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80 Days: Il colore della passione JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 5 24/01/13 14.10 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 6 24/01/13 14.10 1 Una ragazza e il suo violino Do la colpa a Vivaldi. Più in particolare, al mio cd delle Quattro stagioni, che adesso giace a faccia in giù sul comodino, accanto a Darren, il mio ragazzo, che dorme russando piano. Abbiamo litigato quando lui è rientrato alle tre del mattino da un viaggio di lavoro e mi ha trovata distesa sul parquet del suo salotto, nuda e intenta ad ascoltare musica al volume più alto consentito dall’impianto stereo. Ovvero altissimo. Il presto dell’Estate, il Concerto n. 2 in Sol minore, stava per entrare nel vivo quando Darren spalancò la porta. Non mi accorsi del suo ingresso finché non sentii sulla spalla destra la suola della sua scarpa scuotermi. Aprii gli occhi e lo vidi chino su di me. Aveva acceso le luci e il cd si era improvvisamente zittito. «Che cazzo stai facendo?» chiese. «Ascolto la musica» risposi con un filo di voce. «Questo lo sento! L’ho sentito fin dalla strada!» urlò. Era stato a New York e aveva un aspetto straordinariamente fresco e riposato per uno appena sbarcato da un lungo volo. Indossava metà del suo abito da ufficio – camicia bianca immacolata, cintura di pelle e pantaloni blu scuro a righine sottili – e teneva la giacca ripiegata sul braccio. Stringeva con forza l’impugnatura del trolley. Evidentemente stava piovendo, anche se io non me n’ero accorta, dato l’altissimo volume della musica. La valigia era lucida di pioggia, che scorreva via 7 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 7 24/01/13 14.10 in rivoletti e si raccoglieva in una pozza sul pavimento di legno proprio accanto alle mie cosce. La parte inferiore dei suoi pantaloni era bagnata e gli aderiva alle gambe. Girando la testa verso la scarpa di Darren, scorsi due centimetri di polpaccio umido. Lui emanava un odore muschiato, un misto di sudore, pioggia, lucido da scarpe e cuoio. Alcune gocce d’acqua scivolarono dalla scarpa sul mio braccio. Vivaldi produceva immancabilmente un effetto molto particolare su di me e né l’ora antelucana né l’espressione irritata sul volto di Darren bastarono a distrarmi dalla sensazione di calore che si diffondeva rapida lungo il mio corpo, accendendomi come sempre il fuoco nelle vene. Mi voltai, mentre la sua scarpa premeva ancora leggermente sul mio braccio destro, e risalii con la mano sinistra lungo la gamba dei pantaloni. Lui fece un passo indietro, come se si fosse scottato, e scrollò la testa. «Cristo santo, Summer…» Trascinò il trolley contro la parete accanto alla rastrelliera dei cd, tolse le Quattro stagioni dal lettore e poi si diresse verso la sua stanza. Pensai per un istante di alzarmi e di seguirlo, ma lasciai perdere. Non avrei potuto averla vinta in una discussione con Darren senza i vestiti addosso. Speravo che, se avessi continuato a rimanere distesa immobile, sarei riuscita a disinnescare la sua rabbia rendendomi meno visibile: in fondo, se non mi fossi alzata, il mio corpo nudo in posizione orizzontale si sarebbe mimetizzato meglio con il pavimento. Udii il rumore dell’anta dell’armadio che si apriva e il familiare ticchettio delle grucce di legno che cozzavano l’una contro l’altra mentre lui appendeva la giacca. Stavamo insieme da sei mesi e non l’avevo mai visto gettare il cappotto su una sedia o sullo schienale del divano, come avrebbe fatto una persona normale. Appendeva la giacca nell’armadio, poi si sedeva per sfilarsi le scarpe, si toglieva i gemelli, si sbottonava la camicia e la buttava direttamente nel cesto della biancheria sporca, quindi si levava la cintura e la metteva sull’apposita rastrelliera di metallo nell’armadio, accanto a una mezza dozzina di altre cinture in tonalità sobrie di blu, nero e marro8 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 8 24/01/13 14.10 ne. Indossava slip firmati, il genere che preferivo in un uomo, minuscoli short di cotone elasticizzato con una spessa fascia in vita. Adoravo il modo provocante in cui aderivano al suo corpo, anche se con mio perenne disappunto lui si metteva sempre una vestaglia e non girava mai per casa con addosso solo la biancheria intima. Diversamente da me, che stavo bene nella mia pelle, Darren si sentiva offeso dalla nudità. Ci eravamo conosciuti a un concerto l’estate precedente. Per me si era trattato di una grande occasione: uno dei violinisti si era ammalato e io ero stata ingaggiata all’ultimo minuto per suonare nell’orchestra un pezzo di Arvo Pärt… che peraltro detestavo. Lo trovavo sconnesso e monotono, ma per un posto regolare su un palcoscenico vero, ancorché piccolo, avrei suonato anche Justin Bieber, fingendo persino di divertirmi. Darren era tra il pubblico e lo spettacolo gli era piaciuto. Aveva una fissazione per le rosse e in seguito mi confessò che non era riuscito a vedermi in faccia a causa dell’angolazione del palco, ma in compenso aveva goduto di una magnifica visione della sommità dei miei capelli. Disse che risplendevano sotto i riflettori quasi fossi avvolta dalle fiamme. Aveva ordinato dello champagne e aveva usato i suoi contatti con gli organizzatori del concerto per incontrarmi dietro le quinte. Non mi piace lo champagne, ma lo bevvi comunque, perché lui era alto, affascinante e quanto di più vicino a un vero fan avessi mai avuto. Gli chiesi che cosa avrebbe fatto se mi fossero mancati i denti davanti o se non gli fossi piaciuta per qualche altra ragione, e lui rispose che ci avrebbe provato con la percussionista, che non aveva i capelli rossi ma era comunque piuttosto attraente. Poche ore dopo ero ubriaca e distesa nella camera della sua casa di Ealing, a chiedermi come fossi finita a letto con un uomo che aveva appeso la giacca e sistemato le scarpe in perfetto allineamento. Comunque, aveva un uccello bello grosso e un appartamento carino, e anche se scoprii che detestava tutta la musica che io invece amavo, nei mesi successivi passammo insieme la maggior parte dei weekend. Sfortunatamente per 9 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 9 24/01/13 14.10 me, trascorremmo troppo poco di quel tempo a letto e decisamente troppo in giro per mostre d’arte intellettualoidi che a me non piacevano e che, ne ero convinta, Darren non capiva. Gli uomini che mi vedevano suonare nei luoghi tradizionalmente destinati alla musica classica invece che nei pub o nelle stazioni della metropolitana sembravano commettere lo stesso errore di Darren, convinti che io possedessi tutte le caratteristiche che associavano a una violinista classica. Secondo loro, avrei dovuto essere beneducata, perbene, colta, istruita, signorile e aggraziata, con un guardaroba pieno di abiti semplici ed eleganti da indossare sul palcoscenico, nessuno dei quali volgare o succinto. Avrei dovuto portare tacchibassi ed essere inconsapevole dell’effetto suscitato dalle mie caviglie sottili. In realtà, avevo un unico abito lungo per i concerti, che avevo comprato per dieci sterline in un negozio vintage di Brick Lane e avevo fatto modificare da una sarta. Era di velluto nero, a collo alto e con una profonda scollatura sulla schiena, ma la sera in cui avevo conosciuto Darren era in lavanderia, così avevo acquistato un tubino da Selfridges con la carta di credito e avevo nascosto le etichette nella biancheria intima. Grazie al cielo, Darren era un amante composto e non aveva lasciato macchie né su di me né sull’abito, per cui il giorno dopo avevo potuto restituirlo senza problemi. L’appartamento in cui trascorrevo le notti dei giorni feriali si trovava in un condominio a Whitechapel. In realtà, più che un appartamento, era una stanza dotata di un letto singolo abbastanza largo, uno stand appendiabiti che fungeva da armadio, un piccolo lavello, un frigorifero e un fornello elettrico. Il bagno era in fondo al corridoio, in comune con altre quattro persone che incontravo occasionalmente, ma che in genere si facevano gli affari loro. Nonostante si trovasse in un quartiere modesto e il palazzo fosse fatiscente, non mi sarei mai potuta permettere di abitarvi, se non avessi fattoun patto con l’affittuario, conosciuto in un bar dopo una visita al British Museum. Non mi aveva mai spiegato perché volesse affittare la stanza per una cifra inferiore a quella che pagava lui, ma m’immaginavo che sotto le assi del pavimento ci fosse un cadavere oppure un na10 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 10 24/01/13 14.10 scondiglio di polverina bianca, e spesso la notte non riuscivo a prenderesonno aspettando di sentire i passi di una squadra speciale anticrimine che faceva irruzione nel corridoio. Darren non era mai stato a casa mia, un po’ perché avevola sensazione che non si sarebbe azzardato a metter piede nell’atrio prima di aver fatto sterilizzare l’intero edificio e un po’ perché mi piaceva che una parte della mia vita fosse solo mia. Inconsciamente, forse, sapevo che la nostra relazione non sarebbe durata e non avevo voglia di ritrovarmi con un amante scaricato che lanciava sassi contro la mia finestra nel cuore della notte. Lui mi aveva proposto più di una volta di trasferirmi a casa sua, così avrei risparmiato i soldi dell’affitto e avrei potuto comprare un violino più bello o pagare le lezioni di musica, ma io avevo rifiutato. Detesto vivere con altra gente, soprattutto con gli amanti, e avrei preferito arrotondare le mie entrate di notte all’angolo della strada piuttosto che farmi mantenere da un fidanzato. Udii lo scatto attutito della custodia dei gemelli che si chiudeva, serrai le palpebre e strinsi le gambe nel tentativo di render mi invisibile. Lui tornò in salotto e mi passò accanto per andare in cucina. Sentii lo scroscio dell’acqua nel lavello, il lieve sibilo del gas e, dopo qualche minuto, il suono del bollitore. Aveva uno di quei bollitori moderni ma dal funzionamento antiquato che doveva essere riscaldato sul fornello finché non emetteva un fischio. Non riuscivo a capire perché non potesse comprarsene uno elettrico, ma lui sosteneva che l’acqua, scaldata così, aveva un sapore diverso e che una tazza di tè come si deve doveva essere preparata con dell’acqua come si deve. Io non bevo tè. Il solo odore mi dà il voltastomaco. Bevo caffè, ma Darren si rifiutava di prepararmelo dopo le sette di sera: era convinto che mi tenesse sveglia e diceva che la mia inquietudinenotturna teneva sveglio anche lui. Mi rilassai sul pavimento e finsi di essere altrove, rallentando il ritmo del respiro nel tentativo di rimanere immobile, come un cadavere. 11 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 11 24/01/13 14.10 «Non riesco nemmeno a parlarti quando sei in questo stato, Summer.» La sua voce arrivò fluttuando dalla cucina, incorporea. Era una delle cose che più mi piacevano di lui, la ricca tonalità del suo accento da scuola d’élite, a volte tranquilla e calda, altre fredda e dura. Sentii un’ondata di calore tra le cosce, allora strinsi le gambe più che potevo, pensando a quando Darren aveva steso un asciugamano sotto di noi l’unicavolta che avevamo scopato sul pavimento del salotto. Odiava il disordine. «Quale stato?» chiesi, senza aprire gli occhi. «Questo! Nuda e distesa per terra come una pazza! Alzati e mettiti addosso qualcosa, cazzo.» Bevve l’ultimo sorso di tè e io, nel sentire il lieve schiocco che faceva deglutendo, lo immaginai in ginocchio con la bocca tra le mie cosce. Il pensiero mi fece arrossire. A Darren non piaceva leccarmi, a meno che non fossi appena uscita dalla doccia, e anche in quel caso la sua lingua era riluttante e cedeva il posto alle dita alla prima occasione. Preferiva usare un dito solo e non l’aveva presa bene quando avevo allungato la mano per invitarlo a mettermene dentro due. «Cristo, Summer» aveva detto, «se continui così a trent’anni sarai sfondata.» Poi era andato in cucina e si era lavato le mani con il detersivo per i piatti prima di tornare a letto e sdraiarsi su un fianco, addormentandosi con la schiena rivolta verso di me, mentre io, sveglia, fissavo il soffitto. A giudicare dallo sciacquio vigoroso doveva essersi lavato le braccia fino ai gomiti, come un veterinario pronto a far nascere un vitello, o un sacerdote in procinto di compiere un sacrificio. Da allora mi ero astenuta dall’incoraggiarlo a riprovare con più dita. Darren mise la tazza nel lavello e mi passò di nuovo accan to, questa volta diretto in camera. Dopo che fu scomparso alla vista, aspettai un attimo prima di alzarmi in piedi, imbarazzata al pensiero di quanto gli sarei sembrata oscena nella mia nudità, anche se a quel punto mi ero ormai del tutto ridestata dalla trance indotta da Vivaldi e il corpo iniziava a dolermi e a essere percorso dai brividi. «Vieni a letto, quando sei pronta» mi disse lui. 12 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 12 24/01/13 14.10 Sentii che finiva di svestirsi e si coricava. Allora mi infilai la biancheria intima e aspettai che il suo respiro si facesse profondo e regolare prima di scivolare tra le lenzuola accanto a lui. Avevo quattro anni quando sentii per la prima volta le Quattro stagioni. Mia madre e i miei fratelli erano andati a trovare mia nonna per il weekend. Io mi ero rifiutata di partire senza mio padre, che non poteva venire per impegni di lavoro. Mi ero aggrappata a lui e avevo cominciato a urlare, mentre insieme a mia madre cercava di convincermi a salire in auto. Alla fine avevano ceduto e mi avevano consentito di rimanere a casa. Mio padre aveva permesso che saltassi la scuola materna e mi aveva portata con sé al lavoro. Avevo passato tre splendidi giorni di libertà quasi totale scorrazzando per la sua officina, arrampicandomi su mucchi di pneumatici e inalando l’aria che sapeva di gomma mentre lo osservavo sollevare con il cric le macchine e infilarcisi sotto, lasciando sporgere solo le gambe. Stavo sempre vicino a lui, perché avevo una tremenda paura che un giorno il cric potesse cedere facendogli cadere l’auto addosso e tagliandolo in due. Non so se fosse per arroganza o per stupidità, fatto sta che anche così piccola pensavo che io sarei stata capace di salvarlo, che con la giusta dose di adrenalina sarei riuscita a sollevare la vettura per i pochi secondi necessari a liberarlo. Dopo che aveva finito di lavorare, salivamo sul suo furgone e iniziavamo il lungo tragitto di ritorno verso casa, facendo una sosta per un cono gelato, anche se in genere non mi era concesso mangiare dolci prima di cena. Mio padre ordina va sempre malaga, mentre io sceglievo un gusto diverso ogni volta, oppure due mezze palline di gusti diversi. Una notte in cui non riuscivo a dormire ero andata in salotto e lo avevo trovato sdraiato al buio, apparentemente addormentato, anche se non respirava come uno che dorme. Aveva preso il giradischi dal garage e io sentivo il lieve fruscio della puntina a ogni giro del disco. «Ciao, piccola» disse. «Che cosa stai facendo?» chiesi. 13 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 13 24/01/13 14.10 «Ascolto la musica» rispose, come se fosse la cosa più normale del mondo. Mi sdraiai accanto a lui avvertendo il calore del suo corpo vicino al mio e il lieve sentore della gomma nuova mescolato a quello della pasta lavamani. Chiusi gli occhi e rimasi immobile, finché il pavimento scomparve e rimanemmo solo io, sospesa nel buio, e il suono delle Quattro stagioni sul giradischi. In seguito avevo chiesto a mio padre di mettere quel disco più volte, forse perché ero convinta che il mio nome – Summer, “estate” – derivasse proprio da uno dei quattro concerti, una teoria che i miei genitori non confermarono mai. L’entusiasmo era stato tale che per il mio successivo compleanno mio padre mi regalò un violino e fece in modo che prendessi lezioni. Ero sempre stata una bambina impaziente e piuttosto indipendente, il genere di persona che potrebbe non essere adatta a frequentare lezioni dopo la scuola o a studiare musica, ma io desideravo moltissimo, più di ogni altra cosa al mondo, suonare qualcosa che mi consentisse di volare via come la notte in cui avevo ascoltato Vivaldi. Così, dalla prima volta in cui misi le mie piccole mani sull’archetto e sullo strumento, non smisi di esercitarmi tutte le volte che potevo. Mia madre cominciò a preoccuparsi che diventasse un’ossessione e avrebbe voluto togliermi il violino per un po’, in modo che mi dedicassi di più ai compiti e magari mi facessi qualche amica, ma io rifiutai con decisione di separarmi dal mio strumento. Con l’archetto in mano avevo la sensazione di poter prendere il volo in qualunque momento. Senza di esso non ero niente, solo un corpo come tutti gli altri, ancorata al suolo come un masso. Superai rapidamente tutti i livelli dei libri di musica per principianti e a nove anni suonavo con una maestria che andava ben oltre le aspettative della mia stupefatta insegnante di musica della scuola. Mio padre fece in modo che prendessi lezioni aggiuntive da un vecchio gentiluomo olandese, Hendrik Van der Vliet, che abitava a due vie di distanza da noi e usciva raramente di casa. 14 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 14 24/01/13 14.10 Era un uomo alto, incredibilmente magro, che si muoveva con difficoltà, come se fosse attaccato a dei fili e fosse circondato da una sostanza più densa dell’aria; sembrava una cavalletta che nuota nel miele. Quando prendeva in mano il violino, il suo corpo diventava liquido. Guardare i movimenti delle sue braccia era come vedere un’onda che si gonfia e si rompe nel mare. La musica fluiva dentro e fuori di lui come la marea. A differenza di Mrs Drummond, la mia insegnante di musica della scuola, che si era dimostrata stupita e scettica riguardo ai miei progressi, Mr Van der Vliet sembrava indifferente. Parlava di rado e non sorrideva mai. Benché vivessimo in un piccolo centro della Nuova Zelanda, Te Aroha, poche persone lo conoscevano e, per quanto ne sapevo, non aveva altri allievi. Mio padre mi disse che un tempo aveva suonato nella Royal Concertgebouw Orchestra di Amsterdam diretta da Bernard Haitink e che aveva abbandonato la carriera per trasferirsi in Nuova Zelanda dopo aver conosciuto una donna del luogo a uno dei suoi concerti. Lei era morta in un incidente d’auto il giorno in cui ero nata io. Come Mr Van der Vliet, anche mio padre era un uomo tranquillo, ma si interessava alla gente e conosceva tutti a Te Aroha. Prima o poi anche alla persona più schiva capitava di trovarsi con una gomma a terra, che fosse di un’auto, di una moto o di un tosaerba e, vista la fama che si era fatto di accettare anche le riparazioni più insignificanti, mio padre era spesso impegnato in questo o quel lavoretto per gli abitanti della nostra cittadina. Tra questi, Mr Van der Vliet, che un giorno era entrato nell’officina per far riparare la ruota di una bicicletta e ne era uscito con un’allieva di violino. Provavo una sorta di curiosa lealtà nei suoi confronti, come se in qualche modo fossi responsabile della sua felicità, dato che ero venuta al mondo il giorno in cui sua moglie era morta. Mi sentivo in dovere di compiacerlo e sotto la sua guida mi esercitavo finché non mi facevano male le braccia e mi si consumavano i polpastrelli. A scuola non ero né particolarmente amata né emarginata. I voti erano nella media e io non mi distinguevo in alcun 15 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 15 24/01/13 14.10 modo tranne che in musica, materia nella quale le lezioni private unite al talento mi permettevano di collocarmi ben al di sopra dei miei coetanei. Mrs Drummond mi ignorava, forse temendo che la mia bravura avrebbe fatto sentire inadeguati o invidiosi i compagni. Tutte le sere andavo nel garage e suonavo il violino o ascoltavo dischi, di solito al buio, fluttuando con la mente nel repertorio classico. Talvolta mio padre si univa a me. Quasi mai parlavamo, ma io mi sentivo sempre vicina a lui grazie all’esperienza condivisa dell’ascolto, o forse a causa della nostra reciproca eccentricità. Evitavo le feste e non socializzavo granché. Di conseguenza, le esperienze sessuali con i ragazzi della mia età erano limitate. Ancor prima dell’adolescenza, però, avvertii dentro di me una tensione, il primo segnale di quello che in seguito sarebbe diventato un robusto appetito sessuale. Suonare il violino sembrava acuire i miei sensi. Era come se le distrazioni annegassero nei suoni e tutto sparisse ai margini della percezione, tranne la sensazione del mio corpo. Con l’adolescenza cominciai ad associare questa sensazione all’eccitazione sessuale. Mi chiedevo perché il desiderio si risvegliasse in me con tanta facilità e per quale motivo la musica avesse un effetto così potente. Ho sempre temuto che i miei impulsi fossero eccessivi, anormali. La mia relazione con Darren mi spinse a domandarmelo anche più spesso di prima. Mr Van der Vliet mi trattava come se fossi uno strumento. Mi spostava le braccia nella posizione corretta o mi metteva una mano sulla schiena per farmi stare diritta, come se fossi fatta di legno invece che di carne. Sembrava del tutto inconsapevole del proprio tocco, quasi che io fossi un’estensione del suo corpo. Non si comportò mai in modo meno che corretto e casto, eppure, a dispetto di ciò e nonostante la sua età, il suo odore lievemente acre e il suo viso ossuto, iniziai a provare qualcosa per lui. Era insolitamente alto, più alto di mio padre, forse intorno ai due metri, e torreggiava sopra di me. Se adesso non supero il metro e sessantacinque, da adolescente gli arrivavo a malapena al petto. 16 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 16 24/01/13 14.10 Iniziai ad aspettare con ansia le lezioni per ragioni che andavano oltre il piacere di perfezionare il mio modo di suonare. Di tanto in tanto fingevo di prendere una stecca o facevo un movimento goffo del polso nella speranza che lui mi toccasse la mano per correggermi. «Summer» mi disse un giorno con voce sommessa, «se continui a fare così non ti darò più lezioni.» Non suonai mai più una nota sbagliata. Fino a quella sera, poche ore prima che Darren e io litigassimo per via delle Quattro stagioni. Stavo suonando una serie di brani con un aspirante gruppo di blues rock in un bar di Camden Town, quando all’improvviso mi si erano irrigidite le dita e avevo mancato una nota. Nessuno degli altri membri della band se n’era accorto e, fatta eccezione per un pugno di fan sfegatati di Chris, il cantante e chitarrista, la maggior parte del pubblico ci ignorava. Era una serata dal vivo che cadeva di mercoledì e la gente che frequentava il locale durante la settimana era persino più distratta degli ubriachi del sabato sera, perciò a parte i sostenitori irriducibili, il resto degli avventori era lì solo per farsi una birra e due chiacchiere, non certo per ascoltare musica. Chris mi aveva detto di non preoccuparmi. Lui suonava sia la viola sia la chitarra, anche se aveva quasi abbandonato il primo strumento per cercare di conquistarsi un maggior appeal commerciale con il secondo. Avevamo entrambi una passione per gli strumenti a corda e per questa ragione tra noi si era creata una sorta di legame. «Capita a tutti, dolcezza» aveva detto. Ma non a me. Ero mortificata. Me n’ero andata senza bere un bicchiere insieme agli altri del gruppo e con la metropolitana avevo raggiunto l’appartamento di Darren a Ealing, dove ero entrata usando il mazzo di chiavi di riserva. Avendo fatto confusione con gli orari dei voli, pensavo che lui sarebbe arrivato la mattina dopo aver preso l’ultimo aereo e sarebbe andato in ufficio senza passare da casa, dandomi così l’opportunità di dormire in un letto co17 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 17 24/01/13 14.10 modo tutta la notte e di ascoltare un po’ di musica. Un’altra delle ragioni per cui continuavo a frequentarlo era la qualità dell’impianto stereo del suo appartamento, nonché la superficie di pavimento libera su cui potersi sdraiare. Darren era una delle poche persone di mia conoscenza ad avere ancora un vero stereo, completo di lettore cd, e a casa mia non c’era abbastanza spazio per stare sdraiata per terra, a meno di non infilare la testa nella credenza. Dopo qualche ora di Vivaldi in loop, avevo concluso che la nostra relazione, benché piacevole, stava soffocando la mia vena creativa. Sei mesi di arte moderata, musica moderata, barbecue moderati con altre coppie moderate e sesso moderato mi avevano portata a dare uno strattone alla catena che avevo acconsentito a farmi mettere al collo, un cappio che mi ero fabbricata con le mie stesse mani. Dovevo trovare un modo per uscirne. In genere Darren aveva il sonno leggero, ma dopo i voli di rientro da New York prendeva regolarmente un sonnifero per evitare il jetlag. Vedevo baluginare il blister vuoto nel cestino della cartastraccia. Persino alle quattro del mattino aveva scrupolosamente gettato la confezione nella spazzatura invece di lasciarla sul comodino fino al giorno dopo. Il cd di Vivaldi era a faccia in giù accanto all’abat-jour. Per Darren lasciare un cd fuori dalla custodia era la più grande espressione di disappunto. Nonostante il sonnifero, ero sorpresa che riuscisse a dormire con il disco che rischiava di graffiarsi accanto a lui. Sgattaiolai fuori dal letto all’alba, dopo aver dormito al massimo un paio d’ore, e gli lasciai un biglietto sul bancone della cucina. “Scusa per il rumore. Dormi bene. Ti chiamo ecc.” Presi la Central Line della metropolitana in direzione del West End senza sapere esattamente dove stessi andando. Il mio monolocale era perennemente in disordine e non mi piaceva esercitarmi lì troppo spesso, perché le pareti erano sottili e avevo paura che gli inquilini della stanza accanto prima o poi si stancassero del rumore, per quanto piacevole (o, alme18 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 18 24/01/13 14.10 no, così speravo che fosse). Smaniavo dalla voglia di suonare, se non altro per sfogare le emozioni che si erano accumulate durante la notte. All’altezza di Shepherd’s Bush la metropolitana era piena zeppa. Avevo scelto di rimanere in piedi all’estremità del vagone, appoggiata a uno dei sedili pieghevoli vicini alla porta, perché era più comodo che stare seduta con la custodia del violino tra le gambe. Adesso ero schiacciata in mezzo a una calca di impiegati sudati, sempre più numerosi a ogni fermata, ogni volto più infelice del precedente. Indossavo l’abito lungo di velluto nero che mi ero messala sera prima per il concerto con la band e un paio di Dr Martens di pelle rosso ciliegia. In occasione dei concerti di musica classica mettevo le scarpe con i tacchi, ma preferivo sostituirle con gli anfibi per il ritorno a casa perché avevo l’impressione che conferissero una nota di minacciosa baldanza ai miei passi mentre camminavo per l’East End la sera tardi. In piedi, a testa alta, immaginavo che, vestita in quel modo, la maggior parte della gente sul vagone, o almeno quelli che riuscivano a vedermi nella calca, sospettassero che stessi tornando a casa dopo una notte di passione. Vaffanculo. Avrei tanto voluto essere reduce da una notte di passione. Con Darren sempre in giro per lavoro e io a suonare in tutte le serate che riuscivo a procurarmi, era quasi un mese che non scopavamo. E quando lo facevamo, raggiungevoraramente l’orgasmo e solo dopo essermi toccata in fretta e con imbarazzo, cercando disperatamente di godere e preoccupata del fatto che masturbarmi dopo il sesso facesse sentire il mio partner inadeguato. E tuttavia lo facevo lo stesso, anche se sospettavo che lui si sentisse davvero inadeguato, perché altrimenti avrei finito per passare le successive ventiquattr’ore insoddisfatta e tesa. A Marble Arch salì un muratore. L’estremità del vagone era già stipata di gente e gli altri passeggeri lo guardarono storto mentre cercava di guadagnarsi un posto in un angolo vicino alla porta davanti a me. Era alto, muscoloso, e aveva dovuto rattrappirsi per permettere alla porta di richiudersi alle sue spalle. 19 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 19 24/01/13 14.10 «Andate avanti, per favore» disse un passeggero in tono forzatamente cortese. Nessuno si mosse. Sempre beneducata, spostai il violino per fare un po’ di spazio, togliendo ogni schermo tra me e l’uomo. Il treno ripartì con uno scossone, facendo perdere l’equilibrio ai passeggeri. Lui fu sbalzato in avanti e io irrigidii la schiena per rimanere in equilibrio. Per un momento sentii il suo busto premere contro di me. Indossava una camicia di cotone a maniche lunghe, un gilet catarifrangente e un paio di jeans scoloriti. Non era grasso, ma era massiccio, come un giocatore di rugby fuori allenamento, e, pigiato in quel vago ne con le braccia alzate per reggersi al sostegno sopra la sua testa, dava l’impressione di indossare vestiti leggermente troppo piccoli per la sua taglia. Chiusi gli occhi e immaginai come potesse essere sotto i jeans. Non avevo avuto modo di guardarlo sotto la cintura quando era salito, ma la mano con cui si teneva al corrimano era grande e tozza, per cui pensai che la stessa cosa dovesse valere per il rigonfiamento nei pantaloni. Entrammo nella stazione di Bond Street e una biondina con il viso atteggiato a una cupa determinazione si preparò a infilarsi nel vagone affollato. Pensiero fugace: il treno avrebbe sussultato di nuovo ripar tendo? Sì. L’uomo incespicò verso di me e io, in un impeto di audacia, strinsi le cosce e percepii il suo corpo che si irrigidiva. La biondina iniziò a farsi largo, dando una gomitata nella schiena al muratore mentre estraeva un libro dalla borsa voluminosa. Lui mi si avvicinò per lasciarle un po’ di spazio, o forse voleva semplicemente godersi la vicinanza dei nostri corpi. Strinsi le cosce con più forza. Il treno sobbalzò di nuovo. Lui si rilassò. Adesso il suo corpo premeva con decisione contro il mio e io, incoraggiata da quella vicinanza apparentemente casuale, 20 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 20 24/01/13 14.10 protesi leggermente il bacino, cosicché adesso i suoi jeans mi toccavano l’interno della gamba. Lui spostò la mano dal sostegno sopra la testa alla parete del vagone appena sopra la mia spalla; adesso sembrava quasi che ci stessimo abbracciando. Immaginai di sentire il fiato che gli si mozzava in gola e il battito che accelerava, anche se qualunque possibile rumore fu inghiottito dal fracasso del treno che correva dentro il tunnel. Il cuore mi batteva forte, e provai una fitta di paura, temen do di essermi spinta troppo in là. Che cosa avrei fatto se quel l’uomo mi avesse rivolto la parola? E se mi avesse baciata?Mi chiesi come sarebbe stato avere la sua lingua in bocca, se fosse uno che sapeva baciare, il tipo che faceva guizzare la lingua dentro e fuori come una lucertola, o se invece mi avrebbe afferrata per i capelli facendomi reclinare la testaall’indietro per baciarmi e prendersi quello che voleva. Sentii un’ondata di calore umido tra le cosce e mi resi conto, con un misto di imbarazzo e piacere, di avere le mutandine bagnate. Per fortuna avevo resistito all’impulso di uscire senza biancheria intima quella mattina, infilandomi un paio di slip che avevo lasciato a casa di Darren. L’uomo muscoloso adesso si era voltato verso di me, cercan do di incrociare il mio sguardo, ma io tenni gli occhi bassi e assunsi un’espressione impassibile, come se la pressione del suo corpo contro il mio non fosse nulla di sconveniente, nulla di diverso da quello che mi capitava ogni giorno in metropolitana. Temendo ciò che sarebbe potuto succedere se fossi rimasta intrappolata un solo minuto di più fra la parete del vagone e quell’uomo, sgusciai sotto il suo braccio e scesi dal treno a Chancery Lane senza voltarmi. Mi chiesi se mi avrebbe seguita. Chancery Lane era una stazione tranquilla; dopo il nostro contatto sul vagone, gli sarebbe potuto venire in mente ogni genere di servizietto clandestino, facilitato dal mio abito che non avrebbe frapposto ostacoli. Ma il treno ripartì portandosi via il mio uomo muscoloso. Una volta uscita dalla metropolitana, avevo intenzione di andare al ristorante francese all’angolo dove servivano le mi21 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 21 24/01/13 14.10 gliori uova alla Benedict che avessi mai mangiato da quando avevo lasciato la Nuova Zelanda. La prima volta, avevo detto allo chef che la sua era la colazione più buona di tutta Londra. «Lo so» aveva ribattuto. Capivo perché gli inglesi detestavano i francesi: sono un popolo di spocchiosi, ma a me la cosa piace, e tornavo in quel ristorante più spesso che potevo. Adesso, però, troppo agitata per far caso alla direzione da prendere, svoltai a destra invece che a sinistra. In ogni caso il locale francese non apriva fino alle nove. Forse avrei trova to un posticino tranquillo ai Gray Inn’s Gardens; avrei potuto suonare un po’ prima di far colazione. Mentre camminavo in cerca del vicolo privo di cartello stradale che portava ai giardini, mi resi conto di trovarmi proprio a Holborn, davanti al locale di striptease in cui ero stata qualche settimana dopo il mio arrivo in Gran Bretagna. C’ero andata con Charlotte, una ragazza con cui avevo lavorato per un breve periodo mentre giravo per l’Outback australiano e che avevo incontrato di nuovo in un ostello durante la mia prima sera a Londra. Lei aveva sentito dire che lì ballare era il modo più facile per fare soldi. Passavi un paio di mesi in qualche bettola e poi trovavi lavoro in uno dei locali chic di Mayfair, dove le celebrità e i calciatori ti avrebbero infilato manciate di banconote nel perizoma come fossero coriandoli. Charlotte mi aveva portata con sé in quel locale per dargli un’occhiata e vedere se riusciva a trovare un lavoro. Con mio disappunto, l’uomo che ci aveva accolte nell’ingresso con la moquette rossa non ci aveva fatte entrare, come mi sarei aspettata, in una stanza piena di signore poco vestite che si divertivano ballando, ma ci aveva portate nel suo ufficio attraverso una porta laterale. Aveva chiesto a Charlotte di parlargli delle sue esperienze precedenti, che non esistevano, a meno che non si volessero contare come tali le esibizioni di ballo sui tavoli nei nightclub. Poi l’aveva squadrata da capo a piedi come un fantino avrebbe fatto con un cavallo a una fiera del bestiame. Dopodiché aveva fatto la stessa cosa con me. «Sei in cerca di un lavoro anche tu, tesoro?» 22 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 22 24/01/13 14.10 «No, grazie» risposi. «Ne ho già uno. Sono qui solo per accompagnare la mia amica.» «Niente palpeggiamenti. Li sbattiamo fuori, se ci provano» aggiunse speranzoso. Scossi la testa. Avevo preso in considerazione la possibilità di vendere il mio corpo, ma, a parte i rischi, avrei preferito prostituirmi. In qualche modo, mi sembrava più onesto. Trovavo che lo spogliarello fosse un po’ artefatto. Perché spingersi fino a un certo punto e non fare il servizio completo? In ogni caso, avevo bisogno di avere le serate libere per i concerti e mi serviva un lavoro che mi lasciasse energia per suonare. Charlotte era rimasta circa un mese in quel locale, prima di essere licenziata dopo che una delle altre ragazze aveva spifferato che era uscita con due clienti. Una coppia giovane. «Con l’aria innocente come piace a te» mi aveva detto Charlotte. Erano arrivati un venerdì sera tardi, lui su di giri e la sua ragazza elettrizzata e civettuola, come se non avesse mai visto il corpo di un’altra donna. Il ragazzo si era offerto di pagare un ballo e lei si era guardata intorno nel locale e poi aveva scelto Charlotte. Forse perché non aveva ancora nessun orpello adatto a una spogliarellistao perché non aveva le unghie finte come le altre ballerine. Era ciò che la distingueva. Charlotte era l’unica spogliarellistache non sembrava tale. Era bastato qualche istante a far eccitare la ragazza, e lui era diventato paonazzo. Charlotte si divertiva a traviare gli innocenti ed era stata lusingata dalla loro reazione al modo in cui lei muoveva il corpo. Si era protesa in avanti, colmando la distanza che la separava da loro. «Vi va di venire da me?» aveva sussurrato all’orecchio di entrambi. Dopo un primo imbarazzo i due avevano finito per accettare e tutti e tre si erano stipati sul sedile posteriore di un taxi, diretti all’appartamento di Charlotte a Vauxhall. La sua proposta di andare invece a casa della coppia era stata liquidata in modo sbrigativo. 23 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 23 24/01/13 14.10 La faccia della sua coinquilina, mi aveva raccontato poi, sarebbe stata da fotografare, quando la mattina dopo aveva aperto la porta della sua camera senza bussare per portarle una tazza di tè e l’aveva trovata a letto non con uno sconosciuto, ma con due. Adesso sentivo raramente Charlotte. Londra aveva un modo tutto suo di inghiottire la gente, e mantenere i contatti non era mai stato il mio forte. Però quel locale me lo ricordavo. Si trovava non in fondo a un vicolo buio, come ci si sarebbe potuti aspettare, ma sulla via principale, tra un fast food e un negozio di articoli sportivi. Poco più avanti c’era un ristorante italiano dov’ero andata una volta per un appuntamento, reso memorabile dal fatto che avevo accidentalmente bruciato il menu tenendolo aperto sopra la candela al centro del tavolo. La porta d’ingresso era un po’ arretrata rispetto alla strada e l’insegna non era illuminata al neon, ma comunque se si guardava bene il posto, con la sua vetrina oscurata e il nome piuttosto squallido – Sweethearts –, non c’era possibilità di sbagliarsi sul fatto che si trattasse di un locale di striptease. Presa da un’improvvisa curiosità, strinsi forte la custodia del violino, feci un passo avanti e spinsi la porta. Era chiusa. Sbarrata. Il che non era poi così strano, visto che erano le otto e mezzo di un giovedì mattina. Spinsi anco ra, sperando che si aprisse. Niente. Due uomini su un furgone bianco rallentarono e abbassarono il finestrino. «Torna all’ora di pranzo, dolcezza» mi urlò uno dei due, con un’espressione più di compassione che di attrazione. Con il vestito nero e i residui del pesante trucco da rockettara della sera prima, probabilmente avevo l’aria di una ragazza disperata in cerca di un lavoro. E se lo fossi stata davvero? Adesso ero affamata e avevo la gola secca. Le braccia cominciavano a dolermi, visto che continuavo a stringere la custodia del violino con forza, com’ero solita fare quand’ero turbata o stressata. Non ebbi il coraggio di andare al ristorante francese senza essermi fatta una doccia e con addosso gli abiti del giorno prima. Non volevo che lo chef pensasse male di me. 24 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 24 24/01/13 14.10 Presi la metropolitana per tornare a Whitechapel, camminai fino al mio appartamento, mi sfilai il vestito e mi rannicchiai nel letto. La sveglia era puntata sulle tre del pomeriggio, così sarei potuta tornare sottoterra e suonare per i pendolari dell’ora di punta. Persino nei giorni peggiori, quelli in cui le dita erano così goffe da sembrare salsicce e il cervello come immerso nella colla, trovavo sempre il modo di esibirmi da qualche parte, fosse pure in un parco davanti a un pubblico di piccioni. Non era tanto perché fossi ambiziosa o mirassi a fare carriera nel mondo della musica, anche se naturalmente sognavo di essere notata e ingaggiata e di poter suonare al Lincoln Center o al Royal Festival Hall. No, era solo perché non potevo farne a meno. Mi svegliai alle tre, riposata e con una visione delle cose molto più positiva. Sono un’ottimista per natura. Ci vogliono un certo grado di follia o un atteggiamento molto positivo o un pizzico di entrambi per indurre una persona a trasferirsi dall’altra parte del mondo con nient’altro che una valigia, un conto in banca in rosso e il sogno di farcela. I miei malumori non duravano mai a lungo. Avevo un guardaroba pieno di vestiti per suonare in strada, la maggior parte recuperati nei mercatini e comprati su eBay, dato che non avevo troppi soldi. Mettevo raramente i jeans perché, avendo la vita molto più stretta dei fianchi, detestavo provarmi i pantaloni, così indossavo quasi sempre gonne e abiti. Avevo un paio di jeans tagliati al ginocchio per i giorni da cowboy, quando suonavo musica country, ma quella era una giornata da Vivaldi, il che imponeva un look più classico. Il vestito di velluto nero sarebbe stato l’ideale, ma era appallottolato sul pavimento dove l’avevo lasciato quella mattina e aveva bisogno di un altro giro in lavanderia. Presi invece una gonna nera a coda di pesce e una camicetta di seta color crema con un delicato colletto di pizzo che avevo trovato in un negozio vintage, lo stesso dove avevo comprato il vestito nero. Misi dei collant opachi e un paio di stivaletti alla caviglia con le stringhe e il tacco basso. L’effetto, speravo, era pu25 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 25 24/01/13 14.10 dico, gotico-vittoriano, il genere di look che io amavo e Darren detestava; era convinto che il vintage fosse uno stile per aspiranti alternativi che si lavavano poco. Quando arrivai a Tottenham Court Road, la stazione dove si trovava il mio posto prestabilito per suonare, la folla dei pendolari aveva appena iniziato a infittirsi. Mi sistemai vicino al muro ai piedi della prima rampa di scale mobili. Su una rivista avevo letto uno studio secondo il quale la gente era più disposta a dare qualcosa a un musicista di strada se aveva avuto prima qualche secondo per decidere di mettere mano al portafoglio. Quindi la mia postazione era perfetta, perché i pendolari mi guardavano mentre scendevano con la scala mobile e avevano l’opportunità di tirar fuori il denaro prima di passare oltre. Non ero proprio sul loro percorso, comunque, e la cosa sembrava funzionare con i londinesi, ai quali piaceva avere la sensazione di aver fatto la scelta di spostarsi di lato per lasciar cadere gli spiccioli nella custodia del violino. Sapevo che avrei dovuto cercare il contatto visivo e sorridere per ringraziare le persone che mi davano le monete, ma ero così persa nella musica che spesso me ne dimenticavo. Mentre suonavo Vivaldi, non avrei potuto connettermi con nessuno. Se nella stazione fosse scattato l’allarme antincendio, probabilmente non me ne sarei neanche accorta. Appoggiavo il violino sotto il mento e nel giro di qualche minuto i pendolari scomparivano. Tottenham Court Road scompariva. Rimanevamo solo io e Vivaldi in loop. Suonai finché le braccia cominciarono a farmi male e lo stomaco si mise a brontolare, indizi certi del fatto che mi ero fermata più a lungo del previsto. Arrivai a casa alle dieci di sera. Contai i soldi solo il mattino dopo e mi accorsi che c’era una banconota rossa nuova di zecca ripiegata con cura all’interno di un piccolo strappo nella fodera di velluto della custodia. Qualcuno mi aveva dato cinquanta sterline. 26 JACKSON_Eighty days_Il colre della passione.indd 26 24/01/13 14.10