PREMESSA Come accade per tutti i personaggi che hanno lasciato

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PREMESSA Come accade per tutti i personaggi che hanno lasciato
PREMESSA
Come accade per tutti i personaggi che hanno lasciato un segno nella storia, la vita dell’abate
Adraldo, vissuto nell’XI secolo, è strettamente intrecciata con il contesto sociale, storico e politico
della sua epoca: epoca caratterizzata dalla riforma gregoriana, faro di sapienza, di speranza, di pace,
di rinnovamento di costumi, di vivacità spirituale in un momento storico complesso, spesso
definito, troppo semplicisticamente, come “secoli bui”. Si tratta di una “storia dell’anno Mille” nel
senso letterale del termine (difatti si dipana tra i primi decenni e gli anni settanta del secolo decimo
primo), della parabola ascendente di una delle personalità più significative e determinanti della
storia dell’abbazia di Novalesa, una parabola che inizia a Vendôme, poi continua a Cluny, passando
per Payerne e Breme, per concludersi a Chartres, con una delle cariche ecclesiastiche più ambite, la
cattedra episcopale di una delle maggiori diocesi di Francia, il tutto in un ambito storico di alta
fluidità e conflittualità politica tra i poteri emergenti e quelli consolidati sia al di qua che al di là
delle Alpi. Questo a livello storico-religioso. Ma esiste anche, nello studio della vita di Adraldo, un
aspetto umano che lo stretto racconto dei fatti storici (proprio per la sua specificità scientifica)
talvolta non mette eccessivamente in luce: si tratta di una vita spiritualmente ricca, con amicizie e
sodalizi di altissimo livello, di una fine sensibilità e di un altissimo prestigio culturale che aggiunge
a Novalesa, io credo, una pietra nuova nella ricostruzione di un passato su cui molto si è scritto e
dibattuto, ma molto rimane da indagare e da scrivere.
La base documentaria da cui muove questa ricerca è costituita dai cartolari delle abbazie (che
verranno di volta in volta citate) nonché dagli scritti più significativi che trattano delle vicende
dell’abbazia novalicense, come gli studi di Carlo Cipolla, di Luigi Bollea e degli altri studiosi che,
con pazienza infinita, nel passare degli anni hanno rimesso insieme le antiche carte, le hanno
studiate e ce le hanno consegnate perché potessimo ricostruire la storia. Le vicende umane e
religiose di Adraldo si presentano necessariamente frammentarie, poiché non sempre i documenti
sono completi ed esaurienti e non sempre si sono conservati sino a oggi, ma è comunque possibile
tracciare un quadro efficace dei momenti salienti della sua biografia e dell’incisività che la sua
energica azione riformatrice e il suo amore per il sapere ebbero anche a Novalesa.
Il legame tra Cluny e Novalesa: l’abate Adraldo.
“Arraldus, quem Ayraldum et Adraldum vocant alii, ex monacho Vindocinensi, abbas
Bremetensis in Italia, Carnotenses insulas adeptus…” 1 (Arraldo, che altri chiamano Ayraldo e
Adraldo, prima monaco vindocinense, abate bremetense in Italia, vescovo di Chartres…). La vita di
Adraldo è racchiusa in questa frase che ne sintetizza il percorso e che rappresenta il punto di
partenza della sua storia. Una storia che si dipana tra i complessi equilibri di potere dell’aristocrazia
laica e religiosa del suo tempo, attraversando Francia, Italia, Svizzera e unendo le tre nazioni nello
spirito della riforma cluniacense.
Uno dei pochissimi documenti che possono, allo stato attuale degli studi, gettare luce sulla terra
d’origine e sulla provenienza familiare di Adraldo è l’atto di donazione di un’abitazione all’abbazia
della Trinità di Vendôme da parte di Eudes di Chȃteaudun, canonico di Chartres, donazione
avvenuta in data imprecisata tra il 1077 e il 1084. L’atto è firmato dai personaggi più ragguardevoli
del tempo e, tra gli altri, da un certo Fulcherius nepos Adraldi episcopi (Fulcherio nipote del
vescovo Adraldo: si tratta naturalmente del nostro Adraldo che, come detto innanzi, è stato appunto
vescovo di Chartres)2. Il Fulcherius in questione diventerà canonico di Notre-Dame di Chartres ed è
citato in più atti come figlio di Ingelbaldus Brito e di Ildegarda (o Domitilla) de Vindocino.
Fulcherius appare inoltre avere tre fratelli: Hugo, Wlgrinus e Gaufredus. Dei quattro fratelli,
Fulcherius, Hugo e Wlgrinus si dedicheranno alla carriera ecclesiastica, mentre Gaufredus (meglio
noto come Geoffroy le Payen) erediterà dal padre il titolo di signore del Bouchet e contrarrà un
buon matrimonio trasmettendo i suoi beni in eredità ai figli. Una mirata strategia familiarematrimoniale condurrà i discendenti di Geoffroy Payen a imparentarsi direttamente con i conti di
Vendôme nonché con le altre famiglie di più alta nobiltà di quelle terre. Da questo legame di
parentela è dunque possibile mettere in relazione, senza azzardo, il nostro Adraldo con la famiglia
di Ingelbaud il Bretone, di cui deve essere senz’altro fratello e non cognato. Difatti Ildegarda (la
moglie di Ingelbaud il Bretone) non risulta avere né fratelli né sorelle; ella appartiene a una delle
famiglie più in vista dell’aristocrazia dell’epoca, la famiglia dei Le Riche, imparentata con la
dinastia carolingia e con i duchi d’Aquitania (Guglielmo il Pio duca d’Aquitania neanche un secolo
prima aveva fondato Cluny) e legata da stretti rapporti di vassallaggio con il conte di Vendôme, di
cui anche Ingelbaud il Bretone è uno dei fedelissimi.3 Mentre le notizie storiche sono più
abbondanti relativamente a Ildegarda, di cui è stato possibile ricostruire con precisione l’albero
genealogico, per quanto riguarda Ingelbaud sono rade e generiche le informazioni a disposizione;
gli unici dati certi sono la data di morte (1080), il fatto che fosse un miles Vindocinensis di
considerevole peso sociale e che, come signore del Bouchet (la terza signoria, per ordine di
importanza, del Vendômois, dopo quelle di Montoire e di Lavardin) detiene ampi possedimenti in
tutta la zona: molti di tali possedimenti vengono nel tempo donati proprio all’abbazia della Trinité.
Lo stesso Adraldo possiede dei beni ereditari a Danzé4, il che accredita ulteriormente la tesi
1
L. C. Bollea, Cartario della Abazia di Breme, Torino, 1933, pp.118-119, doc. LXXXVIII.
Carta CCCXV del Cartulaire de l’abbaye cardinale de la Trinité de Vendôme, C. Métais, vol. I, Parigi, 1893.
3
Sono innumerevoli gli atti sottoscritti da Geoffroy Martel, conte di Vendôme, firmati dai suoi feudatari più
importanti, sottoscritti anche in qualità di testimone dal nostro Ingelbaudus Brito.
4
Carta CCLV del Cartulaire de l’abbaye cardinale de la Trinité de Vendôme, C. Métais, vol. I, Parigi, 1893, p.403 (“de
ecclesia, quae Donziacus dicitur…”)
2
dell’origine vindocinense della sua famiglia. L’appellativo di Brito con cui è conosciuto Ingelbaud,
fratello di Adraldo, induce a prendere in considerazione un’origine bretone: sono gli anni in cui
Foulque Nerra, conte d’Anjou e padre di Geoffroy Martel (di cui si parlerà più aventi), conduce
battaglie continue contro i Bretoni che contendono ai signori angioini e vindocinensi il possesso
delle terre. Spesso sono le strategie e le alleanze matrimoniali a definire i possedimenti territoriali:
la sorella di Foulque Nerra, Ermengarda d’Anjou, contrarrà matrimonio con Conan, duca di
Bretagna, a indicare che l’inserimento e l’integrazione dei Bretoni nella feudalità franca sta
gradualmente divenendo fatto consolidato.
Nel 1032 a Vendôme viene iniziata la costruzione dell’abbazia benedettina della Trinità ad opera
proprio di Geoffroy Martel, conte di Vendôme (futuro conte d’Anjou, della Touraine e del Maine) e
figlio di Foulques Nerra, conte di Anjou. Le cronache raccontano che Geoffroy Martel e la moglie
Agnese di Borgogna una notte videro cadere tre stelle in una fontana nel parco del loro castello e il
vescovo di Chartres interpretò l’avvenimento come un segno della presenza tangibile della
Santissima Trinità. Nel luogo fu dunque fondata un’abbazia benedettina (dedicata il 31 maggio
1040, durante il regno di Enrico I, dopo parecchi anni di lavori) che fu dotata di possedimenti
significativi nel Vendômois5 (tra cui la chiesa di Ferrière, costruita in onore di s. Nicola, e le sue
dipendenze), nel Maine e nella Saintonge6 e che divenne ben presto abbazia cardinalizia: l’abate
ebbe il titolo di cardinale e rilevò direttamente dal Papato dei privilegi solamente condivisi con
l’abate di Cluny7. Il conte Geoffroy Martel, secondo una nota leggenda, fece all’abbazia della
Trinità l’importantissimo dono della Santa Lacrima: si trattava di una lacrima versata da Gesù sulla
tomba di Lazzaro e che era stata racchiusa in un contenitore rotondo di cristallo. Vincitore dei
Saraceni, Geoffroy avrebbe ottenuto la preziosa reliquia dall’imperatore di Costantinopoli e ne
avrebbe quindi fatto dono all’abbazia di Vendôme. Leggendario o veritiero il racconto, sta di fatto
che la presenza della Santa Lacrima fece dell’abbazia, nei secoli a venire, un importante centro di
pellegrinaggio. Fu quasi certamente qui che Adraldo seguì la vocazione e divenne monaco. In effetti
nel Cartario di Breme viene definito chiaramente come “ex monacho Vindocinensi”; viene in
seguito citato quale testimone di atti pubblici sin dal 1033 nel Cartulario dell’abbazia della Trinità.8
E fu certo in questo santo luogo che Adraldo iniziò a respirare quell’atmosfera imbevuta di
erudizione e di amore per il sapere e per la conoscenza che fu un tratto distintivo di tutta la sua vita,
elogiato e ricordato anche da s. Pier Damiani. Appare quanto mai singolare che, tra le cospicue
donazioni che Geoffroy Martel e la moglie fecero nei confronti dell’abbazia di Vendôme, si
registrino la decima parte delle pelli dei cervi cacciati dal conte nell’Oleron, nella Saintonge, nel
Vendômois, nell’Anjou e oltre 800 pelli di coniglio che sarebbero servite per confezionare i bei
5
Vedere Charte de fondation de la Trinité in Cartulaire de la Trinité de l’abbé Métais, n. 35, p.55, T.I.
Tra i firmatari dell’importante documento figurano, oltre a Geoffroy Martel (che si firma già conte di Anjou, anche se
suo padre Foulques, partito per Gerusalemme, non è ancora deceduto) e la moglie Agnès, anche Renaud
(probabilmente primo abate di Vendôme), e Ingelbaud, di cui abbiamo parlato.
7
Papa Alessandro II concesse all’abate di Vendôme di portare il titolo e le insegne di cardinale di s. Prisca
sull’Aventino, per il semplice fatto di essere, appunto, abate della Trinità; il privilegio fu rinnovato anche da altri
pontefici in epoca successiva.
8
Il primo documento in cui compare Adraldo è del 1033 quando Arraudus monachus sottoscrive con altri testimoni
l’atto di acquisto di un mulino di Erfredo Rufo da parte di Geoffroy Martel e della moglie Agnese (de molendino sito
prope ecclesia Sancti Martini). Landricus de Bugentiaco e Ingelbauldus Brito, titolari del fondo sul quale si trova il
mulino, consentono all’acquisto pro animarum salute et pro amore Goffridi comitis et Agnetis comitissae (carta X dal
Cartulaire de l’abbaye cardinale de la Trinité de Vendôme, C. Métais, vol. I, Parigi, 1893).
6
manoscritti che furono la gloria della Trinité9. Di più, la contessa Agnese nel 1049 acquistò per la
costituenda biblioteca dell’abbazia l’omeliario di Haimon d’Halberstad per un prezzo
considerevole: 200 pecore, pelli di martora, un moggio di frumento, un moggio di segale e un terzo
di miglio10. La biblioteca di Vendôme possedeva ancora, a fine Ottocento, il pregevolissimo
volume, rilegato in pelle bianca e composto da fogli in pergamena. Queste donazioni danno il segno
di quanto la vita culturale di quei monaci, tra i quali vi è Adraldo, fosse vivace e produttiva, come
attesta anche l’autorevole presenza in abbazia, agli inizi degli anni ’70 del secolo XI, di Johannes
Britto, vir litteratus apud Sanctonicos non ignotus, uno dei padri dell’erudizione della Saintonge.
Per qualche tempo si perdono le tracce di Adraldo, finchè non lo si trova citato nel 1048 come
monaco cluniacense. Considerati i legami vassallatico-familiari con i duchi d’Aquitania, da sempre
benefattori del monastero di Cluny, pare giustificabile, in una simile cornice, la presenza di Adraldo
in ambito cluniacense: in particolare è presente a Souvigny nei momenti precedenti la morte
dell’abate Odilone di Mercoeur, di cui è stato discepolo 11. Ne parla lo stesso s. Pier Damiani nella
Vita Odilonis, composta durante il suo viaggio in Gallia nel 1063, viaggio compiuto su richiesta del
nuovo abate di Cluny, Ugo di Semur, e in qualità di rappresentante ufficiale del pontefice
Alessandro II. E’ Proprio il successore di Odilone, Ugo di Semur, a richiedere a Pier Damiani la
riscrittura della biografia di Odilone, una decina di anni dopo la monumentale opera del monaco
Jotsald. Rispetto a Jotsald Pier Damiani aggiunge la testimonianza diretta di Adraldo che era stato
suo compagno nel pericoloso viaggio verso Cluny. Pier Damiani riferisce, appunto, che Adraldo era
presente a Souvigny nei momenti che precedettero la morte di Odilone. Sul finire del 1048 Odilone,
che ormai è anziano (ha 87 anni) e malato, appare alquanto sofferente per un forte dolore al ventre
e, a tratti, semincosciente; è stato disteso sul cilicio e sul letto di cenere e, immerso nella preghiera,
deve fronteggiare ripetuti attacchi del demonio12 tanto da non poter nemmeno pronunciarsi sul nome
del suo successore, come era consuetudine fare, rimettendo la questione alla volontà di Dio e
all’elezione dei suoi confratelli.13 Odilone spirerà dopo aver preso l’eucarestia, finalmente in pace,
nella notte tra il 31 dicembre 1048 e il primo gennaio 1049. Ma l’agonia del santo abate è così
colma di pathos che a un certo punto, timoroso di non aver fatto abbastanza per meritare il Paradiso,
chiede ad Adraldo di calcolare su un abaco il numero di messe da lui celebrate nel corso del suo
lungo abbaziato, ben 56 anni. Questo particolare ha attirato l’attenzione di Pier Damiani, la cui fine
sensibilità non è di certo estranea agli angosciati computi delle pratiche penitenziali. Il ruolo di
Adraldo nell’abbazia cluniacense diviene ancora più definito dopo l’elezione del nuovo abate, Ugo
di Semur; appartenente a una nobile famiglia dell’aristocrazia borgognona, egli viene eletto abate
giovanissimo, a soli 24 anni, il 22 febbraio 1049. Nel 1047 o 1048 lo stesso Odilone lo aveva scelto
9
“1040-1060:(Gauffredus) dedit namque monachis inibi Domino servienti bus unoquoque anno quingentos cunicolo
apud Olerum, trecentos vero apud insulam quae vocatur Hero, decimam quoque de cervo rum pellibus, qui apud
Olerum canibus venantur, et non solum inibi sed etiam de omni Sanctonico, nec non et de Andecavensi, et Vindocinensi
pago” in Cartularium Sanctonense S. Trinitatis, carta XIX.
10
“1049- De omeliari Haimonis et terra de pinibus: Pater karissime, scire vos volumus quod codicem, de quo audivistis,
precio magno a Martino, qui est modo presul, comitissa emit. Una vice, libri causa, c. oves illi dedit, altera vice, causa
ipsius libri, unum modium frumenti et alterum sigalis et tercium de milio; iterum, hac eodem causa, c. oves; altera vice
quasdam pelles martirinas”, carta XCIII dal Cartulaire de l’abbaye cardinale de la Trinité de Vendôme, C. Métais, vol. I,
Parigi, 1893.
11
U. Longo, Tra Odilone e Ugo. Note su un passaggio della storia cluniacense in Forme di potere nel pieno medioevo
(secc. VIII-XII). Dinamiche e rappresentazioni, Bologna, 2006, pp.107-131.
12
“Iam in agonis esset angustia constitutus, diabolum astare conspexit, eumque per nomen tremendi Judicis, ut
abscederet, terribiliter increpavit” in Pier Damiani, PL 144, col.943 B
13
“Consultus de successore: Hoc, inquit, in Dei dispositione et electione fratrum committo” in PL 142, col. 911 C-D.
come priore maggiore di Cluny, conferendogli incarichi delicati e importanti, dal momento che le
sue innumerevoli doti erano precocemente manifeste. Quasi due mesi il seggio abbaziale di Cluny
rimane vacante dopo la dipartita di s. Odilone, facendo intuire che la sua successione forse non è
stata decisa concordemente, ma è stata oggetto di lunghe discussioni e trattative, gestite da un
numero ristretto di monaci seniores. Ugo di Semur non fa parte di questo gruppo che è coordinato
dal vecchio e cieco priore claustrale Adelmanno, al quale spetta l’ultima parola, ed è proprio lui a
pronunciarsi sull’elezione del giovane abate Ugo. Con Ugo di Semur Cluny vivrà uno dei momenti
più alti della sua storia e sarà il punto di riferimento più significativo dell’Occidente cristiano: il suo
lungo abbaziato (morirà nel 1109 dopo aver retto per 60 anni l’abbazia) vede protagonista anche
Adraldo che diviene saggio e fidato consigliere di Ugo e partecipe della vita religiosa nonché della
riforma che proprio allora muove i suoi passi. Sono gli anni dei viaggi, tra cui quello con Pier
Damiani in Gallia, e delle amicizie fraterne con Pier Damiani, Desiderio (abate di Montecassino e
futuro papa col nome di Vittore III), Ildebrando di Soana(divenuto papa col nome di Gregorio VII),
Umberto di Silvacandida, Anselmo da Baggio (il futuro papa Alessandro II). Sono gli anni della
riforma di cui questi religiosi si collocano a capo e che contribuiscono a diffondere attraverso
l’Europa con le parole e con l’esempio. Vengono ripetutamente convocati sinodi per operare
attivamente e con zelo alla riforma dei costumi e per combattere la simonia e il concubinato del
clero.
E’ anche il periodo in cui Adraldo, da Cluny, viene inviato come priore nel monastero di Payerne
(Peterlingen), nella diocesi di Losanna (nella Svizzera occidentale), monastero fondato già nel X
secolo dalla regina Adelaide, sposa dell’imperatore Enrico II, e poi riedificato proprio da Odilone di
Cluny. La data esatta in cui Adraldo viene chiamato a ricoprire l’importante incarico non è nota, ma
di certo avviene prima del 1060 ovvero prima di essere preposto alla direzione dell’abbazia
imperiale di Breme14. Sull’operato di Adraldo a Payerne non è, purtroppo, rimasta altra traccia se
non la certezza documentaria che resse il priorato in modo eccellente sotto ogni riguardo, in
particolare proprio sotto l’aspetto della dottrina e della cultura. Bonaventura Egger (che ci fornisce
le informazioni essenziali su Adraldo priore di Payerne) sostiene, senza tema di esagerazione, che
gli uomini più dotti vissuti nei monasteri della Svizzera occidentale dal X al XII secolo vestivano
tutti l’abito cluniacense, come i priori Adraldo e, non molto tempo dopo, Ulrico. Difatti l’attività
letteraria compare sempre sullo sfondo dei monasteri cluniacensi e ciò dipende dal loro intento
principale. L’obiettivo a cui mirano maggiormente i monaci cluniacensi è la riforma del
monachesimo e la riforma è orientata principalmente sull’essenza propria delle cose da riformare.
Per un monaco cluniacense non è dunque importante essere un uomo di scienza, ma gli è essenziale
essere un maestro di ascesi e di preghiera, un seguace della regola su cui ha pronunciato i voti. In
quest’ottica l’attenzione alla lettura indica la specifica volontà di una approfondita preparazione
dottrinale, il che richiede una lunga e puntuale formazione. La disposizione secondo cui ciascuna
libreria monastica deve contenere almeno tanti volumi quanti sono i fratelli che sanno leggere ci dà
un’indicazione significativa sul livello culturale, tanto più che tutti i fratelli sono in grado di
leggere, eccezion fatta per i novizi più giovani.15 D’altra parte la vita del monaco cluniacense è, di
per se stessa, la testimonianza migliore del rinnovamento della condotta morale del clero. E così è
14
Geschichte der Cluniazenser Kloester in der Westschweiz bis zum Auftreten der Cisterziener, B. Egger, Friburgo, 1907,
p. 186 e p. 5-6 dell’ Appendice.
15
Geschichte der Cluniazenser Kloester in der Westschweiz bis zum Auftreten der Cisterziener, B. Egger, Friburgo, 1907,
p. 3-4 dell’ Appendice.
anche la vita di Adraldo, di cui parla in modo elogiativo lo stesso Pier Damiani, definendolo, tra
l’altro, vir religiosus et prudens, uomo di spiccata intelligenza e di pia devozione. Le fonti lo
ricordano altresì come erudito nelle lettere, molto esperto nelle arti liberali e mirabilmente
eloquente. Abbiamo anche qualche notizia sul suo carattere: se di primo acchito può sembrare
rigido e scostante, approfondendo la conoscenza si rivela essere un amico gentile e premuroso.
Anche nei confronti dei servi e dei famigli si comporta in modo alquanto munifico, provvedendo
loro con pellicce non di capra o di pecora, bensì di volpe, in modo differente dalle severe
consuetudini dei suoi compatrioti gallici, quasi fosse “italico” di origine (evidentemente gli italici
già allora hanno fama di essere alquanto amanti di una certa comodità di costumi).16
Successivamente all’esperienza di priore di Payerne, a partire presumibilmente dal 1060, Adraldo è
abate di Breme e, quindi, di Novalesa, i cui monaci, com’è noto, si trasferiscono a Breme a seguito
delle incursioni saracene del X secolo. Nello stesso anno (1060) Adraldo è presente a Roma al
Concilio Laterano che depone l’antipapa Benedetto X a favore di papa Nicola II e il 16 aprile
sottoscrive un documento a favore del diritto delle decime dell’abbazia di Leno, nel Bresciano;
sottoscrivono, tra gli altri, papa Nicola II, Ildebrando arcidiacono, Umberto di Silvacandida,
Desiderio cardinale e abate di Montecassino, Pier Damiani.17 Nel 1063 proprio Pier Damiani si reca
in Gallia come Legato Pontificio su iniziativa dell’abate Ugo di Cluny e dotato di ampi poteri dal
papa Alessandro II: egli è infatti presentato dal papa ai vescovi della regione come “nimirum et
noster est oculus et apostolicae sedis immobile firmamentum”, fornito dunque di un’autorità e
un’autonomia straordinarie esplicitamente affermate dalla Santa Sede romana. In Francia è
necessaria un’ampia azione moralizzatrice poiché le male piante della simonia e del nicolaismo non
sono ancora estirpate e vi sono numerose controversie tra vescovi e abati sul possesso e sulla
gestione dei beni immobili dei monasteri, controversie che, in qualche caso, riguardano anche
Cluny, di cui si cerca di ledere i privilegi. Pier Damiani parte alla volta della Gallia con una piccola
comitiva di cui fa parte anche Adraldo abate bremetense, il quale, oltre ad essere (come già
evidenziato) il prezioso consigliere dell’abate Ugo, diventa anche primo consigliere di Pier
Damiani, tanto che su ogni cosa da farsi viene richiesto di esprimere il suo parere e la sua
approvazione.18 Il viaggio alla volta di Cluny è lungo, faticoso e denso di insidie:“Post aestivos
sudores, post maximo set multos labores, post multa et diversa pericula, post immania montium et
Alpium praecipitia, ad exspectantem nos venimus Cluniacum”, riporta l’anonimo cronista che
descrive l’Iter Gallicum. Qui l’abate Ugo e i monaci accolgono solennemente il gruppo di
viaggiatori e poco dopo viene convocato un concilio a Chalon-sur-Saône per giudicare i reati di
simonia di cui si sono resi responsabili l’abate di Soissons e il vescovo di Orléans. Il viaggio di
ritorno in Italia avverrà passando da Besançon.19
Sempre nel 1063 (il 6 settembre), presumibilmente nel corso dell’Iter Gallicum, troviamo Adraldo a
Marcigny-sur-Loire per la risoluzione di un’altra lunga questione processuale contro Bernardo di
Chavroches che negava al priorato femminile cluniacense di Marcigny il possesso di alcune
proprietà immobiliari. L’atto del 6 settembre 1063 testimonia un accordo raggiunto con difficoltà
dinanzi al tribunale ecclesiastico, presieduto dal cardinale Pier Damiani e dagli abati Ugo di Cluny e
Adraldo di Breme, appunto. In quell’occasione il priore di Marcigny, Duranno, propone a Bernardo
16
Iter Gallicum 11, PL 145, 872 D.
L. C. Bollea, op. cit., doc. 77, p. 194.
18
Iter Gallicum, 11. PL 145, 872 D-873 A.
19
G. Lunardi, I costruttori dell’Abbazia di Novalesa, Novalesa, 2003, pp.42-51.
17
di Chavroches, un miles che da tempo contrastava pesantemente il possesso di diversi beni del
cenobio femminile, una transazione di 15 lire affinché egli abbandoni ogni sua rivendicazione. Il
cavaliere accetta l’offerta dinanzi all’abate Ugo, a Pier Damiani, cardinale e vescovo di Ostia, e
all’abate di Breme, Adraldo. Il cartulario di Marcigny-su-Loire precisa che la cerimonia di
abbandono di ogni motivo di lite avviene davanti all’altare dedicato alla Santissima Trinità, sul
quale il miles Bernardo, impugnando la croce, pone la carta contenente la memoria dell’atto: 6
settembre 1063 (Ut plurimum firmum haberetur, crucem dominicam in ipsa relictione manu tenuit
et super maius altare, quod in honore Sanctae Trinitatis consecratum est, manu propria hanc
notizia confirmavit”).20 Un paio di anni dopo, il medesimo Bernardo decide di diventare monaco a
Cluny e in quell’occasione consegna nelle mani del priore di Marcigny, Duranno, la pergamena di
donazione di un terzo della foresta di Colonge.
Evidentemente nel lungo e periglioso viaggio in Gallia Pier Damiani ha modo di apprezzare la
personalità e le innumerevoli doti di Adraldo, poiché al termine del viaggio, nel 1064, il santo invia
all’indirizzo di Adelaide, Subalpinorum ducissam la lettera Contra clericos intemperantes; qui,
oltre alle esortazioni ad Adelaide a combattere nelle sue terre la simonia, il concubinato degli
ecclesiastici, gli eretici e i cattivi sacerdoti che sono simili alle volpi, in chiusura Pier Damiani
scrive: “Domnus autem Adraldus, Bremetensis rector coenobii, vir videlicet religiosus et prudens,
ex me per te officiosissime salutetur. Qui si vult, ut sibi quoque aliquid scribam, scribendo
praecipiat”21(“Sia da me salutato attraverso te dominus Adraldo, rettore del cenobio di Breme,
uomo pio e prudente. Che se vuole che io scriva qualcosa per lui, [ditegli che] me lo comandi
scrivendomi”): una eccezionale attestazione di stima e di amicizia che illumina anche sulla pluralità
di rapporti e di relazioni intessuti da alcuni insigni personaggi storici della Valle di Susa in un
ambito più vasto e di più ampio respiro di quanto forse finora si potesse supporre. In quegli stessi
anni Adraldo compare, al fianco della contessa Adelaide, nella risoluzione di una vicenda di monete
viennensi falsificate da parte di falsari di Aiguebelle (Aquabella), dove il suo contributo appare
determinante per la buona riuscita della controversia.
Poco tempo dopo, nel 1066, a riprova della sua autorevolezza e della sua fama lo troviamo
presiedere il Capitolo dei monaci di S. Michele della Chiusa, nel quale viene eletto abate il
venerabile Benedetto22.
Gli anni ’60 del secolo XI coincidono anche con l’abbaziato di Adraldo a Novalesa. Sono anni di
rinascita per il monastero novalicense, dal momento che, finalmente, la minaccia saracena è stata
allontanata e in tutta la Valle di Susa si procede alla ricostruzione e al restauro di quanto era stato
distrutto durante le scorrerie arabe. I monaci benedettini alla fine del X secolo possono ritornare alla
Novalesa, che rinasce come priorato dipendente da Breme. Nei decenni successivi, soprattutto su
iniziativa di Adraldo, inizia una campagna di lavori grandiosa per riportare l’abbazia, i cui
20
G. Andenna, Sanctimoniales Cluniacenses: studi sui monasteri femminili di Cluny e sulla loro legislazione in
Lombardia (XI-XV secolo), Münster, 2004 pp.37-38.
21
MGH, Die Briefe der Deutschen Kaiserzeit, IV, Die Briefe des Petrus Damiani, ed. Kurt Reindel, Monaco, 1988, ep.
114, pp. 295-306.
22
L. C. Bollea, Cartario della abazia di Breme, Torino, 1933, p. 109, doc. LXXXII: “[…] praesente Airaldo Bremetensi
abbate, viro religionis ac sapientiae titulo id temporis famosissimo…” e ancora “ In monasterio sancti Michaelis de
Clusa, posito ad Alpium fauces, defuncto abbate, cuius nomen reticetur, et adhuc insepulto, ne Taurinensis episcopus
successorem pro libito intruderet, praesente Airaldo Bremetensi abbate, viro religiosissimo, de successore secundum
regulam eligendo actum est”. Siccome le cronache indicano la data di morte di Benedetto nel 1091, dopo 25 anni di
carica abbaziale, il documento parrebbe risalire, secondo Bollea, al 1066.
fabbricati sono pesantemente danneggiati, agli antichi fasti e per riaffermarne la superiorità rispetto
alle altre realtà concorrenziali sorte o sviluppatesi nel frattempo nella zona (S. Michele della
Chiusa, S. Giusto di Susa, la prevostura di Oulx)23. Il ritorno dei monaci a Novalesa avviene infatti
in un contesto socio-politico che vede l’affermazione sempre più significativa dei marchesi
Arduinici (che hanno liberato la Valle dalla minaccia saracena) e del consolidamento del monastero
di s. Giusto da essi fondato (1029) nella vicina Susa. Non sono anni facili per l’abbazia novalicense
poiché si rende necessario recuperare quelle potenzialità egemoniche che si sono interrotte agli inizi
del X secolo con la fuga prima a Torino e poi a Breme; si tratta altresì di gestire un rapporto
conflittuale con gli Arduinici, detentori di un’articolata e cospicua proprietà patrimoniale24. Occorre
riaffermare il radicamento dell’abbazia nella zona con ogni mezzo possibile, e la ricostruzione degli
edifici caduti in rovina non è che una delle modalità, insieme con l’operosa vita culturale del
monastero e l’ospitalità (data l’area di strada su cui l’abbazia insiste e che le conferisce ricchezza e
prestigio). Una delle espressioni, tuttora visibile, della vivace e variegata attività culturale e artistica
di quel periodo è il ciclo affrescato delle storie di S. Eldrado e di S. Nicola nella cappella di S.
Eldrado, nel parco che circonda l’abbazia di Novalesa. Qui Adraldo è ritratto nell’abside della
cappella, in veste di committente, ai piedi di S. Eldrado; lo testimonia l’iscrizione dipinta a fianco
della sua figura: l’iscrizione non è del tutto leggibile, ma è comprensibile la scritta Adraldus
Bremetens,che consente di definire in modo abbastanza preciso anche la collocazione cronologica
degli affreschi all’epoca del suo abbaziato, tra il 1060 e il 1066-1068. L’abate è raffigurato con la
barba bianca, forse indice di un’età già avanzata. Ai piedi di S. Nicola vi è un altro personaggio con
l’abito monacale (in posizione, però, gerarchicamente inferiore ad Adraldo), ma mancano
indicazioni sufficienti a rivelarne l’identità (forse è il pittore che, secondo una consuetudine allora
in uso, si è autoritratto o forse un monaco di rilievo dell’abbazia stessa). Non è compito di questo
studio entrare nel merito dell’aspetto artistico degli affreschi che sono stati ampiamente studiati e
commentati dagli storici dell’arte; tuttavia pare interessante portare all’attenzione un elemento
ulteriore che forse potrebbe essere utile per l’analisi, e che deriva dal fatto che Adraldo proviene dal
Vendômois ed è fortemente collegato con le famiglie dei conti d’Anjou e di Vendôme. Proprio a
quel Foulque Nerra menzionato precedentemente (padre di Geoffroy Martel alla cui famiglia appare
legata la famiglia di Adraldo), cessato il pericolo delle devastazioni normanne, si deve la
fondazione di tre delle più importanti abbazie dell’Angers: Beaulieu (fondata sulle rive della Loira
nel 1007), Ronceray (eretta a Angers nel 1028 sulle rovine di Notre-Dame-de-la Charité) e Saint
Nicolas d’Angers (fondata tra il 1020 e il 1022 nei pressi di Angers, sulla riva destra della Maine).
Ovviamente tale realtà deve essere ben conosciuta da Adraldo che proviene da una terra dove il
culto di S. Nicola è ben radicato da tempo25 nella devozione delle famiglie aristocratiche di quei
luoghi. Il Cartolario dell’abbazia benedettina di Saint-Nicolas è andato in buona parte distrutto
all’epoca della rivoluzione francese, ma dalle carte superstiti è possibile ricostruire le singolari
vicende della sua fondazione. Foulque Nerra, conte di Anjou, spregiudicato condottiero e spietato
combattente, ha molti peccati da farsi perdonare (non ultimo quello di aver condannato la prima
moglie Elisabetta a essere bruciata viva col pretesto di un adulterio che ella non aveva commesso) e
23
C. Segre Montel, Affreschi medievali alla Novalesa e in Valle di Susa. Testimonianze di pittura murale tra VIII e XII
secolo, in La Novalesa. Ricerche. Fonti documentarie. Restauri, atti del convegno-dibattito (Novalesa, 10-12 luglio
1981), Susa, 1988, pp.61-112.
24
Si veda L. Patria, Prima del Laietto: chiese, oratori e cappelle cimiteriali su terra monastica di S. Giusto di Susa (secc.
XI-XV) in San Bernardo a Laietto. Chiese, cappelle e oratori frescati nella Valle di Susa tardogotica, Susa, 1992, pp. 959.
25
Y. Mailfert, Fondation du monastère bénédictin de Saint-Nicolas d’Angers, Parigi, 1931, pp.43-61.
dunque si reca ripetutamente in pellegrinaggio a Gerusalemme; durante uno di tali viaggi
penitenziali (avvenuto tra il 1008 e il 1010) la nave su cui si trova il conte è colpita da una violenta
tempesta che mette a rischio la vita di tutti i naviganti26. La nave sta veleggiando lungo le coste
della Licia, in prossimità di Mira, luogo principe del culto di s. Nicola, che è stato vescovo della
città. Il conte Foulque, in preghiera, affida la sua vita a S. Nicola con un voto: se riuscirà a tornare
in patria incolume promette di erigere un santuario al Santo presso Angers, e di farvi stabilire dei
monaci27. S. Nicola, protettore dei naviganti, compie il miracolo e in tal modo nel 1020, dopo anni
di lavori, Foulque Nerra, la seconda moglie Ildegarda e Geoffroy Martel, loro figlio, fondano il
monastero di Saint-Nicolas d’Angers, dotandolo di cospicue proprietà e decime nonché di
importanti reliquie del Santo; la consacrazione avviene il primo dicembre 1020 ad opera del
vescovo d’Angers, Hubertus di Vendôme. In questa stessa abbazia il 14 novembre 1060 morirà e
sarà sepolto Geoffroy Martel, lì ritiratosi nell’imminenza del trapasso, dopo aver preso l’abito
monacale, la notte precedente la morte, dall’abate del monastero, abate di nome Adraldo28. Una
coincidenza indubbiamente singolare. Così come è coincidenza interessante che Geoffroy Martel e
la moglie Agnese nel 1047, nel corso di un viaggio in Italia, compiono un solenne pellegrinaggio al
santuario micaelico del Monte Gargano29, esibendo, anche in questo caso, un interesse concreto per
un culto che diverrà fondamentale in tutta la cristianità e troverà riscontro tra le mura della
Novalesa. Non parrebbe improprio porre in relazione il culto familiare dei conti di Vendôme nei
confronti di S. Nicola di Mira con la realizzazione degli affreschi della cappella di S. Eldrado che
vedono come committente proprio quell’abate così legato alla famiglia di Foulque e Geoffroy de
Vendôme: egli proviene da un ambito in cui il culto è vivo e consolidato da decenni e nulla vieta di
ritenere che Adraldo desideri contribuire a diffondere anche in questa terra al di qua delle Alpi la
devozione per un santo che ha protetto la vita di un cavaliere tanto potente e prodigo nei confronti
della Chiesa.
Un’ulteriore riflessione fa considerare che esistono alcune particolarità iconografiche delle storie
novalicensi di S. Nicola che potrebbero aprire scenari interessanti. Si tratta, innanzi tutto, del ciclo
nicolaiano affrescato più antico dell’Occidente cristiano tra le testimonianze pittoriche a noi
pervenute e la loro iconografia talora diverge dalla tradizione consolidata. Difatti s. Nicola a
Novalesa viene rappresentato spesso giovane e privo di barba, e le fanciulle a cui il Santo avrebbe
fornito la dote (si tratta di uno degli episodi più noti della vita del santo, che riesce a sottrarre due
giovani sorelle di modesta condizione sociale a una vita di peccato fornendo loro la dote necessaria
per sposarsi) appaiono in numero di due e non di tre, contrariamente all’iconografia solita. In
particolare, l’episodio delle due fanciulle (di cui Novalesa presenta l’unico caso conosciuto) sarebbe
riconducibile alla vita di S. Nicola Sionita (VI secolo) e non di S. Nicola di Mira (IV secolo): si
tratta certo di un piccolo ma interessante dettaglio. L’esistenza dei due santi fu scoperta dallo
studioso tedesco Gustav Anrich, che fu il primo a pronunciarsi apertamente sull’esistenza dei due
26
“…cum repente caelum coepit nubium caligine tetra obvolvi, lux obtenebrari, tantus ventorum necnon imbrium
audiri ut omnes qui in illa nave aderant, mortis timore territi, paene deficerent. Navis undique quassata fluctibus prope
ima petebat pelagi” in Y. Mailfert, op. cit., p.55.
27
“Ad urbem Andecavam reversus, hic, in honore sancti Nicholai, monasterium fondavi atque in ipso […] de sanctis
supradictis reliquiis dicti beati Nicholai portionem quandam venerabiliter posuit, preficiens loco abbatem nomine
Baldricum…” in Y. Mailfert, op. cit., p.54-56.
28
“XVIII kalendas decembris. Obiit Gosfridus comes, filius Fulconis Jerosolimitani, anno ab incarnazione Domini MLX,
monastico habitu sumpto a domno Adraldo abbate [Sancti] Nicholai”, L. Halphen, Recueil d’annales angevines et
vendômoises, Parigi, 1903.
29
L. Halphen, La comté d’Anjou au XIeme siècle, Parigi, 1906, p.128.
Nicola, le cui vicende, nel tempo, si mescolarono nella tradizione popolare sino a intersecarsi e a
sovrapporsi. L’archimandrita russo Antonin Kapustin giunse a scoprire nel monastero di Santa
Caterina sul Sinai un manoscritto della Vita Nicolai Sionitae contenente l’episodio delle Due (!)
Fanciulle, con S. Nicola che, ancora ragazzo (dunque senza barba e giovane, così come raffigurato
nel nostro affresco), prende il denaro in casa per aiutare le fanciulle 30. Se tale particolare viene
inquadrato in un ambito indiziario, non è imprudente immaginare il passaggio a Novalesa di un
codice31, forse miniato, originario proprio dal Sinai, testimone di una tradizione differente, più
antica e appartata di quella legata alle vicende della traslazione da Mira a Bari (1087), dal quale
codice avrebbe tratto ispirazione il frescante di S. Eldrado.
Se poi si prendono in considerazione gli stretti rapporti di stima e di amicizia che legano l’abate
Adraldo a Desiderio di Montecassino (poi Papa Vittore III), non parrebbe impensabile che il
presunto codice potesse provenire da ambiente cassinese dove, sotto l’abbaziato di Desiderio e il
pontificato di Gregorio VII, vi è un periodo di rinascita culturale e religiosa (così come a Novalesa
con l’abbaziato di Adraldo, uno dei “costruttori” dell’abbazia stessa, coincidente, oltre tutto, con un
periodo di intensa e documentata attività dello scriptorium). Desiderio riunisce a Montecassino
artisti esperti nell’arte musiva e pittorica provenienti direttamente da Costantinopoli, apre una
scuola di artigianato artistico e si avvale dell’opera di artisti, magari locali, ma buoni conoscitori
della tecnica e della spiritualità bizantina e comunque con una conoscenza diretta dell’Oriente. E’
possibile che questo interscambio culturale si verifichi anche con i codici miniati, di cui
Montecassino è il faro, e si potrebbe ipotizzare che qualche codice importante (tra cui il Codice
Sionita) dall’Italia centro-meridionale giungesse a Novalesa per una trascrizione. In tale contesto
appare singolare una certa affinità artistica degli affreschi della cappella di S. Eldrado con alcuni
degli affreschi di Sant’Angelo in Formis, voluti proprio da Desiderio di Montecassino e realizzati in
un momento di poco successivo (inizio anni ’70 dell’XI secolo)32. E’ interessante notare come a
Sant’Angelo in Formis, oltre alla chiesa, al monastero, all’ospedale e agli altri fabbricati, esistesse
altresì una cappella dedicata a S. Nicola di Mira, oggi non più esistente.
Altra ipotesi (siamo sempre nel campo delle possibilità) è che le storie affrescate nella cappella
dell’abbazia di Novalesa siano una reminiscenza delle storie di s. Nicola raccolte e diffuse tra il
Vendômois e la Saintonge, dove Adraldo deve di certo averle conosciute.
30
Purtroppo tale scoperta, nonostante l’autorevolezza di Kapustin, non ebbe vasto seguito a causa dell’opposizione di
un altro valente paleografo, Leonid Kavelin, e della tendenza conservatrice della chiesa ortodossa. Vedere G. Cioffari,
Dizionario enciclopedico del Centro Studi Nicolaiano, sito Internet.
31
G. Valagussa, Dal IX secolo al Duecento: tra il mito carolingio e la tradizione lombarda, in Pittura in Alto Lario e in
Valtellina dall’Alto Medioevo al Settecento, Milano, 1995, pp.3-8 e 210-212.
32
Tale ricco programma di pitture è contraddistinto, esattamente come a Novalesa, dal messaggio di salvezza e
denota un pieno accordo con la rinascita culturale e religiosa svolta dai monasteri benedettini per volere di Gregorio
VII e basata sulla funzione dell’arte. Così si esprimeva Gregorio Magno: “ La pittura si impiega nelle chiese affinché
coloro che non sanno leggere leggano almeno sulle pareti, vedendo, le stesse cose che non saprebbero leggere sui
libri”.
Sotto l’abbaziato di Adraldo di Breme, da cui dipende il priorato novalicense, nell’abbazia di
Novalesa, oltre agli affreschi della cappella di S. Eldrado, fioriscono i cantieri per la decorazione e,
dove necessario, per la ricostruzione delle cappelle di S. Michele, del Salvatore e della cripta della
chiesa abbaziale33. La scelta agiografico-iconografica non sembra casuale: nel caso di S. Nicola
abbiamo già esposto alcune osservazioni; nel caso di S. Eldrado è evidente il riferimento a uno dei
santi e degli abati maggiormente oggetto di devozione nella zona, quasi a voler richiamare il ricordo
dell’epoca aurea dell’abbazia prima dei saccheggi saraceni e a rinvigorirne la potenza. La
consacrazione dell’allora affrescata cappella di S. Michele (altra devozione cara alla casata dei conti
di Vendôme), di S. Maria, del Salvatore (affrescata con l’effigie del Salvatore e le storie di S.
Arnulfo) e di S. Eldrado (edifici, tutti, distrutti dai saraceni in un passato non troppo remoto e poi
recuperati) pare avvenga ad opera del vescovo di Ventimiglia34 e va senza dubbio inserita nel
quadro del programma di rilancio dell’abbazia voluta dal nostro abate Adraldo. Potrebbero risalire a
quegli anni le “antichissime pitture”, ora scomparse, ammirate da Placido Bacco tra metà e fine
Ottocento, raffiguranti niente meno che la nobildonna romana Priscilla (nipote dell’imperatore
Nerone) il cui ruolo leggendario nella storia della Novalesa è ben noto 35, tanto da essere stata
sepolta all’interno delle mura abbaziali, forse proprio nella cappella del Salvatore. La politica di
rilancio del priorato novalicense viene in tal modo perseguita con la celebrazione dei personaggi e
degli avvenimenti più significativi della storia del monastero dalle origini al secolo XI nonché dei
santi (locali e non) particolarmente venerati a quel tempo e collegati, in modi differenti, all’abbazia.
Il rilancio della vita monastica non è circoscritto al recupero degli antichi edifici compresi nel
recinto claustrale, ma si dispiega con modalità ben più articolate. Non a caso al periodo di cui
stiamo trattando risale anche una rinnovata attività dello scriptorium novaliciense; la biblioteca di
Novalesa, prima delle razzie dei saraceni, è fornita di un cospicuo numero di codici, molti dei quali
vanno persi negli anni cupi dell’abbandono forzato della Valle Cenischia da parte dei monaci. A
partire dal Chronicon, scritto per mano di uno dei primi monaci inviati a Novalesa da Breme e certo
collocabile negli anni ’60 del secolo XI (redatto con l’intento di evidenziazione dell’antichità e della
nobiltà storica dell’abbazia), si riprende a scrivere e copiare con un fervore culturale a cui non sono
estranee sia la positiva influenza cluniacense che un’operazione culturale assai complessa di
riordino dell’archivio e di duplicazione di documenti, mal conservatisi o compromessi, con finalità
di tutela giuridica dei beni patrimoniali dell’abbazia. A seguire ( per citare alcuni codici superstiti a
noi pervenuti)36, abbiamo la Vita Heldradi (su cui si basa, probabilmente, il ciclo di affreschi
nell’omonima cappella), l’importante santorale contenente le vitae e le passiones di parecchi santi
(S. Valerico abate, S. Sisto Papa, S. Agostino vescovo, S. Cipriano, S. Giustina, S. Maurizio e altri
martiri tebei, i Santi Cosma e Damiano, S. Biagio, la Vita sancti Nicolai e l’inno a S. Nicola di
Mira, la vita di s. Mauro abate e di molti altri santi e sante), la Vita e il Martirio di s. Caterina, la
vita di s. Maria Egiziaca, due Messali, due libri di canti liturgici, una parte dell’Historia
Langobardorum, una copia del Martyrologium Adonis. Di alcuni di questi santi l’abbazia possedeva
anche le reliquie, in qualche caso donate da Carlo Magno (ad es. quelle di Valerico, di Cosma e
33
C. Segre Montel, Affreschi medievali alla Novalesa e in Valle di Susa. Testimonianze di pittura murale tra VIII e XII
secolo, in La Novalesa. Ricerche. Fonti documentarie. Restauri, atti del convegno-dibattito (Novalesa, 10-12 luglio
1981), Susa, 1988, pp.61-112.
34
C. Cipolla, Chronicon Novaliciense, II, 1901, p.279.
35
C. Segre Montel, op. cit. p. 91.
36
Si veda C. Segre Montel, I percorsi delle reliquie, tra thece degnissime, libri miraculorum e immagine depicte, in
Uomo e spazio nell’alto medioevo (L Settimana di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 4-9
aprile 2002).
Damiano), il che farebbe supporre una volontà di riaffermazioni delle nobilissime radici della
Novalesa attraverso il tramandare il ricordo dei passati fasti. Il patrimonio di reliquie che in quegli
anni è presente in abbazia è alquanto ricco37: vi sono reliquie di s. Eldrado, polvere di s. Nicola,
reliquie di s. Vincenzo, di s. Andrea apostolo, di s. Arnulfo, per non citarne che alcune.
Campagne di lavori per ricostruire i fabbricati distrutti, cicli affrescati, codici, reliquie:
indubitabilmente l’epoca di Adraldo abate attesta, per il cenobio novalicense, la ritrovata prosperità,
il rinsaldamento della memoria interna e del glorioso passato, ma anche il preciso intento della
legittimazione ideologica e giuridica della propria esistenza e dei propri diritti sulla Valle di Susa e
del Cenischia dopo 70 anni di lontananza forzata dei monaci.
L’abbaziato bremetense di Adraldo si conclude all’incirca alla fine degli anni ’60 del secolo; difatti
nel 1069 egli andrà a rivestire l’importante ruolo di vescovo di Chartres, una delle diocesi più estese
e più importanti della Gallia. Succede al vescovo Roberto di Tours, morto il 23 dicembre 1068 a
Souvigny (secondo altre versioni nel 1069), di ritorno da un viaggio a Roma, come evidenziato nel
Cartulario di Saint-Père38, abbazia situata nella diocesi di Chartres. L’illustre incarico episcopale a
Notre-Dame di Chartres ha quasi il profilo di un “ritorno a casa” da parte di Adraldo, data la
prossimità di Chartres col Vendômois, sua terra di provenienza. Nelle “Mèmoires de la Societé
archéologique d’Eure-et-Loire”39 si legge testualmente che “Roberto di Tours fu sostituito da uno
dei più curiosi e colti personaggi del suo tempo, Arrald, che fu, nell’ordine, monaco a Vendôme,
dove aveva delle proprietà, religioso a Cluny, dove assistette l’abate Odilone sul suo letto di morte,
priore a Payerne in Svizzera, abate a Breme presso Pavia. Egli era stato guida del cardinale Pier
Damiani nel suo viaggio a Cluny nel 1063. Era un uomo istruito nelle lettere, abile nelle arti,
religioso nei suoi atti, ammirevolmente eloquente nei suoi discorsi. Di primo acchito poteva
sembrare rigido e severo, ma se si riusciva a penetrare nel suo intimo, lo si trovava, al contrario,
come se fosse un’altra persona, buono, prudente, ossequioso”. Le stesse qualità gli sono
riconosciute anche dai Necrologi di Notre-Dame e di Saint-Pére, che vantano la bellezza dei suoi
regali, degli oggetti d’arte con cui ha arricchito le chiese e, non ultima, la sua grande eloquenza.
“Rischiarato dai raggi della scienza”, lo definisce il Necrologio del Capitolo di Notre-Dame.
Il 6 dicembre 1070, il primo anno del suo episcopato, quasi in omaggio alle sue origini
vindocinensi, Adraldo dedica una cappella a Notre-Dame-de-Pitié nell’abbazia della Trinité di
Vendôme, nel camposanto, costruita come luogo di devozione per la gente del popolo, per i poveri e
per i servitori del monastero. La cappella, intitolata alla Vergine, viene dedicata anche a un insieme
di santi: s. Leone Papa, s. Eutropio vescovo di Saintes e martire, s. Lerne confessore e vescovo di
Saintes, s. Colomba abate, s. Brigida vergine.
Durante il suo episcopato favorisce la scuola della cattedrale di Chartres, fondata da Fulberto nel
1006, beneficiandola del suo sapere e dell’esperienza che aveva acquisito a Cluny e durante i suoi
viaggi: non vi si insegna soltanto la teologia, ma anche la geometria, la medicina, la filosofia e la
musica liturgica. Come episcopo di Chartres Adraldo continua ad intrattenere rapporti con i
personaggi più ragguardevoli del suo tempo; ad esempio quando, proprio nel 1070, Gugliemo il
Conquistatore, re d’Inghilterra, fa iniziare la costruzione di un prezioso campanile sul punto
37
C. Bertolotto, La cassa di sant’Eldrado e i reliquiari ritrovati, in Novalesa. Una storia tra fede e arte, Atti del
Convegno del 21 agosto 1999, Beinasco, 2000, pp.97-106.
38
M. Guérard, Cartulaire de l’Abbaye de Saint-Père de Chartres, Parigi, 1840, pp. 12-14.
39
Si veda AA. VV., Memoires de la Societé archéologique d’Eure et Loire, Chartres, 1858.
centrale del transetto della cattedrale di Chartres, per l’anima della figlia Adeliza, prematuramente
scomparsa (Adeliza, filia regis Anglorum, pro cujus anima pater eius…jussit fieri campanarium
quod est super aecclesiam preciosum et bonum). La cattedrale di Chartres all’epoca è un cantiere in
continua evoluzione: è stata distrutta una prima volta dal fuoco nell’858, quando i Normanni
entrano in Chartres, e poi ancora nel 973 e nel 1020. Quest’ultimo incendio pare sia stato causato da
un fulmine e buona parte della struttura a quei tempi è lignea, dunque l’incendio si propaga con
estrema facilità, tanto che non solo la cattedrale, ma una parte della città vengono gravemente
compromesse. Dopo il secondo devastante incendio il vescovo Fulbert, saggio e religiosissimo, si
impegna sin da subito nella ricostruzione, ottenendo sovvenzioni dai re di Francia, d’Inghilterra, di
Danimarca e dai duchi più potenti di allora, ma muore nel 1029, quando i lavori non sono ancora
molto avanzati. L’edificio costruito da Fulbert è provvisorio e la costruzione della cattedrale è a
lungo sospesa sino alla seconda metà dell’XI secolo. E’ più che probabile che il robusto campanile
fatto erigere da Guglielmo il Conquistatore si inserisca in questo prodigioso sforzo ricostruttivo che
è in pieno svolgimento proprio ai tempi dell’episcopato di Adraldo40.
Negli anni successivi le doti di fine diplomazia e di rara capacità dialogica di Adraldo sono evidenti
nella molteplicità dei ruoli rivestiti: è presente prima al concilio di Sens (1071), dove il 24 aprile
sottoscrive la conferma del dono della chiesa di S. Andrea, fatto da Ugo vescovo di Troyes, ai
monaci di Celle, e poi lo troviamo, nel 1072, come mediatore in una contestazione tra gli abati di
Vendôme (Oderic) e di Saint Aubin (Otbran) e il legato papale in Francia Giraudo, cardinale
vescovo di Ostia, riguardo al possesso del priorato di Craon41. Sempre nel 1072, tra la primavera e
l’estate, sappiamo che compie un viaggio in Longobardiam, ma non ne conosciamo l’esatto
motivo42. Il primo luglio 1070 (o forse 1073) papa Alessandro II con il Privilegium Alexandri
Papae II raccomanda ad Adraldo di proteggere l’abbazia della Trinità dai numerosi tentativi di
spoliazione dei beni, dando al vescovo di Chartres il potere di scomunicare i persecutori43. Il fatto è
sicuramente indicativo: l’abbazia di Vendôme usufruisce sin dalla sua fondazione dell’esenzione
delle giurisdizione episcopale, rivendica la sua autonomia rispetto al potere dei vescovi e si impone
come formidabile potenza nel sud-ovest della diocesi di Chartres. La richiesta ad Adraldo di
intervenire è evidentemente l’ultima possibilità di soluzione di conflitti lunghi e complessi:
l’autorità episcopale, evidentemente, agli occhi del pontefice (e non solo) è sufficientemente
accreditata per risolvere i problemi in gioco44.
Il 27 novembre 1073 Adraldo è destinatario di una lettera scritta da un altro papa, Gregorio VII
(che gli invia l’importante missiva da Argenta), affinché si adoperi perché venga reintegrato nel
suo ruolo Isamberto, abate di Saint Laumer, recatosi in pellegrinaggio a Gerusalemme e sostituito
dall’abate Guidone45. Una seconda lettera di Gregorio VII, datata Tivoli 10 settembre 1074, e
inviata anche a tutti gli altri vescovi di Francia, invita i vescovi a operare per il benessere morale del
regno di Francia, guastato, a detta del pontefice, da quelli che egli definisce i crimini del re. Una
lunga controversia lo oppone, in seguito, ai monaci dell’abbazia di Saint-Père, dove costringe
40
C. Headlam, The story of Chartres, Londra, 1902, pp.89-90.
Si veda R. Ceillier, Histoire générale des auteurs sacrés, Parigi, 1858.
42
Carta CCXXX del Cartulaire de l’abbaye cardinale de la Trinité de Vendôme, C. Métais, vol. I, Parigi, 1893, pp.361-363.
43
Carta CCXXXVIII del Cartulaire de l’abbaye cardinale de la Trinité de Vendôme, C. Métais, vol. I, Parigi, 1893, pp.377378.
44
G. Combalbert, Les évêques, les conflits et la paix aux portes de la Normandie: les exemples des dioceses de Chartres
et d’Évreux, Caen, 2007, pp.139-148.
45
Si veda W. Wattenbach, E. Dümmler, P. Jaffé, Bibliotheca Rerum Germanicarum, Berlino, 1864.
41
all’allontanamento l’abate Uberto, colpevole di essere troppo sensibile ai beni terreni e per questo
avverso a molti monaci, sostituendolo con il rigoroso Eustachio, del monastero di Corbie, più
zelante e convinto seguace della Regola oltre che in stretti rapporti con Cluny46. Del legame tra
Adraldo e Cluny rimane traccia anche nella prebenda che Adraldo conferisce nella sua cattedrale ai
monaci cluniacensi, donazione confermata da Riccardo, metropolita di Sens.
Adraldo muore il 10 febbraio 1075, in età avanzata. Si legge nel Necrologio di Chartres: “ Il 4
delle idi di febbraio morì Arralde, vescovo di questa chiesa, consacrata alla misericordiosissima
Madre di Dio, e abate di Breme, uomo alquanto eloquente, rischiarato dai raggi della scienza; egli
amò teneramente questa Chiesa custodita dal suo zelo, e durante la sua vita la arricchì di molti
ornamenti, come piviali superbi e casule assai preziose. Egli vegliò su di essa come un santo pastore
e le donò un calice d’oro di ammirevole fattura, che desiderò che fosse utilizzato ogni giorno
all’altare maggiore. Alla sua morte lasciò alla Chiesa la sua cappella con i suoi ornamenti episcopali
e una grande somma di denaro destinata a ottenere la remissione dei suoi peccati”. Il Necrologio di
Saint-Jean en Vallée (dipendente da Chartres) si esprime così: “Il 4 delle idi di febbraio morì
Arralde, vescovo di Chartres, che accordò ai canonici di Santo Stefano, che egli aveva fondato, gli
anniversari delle prebende di Notre-Dame”. Il monaco Paul, del monastero di Saint-Père (altro
monastero dipendente da Chartres), nel Cartulario relativo si esprime parlando di improvvisa notizia
della morte terribile47 (il che potrebbe far pensare ad un avvenimento inaspettato) e dice che
Adraldo aveva voluto alla guida di Saint-Père un monaco senza valore, dopo aver allontanato
l’abate in carica e buona parte dei monaci. Sostiene inoltre che Adraldo ha sottratto all’abbazia di
Saint-Pére buona parte delle sue ricchezze e lamenta la sua eccessiva severità nel controllo del cibo
consentito (assolutamente non era permesso consumare carne o pesce, ma soltanto verdure e legumi
crudi e privi di condimento) e il fatto che Adraldo considerasse l’oro e l’argento come incitamenti
alla superbia e alla lascivia48. Per quanto riguarda il monaco “senza valore” che Adraldo avrebbe
posto alla guida di Saint-Pére, si tratta, come abbiamo precisato poc’anzi, di Eustachio, monaco di
Corbie, che andava a sostituire Uberto, troppo legato ai beni terreni. Noi che conosciamo le
posizioni di Adraldo in campo religioso e sappiamo della sua convinta adesione alla riforma, non
possiamo non pensare che la critica del monaco Paul sia, quanto meno, interessata e di parte, dal
momento che molti uomini di chiesa non erano così convinti della necessità di un’opera di
moralizzazione e talora la contrastavano. Tuttavia anche il monaco Paul, che era avverso ad
Adraldo e che scrive della sua terribile morte non può non riconoscergli la grande eloquenza e le
grandi capacità: su questi aspetti il giudizio di amici e nemici è unanime.
Nel 1075, alla morte di Adraldo, all’abbazia di Novalesa la renovatio è sulla via del compimento; se
anche il monastero non vedrà mai più tornare l’ “età dell’oro” delle origini e il prestigio dell’antica
protezione carolingia, anzi, a partire dal XII secolo inizierà un lungo declino, tuttavia la Regola
benedettina, attraversando più di mille anni di storia, continuerà a diffondere nel tempo il suo
messaggio di fratellanza, di ricerca spirituale, di riflessione interiore, di operosa laboriosità con il
medesimo dinamismo religioso e intellettuale che ha animato Adraldo e i padri fondatori nella loro
vita monastica terrena.
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Si veda J.B. Souchet, La France pontificale. Diocèse de Chartres, Chartres, 1867.
“…ac nisi cito inaudita mortis atrocitas malis suis imposuisset finem…” in Cartulaire de l’Abbaye de Saint-Père de
Chartres” doc. XI.
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Si veda J.B. Souchet, La France pontificale. Diocèse de Chartres, Chartres, 1867.
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Novalesa, 1 agosto 2010
Giuliana Giai