno i loro nidi... Se questa nazione vuole vivere ritorni a lui. Non potete servire Dio e mammona allo stesso tempo» (pagina 131). Il miracolo si compie allora quando, rileggendo il Gesù degli “altri”, si scopre che la loro percezione rivela quanto per noi è essenziale e, a quel punto, “gli altri” possono davvero ricordarci, richiamarci, stimolarci a diventare sempre più veri discepoli del Cristo Salvatore. Churchill e i misteri dell’universo Stava perfezionando i dettagli dell’impresa più importante della sua vita, l’attacco della Gran Bretagna contro la Germania di Hitler, eppure Winston Churchill aveva anche altro per la testa, un interrogativo che da tempo quasi lo tormentava: c’è una vita extraterrestre? Questa domanda è al centro di un suo scritto inedito emerso, nei giorni scorsi, dal National Churchill Museum di Fulton, nello Stato del Missouri, località dove tenne, nel 1946, al termine della guerra, il celebre discorso passato alla storia come l’«Iron Curtain speech». Datato 1939, il testo (di undici pagine) intitolato «Are We alone in The Universe?», mai pubblicato, era stato ceduto al museo statunitense negli anni Ottanta da Wendy Reves, la moglie dell’editore delle opere di Churchill. Dimenticato lì per anni, il testo — più volte rivisto e corretto dallo statista — è stato recentemente rispolverato da Timothy Riley, dall’anno scorso direttore del Churchill Museum, che ha poi contattato l’astrofisico e divulgatore scientifico israeliano Mario Livio, perché lo esaminasse. In un articolo sulla rivista «Nature», Livio, nell’evidenziare l’importanza e l’interesse rivestiti da questo inedito, sottolinea: «Churchill pensa come un astrofisico di oggi». Il due volte primo ministro britannico, nonché premio Nobel per la letteratura (1953), nel tessere un intrico di ragionamenti sull’universo e sui suoi misteri, annota: «Perché non potrebbero esistere altri sistemi planetari?». E sulla base di questo interrogativo analizza le condizioni principali perché in un «altrove ignoto» si sviluppi «la capacità di riprodursi e moltiplicarsi», e arriva a individuare in Marte e in Venere gli unici pianeti del sistema solare capaci di ospitare la vita. In quel drammatico 1939, quando si stavano addensando le nubi del secondo conflitto mondiale, lo statista era come pervaso dal bisogno di immaginare zone immuni — anche scenari interstellari — dalla follia della guerra. E così scriveva: «Non sono poi così convinto che noi rappresentiamo il culmine dello sviluppo nel vasto orizzonte del tempo e dello spazio». Da rilevare che all’epoca era assai vivo il dibattito scientifico, e fantascientifico, sulla possibile esistenza di altri mondi. Basti pensare che nel 1938, ovvero un anno prima della stesura dell’articolo di Churchill, la Cbs negli Stati Uniti aveva trasmesso lo sceneggiato radiofonico di Orson Welles, «La guerra dei mondi», tratto dall’omonimo romanzo di Herbert George Wells, in cui raccontava di un eccezionale sbarco di extraterrestri in territorio americano. Molti degli ascoltatori ci credettero: e fu subito panico. (gabriele nicolò) In due saggi pubblicati su «Le Débat» I migranti dividono l’Europa di CHARLES DE PECHPEYROU ingenuità e l’impreparazione dell’Europa di fronte a un fenomeno così vasto e complesso quanto la grande migrazione intercontinentale iniziata nel 2015 dall’Africa e dall’Asia rappresenta un caso da manuale di accecamento storico, cioè di un fenomeno “catastrofico” — nel senso etimologico di un rovesciamento radicale — di cui rifiutiamo di calcolarne le conseguenze? È il quesito che pone Raffaele Simone, professore ordinario di linguistica all’università Roma Tre, in un articolo pubblicato nel numero invernale della rivista francese «Le Débat». Inedita per le sue dimensioni — non si tratta di migliaia ma di milioni di persone spinte dalla miseria, dalle guerre e dalle de- L’ Inedito per le sue dimensioni il fenomeno interessa il continente che ha fatto dell’accoglienza la sua linea guida vastazioni — e per il fatto che segue strade ben definite, sia in Africa che in Asia, nota l’autore, la grande migrazione in atto si sta dirigendo verso quel continente “dolce”, almeno nella sua parte occidentale, che ha fatto dell’accoglienza — universale, gratuita, pacifica — la sua lineaguida. Secondo Raffaele Simone, questo spirito di ospitalità nasce tra l’altro «da un sentimento di colpevolezza e da un tentativo di risarcire in termini giuridici e politici il debito storico rappresentato dalle atrocità del secolo precedente, guerre mondiali e colonialismo». Pur avendo già conosciuto durante il ventesimo secolo varie ondate d’immigrazione, l’Europa, rimprovera il linguista, non è stata in grado di «elaborare piani solidi e concertati per prepararsi» che avrebbero dovuto essere un freno, una guida o almeno un orientamento a questo fenomeno. Due sono gli unici dispositivi usati finora dall’Unione europea: i trattati di Schengen e di Dublino da una parte, e dall’altra «una distinzione ambigua tra rifugiato, che fugge l’oppressione politica e può entrare, e migrante economico, che fugge la miseria e non può entrare». In breve, l’Europa ha risposto alla grande migrazione in ritardo e senza organizzazione, riuscendo solo alla fine del 2015 a stabilire la ripartizione dei flussi nei vari paesi secondo quote obbligatorie. Sappiamo che non tutti i Paesi hanno aderito. Questa ospitalità disordinata, denuncia il ricercatore, ha avuto tanti effetti dal punto di vista politico, economico, gestionale, da cui un effetto negativo sul- l’opinione pubblica, tanto che «di fronte ai flussi migratori, la maggioranza degli elettori è preoccupata, contraria, o addirittura ostile». Perciò l’integrazione dei migranti nella società si rivela una vera sfida, che necessita tra l’altro di analizzare il profilo dei migranti. «In gran parte sono uomini giovani provenienti da paesi estremamente poveri dell’Africa nera, con un livello di istruzione bassissimo, abituati a regimi violenti, estranei alle tradizioni europee», ricorda l’autore. Inoltre, il flusso di migranti provenienti sia dall’Africa che dal Medio oriente è di cultura musulmana, «una fatto di cui la classe politica non sembra affatto preoccupata». Invece, spiega Raffaele Simone, «sembra molto difficile il processo di familiarizzazione e di integrazione in una cultura cristiana, laica e democratica, da parte di masse musulmane con un basso livello di istruzione». Inoltre, spiega il docente, la grande migrazione ha risvegliato gli egoismi nazionali e ha provocato un dissenso tra i paesi dell’Unione europea, che devono far fronte ai movimenti di estrema destra. I diversi paesi non agiscono all’unisono, per esempio per quanto riguarda la politica delle quote. Oggi, dai Balcani alla Polonia, delle barriere di filo spinato corrono lungo tutta l’Europa centrale. E per di più la crisi dei rifugiati ha riaperto la breccia tra Est e Kcho, «Senza titolo» (2006) Ovest, come sostiene, nello stesso numero di «Le Débat», Ivan Krastev, permanent fellow all’Istituto delle scienze umane di Vienna e presidente del Centro per le strategie liberali a Sofia. «Perché, oggi, gli europei dell’Est sono così lontani dai valori fondamentali propri all’Unione europea ed evitano di mostrarsi solidali con le sofferenze altrui?», si chiede il ricer- catore. In effetti, nota Ivan Krastev, la popolazione dell’Europa orientale rimane impassibile di fronte alla tragedia dei rifugiati, e nello stesso tempo i suoi dirigenti criticano la decisione di Bruxelles di spartire i rifugiati tra i vari paesi dell’Unione europea. In Europa centrale e orientale, la crisi ha unito delle società che altrimenti sarebbero frammentate, in un’ostilità quasi unanime contro i rifugiati. Il rancore centro-europeo verso i migranti è paradossale, sottolinea del resto l’autore, tenendo conto di due elementi. Il primo: nella maggior parte del ventesimo secolo, proprio l’Europa centrale e orientale era una regione dove gli abitanti hanno dovuto sperimentare la realtà dell’emigrazione. Secondo, in questo momento, nella maggior parte di questi paesi, pochissimi rifugiati sono presenti. Nel 2015, per esempio, il numero di rifugiati entrati in Slovacchia era di 169, di cui solo 8 chiedevano di rimanere. Del resto, la diffidenza riguarda soprattutto eventuali migranti musulmani. All’inizio del 2016, il premier slovacco Robert Fico aveva dichiarato di voler accettare solo cristiani, al fine di impedire la creazione di una comunità musulmana nel paese, sostenendo che non ci sono moschee. Il ritorno della divisione estovest in Europa «non è né un incidente né un effetto della sfortuna, trae le sue radici nella storia, la demografia e le difficoltà legate alla transizione post-comunista», afferma Ivan Krastev. Rappresenta anche una versione centro-europea della ribellione popolare contro la globalizzazione. Più di ogni altra regione d’Europa, rileva l’autore, l’Europa centrale conosce sia i vantaggi sia i lati oscuri del multiculturalismo. Pertanto, secondo lui, «la permalosità dell’Europa centrale rispetto alla crisi dei rifugiati si può spiegare, in parte, da questa diffidenza storica verso tutto ciò che è cosmopolita, così come dal legame tra comunismo e internazionalismo». Se, da un lato, il tema dell’immigrazione è stato sfruttato abilmente a fini elettorali dall’estrema destra in vari paesi europei — Svizzera, Austria, Germania, Polonia e Gran Bretagna — «paradossalmente — mette in guardia Ivan Krastev — nella crisi dei rifugiati nell’Unione europea, la convergenza di sentimenti anti-immigrati non porterà a un riavvicinamento tra Europa occidentale e centrale». Al contrario, conclude l’autore, non fa altro che separarle sempre di più. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 lunedì-martedì 20-21 febbraio 2017 La cattedrale di Lund, dove Papa Francesco ha partecipato il 31 ottobre scorso alla commemorazione comune cattolico-luterana della Riforma di KURT KO CH Nel 2017, il mondo cristiano commemora i cinquecento anni della Riforma. Trattandosi del primo centenario della Riforma in epoca ecumenica, a connotare la commemorazione non saranno più toni confessionalmente faziosi e polemici, ma uno spirito ecumenico. Queste circostanze favorevoli sono dovute in particolare al fatto che non ricorderemo soltanto i cinquecento anni della Riforma, ma anche cinquant’anni di intenso dialogo tra cattolici e protestanti, un lasso di tempo durante il quale abbiamo potuto scoprire quanto ci accomuna. Risultato positivo dei dialoghi ecumenici è stato quello di mostrare che, nelle verità fondamentali della fede cristiana, è stato possibile formulare un consenso ecumenico, evidenziando altresì che le differenze teologiche tuttora esistenti non mettono in discussione tale consenso e che, di conseguenza, le condanne dottrinali del XVI secolo, sia da parte cattolica che da parte protestante, non hanno oggi più valenza tra i partner ecumenici. Questo è vero soprattutto a proposito della «Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione», firmata il 31 ottobre 1999 ad Augusta dalla Federazione luterana mondiale e dal Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Il fatto che proprio sulla questione centrale che condusse, nel XVI secolo, alla Riforma e in seguito alla divisione della Chiesa è stato possibile conseguire un ampio consenso può essere considerato come una vera e propria pietra miliare ecumenica. Il dialogo ecumenico degli ultimi decenni ha mostrato che anche il superamento di tale divisione e il ripristino dell’unità della Chiesa potranno avvenire soltanto sul cammino di una lettura e di un’interpretazione comuni della sacra Scrittura. Di fatti, l’ascolto comu- Nella dottrina sulla giustificazione Quello che in realtà unisce ne della Parola di Dio testimoniata nella sacra Scrittura ha condotto a una fondamentale convergenza nella comprensione della dottrina della giustificazione. Per comprendere in maniera più approfondita la collaborazione tra grazia di Dio e libertà dell’uomo nel quadro della salvezza, può essere utile riflettere sul paragone utilizzato dal teologo medievale Bonaventura per illustrare la forza della speranza escatologica. Bonaventura raffronta il movimento della speranza al volo dell’uccello, che si libra nell’aria e che dall’aria si lascia portare. Ma per volare, l’uccello deve innanzitutto stendere le ali più che può e impiegare, nel loro movimento, tutte le sue energie. Lui stesso deve poi mettersi in moto per spiccare il volo e salire ad alta quota. Vivere nella speranza significa dunque volare. Chi spera, infatti, deve sforzarsi, come fa l’uccello, di muoversi e di muovere tutte le sue membra, per contrastare la forza di gravità che tira verso il basso, per raggiungere le vere altezze e per lasciarsi portare dall’aria. Con questo paragone, Bonaventura suggerisce che la grande speranza della fede non rende superfluo l’agire dell’uomo, ma gli consente al contrario di acquisire la giusta forma e la sua libertà. Volare richiede tutte le nostre energie; ma è possibile soltanto se ci affidiamo totalmente all’aria che ci circonda e che ci porta. Come l’uccello può volare perché sa essere leggero, così anche il cristiano sarà in grado di volare meglio se non darà a se stesso troppo peso e se, soprattutto, non si lascerà schiacciare dalla forza di gravità dei peccati. Nella stessa direzione punta un’immagine analoga utilizzata da Martin Lutero per chiarire il rapporto tra fede e opere: «Il Vangelo è come una brezza fresca e delicata nella grande calura estiva, è consolazione nell’angoscia della coscienza. Ma non appena la brezza del Vangelo ha dato ristoro e conforto alle nostre forze, noi non dobbiamo rimanere indolenti, coricarci e russare; ovvero, quando lo Spirito di Dio ha appagato, acquietato e consolato la nostra coscienza, allora dobbiamo dimostrare anche la nostra fede con le buone opere che Dio ci ha comandato e indicato nei dieci comandamenti». Di fatti, chi, nella fede, è sollevato dalla tormentosa preoccupazione della propria salvezza può e deve farsi carico delle preoccupazioni degli uomini e del mondo. Se teniamo a mente queste similitudini, comprendiamo anche perché il teologo cattolico Otto Hermann Pesch, esperto di Lutero, ha definito la disputa scoppiata al tempo della Riforma sulla fede e sulle opere come «la più superflua di tutte le questioni controverse». Il cruciale messaggio della giustificazione dell’uomo per fede, riscoperto durante la Riforma, non ci divide come cristiani, ma ci unisce. E che non debba mai dividerci, nonostante sia avvenuto proprio questo per secoli, lo dimostra anche una testimonianza risalente a un’epoca che precede l’apertura ecumenica della Chiesa cattolica durante il Il Consiglio delle Chiese olandesi sulle elezioni Secondo il patriarca di Mosca Cirillo Uniti contro il populismo La cattedrale di Sant’Isacco simbolo di riconciliazione L’AJA, 20. Un dibattito civile e un atteggiamento costruttivo tra i politici. È quanto viene chiesto in una dichiarazione dal Consiglio delle Chiese olandesi, riunito nei giorni scorsi all’Aja per discutere sul futuro del paese, in vista delle elezioni del 15 marzo prossimo. Nel testo si denuncia il clima malsano in cui si svolge il dibattito politico nei Paesi Bassi, un fatto dovuto soprattutto alla presenza di partiti antieuropeisti e contrari alla presenza degli immigrati. L’incontro, sui “valori nella politica” in relazione ai temi della povertà, dell’integrazione e della pace, è stato organizzato dal Consiglio delle Chiese olandesi, l’istituzione che raggruppa tredici Chiese in rappresentanza di 6,5 milioni di fedeli. Alla presenza del vescovo di Rotterdam e presidente della Conferenza episcopale olandese, monsignor Johannes Harmannes Jozefus van den Hende, e del presidente del sinodo delle Chiese protestanti, pastore Karin van den Broeke, sono convenuti al dibattito i candidati di quasi tutte le forze politiche. «Tutti i presenti — ha dichiarato al sito nev.it Fred van Iersel, professore di teologia cattolica alla Tilburg University e responsabile del comitato affari sociali del Consiglio delle Chiese olandesi — hanno ribadito l’importanza dei valori de- mocratici della nostra Costituzione. La maggior parte della politica olandese è ancora sana» e avversa con argomenti democratici l’onda populista di movimenti politici antieuropeisti. «L’Olanda — ha ricordato van Iersel — è sempre stata celebre per la sua apertura. Oggi, tutta l’Europa conosce il nome di Geert Wilders (leader del partito populista, Pvv), ma intanto, nello stesso paese, il sindaco di Rotterdam continua a essere Ahmed Aboutaleb, e la presidente del parlamento, Khadija Arib: due musulmani di origine marocchina. Io credo che negli ultimi anni il paese si sia arreso all’individualismo. L’insicurezza e il senso di smarrimento derivanti da una concezione individualista della vita, combinati alla crisi europea, hanno finito per rilanciare il dibattito sull’identità nazionale, mettendo in secondo piano i diritti umani e il multiculturalismo che fanno parte della nostra storia». Secondo van Iersel, «protestanti e cattolici sono uniti nel contrapporsi a questa deriva. Durante il dibattito è emerso come questa coalizione interconfessionale stia nuovamente prendendo corpo. Devo dire — ha concluso — che in tal senso abbiamo illustri precedenti storici: ci siamo già mostrati uniti durante la seconda guerra mondiale e contro l’apartheid in Sud Africa». SAN PIETROBURGO, 20. Il controverso trasferimento alla Chiesa ortodossa della gestione della cattedrale di Sant’Isacco a San Pietroburgo «è in programma nell’anno in cui cade l’anniversario della Rivoluzione e per questo può diventare simbolo della riconciliazione nazionale». È quanto ha affermato il patriarca di Mosca Cirillo durante una riunione del Consiglio supremo ecclesiastico nella cattedrale di Cristo Salvatore, ricordando che «la distruzione di chiese e le uccisioni di massa dei credenti sono stati un capitolo orrendo della nostra storia e hanno sancito una divisione nella nazione. Ma ora l’atmosfera di pace che circonda le chiese restituite ai credenti deve diventare simbolo di accordo e di perdono reciproco». L’ingresso a Sant’Isacco, dopo che sarà passata sotto l’amministrazione della Chiesa ortodossa, sarà gratuito. La proprietà della chiesa rimarrà invece della città di San Pietroburgo. Da quando è stata annunciata la decisione si sono verificate diverse proteste e contro il provvedimento si è espresso, tra gli altri, il direttore del museo della cattedrale, Nikolaï Bourov. «Continuo a credere che si stia per commettere un errore». Bourov — riferisce «La Croix» — si è detto preoccupato per il passaggio della gestione del monumento. «Sicuramente ci saranno visitatori, ma molto meno di prima. Semplicemente perché il compito di organizzare questi flussi turistici così grandi richiede il lavoro e lo sforzo di tante persone. È stato messo in atto — conclude — un sistema complesso di funzionamento e gestione finanziaria, ma non tutti se ne rendono conto e ciò mi preoccupa seriamente». Anche domenica, durante l’omelia pronunciata sempre nella cattedrale di Cristo Salvatore, Cirillo è tornato a parlare della rivoluzione del 1917, che a suo parere «non è stata che un crimine terribile»: «Nel centenario della rivoluzione — ha detto — vi invito a non chiudere gli occhi su questa epoca, a essere pienamente consapevoli e a comportarvi in modo tale che simili episodi non si ripetano più. Abbiamo bisogno che le nostre azioni riscattino i nostri peccati e quelli commessi dai nostri antenati». concilio Vaticano II, ovvero la testimonianza di santa Teresa del Bambin Gesù (1873-1897), che il Catechismo della Chiesa cattolica presenta al fine di spiegare la propria interpretazione della dottrina della giustificazione: «Dopo l’esilio della terra, spero di gioire di te nella Patria; ma non voglio accumulare meriti per il cielo: voglio spendermi per il tuo solo amore. Alla sera di questa vita comparirò davanti a te con le mani vuote; infatti non ti chiedo, o Signore, di tener conto delle mie opere. Tutta la nostra giustizia non è senza macchie ai tuoi occhi. Voglio perciò rivestirmi della tua giustizia e ricevere dal tuo amore l’eterno possesso di te stesso». Non è un caso che santa Teresa abbia respinto l’immagine tradizionale della santità, che vede il santo come un eroe delle virtù, come uno “sportivo” capace di altissime prestazioni religiose. Per lei, la santità cristiana non si realizza in qualcosa di sensazionale e di eroico, ma vive la grazia», ma lo ha testimoniato con la sua stessa vita. Sforzandosi di vivere in tutto nella grazia di Dio, ha anticipato l’intesa ecumenica tra la Chiesa cattolica e le Chiese nate dalla Riforma, e questo è avvenuto sulla “piccola via” che ella ha intrapreso, un cammino sul quale la sola fide si riconcilia persino con la sola caritate, e in prima linea non con l’amore umano, ma con l’amore di Dio per noi uomini. È un segno promettente il fatto che questa intesa ecumenica di una santa si sia realizzata. Con ciò, anche la tradizionale opposizione tra pietà cattolica e pietà protestante è stata superata, come mostra quanto scrive il grande teologo protestante e martire cristiano del regime nazista, Dietrich Bonhoeffer, parlando di una conversazione avuta una volta con un pastore francese: «Ci eravamo posti la semplice domanda di cosa volessimo realizzare in fondo con la nostra vita. Egli disse: voglio diventare un santo. Mi Alla facoltà valdese Pubblichiamo ampi stralci dell’intervento che il cardinale presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, nell’ambito del cinquecentenario della Riforma, ha pronunciato il 13 febbraio scorso a Roma, nell’aula magna della Facoltà valdese di teologia, sul tema «Il primato dell’accogliere rispetto al fare. Sull’attualità della dottrina cristiana della giustificazione». nel quotidiano sotto il velo della discrezione di una fede non vistosa, così che è la fede stessa il contenuto essenziale della santità. Teresa è convinta che la santità consista non tanto in esercizi e prestazioni religiose, ma in un atteggiamento esistenziale di fondo nutrito dalla fede, nella vita di tutti i giorni. Per questo, ha distolto lo sguardo dalle buone azioni e dalle opere pie, annunciando e lodando piuttosto, con letizia, la grazia di Dio. Ella sapeva infatti che, nella vita della fede, in fin dei conti, tutto è grazia e che niente è così lontano dall’esistenza cristiana quanto la pia speculazione sulla ricompensa celeste per le opere buone: «Dobbiamo fare tutto ciò possiamo fare, per amore di Dio, ma è indispensabile in verità riporre tutta la nostra fiducia nell’Unico che santifica le nostre opere e che può santificarci senza di esse». Questa è, nelle parole di una santa cattolica della fine del XIX secolo, la dottrina della giustificazione pura. Teresa, infatti, non solo ha annunciato il messaggio pienamente cristiano del «per so- colpì molto in quel momento. Tuttavia dissentii, dicendo più o meno: io voglio imparare a credere». Se Dietrich Bonhoeffer avesse conosciuto santa Teresa di Lisieux, probabilmente non avrebbe più visto una contrapposizione tra il diventare santi e l’imparare a credere, comprendendo che, per questa santa cattolica, il fulcro della santità cristiana è proprio la fede. Sicuramente, Teresa e Dietrich Bonhoeffer si saranno già accordati al riguardo, in cielo. A noi, nella nostra vita e nella nostra convivenza ecumenica, rimane il compito di trarre le giuste conseguenze da questa bella testimonianza di consenso ecumenico sulla dottrina della giustificazione, anche nelle sue diverse prospettive spirituali sviluppatesi all’interno delle varie tradizioni confessionali. E questo possiamo e dobbiamo farlo in particolare nel 2017, anno della commemorazione comune della Riforma, commemorazione che sarebbe stata impensabile senza un consenso ecumenico sulla dottrina della giustificazione. L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 20-21 febbraio 2017 pagina 7 Il Papa ai piccoli di Ponte di Nona Vi racconto il conclave WASHINGTON, 20. Rispettare gli accordi presi a livello internazionale e impegnarsi per la difesa dell’ambiente naturale sia a livello nazionale che globale. È quanto, nella sostanza, chiede l’episcopato statunitense insieme al Catholic Relief Services (Crs) in una lettera indirizzata al segretario di stato Rex Tillerson. A firmare la missiva sono il vescovo di Las Cruces, Oscar Cantù, presidente della Commissione giustizia e pace, il vescovo di Venice, Frank J. Dewane, presidente della commissione Giustizia e sviluppo umano, e il responsabile dell’agenzia umanitaria, Sean Callahan. Il documento esordisce ricordando come «la tradizione giudaico-cristiana ha sempre inteso l’ambiente come un dono di Dio, perciò, siamo tutti chiamati a proteggere la nostra casa comune». Di qui l’appello perché siano rispettati gli impegni che la passata amministrazione statunitense aveva sottoscritto nell’autunno 2015 in occasione della conferenza internazionale sul clima di Parigi. La missiva ricorda come già in passato l’episcopato abbia sostenuto l’urgenza del finanziamento dei programmi di adattamento e attenuazione degli effetti del cambiamento climatico inclusi nell’accordo di Parigi. I di MAURIZIO FONTANA I vescovi statunitensi chiedono il rispetto degli impegni sul clima La casa comune non può attendere presuli e il Crs sottolineano l’importanza di agire all’interno del paese per limitare le emissioni di carbonio e contribuire, in questo modo, a mitigare le conseguenze del cambiamento climatico sulle popolazioni più vulnerabili. «L’accordo di Parigi è un passo fondamentale per entrambi questi obiettivi», si legge ancora nel testo. L’amministrazione Trump, come è noto, ha annunciato di non volere tenere conto degli accordi sul clima. E l’Agenzia per la protezione dell’ambiente sembra avere interrotto qualsiasi attività pubblica di comunicazione, sia La Franciscan Action Network sull’oleodotto del North Dakota Avidità che porta alla distruzione WASHINGTON, 20. «Permettere il saccheggio e la distruzione della creazione mirabile di Dio per sostenere l’avidità di pochi è moralmente, spiritualmente ed eticamente sbagliato e va contro gli insegnamenti di tutti i gruppi religiosi». È quanto sostiene la Franciscan Action Network, organizzazione statunitense di ispirazione francescana, che aggiunge la propria voce al coro di proteste che si leva in difesa dei popoli indigeni, in particolare dei sioux nello stato del North Dakota, che cercano da tempo di bloccare la costruzione di un oleodotto che profanerebbe la “terra sacra” nella quale hanno seppellito per secoli i loro avi e che, attraversando il fiume Missouri, metterebbe seriamente a rischio le riserve di acqua potabile della regione. Dopo manifestazioni e scontri anche violenti con le forze Inghilterra e Galles consacrati al cuore di Maria LONDRA, 20. L’arcivescovo di Westminster e presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, cardinale Vincent Gerard Nichols, in occasione del pellegrinaggio nazionale della statua della Madonna di Fátima, ha consacrato l’Inghilterra e il Galles al cuore immacolato di Maria. La consacrazione è avvenuta al termine della messa celebrata nella cattedrale di Westminster. Nella sua omelia, il cardinale ha fatto riferimento alle parole pronunciate da san Giovanni Paolo II alla messa di beatificazione di Francesco e Giacinta, quando, rivolgendosi ai bambini presenti disse: «Gesù ha bisogno delle vostre preghiere e dei vostri sacrifici per i peccatori». Riflettendo su queste parole, il cardinale ha chiesto: «Riusciamo a esprimere bene ogni giorno la nostra sequela di Cristo? La risposta sta in ciò che sappiamo della Madonna di Fátima e che cosa Lei ha da dirci» e «Lei, oggi, ha una grande importanza per noi». dell’ordine, nei mesi scorsi il presidente Barack Obama aveva stabilito di sospendere tutto e trovare un percorso alternativo. Poi, recentemente, come è noto, con un ordine esecutivo il presidente Donald Trump ha ridato il via ai lavori, sollevando altre e forse ancora più vivaci polemiche. Proprio nei confronti dell’ordine esecutivo della Casa Bianca si pronuncia il network francescano, che con fermezza ribadisce il proprio impegno a «essere solidale con i fratelli e sorelle indigeni e con la terra» dinanzi alla disposizione che consente lo scavo di condotti d’olio combustibile attraverso la riserva di Standing Rock Sioux, in North Dakota, e il gasdotto di Keystone, ad Alberta, in Canada, verso Steele City, in Nebraska. Vanno insomma bloccate entrambe le condotte perché ciò significherebbe il «saccheggio» e la «distruzione» di quell’inestimabile tesoro rappresentato dall’ambiente naturale. «I popoli indigeni del Dakota ci hanno ricordato — si legge nel comunicato — che “l’acqua è vita”. Come persone di fede che vogliono rispondere alla chiamata del Papa nella Laudato si’ per proteggere la terra e la sua popolazione, siamo solidali con i nostri fratelli e sorelle indigeni nel proclamare che “l’acqua è vita”». Tuttavia, per la Franciscan Action Network la posta in gioco è ancora più alta. In ballo non c’è soltanto la difesa dell’ambiente. Infatti, viene sottolineato, «non è solo una questione morale, ma una questione di libertà religiosa. La costruzione di un oleodotto attraverso la terra sacra dei popoli indigeni è una violazione della loro libertà religiosa». In questo senso, sostiene con un’immagine a effetto l’organizzazione francescana, sarebbe un po’ come se si fosse dato «il permesso di abbattere la cattedrale di San Patrizio a New York per costruire una raffineria di petrolio sul sito». La vicenda dei sioux nello stato del North Dakota è stata anche una delle principali questioni, anche se ovviamente non la sola, al centro del terzo forum mondiale dei popoli indigeni che si è tenuto in questi giorni a Roma nella sede del Fondo delle Nazioni Unite per lo sviluppo agricolo (Ifad), organizzato a dieci anni dalla dichiarazione dell’Onu sui diritti di queste popolazioni. attraverso i propri siti istituzionali sia attraverso i social network. Nella lettera, i vescovi e la Crs hanno espresso pertanto la preoccupazione della Chiesa per la grande sfida che, oggi, affronta la comunità globale per fornire non solo energia sostenibile, efficiente e pulita, ma anche sicura, accessibile ed equa. «Ciò richiederà ingegno, investimenti e sforzo», si legge nel testo, che ricorda i grandi progressi che importanti studiosi, insieme a istituti di ricerca e aziende di energia, hanno già compiuto verso la produzione di energia pulita a prezzi accessibili. «Attraverso investimenti in infrastrutture e tecnologie negli Stati Uniti — si sottolinea nella lettera — il governo ha l’opportunità unica di raggiungere la sicurezza energetica e affermare la propria leadership globale nella crescita di un settore energetico sostenibile». Nel documento vengono poi ricordati i principi dell’enciclica Laudato si’, nella quale Papa Francesco respinge ogni concezione ristretta del cambiamento climatico, ovvero non si escludono le cause dovute a fenomeni naturali, ma si riconosce che il riscaldamento globale negli ultimi decenni è dovuto anche, e soprattutto, alla grande concentrazione di gas serra rilasciati principalmente a seguito di attività umana. In sintonia con il pensiero del Pontefice, si riafferma dunque l’importanza di implementare politiche che permettano l’adattamento delle popolazioni, specialmente le più povere e vulnerabili, e che attenuino gli effetti dei cambiamenti climatici, indipendentemente dalle cause. «I poveri e le popolazioni più vulnerabili — si legge nel testo — patiscono in modo sproporzionato gli effetti di uragani, inondazioni, siccità, carestie e scarsità di acqua». Un appello che giunge in «un momento di incertezze e di opportunità significative per la nostra nazione e per il mondo». In questo senso, conclude il testo, «pieni di speranza in Dio, preghiamo perché il lavoro del governo contribuisca a aumentare la ricchezza materiale, sociale e spirituale degli Stati Uniti e a rafforzare ulteriormente la solidarietà in tutto il mondo». L’allarme dell’arcivescovo di Los Angeles I bambini e il dramma dei genitori deportati MODESTO, 20. «Se si vuole comprendere l’impatto dei raid che svolgono le guardie di frontiera degli Stati Uniti in più di 60 comunità in tutto il paese solo in questo inizio di febbraio, possiamo sentire i bambini: non vogliono andare a scuola, pensando che i loro genitori stanno per essere portati via, mentre loro non ci sono». È quanto ha affermato l’arcivescovo di Los Angeles, José Horacio Gómez, intervenendo all’incontro dei movimenti popolari che si è concluso ieri, domenica 19, a Modesto, in California. Una preoccupazione, per le nuove direttive sull’immigrazione negli Stati Uniti, condivisa anche da chi lavora ogni giorno nelle parrocchie delle città di confine con il Messico. Racconta all’agenzia Fides Ellie Hidalgo, responsabile di una struttura di accoglienza: «Abbiamo bambini presso la Dolores Mission: se i loro genitori arrivano in ritardo a casa dal lavoro diventano ansiosi immediatamente». La donna conferma che «la situazione sta diventando molto tesa e confusa». E si domanda: «Se i genitori non tornano a casa, dove andranno a finire quei bambini?». La preoccupazione maggiore è che possano venire tolti d’autorità dalla potestà dei genitori e finire nel circuito dell’adozione. Di fronte a una simile situazione, spiega ancora Hidalgo, «nelle parrocchie e nelle strutture associate in questo momento stiamo offrendo incontri d’informazione per aiutare le persone senza documenti, in modo che possano conoscere i loro diritti e come procedere se gli ufficiali dell’Immigration and Customs si presentano nelle loro case». «Perché sei diventato Papa?», «Quale è stato il momento più difficile della tua vita?», «Come ci si sente a essere il rappresentante della Chiesa cattolica?». In pochi minuti di serrato botta e risposta con oltre duecento bambini e ragazzi, nel piccolo teatro di una parrocchia romana della periferia orientale, Papa Francesco ha rivelato i “segreti” del conclave, raccontato alcuni particolari della sua vita personale, spiegato il ruolo del vescovo di Roma e toccato, con una catechesi dialogica e coinvolgente, alcuni dei più grandi misteri della fede cristiana. L’incontro con i bambini del catechismo è stato, così, uno dei momenti più significativi, nel pomeriggio di domenica 19 febbraio, della visita del Pontefice alla comunità di Santa Maria Josefa del Cuore di Gesù a Castelverde di Lunghezza. Il Pontefice è arrivato nel quartiere di Ponte di Nona, come da programma, alle 15.30, accolto da una splendida giornata di sole e da tanti ramoscelli di mimosa agitati dalla folla di fedeli che lo aspettava da tempo nel grande piazzale antistante la chiesa. Molte persone erano anche affacciate ai palazzi — colorati, ma ormai sbiaditi dall’incuria — mentre dai balconi e dalle transenne, insieme a lenzuola con le più varie scritte di benvenuto, di tanto in tanto occhieggiavano bandiere delle comunità latinoamericane che vivono nel quartiere: argentini, boliviani, peruviani. Sceso dalla macchina, il Papa è stato accolto dal cardinale vicario Agostino Vallini, dal vescovo ausiliare del settore est Giuseppe Marciante, dal parroco don Francesco Rondinelli, e dal prefetto della XVIII prefettura don Joseph Alexander De León. Con loro anche il reggente della Casa pontificia, monsignor Leonardo Sapienza. Lungo tutto il viottolo che porta all’interno del complesso parrocchiale, il Pontefice ha salutato le tante persone assiepate dietro le transenne. Ed è così cominciato il lungo dialogo fatto di gesti, di carezze, di sorrisi, di selfie, che si è protratto per tutto il pomeriggio tra il vescovo di Roma e la comunità di Ponte di Nona. Quel linguaggio del corpo, spontaneo e incisivo, che accompagna sempre le parole e gli insegnamenti pronunciati dal Pontefice. I prediletti, com’è sua abitudine, sono i più piccoli, ai quali Francesco riserva sempre una sosta in più. Da lontano si sentivano già forti le grida e i cori dei bambini radunati nel teatrino parrocchiale: «Papa Francesco! Papa Francesco!». Finché, appena il Pontefice si è affacciato alla porta, i cori si sono trasformati in un boato, con una vera e propria esplosione di gioia. Superato l’entusiasmo travolgente dei piccoli parrocchiani, il Papa ha guadagnato il palcoscenico e, con accanto il cardinale vicario, ha cominciato a rispondere alle domande spontanee dei bambini presentati, di volta in volta, dal parroco. Ha cominciato il piccolo Alessandro che ha chiesto: «Perché sei diventato Papa?». La prima risposta ha chiarito subito il tono della conversazione: «Ci sono i “colpevoli”», ha detto scherzando e, indicando il cardinale Vallini, ha continuato: «Uno dei colpevoli è questo!», suscitando l’ilarità collettiva. Poi, a modo suo, ha introdotto l’uditorio nelle dinamiche del conclave sulle quali da sempre si accapigliano vaticanisti e scrittori di ogni genere. «Si paga per diventare Papa?», «Noooo!» hanno risposto in coro; «Ma se uno paga tanto, tanto, tanto, alla fine lo fanno Papa?», «Noooo!»; e allora, ha continuato, «Si fa a sorteggio?», «Noooo!». Ecco la spiegazione: «I cardinali si riuniscono, parlano tra loro, pensano... e ragionano... Ma soprattutto — e questa è la cosa più importante — si prega. Capito?». Quindi, spiegati i dettagli della clausura, della votazione e del quorum, è giunto al nocciolo: «Chi è la persona più importante in quel gruppo che fa il Papa? Pensateci bene!». E, a un bimbo che ha colto la risposta giusta («Dio!»), ha spiegato: «Dio, lo Spirito santo, che tramite il voto fa il Papa. Poi, quello che viene eletto, forse non è il più intelligente, forse non è il più furbo, forse non è il più sbrigativo per fare le cose, ma è quello che Dio vuole per quel momento della Chiesa. Capito?». Sollecitato sulla sua vita personale, il Papa ha ricordato come da piccolo volesse fare il macellaio e come uno dei momenti più difficili della sua giovinezza sia stato quando, a vent’anni, rischiò di morire per una malattia. E ha subito aggiunto un insegnamento valido per tutti: «Le difficoltà nella vita ci sono e ci saranno sempre, ma non bisogna spaventarsi. Le difficoltà si superano, si va avanti, con la fede, con la forza, con il coraggio!». Poi il turno delle domande è passato al Pontefice il quale, partendo da un quesito impegnativo («Quanti “D io” ci sono? Uno o tre?»), ha portato i bimbi con semplicità a riflettere sul mistero della Trinità, sul Dio uno in tre persone e su Maria madre di Dio. Salutati i bambini, Papa Francesco ha poi raggiunto le vicine salette dove lo attendevano alcuni malati e le famiglie con i bambini nati nell’anno. I più piccoli, in particolare, hanno catalizzato la sua attenzione. A uno ha spiegato la differenza dei colori degli zucchetti del Pontefice, del cardinale e del vescovo, da un altro ha ricevuto un disegno e una caramella. La piccola Giulia lo ha carezzato più volte dandogli anche dei pizzicotti sulla guancia e lui, divertito, l’ha presa in braccio per farle un po’ di coccole. Dopo essersi fermato qualche minuto per un incontro strettamente privato con i genitori di un ragazzo ucciso nella zona lo scorso anno, il Papa ha quindi raggiunto il “quartier generale” del gruppo Caritas, la stanza dove viene raccolto e smistato quanto sarà poi donato ai poveri della parrocchia. «Grazie per quello che fate», ha detto ai volontari, raccomandando loro non solo di «dare», ma anche di «ascoltare». E ha aggiunto: «Pensate questo: quando viene una persona a chiedere aiuto, una signora o un signore o chiunque, quella persona è Gesù. Perché anche Gesù ha dovuto chiedere aiuto quando era profugo in Egitto». Francesco li ha invitati a non fare differenze tra buoni e cattivi, tra credenti e non credenti: «Questo pacco lo dò a Gesù. E questo sorriso lo dò a Gesù. Questa è la vostra strada di santità. Se voi fate questo, diventerete santi». Dopo aver salutato i familiari del parroco, i sacerdoti della prefettura — che, con il cardinale, il vescovo, il parroco e il viceparroco, don Luca Bazzani, hanno concelebrato — e i ministranti, il Papa si è spostato in sagrestia dove ha confessato quattro fedeli e dove, poi, si è preparato per la messa. Al termine del rito (diretto dal maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, monsignor Guido Marini, coadiuvato dal cerimoniere Vincenzo Peroni) il Pontefice si è fermato qualche minuto in chiesa con alcuni malati e poi ha raggiunto il sagrato da dove, ha salutato la folla che lo aveva atteso per tutto il pomeriggio. «Grazie — ha detto — per essere stati qui a pregare insieme, a pregare per tutto il quartiere, per la parrocchia. Saluto tutti voi, fedeli cattolici, e anche i musulmani, e per tutti voi chiedo la benedizione del Signore». Quindi ha recitato con tutti un’avemaria e ha benedetto tutti prima di fare rientro in Vaticano. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 lunedì-martedì 20-21 febbraio 2017 Shari Kreller «Forgiveness» All’Angelus il Pontefice ricorda che l’amore supera la giustizia Rivoluzione cristiana Appello per la pace nella Repubblica democratica del Congo «La rappresaglia non porta mai alla risoluzione dei conflitti». Anche perché «quando parliamo di “nemici” non dobbiamo pensare a chissà quali persone lontane: parliamo anche di noi stessi, che possiamo entrare in conflitto con i nostri familiari». Lo ha detto il Papa all’Angelus del 19 febbraio in piazza San Pietro, commentando il vangelo domenicale. Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Nel Vangelo di questa domenica (Mt 5, 38-48) — una di quelle pagine che meglio esprimono la “rivoluzione” cristiana — Gesù mostra la via della vera giustizia mediante la legge dell’amore che supera quella del taglione, cioè «occhio per occhio e dente per dente». Questa antica regola imponeva di infliggere ai trasgressori pene equivalenti ai danni arrecati: la morte a chi aveva ucciso, l’amputazione a chi aveva ferito qualcuno, e così via. Gesù non chiede ai suoi discepoli di subire il male, anzi, chiede di reagire, però non con un altro male, ma con il bene. Solo così si spezza la catena del male: un male porta un altro male, un altro porta un altro male... Si spezza questa catena di male, e cambiano veramente le cose. Il male infatti è un “vuoto”, un vuoto di bene, e un vuoto non si può riempire con un altro vuoto, ma solo con un “pieno”, cioè con il bene. La rappresaglia non porta mai alla risoluzione dei conflitti. ”Tu me l’hai fatta, io te la farò”: questo mai risolve un conflitto, e neppure è cristiano. Per Gesù il rifiuto della violenza può comportare anche la rinuncia ad un legittimo diritto; e ne dà alcuni esempi: porgere l’altra guancia, cedere il proprio vestito o il proprio denaro, accettare altri sacrifici (cfr. vv. 39-42). Ma questa rinuncia non vuol dire che le esigenze della giustizia vengano ignorate o contraddette; no, al contrario, l’amore cristiano, che si manifesta in modo speciale nella misericordia, rappresenta una realizzazione superiore della giustizia. Quello che Gesù ci vuole insegnare è la netta distinzione che dob- biamo fare tra la giustizia e la vendetta. Distinguere tra giustizia e vendetta. La vendetta non è mai giusta. Ci è consentito di chiedere giustizia; è nostro dovere praticare la giustizia. Ci è invece proibito vendicarci o fomentare in qualunque modo la vendetta, in quanto espressione dell’odio e della violenza. Gesù non vuole proporre un nuovo ordinamento civile, ma piuttosto il comandamento dell’amore del prossimo, che comprende anche l’amore per i nemici: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (v. 44). E questo non è facile. Questa parola non va intesa come approvazione del male compiuto dal nemico, ma come invito a una prospettiva superiore, a una prospettiva magnanima, simile a quella del Padre celeste, il quale — dice Gesù — «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (v. 45). Anche il nemico, infatti, è una persona umana, creata come tale a immagine di Dio, sebbene al presente questa immagine sia offuscata da una condotta indegna. Quando parliamo di “nemici” non dobbiamo pensare a chissà quali persone diverse e lontane da noi; parliamo anche di noi stessi, che possiamo entrare in conflitto con il nostro prossimo, a volte con i nostri familiari. Quante inimicizie nelle famiglie, quante! Pensiamo a questo. Nemici sono anche coloro che parlano male di noi, che ci calunniano e ci fanno dei torti. E non è facile digerire questo. A tutti costoro siamo chiamati a rispondere con il bene, che ha anch’esso le sue strategie, ispirate dall’amore. La Vergine Maria ci aiuti a seguire Gesù su questa strada esigente, che davvero esalta la dignità umana e ci fa vivere da figli del nostro Padre che è nei cieli. Ci aiuti a praticare la pazienza, il dialogo, il perdono, e ad essere così artigiani di comunione, artigiani di fraternità nella nostra vita quotidiana, soprattutto nella nostra famiglia. Al termine della preghiera mariana il Pontefice ha lanciato un appello per la pace nella Repubblica democratica del Congo e in altre parti del continente africano, esprimendo vicinanza anche alle popolazioni di Pakistan e Iraq. Cari fratelli e sorelle, continuano purtroppo a giungere notizie di scontri violenti e brutali nella regione del Kasai Centrale della Repubblica Democratica del Congo. Sento forte il dolore per le vitti- me, specialmente per tanti bambini strappati alle famiglie e alla scuola per essere usati come soldati. Questa è una tragedia, i bambini soldati. Assicuro la mia vicinanza e la mia preghiera, anche per il personale religioso e umanitario che opera in quella difficile regione; e rinnovo un accorato appello alla coscienza e alla responsabilità delle Autorità nazionali e della Comunità internazionale, affinché si prendano decisioni adeguate e tempestive per soccorrere questi nostri fratelli e sorelle. Preghiamo per loro e per tutte le popolazioni che anche in altre parti del Continente africano e del mondo soffrono a causa della violenza e della guerra. Penso, in particolare, alle care popolazioni del Pakistan e dell’Iraq, colpito da crudeli atti terroristici nei giorni scorsi. Preghiamo per le vittime, per i feriti e i familiari. Preghiamo ardentemente che ogni cuore indurito dall’odio si converta alla pace, secondo la volontà di Dio. Preghiamo un attimo in silenzio. [Ave Maria] Saluto tutti voi, famiglie, associazioni, gruppi parrocchiali e singoli pellegrini provenienti dall’Italia e da varie parti del mondo. In particolare, saluto gli studenti di Armagh (Irlanda), i fedeli delle diocesi di Asidonia-Jerez, Cádiz y Ceuta e Madrid in Spagna; il Movimento giovanile Guanelliano, i cresimandi di Castelnuovo di Prato e i pellegrini di Modena e Viterbo. A tutti auguro una buona domenica — una bella giornata! [indica il cielo azzurro]. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci! Nell’omelia a Santa Maria Josefa del Cuore di Gesù il perdono e la preghiera antidoti contro l’odio Nessuna vendetta I temi della vendetta e del rancore come atteggiamenti da evitare — perché il vero cristiano deve saper perdonare — sono stati anche al centro dell’omelia pronunciata dal Pontefice nel pomeriggio di domenica 19, durante la messa celebrata nella parrocchia romana di Santa Maria Josefa del Cuore di Gesù, a Ponte di Nona. Oggi c’è un messaggio che direi unico nelle Letture. Nella prima Lettura c’è la Parola del Signore che ci dice: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Lv 19, 2). Dio Padre ci dice questo. E il Vangelo finisce con quella Parola di Gesù: «Voi siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5, 48). La stessa cosa. Questo è il programma di vita. Siate santi, perché Lui è santo; siate perfetti, perché Lui è perfetto. E voi potete domandarmi: “Ma, Padre, come è la strada per la santità, qual è il cammino per diventare santi?”. Gesù lo spiega bene nel Vangelo: lo spiega con cose concrete. Prima di tutto: «Fu detto: “O cchio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio» (Mt 5, 38-39), cioè niente vendetta. Se io ho nel cuore il rancore per qualcosa che qualcuno mi ha fatto e voglio vendicarmi, questo mi allontana dal cammino verso la santità. Niente vendetta. “Me l’hai fatta: me la pagherai!”. Questo è cristiano? No. “Me la pagherai” non entra nel linguaggio di un cristiano. Niente vendetta. Niente rancore. “Ma quello mi rende la vita impossibile!...”. “Quella vicina di là sparla di me tutti i giorni! Anch’io sparlerò di lei...”. No. Cosa dice il Signore? “Prega per lei” — “Ma per quella devo pregare io?” — “Sì, prega per lei”. È il cammino del perdono, del dimenticare le offese. Ti danno uno schiaffo sulla guancia destra? Porgigli anche l’altra. Il male lo si vince con il bene, il peccato lo si vince con questa generosità, con questa forza. È brutto il rancore. Tutti sappiamo che non è una cosa piccola. Le grandi guerre — noi vediamo nei telegiornali, sui giornali, questo massacro di gente, di bambini... quanto odio!, ma è lo stesso odio — è lo stesso! — che tu hai nel tuo cuore per quello, per quella o per quel parente tuo o per tua suocera o per quell’altro, lo stesso. Quello è ingrandito, ma è lo stesso. Il rancore, la voglia di vendicarmi: “Me la pagherai!”, questo non è cristiano. “Siate santi come Dio è santo”; “siate perfetti come perfetto è il Padre vostro”, «il quale fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5, 45). È buono. Dio dà i suoi beni a tutti. “Ma se quello sparla di me, se quello me l’ha fatta grossa, se quello mi ha...”. Perdonare. Nel mio cuore. Questa è la strada della santità; e questo allontana dalle guerre. Se tutti gli uomini e le donne del mondo imparassero questo, non ci sarebbero le guerre, non ci sarebbero. La guerra incomincia qui, nell’amarezza, nel ran- Mercoledì delle ceneri 1° marzo 2017 Stazione nella basilica di Santa Sabina all’Aventino presieduta dal Papa INDICAZIONI 1. Nel giorno di inizio della Quaresima avrà luogo una celebrazione nella forma delle «Stazioni» romane, presieduta dal Santo Padre Francesco, con il seguente svolgimento: — Alle ore 16.30, nella chiesa di Sant’Anselmo all’Aventino, inizierà la liturgia «stazionale» cui farà seguito la processione penitenziale verso la Basilica di Santa Sabina. Alla processione prenderanno parte i Cardinali, gli Arcivescovi, i Vescovi, i Monaci Benedettini di Sant’Anselmo, i Padri Domenicani di Santa Sabina e alcuni fedeli. — Al termine della processione, nella Basilica di Santa Sabina, avrà luogo la celebrazione della Santa Messa con il rito di benedizione e di imposizione delle ceneri. *** 2. I Signori Cardinali, gli Arcivescovi, i Vescovi, i Monaci Benedettini e i Padri Domenicani, che intendono partecipare alla celebrazione, sono pregati di trovarsi per le ore 16.00 nella chiesa di Sant’Anselmo, indossando l’abito corale loro proprio. I fedeli si recheranno direttamente nella Basilica di Santa Sabina. Città del Vaticano, 20 febbraio 2017. Monsignor Guido Marini Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie core, nella voglia di vendetta, di farla pagare. Ma questo distrugge famiglie, distrugge amicizie, distrugge quartieri, distrugge tanto, tanto... “E cosa devo fare, Padre, quando sento questo?”. Lo dice Gesù, non lo dico io: «Amate i vostri nemici» (Mt 5, 44). “Io devo amare quello?” — Sì — “Non posso” — Prega perché tu possa —. «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (ibid.). “Pregare per quello che mi fa del male?” — Sì, perché cambi vita, perché il Signore lo perdoni. Questa è la magnanimità di Dio, il Dio magnanimo, il Dio dal cuore grande, che tutto perdona, che è misericordioso. “È vero, Padre, Dio è misericordioso”. E tu? Sei misericordioso, sei misericordiosa, con le persone che ti hanno fatto del male? Possessi cardinalizi Nel prossimo fine settimana i cardinali Carlos Osoro Sierra, arcivescovo di Madrid, e Jean-Pierre Kutwa, arcivescovo di Abidjan, prenderanno possesso dei rispettivi titoli di Santa Maria in Trastevere e di Sant’Emerenziana a Tor Fiorenza. Lo rende noto l’ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice (Ucepo), specificando che il porporato spagnolo si recherà nella chiesa romana a piazza di Santa Maria in Trastevere la sera di sabato 25 febbraio, alle 20, e che il porporato ivoriano sarà in quella di via Lucrino a mezzogiorno di domenica 26. Intanto nella mattina di domenica 19 febbraio, nella parrocchia di San Leonardo da Porto Maurizio ad Acilia, il cerimoniere pontificio Pier Enrico Stefanetti, coadiuvato da monsignor Ján Dubina, ha dato lettura ufficiale della bolla con la quale Papa Francesco ha elevato la chiesa a titolo cardinalizio presbiterale. L’annuncio è stato fatto all’inizio della messa concelebrata dai due cerimonieri pontifici insieme al parroco, il francescano padre Paolo Maiello. Nella circostanza è stata letta anche la bolla di assegnazione del nuovo titolo al cardinale Sebastian Koto Khoarai, vescovo emerito di Mohale’s Hoek. Per motivi di salute l’anziano porporato del Lesotho lo scorso 19 novembre non aveva potuto partecipare al concistoro ordinario pubblico, durante il quale il Pontefice lo aveva creato cardinale. O che non ti vogliono bene? Se Lui è misericordioso, se Lui è santo, se Lui è perfetto, noi dobbiamo essere misericordiosi, santi e perfetti come Lui. Questa è la santità. Un uomo e una donna che fanno questo, meritano di essere canonizzati: diventano santi. Così semplice è la vita cristiana. Io vi suggerisco di incominciare dal poco. Tutti abbiamo dei nemici; tutti sappiamo che quello o quella sparla di me, tutti lo sappiamo. E tutti sappiamo che quello o quella mi odia. Tutti sappiamo. E incominciamo dal poco. “Ma io so che costui mi ha calunniato, ha detto di me cose brutte”. Vi suggerisco: prenditi un minuto, rivolgiti a Dio Padre: “Quello o quella è Tuo figlio, è Tua figlia: cambia il suo cuore. Benedicilo, benedicila”. Questo si chiama pregare per quelli che non ci vogliono bene, per i nemici. Si può fare con semplicità. Forse il rancore rimane; forse il rancore rimane in noi, ma noi stiamo facendo lo sforzo per andare sulla strada di questo Dio che è così buono, misericordioso, santo e perfetto che fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni: è per tutti, è buono per tutti. Dobbiamo essere buoni per tutti. E pregare per quelli che non sono buoni, per tutti. Noi preghiamo per quelli che ammazzano i bambini nella guerra? È difficile, è molto lontano, ma dobbiamo imparare a farlo. Perché si convertano. Noi preghiamo per quelle persone che sono più vicine a noi e ci odiano o ci fanno del male? “Eh, Padre, è difficile! Io avrei voglia di stringergli il collo!” — Prega. Prega perché il Signore cambi loro la vita. La preghiera è un antidoto contro l’odio, contro le guerre, queste guerre che incominciano a casa, che incominciano nel quartiere, che incominciano nelle famiglie... Pensate soltanto alle guerre nelle famiglie per l’eredità: quante famiglie si distruggono, si odiano per l’eredità. Pregare perché ci sia la pace. E se io so che qualcuno mi vuole male, non mi vuole bene, devo pregare specialmente per lui. La preghiera è potente, la preghiera vince il male, la preghiera porta la pace. Il Vangelo, la Parola di Dio oggi è semplice. Questo consiglio: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo». E poi: «Voi siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». E per questo, chiedere la grazia di non rimanere nel rancore, la grazia di pregare per i nemici, di pregare per la gente che non ci vuole bene, la grazia della pace. Vi chiedo, per favore, di fare questa esperienza: tutti i giorni una preghiera. “Ah, questo non mi vuole bene, ma, Signore, ti prego...”. Uno al giorno. Così si vince, così andremo su questa strada della santità e della perfezione. Così sia.