Teodoro Scamardi
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Teodoro Scamardi
Daedalus, 2006 RICERCHE/MATERIALI TEODORO SCAMARDI UN BARONE ASSIANO NELLA CALABRIA DEL SETTECENTO: JOHANN HERMANN VON RIEDESEL La mattina del 26 aprile 1787, a Girgenti, Goethe, che nei giorni precedenti ha visitato la Valle dei Templi ricevendone un’impressione fortissima, appena sveglio, si affaccia alla finestra, e, alla vista della valle nel fulgore della primavera siciliana, commosso, sente il bisogno di esprimere la sua gratitudine nei confronti di un «amico segreto», che, «taciturno ma non muto», lo accompagna in questo suo tour siciliano: Riserbo e discrezione m’hanno impedito finora di nominare il mentore che guardo e ascolto di tanto in tanto: alludo all’eccellente von Riedesel, il cui libricino custodisco in seno come breviario o talismano. Ho sempre gradito specchiarmi in quelle personalità che posseggono ciò che manca alla mia, e precisamente, nel caso in questione, un calmo proponimento, la certezza dello scopo, strumenti nitidi e idonei, preparazione e conoscenza, intimo rapporto con un maestro impareggiabile quale il Winckelmann. E tuttavia non posso rimproverarmi se cerco di conquistare di sorpresa, di forza e con l’astuzia ciò che per vie ordinarie mi fu negato finora dalla vita. Possa quell’uomo egregio intuire in questo momento, fra il tumulto mondano, come un grato epigono celebri i suoi meriti, solitario nel solitario luogo che affascinò anche lui tanto da fargli desiderare di trascorrere qui i suoi giorni, dimentico di quelli che amò e da essi dimenticato1 Scrivendo queste note, Goethe ha in mente le pagine del Riedesel quando anche lui, una mattina d’aprile, s’era affacciato da una finestra del convento degli agostiniani di cui era ospite, e, preso da un senso di profonda commozione, aveva declamato i versi virgiliani evocati nel passo goethiano «Hic vivere vellem / Oblitusque meorum obliviscendus & illis, / Neptunum procul e terra spectare furentem». Del Riedesel, che però a quella data era già morto da due anni - ma Goethe non lo sa - gli chiederà notizie, a Catania, la Princi1 J. W. GOETHE, Viaggio in Italia, traduzione di Emilio Castellani, Garzanti , Milano 1997, p. 307 sg. 31 pessa Biscari che lo aveva avuto suo ospite e ne aveva apprezzato le qualità morali ed intellettuali2. Coverrà a questo punto chiedersi chi fosse questo barone von Riedesel di cui lautore del Werther parla con tanta gratitudine e devozione ? Johann Hermann von Riedesel barone di Eisenbach di Altenburg (tale il suo titolo completo) era nato il 10 novembre 1740 a Höllrich nella Bassa Franconia, e morirà, in seguito ad una caduta da cavallo, il 19 settembre 1785 nel villaggio di Hiezig presso Vienna. Diversamente dal padre, Johann Volbrecht von Riedesel (1696-1757), che era stato come generale al servizio del Re di Prussia, egli preferì, come recita il Denina3 in un suo succinto profilo biografico, «la philosophie, la politique, la litérature à la profession militaire». Della sua formazione sappiamo poco: da piccolo aveva avuto, secondo l’uso del tempo, un’istitutrice francese, per cui era cresciuto nella lingua e cultura francesi che gli saranno sempre più familiari della lingua e cultura tedesche. Negli studi classici fu iniziato dapprima dal parroco Gerhard Diessenbach, poi, ad Idstein nel Taunus, allievo della «Ritterakademie», da uno svizzero, tale Heinrich Fröhlich, che aveva compiuto lunghi viaggi nelle Indie Orientali, e che sicuramente, attraverso i suoi racconti, gli avrà istillato l’amore per i viaggi. A 17 anni, nel 1757, perde il padre. Non particolarmente aitante nella persona4, gli è preclusa la carriera militare; gli resta però aperta la carriera diplomatica. Per prepararvisi si iscrive all’università di Erlangen per studiarvi diritto. Grazie all’eredità lasciatagli da un parente, Hermann Ludwig Riedesel, morto a Foligno durante un viaggio in Italia, il giovane può pensare al proprio futuro senza doversi troppo preoccupare degli aspetti finanziari. Dopo un viaggio a Vienna alla Corte Imperiale nel 1760, compie, come tutti i giovani del suo rango, il tradizionale Grand Tour, dapprima in Francia (1760/61), poi, nel 1762/63, in Italia (giungerà sino a Napoli). Alla 2 «La principessa, avendo saputo nel frattempo che eravamo tedeschi, ci domandò notizie dei signori von Riedesel, Bartels e Münter: essa li conosceva tutti, e mostrò di saper discernere e valutare il carattere e i modi di ciascuno di loro» (J. W. GOETHE, op. cit. p. 324). 3 CARLO DENINA, La Prusse littéraire sous Frederic II. Tome 3, 1791. 4 Il Principe Eugen von Württemberg così ne scrive al Rousseau che il Riedesel avrebbe dovuto incontrare - ignoriamo però se l’incontro abbia avuto luogo - : «Ce jeune homme est d’autant plus intéressant, que la nature semble avoir donné autant de laideur à la petite figure que de beauté à son caractère» (riportato in JOHANN HERMANN VON RIEDESEL, Randbemerkungen über eine Reise nach der Levante übersetzt von Lili M. Schultheiß, mit einer Einleitung von Eduard Edwin Becker, Darmstadt 1940, p. 11). 32 fine di agosto del 1763 è di nuovo in Assia, e, nel 1765, a Stoccarda al servizio del Duca Karl Eugen del Würtemberg. Tornerà in Italia su insistenza del Winckelmann nel 1766-1767, periodo nel quale si colloca il viaggio in Sicilia e nella Magna Grecia. Dopo avere visitato il sud dell’Italia e, nel 1768, la Grecia portandosi sino a Costantinopoli5 visita la Spagna, il Portogallo, l’Inghilterra, l’Olanda, la Francia col proposito di visitare anche la Russia. Fu proprio mentre era diretto a San Pietroburgo che, passando da Berlino, nel 1772, viene presentato a Federico II, il quale sentendone il nome e ricordandosi che già un Riedesel era stato al servizio di suo padre come generale, gli chiede se per caso quell’ufficiale era un suo parente. Appreso che si trattava di suo padre, così continua il Denina, «lui trovant de l’esprit, des connoissances & un caractère qui l’intéressèrent, il lui fit offrir par le comte de Finckenstein la clé de chambellan & deux mille écus de pension, s’il vouloit s’attacher à lui & demeurer a Potsdam». Il barone accetta, e l’anno successivo, nel 1773, viene inviato come plenipotenziario prussiano a Vienna. Partecipa in questa veste alle trattative che condussero al trattato di Teschen. Di lui Federico II ebbe un giudizio molto lusinghiero («C’est un honnête garçon, je le connais et qui ne manque pas de connaissances»6) e quando, nel 1785, muore, il Re scrive alla vedova una lettera di condoglianze nella quale fra l’altro si legge: «Notre perte est réciproque, Madame. Vous regrettez la mort d’un mari digne de toute votre tendresse; et moi un ministre dont J’avois éprouvé le zèle et l’attachement et J’avois trouvé digne de toute ma confiance»7. Ma l’incontro più importante della sua vita fu certamente l’incontro col Winckelmann avvenuto a Roma nell’ottobre-dicembre del 1762. Al Winckelmann il barone era stato probabilmente raccomandato perché, come Prefetto delle Antichità, gli facesse da guida nella visita dei tesori artistici della città. Certo all’inizio l’antiquario sarà stato diffidente – non aveva una grande opinione di questi giovani aristocratici - e lo avrà catalogato come il solito grand touriste che viene in Italia giusto per ottemperare ad un obbligo sociale 5 Di questo viaggio renderà conto nel volume Remarques d’un voyageur moderne au Levant, Amsterdam MDCCLXXIII. 6 Riportato in WALTHER REHM, Johann Hermann von Riedesel. Freund Winckelmanns, Mentor Goethes, Diplomat Friedrich des Großen, in W. R., Götterstille und Göttertrauer. Aufsätze zur Deutsch-Antiken Begegnung, Leo Lehnen Verlag GmbH, München 1951, p. 203. 7 Riportato in JOHANN HERMANN VON RIEDESEL, Randbemerkungen über eine Reise nach der Levante già cit., p. 7. 33 e se ne torna a casa più asino di prima8. Frequentandolo e conoscendolo più da vicino, Winckelmann dovrà ricredersi e da un incontro occasionale nasce un rapporto d’amicizia destinato a durare nel tempo. Il barone ricco di «gusto e conoscenza»9, «dallo spirito sciolto e fino»10, entra nel numero, ristrettissimo, dei suoi amici personali: «Il novero dei miei amici si limita a tre persone – scriverà poi al barone in una lettera del 17 aprile 1765 - Lei, Stosch, Mengs e sua moglie che considero una persona sola»11. Quando il Riedesel torna in Germania fra i due inizia una corrispondenza non convenzionale: «Non Vi scrivo per abitudine, - così il Winckelmann in una lettera del 20 ottobre 176412 - o per cortesia […], ma Vi scrivo come ad un amico». In seguito sarà lui ad incoraggiarlo a ritornare in Italia. Quando, verso la fine del 1765, apprende che il barone è giunto a Bologna, si affretta a comunicargli tutta la sua gioia e gli assicura la sua disponibilità a trascorrere in sua compagnia quanto più tempo possibile13. Tutto il 1766, sino ai primi del 1767, il Riedesel lo passa a Roma in quotidiano contatto con l’amico antiquario. Nel gennaio del 1767 si reca a Napoli dove frequenta, fra gli altri, lord Hamilton, e dove Winckelmann promette di raggiungerlo. Questa promessa non verrà mantenuta, così come non verrà mantenuta la promessa di accompagnarlo nel viaggio in Sicilia e nella Magna Grecia. Gli sarà però prodigo di consigli (anche bibliografici) e gli metterà a disposizione le sue amicizie siciliane (lettera del 23 febbraio 1767): «Prima di intraprendere il viaggio dovrete leggere Cluverii Italiam e Siciliam e fare degli excerpta. Potrete fare a meno di leggere tutte le altre pubblicazioni. La Sicilia illustrata del Padre Pancrazi è un feto fratesco […]. A Palermo non mancate di visitare l’Abate Bandini di Siena che chiunque sarà in grado di indicarVi» 14. Questo viaggio nell’estremo sud della penisola segnerà il punto di approdo di una vocazione che veniva da lontano: dai racconti del nonno materno che aveva combattuto in qualità di maggiore al servizio dei veneziani in Morea, dai racconti del padre che era stato generale del Re di Prussica, dall’insegnante d’Idstein. Appena riceve il resoconto della parte siciliana del viaggio, Winckelmann esprime tutto il suo 8 «Tutti i Cavalieri arrivano qui come degli invasati e se ne ripartono da asini» (Johann Joachim Winckelmann, Briefe, hrsgg. v. W. Rehm, Walter De Gruyter, Berlin 1954-1957, vol. I, p. 235. 9 JOHANN JOACHIM WINCKELMANN, Briefe, già cit. , vol. III., p. 6). 10 Ibidem, p. 7. 11 Ibidem. p. 96. 12 Ibidem, p. 61 sg. 13 Ibidem, p. 142. 14 Ibidem, p. 237. 34 compiacimento in una lettera del 2 giugno 1767 («Dai soli appunti sul Tempio di Girgenti capisco che Voi avete visto di più e più in profondità di chiunque altro»15) e s’impegna a scrivere una prefazione qualora, come auspica, si giunga ad una pubblicazione. A fine giugno - lettera del 27 giugno del 1767 - accusa ricevuta dell’«utile ed istruttivo diario del suo viaggio»16, e comunica di avere preso i primi contatti per la pubblicazione del volume con gli amici editori svizzeri, Füßli e Usteri. In una lettera del 17 luglio 1767 17 si raccomanda che tutte le comunicazioni vengano in volume e non disperse in riveste, s’impegna a scrivere una prefazione e chiede il permesso di rivedere il manoscritto; lo prega infine - lettera del 21 luglio 1767 18 - di fargli avere al più presto anche la parte riguardante la Magna Grecia. Nell’entusiasmo suscitatogli dalla lettura delle note del Riedesel, Winckelmann ritorna all’idea di un viaggio in Sicilia, non ultimo per ottenere dal catanese Principe Biscari l’autorizzazione a riprodurre i disegni dai suoi vasi greci in una pubblicazione (lettera del 28 luglio 1767 19); ma già da una lettera del 9 settembre dello stesso anno apprendiamo che vi dovrà rinunciarvi perché, in novembre, dovrà fare da cicerone all’Imperatore e al Gran Duca di Toscana in visita a Roma20. Il resoconto di viaggio del Riedesel uscirà nel 1771, a tre anni dalla morte del Winckelmann, a Zurigo, presso l’editore Orell, Geßner, Füßlin und Comp., col titolo Reise durch Sizilien und Großgriechenland [Viaggio attraverso la Sicilia e la Magna Grecia]21 senza la promessa prefazione e, come richiesto dal Riedesel senza l’indicazione del nome dell’autore che però chiunque avrebbe potuto intuire dalla dedica all’«amico Winckelmann». Ignoriamo se il manoscritto sia stato poi revisionato, e in che misura. In omaggio al Winckelmann il Riedesel scrisse le sue comunicazioni in tedesco e non in francese, lingua che controllava meglio e che gli avrebbe assicurato una più ampia ricezione. L’opera fu comunque subito tradotta, dapprima in francese22, poi in 15 Ibidem, p. 267. Ibidem, p. 179. 17 Ibidem, p. 286. 18 Ibidem, p. 288 19 Ibidem, p. 292 20 Ibidem, p. 315 21 Dell’opera siste un’edizione moderna a cura della Winckelmann-Gesellschaft di Stendal con un’introduzione di Arthur Schulz uscita presso l’Akademie-Verlag di Berlino il 1965 che sta alla base della traduzione che proponiamo in appendice. 22 Voyage en Sicile et dans la Grande-Grèce adréssé par l’auteur a son ami Winckelmann accompagné de notes du traducteur et d’autres additions interessantes, Franç G rasset, Lausanne 1773. 16 35 inglese23, entrando così nel grande circuito culturale europeo e diventando così ben presto lettura obbligata per tutti coloro che, in Europa, s’interesseranno alla Sicilia e a quelle regioni che un tempo avevano costituito la Magna Grecia. Il viaggio, via mare, inizia, con partenza da Napoli, il 13 maggio 1767, e termina tre mesi dopo, il 10 marzo, col ritorno, via terra, a Napoli dalla Puglia. Dopo avere attraversato la Sicilia - Palermo, Girgenti, Siracusa, Catania, Messina, con una puntata all’isola di Malta - prosegue, via mare, alla volta della Calabria visitando Reggio, Gerace, Stilo, la Certosa di Stilo (sic!), Squillace, quindi Cutro, Capo di Mezzo fra Capo Rizzuto e Capo Colonne, Crotone, Corigliano, e infine la Puglia (Gallipoli, Lecce, Brindisi, Bari). Della parte siciliana che resta il suo contributo più importante e su cui, giustamente, più si è appuntata e continua ad appuntarsi l’attenzione degli studiosi, non ci occupiamo, ci soffermeremo invece brevemente sulle pagine dedicate alla Calabria. Se la motivazione del viaggio era fare un inventario dei resti greci in Sicilia e nella Magna Grecia, il viaggio in Calabria nella prima metà del Settecento doveva necessariamente deludere. Gli unici resti classici presenti in Calabria che il Riedesel ricorda sono qualche iscrizione greca o romana a Reggio, i resti di un tempietto a Capo di Mezzo, fra Capo Rizzuto e Capo Colonne, ciò che resta del tempio di Hera Lacinia a Capo Colonne ridotto a cava di marmi da recuperare per la costruzione del porto di Crotone, e contro la quale invano protesta, nulla o quasi nella Locride e a Sibari. Di resti di altre epoche storiche non si occupa, siano essi normanni o ‘gotici’, cioè barocchi non rientrando essi nei suoi canoni estetici. Di ciò che è rimasto della Magna Grecia dà dettagliata notizia misurando come può (lagnandosi poi di non aver trovato a Crotone nessuno che lo potesse aiutare nelle sue misurazioni) avanzando ipotesi e congetture. Ma è poca cosa. Il Riedesel riferisce invece più dettagliatamente su altri aspetti della realtà visitata, soprattutto sulle sue attività produttive ed economiche, la produzione e commercializzazione della seta e della liquirizia, esprimendo, come già aveva fatto per la Sicilia, pesanti giudizi sul sistema di tassazione borbonico che rendeva impossibile ogni forma di sviluppo economico. Ha, però, parole di grande apprezzamento nei confronti del Duca di Corigliano, don Giacomo Saluzzo (17091780), forse per la comune appartenenza alla massoneria, e sul cui conto in- 23 Travels through Sicily and that part of Italy formally called Magna Grecia, Edward and Charles Dilly, London 1773. 36 vece altri viaggiatori si esprimono in modo piuttosto critico24. Riferisce dettagliatamente sul processo di lavorazione della radice di liquirizia che attirerà, anche in seguito, l’attenzione di altri viaggiatori. In riferimento al carattere della popolazione locale mancano nelle pagine del Riedesel quegli accenti alla barbarie e alla rozzezza che ritroviamo insistenti e ripetitivi nelle pagine di altri viaggiatori. Di questa stereotipia negativa, che il Riedesel doveva conoscere ma da cui non si lascia condizionare, si coglie solo indirettamente l’eco quando, lasciata la Calabria, raffrontando la pronuncia dei Tarantini con quella dei Calabresi dirà di questi ultimi che «pronunciano tutto in modo ruvido e duro, distinguendo, come i toscani, fra la d e la t e la b e la p, e con suono gutturale»25. Le pagine calabresi del Riedesel ebbero una ricaduta negativa sulle sorti del viaggio in Calabria. Attestando esse la mancanza di reperti archeologici importanti, dissuadevano di fatto il viaggiatore dall’includere questa regione nell’itinerario del viaggio. L’inaccessibilità dei luoghi e una stereotipia negativa che affondava le sue radice nel passato romano faranno il resto. Perché le cose mutassero e l’Europa si accorgesse della Calabria ci vorrà un evento di particolare gravità, il terremoto del 178326. 24 Ecco, ad esempio, cosa scrive il viaggiatore inglese Henry Swinburne: «La cittadina di Corigliano si erge arditamente sulla cima coperta di verde come una torre di guardia a difesa di tutti questi tesori naturali. E un ducato che appartiene ai Saluzzo, una famiglia genovese che da qualche anno è stata ammessa al Seggio o circoscrizione del Porto a Napoli. Gli edifici sono un po’ migliori di quelli di altri centri calabresi vicini da me attraversati. Conta circa ottomila abitanti che sembrano estremamente poveri e, come Tantalo, muoiono di fame in mezzo all’abbondanza sebbene il loro padrone sia considerato uno dei più umani e ricchi feudatari della zona. Egli ha promosso l'agricoltura e l'allevamento dei cavalli e del bestiame, ma con risultati finora di poco conto» (HENRY SWINBURNE, Viaggio in Calabria (1777-1778), a cura di Silvana Comi, edizioni effe emme, Chiaravalle Centrale 1977, p. 62). Per le implicazioni massoniche cfr. ALESSANDRO DI PAOLA, Greca, bella, infelice: la Sicilia di von Riedesel, in Emanuele Kanceff e ROBERTA RAMPONE (a cura di), Viaggio nel Sud, I, Slatkine, Genève, pp. 109-126, in particolare pp. 120-125. 25 ARTHUR SCHULZ (a cura di), Johann Hermann von Riedesels Reise durch Sizilien und Großgriechenland, Akedemie-Verlag, Berlin 1965, p. 83. 26 Per il viaggio dei Tedeschi in Calabria mi permetto di rinviare al mio studio Viaggiatori tedeschi in Caloria. Dal Grand tour al turismo di massa, Rubbettino editore, Soveria Mannelli 1998. 37